Tumgik
#La Notte Celeste
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Luna piena
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Superluna blu
Già vedo arrivare i puffi 🤣
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segaligno · 4 months
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Le donne sono inferiori agli uomini. Una verità antica come il tempo, scolpita nelle pietre dei templi e nei cuori dei sapienti. Non è una verità che nasce dal disprezzo, ma dalla constatazione di un ordine cosmico, di un equilibrio naturale che regge l'universo.
Osserva, cara lettrice, il mistero delle donne: creature di grazia e di delicatezza, plasmate per portare dolcezza in un mondo spesso rude e implacabile. Sono fiori che sbocciano nei giardini dell'esistenza, profumando l'aria con la loro presenza. Eppure, come ogni fiore, hanno bisogno di un giardiniere forte e saggio che le curi e le protegga.
La loro bellezza e la loro fragilità non sono segni di debolezza, ma di un diverso scopo. Noi uomini, forti e potenti, siamo i pilastri su cui poggia la volta celeste. Siamo i guerrieri e i costruttori, i filosofi e i sovrani. La nostra missione è di guidare e proteggere, di creare e distruggere quando necessario.
Ma non fraintendere, non è un dominio tirannico il nostro, ma un amorevole compito di custodia. Le donne, con i loro occhi che riflettono l'infinito e i sorrisi che illuminano le tenebre, sono le muse che ispirano le nostre gesta. Senza di loro, il nostro cammino sarebbe arido e privo di senso.
Nel calore di un abbraccio, nella dolcezza di un bacio, si cela la verità dell'universo: la complementarità delle nostre nature. Il loro tocco è una melodia di cui noi siamo la partitura, una sinfonia che si completa solo quando le nostre anime si intrecciano in un ardente ballo di passione e desiderio.
E così, nella notte stellata, mentre il mondo dorme e i sogni prendono il volo, riconosciamo la grandezza della nostra missione. Le donne sono inferiori agli uomini, sì, ma non nel valore intrinseco, bensì nella loro funzione, nell'ordine cosmico che ci ha assegnato ruoli diversi, ma complementari.
Rendiamo omaggio a questa verità con rispetto e devozione, sapendo che senza di loro, la nostra forza sarebbe vuota, la nostra potenza sterile. E nel dolce sussurro del vento, che porta con sé il profumo dei fiori notturni, comprendiamo che la nostra superiorità non è altro che il riflesso della loro grazia, un'eterna danza di equilibri e armonie celesti.
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il-gualty1 · 2 years
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Dicono che c’è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.
C’è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.
C’è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d’estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l’ora muta delle fate.
C’è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c’era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.
È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo
per questo mare infinito di gente.
Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz’ora sono qui arruffato
dentro una sala d’aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me.
C’è un tempo d’aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.
C’è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l’istante in cui scocca l’unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.
Dicono che c’è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c’era un tempo sognato
che bisognava sognare...
Ivano Fossati
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La Madonna di Pompei
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Torna al celeste raggio,
Dopo l'antica obblivion, l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto fòro
Diritto infra le file
De' mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Ch'alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
(Da La ginestra o il fiore del deserto)
Solo a questi versi penso, guardando le foto di Madonna che ha scelto gli scavi di Pompei come location della festa per il suo 66esimo compleanno. Puoi essere la regina del pop, avere miliardi e conseguentemente il mondo a tua disposizione, al fianco l'ennesimo toy-boy...ma alla fine, sempre sulle orme di Leopardi cammini.
E mentre stucchevolmente intitoli il tuo photoshoot Dolce Vita, intingi le frange del tuo scialle nel fiele che hanno bevuto i tuoi progenitori per dare luogo a quell'arte che nel suo insieme e vista dall'esterno spande un bagliore di opulenza estetica e di gloria raggiunta.
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popolodipekino · 1 month
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la sfera gira lentamente
XXXV - NOCTURNO Del pueblo en fiesta, rojamente iluminado hasta el cielo, vienen agrios valses nostálgicos en el viento suave. La torre se ve, lívida, muda y dura, en un errante limbo violeta, azulado, pajizo... Y allá, tras las bodegas obscuras del arrabal, la luna caída, amarilla y soñolienta, se pone, sobre el río. El campo está solo con sus árboles. Hay un canto roto de grillo, una conversación sonámbula de aguas ocultas, una blandura húmeda, como si se deshiciesen las estrellas... Platero, desde la tibieza de su cuadra, rebuzna tristemente. La cabra andará despierta, y su campanilla insiste agitada, dulce luego. Al fin, se calla... A lo lejos, hacia Montemayor, rebuzna otro asno... Otro, luego, por el Vallejuelo... Ladra un perro... Es la noche tan clara, que las flores del jardín se ven de su color, como en el día. Por la última casa de la calle de la Fuente, bajo una roja y vacilante farola, tuerce la esquina un hombre solitario... ¿Yo? No, yo en la fragrante penumbra, celeste, móvil y dorada, que hacen la luna, las lilas, la brisa y la sombra, escucho mi hondo corazón sin par... La esfera gira, blandamente... da J. R. Jiménez, Platero y yo
Dal villaggio in festa, illuminato di rosso fino al cielo, provengono aspri valzer nostalgici nel vento lieve. La torre si vede, livida, muta e dura, in un limbo vagante di colore viola, bluastro, paglierino... E là, dietro le buie cantine del sobborgo, la luna calata, gialla e sonnolenta, tramonta sul fiume. Il campo è solo con i suoi alberi. C'è un canto spezzato di grilli, una conversazione sonnambula di acque nascoste, una mitezza umida, come se le stelle si sciogliessero... Platero, dal tepore della sua stalla, raglia tristemente. La capra sarà sveglia, e il suo campanello insiste agitato, poi dolcemente. Infine, tace... In lontananza, verso Montemayor, un altro asino raglia... Un altro, poi, presso Vallejuelo... Un cane abbaia... La notte è così chiara che i fiori del giardino mostrano il loro colore, come di giorno. Presso l'ultima casa della Calle de la Fuente, sotto un lampione rosso e ondeggiante, un uomo solitario gira l'angolo... Io? No, io nella penombra profumata, celeste, mobile e dorata, fatta dalla luna, dai lillà, dalla brezza e dall'ombra, ascolto il mio cuore profondo, senza pari... La sfera gira, dolcemente... Tradotto con DeepL.com (versione gratuita)
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umi-no-onnanoko · 10 months
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I colori della differenza
Tendiamo un po' tutti ad associare gli stessi colori agli stessi oggetti, agli stessi luoghi, alle stesse persone e via discorrendo.
Al cielo l'azzurro, all'erba il verde, il giallo al sole, il bianco alla neve. Il nero alla persona che proviene dall' Africa, il rosso agli indiani d'America.
La domanda da porsi tuttavia è la seguente: ma ciò che indichiamo come colore caratterizzante un oggetto, un popolo, un sentimento, è il solo colore che possiede? L'unico che lo caratterizza?
Prendiamo il cielo, il cielo è solo azzurro? Se colorassi un cielo di rosso, di nero o di rosa sarebbe sbagliato?Il cielo non si colora di rosa quando la notte lascia spazio all'alba? Non diventa grigio o nero quando si carica di nuvole temporalesche?Forse non prende un colorito porpora quando volge alla sera con il tramonto? Non è blu quando ormai è notte o biancastro perché riflette la neve nelle giornate invernali?
Il mare? Non è forse verde, blu, celeste, rosso, nero, trasparente, a seconda della temperatura delle sue acque, del micro e macro sistema che la popola, del maggiore o minore inquinamento ambientale e delle diverse stagioni?
L'erba non può bruciarsi e diventare color paglia? Non può animarsi di fiori e insetti e diventare arcobaleno o coprirsi di foglie e diventare autunnale oppure bianca perché sepolta sotto la coltre nevosa?
Il sole non può essere pallido oppure arrossire? La neve non può essere colorata dalle risate dei bambini e scurirsi per i tanti passi che l'hanno sporcata?
E l'uomo? Non siamo forse noi, gli "uomini bianchi", quelli più colorati?
Mi sovviene alla mente una bellissima poesia di Senghor, poeta senegalese che recita così:
" Caro fratello bianco
quando sono nato ero nero
quando sono cresciuto ero nero
quando sto al sole sono nero
quando sono malato sono nero
quando io morirò sarò nero.
Mentre tu uomo bianco
quando sei nato eri rosa
quando sei cresciuto eri bianco
quando vai al sole sei rosso
quando hai freddo sei blu
quando hai paura sei verde
quando sei malato sei giallo
quando morirai sarai grigio.
Allora, di noi due, chi è l'uomo di colore?"
Perciò, ogni cosa ha un solo colore oppure tutti, il mondo intero, ha milioni di sfumature? C'è solo il bianco ed il nero, il rosso ed il giallo oppure esiste il rosso corallo, il rosso porpora, il giallo canarino, il ciano e così via? È diverso chi vede il mondo con tutte le sue sfumature oppure chi solo in un unico colore?
È meglio essere un colore in una scatola di pennarelli tutti uguali oppure è meglio mischiare insieme più colori ed essere un pennarello unico al mondo?
Se coltiviamo la nostra unicità, se impariamo a vivere a colori, a conoscerne le sfumature, a proiettarle dentro di noi e proiettare all'esterno le nostre, coltivando come un dono la nostra diversità siamo prodi o siamo stolti?
Forse solo noi stessi.
-umi-no-onnanoko (@umi-no-onnanoko )
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alonewolfr · 4 months
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Il tesoro
Ho letto il racconto di un prigioniero dei nazisti che scriveva tutto contento alla famiglia semplicemente perchè era stato spostato da una cella con quattro nude mura ad un'altra in cui c'era un'apertura in cima ad una delle pareti, attraverso cui si poteva intravedere il cielo azzurro al mattino e qualche stella di notte.
Questo per lui era un immenso tesoro.
"Noi abbiamo tutta la volta celeste. E guardiamo la TV....."
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thebeautycove · 6 months
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MAISON CRIVELLI - TUBÉREUSE ASTRALE - Extrait de Parfum - Novità 2024 -
Hyping my night, once more, as it was the very first, with a tuberose. This flower drives me into velvet nights of faraway stars, in a sidereal dimension where the most profound persuasive words are the unspoken ones.
.
Tubéreuse Astrale
è un ricordo infantile, é polvere di stelle in una notte blu velluto, è uno sguardo di contemplazione e stupore, un messaggio subliminale nel mistero della bellezza.
Così Thibaud Crivelli si è lasciato incantare e sorprendere da questo fiore, lontano dal suo immaginario eppure così prepotentemente presente nella memoria.
Un frammento mnemonico così vivido e impaziente da ispirare il suo ultimo Extrait de Parfum, composto in collaborazione col master perfumer Quentin Bisch, in cui la tuberosa si staglia, come stella di Ursa Major, nell’oscurità della volta celeste attirando a sé un pulviscolo crepitante di aromi armoniosi.
Avvincente l’apertura con l’inesorabile appagamento sensoriale della vaniglia qui ritoccata in audacia da una sottile incisione di cumino.
Ed ecco, in maestoso splendore, i protagonisti: la tuberosa (indiana orpur) con le sue sfumature lattiginose soffici di crema e miele, la vertigine fruttata dell’osmanto (cinese orpur) e l’olio essenziale di seme di carota che sigilla in longevità gli accenti poudré e la delicatezza peachy d’insieme.
Carezzevole il finale, morbido e profondo, sostenuto da un accordo muschi, cuoio, patchouli, cisto, vaniglia, impeccabile nel consentire alla tuberosa di vibrare in ricercatezza senza vanteria, in sensualità senza inganno.
Astromagnetica.
Creata da Thibaud Crivelli in collaborazione con Quentin Bisch.
Extrait de Parfum 50 ml.   Online qui 
©thebeautycove   @igbeautycove
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Sulla terra
Non ho mai sperato
diventar stella nel miraggio celeste.
Non ho sperato,
come un’anima eletta,
accompagnare angeli silenziosi.
Non mi sono mai separata dalla terra,
non ho mai incontrato una stella.
Sono in piedi, sulla terra.
Il mio corpo: uno stelo d’erba
che, per esistere, succhia
il sole, il vento, l’acqua.
Con i miei desideri,
con il mio dolore,
io sono sulla terra:
voglio l’elogio delle stelle
voglio le carezze del vento.
Guardo dalla mia finestra.
Non sono che l’eco di una canzone:
io non sono eterna.
Di una canzone, cerco solo l’eco,
nel grido di un desiderio
più puro del silenzio del dolore.
Io non cerco il nido
in un corpo steso come la rugiada
sul giaggiolo del mio corpo.
Sul muro della mia vita,
uomini, viandanti,
hanno tracciato ricordi
col nero carbone dell’amore:
un cuore trafitto da una freccia,
una candela rovesciata,
punti pallidi e silenziosi
sulle lettere della follia.
Tutte le labbra
che sfiorarono le mie labbra
hanno creato nella mia notte,
una stella,
che si posava sul fiume dei ricordi.
Perché dovrei invidiare le stelle ?
Questa è la mia canzone,
Non ci fu mai niente, prima.
Forough Farrokhzad, Un’altra nascita, 1963 - Traduzione di Gina Labriola
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francesca-fra-70 · 8 months
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Bruce Springsteen Jesus Was an Only Son London 2006
.“Gesù era un figlio unico mentre saliva il Golgota Maria sua madre gli camminava al fianco lungo la strada che si tingeva del suo sangue Gesù era un figlio unico sulle colline di Nazareth mentre leggeva i Salmi di David sdraiato ai piedi della madre Una madre prega “Dormi bene, figlio mio, dormi bene perché io sarò al tuo fianco Che nessuna ombra, nessuna oscurità nessuna campana a morto possa farsi strada fra i tuoi sogni questa notte” Nel giardino di Getsemani pregava per la vita che non avrebbe vissuto pregò il suo Padre celeste perché rimuovesse quella coppa da lui C’è una perdita che non può essere compensata una destinazione che non può essere raggiunta una luce che non troverai in un altro viso un mare la cui vastità non può essere abbracciata Gesù baciò le mani di sua madre e sussurrò “Madre, ferma le tue lacrime e ricorda che l’anima dell’universo ha voluto un mondo ed esso è comparso”.🎧
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teredo-navalis · 1 year
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Letteralmente litigato con il boy per mezz'ora in macchina fino alle due di notte per: la differenza tra blu e celeste
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ilcovodelbikersgrunf · 8 months
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L'ULTIMA LETTERA SCRITTA DA DAVID BOWIE...
"Sto per morire... So che mancano pochi mesi alla fine della mia esperienza terrena...
Cosa devo fare? Mi dispero, mi metto in depressione, rifiuto l'idea della morte e fingo che la malattia non esista.
O decido di vincere la morte... Decido con l'anima, perché solo l'anima e il cuore mi danno l'ispirazione per comporre musica come ho fatto per 50 anni...
Conto brevemente le ore e, come mi dicono i medici, posso prevedere con un intervallo minimo, la data della mia morte e il lancio del mio nuovo e ultimo lavoro è fissato per l'8 gennaio 2016, giorno in cui compirò 69 anni. .
Lavoro giorno e notte, ho tempo per comporre, perfezionare, interpretare, registrare in studio e fare video... Lo faccio il prima possibile perché non voglio che la mia faccia intraveda la morte che, prendendo in giro, mi sta falciando il corpo senza che io possa difendermi...
Ma ti sfido, morte... Fanculo se non ti sfido!
Ho sfidato e vinto il fanatico mondo degli anni 70 con l'orgoglio dell'ambiguità... Ho amato gli uomini e le donne, era un uomo, una donna, un alieno e infine un corpo celeste.
Cosa puoi fare, morte contro la mia eternità, il mio genio, la mia follia, la mia creatività, la mia musica che vivrà per sempre?
Sono Lazzaro, strappato dalle cicatrici, morirò nel corpo, ma vivrò per sempre attraverso la mia musica.
Ho vissuto abbastanza per ricevere gli auguri di buon compleanno. Pensavo di non poter vedere il mio album pubblicato... Sopravvissuto l'8 gennaio... e tu, mio caro assassino, hai perso!
Pensa solo che, se non avessi bussato alla mia porta, i miei lavori sarebbero stati 24, sarei riuscito a vivere anche 100 anni, e invece, grazie a te, ho 25 anni!
"Sai... Sarò libero come un uccello"
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THE LAST LETTER WRITTEN BY DAVID BOWIE…
"I'm about to die… I know that there are a few months left until the end of my earthly experience…
What should I do? I despair, I get depressed, I reject the idea of death and I pretend that the disease doesn't exist.
Or I decide to conquer death… I decide with my soul, because only my soul and heart give me the inspiration to compose music as I have done for 50 years…
I briefly count the hours and, as the doctors tell me, I can predict with a minimum interval, the date of my death and the launch of my new and last job is set for January 8, 2016, the day I will turn 69. .
I work day and night, I have time to compose, perfect, interpret, record in the studio and make videos… I do it as soon as possible because I don't want my face to glimpse the death that, mockingly, is mowing down my body without that I can defend myself…
But I challenge you, death… Fuck you if I don't challenge you!
I challenged and won the fanatical world of the 70s with the pride of ambiguity… I loved men and women, it was a man, a woman, an alien and finally a celestial body.
What can you do, death against my eternity, my genius, my madness, my creativity, my music that will live forever?
I am Lazarus, torn from the scars, I will die in the body, but I will live forever through my music.
I lived long enough to receive happy birthday wishes. I thought I couldn't see my album released… Survived January 8th… and you, my dear murderer, lost!
Just think that, if you hadn't knocked on my door, my jobs would have been 24, I would have managed to live even 100 years, and instead, thanks to you, I'm 25 years old!
"You know… I'll be free as a bird"
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Dicono che c'è un tempo per seminare e uno che hai voglia ad aspettare: un tempo sognato che viene di notte e un altro di giorno, teso come un lino a sventolare.
C'è un tempo negato e uno segreto, un tempo distante che è roba degli altri: un momento che era meglio partire e quella volta che noi due era meglio parlarci.
C'è un tempo perfetto per fare silenzio, guardare il passaggio del sole d'estate e saper raccontare ai nostri bambini quando è l'ora muta delle fate.
C'è un giorno che ci siamo perduti, come smarrire un anello in un prato, e c'era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato.
È tempo che sfugge, niente paura ché prima o poi ci riprende, perché c'è tempo, c'è tempo, c'è tempo, c'è tempo per questo mare infinito di gente.
Dio, è proprio tanto che piove e da un anno non torno, da mezz'ora sono qui arruffato dentro una sala d'aspetto di un tram che non viene. Non essere gelosa di me della mia vita, non essere gelosa di me, non essere mai gelosa di me.
C'è un tempo d'aspetto - come dicevo - qualcosa di buono che verrà: un attimo fotografato, dipinto, segnato e quello dopo perduto via senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata la sua fotografia.
C'è un tempo bellissimo, tutto sudato, una stagione ribelle: l'istante in cui scocca l'unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle; è un giorno che tutta la gente si tende la mano: è il medesimo istante per tutti che sarà benedetto - io credo - da molto lontano.
È il tempo che è, finalmente, o quando ci si capisce: un tempo in cui mi vedrai
accanto a te, nuovamente mano alla mano. Che buffi saremo se non ci avranno nemmeno avvisato!
Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare.
Io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.
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Ivano Fossati
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solosepensi · 11 months
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All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l’obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
e l’estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi? Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ‘l compianto de’ templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d’lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t’appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de’ buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino
lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov’io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch’or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d’evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l’ossa
col mozzo capo gl’insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d’umane
lodi onorato e d’amoroso pianto.
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
all’etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
ed are a’ figli; e uscían quindi i responsi
de’ domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
fean pavimento; né agl’incensi avvolto
de’ cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d’effigïati scheletri: le madri
balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l’amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando
perenne verde protendean su l’urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell’uom cercan morendo
il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti
de’ suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
cne tronca fe’ la trïonfata nave
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l’opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell’Orco
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l’amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l’esempio.
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
- Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l’idïoma
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte
serbi l’itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t’ invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi, errava muto
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a’ Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,
la virtú greca e l’ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna
oltre l’isole egèe, d’antichi fatti
certo udisti suonar dell’Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l’armi d’Achille
sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all’Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l’onda incitata dagl’inferni Dei.
E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de’ fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama. -
Cosí orando moriva. E ne gemea
l’Olimpio: e l’immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l’amoroso
apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospirando: - Oh se mai d’Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
I Sepolcri-Ugo Foscolo.
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montag28 · 1 year
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Le Perseidi
Sembra cosa facile, esprimere un desiderio. Invece bisogna essere bravissimi, dei veri fuoriclasse, a saper scegliere un desiderio fra tutti gli altri e poi plasmarlo nella miglior forma possibile, senza ambiguità, senza possibilità di errate interpretazioni. E tutto questo nell'arco di uno o due secondi, magari cinque, dieci al massimo.
Credo che le meteore - o “stelle cadenti”, che dir si voglia - che fanno scintillare i cieli notturni nel penultimo giro dell’estate, un’utilità ce l'abbiano per davvero: e non è quella di avverare le nostre alquanto vane speranze, verosimilmente. Semmai, è quella di metterci nella condizione di dire la verità a noi stessi; di rivelarci che cosa desideriamo realmente. E di vedere se siamo capaci nello scegliere le priorità e bravi nel saperle definire, nell'esprimerle in modo chiaro e semplice, rotondo e cristallino, sgombrando dal campo tutti i vagheggiamenti fatui e le voglie vacue e le speranze sciocche e tutto quanto sia farlocco e superfluo o fuorviante, rispetto alla nostra faticosa ricerca di una qualche forma di felicità, di un sincero benessere.
Sarà pur banale, ma per sperare di ottenere risposte soddisfacenti bisogna saper innanzitutto porre bene le giuste domande. Vale lo stesso per certi nostri intimi desidèri: forse la realtà è che essi si realizzano più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere; se però poi non ci regalano gioia, evidentemente, è perché le nostre aspirazioni nascono spesso già storte e confuse, per non dire già infelici in partenza.
Insomma, esprimere i desideri è una cosa tanto, tanto difficile. E bisognerebbe allenarsi ben più di una volta l'anno, non solo a San Lorenzo, per imparare bene l'antica disciplina del desiderare, ossia del sognare ad occhi aperti, a pupille spalancate, come le tante ora rivolte verso l'alto, indaffarate a scandagliare questa volta celeste immensa e scura che talvolta chiamiamo *notte*.
C'è chi spera senza dormire, chi scrive ad occhi chiusi e intuisce soltanto le parole, mentre qualcosa risplende senza la pretesa del significato eppur traccia segni, ma non destando clamore. Perduto il giorno, spento il sole, la sera, la volta celeste è d’argento e nera.
(10.8.2021)
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mancino · 1 year
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Nel crepuscolo dorato dell'amore,
Danza la luna con Venere nel cielo,
Un bacio rubato, senza chiedere,
Senza pretendere, solo sentire.
La lingua danza, un'ardente sinfonia,
Sotto il grande carro celeste in festa.
La notte scivola lenta, melliflua,
Rosso sangue, dolci ore, senza fretta.
Oh, tu, bella indolente che ti muovi,
Il mio povero cuore per te dono.
Uno sguardo dei tuoi occhi raggianti,
Il desiderio che mi sconvolge e sprona.
Come un corvo di cupa bontà,
Ti offriranno fiori di zucchero,
Sotto l'albero di pane e rosa,
Doni preziosi, gesti di vero amore.
Ah! La tua grazia è tormento e delizia,
La mia anima si perde in tale incanto.
Ora sento il ronfare del mio gatto,
E il profumo di un fiore senza prezzo.
E tu, distesa, o Diva della mia vita,
Sulla sabbia bollente desidero giacere,
Vorrei esser ogni granello di quel luogo,
Per donarti tutto il mio amore sincero.
Scrive il mio cuore, lancia queste parole,
Come una poesia che a te si rivolge,
Ti amo, mia musa, con tutto me stesso,
Eterna sarà la nostra danza che evolve.
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