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#Canzone del Maggio
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Se avete preso per buone
le “verità” dei vostri giornali
non vi è rimasto nessun argomento
per farci ancora perdere tempo.
Fabrizio De André - Canzone del Maggio (versione originale, 1970)
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arretoskore · 2 years
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E se credente ora
Che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora
La sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare
La paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte
E grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti
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clacclo · 2 years
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Canzone Del Maggio
Storia Di Un Impiegato
1973
Fabrizio De André
Composta da: Fabrizio De André, Giuseppe Bentivoglio
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VERSIONE CENSURATA
Anche se il nostro maggio
Ha fatto a meno del vostro coraggio
Se la paura di guardare
Vi ha fatto chinare il mento
Se il fuoco ha risparmiato
Le vostre Millecento
Anche se voi vi credete assolti
Siete lo stesso coinvolti
E se vi siete detti
Non sta succedendo niente
Le fabbriche riapriranno
Arresteranno qualche studente
Convinti che fosse un gioco
A cui avremmo giocato poco
Provate pure a credervi assolti
Siete lo stesso coinvolti
Anche se avete chiuso
Le vostre porte sul nostro muso
La notte che le pantere
Ci mordevano il sedere
Lasciandoci in buonafede
Massacrare sui marciapiedi
Anche se ora ve ne fregate
Voi quella notte voi c’eravate
E se nei vostri quartieri
Tutto è rimasto come ieri
Senza le barricate
Senza feriti, senza granate
Se avete preso per buone
Le “verità” della televisione
Anche se allora vi siete assolti
Siete lo stesso coinvolti
E se credete ora
Che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora
La sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare
La paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte
E grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti.
youtube
VERSIONE ORIGINALE
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto guardare in terra
se avete deciso in fretta
che non era la vostra guerra
voi non avete fermato il vento
gli avete fatto perdere tempo.
E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
voi siete stati lo strumento
per farci perdere un sacco di tempo.
Se avete lasciato fare
ai professionisti dei manganelli
per liberarvi di noi canaglie
di noi teppisti di noi ribelli
lasciandoci in buonafede
sanguinare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c’eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
se sono rimasti a posto
perfino i sassi nei vostri viali
se avete preso per buone
le “verità” dei vostri giornali
non vi è rimasto nessun argomento
per farci ancora perdere tempo.
Lo conosciamo bene
il vostro finto progresso
il vostro comandamento
“Ama il consumo come te stesso”
e se voi lo avete osservato
fino ad assolvere chi ci ha sparato
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
voi non potete fermare il vento
gli fate solo perdere tempo.
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youssefguedira · 1 year
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saw a list on lyricstranslate earlier so my question to you all today is. what's the longest song title you can think of? fall out boy answers will be discarded i already know
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peppfie · 1 month
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Novembre nun perdon, ma Maggio è na croc
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diceriadelluntore · 13 days
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Storia Di Musica #328 - Francesco De Gregori, Titanic, 1982
I dischi che ho scelto il mese di Giugno hanno un valore ancora più personale, e sono legati da un fatto. A metà Maggio per aggiustare due tegole lesionate salendo in soffitta per fare spazio ho ritrovato degli scatoloni, e in uno di questi, catalogati in buste di carta, come quelle del pane, vi erano dei dischi. Ne ho scelti 5 per le domeniche di questo Giugno. Il primo era nella busta Dischi di Angela, il nome di mia madre. Interrogata, e felicemente sorpresa di aver ritrovato quello scatolone pensato perso dopo un temporaneo trasloco da casa, mi ha raccontato che non comprò il disco appena uscito, ma dopo qualche anno, dopo aver visto un concerto dell'artista di oggi, uno dei più grandi autori della canzone italiana.
Francesco De Gregori era stato lontano dagli studi di registrazione per tre anni: il 1979 era stato l'anno straordinario di Banana Republic con Lucio Dalla e di Viva L'Italia, disco fondamentale e che contiene una storia particolare. Fu infatti il tentativo della RCA, la sua casa discografica, di promuovere l'artista a livello internazionale. Fu ingaggiato Andrew Loog Oldham, leggendario scopritore e primo produttore dei Rolling Stones, che portò con sé una schiera di tecnici e turnisti britannici, e lo stesso De Gregori registrò delle versioni in inglese di alcune delle sue canzoni più note (Piccola Mela, Rimmel, Generale, una versione di Buffalo Bill con Lucio Dalla) con i testi tradotti da Susan Duncan Smith e Marva Jan Marrow, poetessa statunitense che rimase in Italia per un decennio, collaborando con numerosi artisti (Ivan Graziani adatta un suo brano, Sometimes Man, per Patti Pravo, che diviene una dedica per lei, intitolata Marva).
Decide quindi di concentrarsi su un disco che da un lato riprende progetti giovanili sul recupero delle musiche tradizionali, e dall'altro sia una sorta di concept album. Su questo ultimo punto, fu decisiva la lettura nei mesi precedenti le registrazioni di un libro, L'Affondamento Del Titanic di Hans Magnus Enzensberger. Prodotto da De Gregori con Luciano Torani, Titanic esce nel giugno del 1982. È un disco dove De Gregori lascia da parte la canzone d'amore (solo un brano è riconducibile ad una canzone romantica), musicalmente molto vario e che sembra, attraverso il racconto della mitica nave e del suo tragico destino, una riflessione faccia faccia, personale e spirituale, con il mare, i suoi messaggi potenti e profondi. Si apre con Belli Capelli, l'unica canzone d'amore, che lascia lo spazio a Caterina, emozionate omaggio a Caterina Bueno, cantautrice fiorentina che fu la prima a credere nel giovane De Gregori, chiamato come chitarrista nel 1971: i versi «e cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo» sono un omaggio ad un brano di Bueno, «e cinquecento catenelle d'oro/hanno legato lo tuo cuore al mio/e l'hanno fatto tanto stretto il nodo/che non si scioglierà né te né io». La Leva Calcistica Del '68 è uno dei classici degregoriani, toccante racconto di un provino calcistico di un dodicenne nel 1980, con uno dei testi più belli del Principe (E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai\Di giocatori tristi che non hanno vinto mai\Ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro\E adesso ridono dentro al bar\E sono innamorati da dieci anni\Con una donna che non hanno amato mai\Chissà quanti ne hai veduti\Chissà quanti ne vedrai). La parte centrale del disco, musicale ed emozionale, è la cosiddetta trilogia del Titanic. L'Abbigliamento Di Un Fuochista, cantata con Giovanna Marini (grande custode della musica tradizionale italiana, recentemente scomparsa) racconta una storia di emigrazione attraverso il doloroso dialogo madre-figlio sullo sfondo della tragedia, e De Gregori in un disco successivo, altrettanto famoso, La Donna Cannone (1983), inserirà un brano, La Ragazza E La Miniera, che è la prosecuzione narrativa di questo brano. Titanic, dal meraviglioso ritmo sudamericano, è il brano metafora della questione sociale: la divisione in classi, prima, seconda e terza, che accomuna la nave alla società. I Muscoli Del Capitano inizia come Il Tragico Naufragio Della Nave Sirio, canzone popolare resa celebra da Caterina Bueno, e molti notarono lo stile particolare del testo, un riferimento alla narrazione futurista del progresso, della potenza meccanica, al mito dell'acciaio e dell'industria. La canzone, meravigliosa, sarà oggetto anche di numerose riletture, e ricordo quella convincente di Fiorella Mannoia in Certe Piccole Voci (1999). Il disco si chiude con il riff, spiazzante, di 150 Stelle, sulle bombe e i bombardamenti, con il simpatico rock'n'roll di Rollo & His Jets, che nel testo cita due dei suoi migliori collaboratori, Peppe Caporello (bassista mezzo messicano soprannominato chicco di caffè) e Marco Manusso (chitarrista con quel nome strano) che insieme con Mimmo Locasciulli suonarono nel disco. Leggenda vuole che per gli arrangiamenti dei fiati Caporello volle un paio di scarpe di tela Superga bianche. Chiude il disco il pianoforte, dolcissimo e malinconico, di San Lorenzo, in ricordo dei bombardamenti del 19 luglio 1943 sul quartiere romano di San Lorenzo ad opera degli alleati. Canzone stupenda, è anch'essa ricchissima di riferimenti: i versi su Pio XII che incontra la gente si rifà ad una famosissima fotografia (scattata però, ma si seppe anni dopo, davanti alla Chiesa di San Giovanni In Laterano, nell'agosto del '43 dopo la seconda sequenza di bombardamenti), il verso Oggi pietà l'è morta, ma un bel giorno rinascerà è presa dal famoso canto partigiano di Nuto Revelli.
Il disco, con in copertina il merluzzo su un piatto in un frigorifero accanto a un limone tagliato fotografato da De Gregori e colorata da Peter Quell, fu anche un successo di critica e di vendite: nonostante non ebbe traino da nessun singolo, vendette 100000 copie nel primo mese, regalando le sue canzoni stupende, con De Gregori che fu il primo a ripercorrere le orme del Battiato de La Voce Del Padrone, unendo nel modo più convincente la tradizione cantautorale, in questo lui un Maestro insuperato, con il grande pubblico.
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dailydavide · 7 months
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E ti dissolvi nella neve elettrica
Premo il tasto Lo schermo sfarfalla E tra le righe che scivolano Compari tu Come ti ricordavo Il sole di maggio Che si attorciglia attorno ai tuoi capelli Sensazioni tra le statiche L'abito estivo che ondeggia Come in una canzone di Springsteen Cammini mentre la tua mano Accarezza la pietra del ponte Non c'è musica Non c'è il rumore Del piccolo ruscello sotto di noi O del campanile del paese Avrei dovuto dirtelo allora Non era facle Eppure eri lì Mi avevi donato tutto Ma proprio tutto Ora non so più Rispondere a certe domande Premo il tasto E ti dissolvi Nella neve elettrica
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solosepensi · 1 year
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24 anni senza Faber...
Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.(…)
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista.
Grazie.
Don Gallo
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seoul-italybts · 1 year
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[✎ ITA] Weverse Magazine : Con Amore, Agust D | 15.04.23⠸
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Con amore, Agust D
Uno sguardo al viaggio musicale di SUGA attraverso Agust D
__ di KANG MYUNGSEOK | 15. 04. 2023
Twitter | Orig. KOR
Prima abbiamo SUGA, il membro dei BTS. Quando SUGA produce della musica per altrə artistə, al di là dei BTS o se stesso, il titolo della canzone è seguito da “Prod. SUGA”. E poi c'è Agust D, il suo alter ego, che è apparso con le sue due mixtape, Agust D e D-2, nonché, ora, per il suo album D-DAY, in uscita il 21 aprile. Con Agust D abbiamo quindi un resoconto completo della sua vita come SUGA, membro dei BTS, il produttore SUGA e Min Yoongi, l'individuo qualunque. Nel 2016, quando i BTS avevano appena iniziato la loro sfilata al successo con l'album The Most Beautiful Moment in Life, del 2015, SUGA ha pubblicato Agust D, in cui esaminava la sua vita, partendo dal suo “arrivo a Seoul, il 7 novembre 2010” (“724148”) fino a quando ha trovato un “successo che neppure la mia famiglia avrebbe potuto immaginare” (“Give it to me”). Quando, 4 anni più tardi, ha rilasciato D-2, era ormai una superstar globale e si etichettava come qualcuno che forse, sì, è “nato in un fosso ma cresciuto fino a diventare un drago” (“Daechwita”). In quel lasso di tempo—agli albori del 3 maggio 2014, prima ancora che The Most Beautiful Moment in Life vedesse la luce—SUGA, nei panni di Agust D, parlava del “fingere di non sentirmi solo, di non esser preoccupato, di star bene, dare l'impressione d'essere forte, e invece mi trovo di fronte ad un muro” (“140503 At Dawn”). Era approdato nella sua era D-2: un periodo in cui “le cose cambiano per tuttə”, incluso lui che “ho provato il vuoto perché ho volato troppo alto” (“Moonlight”)—, in seguito ad aver raggiunto un livello di popolarità apparentemente senza fine. In ognuno dei suoi album, SUGA , nei panni di Agust D, si fa un bell'esame personale— questi album, infatti, rappresentano una mappa delle sue origini e della persona ed artista che sta diventando.
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“Ci sono momenti difficili, in cui non ce la fai più”, dice SUGA parlando della traccia “People” - tratta da D-2 – nel documentario SUGA: Road to D-DAY, in uscita su Disney+ e Weverse il 21 aprile. “In quei momenti, io ascolto questa canzone. E piango tanto”. Il viaggio intrapreso da SUGA, partendo da Agust D fino ad arrivare a D-2, e specialmente “People” lì in mezzo, è una testimonianza dei cambiamenti occorsi nella sua vita in quel periodo. In “The Last” - traccia contenuta in Agust D -, confida di aver sofferto di “odio per me stesso e, di nuovo, depressione” nel dover fare i conti con le conseguenze del suo “incidente quando ero un fattorino”, finché non ha “debuttato stringendo la mia ca**o di spalla distrutta”. Ed infatti, nel suo documentario, SUGA menziona di aver “espresso cose per cui ero particolarmente in ansia”, in Agust D. Nonostante i suoi sogni di successo sembrassero a portata di mano, la sua spalla continuava a fare male, e tutto il dolore che si è sempre portato dietro - a partire dal debutto, fino agli anni del successo – forse ha contribuito a renderlo, usando le sue parole, “ansioso”. Ma quando scrive “People”, sembra già molto più leggero: “Perché così serio? … Io sono serio?” Anche se i problemi non svaniscono con la fama: “A volte fa ancora male, a volte sono talmente arrabbiato da piangere”. Ma ciò che è diverso, è che ora SUGA comprende ed accetta ci siano “tanti punti di vista differenti” e che lui non è che “una persona tra le tante”, a dispetto del suo enorme successo. Ha raggiunto la fama cui aspirava, ma ora sa che “finiremo tuttə per sbiadire” e che “non c'è nulla di eterno nella vita”.
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“People” segna una svolta importante nella trilogia di Agust D. Dopo “People”, abbiamo altri due brani: “Interlude: Set me free” - l'ultima traccia di D-2 - e “Dear my friend”, triste racconto di ciò che è accaduto tra lui ed un amico. In quest'ultima traccia, SUGA non si concentra tanto sull'aprire il suo cuore riguardo il passato, come è stato invece per Agust D, ed invece rappa “Ca**o, ti odio ancora da morire” sulle note calme e riflessive delle tastiere. In D-2, SUGA attinge appieno dalla parola “People / gente, persone” e cerca di comprenderle ed accettarle, osservandole dalla sua personale prospettiva e, al contempo, abbandona il ricordo rancoroso che ha del passato. Ha mosso, insomma, un ulteriore passo avanti e, una volta realizzato che la sua crescente popolarità potrebbe non durare per sempre, ha potuto crearsi un giudizio di sé più equilibrato.
Road to D-DAY è sia un'esplorazione della musica cui ha lavorato SUGA durante i preparativi per l'album che la ricerca di una verità più grande. Lo vediamo preoccuparsi di ciò di cui potrebbe parlare nell'album che diventerà D-DAY. Ma continua, comunque, a scrivere musica e lo seguiamo accingersi con trepidazione ad un incontro con Ryuichi Sakamoto – da poco venuto a mancare –, nella speranza di trovare una sua direzione musicale. Perché, allora, è ancora alla ricerca di una sua identità artistica quando, praticamente, ha già ottenuto tutto ciò che viene comunemente considerato come successo? SUGA è partito dal fare i conti col suo passato in Agust D, formandosi una nuova prospettiva su se stesso e sul mondo, in D-2, fino ad approdare a D-DAY e alla messa in questione della natura stessa della musica in quanto artista. Parte della risposta ai suoi quesiti la si può trovare in “People Pt.2” featuring IU, la traccia che, il 7 aprile, ha anticipato il rilascio del nuovo album.
“Se non riesci a trattenere le lacrime, puoi piangere”
In “People”, SUGA parlava della relazione tra una persona e l'altra gente, esplorando il mondo e la società in generale: (“La gente cambia / Proprio come sono cambiato io”); in “People Pt.2”, tutto ciò diventa una sorta di dialogo tra lui e IU in cui le due parti riflettono “quel 'noi' che sognava un futuro insieme non c'è più” perché “quel castello di sabbia.. siamo noi ad averlo distrutto”. La prima “People”, di fatto, era al singolare, ma “Pt.2” sicuramente è plurale. L'amore è possibile solo in un legame plurale, dunque “persone a non finire” possono sperimentare “un amore ormai finito”, con tutti gli interrogativi che questo comporta: “Può l'amore essere perfetto come l'amore stesso? … L'abnegazione può, di fatto, sfociare nell'egoismo”. Eppure, “si dice la vita sia una lotta tra resistenza e sottomissione / per come la vedo io, è una lotta contro la solitudine” ed è per questo che la gente ama.
Ciò che è cambiato tra “People” e “People Pt.2” è che l'artista che le ha create ha sviluppato un maggiore interesse ed affetto per il prossimo ed il mondo in cui viviamo tuttə. Ha imparato a definirsi “solo un'altra persona tra tante” e ora riesce a percepire e vedere appieno il mondo e la società che lo circonda ma, non è tutto, si spinge fino al riflettere su come la gente possa continuare ad amare a dispetto del proprio dolore interiore. SUGA, l'artista che si è fatto strada attraverso innumerevoli sofferenze, che ha trovato conforto in Agust D e poi D-2, ci appare, in D-DAY, come qualcuno finalmente in grado di parlare dell'amore per il prossimo. Sul lungo, difficoltoso percorso che è la vita, alcune persone trovano l'amore come solo un artista sa fare.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS ⠸
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cartacei · 8 months
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mentre sono sulla vespa canto. canto da sempre. canto da quando ho avuto il primo mezzo a due ruote con dentro ai jeans il mangiacassette e poi il lettore cd & mp3 e l’iPod e ora col cellulare e spotify (nemmeno crakkato). canto da sempre e lo faccio malissimo. amici e conoscenti hanno pareri uguali sull’intonazione e contrari sulla presenza scenica e logistica. alcuni mi fotografano e fanno video quando mi vedono. gli sconosciuti invece, quasi sempre, non capiscono e guardano increduli: come quando da maggio a settembre cammino scalzo ovunque. ma io canto sempre e cammino scalzo da maggio a settembre lo stesso. oggi c’era il sole. col sole si canta ancora più forte perché la serotonina circola considerevolmente. dopo una canzone imbarazzante dei pere ubu che skippo tempo zero arriva la moda del lento e la subitanea sensazione di freddezza, ma anche l'idea del ritorno della "moda del lento" dopo molto tempo. e ogni volta che Francesco con "100.525 storie di tormento" implica una vasta gamma di esperienze e difficoltà che possono verificarsi durante questo periodo di attesa, io letteralmente non canto più. io urlo. urlo di tutte le cacate tormentose con cui ho avuto a che fare e non mi hanno affossato. urlo perché canto ancora come sempre pure a trentanove anni. urlo squarciandomi anche se gli amici di un tempo che urlavano pure loro e avevano le kefieh oggi lavorano per amazon, non urlano più e a stento parlano. io canto sempre e al semaforo, dentro una macchina indefinibile, vedo dallo specchietto una ragazza rossa che sorride e cattura la mia attenzione con la mano. dice canti la moda del lento? l’ho ascoltata dieci minuiti fa. continua a dire che forse siamo gli unici in questa città ad averlo fatto. mi sorride con tutto: con la bocca, gli occhi e la fronte. mi sorride con tutto il volto e con tutto il corpo. la ragazza si chiama Veronica. le dico ah si? e intono qualche verso dell’anonima canzone. Veronica sorride e quando lo fa è meglio dei raggi del sole per la serotonina. poi dice non mi era mai capitata questa cosa, è stato umanamente bello. si, ha detto proprio umanamente bello e non bello e basta. è umanamente bello che abbia detto è umanamente bello. le dico che solitamente non capita di parlare al semaforo. ecco si, il semaforo, vero. io canto sempre sulla vespa, canto anche fermo ai semafori con gli auricolari bluetooth e certe volte li stoppo per parlare con Veronica che dopo il verde e alla seconda suonata di clacson dietro di lei mi saluta con la mano e con gli occhi sorridenti e va via. ho pensato di seguirla e chiederle almeno il cognome ma ho subito reputato che essere perduti oggi deve - per forza di cose - durare solo pochi attimi.
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anticlimatteo · 1 year
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Non siete assolti
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orotrasparente · 1 year
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perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte, per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti
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youssefguedira · 2 months
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Send me an artist >>> Fabrizio De Andrè, my beloved italian poet ♥
OH this is a difficult one because i have so so many but i will say favorite is canzone per l'estate
but also hotel supramonte is my most beloved! truly songs that calm me down like nothing else
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personal-reporter · 1 year
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Addio a Francesco Nuti, l’arte di ridere alla toscana
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Si è spento questa mattina a Roma, all’età di 68 anni, l’attore Francesco Nuti, a darne notizia è stata  la figlia Ginevra assieme ai familiari che ringraziano di cuore il personale sanitario e tutti coloro che hanno avuto in cura l’attore durante la sua malattia.  Francesco Nuti nacque  a Prato il 17 maggio 1955 e da studente iniziò a esibirsi come attore dilettante, scrivendo da sè i propri testi e fu notato da Alessandro Benvenuti ed Athina Cenci, coppia già attiva nel panorama cabarettistico con il nome di Giancattivi. Nuti si unì ai due  e in un primo periodo i successi sembravano  arrivare grazie a trasmissioni televisive come Non stop e Black Out. I Giancattivi arrivano al cinema nel 1981 con Ad ovest di Paperino, dove viene riproposto parte del loro repertorio cabarettistico. Nel 1982 Nuti deceise di separarsi dai compagni e  interpretò tre titoli per la regia di Maurizio Ponzi Madonna, che silenzio c'è stasera (1982), Io, Chiara e lo Scuro (1983) e Son contento (1983) che gli diedero una straordinaria notorietà. Dal 1985 passò dietro la telecamera e Casablanca, Casablanca fu il suo esordio registico,  dove ammiccava  garbatamente al mitico film di Bogart-Curtiz e nel quale ripropose i personaggi di Io, Chiara e lo Scuro,  poi scrisse, girò e interpretò storie ricche di bizzarro romanticismo come Tutta colpa del paradiso (1985) e Stregati (1986). Anche i lavori successivi come Caruso Pascoski di padre polacco (1988), Donne con le gonne (1991) e Willi Signori e vengo da lontano (1989), ebbero un buon riscontro. Nel 1988 partecipò come cantante al Festival di Sanremo con Sarà per te, canzone che verrà poi incisa da Mina e, nel 1992, duettò con Mietta nel brano Lasciamoci respirare. Al 1995 risale la travagliata lavorazione di OcchioPinocchio, costosa pellicola dalle grandi ambizioni, che purtroppo ebbe un bassissimo successo. Nuti tornò nel 1998 con Il signor Quindicipalle, che riuscì a recuperare almeno in parte il pubblico, poi diresse "Io amo Andrea nel 1999, con Francesca Neri e nel 2000 Caruso, zero in condotta. Nel mese di maggio 2006 Nuti fu il  protagonista di un intervista per Radio 24 durante quale si notarono i vari problemi psico-fisici di cui ormai da tempo si parlava. All'inizio di settembre dello stesso anno fu ricoverato d'urgenza al Policlinico Umberto I di Roma in prognosi riservata, a causa di un grave ematoma cranico provocato da un incidente domestico. Costretto su una sedia a rotelle e muto dal giorno dell'incidente, a Nuti fu dedicato un documentario, Francesco Nuti... e vengo da lontano, presentato al Roma Film Festival del 2010. Read the full article
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diceriadelluntore · 2 months
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Bei Fior
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Questo 25 Aprile è ancora più importante: perchè siamo al culmine di una strisciante strategia di revisionismo, dai tratti sbracati e ingenui (per questo spesso di presa) che continua ad ammiccare, a nascondersi, a non affrontare il problema. Lo fa nonostante sia classe dirigente, lo fa con atteggiamenti antistorici, propagandistici. Lo fa manipolando.
E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la repugnanza delle colline l’afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline. – I’ll go on to the end. I’ll never give up.
Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny
Questo 25 Aprile è anche importante per un altro anniversario.
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50 anni fa una rivoluzione pacifica mise fine ad un regime che credeva fosse meglio vivere non nel presente, ma cento anni nel passato. Un regime che vigeva dal 1926: con il colpo di Stato del generale Carmona, Antonio de Oliveira Salazar è nominato Ministro delle Finanze con pieni poteri nel 1928 e nel 1932 Salazar si trasforma nel dittatore che, attraverso il suo Estado Novo, controllerà per 35 anni ogni aspetto della società portoghese. Nel 1968 una trombosi cerebrale, causata da un incidente domestico, lo allontana per sempre dal potere. Viene quasi subito sostituito da Marcelo Caetano, ma fino al giorno della sua morte nel 1970 rimane convinto di essere ancora il Primo Ministro. Pare che nessuno ebbe mai il coraggio di dirgli la verità. Dopo decenni di oscurantismo, censura, mancate libertà personali, l'ossessivo controllo della PIDE (poi DGS) la polizia politica, istruita dalla Gestapo e dalla CIA, che controlla l'intera popolazione in patria e nelle colonie, dove sin dagli anni '60 ribollono istanze di indipendenza (Angola, Mozambico, Guinea-Bissau). E In Portogallo furono i militari, tramite il Movimento das Forças Armadas, che organizzarono prima un movimento clandestino, poi un effettivo golpe incruento volto a far cadere il Governo Caetano.
La sera del 24 Aprile poco prima di Mezzanotte, il segnale fu lanciato: per la radio di Stato passò una canzone, Grândola vila morena del cantautore e attivista politico José Afonso, da sempre bandita. In poche ore un corteo pacifico di mezzi corazzati entra nel centro di Lisbona. Caetano prima si rifugia nel Palazzo della Guardia Civil, poi si arrende. Il 25 Aprile, sparsa la notizia, la gente si riversa in piazza, e una fioraia, felicissima, inizia a distribuire garofani rossi ai soldati, che li infilano nei loro fucili. È il simbolo della Rinascita: il 1° Maggio 1974 il Portogallo festeggia la Festa dei Lavoratori dopo 46 anni. La Transizione sarà lunga e difficile, ma i Militari mantengono le promesse: indipendenza alle colonie, libere elezioni, un progressivo ammodernamento del Paese.
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pleaseminddgap · 2 years
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Blonde: un film non all'altezza del romanzo, o della vita
Ho scelto di vedere questo film una volta passato il clamore, il facile entusiasmo o le stroncature senza appello di chi non ci vedeva la trasposizione fedele della vita di Norma Jean Baker in arte Marilyn Monroe.
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Da quando ero una bambina sono appassionata delle vicende di questa donna, e in secondo luogo di questa attrice. I traumi infantili, la mancanza di un padre, l'essere oggettivizzata dagli sguardi maschili, il rapporto con la maternità mancata (o vissuta): sono tutte esperienze che un'altra donna può comprendere. Prima dell'uscita del film, con congruo anticipo, mi sono preparata, affrontando le settecentoepassa pagine del corposo e bel romanzo di Joyce Carol Oates dal quale il film è stato tratto: un romanzo, non una fedele biografia. Contenente molte parti di fantasia, molte illazioni credibili ma totalmente inventate, per ammissione della stessa autrice. Il libro l'ho amato, al punto da averne registrato anche la lettura di un brano, che poi ho condiviso su YouTube. Sebbene sia in larga parte frutto di fantasia, è vivo, palpitante, capace di far percepire sensazioni simili a quelle che deve aver realmente provato Marilyn. A sentirsi violata, recapitata qua e là come un pacco, da una famiglia all'altra, da un letto all'altro.
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Ne esce fuori il ritratto non di una vittima in senso assoluto bensì di una donna segnata fin dalla prima infanzia nel profondo, che rimane intrappolata dal suo aspetto e dal suo talento naturale per la recitazione. Una ragazza tanto sensuale da diventare la proiezione del desiderio altrui, una dea sessuale universalmente riconosciuta. Una donna affamata di sapere, consapevole dei propri limiti, in cerca di un'identità che venga accettata (e che le riporti indietro una figura paterna). Gli uomini che la circondano? In larga parte sono laidi, sfruttatori e, solo in due-tre casi, uomini che provano ad amarla davvero. Oltre a loro, solo il fidato amico e truccatore Whitey.
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La sessualità come tema cardine, ciò che avrebbe dovuto esserci e ciò che manca
L'accento sulla sessualità, centrale nel romanzo, resta tale anche nel film: il sesso anale sul tappeto del produttore, rievocato anche in alcuni flashback, il sesso a tre con i "gemelli" (che, a differenza di Norma Jeane, soffrono l'ingombrante presenza dei loro padri), la fellatio fatta a Kennedy. Poi c'è la Marilyn tormentata dal passato, l'orfana di padre (e anche di madre, in una certa misura), l'isterica, la madre frustrata nel suo desiderio di maternità, la donna che fa i conti con la perdita di una vita e di un sogno, la donna violata, l'insicura, che però appena si accendono i riflettori pare splendere di luce propria.
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Mancano totalmente all'appello alcune sequenze, peraltro fedelmente biografiche, che nel libro sono essenziali per lo svolgimento dei fatti: la vita all'orfanotrofio di Los Angeles, la sessione fotografica con Tom Kelley (Otto Ose nel libro, ndr), che a distanza di anni la porterà a comparire sul primo numero di Playboy e a dare scandalo; il matrimonio a soli 16 anni con Jim Dougherty (Bucky Glazer nel libro, ndr), durante il quale verrà scoperta come fotomodella; il tour in Corea durante il quale cantò per i soldati americani al fronte: una delle occasioni nelle quali, per ammissione della stessa attrice, lei era stata più felice. Manca anche Happy Birthday Mr President, la canzone di compleanno cantata davvero da Monroe a Kennedy il 19 maggio 1962 al Madison Square Garden di New York, una delle sequenze più vivide del libro (alla quale ho riservato la lettura su YouTube).
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Che né il libro né il film siano strettamente biografici lo si capisce subito, se si conosce bene la biografia di Marilyn. In entrambi non vengono mostrati esplicitamente gli abusi (nel libro sono vissuti in modo vivido come qualcosa al confine tra sogno e ricordo rimosso, senza essere mai descritti), l'amore breve ed extra coniugale con Yves Montand, l'amicizia con Truman Capote (che l'avrebbe voluta nella trasposizione cinematografico del suo Colazione da Tiffany, ndr), la relazione lesbica con l'insegnante di recitazione Natasha Lytess' e tanto altro.
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Punti di forza e punti deboli
Quindi ecco quali sono, secondo me, i punti di forza e i punti deboli di questo film.
I punti di forza: il lavoro intenso e coraggioso sul personaggio di Ana De Armas, sulla carta molto diversa da Marilyn, sia fisicamente che come retaggio culturale (De Armas è cubana, sebbene il suo lavoro sull'accento sia stato molto accurato). Tuttavia, De Armas fa di tutto per essere Marilyn, oltre a sottoporsi a lunghissime sessioni di trucco, proprio come la stessa Marilyn: una fase essenziale per smettere di essere Norma e diventare la "maschera" Marilyn; la scrupolosa ricerca iconografica, sebbene questa risulti talvolta erronea e decontestualizzata; i numerosi tentativi di nobilitare l'opera con trovate registiche alternative, con una pretesa di originalità; la fotografia, che è stata curatissima in ogni dettaglio.
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I punti deboli: voler mostrare tutto, spiegare tutto, rendere in modo patinato anche l'intimità della donna Norma Jean (un esempio su tutti: il feto del suo "Baby" mai nato, che poteva tranquillamente essere evocato senza essere mostrato esplicitamente); la superficialità: il film sembra una carrellata di celebri foto di Marilyn, ricreate pedissequamente ma totalmente decontestualizzate e incoerenti nel loro flusso; la scelta di fare la copia/caricatura di Marilyn rendendo De Armas, in certi fotogrammi, quasi irriconoscibile dall'originale; il doppiaggio italiano, esasperato, che riproduce più il doppiaggio dei film di Marilyn (e quella voce da bionda svampita che l'ha resa riconoscibile) che la reale voce dell'attrice.
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Certe trovate che strizzano l'occhio alla morbosità dello spettatore, come la scena della masturbazione nella sala cinematografica all'anteprima di Niagara, sono superflue e quasi grottesche, oltre a non essere presenti nel romanzo. Al contrario, la scena della fellatio praticata a John Kennedy nel libro è presente e rende bene l'idea dell'umiliazione di Marilyn. In un'intervista a Variety Ana De Armas ha commentato così le scene esplicite alle quali ha preso parte: "Ho fatto cose in questo film che non avrei mai fatto per nessun altro, mai. L’ho fatto per lei (Marilyn, ndr) e l’ho fatto per Andrew. So cosa diventerà virale ed è disgustoso. È sconvolgente solo a pensarci. Non posso controllarlo. Non si può davvero controllare cosa fanno le persone e come estraggono le cose dal contesto. Non credo che la cosa mi abbia fatto avere ripensamenti, mi ha solo dato amarezza pensare al futuro di quelle clip". Mi sento di giustificare, almeno in parte, il regista Andrew Dominik: un materiale succoso come il romanzo di Oates sotto mano, così visivo e avvincente, era molto facile farsi prendere la mano. L'autrice del romanzo, comunque, è intervenuta in difesa della trasposizione Netflix con un tweet: "Penso che sia stata/sia una brillante opera d'arte cinematografica ovviamente non per tutti. Sorprendente che in un'era post #MeToo la cruda esposizione della predazione sessuale a Hollywood sia stata interpretata come 'sfruttamento. Sicuramente Andrew Dominik intendeva raccontare sinceramente la storia di Norma Jeane".
Le altre Marilyn
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C'è una bella differenza tra Blonde e un film come My Week With Marilyn (2011), che alla sua protagonista è valso un Oscar: a differenza di De Armas, Michelle Williams non pretende di essere il calco identico di MM, sebbene le somigli fisicamente più dell'attrice cubana. Tuttavia le restituisce una verità inconfutabile, senza risultare mai sopra le righe. Certo, bisogna tenere conto di un'altra differenza importante: il film del 2011 è basato sul memoir strettamente biografico di uno scrittore (Colin Clark, ndr) che ha conosciuto davvero Norma Jeane e ci ha passato del tempo assieme, raccogliendone confidenze e pensieri. Erano i tempi in cui lei si trovava a Londra per girare Il principe e la ballerina con Laurence Olivier nella doppia veste di protagonista e regista (1957) e lui era un giovane neolaureato al suo primo impiego come assistente personale del regista inglese. Tornando a Blonde, del romanzo di Oates esiste un'altra trasposizione filmica: la miniserie prodotta da CBS con Poppy Montgomery come protagonista. Mi riprometto di vederla al più presto per poter fare un confronto.
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