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#Colle di sampeyre
doktortraktor · 2 years
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Westalpen Offroad 2021
Aussergewöhnlich lange musste ich 2021 warten bis es endlich wieder auf Motorradreise ging und dies auch bloss für 10 Tage. Die Offroad-Pisten der Westalpen waren das Ziel, dazu sollte die ganze Ausrüstung und Technik auf Praxistauglichkeit für den anstehenden Südafrika-Trip getestet werden. Zum ersten Mal wollte ich auch die Offroad Fähigkeit meiner neuen Moto Guzzi V 85TT testen, ich versprach…
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blas-phgrafik · 7 years
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Dal Colle di Sampeyre al Vallone d’Elva (CN)
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casp-and-greg · 3 years
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sampeyre to colle di faunieri, italia
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Il vicesindaco di Busca cade in bici nella discesa da Sampeyre, è ricoverato a Torino al Cto
Gianmichele Cismondi, 61 anni, vicesindaco di Busca, è ricoverato al Cto di Torino dopo essere caduto in bicicletta nella giornata di sabato 3 agosto. Cismondi stava scendendo verso Elva dal colle di Sampeyre, dove aveva partecipato, insieme ad altri amministratori, alla firma di un protocollo d’intesa per la promozione dell’itinerario ciclo-pedonale d’alta quota. Nella caduta … Leggi... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
da Quotidiano Piemontese - Home Page https://ift.tt/31jw5GX via Adriano Montanaro - Alessandria
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koyotegiallo · 6 years
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LA “PINEROLO-PINEROLO”: Colle dell’Agnello, Col d’Izoard, Montgenèvre, Colle del Sestriere
“Giri sensa cugnisiun” - Episodio 2
Sabato 21 luglio 2018.
Sera. Notte. Sono le 21.30, il ritrovo è intorno alle 22.00 a Pinerolo nel parcheggio della stazione. Questa volta sono in compagnia di tre ragazzi, tre amici conosciuti in sella, tra una randonnée e l’altra. Fabio arriva da Torino in treno ed è già lì quando arrivo, Claudio arriva da Saluzzo e ci raggiungerà poco dopo, mentre Emanuele è un mio compaesano che, intrepido, sceglie di venire in bici fino a lì.
C’è chi ha già sonno e dobbiamo ancora partire, c’è chi guarda preoccupato i nuvoloni neri e minacciosi sopra le nostre teste, c’è chi (io) freme dalla voglia di partire per un’altra avventura.
Le previsioni meteo sono catastrofiche: rischio idrologico su tutto l’arco alpino, con possibili episodi di grandine, raffiche di vento e piogge torrenziali. Bene. E noi abbiamo deciso di fare 250 chilometri di soli passi montani. Temporali e nubifragi mi hanno resa irrequieta per tutto il giorno. Dalla finestra di casa osservavo le montagne nella direzione in cui sarei dovuta andare io, come se potessi capire che tempo e che clima ci potesse essere da quelle parti. Le cinquanta sfumature di grigio non promettono nulla di buono. 
Dalla regia mi comunicano che a Chianale c’è appena stata una bella grandinata. Claudio arrivando da Saluzzo ci dice che a dieci minuti da Pinerolo diluvia. Ottimo, sempre meglio. Ma noi non ci tiriamo indietro. Alle 22.15 è tutto pronto e partiamo.
 TAPPA 01: PINEROLO – COLLE DELL’AGNELLO
Pinerolo al sabato sera è caotica, dobbiamo districarci tra il traffico e i giovani in vena di fare festa, ma nel giro di una decina di minuti usciamo da quella baraonda. Il primo tratto del percorso sappiamo tutti sarà decisamente noioso, le cose inizieranno a farsi interessanti da Chianale, dove comincia l’ascesa al Colle dell’Agnello, l’obiettivo della nottata.
Tutto sommato 95 chilometri di falsopiano. Claudio fa strada, ci dirigiamo verso Bricherasio, attraversiamo il ponte di Bibiana e puntiamo Cavour. Si pedala bene, il traffico è accettabile, le strade un po’ meno, ma filiamo via veloci. Da Cavour tagliamo fuori Barge e arriviamo a Revello, attraversiamo il Po e raggiungiamo Saluzzo, dove decidiamo di prendere un bel caffettino in pieno centro. Adoro Saluzzo, è una bellissima cittadina “viva”, il centro storico nel fine settimana brulica di gente, ti fa proprio venire voglia di farti una passeggiata digestiva dopo cena o anche solamente sederti su una panchina a chiacchierare alla luce dei lampioni.
Le strade sono bagnate, segno che ha smesso di piovere da poco. Ripartiamo e proseguiamo verso Manta, poi Piasco, poco dopo arriviamo a Venasca e, così, via dicendo a Brossasco, Melle, fino a Sampeyre. Da qui iniziamo un lungo tratto di strada provinciale in mezzo a boschi disordinati e caotici di betulle e faggi, disseminati su di un letto di erba alta e sterpaglie. Deve aver piovuto parecchio a giudicare dallo scroscio fragoroso delle acque del Varaita e dalle pozzanghere insidiose che si sono formate per via delle buche nell’asfalto.
C’è silenzio, c’è pace. Emanuele e Fabio hanno un altro passo, io e Claudio saliamo tranquilli, ma capisco che c’è qualcosa che non va, non si sente tanto bene, lo noto soprattutto nei primi tornanti di una simpatica frazione denominata Caldane. Arriviamo a Casteldelfino intorno l’una e ci fermiamo sotto il campanile a fare scorta d’acqua e a vestirci: il clima è decisamente fresco e, appena ti fermi, i brividi si scatenano lungo la schiena. L’umidità è impressionante. I boschi caotici di betulle e faggi lasciano il posto a pinete fitte e ordinate.
Poco più avanti inizio a scorgere il laghetto artificiale di Ponte Chianale e intuisco che la pacchia sta per finire, da qui ci aspettano quindici chilometri intensi, specie gli ultimi otto, con pendenze medie del 12-13% e strappi al 15. Purtroppo più la salita si fa impegnativa, più Claudio accusa un forte mal di stomaco. Non va, decide che è meglio tornare indietro. Perdiamo un po’ di tempo per prendere una decisione sul da farsi. Mi spiace davvero per lui, so cosa significa non sentirsi bene e doversi fermare, ancor di più so come ti senti quando gli altri non vogliono lasciarti da solo e si vincolano a te. Ti fa sentire ancora peggio.
Fabio decide di accompagnarlo giù, non lo facciamo andare da solo di notte e propone che io ed Emanuele proseguiamo il giro. Un dibattito, idee e sentimenti contrastanti. Dico che ho intenzione di proseguire, anche da sola se necessario, ma arrivati sin qui sarebbe un peccato abdicare al giro. Emanuele è titubante, Fabio imperscrutabile. Claudio continua ad insistere dicendoci di andare, di non preoccuparsi. E’ veramente nobile da parte sua. Probabilmente più nobile di quanto decido di fare io. Alla fine anche Emanuele decide di scendere e tornare indietro. Scelte. Saluto e resto sola, ma del resto si rimane soli sempre, prima o poi e io viaggio sempre da sola, giorno o notte che sia.
Proseguo col magone. Sono le quattro, mi rassicura il fatto che tra poco più di un’ora finalmente farà giorno. Ripenso e rimugino sull’accaduto. Forse non ho fatto la mossa migliore, ma alla fine siamo autonomi. Ciò che conta è che chi è in difficoltà non resti solo.
 Mi sento in forma, le gambe girano bene e anche nei tratti più aspri salgo in scioltezza. Nell’oscurità vedo solo gli occhi gialli, abbagliati dalla mia frontale, delle mucche che riposano nei pascoli lungo la strada. Inutile sottolineare il fatto che non ci sia anima viva.
La temperatura scende mano a mano che salgo, il freddo si fa sempre più pungente. Il cielo schiarisce e i contorni delle montagne appaiono sempre più nitidi, comincio a vedere le catene montuose dietro di me. Che meraviglia. Quando è ormai quasi giorno, la mia attenzione viene attirata dal rumore di piccole pietre rotolanti. Sposto lo sguardo verso l’alto e vedo un gruppetto di stambecchi che guardano incuriositi e, forse, un po’ spaventati nella mia direzione. Mi domando come riescano a stare in equilibrio su pareti rocciose tanto ripide, quasi verticali. Sono uno spettacolo, silenzioso ed elegante. Mi fermo ad osservarli per qualche istante e provo a scattargli una foto.
Arrivo in vetta al Colle dell’Agnello che sono le sei del mattino. E’ bellissimo da lassù, dall’alto dei suoi 2750 metri posso ammirare le montagne imponenti e maestose tutto intorno, adornate di piccole nuvole rosa-arancio, pennellate sfumate di una nuova alba. Termina la Val Varaita e posso ammirare la Valle del Queyras, che si disperde a vista d’occhio fino a scontrarsi con altre montagne.
Il Garmin segna che ci sono due gradi. Immaginavo avrebbe fatto piuttosto freddo in cima, quindi mi vesto pesante per prepararmi alla discesa, indosso tutto quello che ho. Non basta, inizio a scendere e attacco a tremare come una foglia. La discesa è lunga, ma morbida, un po’ nervosa solo in alcuni tornanti.
Tremo talmente forte che traballa il manubrio, non riesco a tenerlo fermo, è più forte di me. Che freddo. Non ricordo l’ultima volta che ho sofferto il freddo in quel modo, mi sono letteralmente congelata.
Decido di rallentare per diminuire il flusso d’aria gelida. Non mi sento più mani e piedi, comincio a tamburellare con le dita sulle leve per riattivare la circolazione, serve a poco. Provo a muovere le dita dei piedi nelle scarpe, ma le sento a malapena. E’ una sofferenza, spero finisca presto. Normalmente le discese uno spera non finiscano mai, ma non in quelle condizioni. Nella mia testa spero presto di poter ricominciare a spingere sui pedali, esclusivamente per riscaldarmi!
La risalita inizierà solamente dopo aver superato Chateau Queyras, piccolo agglomerato di case il cui castello troneggia su un promontorio roccioso. L’effetto è suggestivo.
Finalmente comincio a stare un po’ meglio. Un falsopiano mi porta verso Arvieux. Il primo colle è fatto, mi mangio il primo panino, mi godo il sole nascere e mi riscaldo un po’. L’Izoard è lì di fronte, ad attendermi, baciato dal primo sole.
 TAPPA 02: COLLE DELL’AGNELLO - COL D’IZOARD
Ho percorso 135 chilometri, sono quasi le 7.30 del mattino e la temperatura inizia ad essere più ragionevole, tuttavia il Garmin rileva appena otto gradi. Sfilo i manicotti e tolgo l’antivento, non fa per niente caldo ma voglio evitare di arrivare in cima all’Izoard sudata e umidiccia.
Il primo tratto è tranquillo, le pendenze sono dolci, salgo e scendo godendomi lo scenario: sono in un canalone d’origine fluviale, pizzicata tra due pareti montane ricoperte di pini; i prati sono verdissimi e curati, la chiesa di Saint-Laurent all’ingresso di Arvieux è la protagonista di un quadro quasi dolomitico, ricorda molto la chiesetta di Colfosco. Ci sono quattordici chilometri di salita per arrivare in vetta, la pendenza resta costante intorno all’8-9%, ma l’ascesa mi rilassa a tal punto che quando arrivo all’ultimo tornante quasi mi dispiace.
Non è né eccessivamente aggressiva, né lunga e noiosa, ti dà il tempo di rifiatare tra uno strappo e l’altro e goderti il panorama mozzafiato sulla valle.
Le casette di legno sono decorate da sagome di biciclette, ce n’è dappertutto, di tutte le forme e colori. Dev’essere passato da poco il Tour de France, l’asfalto è costellato da scritte e frasi colorate e mi distraggo leggendole tutte mentre salgo. Mi impressiona la quantità di scritte tricolore per Fabio Aru, i suoi tifosi han dato libero sfogo alla loro vena artistica.
In una curva panoramica approfitto della presenza di un tavolo e delle panche per sedermi dieci minuti a rifiatare e assaporare fino all’ultimo dettaglio di un poster in scala reale; come vorrei poter stare lì, immobile a pensare, nel silenzio urlante dei miei pensieri. Chiudo gli occhi e sospiro, mi nutro di quel momento di libertà. Mi sento molto “zen” e vago nella mia introspezione. Andare in bici non è soltanto pedalare, è anche questo e, quando mi trovo da sola, lontana da tutto e tutti, ne passo veramente tanti di momenti così. E’ meglio di qualsiasi “chiacchiera”, di tutte le parole, di qualsiasi voce umana.
In quel silenzio ti accorgi di poter cogliere suoni e rumori che altrimenti non sentiresti. E’ meraviglioso ciò che la montagna può regalarti e, sebbene in quel dipinto non sono che un piccolissimo puntino insignificante, non mi sento persa, non mi sento sola, mi sento esattamente così come dovrei sentirmi sempre: libera di essere, lì esattamente nel posto giusto al momento giusto.
Abbandono il mio eden e riprendo a salire, non manca molto e ho voglia di vedere cosa troverò in cima. Raggiungo il secondo colle intorno alle 09.30. C’è un banco enorme di caramelle, cerco di distogliere lo sguardo, onde evitare che la mia golosità prenda il sopravvento e faccia una razzia. Altri ciclisti arrivano dal lato opposto, la salita da Briançon è meno dura a giudicare dal cartello che mette a confronto le due varianti. Si sta bene, il sole è caldo nonostante ci siano pochi gradi e decido di mangiare lì il secondo panino, seduta di fronte al pilone celebrativo dell’Izoard. E’ stata davvero una bellissima salita.
 TAPPA 03: COL D’IZOARD – MONGINEVRO
 La discesa dall’Izoard è tanto bella quanto la salita appena affrontata, con l’unica differenza che raggiungo i settanta orari al contrario dei sette di media e che mi diverto un casino senza faticare.
La strada scende armoniosa, le curve sono dolci, ti cullano fino in fondo alla valle e ti permettono di osservare un altro stupendo versante montano. La bici va da sola, non devo far altro che assecondare le sue lievi inclinazioni. Venti chilometri di estasi, l’altra faccia degli stupefacenti. Il freddo non morde più come sull’Agnello, complice anche un sole sicuramente più forte e deciso.
Arrivo a Briançon e inizio a girovagare per il paese senza una logica ben precisa, la traccia è confusa e mi regala uno strappo cittadino al 13% che non avevo previsto. E dire che l’ho fatta io. Dettagli.
Ho l’impressione di girare su me stessa, ma mi fido del gps. Mi guardo intorno alla disperata ricerca di un po’ d’acqua, ma ovviamente quando cerchi una fontanella non ne trovi una nel raggio di dieci chilometri. Si sente che sono scesa di quota, il clima in città è torrido e soffocante quasi quanto il traffico, i gas di scarico infestano l’aria e bruciano la gola. Trovo dei giardinetti, mi addentro, mi godo un po’ d’ombra e trovo finalmente una fonte idrica, faccio rifornimento velocemente e riparto, sono quasi le 10.30 è ora di rimettersi in marcia e puntare Monginevro.
Il morale è alto, sono soddisfatta del viaggio fatto sino a qui e so che ormai la parte più dura è andata, non restano che due salite di circa dieci-quindici chilometri ciascuna, dopo di che la strada è tutta a scendere.
La via che porta a Monginevro è molto trafficata e tortuosa, la pendenza non è mai aggressiva, ma la trovo poco coinvolgente e mi annoio. Cerco di distrarmi osservando il panorama: Briançon pare un ricordo lontanissimo tant’è distante, pare microscopica laggiù in fondo alla valle.
Non ci impiego molto a salire, la fatica comincia a farsi sentire, ma soffro per di più la strada, il caldo, la noia. Questa volta non ho con me l’mp3 e non posso ripiegare sulla musica per intrattenermi.
Poco dopo inizio a scorgere i primi impianti sciistici, capisco che sono arrivata. E’ sempre stato un posto caro al mio cuore: su quelle piste ho imparato a sciare, ad andare sullo snowboard, ho passato delle belle giornate sulla neve con i miei amici. D’estate stento a riconoscerlo, ma è ugualmente affascinante.
Attraverso le vie del paese, il passaggio in galleria è vietato a ciclisti e pedoni, quindi faccio la passerella in mezzo ai negozi e ai passanti. E’ coinvolgente.
Saluto la mia infanzia e i miei ricordi e inizio a scendere. Ho pedalato per 180 chilometri, ne restano una settantina per tornare a Pinerolo. Mi fermo a Claviére cinque minuti per mangiare il terzo panino per il terzo colle e poi punto Cesana. Dopo dodici ore in sella finalmente percepisco il profumo dei luoghi familiari e delle montagne di casa. Non mi resta che affrontare il Colle del Sestriere, l’ultima fatica di giornata.
 TAPPA 04: MONGINEVRO – SESTRIERE e rientro a Pinerolo
Scendo da Monginevro gasatissima. La strada è larga e mi permette di buttarmi a capofitto nei suoi immensi tornanti. Neanche me ne accorgo e già sto risalendo. Fabio ci aveva informati del fatto che oggi ci sarebbe stata la Gran Fondo del Sestriere e che ci sarebbero potuti essere dei blocchi lungo la strada.
Infatti, ben oltre la prima parte di salita inizio ad incontrare squadre di AIB, Protezione Civile, Polizia e addetti alla corsa.
Accidenti, è mezzogiorno, sono perfettamente in linea con i tempi, mi devono bloccare proprio ora?
Spero di no, spero di poter passare comunque. Mentre percorro la strada del Sestriere mi superano vari scooter della scorta tecnica, ma nessuno mi dice nulla e proseguo. Era una vita che non percorrevo quella strada, ovviamente era la prima volta che la facevo in bici. Non ricordavo come fosse, pensavo fosse più impegnativa. L’affronto rilassata. Dopo l’Agnello e l’Izoard, oggi nulla mi impensierisce. E’ solo il caldo e un po’ la stanchezza dell’ennesima notte insonne a darmi un pugno sul naso gli ultimi tre chilometri, quelli più tosti.
Mi supera l’auto dell’inizio gara ciclistica. Penso che da un momento all’altro mi raggiungeranno i primi della corsa. Che ansia. Faccio finta di nulla e vado avanti. Sento qualcuno dell’organizzazione dire che sono già tre chilometri più sotto. Bene, per quanto siano veloci, io sono più avanti, non verrò colta da una massa impazzita di granfondisti posseduti dal demonio. Arrivano alla spicciolata, mi viene chiesto di tenermi a sinistra e così faccio. Cerco di passare inosservata. Nonostante la bici carica di borse, alcuni spettatori pensano stia gareggiando e mi urlano frasi di incitamento. Sorrido divertita per il “misunderstanding” e proseguo, ormai sono arrivata.
Sestriere brulica di gente. Voglio fuggire da quel caos. Vedo che la strada per scendere verso Pinerolo è bloccata, le auto non possono scendere, i ciclisti stanno salendo, sono tantissimi. Perdo tempo a districarmi tra corridori, pubblico e marciapiedi insidiosi.
Mi fermo vicino ad una pattuglia e chiedo se si può scendere verso Pinerolo. Fortunatamente mi comunicano che le bici possono passare, mi suggeriscono solamente di tenermi bene sulla destra e di fare attenzione alle auto e ai ciclisti che salgono. Ringrazio e mi lancio giù per gli ultimi 50 chilometri di falsopiano e discesa che mi separano da Pinerolo. L’ultimo panino lo mangio scendendo, non ho più voglia di fermarmi e perdere altro tempo. Nuvoloni minacciosi iniziano a spargersi nel cielo e scende qualche goccia, devo aumentare il passo. Finalmente penso che posso riposarmi un po’ e andare avanti per inerzia, ma invece si alza un vento maledetto che mi sposta pericolosamente con le sue raffiche improvvise.
Mi rannicchio sulla bici, la testa bassa nascosta dietro al borsello, pinzo il telaio con le ginocchia e tengo i piedi paralleli. Mi sembra la stessa posizione della discesa nello sci, “a uovo” la chiamano. Lo scopo è quello di essere il più aerodinamico possibile e, tutto sommato, la differenza la noto; appena mi abbasso prendo velocità senza il minimo sforzo. E’ bellissimo. E’ divertente. E’ adrenalinico. Scendo ai 45 di media, dando qualche pedalata ogni tanto quando la strada spiana. Tengo il manubrio stretto tra le mani, il vento mi frena di tanto in tanto, ma riesco a “tagliarlo” di prepotenza. Non voglio prendere pioggia almeno oggi. Devo scendere e in fretta. Sestriere. Borgata. Pragelato. Soucheres Basses. Fraisse. Pourrieres. Fenestrelle. Depot. Mentoulles. Villaretto. Roure. E poi il cartello di Perosa Argentina. E’ evidente che ormai manca poco e sto scendendo veloce senza accorgermene. Pinasca, Villar Perosa, San Germano Chisone, Porte. Entro ad Abbadia Alpina, attraverso il centro di Pinerolo e raggiungo la stazione dove trovo la mia macchina ad aspettarmi. Mi libero di ogni fardello, casco, guanti, occhiali, borselli, scarpe. Corico la bici in macchina e mi metto immediatamente sulla strada di ritorno. Ho bisogno di una doccia e di dormire. Ho bisogno di metabolizzare un altro grande traguardo raggiunto, ma non adesso, non lì, non in quel momento. 
La digestione è lenta, va assecondata, non va forzata. Adesso la mente è un caleidoscopio di immagini e sensazioni, devo riordinare le idee e riprendermi un po’.
E’ stato un altro fantastico viaggio, sebbene non dovesse andare proprio così. Ho terminato il giro da sola e non avrei voluto, ma neanche volevo tornare indietro. Le mie gambe reclamano salite, la mia mente chiede di essere messa sotto torchio nelle lunghe distanze, in previsione di qualcosa di ben più grande, di un capitolo che sarà tutta un’altra storia, un’avventura che spero di potervi raccontare tra un paio di mesi.
Tutto questo non è che la rincorsa prima del grande salto e spero di riuscire, ancora una volta, a spiccare il volo. Verso l’infinito….e oltre!
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Looking for the peaks. . . 📷 @sarto6 (presso Colle di Sampeyre)
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Roads like this ! (presso Colle di Sampeyre)
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