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#Peteano
adrianomaini · 7 months
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Per Salvini, due sono le ragioni per cui è da escludere che le armi destinate a Gladio siano state usate a Peteano
La notizia dell’esistenza in Italia di un’organizzazione paramilitare clandestina guidata dai servizi segreti non colse tutti di sorpresa. Ben prima della seduta della Camera sulla strage di Bologna, alcuni magistrati avevano ipotizzato l’esistenza di un elemento mancante nelle indagini che stavano conducendo, nello specifico un collegamento fra un attentato riconducibile al mondo dell’estremismo…
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bagnabraghe · 7 months
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Per Salvini, due sono le ragioni per cui è da escludere che le armi destinate a Gladio siano state usate a Peteano
La notizia dell’esistenza in Italia di un’organizzazione paramilitare clandestina guidata dai servizi segreti non colse tutti di sorpresa. Ben prima della seduta della Camera sulla strage di Bologna, alcuni magistrati avevano ipotizzato l’esistenza di un elemento mancante nelle indagini che stavano conducendo, nello specifico un collegamento fra un attentato riconducibile al mondo dell’estremismo…
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lamilanomagazine · 11 months
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I Carabinieri commemorano le vittime dell'attentato di Peteano di Sagrado (GO)
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I Carabinieri commemorano le vittime dell'attentato di Peteano di Sagrado (GO). Si è tenuta questa mattina la commemorazione del 51esimo anniversario dell'attentato dinamitardo di Peteano, località del Comune di Sagrado (Gorizia) dove, il 31 maggio 1972, hanno perso la vita il brigadiere Antonio Ferraro e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni. Nello scoppio rimasero feriti altri due militari. Alla celebrazione hanno preso parte, accolti dal comandante della Legione Carabinieri Friuli Venezia Giulia, Generale di Brigata Francesco Atzeni, le autorità civili, militari e religiose della provincia isontina, che hanno voluto manifestare la propria vicinanza ai parenti dei militari caduti. Dopo la rievocazione del tragico episodio e la lettura della motivazione con la quale è stata attribuita la Medaglia d'Argento al Valor Civile alla memoria, sono stati resi gli onori ai Caduti con la deposizione di corone d'alloro al monumento dedicato ai militari dell'Arma vittime dell'attentato.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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saveriopaletta1971 · 1 year
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gregor-samsung · 4 years
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Quando un magistrato comincia ad elencare le norme della Costituzione, vuol dire che le cose si sono messe veramente male. È come quando un medico in difficoltà dice ai parenti del malato che, per precauzione, è meglio chiamare il prete. I reati si fanno tanto più gravi, in quanto si avvicinano alla semplicità e solennità della carta costituzionale: un conto è dire a un malato che ha un semplice livido; un conto è temere che sotto il livido si nasconda una devastante emorragia o, chissà?, perfino una cancrena. È esattamente quanto è successo a Felice Casson, 39 anni, giudice veneziano, e alla sua inchiesta sulla strage di Peteano (tre carabinieri uccisi nel 1972 da un'autobomba) che ha incidentalmente portato alla luce la struttura segreta militare denominata Gladio, nata nel dopoguerra per accordo tra servizi segreti alleati e in funzione antisovietica. L'esistenza di una simile pattuglia militare è tuttavia rimasta segreta ben oltre la fine della guerra fredda, fino alla soglia degli anni Novanta e a ridosso del crollo del Muro di Berlino. Gladio era una piccola appendice di potere invisibile dentro lo Stato. Una scheggia di potere clandestino, ma ben conficcata nei meandri del sistema istituzionale palese. Una scheggia invisibile e per questa ragione senza controllo. Casson enumera gli articoli della Costituzione con i quali ha dovuto fare i conti negli ultimi anni di lavoro su quella inchiesta: «Articolo 1: "La sovranità appartiene al popolo". Articolo 3: "Tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge e ad essa debbono prestare obbedienza". Articolo 18: "Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare". Articolo 70: "La funzione legislativa spetta al Parlamento". Infine, articolo 80: "Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali"». Sembra quasi che Casson snoccioli le stazioni di un rosario laico.
Tratto da: Felice Casson contro il potere invisibile, in
Antonio Roccuzzo, Gli uomini della giustizia nell'Italia che cambia, Laterza (collana I Robinson), 1993¹; pp. 109-10.
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corallorosso · 3 years
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Le matrici «sconosciute» e la storia cancellata «Non ne conosco la matrice». Con queste parole il capo del governo fascista Benito Mussolini commentò, tre giorni dopo i fatti, il rapimento e l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. «Non ne conosco la matrice». Con queste stesse parole Giorgia Meloni, a capo del partito con la fiamma tricolore nel simbolo, ha commentato l’azione squadrista contro la Cgil del 9 ottobre scorso. Se l’emersione del fascismo all’alba del ‘900 ha rappresentato per l’Italia ed il mondo la più grande delle tragedie non è affatto lecito pensare che la riemersione postfascista di oggi possa essere derubricata a farsa. Mentre sotto guida neofascista una parte (niente affatto marginale) del corteo cosiddetto «no green pass» assaltava la sede del più grande e antico sindacato d’Italia, Meloni era in Spagna ospite d’onore della manifestazione del partito d’estrema destra Vox e si collocava simbolicamente e fisicamente nel campo politico filo-franchista. Ultimo insulto alla memoria delle migliaia di italiani che partirono volontari e morirono per difendere la Repubblica spagnola dal golpe di Francisco Franco. Ultimo omaggio implicito alle truppe fasciste inviate da Mussolini a sostegno del caudillo e comandate da Mario Roatta, capo del SIM al tempo dell’assassinio dei fratelli Rosselli e criminale di guerra in Jugoslavia nella Seconda Guerra Mondiale. È in quella storia che affondano «le radici profonde che non gelano» come usano ricordare i fascisti di oggi immortalati nei saluti romani nell’aula comunale a Cogoleto (tre consiglieri) o nell’inchiesta giornalistica di Fanpage (il capo delegazione al Parlamento europeo di Fratelli d’Italia e una neoeletta consigliera a Milano) oppure colti in cene celebrative della marcia su Roma (il presidente della regione Marche e il sindaco di Ascoli Piceno); in apogei della X flottiglia Mas del golpista Junio Borghese (un consigliere comunale della maggioranza a Siena dove il comune vuole imporre nelle scuole la «sua» storia delle foibe); in foto dove si disconosce il 25 aprile come Liberazione (una parente di Mussolini neoeletta al comune di Roma). Almeno di queste figure del suo partito Meloni dovrebbe conoscere la matrice. La questione della destra in Italia è una contraddizione intrinseca al rapporto tra società nazionale e democrazia repubblicana ed è sempre rimasto un nodo non sciolto fin dalla nascita del Msi. Una realtà rappresentata dal riferimento storico degli eredi missini ovvero quel Giorgio Almirante già segretario di redazione de «La difesa della razza» durante il regime e poi fedele collaborazionista dei nazisti a Salò. L’Almirante immortalato alla guida di un folto gruppo di squadristi sulle scalinate dell’università di Roma nel marzo 1968 in attesa di assalire gli studenti; quello che il 25 maggio 1970 in una tribuna elettorale della Rai-Tv auspicava un colpo di Stato in stile greco «per salvare» l’Italia dai comunisti; quello stesso Almirante amnistiato per il reato di favoreggiamento di Carlo Ciccutini responsabile della strage di Peteano del 31 maggio 1972 (tre carabinieri uccisi e due feriti). È stata questa storia (ricolma di tante altre vicende del genere) a porre fuori dall’arco costituzionale la destra fino al 1994 ed a questo principio di realtà ha fatto correttamente riferimento il deputato Giuseppe Provenzano, al netto delle strumentalizzazioni che hanno tentato di confondere questo ragionamento con le urla circa un presunto tentativo di messa fuorilegge dei fratelli d’Italia. In queste ore lo stravolgimento della grammatica pubblica e del senso della storia è proseguito con il goffo tentativo di recupero di formule del passato evidentemente assai mal studiate. Da un lato la riedizione della teoria degli «opposti estremismi» come anticamera dell’equiparazione tra fascismo e antifascismo e, dunque, come leva di rottura del portato valoriale costituzionale. Dall’altro la dichiarazione di Meloni (nell’aula del Parlamento) circa l’esistenza di un complotto, anzi precisamente di una «strategia della tensione» ordita contro la destra. Così la formula giornalistica che dal 1969 al 1980 ha indicato gli anni delle stragi neofasciste consumatesi in Italia nelle piazze, sui treni, nelle banche e nelle stazioni viene usata (ultimo dileggio alle vittime di quegli eccidi di massa) per trarsi d’impaccio di fronte al raid squadrista contro la Cgil realizzato da altri camerati non certo sconosciuti. Una strategia della tensione nel Paese invero c’è stata. Protagonista di quella stagione tragica fu, tra gli altri, il gruppo Ordine Nuovo responsabile della strage di Piazza Fontana e poi sciolto nel 1973. Quel gruppo neofascista era stato fondato da Pino Rauti. La figlia oggi è deputata di Fratelli d’Italia. Per conoscere quella ed altre matrici rivolgersi da quelle parti. Davide Conti, Il Manifesto
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aforismidiunpazzo · 5 years
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Accadde Oggi: 31 Maggio 1972
Strage di Peteano: tre carabinieri muoiono nell’esplosione di un’autobomba piazzata da Ordine Nuovo.
Continua su Aforismi di un pazzo.
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italian-malmostoso · 5 years
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A Padova furono commessi i primi omicidi con armi da fuoco dei tristi anni di piombo, esclusi gli attentati con bombe di piazza Fontana nel 1969, la strage di Peteano nel 1972, avvenne proprio a Padova, il 17 giugno 1974, quando due esponenti del Movimento Sociale Italiano vennero assassinati mentre si trovavano nella sede del loro partito (https://it.wikipedia.org/wiki/Assalto_alla_sede_del_Movimento_Sociale_Italiano_di_Padova).
Furono i primi omicidi commessi e rivendicati dalle Brigate Rosse.
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paoloxl · 5 years
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Sabato 3 novembre un corteo antifascista si svilupperà lungo le strade triestine in risposta alla manifestazione di Casapound. 
Cent’anni dopo la conquista di Trieste da parte del regno italico borghese, alla vigilia dei festeggiamenti istituzionali che ricordano l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti e che vedranno per l’occasione la presenza di Mattarella nel capoluogo regionale, i neofascisti, sfilando per le vie centrali della città ottengono simbolicamente l’ouverture delle celebrazioni. 
La marcia casapoundista potrà così dispiegare tutti gli afflati nazionalisti e irredentisti che volteggiano nei meandri mefitici degli ambienti reazionari caratterizzandosi così come una sorta di cappello introduttivo alle celebrazioni del 4 novembre. 
L’esaltazione interventista della guerra imperialista del ’15-’18 si combinerà con la rivendicazione dell’italianità delle terre istro-dalmate assegnate all’allora Jugoslavia rivoluzionaria dal trattato di Parigi dopo la sconfitta del fascismo nel ’45. Ed infatti i neofascisti hanno già annunciato la traduzione operativa di questa rivendicazione ideale: l’organizzazione di un concerto dichiaratamente irredentista a Rijeka (Fiume) come proseguimento del corteo di sabato. 
Il fascismo e Trieste 
Al macello proletario e contadino causato dalla prima deflagrazione mondiale delle contraddizioni interimperialistiche, nelle terre friulano-giuliane, multilinguistiche e multinazionali, si sono aggiunte la distruzione di interi paesi e lo sfollamento forzoso di intere popolazioni. Questi fatti hanno rafforzato l’odio popolare verso le classi dominanti per una guerra subita e che ha deciso la collocazione politica dei popoli al tavolino dei potenti. Ancora di più se si pensa alle concessioni che il governo imperiale austriaco era disposto a fare ancora nel maggio 1915 pur di garantirsi la neutralità dell’Italia: cessione del trentino, del gradiscano e del cormonese ed elevazione di Trieste a “città libera”. Ma la prima guerra mondiale, con i suoi sovrapprofitti, era l’occasione che permise al capitale finanziario italiano di consolidarsi: dall’ascesa del gruppo Fiat all’ascesa della Banca d’Italia da istituto privato a banca centrale pubblica. Inoltre il crollo dell’esercito austro-ungarico permise al governo imperialista italiano, con le truppe operative già pronte in loco, l’annessione dei territori occidentali della Slovenia in esecuzione (ma andando anche oltre) del patto di Londra. 
Terra nazionalmente composita, senza soluzione di continuità nei confini naturali, con la presenza di un forte movimento socialista prodotto da una classe operaia e contadina multinazionali, il litorale orientale fu teatro fin dal 1919 del aspetto più aggressivo del fascismo come corollario dell’omogeneizzazione forzosa italiana operata dalle autorità civili subentrate a quelle militari nell’amministrazione delle “terre redente”. A Trieste si sviluppò per primo lo squadrismo urbano. Episodi salienti dell’inizio del fascismo triestino furono l’incendio dell’Hotel Balkan del 13 luglio 1920, centro culturale della comunità di lingua slovena e, sempre nello stesso anno, la devastazione della sede del quotidiano locale socialista Il Lavoratore il 14 ottobre. Successivamente si aggiungeranno le pesanti conseguenze delle leggi razziali sulla folta comunità ebraica triestina. 
Dopo l’8 settembre ’43 Trieste divenne la capitale della zona di operazioni Adriatisches Küstenland, territorio giuridicamente annesso al Terzo Reich e l’apparato politico-amministrativo fascista fu inglobato direttamente nel dispositivo repressivo dell’occupazione nazista. Luoghi sinistri della repressione della resistenza a Trieste come la sede dell’Ispettorato Speciale per la Venezia-Giulia in via Bellosguardo - denominata “Villa triste” per le torture inflitte agli antifascisti - o il campo di sterminio della Risiera di San Sabba sono diventati simboli esemplari di repressione nazifascista nell’immaginario di ogni memoria resistente. 
E nell’immediato secondo dopoguerra ancora è Trieste a diventare l’epicentro della strategia irredentista del governo democristiano contro gli effetti del trattato di Parigi del febbraio 1947, con la gestione politica dei flussi degli esuli optanti provenienti dall’Istria, Dalmazia e Fiume anche come bonifica nazionale della città al fine di ridurre il peso dell’elemento sloveno, con la protezione agli scampati fascisti responsabili di crimini di guerra in Jugoslavia, con la creazione del martirologio italico degli “infoibamenti” da parte dei barbari “slavocomunisti” attingendo cifre e resoconti direttamente dall’ufficio propaganda della X Mas in Istria alcuni dirigenti del quale, nel 1946, furono impiegati dalla Croce Rossa Internazionale (con beneplacito del governo della coalizione del CLN) per curare gli archivi dei dispersi. E’ per opera di un deputato triestino ex missino che nasce la legge istitutiva del “Giorno del Ricordo”, non a caso divenuto un viatico per un medaglificio fascista anche in forza alla “conciliazione nazionale” santificata dall’asse Violante-Fini. E ancora Trieste, per la sua posizione geo-politica, fu crocevia di attività connesse con la strategia della tensione, che vanno dalla presenza di Ordine Nuovo e l’attentato dimostrativo ad una scuola slovena nell’ottobre ’69 al dirottamento del Fokker presso l’aereoporto regionale di Ronchi dei Legionari nel 1972 da parte dell’ordinovista Ivano Boccaccio, evento legato all’attentato di Peteano e che si incrocia con la vicenda Gladio e i suoi depositi nascosti nel Friuli Venezia-Giulia. 
La marcia di Casapound, nell’epoca attuale, si inserisce nel periodo reazionario del governo giallo-verde che a Trieste trova interpreti “creativi” nella giunta del sindaco Dipiazza, autentico rappresentante della borghesia più retriva, a partire dal suo vice, il leghista Paolo Polidori, utilizzato come punta di lancia nella canea anti-immigrati quale arma di distrazione di massa e di educazione politica nazional-corporativa; cioè quell’educazione ideologica interclassista dell’“azienda Italia”, del “tutti uniti dietro alla classe capitalista per tenere botta nell’economia mondiale”. 
Emblematici gli episodi del saluto fascista di Dipiazza nel comizio elettorale di Forza Nuova lo scorso marzo; i rastrellamenti dei migranti presenti sulle Rive da parte di Polidori; il consigliere comunale di FN Fabio Tuiach, di maggioranza, che schernisce Stefano Cucchi nel giorno della confessione ufficiale del suo omicidio; l’avversione della giunta comunale verso la mostra sulle leggi razziali del ’38 allestita da studenti; la campagna Lega-FN contro l’educazione al riconoscimento del pluralismo sessuale nelle scuole. Ma la peristalsi reazionaria della giunta Dipiazza trova diretta continuità nel governo regionale del leghista Fedriga, nella sua militarizzazione dei confini, nel taglio dei finanziamenti per i progetti di accoglienza ed integrazione, nell’assunzione in sede regionale del modello di quote di apartheid scolastico varato dalla leghista Cisint, sindaca di Monfalcone, per le scuole dell’infanzia. 
In questo quadro si inserisce la legittimazione istituzionale della marcia casapoundista. 
Il fronte antifascista 
La tradizione antifascista triestina ha prodotto la costituzione della rete Trieste antifascista-antirazzista che ha organizzato il controcorteo che partirà da Campo San Giacomo lo stesso giorno del corteo neofascista. Questo raggruppamento ampio promosso inizialmente da ambienti scolastici (UDS, Cobas Scuola, Cgil FLC) ha permesso di avviare un processo mobilitante che ha travalicato i confini statali. 
Ma più in generale, nella risposta all’attività neofascista e alla sua raggiunta agibilità istituzionale, si impone una riflessione profonda sulla struttura materialistica dei rapporti sociali (cioè a partire da quelli economici) e della loro natura classista. E da questa impostazione ricavare, oggettivamente, la determinazione di quel blocco sociale che, per sua stessa natura, è portatore dell’eradicazione delle basi materiali del fenomeno fascista: un blocco sociale anticapitalistico strutturato attorno alla classe operaia e lavoratrice (a partire dalla classe operaia della grande produzione). 
La fiducia riposta sulla prefettura di proibire il corteo casapoundista, richiesta derubricata poi nella speranza (altrettanto disattesa) di impedire ai fascisti l’accesso alle vie centrali, rappresenta un po’ lo specchio della questione. 
L’arco dell’opposizione antifascista si dispiega oggi dalle posizioni della borghesia liberale che informa la politica del PD - sul cui ruolo e responsabilità dello stato di cose presenti non c’è bisogno di aggiungere nulla - agli idealismi della democrazia piccolo-borghese (Anpi, intellettualità di ambiti accademici e scolastici, LeU) e delle illusioni riformiste-socialdemocratiche vecchie e nuove (Cgil, Prc, Pap, parte dei sindacati di base, realtà associative e di movimento ecc.). 
Per acquisire quel necessario salto qualitativo politico e organizzativo per contrastare lo sfondamento di massa di orientamenti reazionari e neofascisti, bisogna avere chiari alcuni aspetti. 
Le organizzazioni fasciste sono il reparto avanzato della borghesia per la sua guerra civile al movimento organizzato dei lavoratori e a tutte le resistenze popolari alla politica del capitale. 
Per tale motivo di fondo, materialistico, anche in periodi avidi di grandi lotte di massa non ci può essere una contrapposizione totale e durevole tra la forma di difesa statale dell’ordinamento sociale capitalistico (“democratica”) e le propaggini dell’attività di gruppi fascisti, specie se è possibile far digerire nella legalità democratica (borghese) tali attività. Oggi i gruppi fascisti stanno già avviandosi al salto di qualità della loro ragion d’essere: da strumento armato della canea anti-immigrati (funzionale a dividere la forza-lavoro e sviare il campo popolare verso un’impostazione nazionalista) a dispositivo per gli assalti diretti contro sedi sindacali e picchetti di sciopero. Occorre rilanciare l’idea della democrazia proletaria come contro-potere politico al governo economico e statale della borghesia, per promuovere una piattaforma generale, unificante, di classe, partendo dalla costruzione (e loro progressivo raggruppamento) di organismi autorganizzati funzionali alle resistenze sociali sul posto di lavoro e sul territorio. In piena rottura con la partitocrazia della governabilità capitalistica. Ricorrere allo sciopero anche nella battaglia antifascista. Organizzare sul piano politico e sindacale le popolazioni migranti. Affrontare seriamente la questione dell’autodifesa dei cortei antifascisti e più in generale l’autodifesa popolare dal consolidamento organizzativo dello squadrismo. Ridare base operaia e popolare (cioè antiborghese) all’antifascismo. 
Bisogna avere le idee chiare sin da ora che, in caso di sviluppo di una lotta di classe capace di mettere a rischio il blocco corporativo nazional-economico, che è la base dell’attuale governabilità dell’accumulazione capitalista, e tanto più a fronte della persistenza della crisi da sovrapproduzione, il ricorso della classe dominante ad un utilizzo più sistematico di strutture fasciste sarebbe inevitabile.
Partito Comunista dei Lavoratori - nucleo isontino
Fonte
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claudiodangelo59 · 3 years
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OGGI 30 OTTOBRE, ITALIANO RICORDA…
1917
PRIMA GUERRA MONDIALE
BATTAGLIA DI FLAMBRO
DURANTE LA MARCIA IN RITIRATA
VERSO IL PONTE DI MADRISIO,
A PROTEZIONE DEL RIPIEGAMENTO
DELLA 3A ARMATA,
IL 1° REGGIMENTO “GRANATIERI DI SARDEGNA” A BERTIOLO,
IL 2° REGGIMENTO “GRANATIERI DI SARDEGNA” NEI PRESSI DI FLAMBRO,
SI SACRIFICANO
PER CONTENERE, RALLENTARE E RESPINGERE
FORTI ATTACCHI DI REPARTI CELERI TEDESCHI.
Durante l’offensiva austro-tedesca che da CAPORETTO portò il nemico sulla LINEA del PIAVE e del MONTE GRAPPA, la Brigata “Granatieri di Sardegna” venne assegnata alla 4a Divisione a cui venne dato il compito di proteggere il ripiegamento verso OVEST della 3a Armata resosi ormai ineluttabile per l’ampia breccia che i nemici erano riusciti a creare superando le posizioni inizialmente occupate dalla 2a Armata.
Il 27 ottobre 1917 i Granatieri si schierano fra CHIOPRIS – MEDEA – CORONA - MONTE FORTIN con elementi avanzati ai ponti di PETEANO e GRADISCA.
Il 28 ottobre 1917 i Granatieri ripiegano sulla linea difensiva del CORMOR.
Il 29 ottobre 1917 i Granatieri occupano il tratto della linea difensiva del CORMOR da LESTIZZA a S. ANDRAT.
Il 30 ottobre 1917, durante la marcia in ritirata verso il PONTE di MADRISIO, il 1° Reggimento “Granatieri di Sardegna” a BERTIOLO, il 2° Reggimento “Granatieri di Sardegna” nei pressi di FLAMBRO, respingono forti attacchi di reparti celeri, armati di numerosi mitragliatrici e di artiglieria.
Il Colonnello Emidio Spinucci si trovava in licenza quando il suo reparto, il 2° Reggimento “Granatieri di Sardegna” della omonima Brigata, ricevette l’ordine di attestarsi a FLAMBRO per fronteggiare l’avanzata degli austro-tedeschi.
Per raggiungere i suoi uomini il Colonnello Spinucci interruppe d’iniziativa la licenza e rientro al suo Comando di Reggimento e, per fare questo, dovette attraversare a forza il PONTE di CODROIPO, intasato di soldati e civili in fuga in direzione opposta.
Raccolto il Reggimento a LESTIZZA si diresse verso FLAMBRO, a duecento metri dal paese nel buio profondo un intenso fuoco di mitragliatrici e di cannoni fermò la marcia.
I Granatieri urlarono di cessare il fuoco perché il rumore prodotto dalle mitragliatrici era tipico delle FIAT italiane. Credevano si trattasse di commilitoni che li avevano scambiati per nemici.
Invece, la realtà era un’altra: i tedeschi stavano impiegando le mitragliatrici italiane catturate durante l’avanzata.
Ormai il NODO STRADALE di FLAMBRO, parallelo a quello più a nord della PONTEBBANA, era in mano agli austro-tedeschi.
Il Colonnello Spinucci non si perse d’animo e decise di attaccare FLAMBRO con una manovra frontale di fissaggio e due contemporanee azioni avvolgenti sul lato sinistro e su quello destro.
Si trattò di un combattimento notturno tanto che la battaglia infuriò a partire dalle prime ore della sera. Lo scontro fu estremamente cruento tanto che i cannoni spararono ad altezza d’uomo.
Il Colonnello Emidio Spinucci da FIRENZE, Comandante del 2° Granatieri, cade ucciso in combattimento alla testa dei suoi Granatieri meritando per il suo eroismo la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Veterano glorioso del Carso, capo sapiente, insigne gregario eroico, primo sempre a precedere, a ripiegare ultimo, in un fiero attacco notturno, eccezionalmente arduo per gravi e speciali condizioni di manovra, balzando alla testa dei suoi Granatieri li trascinò seco come folgori all’assalto del soverchiante nemico, e cadde col nome d’Italia sulle labbra frementi, dando la vita alla Patria, il nome e l’esempio ai ricordi della nostra storia. Carso-Piave, 28-30 ottobre 1917” (Boll. Uff. anno 1918, disp. 14).
Il Granatieri del II° Battaglione del 2° Reggimento “Granatieri di Sardegna” riuscirono a entrare a FLAMBRO dal lato di sinistra ingaggiando con le truppe tedesche un furioso combattimento casa per casa.
I feriti italiani furono raccolti nella chiesetta di San Giovanni, poco distante dal paese all’altezza dell’incrocio con la STADALTA.
Questa azione permise al Battaglione di ripiegare grazie alla guida del Granatiere Strizzolo che era originario del luogo e che condusse i commilitoni Granatieri in direzione di STERPO e poi RIVIGNANO fuori dal pericolo di essere circondato dalle preponderanti truppe nemiche.
Dopo alcune ore dalla fine dello scontro, ormai fattosi giorno, uscirono intontiti i paesani e i numerosi profughi che si erano riparati nelle case e nelle cantine, ai primi restò il compito di seppellire gli oltre 250 Caduti, tra i quali il Colonnello Spinucci, nel cimitero di TALMASSONS, ai secondi un silenzioso ritorno ai luoghi di provenienza.
Mentre si ritirava da FLAMBRO, una parte del 1° Reggimento “Granatieri di Sardegna” si era diretto e asserragliato a BERTIOLO, ai Granatieri si unirono altri soldati di reparti disuniti o sparpagliati nella confusione.
Nel paese ci fu un unico scontro, breve, scoppiato alle ore 20.00 del 30 ottobre 1917.
Le avanguardie tedesche entrarono da nord-ovest, ma trovandosi di fronte ad una forte resistenza, sopravvalutando la consistenza delle truppe italiane e fiaccate dalle precedenti battaglie, si ritirarono. Ciò permise agli italiani di farsi guidare da coraggiosi bertiolesi verso RIVOLTO e poi in direzione del PONTE di MADRISIO.
Contemporaneamente a RIVOLTO altre truppe italiane al comando del Generale Ferrero si apprestavano a difendersi all’altezza del paese. Vennero attaccate dai tedeschi che provenivano in maniera imprevista da VILLACACCIA. Qualche cannonata fece vacillare la difesa, che subito si riprese e resistette fino a notte inoltrata del 30 ottobre. Dopo di che il Generale Ferrero sferrò un disperato contrattacco per aprirsi un varco di fuga.
Gli italiani riuscirono a rompere l’accerchiamento e in gruppi più o meno numerosi si diressero verso sud in direzione dei PONTI di LATISANA.
Il contegno fermo, risoluto e audace dei Granatieri rende il nemico meno baldanzoso tanto da farlo molto più prudente. I nemici sostano per alcune ore per riorganizzarsi e ricevere i rifornimenti.
Il loro inseguimento alle nostre truppe che stavano ripiegando subisce una battuta d’arresto.
Nella notte del 31 ottobre 1917 i Granatieri riescono a sganciarsi dai nemici e a sfuggire al loro tentativo di accerchiamento marciando verso OVEST.
Il giorno stesso, in perfetto ordine di marcia con tutti i materiali, armi, munizioni ed equipaggiamenti ancora disponibili al seguito, raggiungono e superano il PONTE sul FIUME TAGLIAMENTO.
Il 5 novembre 1917 la Brigata “Granatieri di Sardegna” occupa, sul LIVENZA, il tratto tra il PONTE di MEDUNA e il PONTE di LORENZAGO.
Il 6 novembre 1917 la Brigata “Granatieri di Sardegna” viene citata sul Bollettino di guerra n. 896 (6 novembre 1917, ore 13): “Il nemico pur continuando ad insistere nella maggior pressione dell’Alto Tagliamento verso la nostra ala sinistra, ha fatto anche avanzare forze in direzione del medio e basso corso del fiume. Reparti d’avanguardia avversari venuti a contatto con reparti della Brigata Granatieri a sud-est di S. Vito al Tagliamento furono respinti. Alcuni tratti di territorio da noi dovuti sgomberare nella zona montana per necessità di schieramento, furono occupati dall’avversario dopo il ripiegamento delle nostre truppe. Un velivolo nemico venne abbattuto questa mattina nel cielo di Nervesa. Firmato Cadorna”
Il 7 novembre 1917 il nemico, che incalza audacemente le truppe italiane in ritirata, riesce a passare, presso SAN STINO, sulla RIVA DESTRA del FIUME LIVENZA.
I Granatieri si impegnano in un combattimento di arresto e frenaggio sempre sotto una incessante pressione del nemico alla quale controbattono un ardore e una tenacia non comuni.
I Granatieri si portano lentamente e contrastando con vigore l’avanzata del nemico, sulla RIVA DESTRA del TORRENTE MONTICANO e fanno saltare i PONTI di REDIGOLE e di ALBANO.
L’8 novembre 1917 ricevono l’ordine di ripiegare sulla riva destra del PIAVON, tra FRASSENE e CHIARANO. Mentre il 2° Granatieri riesce a raggiungere la NUOVA LINEA di ARRESTO, il 1° Reggimento “Granatieri di Sardegna”, sorpreso da forti nuclei nemici, è attaccato e, in gran parte, catturato. Nella notte si rinnovano gli attacchi del nemico mentre prosegue la marcia dei Granatieri verso il FIUME PIAVE.
Alle ore 05.00 del 9 novembre 1917 i resti della Brigata “Granatieri di Sardegna” raggiungono la RIVA DESTRA del PIAVE superandolo in località PONTE di PIAVE.
Estenuata da questa lunga, faticosa e snervante azione di arresto e frenaggio contro il nemico arrembante, che la Brigata “Granatieri di Sardegna” ha compiuto cospargendo di morti e feriti il terreno, i due Reggimenti raccolgono i loro resti nella zona di MONASTIER - VALLIO con la ferma volontà di riprendere al più presto la lotta.
Dal 18 novembre 1917 al 21 gennaio 1918, pur attendendo alla ricostituzione dei reparti, la Brigata “Granatieri di Sardegna” invia a turno i suoi Battaglioni in linea sulla PIAVE VECCHIA, a CAPO SILE, a ZENSON di PIAVE, a far vigile guardia sul FIUME PIAVE che sarà reso SACRO dall’eroismo e dalle virtù dei soldati italiani.
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glianni70 · 7 years
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Scene di una strage (2010) film di Lucio Dell'Accio
Scene di una strage (2010) film di Lucio Dell’Accio
Scene di una strage (2010) film di Lucio Dell’Accio
Regia: Lucio Dell’Accio Anno di produzione: 2011 Durata: 168′ Tipologia: documentario Genere: docufiction/drammatico/politico/road-movie Paese: Italia Distributore: n.d. Data di uscita: n.d. Formato di ripresa: DV Post Produzione: La post-produzione si è protratta per un tempo di sei anni (2005-2011) a causa di numerose difficoltà finanziarie. F…
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sinapsinews · 4 years
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VIDEO/COMMEMORAZIONE DEL 48° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI PETEANO
Ieri 29 maggio 2020, alle 10.00, con quarantotto ore di anticipo rispetto al giorno ricorrenza del triste episodio, in località Peteano del comune di Sagrado (GO), alla presenza del Prefetto di Gorizia dott. Massimo MARCHESIELLO, del Generale di Brigata Antonio FRASSINETTO, Comandante della Legione Carabinieri F.V.G., con sede in…
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gregor-samsung · 4 years
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Subito dopo piazza Fontana [...] la campagna di stampa avviata dalla sinistra extraparlamentare contro la "strage di Stato", con i suoi effetti dirompenti, aveva lasciato emergere la speranza che, in una democrazia compiuta, l'opinione pubblica avesse la forza di mandare in frantumi i muri che proteggevano gli arcana imperii. I risultati di quella campagna furono molto efficaci; si smontò la tesi accusatoria contro Valpreda e gli anarchici e si rafforzò la fiducia nella dimensione "virtuosa" di una mobilitazione politica in grado di allargare gli spazi di verità e di giustizia in questo paese. Ci fu su quel terreno un primo significativo incontro fra il movimento e il mondo delle comunicazioni di massa, in un intreccio destinato a segnare il futuro personale di molti dei suoi aderenti. Ai manifesti, alle parole scritte sui muri e gridate nei cortei si affiancarono i volantini, gli opuscoli di propaganda, poi sarebbero arrivate le "radio libere", ma soprattutto i giornali: molto incisive furono, ad esempio, le iniziative giornalistiche come quella condotta da Lotta Continua per la denuncia del ruolo avuto dall'Arma dei carabinieri nella strage di Peteano, in cui - il 31 maggio 1972 - tre militi furono uccisi e due feriti nello scoppio di una Fiat Cinquecento riempita di esplosivo. Furono questi gli ambiti in cui si sviluppò una lotta serrata per stracciare i veli che nascondevano la vera natura del potere, mostrando il suo volto autentico anche a chi era assuefatto alla menzogna; nelle istituzioni dello Stato ma anche negli intrecci tra Stato e centri di potere privati che già allora segnavano l'operato di settori consistenti delle nostre forze di polizia.
Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Feltrinelli Editore, 2011 (1ª ed.ne 2009); pp. 40-41.
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corallorosso · 3 years
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28 Aprile 1945 ore 16 Mussolini viene fucilato. I partigiani Hanno catturato Mussolini e la sua amante Claretta Petacci, stavano scappando e lui indossava la divisa tedesca. Non era più il duce che incuteva terrore, non era lo spaccone, colui che con un cenno condannava migliaia e migliaia di italiani o ai lager, o nelle carceri italiane o al confino. Era solo un cattivo vecchio con la prostatite. Il 28 aprile Dopo la sentenza del Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia: “La fucilazione di Mussolini e complici è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali, è la conclusione di una lotta insurrezionale che segna per la Patria la premessa della rinascita e della ricostruzione. Il popolo italiano non potrebbe iniziare una vita libera e normale - che il fascismo per venti anni gli ha negato - se il Clnai non avesse tempestivamente dimostrato la sua ferrea decisione di saper fare suo un giudizio già pronunciato dalla storia” Con la morte di Mussolini si pensa che la Liberazione è compiuta, ma in realtà non fu così, i fascisti sconfitti, uscirono dalla finestra ma rientrarono dal portone principale perché Togliatti e i comunisti vollero la riconciliazione. Giorgio Almirante funzionario del regime fascista, ricoprì la carica di capo gabinetto al Ministero della cultura popolare, dal 1938 al 1942 fu segretario del comitato della rivista antisemita e razzista 'La difesa della razza', che pubblicò il Manifesto della Razza nel 1938 e con cui collaborò fin dal primo numero. Almirante fondò il Movimento Sociale Italiano 1946-1988, partito d'ispirazione fascista di cui fu segretario, per anni fu eletto alla Camera dei deputati, non rinunciò mai alle sue idee nazifasciste, e fu implicato nella strage di Peteano dove furono uccisi 3 carabinieri e due feriti, dall'organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo 31 maggio 1972. Praticamente i fascisti cambiarono il nome ma furono sempre gli stessi: razzisti, omofobi, amanti della dittatura fascista. Almirante non cambiò pelle era sempre lo stesso fascista che il 5 maggio 1942 nel giornale 'la difesa della razza' scrisse: "Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, si, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d'una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c'è che un attestato col quale si possa imporre l'altolà al meticciato e all'ebraismo: l'attestato del sangue." Il fascismo non ha fatto altro che covare sotto le ceneri della riconciliazione, per manifestarsi oggi, con la faccia dei leghisti, di fratelli d'Italia, forza nuova e casapound. Santina Sconza
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aforismidiunpazzo · 3 years
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Accadde Oggi: 31 Maggio 1972
Strage di Peteano: tre carabinieri muoiono nell’esplosione di un’autobomba piazzata da Ordine Nuovo.
Continua su Aforismi di un pazzo.
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samdelpapa · 5 years
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Copia e incolla dall'ANSA news={(ANSA) - BOLOGNA, 9 OTT - Vincenzo Vinciguerra, ex membro di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo e l'ex colonnello del Sismi Armando Sportelli. Sono i due testimoni citati per la prossima udienza dalla Corte di assise di Bologna che sta processando l'ex Nar Gilberto Cavallini per concorso nella Strage del 2 agosto 1980, 85 morti e 200 feriti. L'audizione di Vinciguerra, condannato per la strage di Peteano del 1972, e legato a Pietro Battiston (membro del gruppo 'La Fenice', vicino ad Ordine Nuovo) che prese in consegna Cavallini quando evase nel 1977 era stata chiesta dagli avvocati di parte civile, che rappresentano i familiari delle vittime. Sportelli era invece stato indicato dalla difesa di Cavallini e venne già sentito nell'inchiesta bis sulla 'pista palestinese', finita con l'archiviazione. Entrambi sono convocati per l'udienza del 16 ottobre}
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