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#Ivano Boccaccio
adrianomaini · 7 months
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Per Salvini, due sono le ragioni per cui è da escludere che le armi destinate a Gladio siano state usate a Peteano
La notizia dell’esistenza in Italia di un’organizzazione paramilitare clandestina guidata dai servizi segreti non colse tutti di sorpresa. Ben prima della seduta della Camera sulla strage di Bologna, alcuni magistrati avevano ipotizzato l’esistenza di un elemento mancante nelle indagini che stavano conducendo, nello specifico un collegamento fra un attentato riconducibile al mondo dell’estremismo…
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bagnabraghe · 7 months
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Per Salvini, due sono le ragioni per cui è da escludere che le armi destinate a Gladio siano state usate a Peteano
La notizia dell’esistenza in Italia di un’organizzazione paramilitare clandestina guidata dai servizi segreti non colse tutti di sorpresa. Ben prima della seduta della Camera sulla strage di Bologna, alcuni magistrati avevano ipotizzato l’esistenza di un elemento mancante nelle indagini che stavano conducendo, nello specifico un collegamento fra un attentato riconducibile al mondo dell’estremismo…
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paoloxl · 5 years
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Sabato 3 novembre un corteo antifascista si svilupperà lungo le strade triestine in risposta alla manifestazione di Casapound. 
Cent’anni dopo la conquista di Trieste da parte del regno italico borghese, alla vigilia dei festeggiamenti istituzionali che ricordano l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti e che vedranno per l’occasione la presenza di Mattarella nel capoluogo regionale, i neofascisti, sfilando per le vie centrali della città ottengono simbolicamente l’ouverture delle celebrazioni. 
La marcia casapoundista potrà così dispiegare tutti gli afflati nazionalisti e irredentisti che volteggiano nei meandri mefitici degli ambienti reazionari caratterizzandosi così come una sorta di cappello introduttivo alle celebrazioni del 4 novembre. 
L’esaltazione interventista della guerra imperialista del ’15-’18 si combinerà con la rivendicazione dell’italianità delle terre istro-dalmate assegnate all’allora Jugoslavia rivoluzionaria dal trattato di Parigi dopo la sconfitta del fascismo nel ’45. Ed infatti i neofascisti hanno già annunciato la traduzione operativa di questa rivendicazione ideale: l’organizzazione di un concerto dichiaratamente irredentista a Rijeka (Fiume) come proseguimento del corteo di sabato. 
Il fascismo e Trieste 
Al macello proletario e contadino causato dalla prima deflagrazione mondiale delle contraddizioni interimperialistiche, nelle terre friulano-giuliane, multilinguistiche e multinazionali, si sono aggiunte la distruzione di interi paesi e lo sfollamento forzoso di intere popolazioni. Questi fatti hanno rafforzato l’odio popolare verso le classi dominanti per una guerra subita e che ha deciso la collocazione politica dei popoli al tavolino dei potenti. Ancora di più se si pensa alle concessioni che il governo imperiale austriaco era disposto a fare ancora nel maggio 1915 pur di garantirsi la neutralità dell’Italia: cessione del trentino, del gradiscano e del cormonese ed elevazione di Trieste a “città libera”. Ma la prima guerra mondiale, con i suoi sovrapprofitti, era l’occasione che permise al capitale finanziario italiano di consolidarsi: dall’ascesa del gruppo Fiat all’ascesa della Banca d’Italia da istituto privato a banca centrale pubblica. Inoltre il crollo dell’esercito austro-ungarico permise al governo imperialista italiano, con le truppe operative già pronte in loco, l’annessione dei territori occidentali della Slovenia in esecuzione (ma andando anche oltre) del patto di Londra. 
Terra nazionalmente composita, senza soluzione di continuità nei confini naturali, con la presenza di un forte movimento socialista prodotto da una classe operaia e contadina multinazionali, il litorale orientale fu teatro fin dal 1919 del aspetto più aggressivo del fascismo come corollario dell’omogeneizzazione forzosa italiana operata dalle autorità civili subentrate a quelle militari nell’amministrazione delle “terre redente”. A Trieste si sviluppò per primo lo squadrismo urbano. Episodi salienti dell’inizio del fascismo triestino furono l’incendio dell’Hotel Balkan del 13 luglio 1920, centro culturale della comunità di lingua slovena e, sempre nello stesso anno, la devastazione della sede del quotidiano locale socialista Il Lavoratore il 14 ottobre. Successivamente si aggiungeranno le pesanti conseguenze delle leggi razziali sulla folta comunità ebraica triestina. 
Dopo l’8 settembre ’43 Trieste divenne la capitale della zona di operazioni Adriatisches Küstenland, territorio giuridicamente annesso al Terzo Reich e l’apparato politico-amministrativo fascista fu inglobato direttamente nel dispositivo repressivo dell’occupazione nazista. Luoghi sinistri della repressione della resistenza a Trieste come la sede dell’Ispettorato Speciale per la Venezia-Giulia in via Bellosguardo - denominata “Villa triste” per le torture inflitte agli antifascisti - o il campo di sterminio della Risiera di San Sabba sono diventati simboli esemplari di repressione nazifascista nell’immaginario di ogni memoria resistente. 
E nell’immediato secondo dopoguerra ancora è Trieste a diventare l’epicentro della strategia irredentista del governo democristiano contro gli effetti del trattato di Parigi del febbraio 1947, con la gestione politica dei flussi degli esuli optanti provenienti dall’Istria, Dalmazia e Fiume anche come bonifica nazionale della città al fine di ridurre il peso dell’elemento sloveno, con la protezione agli scampati fascisti responsabili di crimini di guerra in Jugoslavia, con la creazione del martirologio italico degli “infoibamenti” da parte dei barbari “slavocomunisti” attingendo cifre e resoconti direttamente dall’ufficio propaganda della X Mas in Istria alcuni dirigenti del quale, nel 1946, furono impiegati dalla Croce Rossa Internazionale (con beneplacito del governo della coalizione del CLN) per curare gli archivi dei dispersi. E’ per opera di un deputato triestino ex missino che nasce la legge istitutiva del “Giorno del Ricordo”, non a caso divenuto un viatico per un medaglificio fascista anche in forza alla “conciliazione nazionale” santificata dall’asse Violante-Fini. E ancora Trieste, per la sua posizione geo-politica, fu crocevia di attività connesse con la strategia della tensione, che vanno dalla presenza di Ordine Nuovo e l’attentato dimostrativo ad una scuola slovena nell’ottobre ’69 al dirottamento del Fokker presso l’aereoporto regionale di Ronchi dei Legionari nel 1972 da parte dell’ordinovista Ivano Boccaccio, evento legato all’attentato di Peteano e che si incrocia con la vicenda Gladio e i suoi depositi nascosti nel Friuli Venezia-Giulia. 
La marcia di Casapound, nell’epoca attuale, si inserisce nel periodo reazionario del governo giallo-verde che a Trieste trova interpreti “creativi” nella giunta del sindaco Dipiazza, autentico rappresentante della borghesia più retriva, a partire dal suo vice, il leghista Paolo Polidori, utilizzato come punta di lancia nella canea anti-immigrati quale arma di distrazione di massa e di educazione politica nazional-corporativa; cioè quell’educazione ideologica interclassista dell’“azienda Italia”, del “tutti uniti dietro alla classe capitalista per tenere botta nell’economia mondiale”. 
Emblematici gli episodi del saluto fascista di Dipiazza nel comizio elettorale di Forza Nuova lo scorso marzo; i rastrellamenti dei migranti presenti sulle Rive da parte di Polidori; il consigliere comunale di FN Fabio Tuiach, di maggioranza, che schernisce Stefano Cucchi nel giorno della confessione ufficiale del suo omicidio; l’avversione della giunta comunale verso la mostra sulle leggi razziali del ’38 allestita da studenti; la campagna Lega-FN contro l’educazione al riconoscimento del pluralismo sessuale nelle scuole. Ma la peristalsi reazionaria della giunta Dipiazza trova diretta continuità nel governo regionale del leghista Fedriga, nella sua militarizzazione dei confini, nel taglio dei finanziamenti per i progetti di accoglienza ed integrazione, nell’assunzione in sede regionale del modello di quote di apartheid scolastico varato dalla leghista Cisint, sindaca di Monfalcone, per le scuole dell’infanzia. 
In questo quadro si inserisce la legittimazione istituzionale della marcia casapoundista. 
Il fronte antifascista 
La tradizione antifascista triestina ha prodotto la costituzione della rete Trieste antifascista-antirazzista che ha organizzato il controcorteo che partirà da Campo San Giacomo lo stesso giorno del corteo neofascista. Questo raggruppamento ampio promosso inizialmente da ambienti scolastici (UDS, Cobas Scuola, Cgil FLC) ha permesso di avviare un processo mobilitante che ha travalicato i confini statali. 
Ma più in generale, nella risposta all’attività neofascista e alla sua raggiunta agibilità istituzionale, si impone una riflessione profonda sulla struttura materialistica dei rapporti sociali (cioè a partire da quelli economici) e della loro natura classista. E da questa impostazione ricavare, oggettivamente, la determinazione di quel blocco sociale che, per sua stessa natura, è portatore dell’eradicazione delle basi materiali del fenomeno fascista: un blocco sociale anticapitalistico strutturato attorno alla classe operaia e lavoratrice (a partire dalla classe operaia della grande produzione). 
La fiducia riposta sulla prefettura di proibire il corteo casapoundista, richiesta derubricata poi nella speranza (altrettanto disattesa) di impedire ai fascisti l’accesso alle vie centrali, rappresenta un po’ lo specchio della questione. 
L’arco dell’opposizione antifascista si dispiega oggi dalle posizioni della borghesia liberale che informa la politica del PD - sul cui ruolo e responsabilità dello stato di cose presenti non c’è bisogno di aggiungere nulla - agli idealismi della democrazia piccolo-borghese (Anpi, intellettualità di ambiti accademici e scolastici, LeU) e delle illusioni riformiste-socialdemocratiche vecchie e nuove (Cgil, Prc, Pap, parte dei sindacati di base, realtà associative e di movimento ecc.). 
Per acquisire quel necessario salto qualitativo politico e organizzativo per contrastare lo sfondamento di massa di orientamenti reazionari e neofascisti, bisogna avere chiari alcuni aspetti. 
Le organizzazioni fasciste sono il reparto avanzato della borghesia per la sua guerra civile al movimento organizzato dei lavoratori e a tutte le resistenze popolari alla politica del capitale. 
Per tale motivo di fondo, materialistico, anche in periodi avidi di grandi lotte di massa non ci può essere una contrapposizione totale e durevole tra la forma di difesa statale dell’ordinamento sociale capitalistico (“democratica”) e le propaggini dell’attività di gruppi fascisti, specie se è possibile far digerire nella legalità democratica (borghese) tali attività. Oggi i gruppi fascisti stanno già avviandosi al salto di qualità della loro ragion d’essere: da strumento armato della canea anti-immigrati (funzionale a dividere la forza-lavoro e sviare il campo popolare verso un’impostazione nazionalista) a dispositivo per gli assalti diretti contro sedi sindacali e picchetti di sciopero. Occorre rilanciare l’idea della democrazia proletaria come contro-potere politico al governo economico e statale della borghesia, per promuovere una piattaforma generale, unificante, di classe, partendo dalla costruzione (e loro progressivo raggruppamento) di organismi autorganizzati funzionali alle resistenze sociali sul posto di lavoro e sul territorio. In piena rottura con la partitocrazia della governabilità capitalistica. Ricorrere allo sciopero anche nella battaglia antifascista. Organizzare sul piano politico e sindacale le popolazioni migranti. Affrontare seriamente la questione dell’autodifesa dei cortei antifascisti e più in generale l’autodifesa popolare dal consolidamento organizzativo dello squadrismo. Ridare base operaia e popolare (cioè antiborghese) all’antifascismo. 
Bisogna avere le idee chiare sin da ora che, in caso di sviluppo di una lotta di classe capace di mettere a rischio il blocco corporativo nazional-economico, che è la base dell’attuale governabilità dell’accumulazione capitalista, e tanto più a fronte della persistenza della crisi da sovrapproduzione, il ricorso della classe dominante ad un utilizzo più sistematico di strutture fasciste sarebbe inevitabile.
Partito Comunista dei Lavoratori - nucleo isontino
Fonte
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pangeanews · 6 years
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“La poesia è una sorella incestuosa e pratico il darwinismo della fantasia”: dialogo con Tiziano Scarpa
Di solito, leggo altro. Lo so. Non è bello iniziare una intervista così. Di solito l’intervista è una iniziazione all’avorio e all’incenso, si ricopre l’intervistato di mirra. Invece è necessario iniziare così. Per battere la lingua su un fatto. La militanza non esiste se si fa ‘giornalismo culturale’ – che a ripeterlo sbucano tarme da tutti i pori – l’elmetto estetico lo indossi, semmai, mentre scrivi il romanzo definitivo. Ma neanche lì, a dire il vero. Perché le convinzioni esistono – se sei serio con te stesso – per essere sbriciolate dalla curiosità. Ad esempio. Di solito leggo altro. Non leggo Tiziano Scarpa perché la mia febbre letteraria mi porta ad altre longitudini. Mi incuriosisce, però, la bulimia linguistica di Scarpa, scrittore – cosa più unica che rara – che ha vinto un Premio Strega – era il 2009 – con un libro bello davvero (Stabat Mater), l’estremista di Kamikaze d’Occidente – una roba tra Boccaccio e Philip K. Dick – quello della lunatica guida di Venezia (Venezia è un pesce), lettore furibondo – a lui si deve la ‘scoperta’, tra l’altro, di Antonio Moresco e dell’Andrea Temporelli romanziere – drammaturgo – almeno, ricordo L’infinito, intorno a Leopardi – poeta. Pare una specie di Ovidio, Tiziano Scarpa – ma a lui piace Catullo – che complica la scrittura, la torchia, la traumatizza, in perpetua metamorfosi e furia da poligrafo (nel 2016 Einaudi pubblica Il brevetto del geco, quest’anno Il cipiglio del gufo). A me la poesia di Scarpa, pregiudizialmente – ricordo Groppi d’amore nella scuraglia, 2005 – non piace. E allora cosa lo intervisti a fare? Preferisco parlare con chi è altro da me e mi insegna qualcos’altro. Ecco. Non avendo formule né idee, brancolo nel nulla, e amo dialogare con gli intelligenti. Le nuvole e i soldi (Einaudi, pp.128, euro 11,50): s’intitola così l’ultimo gruppo di poesie di Scarpa. Leggo. Ammiro. Resto di una altra sensibilità lirica – scrivere poesia è come mordere un pezzo di legno e riconoscere se è betulla, abete, nocciolo. Eppure. Ci sono poesie che mi sbilanciano e mi sbiancano. Come quella che ho ricalcato in calce all’intervista, bellissima. E poi galleggiano versi, così, che ti spaccano i denti (“la verità la so/ la verità fa schifo/ io seguo l’impostura/ sopporto il suo gravame/ sto nella dismisura/ fra verità e cognome”). Così, dopo aver rimesso i canini al proprio posto, contatto Scarpa.
Mi domando. Scrivi romanzi, scrivi poesie. Dove sta la differenza d’ispirazione, se c’è, o d’impegno, o di ‘tenuta’ mentale e linguistica? Insomma, entriamo senza scafandro nella tua testa.
Un romanzo lo covo in testa per anni: ma non prendo appunti, voglio che sopravvivano e si facciano scrivere solo i personaggi più potenti, in una specie di darwinismo della fantasia. Le poesie invece le scrivo subito, e non le posso progettare.
Poesia. Cosa c’è da poetare, oggi, che la poesia è frastuono e il poeta un pupazzo inerme? 
Non sono in sintonia con queste tue immagini, “frastuono”, “pupazzo inerme”… Comunque, io le mie poesie non le vado a cercare. Ho organizzato la mia scrittura in modo da avere una stanza sempre libera per gli ospiti inattesi. La poesia è una sorella incestuosa che torna a trovarmi quando vuole lei.
Soprattutto: tu che poesia leggi?
Leggo un po’ di tutto, però piuttosto casualmente. In questi anni mi hanno convinto Nadia Agustoni, Simone Cattaneo, Azzurra D’Agostino, Roberta Durante, Ivano Ferrari, Francesco Giusti, Aldo Nove, Giovanna Rosadini, Luigi Socci, Francesco Targhetta, Anna Toscano, Gian Mario Villalta, Julian Zhara, e il sorprendente esordio in versi di Andrea Bajani. Non mi piace molto chi si adagia sull’enigma, anche se ho sempre venerato Amelia Rosselli e Milo De Angelis.
Dove rintracci la geologia dei ‘padri’, se ci sono?
Fra i miei poeti prediletti ci sono Primo Levi, Aldo Palazzeschi, Francis Ponge, Raymond Queneau, i barocchi. Di recente ho ripreso Caproni e le farfalle di Gozzano.
A me pare, per dire, che al di là della ‘luce della concretezza’ e l’ustione dell’ironia, ci sia anche qualcosa di Giovenale, il lampo morale dopo la descrizione mortificata del tempo presente (esempio: “Mi prenderò sul serio/ soltanto nell’istante/ in cui mi perderò?”). Dì tu.
Direi Catullo. Il suo liber è molto più ricco della vulgata scolastica a cui è stato ridotto. È il primo individuo singolo che si confronta con tutto il mondo, da Cesare ai miti, dal lutto privato alle beghe letterarie. Parla di tutto, non solo di disperazione amorosa: politica, poesia, sesso, religione…
Mi piace questo distico: “Io so che le parole/ contengono i desideri dei morti”. Cosa significa?
Le parole contengono la fame insaziata di chi ha vissuto prima di noi, la loro vita mancata. Se venissero adempiute, le parole si dissolverebbero, come una profezia o una maledizione finalmente placata. Ma in quel “contengono” c’è anche l’altro significato del verbo: “trattengono”, frenano le potenze distruttive che i morti ci hanno trasmesso. E nota bene che in questo momento io ti sto scrivendo le risposte di questa intervista grazie alle parole inventate dai morti; noi due stiamo comunicando dentro i desideri dei morti.
Nel tracciato lirico-urbano vedo una certa ossessione per morte, suicidio, l’incendio di ciò che non è più. È così? C’è altro?
Ognuno vede ciò da cui si sente guardato negli occhi. Ma non chiedermi di fare una lista dei “temi” delle altre poesie: ti ho già suggerito Catullo… Piuttosto, nelle Nuvole e i soldi io sento gli accenti, la metrica, le rime, l’angoscia che si sfoga come un percussionista picchiando sulle sillabe. Ah, e poi c’è il “Piccolo poema del delfino”. Mi sta a cuore, il delfino che salta fuori dalle onde del discorso e ci si rituffa dentro.
Cito pure questa, a mo’ di chiusura tombale, di refrain e di requiem, “conformismo dei morti,/ abiura dei viventi”. 
Io citerei l’inizio di quest’altra: “I soldi, mi credevo superiore,/ pensavo mi bastasse il batticuore”.
…e quelle poesie dove la stessa frase, atrocemente scandita, fa spazio a barre nere, con versi presunti, di tenebra. Come nasce l’idea? 
Credo tu ti riferisca alle poesie in cui c’è un testo stampato in chiaro che fa tipograficamente da sfondo, e un altro testo in neretto che si staglia in primo piano. Non ricordo com’è nata l’idea. Mi sembra adeguato ai tempi che ci sia uno spazio linguistico tridimensionale, come se qualcuno parlasse sopra un’altra voce, o con un retropensiero fisso in testa; oppure parla in una stanza dove c’è una radio accesa che ripete un tormentone: forse un ritornello pubblicitario, forse la nenia di un rosario…
Insomma, da scrittore ambidestro: com’è messa la prosa italiana? E la poesia? Eliminiamo dal desco, allo stesso modo, piagnisteo ed euforia. 
Non rispondo, non mi piacciono i giudizi sommari. Invece credo che la scrittura sia sempre stata “ambidestra”, come dici tu. È quasi più difficile trovare autori e autrici che si siano dedicati solo alla poesia, o solo alla narrativa, che il contrario. Pensa a Petrarca, Boccaccio, Foscolo, Manzoni, Leopardi… E nel Novecento Gozzano, Palazzeschi, Bontempelli, Pavese, Pasolini, Bassani, Primo Levi, Testori, Volponi, Sanguineti, Zanzotto, Sandro Penna, Elsa Morante: sia poeti che narratori. Oggi, per esempio, fra tantissimi poeti che sono anche autori di romanzi (alcuni si sono messi perfino a scrivere noir), una narratrice potente è Laura Pugno, che ha sempre scritto anche poesie.
  *
Poesia scritta dalle parole #15
  Il primo giorno di ora legale genera il più bel crepuscolo dell’anno.
L’ora è convenzionale, lo stupore reale.
Ci immergiamo a guardarlo dalla fotosfera, dai bassifondi di aria terrestre illuminata dai lampioni.
Attraverso lo strato di luce elettrica il cielo diventa turchese. Il risparmio energetico è la causa materiale di questo colore. La sobria ora legale rende lecito il sentimentalismo azzurro.
Per un’ora si apre una sconnessione fra tempo e luce, una larga fenditura nello spazio. È saltata la saldatura dell’orizzonte, cielo e terra non sono suturati.
Riuscire anche noi a sbalzarci. Un valico fra senso e dicitura.
Ci appostiamo in questo breve sempiterno. Restiamo assorte, attentissime, per carpire il segreto, il decreto dell’ora che si scosta dal suo adesso.
Tiziano Scarpa
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tempi-dispari · 6 years
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Fino al 3 dicembre lo Spazio Diamante presenta lo spettacolo Decameron
Fino al 3 dicembre, per ogni weekend, lo Spazio Diamante accoglie le suggestive atmosfere dello spettacolo Decameron, tratto dalla celebre opera di Giovanni Boccaccio e diretto da Andrea Baracco.
Decameron per la regia di Andrea Baracco è interpretato da dieci attori under 35 e prevede la messa in scena di sei novelle estrapolate ognuna da una giornata del capolavoro del Boccaccio, avvalendosi di una drammaturgia originale realizzata dagli stessi interpreti.
Lo spettacolo nasce da un percorso laboratoriale di recitazione e drammaturgia tenuto dallo stesso Andrea Baracco, coadiuvato dalla dramaturga Maria Teresa Berardelli e con la collaborazione alla regia di Elisa Di Eusanio, realizzato dal centro ricerca Link Theatre nell’ambito del progetto DECAMERON LAB tenutosi quest’estate. L’obiettivo del progetto è stato coniugare formazione e messa in scena di una riscrittura tratta dal Decameron di Boccaccio rivolta a un pubblico trasversale, in particolar modo ai giovani.
“Si tratta di tradurre un materiale narrativo in materiale teatrale, operazione tutt’altro che semplice”- sottolinea Andrea Baracco. “Ogni attore ha avuto la responsabilità di almeno una novella, di cui ha curato ideazione e drammaturgia fino all’interpretazione. Quello che per me è importante sottolineare di questo processo è la ricerca dell’autorialità dell’attore e della necessità che questi ha di costruire un proprio immaginario rispetto al materiale che ha di fronte e che sarà chiamato di volta in volta a interpretare”.
Lo spettacolo:
Prologo (Luigi Testoni)
Ferondo, il cornuto in purgatorio (a cura di David Marzi e Alessio Stabile) con Alessio Stabile (Ferondo), David Marzi (Priore/Narratore), Viviana Picariello (Moglie di Ferondo), Oskar Winiarski (Aguzzino)
Il conte di Anversa, ovvero chi non dice donna dice danno (a cura di Aurora Cimino e Luigi Testoni) con Aurora Cimino (Principessa), Luigi Testoni (Conte di Anversa/Narratore), Mauro D’Amico e Giulia Visaggi (Figli del Conte).
La pietra diversa (a cura di Aurora Cimino, Melania Genna, David Marzi, Luca Terracciano, Giulia Visaggi) con Luca Terracciano (Calandrino), Viviana Picariello (Bruno), Aurora Cimino (Buffalmacco), David Marzi (Maso del Saggio/Narratore), Giulia Visaggi (Narratore/Amico di Maso del Saggio/Tessa).
Ser Ciappelletto, ovvero fino all’ultimo respiro e oltre (a cura di Ivano La Rosa e Viviana Picariello) con Ivano La Rosa (Ciappelletto), Viviana Picariello (Narratore/Musciatto), Luca Terracciano (Prete)
La moglie classica (a cura di Alessia Pellegrino e Oskar Winiarski) con Oskar Winiarski (Tito), Luca Terracciano (Gisippo/Narratore), Alessia Pellegrino (Narratore/ Sofronia)
Nastagio degli Onesti e lo psicodramma diabolico (a cura di Mauro D’Amico e Giulia Visaggi) con Mauro D’Amico (Nastagio), Giulia Visaggi (Signorina Traversari), Ivano La Rosa (Cavaliere dell’Inferno), Aurora Cimino (Donna dell’Inferno)
Epilogo (Mauro D’Amico)
(durata: 120 minuti)
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