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#Diritto di cronaca
ilmediogorizia · 1 year
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Oltre il limite del fastidio
Il “comandante” scodinzolante     Qualcuno è rimasto (GIUSTAMENTE) colpito nel vederlo calpestare, A PIE’ PARI, il DIRITTO COSTITUZIONALE di cronaca mentre, come si vede nello spezzone del video “rubato” a Gorizia TV, tenta un vero e proprio ATTO INTIMIDATORIO nei confronti del “malcapitato” Roby Borghes (che si è comunque difeso…
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orotrasparente · 10 months
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napoli, firenze e palermo hanno in comune che nel giro di 5 giorni sono salite alla cronaca nera per notizie di stupro e femminicidio o per ragioni della solita becera “gelosia e possessività malata” o semplicemente perché uno ha voglia, indi mi chiedo solo perché è così facile per alcune persone (non umani, persone, perché di umano non c’è nulla) rovinare o togliere una vita come se giocassero a fare dio e mi chiedo anche com’è possibile che molte persone anche giustificano queste cose “eh ma lei lo tradiva, lui è impazzito e l’ha uccisa”, ma manco nel 1700 sti ragionamenti
oppure, distruggi la vita di una persona togliendole il diritto sacrosanto di avere fiducia nel prossimo e traumatizzandola per anni - se va bene - o a vita e la conseguenza di ciò è:
L'art. 609-bis (Violenza sessuale) punisce con la reclusione da 5 a 10 anni chi, con violenza o minaccia o abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.
è chiaro che è troppo poco come risposta 5/6/7 anni di galera che diminuiranno per i vari benefit che danno ai carcerati in base alla loro condotta, non ci sarà mai una soluzione al problema se distruggere una vita vale un paio di anni di galera, qui non si tratta di sbagliare ma di annientare consapevolmente un’altra persona
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t-annhauser · 10 months
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Tg Cane
Lo sapete come fanno, quando attaccano con una cosa non la piantano più finché non te la inchiodano per bene dentro la testa, dico il nuovo filone violento di fine estate 2023, gli stupri di gruppo, arricchiti dalla new entry degli operai fatti a pezzi dal treno "lanciato a 160 km/h". Negli anni '70 c'erano i mondo movie, filone che prese le mosse da Mondo Cane, una specie di documentario che con il pretesto dell'intento pedagogico mostrava riti sanguinolenti e strane usanza nel mondo (c'erano anche le processioni di battenti), un filone sfociato più tardi nel genere cannibal dove c'era sempre una spedizione di esploratori occidentali che finivano mangiati vivi e le donne regolarmente violentate dagli indigeni. Ecco, l'informazione è sempre più exploitation, morboso sfruttamento commerciale della cronaca per andare incontro al bisogno di emozioni forti del pubblico, solo che con la faccia di tolla che si ritrovano la fanno passare per diritto d'informazione. (il mio preferito è Africa nuda, Africa violenta, solo per il titolo).
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raffaeleitlodeo · 1 year
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"PURTROPPO ROCCELLA"   A Torino al Salone del libro la ministra alla Famiglia, Eugenia Roccella, quella che “purtroppo”; l’aborto è una libertà delle donne, è stata fortemente contestata. Quindici persone sono state identificate dalla Digos e denunciate. Alla faccia della libertà di espressione. La parlamentare, Augusta Montaruli, Fratella d’Italia, quella condannata in Cassazione per “spese pazze”, anche lei sul palco ha attaccato duramente il direttore del Salone, Nicola Lagioia per non aver difeso la ministra.   Questa la cronaca. Nel frattempo il movimento “Pro Vita & Famiglia” ha depositato in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare che aggiunge il comma 1-bis all’art. 14 della legge 194/78, che recita così “Il medico che effettua l’IVG, (interruzione volontaria gravidanza) è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”. Il che significherebbe aggiungere al dolore altro dolore. Come se chi compie questo passo non abbia già il suo tormento interiore. Già che c'erano potevano pure mettere un paio di frustate prima e dopo l'ascolto. L’iniziativa è una scopiazzatura della legge sul “battito fetale” in vigore in Ungheria. In realtà, spiega la Ginecologia, i feti nella fase iniziale della gravidanza, quando si verifica la maggior parte degli aborti, non hanno ancora un cuore funzionante, ma solo gruppi di cellule che inviano segnali elettrici. Il suono del “battito cardiaco”; viene generato dal monitor a ultrasuoni per rappresentare questi impulsi elettrici. Non è un vero suono di valvole cardiache che funzionano come si sente in un adulto o in un bambino usando uno stetoscopio. Da quando Orbán, definito dalla Meloni “patriota d’europa”, è salito al potere nel 2010, il suo governo ha promosso i “valori tradizionali della famiglia“ e ha introdotto una serie di misure volte a rispondere al calo della natalità nel Paese. Tuttavia, in precedenza non aveva mai tentato di modificare le leggi, già restrittive, che regolano il diritto all’aborto. La legge ungherese prevede che si possa abortire in quattro casi: gravidanza in conseguenza di un reato o violenza sessuale, pericolo per la salute della donna, embrione con handicap fisico grave, situazione sociale insostenibile della donna. Con la nuova legge introdotta nel 2022 c'è scritto che i medici dovranno presentare un documento che attesti l'avvenuto ascolto del battito del cuore del feto, senza il quale la paziente non potrà accedere all'interruzione di gravidanza. Leggi simili sono state introdotte in molti Stati del sud degli Usa, come il Texas e il Kentucky, anche in seguito al rovesciamento della “sentenza Roe v. Wade” che ne regolava la pratica a livello federale. Il timore, che misura dopo misura, di restrizione in restrizione, anche da noi, possa accadere qualcosa di analogo è più che fondato. “La cosa più grave sta avvenendo in Umbria. - ha denunciato la parlamentare di Sinistra Italiana Elisabetta Piccolotti - Abbiamo segnalazioni di donne che vogliono interrompere la gravidanza ma sono costrette ad ascoltare il battito del feto. Non si può fare l'operazione prima di ascoltare questo battito. Una pratica presente per legge nell'Ungheria di Orban. In Umbria non c'è una legge del genere ma si sta attuando questa pratica, costringendo le donne a tornare in ospedale più volte”. Nel primo giorno di lavori in Parlamento, lo ricordiamo, Maurizio Gasparri ha presentato un Ddl per modificare l’art. 1 del codice civile. In parole povere, il senatore di “Forza Italia “, vuole riconoscere la capacità giuridica al concepito, garantendogli pieni diritti già all'atto del concepimento e non dopo la nascita, come succede ora.  Quindi, occhio. Le donne che decidono di abortire, al contrario, meritano di trovare nei nostri ospedali personale capace di assistenza vera, e non di subire sofferenze ulteriori. E quasi mai è così, visto l’abuso che viene fatto dell’obiezione di coscienza.
Alfredo Facchini, Facebook
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anchesetuttinoino · 20 days
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Che cosa la Cgil non ha capito del Jobs Act e del lavoro in Italia
I quesiti del referendum promosso da Landini e compagni, la lettura errata della realtà del paese da parte del sindacato “antagonista”, la battaglia radicalmente diversa della Cisl
Nella Gazzetta ufficiale del 13 aprile 2024 sono riportati i quattro annunci di richiesta di referendum abrogativi presentati dalla Cgil alla Suprema Corte di Cassazione.
Il quesito contro il Jobs Act
Il primo, diventato velocemente il simbolo comunicativo della campagna di raccolta firme attivata dal sindacato per proseguire l’iter di approvazione, concerne l’abrogazione del contratto a tutele crescenti regolato dal Jobs Act. Si tratta, indubbiamente, di una delle più rilevanti novità della riforma varata nel 2015 dal governo Renzi (che si compone di una legge delega, otto decreti delegati e diversi correttivi e collegati, quindi è ben più complessa): questa scelta ha perciò giustificato il ricorso allo slogan “referendum contro il Jobs Act”.
Più forzata la sintesi del “ritorno all’articolo 18”: invero si verificherebbe il ripristino per tutti i lavoratori impiegati in aziende con più di 15 dipendenti del regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi previsti non dall’originale articolo 18 della legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), ma dalla versione modificata nel 2012 dalla riforma Fornero, ove è certamente più forte la tutela reintegratoria rispetto al Jobs Act, ma comunque non prevista per tutte le fattispecie di illegittimo licenziamento (per esempio non interviene in caso di licenziamento economico).
Il quesito sui licenziamenti illegittimi
Il secondo quesito interessa esclusivamente i lavoratori che operano nelle imprese al di sotto dei quindici dipendenti: la Cgil propone l’eliminazione del tetto massimo delle sei mensilità e del tetto alle maggiorazioni per i lavoratori con una certa anzianità in caso di licenziamenti illegittimi, lasciando perciò maggiore libertà al giudice nella individuazione della indennità.
Il quesito sui contratti a termine
La terza proposta intende impedire di stipulare un contratto a termine acausale superiore a dodici mesi, nonché estende l’ambito applicativo del regime di causalità anche alle ipotesi di rinnovo o proroga del contratto a termine che implicano una durata complessiva inferiore o uguale a un anno. È a questo quesito che si riferisce la Cgil quando sui media parla (assai forzatamente) di “superamento della precarietà”.
Il quesito su sicurezza e subappalti
L’ultima proposta concerne la sicurezza sul lavoro negli appalti e prevede la responsabilità diretta del committente ultimo anche in caso di subappalto, di modo che sia più accurata la scelta dei fornitori.
Prossimi obiettivi e scadenze
Perché i quesiti possano essere effettivamente rivolti agli elettori, la Cgil dovrà raccogliere 500 mila firme certificate entro 3 mesi dalla prima vidima, quindi pressappoco entro la metà di luglio. Non c’è ragione di credere che l’obiettivo non sia raggiunto e superato. Entro il 30 settembre le firme dovranno essere consegnate in Corte di Cassazione, che avrà a disposizione massimo tre mesi per la verifica e la vidima. A quel punto sarà la Corte costituzionale a convocare entro il 20 gennaio 2025 l’udienza sul giudizio di ammissibilità dei quesiti e ad esprimersi a questo riguardo entro il 10 febbraio 2025. Se i quesiti saranno confermati (non è scontato: nel 2017 non tutti quelli presentati dalla stessa Cgil furono accettati), la consultazione popolare si svolgerà nella primavera del 2025.
Il falso problema della “quantità” di lavoro
Accanto alla fredda cronaca tecnica, si permettano alcune valutazioni di merito.
La prima concerne la coerenza “storica” dei quesiti, la loro capacità di leggere le difficoltà del diritto del lavoro. Come chiarito da tutti gli osservatori statistici nazionali e internazionali (si veda, solo perché più recente, il Rapporto Istat 2024), in Italia oggi non c’è alcun problema di occupazione e disoccupazione, ossia di “quantità” del lavoro. Mai nella sua storia si erano conteggiati nel nostro paese quasi 24 milioni di occupati. Il Jobs Act, quindi, non ha determinato un impoverimento delle opportunità di lavoro. Allorquando, per ragioni politiche o giuridiche, non si volesse assegnargli meriti particolari, comunque non si potrebbe rivolgergli particolari colpe in termini di quantità del lavoro. Paradossalmente la Cgil fa lo stesso errore del governo: entrambi si concentrano sull’incremento della occupazione (la prima negli slogan associati al referendum, il secondo con il generoso pacchetto di incentivi a tempo previsti nel cosiddetto decreto Primo Maggio), quando questa non è oggi il problema del mercato del lavoro italiano.
L’equivoco della precarietà
Il quesito sul contratto a termine, invece, mette al centro dell’azione sindacale la “qualità del lavoro”, sempre e solo intesa come una dimensione che dipende dalla tipologia contrattuale utilizzata. Ebbene, i dati Istat certificano che la crescita dell’occupazione degli ultimi anni non è spinta dall’incremento dei contratti a termine e dei part-time, entrambi in costante diminuzione e in media con le percentuali europee. Anche in questo caso, quindi, è fuori bersaglio la proposta tecnica (può invece raggiungere lo scopo la strategia politica, ma è tutt’altro discorso).
Il nodo dei salari poveri e come scioglierlo
Quel che invece è segnalato dai numeri come il problema di oggi è la (scarsa) ricchezza dei salari, che in Italia sono cresciuti negli anni assai meno che nel resto d’Europa, troppo poco rispetto alla crescita del costo della vita. Per alzare le retribuzioni medie e mediane (cosa ben diversa dall’intervento di legge sul salario minimo, altra infatuazione recente della Cgil) occorrono innovazione (politica industriale e sostegno alle imprese), competenze sempre più evolute dei lavoratori e degli imprenditori (centralità della formazione) e, soprattutto, maggiore forza della contrattazione a livello aziendale, dove la ricchezza viene prodotta e, a quanto pare guardando i numeri, troppo poco redistribuita a chi ha partecipato al suo conseguimento.
Per questo la Cisl ha scommesso tutto sulla “partecipazione”: partecipazione dei lavoratori alle decisioni in azienda perché la competitività non sia a scapito dei lavoratori; partecipazione diretta ai risultati aziendali mediante la distribuzione degli utili o di quote di capitale; partecipazione organizzativa per il miglioramento di prodotti e processi al fine di incrementare i margini da spartire; partecipazione consultiva obbligatoria perché siano noti i dati sulle performance dell’azienda e nessuno possa nascondere eventuali “extra-profitti”.
La differenza tra Cgil e Cisl
Ecco allora la seconda osservazione, che concerne la differenza di concezione e di azione tra Cgil e Cisl. Entrambe hanno deciso di chiedere ai cittadini italiani di sottoscrivere le proprie proposte: prima la Cisl con la raccolta di oltre 400 mila firme utili alla presentazione della legge di iniziativa popolare in materia di partecipazione che entro l’estate sarà discussa e votata alla Camera dei deputati; poi la Cgil, che conta di superare le 500 mila firme necessarie perché possano essere votati nella prossima primavera i quattro quesiti abrogativi proposti.
La prima azione è construens: la Cisl, che non a caso è figlia di una tradizione di riformismo cattolico, non intende regolare i conti del passato, ma proporre qualcosa per il futuro, coerente con una chiave di lettura del presente (la necessità di alzare i salari medi dei lavoratori). La seconda azione è invece destruens: la Cgil, che per statuto è sindacato antagonista e politico, propone un ritorno al passato, sfidando una legge approvata dieci anni prima del referendum che intende abrogarla, in tutt’altra epoca storica (pre-Covid, pre-inflazione, pre-governo di centrodestra, eccetera).
Sono entrambe azioni legittime, utili a dimostrare che il sindacato non è morto, ma è anzi uno dei corpi sociali ancora più attivi e popolari (quale partito raccoglierebbe questo numero di firme in pochi mesi?). Ciò detto, è molto diverso provare a progettare un futuro nuovo o combattere per la restaurazione del passato.
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mccek · 1 year
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Resiste ancora il bisogno di raccontare in un certo modo queste storie, come il caso di Giulia Tramontano, di andare a cercare un particolare, una parola, in un momento inopportuno.
Non condivido un approccio che trasforma la cronaca nera in cronaca rosa.
Ricordo una trasmissione nella quale veniva invitata sempre una signora, che intervistata più volte per la morte della sua vicina di casa, appariva sempre più pettinata, truccata e in tiro.
Così si trasforma tutto in uno spettacolo.
Immaginate se fosse un vostro famigliare, dato in pasto alle reti televisive, dove abbonda lo sciacallaggio continuo.
Il rispetto non è fare una decina di post al giorno su Giulia e suo figlio, quando, con uno, sanno benissimo che si potrebbe riassumere tutto, non è intervistare persone che “potrebbero aver visto/sentito”, andare da due madri senza alcuna colpa a porre loro mille domande, facendole sentire ancora più in colpa.
Voi nei vari social, come i giornalisti, non siete giudici, avete tutti il diritto di esporre il vostro pensiero ma, non di rendere tutto un circo, e all’essere umano piace approfittarsene per buttare tutto in “caciara”, per farsi qualche like o seguace in più.
Questo è l’Italiano medio, quando puoi capita a lui, allora non va più bene, con gli altri tutti criminologi, giudici.
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curiositasmundi · 20 days
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Fermato e portato in Questura dopo aver scattato un paio di foto durante un servizio di cronaca. È la denuncia del quotidiano Il Mattino di Padova che spiega come il collaboratore Edoardo Fioretto venerdì pomeriggio 1che si trovava a Palazzo Zabarella a Padova sia stato prelevato insieme agli attivisti di Ultima Generazione che avevano annunciato un’iniziativa. Il cronista è stato trattenuto per quattro ore senza poter parlare con l’avvocata della testata a cui non è stato concesso di sapere cosa stava accadendo al giornalista. Secondo quanto riportato dal quotidiano Fioretto non ha avuto la possibilità di usare il cellulare per comunicare con la redazione, con l’avvocato, con i familiari. Alle 20 gli è stato concesso di andare via senza alcun verbale di contestazione. Un caso sul quale è intervenuto il Sindacato Giornalisti del Veneto per denunciarne la gravità e chiedere immediata chiarezza sottolineando come il diritto di cronaca sia “un valore per la comunità e un presidio di democrazia che non può essere in alcun modo limitato o soppresso”. Chiarezza viene chiesta anche dal Cdr del Gruppo Nem.
Fioretto era presente nel momento in cui un gruppo di attivisti è stato portato via dalla polizia. Dopo aver scattato due foto i poliziotti chiedono i documenti, il giornalista si presenta e spiega di essere in servizio. consegnando la carta di identità. Decide di registrare il tutto girando un video e avverte gli agenti della cosa. Riesce a informare la redazione e della situazione viene avvertita l’avvocata del Mattino Orietta Baldovin che però non riesca a entrare in contatto con il giornalista. Il cronista, che non è stato sottoposto a fotosegnalamento a differenza degli attivisti, durante tutto il tempo non ha avuto la possibilità di telefonare.
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crossroad1960 · 4 months
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Presumo ricordiate la storia del vigile urbano di Sanremo sorpreso a timbrare il cartellino in mutande. Ne scrissero tutti i giornali con entusiastico corredo della prova documentale: la foto dell’uomo in slip, evidentemente pronto a rituffarsi fra le lenzuola in orario di lavoro. Era il 2015. Il vigile e la sua immagine divennero i simboli dell’Italia imbrogliona e nullafacente, su cui noialtri riversammo vibrante indignazione dall’alto della nostra statura morale. Tuttavia erano sufficienti cinque minuti per appurare che la casa del vigile, il suo ufficio e la timbratrice erano tutti nello stesso edificio. Il vigile si alzava alle 5.30, timbrava il cartellino, apriva i cancelli del mercato ortofrutticolo, di cui era custode, e cominciava la giornata. Bastava porre una domanda, ma a nessuno venne in mente. Così ci sono voluti cinque anni: nel 2020 il vigile è stato assolto, e forse sarà la mia negligenza, oppure che le cronache ne hanno dato notizia nell’angolo in basso, senza approfondimenti sui guasti di certe inchieste, giudiziarie e giornalistiche, ma io lo ignoravo. L’ho scoperto ieri quando è stato stabilito – a carico del comune di Sanremo, che licenziò il dipendente dalla sera alla mattina – un risarcimento danni di 227 mila euro. Un’ultima annotazione: a fornire ai giornali la foto, con cui il vigile è stato messo in ridicolo e alla gogna in tutta Italia, furono gli inquirenti. Però lo sappiamo: la magistratura è santa e non si tocca. E come al solito a noi delle redazioni importa poco di essere rimasti senza le mutande del diritto di cronaca: possiamo sempre coprirci le vergogne con il famoso bavaglio. (Mattia Feltri)
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parmenida · 6 months
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⚜️ 𝟭𝟯 𝗗𝗜𝗖𝗘𝗠𝗕𝗥𝗘 𝟭𝟮𝟱𝟬:
⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀𝗔𝗗𝗗𝗜𝗢 𝗔 𝗙𝗘𝗗𝗘𝗥𝗜𝗖𝗢 𝗜𝗜
⠀⠀⠀⠀⠀⠀ 𝗦𝗧𝗨𝗣𝗢𝗥𝗘 𝗗𝗘𝗟 𝗠𝗢𝗡𝗗𝗢 ⚜️
Pochi avanzi di mura sul dorso di una collina invasa dalle sterpaglie. È quel che oggi resta di 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗲𝗹 𝗙𝗶𝗼𝗿𝗲𝗻𝘁𝗶𝗻𝗼, una rocca che nella prima metà del XIII secolo sorgeva nelle campagne della Capitanata, 9km a sud di Torremaggiore, a ovest di San Severo e Lucera.
Qui, nel giorno dell’anno con meno luce, il 𝟭𝟯 𝗗𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝟭𝟮𝟱𝟬, festa di Santa Lucia, a soli 56 anni, morì 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 𝙙𝙞 𝙎𝙫𝙚𝙫𝙞𝙖.
La mattina del 13 Dicembre (secondo una cronaca agiografica) l’Imperatore volle indossare l’umile tonaca grigia dei cistercensi del terzo ordine di cui faceva parte. Chiese di essere sepolto nella cattedrale di Palermo, accanto al padre e alla madre.
Ma l’annuncio della morte, forse per ordine dello stesso Federico, venne tenuto nascosto per un certo tempo. Fino al Gennaio del 1251 la cancelleria emanò dispacci e documenti come se l’imperatore fosse ancora vivo.
Il giovane Manfredi comunicò la scomparsa al fratellastro Corrado per lettera, con parole accorate:
“𝙏𝙧𝙖𝙢𝙤𝙣𝙩𝙖𝙩𝙤 𝙚' 𝙞𝙡 𝙨𝙤𝙡𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙢𝙤𝙣𝙙𝙤 𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙞𝙡𝙪𝙘𝙚𝙫𝙖 𝙞𝙣 𝙢𝙚𝙯𝙯𝙤 𝙖𝙡𝙡𝙚 𝙜𝙚𝙣𝙩𝙞”
Il cadavere, con ogni probabilità, fu imbalsamato. Il 28 dicembre il corteo con il feretro dell’imperatore attraversò per l’ultima volta le città di Foggia, Canosa, Barletta e Trani e gli altri centri della costa. A Bitonto, Matteo di Giovinazzo notò “sei compagnie de cavalli armati” e “alcuni baroni vestiti nigri insembra (insieme) co’ li Sindaci de le Terre de lo Riame”. A Taranto la salma fu imbarcata per la Sicilia.
⠀⠀𝘾𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙖𝙞𝙖 𝙙𝙞 𝙫𝙖𝙨𝙘𝙚𝙡𝙡𝙞, 𝙥𝙞𝙘𝙘𝙤𝙡𝙞 𝙚 𝙜𝙧𝙖𝙣𝙙𝙞, 𝙨𝙖𝙡𝙪𝙩𝙖𝙧𝙤𝙣𝙤 𝙞𝙡 𝙛𝙚𝙧𝙚𝙩𝙧𝙤 𝙘𝙤𝙣 𝙙𝙧𝙖𝙥𝙥𝙞 𝙣𝙚𝙧𝙞.
Così Federico tornò a Palermo, la città dell’infanzia e della giovinezza, che 38 anni prima aveva lasciato per affrontare la straordinaria avventura che lo portò a diventare prima re di Germania e poi imperatore.
La salma dell’imperatore fu tumulata nel Duomo, accanto ai genitori e alla prima moglie Costanza, in un maestoso sarcofago di porfido color amaranto.
Carismatico e scomodo. Colto e spietato. Feroce eppure tollerante. Federico parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo). Diventò adulto in una società multirazziale. Comprese e studiò il pensiero islamico. Si appassionò alla scienza e alla poesia. A Napoli fondò una grande università che porta ancora il suo nome. Fu curioso del mondo e degli uomini: alla sua corte trovarono alloggio intellettuali di ogni lingua e religione.
Con le “𝗖𝗼𝘀𝘁𝗶𝘁𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗠𝗲𝗹𝗳𝗶𝘁𝗮𝗻𝗲” (1231), raccolta di norme fondata sul diritto romano e normanno, Federico sognò di dare ordine, a scapito della Chiesa e dei nobili, a tutti gli aspetti dello Stato, dalla giustizia alla sanità, fino al diritto e all’economia.
Federico mise in discussione, dalle fondamenta, il potere temporale dei pontefici. Tornò vincitore da una crociata alla quale era stato obbligato, senza combattere nemmeno una battaglia.
L’Impero finì con la sua morte. In appena venti anni la dinastia degli Hohenstaufen si estinse
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zadigo · 1 year
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Messner sulle croci in vetta: “Le montagne sono di tutti, nessuno ha il diritto di metterci il cappello" - Cronaca | l'Adige.it
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canesenzafissadimora · 10 months
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(Palermo) - Lungomare del Foro Italico, una ragazza di 19 anni va in discoteca, beve e fuma. Poi, si allontana con un conoscente di vecchia data, lui la conduce in un luogo appartato dove la circondano, la spogliano e la violentano in sette. Il suo “vecchio amico” non la tocca, ma riprende la scena col cellulare, condivide il video e commenta: “se ci ripenso mi viene lo schifo, perché eravamo cento cani sopra una gatta, una cosa così l’avevo vista solo nei porno […] però che devo fare la carne è carne”. I carabinieri hanno ritrovato il video e le chat - inutilmente cancellati - avendo ulteriori riscontri dalle videocamere della zona. I sette, tra i quali anche un minorenne, sono stati arrestati e saranno processati per violenza di gruppo. Questo penoso fatto di cronaca ci consente di ribadire che nessuno ha il diritto di abusare di una persona ubriaca o drogata. Dal punto di vista morale, lo stato di coscienza alterato della vittima non è una scusante, è una aggravante. Lo è anche giuridicamente - senza dubbio, quando il reo ha agevolato l’assunzione di alcol o sostanze, per mettere in atto il suo piano. Ad ogni modo, spero che i sette arrestati paghino fino all’ultimo giorno di carcere, secondo giustizia, per le loro malefatte. Perché a tutto c’è un limite. Anche alla violenza, alla stupidità, alla cattiveria. 19.8.2023 “Cento cani sopra una gatta”
dalla pagina fb dl prof. Guido Saraceni
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lamilanomagazine · 1 year
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Pistoia, in arrivo il Carnevale Pistoiese in piazza della Resistenza
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Pistoia, in arrivo il Carnevale Pistoiese in piazza della Resistenza.   L’edizione 2023 del Carnevale Pistoiese, organizzato dal Comitato cittadino con la compartecipazione del Comune, entrerà nel vivo domenica 5 febbraio con il primo appuntamento in piazza della Resistenza. I festeggiamenti si ripeteranno il 12 e 19 febbraio. I carri allegorici, realizzati dai volontari dei quattro Rioni cittadini, sfileranno a partire dalle 14.30 e ogni giornata di festa sarà animata anche da banchi gastronomici, scuole di ballo del territorio, truccabimbi, pony e attrazioni per adulti e bambini. L'ingresso al Carnevale è gratuito fino ai 12 anni di età, per il biglietto è previsto un contributo di 5 euro. Al momento dell'acquisto del biglietto saranno consegnati buoni sconto validi nei supermercati Conad di Pistoia, Mister Wizard e Andreini Giocattoli. La prevendita dei biglietti è effettuata dal bar Nazionale in piazza Leonardo Da Vinci, bar Crudelia in via Borgognoni, bar ristorante La Capannina a Bottegone e bar la Tazza Rossa di via Carratica. Per permettere l’appuntamento sono previste alcune modifiche alla viabilità dalle ore 11 alle 19. In piazza della Resistenza (nell’intera area di circolazione compresa l’area antistante la Fortezza Santa Barbara, il Parcheggio Resistenza e l’area a parcheggio in corrispondenza di via dei Campi) saranno vietati il transito e la sosta a tutti i veicoli, esclusi i mezzi inerenti la manifestazione. In via dei Campi, via Campo Marzio, via Ducceschi e via Martiri della Fortezza sarà in vigore il divieto di circolazione e di sosta ad eccezione dei soli residenti della zona, che potranno transitare mediante la restituzione temporanea del doppio senso di circolazione. In piazza Leonardo Da Vinci (in corrispondenza della rampa di accesso a piazza della Resistenza) sarà in vigore la direzione obbligatoria a diritto in via Carratica o a sinistra in direzione via Cesare Battisti - via Frosini. In via Carratica (in corrispondenza di via Campo Marzio) sarà istituita la direzione obbligatoria a diritto. In viale Arcadia (in corrispondenza della rotatoria di piazza della Resistenza) ci sarà la direzione obbligatoria a destra.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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realnews20 · 27 days
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Ernesto Carbone, consigliere laico del Csm, tra i pilastri della riforma Nordio c’è la separazione delle carriere che di fatto porterebbe alla nascita di due distinti Csm. Cosa ne pensa? “Sono da sempre contrario alla separazione delle carriere. Sono favorevole alla commistione delle carriere. Mi spiego meglio: prima di fare il pubblico ministero fai per 5 anni il giudice. Anche due Csm non servono al miglior funzionamento della giustizia. Guardi il recente caso portoghese. Il primo ministro Antonio Costa si è dimesso per la trascrizione errata di una intercettazione. Un classico errore (o forse orrore) giudiziario. In Portogallo ci sono carriere separate e doppio Csm. Eppure è successo. È la prova che la separazione non serve a niente”. E sull’eventuale passaggio dalla obbligatorietà alla discrezionalità dell’azione penale, cosa ne pensa? “L’azione penale deve rimanere obbligatoria. Mi chiedo però (e mi creda non ho una risposta) se sia necessaria una sorta di gerarchia dei reati da perseguire. Una volta un famoso pubblico ministero mi disse che mentre si indagava su Ruby, Milano diventava la prima città europea per spaccio di cocaina”. Esiste il rischio che la magistratura finisca sotto il controllo dell’esecutivo? “Se si separano le carriere il rischio è più che concreto. Certo, non subito, ma la strada sarebbe segnata. Mi rimetto per un attimo nei panni del politico, non vorrei lasciare a mia figlia un Paese in cui il governo controlla il pubblico ministero”. L’ipotesi di un’Alta Corte che giudichi sia i magistrati giudicanti che requirenti è una risposta agli errori della magistratura che le cronache degli ultimi anni ci hanno restituito? “Non commento indiscrezioni giornalistiche. Il giorno in cui ci sarà un testo ufficiale ci risentiamo”. Libertà di stampa e indipendenza della magistratura due pilastri dello stato di diritto. L’uso delle intercettazioni da parte dei giornalisti rientra nella libertà di stampa, o si corre il rischio di distruggere vite con informazioni delle volte del tutto inutili ai fini processuali e alla discussione pubblica? “Le rispondo così: la vera separazione delle carriere è quella tra magistrati e giornalisti. Nel nostro Paese troppo spesso i processi si fanno in televisione e sui giornali, troppo spesso si fanno in un contesto di un dibattito pubblico esasperato e troppo spesso il racconto della cronaca è supersemplificato. Ecco tutto ciò fa male alle istituzioni ma soprattutto fa male ai cittadini”. Oltre ad essere un avvocato, lei è stato anche un parlamentare molto noto e attivo proprio sui temi della giustizia. Avendo avuto anche questo ruolo, come guarda oggi da membro del Csm alle tensioni tra politica e magistratura? “La dialettica anche dura fra organi dello Stato non mi spaventa. Il confronto è sempre un bene. Per me un politico può criticare una sentenza, ma deve rispettarla. Allo stesso modo un magistrato può criticare una legge ma deve applicarla”. Quali sono secondo lei le priorità che una riforma della giustizia dovrebbe mettere al centro della propria azione? “I veri problemi della giustizia sono altri. Nel 2017 ci sono state 129mila prescrizioni di cui 100mila ancora prima di arrivare in tribunale. Dal 1992 al 2018, 27mila innocenti sono finiti in carcere. Parliamo di mille persone all’anno. Tre al giorno. Una ogni 8 ore”.
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siciliatv · 1 month
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Questo pomeriggio incontro sull'evoluzione della professione giornalistica ad Agrigento
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Presso l'aula "Luigi Giglia" del Libero Consorzio Comunale di Agrigento questo pomeriggio si è tenuto un incontro organizzato dall'Ordine dei Giornalisti su un tema di grande rilevanza: "Giornalisti ieri, oggi e domani: la professione che cambia, il mestiere che sarà tra libertà di stampa, norme bavaglio, giornalismo precario, carte deontologiche". Ad aprire l'evento è stata Antonietta Testone, capo di gabinetto del Commissario straordinario, che ha espresso apprezzamento per l'importanza del dibattito, pur essendo il Commissario impegnato altrove. Il confronto ha visto la partecipazione di diverse figure di spicco, tra cui Roberto Gueli, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti in Sicilia e Condirettore Rai dei TGR, Tiziana Tavella, Presidente del Consiglio regionale dell'Assostampa e coordinatrice della Commissione nazionale lavoro autonomo della Fsni, Roberto Ginex, consigliere nazionale della Fnsi, Sergio Magazzù, segretario provinciale di Assostampa Messina e vice presidente vicario dell'Ussi Sicilia, Tommaso Daquanno, Direttore della Federazione nazionale stampa italiana, e Alessandra Costante, Segretaria Generale della Federazione nazionale della stampa Italiana. Il dibattito è stato moderato da Dario Broccio, responsabile redazione di Agrigento de “La Sicilia”, mentre Gero Tedesco, giornalista del Giornale di Sicilia e segretario dell'assostampa di Agrigento, ha focalizzato l'attenzione sui rischi e i diritti dei cronisti. Argomenti come l'importanza del ruolo del giornalista in un panorama mediatico in rapida evoluzione, la crescente precarizzazione della professione, i limiti del diritto di cronaca e altri temi simili hanno alimentato le importanti esposizioni dei relatori a beneficio dei partecipanti all'interno della sala consiliare. Read the full article
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raffaeleitlodeo · 10 months
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Leggo in giro grandi consensi, quando non aperti incoraggiamenti, nei confronti dei detenuti che stanno mettendo a repentaglio l’incolumità degli arrestati dopo lo stupro di Palermo, cosa che mi pare abbia già provocato all’amministrazione penitenziaria notevoli difficoltà logistiche e diversi trasferimenti.
L’accorata indignazione per una terribile violenza tribale consumata si condensa, dunque, in una sorta di indulgenza, di allegra simpatia o addirittura in forme di convinta e perentoria incitazione per altri generi, sia pure (a volte molto sottilmente, cercate di capirmi) diversi negli esiti materiali, di violenza tribale.
Questo fatto, capirete, mi suscita una punta di perplessità. Perché di fronte a questa discrasia che a me sembra evidente, tra la condanna di un fatto e la benedizione di un altro fatto che affonda le proprie radici nello stesso humus del primo, o comunque in un terreno che al primo è parente strettissimo, non posso non chiedermi che valore abbia quella condanna, da quali presupposti muova, come insomma la si debba valutare nella qualità, negli obiettivi, nella visione del mondo che la anima.
In quale visione del mondo si approva il fatto che uno stupratore venga picchiato a morte, e talora a sua volta stuprato, una volta assicurato, come si dice, alle patrie galere? In quale modo questa approvazione dovrebbe giovare alla causa della ragazza fatta oggetto di quella tremenda violenza, per non dire delle altre che rischiano di subirla da altri in futuro?
La deterrenza, dice qualcuno. Se l’aspirante stupratore è consapevole del fatto che una volta catturato gli toccherà subire un trattamento del genere, vedrai che rinuncerà al suo proposito.
Senonché, questo presunto “codice d’onore” che vige in carcere (guardato da molti con un favore che non smette di sconcertarmi) è vecchio, per l’appunto, quanto il carcere: non mi risulta, tuttavia, che esso abbia sconfitto la piaga della violenza sessuale né le altre efferatezze analogamente punite dalle regole non scritte di quel codice, tant’è che siamo qui a parlarne, non come un fatto del passato ma come cronaca dei nostri giorni.
Sarà che dalla violenza, come si dice, germina violenza? Sarà che lo stato di diritto è uno, unico e indivisibile, di tal che applicarlo a pezzettini in relazione ai propri tiramenti del momento è una pessima idea?
Sarà che la legge, la stessa legge che punisce gli stupratori, è nata proprio per abrogare la vendetta come strumento di amministrazione della giustizia e di composizione delle controversie?
Fateci un pensierino, se avete due minuti, prima del prossimo incitamento.
Alessandro Capriccioli, Facebook
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anchesetuttinoino · 29 days
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L’attentato a Fico e l’imbarazzo a condannare chi spara al “cattivo”
Il caso del primo ministro slovacco ricorda l’assassinio di Pim Fortuyn. Anche allora a sparare fu un “buono” sobillato da campagne di stampa che demonizzavano l’avversario politico
L’attentato alla vita del tre volte primo ministro slovacco Robert Fico dell’altro ieri fa venire alla mente il più politicamente importante assassinio degli ultimi anni sul continente europeo, quasi coincidente per data: l’omicidio, all’uscita dalla sede di una radio privata a Hilversum in Olanda il 6 maggio 2002, di Pim Fortuyn, leader di un movimento che portava il suo nome e da molti pronosticato come il futuro primo ministro olandese, se non all’indomani delle elezioni politiche allora previste per il 15 maggio molto probabilmente dopo quelle successive.
Cos’ha in comune col caso di ventidue anni fa quello che è accaduto mercoledì? Due cose: l’orientamento politico degli attentatori, entrambi esponenti di una sedicente sinistra non violenta, e la demonizzazione mediatica del personaggio politico colpito.
Chi è Juraj Cintula, che ha sparato a Fico
Volkert van der Graaf, l’assassino di Pim Fortuyn, era un attivista ambientalista e animalista specializzato in cause giudiziarie contro gli allevamenti intensivi di animali da carne e da pelliccia, vegano e autoproclamato difensore delle minoranze religiose ed etniche; il percorso politico di Juraj Cintula, lo sparatore di Handlova, è più accidentato, e comprende anche un avvicinamento al gruppo paramilitare di estrema destra e filorusso Slovanski Branci all’inizio del 2016, ma pur condividendo alcuni degli ideali “patriottici” del gruppo è proprio alla fine del 2016 che Cintula fonda il movimento politico Hnutie proti nasiliu, che significa letteralmente “Movimento contro la violenza”, e che mutuava palesemente il nome dal partito ideologicamente centrista che nel 1990 aveva vinto le prime elezioni libere dopo la fine del comunismo nella Slovacchia a quel tempo ancora unita alla Repubblica Ceca: il “Pubblico contro la violenza”, poi sciolto nel novembre 1992.
Scriveva Cintula per spiegare la vocazione del nuovo partito: «La violenza è spesso una reazione delle persone, una forma di espressione di semplice insoddisfazione per la situazione. Cerchiamo di essere insoddisfatti, ma non violenti! […] Ogni persona normale rigetta la violenza. Il nostro scopo è unire il popolo, preservare la pace e restaurare la democrazia. È molto difficile perché nessuno ha più fiducia nel prossimo. Il mondo è pieno di caos e di odio».
Cintula aveva condannato l’aggressione russa all’Ucraina nel febbraio del 2022. Due anni e tre mesi dopo ha sparato contro il capo di governo più filorusso fra quelli dei paesi dell’Unione Europea.
Se a uccidere sono i “buoni”
Quando ad assassinare o a cercare di uccidere personalità politiche sono i “cattivi”, il raccapriccio è grande ma lo stupore è poco. Che neonazisti, estremisti di destra o semplici criminali prendano a bersaglio politici mainstream è considerata una tragica eventualità che non si può mai escludere, e che la cronaca ha più volte registrato. La deputata laburista Jo Cox uccisa il 16 giugno 2016 nei pressi di Leeds, Walter Lübcke, presidente cristianodemocratico del Consiglio regionale della cittadina tedesca di Kassel ucciso il 2 giugno 2019, il sindaco di Danzica Pawel Adamowicz di Piattaforma civica assassinato il 14 gennaio 2019 sono caduti vittime del demone esecrato in tutta Europa: il nazifascismo e le sue reincarnazioni nel ventunesimo secolo.
Ma quando a uccidere o a tentare di uccidere sono i “buoni”, quelli che difendono il diritto alla vita degli animali o che pontificano di non violenza, l’imbarazzo è grande, il disagio palpabile, e si cerca di parare il colpo spiegando che sì, Juraj Cintula faceva il tifo per Slovacchia progressista, il partito liberal-progressista ed europeista avversario di Fico, e aveva preso parte a manifestazioni antigovernative, ma detestava i rom e il gioco d’azzardo, e aveva avuto legami con Slovanski Branci. Oppure si chiama in causa la malattia mentale, come nel caso di Volkert van der Graaf (disturbo ossessivo-compulsivo della personalità), tralasciando che anche l’assassino di Jo Cox, il simpatizzante neonazista Thomas Mair, soffriva dello stesso disturbo.
I timori prima dell’attacco
Il disordine mentale degli attentatori può certamente avere a che fare con le aggressioni a persone importanti, ma prima c’è sempre una spinta che fa perdere l’equilibrio a una mente instabile, o a una personalità sofferente per i più disparati motivi: la demonizzazione di una determinata personalità politica è certamente uno dei fattori decisivi che spingono soggetti psichicamente fragili a commettere l’irreparabile.
E Pim Fortuyn e Robert Fico sono stati fortemente demonizzati dai media e dagli avversari politici per le loro dichiarazioni, certamente forti e certamente spesso non condivisibili, o nel caso del leader slovacco per i suoi atti politici attuati o progettati. L’accademico e scrittore olandese era accusato di islamofobia, xenofobia, antimulticulturalismo e di spingere la società olandese verso lo scontro aperto fra maggioranza autoctona e minoranze immigrate; Fico è considerato un populista di sinistra scivolato all’estrema destra, quinta colonna di Vladimir Putin, intento a ridurre gli spazi di libertà d’espressione dei media e della società civile, e a ostacolare la lotta contro la corruzione e la grande criminalità.
La virulenza con cui queste accuse sono state portate contro di loro, ha spinto entrambi i politici alle stesse conclusioni. Pim Fortuyn aveva espresso il suo timore di essere ucciso sei settimane prima di essere trucidato; Robert Fico aveva manifestato convinzioni analoghe in un’intervista del 10 aprile scorso: «Stanno maledicendo oscenamente i politici del governo per le strade», aveva detto. «E sto solo aspettando di vedere quando questa frustrazione, così intensamente aggravata da Denník N [un giornale di opposizione, ndt], Michal Šimečka [leader dell’opposizione liberale, ndt] e Aktuality.sk [sito web di notizie, ndt], si tradurrà nell’omicidio di uno dei principali politici del governo».
Parole violente
La violenza del linguaggio prepara sempre la violenza nei fatti. A volte la violenza è organizzata, come nello squadrismo fascista e nazista degli anni Venti e Trenta e nel terrorismo rosso degli anni Settanta, a volte è opera di lupi solitari fanatizzati, come in questo primo quarto del XXI secolo. La pubblica opinione europea che guarda con sgomento alla possibilità che i propri paesi siano trascinati prossimamente in una guerra con la Russia e i suoi alleati dovrebbe cercare di non perdere di vista il rischio che l’Europa sia investita da tante guerre civili all’interno dei suoi stati anziché da una grande guerra fra stati.
La radicalizzazione dell’inimicizia politica, alimentata dalla logica delle bolle dei social network e dalla virtualità dei rapporti online che elimina i freni inibitori, spinge nella direzione della guerra civile nel mondo reale. Il processo pare più avanzato negli Stati Uniti, ma l’Europa evidentemente non ne è immune.
In questo contesto, risulta assolutamente spiacevole che Donatella Di Cesare, che aveva dato al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida del “governatore neo-hitleriano”, sia stata prosciolta dall’accusa di diffamazione. Il via libera alla demonizzazione degli avversari politici conduce, prima o poi ma inevitabilmente, ad esiti criminali, ieri come oggi.
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