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#La nazionale è come un bene superiore
box-box-stay-out · 1 year
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gregor-samsung · 2 years
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“ Il 9 ottobre 1963, circa 300 milioni di metri cubi di roccia precipitarono nella riserva d’acqua della Valle del Vajont, provocando un’onda gigantesca che superò gli argini della diga e distrusse la cittadina di Longarone, uccidendo circa 2000 persone. Il disastro del Vajont è tra gli eventi piú tragici della storia del secondo dopoguerra in Italia; ciò nonostante, fu rimosso dalla memoria collettiva nazionale. A parte i lavori di pochi storici (Reberschak e Mattozzi 2009; Reberschak 2013), non ve ne sono tracce nella narrazione ufficiale del cosiddetto miracolo economico degli anni Sessanta. È stato grazie al lavoro di Marco Paolini, attore e autore di teatro, che alla fine degli anni Novanta la vicenda del Vajont è entrata a far parte della memoria collettiva del Paese, grazie a un monologo di due ore trasmesso dalla televisione pubblica. Evidentemente, la storia del modo in cui la modernità e la crescita economica si erano materializzate in una valle remota del Nord Italia grazie all’arroganza di una potente azienda idroelettrica e alla complicità dello Stato non erano adatte alla narrazione generale di un’Italia che finalmente diventava una società ricca e moderna. La storia del disastro del Vajont è un esempio da manuale della logica del Wasteocene. Nel nome del progresso e di un superiore «bene comune» (Roy 1999), alcuni luoghi ed esistenze vengono sacrificati, letteralmente messi al lavoro per il benessere di altri. Le wasting relationships che trasformarono una valle remota in una macchina idroelettrica non soltanto produssero vite di scarto – l’immenso cimitero di Longarone –, ma scartarono anche saperi e memorie. Saperi, sí, perché gli abitanti del posto tentarono piú volte di allertare le autorità riguardo ai prevedibili rischi che sarebbero derivati dalla diga, ma vennero ignorati o ridicolizzati. Fu una battaglia tra competenza scientifica ed esperti professionisti da una parte e la gente comune di una valle alpina dall’altra. La partita era persa fin dall’inizio.
Rifiutare la memoria del Vajont significò cancellare quella tragedia dalla narrazione storica dominante, ma anche addomesticarla. Mentre l’invisibilizzazione cancella ogni traccia di che cosa / chi è stato scartato, l’addomesticamento della memoria è forse una strategia piú sofisticata per continuare a riprodurre wasting relationships. Nei casi come quello del Vajont, addomesticare la memoria significa organizzare una certa versione della storia che non rivela le ingiustizie né lascia spazio alla rabbia sociale: piangere la perdita di vite umane può essere accettabile, ma lo si deve fare senza alcuna implicazione politica. Perciò il disastro del Vajont fu rappresentato semplicemente come uno sfortunato incidente, e il suo ricordo avrebbe dovuto portare pace e coesione, non rabbia e conflitto. Ricordando la propria esperienza, Carolina, sopravvissuta alla tragedia, ha spiegato questo processo di addomesticamento della memoria: Le istituzioni hanno fatto e fanno di tutto per dividere i buoni dai cattivi superstiti. I buoni sono quelli che raccontano del dolore, quelli che commuovono chi li ascolta, ma poi sanno fermarsi lí, sanno stare zitti e lasciare alle istituzioni il compito di raccontare i fatti e rendere cosí la memoria innocua in modo che non disturbi i poteri economici che ancora mettono al primo posto il profitto rispetto alla vita umana. I cattivi sono quelli che cercano giustizia e che lottano affinché i loro morti siano un monito ai vivi per non dimenticare mai di cosa sia capace l’uomo in difesa del profitto. I cattivi sono quelli che puntano il dito contro il sistema che privilegia i soldi alla vita umana (Vastano 2017). La giornalista Lucia Vastano (2008) ha raccontato la storia del cimitero delle vittime del Vajont in un modo che mi pare confermi meravigliosamente la mia idea dell’addomesticamento della memoria quale wasting relation istituita con mezzi diversi. Nel 2003, l’amministrazione comunale di Longarone decise di trasformare il vecchio cimitero di Fortogna, dove erano sepolte le vittime, in un monumento ufficiale alla memoria. Il vecchio cimitero venne raso al suolo, cancellando ancora una volta i ricordi e i simboli riuniti lí dai sopravvissuti, compresa la lapide della famiglia Paiola (sette morti, di cui tre bambini) sulla quale era inciso: Barbaramente e vilmente trucidati per leggerezza e cupidigia umana attendono invano giustizia per l’infame colpa. Eccidio premeditato (Vastano 2008, p. 157). Nel nuovo cimitero, il ricordo delle vittime fu organizzato in geometrici blocchi di marmo con la sola incisione dei nomi dei defunti: il lutto deve essere addomesticato, la logica del Wasteocene non può essere messa in questione. Se un episodio tragico rende lo scarto di vite umane troppo evidente per poter essere nascosto, va visto come un incidente e non come l’epifania del Wasteocene, la prova del fatto che il sistema si fonda sullo scarto di umani e non-umani, delle loro vite, del loro sapere e anche delle loro storie. “
Marco Armiero, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale, traduzione di Maria Lorenza Chiesara, Einaudi (collana Passaggi), 2021. [Libro elettronico] [Edizione originale: Wasteocene. Stories from the global dump, Cambridge University Press, 2021]
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chez-mimich · 2 years
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FERITO A MORTE
Napoli è una città che ti ferisce a morte o ti addormenta. È questo l’assunto di base e la conclusione del magnifico testo di Raffaele La Capria, adattato per il teatro da Emanuele Trevi e portato in scena in questi giorni al Teatro Strehler di Milano per la regia di Roberto Andò, una coproduzione del Teatro di Napoli,Teatro Nazionale, Teatro dell’Emilia Romagna, Teatro Stabile di Torino. Andò è un napoletano non ortodosso, se mi si passa il termine, ovvero uno di quei napoletani, la cui “napolitanità” (io lo chiamerei di più “napoletanismo”) non gli ottunde le facoltà mentali e quindi non gli impedisce una visione critica della “capitale del Mezzogiorno d’Italia”. Appartiene cioè a quella schiera di artisti, registi, musicisti che, lontani dal manicheismo di maniera e dal facile folklore che ormai sembra dominante quando si cita Napoli, sa guardare in profondità i vizi e i vezzi della società e della popolazione napoletana. In realtà l’elenco potrebbe essere piuttosto nutrito e potrebbe comprendere registi come Paolo Sorrentino e Mario Martone, scrittori come Roberto Saviano, attori come Tony Servillo, ma anche musicisti come Peppe Barra o il compianto Pino Daniele. E così Andò ha scelto di trasporre per il teatro il romanzo di un napoletano, critico per eccellenza, quale fu Raffaele La Capria, scomparso nel giugno scorso e vincitore dello Strega nel 1961. Un romanzo che “parla di tutto e di niente” come dice lo stesso regista. Aggiungerei che di quel tutto e di quel niente, il romanzo parla estremamente bene. Il giorno della sua partenza da Napoli, un uomo, Massimo (Andrea Renzi), si lascia andare al ricordo di fatti, circostanze e parole, tante parole, del periodo compreso tra il 1943 e il 1951, raccontati attraverso i discorsi di un gruppo di persone, parenti tra loro, ma anche amici e amici degli amici, su una terrazza di un circolo partenopeo frequentato dalla buona borghesia della città e dai fantasmi di una nobiltà appena decaduta, ma sempre presente. C’è la Storia e c’è il ricordo intimo, ci sono gli intrighi e i segreti, c’è la memoria e la logorrea di una società borghese napoletana che, se non ancora disfatta, è in via di disfacimento. Questo è, a mio modo di vedere, il grande merito di La Capria, quello di saper vedere Napoli in maniera ferocemente critica senza cedere alle solite sirene del sentimentalismo e, soprattutto, della retorica. Del resto anche il teatro del grande Eduardo, al di là dei facili entusiasmi, è un teatro che ci restituisce una Napoli fortemente umana e allo stesso tempo lacerata da sentimenti che, qualche volta, sembrano provenire dall’essenza stessa della città. Nei desideri di alcuni protagonisti c’è Milano, come alternativa del fare, di fronte ad una città senza reali prospettive. Su un romanzo bellissimo interviene la grande maestria con cui Emanuele Trevi ha saputo far diventare la parola romanzesca, una parola teatrale, operazione complessa e alquanto pericolosa. Una scena articolata su due livelli la terrazza nella parte superiore e il salone del circolo (ma anche i salotti e le camere dei personaggi) in quella inferiore e in più un “avamposto-dormeuse” posto sul ciglio del palco dal quale spesso il Massimo, adulto, guarda alla scena come ad una rimemorazione nostalgica o fastidiosa. Ottima quindi la soluzione per cui ha optato lo scenografo Gianni Carluccio di ricorrere, sapientemente, all’aggiunta di un velario semi trasparente, sul quale scorrono fondali marini che rimandano, oltre che alla fisionomia della città di mare, anche all’inconscio “placentico” del protagonista. Peccato per le poche repliche proposte dallo Strehler, per uno spettacolo che meriterebbe molte più rappresentazioni.
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cinquecolonnemagazine · 3 months
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Nel 2023 in Campania spesi quattro miliardi e mezzi in beni durevoli
Nel 2023 in Campania sono stati spesi 4 miliardi e 598 milioni di euro in beni durevoli, il 7,9% in più rispetto al 2022. Una cifra che fa guadagnare alla regione il settimo posto nella graduatoria nazionale per spesa complessiva in durevoli. Secondo quanto emerge dal trentesimo rapporto dell’Osservatorio Findomestic (Gruppo BNP) in collaborazione con Prometeia, l’aumento degli acquisti di durevoli in Campania è superiore a quella del Mezzogiorno (+6,4%) anche se inferiore rispetto al dato nazionale (+8,9%). L’andamento della spesa nella regione è stato migliore rispetto alla macroarea di riferimento in quasi tutti i settori, con risultati superiori anche al dato medio nazionale per motoveicoli e telefonia. Spesa per la famiglia Complice un reddito pro-capite modesto, pari a 16.747 euro (inferiore di oltre 6mila euro rispetto alla media italiana), in Campania la spesa media per famiglia in beni durevoli secondo l’Osservatorio Findomestic si attesta sui 2.062 euro: quasi 800 euro in meno rispetto alla media nazionale. Tra le province, Avellino occupa la posizione relativamente migliore (2141 euro per famiglia), all’81esimo posto tra le 107 province italiane. Seguono a ruota Napoli, Salerno e Benevento, mentre è staccata Caserta, che con i suoi 1.934 euro di spesa per famiglia si posiziona solo 102esima tra le province italiane.  Avellino prima in Campania per spesa media per famiglia Le famiglie della provincia di Avellino sono quelle che in Campania hanno speso mediamente di più in beni durevoli nel 2023 come evidenziato dall’Osservatorio Findomestic, giunto quest’anno alla sua trentesima edizione. Nello specifico, ogni famiglia ha speso in beni durevoli 2.141 euro (+7,3%) per un totale di 362 milioni di euro (+7,2% sul 2022), mostrando una preferenza per il mercato delle automobili, dove sono stati spesi 113 milioni in auto usate (+18,7%) e 72 milioni per quelle nuove (+17,8%). Crescita a doppia cifra anche per i motoveicoli, dove sono stati spesi 13 milioni, tre in più dell’anno precedente (+21,7%). A fronte di un calo del 30,3% nella spesa dedicata a TV e sistemi Hi-Fi, il peggiore a livello regionale con una spesa di 10 milioni (rispetto ai 14 del 2022), gli avellinesi hanno mantenuto stabili gli acquisti in telefonia (35 milioni, -0,9%) e mobili (81 milioni, -1,4%). Regge anche la spesa per gli elettrodomestici, rimasta sui 30 milioni di euro come l’anno precedente (+0,5%). In calo il segmento dell’information technology, con una flessione dell’8,1% (10 milioni).  Benevento prima in Campania per crescita di spesa durevoli Benevento è la provincia campana dove il mercato dei beni durevoli ha mostrato la crescita più dinamica nel 2023, con spese complessive per 233 milioni di euro pari al 9,2% in più rispetto al 2022. La provincia del Sannio, come rilevato dall’Osservatorio Findomestic, si posiziona così 40esima nella classifica delle 107 province per crescita, risultando prima tra le province del Mezzogiorno. Si tratta anche dell’unica provincia campana con una variazione del reddito per abitante superiore alla media del Mezzogiorno (+6,4% contro +5,5%). In particolare, il settore automobilistico ha guidato questa espansione con 79 milioni di euro spesi in auto usate (+22,9%) e 38 in milioni in auto nuove (+21,3%). Cresce bene anche il comparto a due ruote, con una spesa di 8 milioni (+18,9%), tre in più sul ’22. Rimangono stabili il segmento degli elettrodomestici (19 milioni come nel 2022, +1,5%) e della telefonia (24 milioni come nel 2022, -0,2%). Sulla telefonia la resilienza della provincia è migliore del calo nella media nazionale (-2,3%), cosa che posiziona Benevento sesta per crescita in questo segmento sulle altre province. Nei consumi in TV e sistemi Hi-Fi si registra invece un calo del 30%, con una spesa di 5 milioni (nel 2022 erano stati 8). Situazione analoga anche su mobili (-0,5%, 54 milioni) e information technology (-5,7%, 6 milioni spesi).  Caserta unica provincia campana con spesa medie famiglie sotto i duemila euro Caserta rimane la provincia con il reddito per abitante più basso della regione (14.983 euro) e tra i più bassi in Italia, al 105esimo posto nella graduatoria delle 107 province. Il dato si riflette nella spesa delle famiglie in durevoli, la più esigua nella regione con 1.934 euro per nucleo. Questo non ha impedito una crescita del mercato dei vari segmenti dei durevoli, che secondo quanto sottolineato dall’Osservatorio Findomestic chiude comunque il 2023 in positivo con una spesa complessiva di 703 milioni (+8,4%). A fare da traino, come nel resto della regione, l’incremento dei volumi di spesa nelle auto usate (+19,3% a quota 220 milioni di euro in totale), seguito a ruota dalle auto nuove (+18,7, volume di spesa di 141 milioni). Anche il mercato dei motoveicoli cresce a doppia cifra  (+19,4%) toccando i 90 milioni di euro.  Per quanto riguarda le spese per la casa, i casertani scelgono di acquistare meno mobili con una media di spesa di 417 euro a famiglia (-1,5% sul 2022, 152 milioni) ma rimangono legati agli elettrodomestici, con una spesa totale di 63 milioni di euro (+3,0%). Diverso invece il caso dell’elettronica di consumo, dove la spesa complessiva è scesa a 15 milioni (contro i 21 del 2022, - 28,6%). Lo stesso vale per la telefonia (60 milioni, -0,8%, meglio della media italiana ma inferiore a quella regionale) e l’IT con una spesa di 20 milioni (-7,2% sul ’22).  A Napoli spesa in durevoli oltre 2,3 miliardi di euro, terza in Italia per telefonica Il mercato dei beni durevoli a Napoli ha vissuto un 2023 positivo, con una spesa totale in crescita del 7,5% pari a 2 miliardi e 391 milioni di euro. Grazie a questo volume di spesa Napoli è quarta in Italia nella graduatoria delle 107 province per spesa in durevoli. L’ammontare medio per famiglia si è attestato a 2.083 euro per nucleo, la cifra più alta in regione. Come emerge dalle rilevazioni dell’Osservatorio Findomestic, l’incremento più evidente riguarda i motoveicoli, con una crescita del 30,4% superiore alla media nazionale (+24,7%) e una spesa complessiva di 165 milioni. I consumi nel settore delle auto usate sono aumentati del 18,2% (695 milioni), più delle auto nuove: +13,8% di incremento e 382 milioni di euro in totale. Per l’acquisto di elettrodomestici la spesa in provincia è cresciuta del 3,2% (232 milioni, il rialzo migliore della regione e sopra la media italiana), mentre è letteralmente crollata per l’elettronica di consumo (TV e sistemi Hi-Fi): - 29,3%, a 65 milioni (contro i 95 del 2022). Più contenuta invece la flessione di mobili (561 milioni, -0,2%) con una spesa media di 489 euro per famiglia che resta la più alta in regione, e per la telefonia dove la situazione rimane invariata (-0,1% e 213 milioni di euro) rispetto all’anno precedente contrariamente a quanto avviene nel resto d’Italia tanto che Napoli è quarta per “crescita” sulle altre province. In negativo anche l’information technology (-5,1%, 78 milioni).  Salerno ventiduesima provincia per volume di spesa durevoli, auto nuove al top Nell’ultimo anno i salernitani hanno speso 909 milioni di euro (2.078 euro di media a famiglia) in beni durevoli, l’8,4% in più rispetto al 2022. Una spesa che, come emerge dai dati dell’Osservatorio Findomestic, posiziona la provincia al 22esimo posto in Italia per volume di spesa complessiva. In tutti i comparti dei beni durevoli Salerno si posiziona bene rispetto alle 107 province italiane, assestandosi a seconda del segmento tra la 17esima e la 25esima posizione. A dominare è la spesa sulle auto nuove, la migliore a livello regionale con acquisti per 182 milioni di euro (contro i 147 del 2022, +23,1%) che posizionano la città al 21esimo posto tra le 107 province italiane. Seguono per crescita le ruote, con un incremento del 24,2% per 50 milioni spesi: 10 in più sull’anno precedente. Bene anche le auto usate, con una crescita del 17,1% (277 milioni di spesa). Per quanto riguarda i beni per la casa i salernitani hanno mostrato una preferenza per gli elettrodomestici grandi e piccoli, spendendo per questi 75 milioni (+,1,7%). Andamento opposto per i mobili (191 milioni contro i 194 del ’22, -1,2%), nell’elettronica di consumo (22 milioni, 10 in meno del ’22, -29,3%)e nella telefonia (88 milioni, - 1%). Risultato peggiore nella regione per l’information technology, (23 contro i 26, -9,9%). Foto di Đại Hữu Huỳnh Kim da Pixabay Read the full article
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alephsblog · 6 months
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C’erano una volta un tenente della Finanza applicato alla Direzione nazionale antimafia, Pasquale Striano, un sostituto procuratore della medesima Direzione, Antonio Laudati, e il loro ex grande capo, Federico Cafiero De Raho, nel frattempo eletto deputato coi Cinque stelle. Si scoprì che il tenente Striano aveva recuperato dai database, e forse diffuso, migliaia di notizie che non andavano né recuperate né diffuse. Ho fatto soltanto quello che mi hanno detto i magistrati, disse Striano, e parve riferirsi in particolare al pm Laudati. Tutte le mie attività sono avvenute sotto il controllo del procuratore nazionale, disse Laudati, e parve riferirsi in particolare a De Raho. Il quale replicò: non ne so nulla, di questa storia sono una vittima. Quindi – se s’è capito bene – Striano dice è colpa di Laudati, Laudati dice è colpa di De Raho, De Raho dice è colpa di Laudati e Striano. Inebriante. Ma mentre il primo e il secondo, in omaggio a una lunga tradizione, scaricano sul loro superiore, il terzo – tradizione più recente, di matrice italiana e molto in voga nella magistratura – scarica sui cari inferiori. Cioè, se la procura antimafia arresta il tal boss o sgomina la tal cosca, il procuratore si presenta in conferenza stampa come sotto l’arco di trionfo. Se invece la procura la fa sporca, il procuratore non ne sa nulla. Una vittima. Che è magnifico in capo a trent’anni in cui di questo e quello s’è detto che non potevano non sapere. Invece talvolta si può non sapere, e si può persino non portare la responsabilità del cattivo funzionamento dell’ufficio di cui si porta la responsabilità. (Mattia Feltri)
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londranotizie24 · 8 months
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Comuni-Co, la scuola di Peterborough insegna italiano e anche inglese
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Di Annalisa Valente La scuola Comuni-Co di Peterborough è stata fondata da Concetta Laquintana e propone corsi di italiano, inglese e spagnolo.  Comuni-Co, la scuola di Peterborough insegna italiano e anche inglese C’è una città, nel Regno Unito, compresa nella contea del Cambridgeshire, a un’ora di distanza da Londra, un’ora da Cambridge, un’ora da Nottingham, a misura d’uomo e con un centro piccolo e caratteristico dove verrebbe facile pensare si vivano delle giornate estremamente tranquille e un pò tutte uguali. Ma invece no, non è così, e la storia che stiamo per raccontarvi ne è la dimostrazione. A Peterborough, la città di cui parliamo, è nata Comuni-Co, scuola di inglese per italiani di ogni provenienza, fondata da un’insegnante italiana, Concetta Laquintana, che all’indomani di un’esperienza che ha segnato la sua vita anzitutto professionale, ha deciso di offrire un’opportunità didattica diversa dal solito a chi vuole imparare l’inglese sul campo. E ha deciso di gettare le basi di questo progetto proprio a Peterborough, la città in cui vive da anni. “Sono insegnante di professione, nel 2016 ho perso il lavoro, praticamente mi hanno liquidata perché hanno chiuso il dipartimento di italiano, di cui io ero a capo in una scuola media superiore rinomata. Una scuola privata. Hanno chiuso il dipartimento di lingua italiana perché era quello più piccolo (non hanno mai voluto ingrandirlo) e hanno aperto quello cinese. Avevo appena compiuto 50 anni, a me piace insegnare, ma poiché l’Inghilterra ti permette di fare anche altre cose nel frattempo ho iniziato a svolgere una diversa attività (che era il mio sogno da bambina): fare l’interior designer. Quindi ho frequentato un corso di un anno per diventare Declutterer and Organiser, specialista nell’organizzazione degli spazi interni. Ho anche fatto parte di un’organizzazione nazionale che regola questa professione, nata inizialmente in America, sviluppatasi successivamente in Inghilterra. Ma trattandosi di un lavoro che non tutti ancora conoscevano, io avevo pochissimi clienti”. Quindi, tra le difficoltà incontrate in un settore sperimentale e l’amore profondo e naturale per l’insegnamento, facile intuire quale tra queste due scelte abbia poi portato Concetta a dare vita alla sua scuola. E, per partire, conoscenze e passaparola sono state l’arma vincente. Grazie a un’attività di gemellaggio tra scuole (un e-twining tra scuole europee che si incontrano on-line e preparano progetti) portata avanti per un paio d’anni ai tempi in cui insegnava, Concetta si ritrova velocemente ad essere contattata da altre colleghe (specialmente italiane) che le chiedono di poter portare in Inghilterra gruppi di loro allievi desiderosi di imparare bene l’inglese. Spinta da questo entusiasmo d’Oltremanica, Concetta si mette subito al lavoro per trovare anzitutto una location pronta ad ospitare questi gruppi di allievi. Individua quindi una scuola d’inglese vicina a casa. E si presenta alla manager (anche lei vicina di casa) per proporle il progetto. Alla manager il progetto piace parecchio, quindi decide di collaborare con Concetta e il primo corso, sperimentale, per il primo gruppo di ragazzi (sei in tutto) finalmente parte, con successo. Ad aiutare Concetta, allora come oggi, è suo marito James Fordham, linguista, poliglotta, qualificato per l’insegnamento. In Italia nel frattempo si sparge la voce tra insegnanti, che decidono man mano di mandare gruppi di allievi in Inghilterra da Concetta, che si specializza sempre più in corsi estivi, e dopo il primo gruppo di sei allievi, l’anno successivo gli allievi diventano dieci, poi venti, e così via. In conseguenza di ciò l’attività inizia a strutturarsi e nasce il primo sito web di Comuni-Co. Concetta e la sua amica manager diventano business partner. Il nome Comuni-Co nasce nel 2018, entrambe vogliono un nome che intenda ‘comunicare’; da ‘comunico’ vengono altre definizioni come ‘community’ e ‘consolidation’. Insomma, è una parola chiave. Le due socie lavorano insieme, e bene. Poi arriva il Covid. E il momentaneo “congelamento” di ogni attività in presenza. Ma perché parliamo di un’opportunità didattica, anzi di un’esperienza diversa dal solito? Continuate a leggere e lo scoprirete. Naturalmente bisogna aspettare la fine del periodo di pandemia e il ritorno, lento e graduale, allo svolgimento delle attività in presenza. “Siamo partiti da zero – ammette Concetta - non siamo una scuola grandissima” ed è anche questo il motivo per cui, insieme all’età relativamente giovane della scuola, almeno durante la pandemia i corsi on-line non avevano trovato terreno fertile.   Lezioni di inglese per gli italiani con formula study-trip o con pacchetto lavoro E anche se adesso i corsi on line sono entrati regolarmente nell’offerta formativa di Comuni-Co, il punto di forza di questa scuola resta l’esperienza in presenza, il contatto diretto con gli insegnanti, l’accoglienza nelle host families altamente selezionate (e ... Continua a leggere su
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lamilanomagazine · 8 months
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Mattarella apre Pesaro Capitale della Cultura 2024
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Mattarella apre Pesaro Capitale della Cultura 2024. Al via l’anno straordinario della Capitale italiana della cultura di Pesaro 2024. Una grande festa popolare della città, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha riempito la Vitrifrigo Arena come una rockstar. Ottomila presenti, tra pesaresi e “cittadini temporanei”, duemila studenti da 15 istituti della provincia, circa trecento VolontarX, oltre duecento giornalisti accreditati dall’Italia e dall’estero. Una diretta televisiva su Rai3 e RaiNews24 che ha diffuso le immagini di Pesaro 2024 in migliaia di case in tutto il mondo. Poi le bande della provincia, con 120 rappresentanti, che hanno intrattenuto il pubblico prima dell’inizio ufficiale. La mattinata, condotta da Paolo Bonolis, si è aperta e chiusa con l’Orchestra Olimpia di Pesaro, formazione tutta al femminile, nata nel 2018 da un’idea di Roberta Pandolfi e Francesca Perrotta, con l’Inno d’Italia, l’Inno europeo, e l’Ouverture di G. Rossini La Gazza ladra. Poi il suggestivo e intenso contributo di Mariangela Gualtieri, poetessa tra le più sensibili e apprezzate della scena contemporanea, che sul palco della Vitrifrigo Arena ha recitato la sua “Esortazione urbana e planetare”, riflessione potente e luminosa su presente e futuro, nata su invito del Comune di Bologna nel progetto “Discorso d’artista” per il Capodanno 2024 e ora riadattata per Pesaro 2024. Versi in perfetta sintonia con il concept ‘La natura della cultura’, dove si esorta l’umanità a frequentare ‘la scuola superiore dei fiori, degli alberi sapienti’, ‘a guardare più spesso il cielo’ e a ‘sentire che c’è… un bene comune generale’, con l’augurio che… tutte le mani di questa città facciano al meglio le cose.’ E la video performance con il pubblico: "The Human Cell ATLAS " a cura di Ouchhh in collaborazione con il CERN di Ginevra. Nata per creare un autoritratto artistico dell'umanità con l'intelligenza artificiale e i big data, il progetto ha riunito una comunità internazionale di biologi, clinici, tecnologi, fisici, scienziati computazionali, ingegneri del software e matematici. Questa comunità di scienziati con competenze diverse ha condiviso l'obiettivo comune di creare una mappa di riferimento completa di tutte le cellule umane come base per la comprensione della salute umana e per la diagnosi, il monitoraggio e il trattamento delle malattie. Un esempio di sviluppo del tema del dossier di Pesaro 2024, la natura della cultura, relazione tra arte, natura e tecnologia. Il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: «Una giornata storica per Pesaro e per le Marche. Le 8mila persone presenti sugli spalti della Vitrifrigo Arena sono la dimostrazione che tutti vogliono essere parte di questa grande sfida e dell’orgoglio locale. Presidente Mattarella, questo è un grande omaggio a lei, alla sua presenza qui. È un faro e un simbolo di unità nazionale». Il presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli: «Ripartendo dal legame tra l'uomo e la natura, oggi così come è avvenuto nel corso della storia, le Marche, con Pesaro capofila, riscoprono e rilanciano il proprio valore, che deve rappresentare per i marchigiani una nuova leva e per i visitatori uno stimolo ulteriore a conoscere e innamorarsi della nostra terra. Tutte le Marche dunque - ha aggiunto - possono riconoscersi in questa importante attestazione per la quale mi sento di ringraziare l'amministrazione comunale, l'intera provincia e tutte le maestranze e i volontari. La Regione è al vostro fianco e vi sostiene in questo percorso, con la certezza che sarà un anno straordinario per Pesaro e per tutte le Marche. La Capitale italiana della cultura, un riconoscimento per la prima volta nelle Marche, ci rende particolarmente fieri e orgogliosi». La lettera della senatrice Liliana Segre: “Signor Sindaco di Pesaro, caro Matteo, vorrei raggiungere te e l’intera comunità pesarese con il pensiero più affettuoso e l’augurio di un anno, il 2024, ricco di opportunità per la Città, da oggi Capitale italiana della cultura. Prima però permettimi di rivolgere un saluto e ringraziamento speciali al nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la cui presenza conferma l’alto valore dell’evento. Non è certo la prima volta che svelo i miei sentimenti per una città a cui devo moltissimo a cominciare dall’incontro con mio marito Alfredo. Del resto anche il mio bisnonno materno, Mosè Foligno era pesarese, abitante in via delle Scuole. Il mio è dunque un legame “a doppia elica”, indissolubile. Da quando poi l’Unesco l’ha elevata a capitale globale della cultura, intorno alla figura del grande compositore Gioachino Rossini si è creato una sorta di ecosistema musicale; qui tutto risuona un intreccio speciale di memoria e futuro, luogo dell’anima. Ad maiora città mia. Grazie ancora, auguri. Liliana”. Alcuni passaggi dell’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «La Pace è anche un grande tema che riguarda la cultura. La cultura è un lievito che può rigenerare la pace. E con essa i valori umani che le guerre tendono a cancellare, annegandoli nell'odio, nel rancore, nella vendetta, indotti dagli estremismi nazionalistici. In questo momento parlare di cultura, pensare la cultura, trasmettere cultura vuol dire alzare lo sguardo, per un compito di grande portata. Perché la cultura è paziente, semina, specialmente nelle nuove generazioni. Perché la cultura è beneficamente contagiosa e permette di riflettere sulla storia per non ricadere negli errori del passato. Permette di ammirare l'arte, la bellezza, l'ingegno, consapevoli che l'estetica non può separarsi da un'etica di rispetto per la persona. Pesaro si è assunta questo compito, proponendo come tema per il suo anno da capitale: "La natura della cultura". La natura, il suo equilibrio da ricostituire, la riconciliazione con l'ambiente, gravemente violato e sfruttato, sono anch'essi obiettivi urgenti di civiltà e di pace. La distruzione di risorse non può essere gabellata come sviluppo ma va indicata come regressione. La sostenibilità è un nome della pace. Cultura è conoscenza. Ma anche coscienza. Ci vogliono intelligenza e coraggio per battere strade nuove. Pesaro si propone quest'anno di far interagire arte, natura e tecnologia».   Come dono speciale al Presidente Mattarella il Comune di Pesaro ha consegnato una stampa che riproduce il medaglione con il ritratto di Rossini scolpito nel 1864 da Hyacinte Chevalier su commissione del maresciallo Vaillant, ministro della Casa imperiale e delle Belle Arti in Francia (su proposta del senatore conte De Nieuwerkerke ndr), per essere collocato nel foyer dell’Opéra di Parigi (oggi conservato nel Museo dell’Opéra, ndr). Il valore e la particolarità dell’opera risiedono nel fatto che fu realizzata quando il compositore era ancora in vita, dunque si tratta di un omaggio ad un musicista vivo ma già consacrato alla storia. L’esemplare donato, con figura di 216 x 157mm impressa su foglio di 312 x 252mm ca., è stato stampato presso Bertautdi Parigi. Le lettere: “L’ARTISTE Salon 1865”; “Lemoin”; “Imp. Bertaut, Paris G.ROSSINI”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 1 year
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19 mag 2023 12:34
CEMENTO AUDERE SEMPER – DIETRO AGLI EFFETTI DEVASTANTI DELLE PIOGGE IN EMILIA ROMAGNA C’È ANCHE E SOPRATTUTTO LA CEMENTIFICAZIONE SELVAGGIA NELLA REGIONE  – LA DESTRA E “LIBERO” METTONO NEL MIRINO BONACCINI E IL “MODELLO PD”: L’ACCELERAZIONE DEL CONSUMO DI SUOLO SI È AVUTA NEL 2021, CON ELLY SCHLEIN VICE PRESIDENTE DELLA REGIONE – MA LA COLPA È ANCHE DELL’INCAPACITÀ, COMUNE A TUTTI I COLORI POLITICI, DI NON SPENDERE I SOLDI STANZIATI: NELLE CASSE DELLO STATO CI SONO 8,4 MILIARDI CONTRO IL RISCHIO IDROGEOLOGICO, FERMI DAL 2018… -
1. È L’EFFETTO DEL CEMENTO
Estratto dell’articolo di Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”
La pioggia eccezionale, certo. Ma c’è anche altro dietro il disastro che ha colpito la Romagna. C’è quella che una volta chiamavamo cementificazione e che da un po’ di tempo ha preso il nome di consumo di suolo.  Tecnicamente si tratta della perdita di una superfice originariamente agricola o naturale a causa della copertura artificiale del terreno. Qui una volta era tutta campagna, insomma. E da questo punto di vista, il territorio messo in ginocchio negli ultimi giorni non è messo per niente bene.
[…]  Secondo l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’Emilia-Romagna è la terza regione per incremento di suolo consumato tra il 2020 e il 2021, con 658 ettari. E anche per il totale di suolo consumato sempre nel 2021, con oltre 200.000 ettari. […] Nella classifica dei comuni […] al secondo posto c’è Ravenna, preceduta soltanto da Roma. […]
[…] Oltre che per consumo di suolo, la regione è terza anche per ricchezza procapite. Non solo. L’accelerazione nel numero di ettari cementificati del 2021 marcia di pari passo con il rimbalzo dell’economia regionale dopo la pandemia: nel 2021 l’Emilia-Romagna era uno delle cinque regioni già tornate sui livelli pre Covid. Segno che, in attesa di diventare davvero circolare, l’economia continua a procedere in modalità lineare, cioè bruciando nuove risorse, terreni compresi.
L’Emilia-Romagna, tuttavia, è una delle poche regioni che sul consumo di suolo, in attesa di una regolamentazione nazionale, si è dotata di una propria legge regionale. Ed è qui che la questione diventa politica.
[…] La legge risale al 2017 e dice che l’incremento annuale di superfice cementificata deve restare in ogni Comune al di sotto del 3%. Come sempre, però, ci sono delle eccezioni. Restano fuori dal calcolo le opere pubbliche, gli insediamenti strategici di rilievo regionale, gli ampliamenti delle attività produttive esistenti, i nuovi insediamenti residenziali collegati a interventi di rigenerazione urbana.
Abbastanza, insomma, per far salire l’Emilia-Romagna al terzo posto di questa classifica non proprio virtuosa. […] La legge è arrivata durante il primo mandato di Stefano Bonaccini […].
L’accelerazione del 2021, invece, quando vice presidente della Regione era Elly Schlein, oggi segretaria del Pd.
[…] Due indizi che ieri hanno spinto Libero a titolare in prima pagina «Sott’acqua il modello Pd», e qualche parlamentare di centrodestra a mugugnare, ma nulla più […]
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avvocatoreale · 1 year
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Atti del Convegno del 16/03/2023: Guida alla riforma Cartabia in materia penale - le principali novità
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Con l’accreditamento del Consiglio Nazionale Forense, il 16/03/2023 si è tenuto il Convegno, sia in modalità online sulla Piattaforma Microsoft Teams, sia in presenza nella Maxi aula 3 del Palazzo di Giustizia di Torino, promosso dall’Associazione Avvocati nella Polis, avente come titolo: “Guida alla riforma Cartabia in materia penale: le principali novità”.
Sono intervenuti, nell’ordine:
- il Dott. Cristiano Trevisan, Giudice della Sezione Prima Penale del Tribunale di Torino, il quale ha trattato i seguenti argomenti:
- le modifiche alla disciplina delle indagini preliminari e la nuova regola di giudizio nell’udienza preliminare;
- l’estensione della citazione diretta a giudizio;
- la ridefinizione del processo «in assenza» dell’imputato;
- le innovazioni in tema di procedibilità a querela;
- il Dott. Carlo Maria Pellicano e il Dott. Giancarlo Avenati Bassi Sostituti Procuratori Generali presso la Corte d’Appello di Torino, intrattenendo l’uditorio con i seguenti temi:
- le riforme relative al grado di appello e al giudizio di Cassazione
- prescrizione e improcedibilità;
- l’Avvocato Matteo Ferrione, investito della trattazione dei seguenti punti:
- le modifiche ai riti alternativi;
- le pene detentive brevi;
- la digitalizzazione del processo penale;
- la giustizia riparativa.
 Moderatore del Convegno è stato l’Avv. Riccardo Magarelli, Avvocato del Foro di Torino.
 L’incontro di formazione è stato preceduto da una breve introduzione dell’Avv. Fabrizio Reale, in qualità di Presidente dell’Associazione Avvocati nella Polis, il quale ha innanzi tutto osservato che la riforma è stata attuata con il precipuo intento di snellire il procedimento penale e favorirne la speditezza.
Il quadro della riforma presenta luci ed ombre.
Bene le novità apportate in materia di DIGITALIZZAZIONE degli atti e del fascicolo e delle sue TRASMISSIONI da una cancelleria all’altra (che eviterà il famigerato carrello perennemente in transito da un ufficio all’altro). Bene quindi gli artt. 110 e 111, 111-bis, 111-ter c.p.p. su forma degli atti e fascicolo informatico.
Si rinviene anche un buon COORDINAMENTO DELLE NORME: la tecnica legislativa, nel complesso, è stata soddisfacente (spesso quando il legislatore interviene su un una norma si dimentica degli addentellati, ossia di quelle altre norme che operano in combinato disposto).
Appare invece alquanto CONTORTA la disciplina dell’ASSENZA (quando non ci sono i presupposti per dichiararla e le ricerche hanno avuto esito negativo). Del tutto inedita è la previsione contenuta nell’art. 420-quater c.p.p..
La soluzione del legislatore precedente, della sospensione del processo prevista per tale eventualità dalla Legge n. 67 del 2014, la quale lasciava in una sorta di LIMBO tutti i processi nei quali non era possibile procedere in assenza, con un continuo rinvio annuale del giudice per disporre nuove ricerche e la protrazione del processo sine die non era soddisfacente. Ma anche questa riforma non ha fornito una soluzione tanto più accettabile.
Viene introdotta, poi, la pronuncia della SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato.
Questa sentenza è un MOSTRO GIURIDICO: essa è inappellabile ma è suscettibile di venir meno entro termini assai ampi, per il richiamo all’art. 159, ultimo comma, c.p., che prevede la sospensione della prescrizione per un tempo non superiore al doppio dei termini di prescrizione, nel quale possono proseguire le ricerche, e contiene altresì la vocatio in ius della stessa, con un meccanismo automatico di fissazione dell’udienza.
 Punto DOLENTE della riforma, ad avviso dell’Avv. Reale, è la disciplina dettata dall’art. 581 c.p.p., in relazione alla forma dell’impugnazione, che introduce degli adempimenti e dei profili da rispettare sotto la comminatoria dell’inammissibilità.
 Si può anche tralasciare il nuovo comma 1-bis secondo cui l’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione.
Invero, un atto di gravame, anche prima di questa innovazione, poteva dirsi completo, ben scritto ed efficace, se conteneva precise censure rivolte nei confronti del provvedimento impugnato.
Per fortuna, se è consentita una battuta, questa interpolazione non è stata accompagnata da norme che impongono la sinteticità degli atti (che potrebbe essere antitetica con questa novella).
Nel diritto amministrativo si è giunti al punto per cui si deve chiedere con apposita istanza per essere autorizzati al superamento di certi limiti dimensionali nella stesura degli atti che si depositano, con norme di dettaglio che arrivano a stabilire il numero di cartelle, quindi di caratteri, di battute che non si devono superare negli scritti difensivi (come per i giornalisti nell’editoria).
 Il successivo comma 1-ter prescrive che con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori sia depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
 Proseguendo, il comma 1-quater è quello che stabilisce, nel caso di imputato rispetto al quale si sia proceduto in assenza, che con l’atto d’impugnazione del difensore venga depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio
 Ora, questi due ultimi commi, pongono dei seri problemi di CONFORMITÀ AL DETTATO COSTITUZIONALE, ma non solo, limitando in modo così restrittivo l’accesso alla giustizia nei gradi successivi al primo, ci si pone anche in contrasto con norme di RANGO SOVRANAZIONALE:
in particolare con il DIRITTO AD UN DOPPIO GRADO DI GIUDIZIO IN MATERIA PENALE SANCITO DAL PROTOCOLLO N. 7, ART. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In Italia abbiamo tre gradi di giudizio, anche un grado di legittimità, non in tutti i Paesi si arriva sino al terzo grado, ma almeno due gradi di giudizio dovrebbero essere sempre garantiti.
 Il problema si pone soprattutto nel caso delle DIFESE D’UFFICIO, ma non solo, soprattutto quando si difendono coloro i quali l’Avv. Reale definisce i cd. “invisibili”, che non solo rimangono assenti dal processo, ma che l’avvocato non avrà mai il piacere di conoscere.
 Noi tutti riposiamo nella RASSICURAZIONE E CONVINZIONE, oltre che nella CERTEZZA che se sono state rispettate le norme in tema di dichiarazione dell’assenza, la mancata partecipazione al processo dell’imputato e la sua mancata presa di contatto con il suo difensore sono avvenuti per scelta. Siamo convinti che se l’imputato è stato messo in condizioni di conoscere l’esistenza del processo nessuna tutela gli è stata negata.
 Una disciplina certamente ci deve pur essere, ma la realtà è molto più COMPLESSA e ha molte più sfaccettature e sfumature. Non si può semplificare e banalizzare la realtà.
 Tra l’altro l’art. 420-bis, comma 2, c.p.p. ha una formulazione molto ampia e residuale, per cui «il giudice procede in assenza dell’imputato anche quando ritiene altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo». Questo fa comunque ritenere che è sempre una presunzione, quella sulla conoscenza del processo.
 La mancanza di contatto con il difensore, iniziale o anche sopravvenuta, potrebbe dipendere dalle cause più svariate:
- si può pensare ad esempio agli STRANIERI, soprattutto non comunitari, che potrebbero anche essere stati espulsi, o che hanno trovato migliori occasioni condizioni di vita spostandosi all’estero;
- pensiamo a quelle persone che vivono in CONDIZIONI DI MARGINALITÀ, che vivono in condizioni di indigenza e magari sono anche afflitti da malattie, e l’ultimo dei loro problemi è il processo a loro carico, perché ne hanno uno più impellente, quello della sopravvivenza;
- qualcuno potrebbe essere anche MORTO e non lo sappiamo perché viveva in condizioni di solitudine e non ha parenti o amici che possono comunicare il decesso (e in questo caso il processo dovrebbe perfino estinguersi in quanto mors omnia solvit);
- a volte è la condizione di estrema IGNORANZA in cui una persona vive, per via delle sue origini e della sua provenienza familiare, sociale, che impedisce alla stessa di apprezzare il valore di un processo a suo carico.
 Ebbene, l’invito dell’Avv. Reale è quello ad impugnare sempre qualora ve ne siano presupposti, ogni qualvolta ci si trovi in presenza di un provvedimento ingiusto, iniquo, illegittimo o anche solo scarsamente motivato o con motivazione comunque difettosa o contraddittoria. L’impegno è continuare ad impugnare sempre, come si è sempre fatto in passato e quando vi sono doglianze da rivolgere ad una sentenza o ad una decisione, anche in assenza di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la decisione, o di una dichiarazione o elezione di domicilio, anche per gli invisibili.
L’atto di impugnazione verrà dichiarato inammissibile, ma è da prevedere una pioggia di eccezioni di legittimità costituzionale, con numerosi processi che resteranno sospesi, quindi si deve impugnare anche per provocare questo giudizio di conformità alla Costituzione.
 Non si è obbligati ad iscriversi alle liste dei difensori d’ufficio, ma se si presta il patrocinio nelle difese d’ufficio occorre ugualmente espletare fino in fondo il proprio mandato, come quando si è difensori di fiducia e si deve sempre agire nel rispetto di precisi doveri, anche deontologici.
 L’Avv. Reale ricorda il prezioso insegnamento ricevuto sin da quando ha frequentato il corso di preparazione all’esame di Stato organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Torino, con i migliori penalisti del Foro, che hanno sempre sottolineato l’importanza di impugnare e l’impugnazione diventa anche doverosa se vengono negate, ingiustamente, la sospensione condizionale della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ove sussistano i presupposti per la loro ammissione. Così come assume rilevanza decisiva l’esigenza di opporsi all’applicazione della recidiva, della quale occorre chiedere l’esclusione, ove infondata, per poter accedere alle circostanze attenuanti generiche o ad una loro maggior ampiezza o ad altri benefici.
 Nella riforma c’è poi quella riduzione di pena di 1/6 se non si presenta impugnazione all’esito del giudizio abbreviato, che sembra un po’ come uno di quei premi dispensati in un quiz televisivo. Tale previsione è, forse, l’anticamera dell’abolizione del divieto di REFORMATIO IN PEIUS.
 Ecco, sotto tutti questi aspetti, parrebbe che non si operi più nell’ambito dello snellimento del processo, ma sembra per lo più che  si realizzi una FUGA DAL PROCESSO.
 Nel mezzo, tra interventi condivisibili ed altri meno convincenti, ci sono modifiche che non si sa se avranno IMPATTO CONCRETO: prima tra tutte la nuova regola di giudizio dell’udienza preliminare (la sentenza di non luogo procedere, che ai sensi del comma 3 dell’art. 425 c.p.p. può avvenire anche in questo caso: «Il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna», stessa formula peraltro adottata per richiedere l’archiviazione ai sensi dell’art. 408 c.p.p. o per pronunciare la sentenza di non luogo a procedere nella nuova udienza predibattimentale - per i reati a citazione diretta a giudizio, secondo l’art. 554-ter c.p.p. – come parimenti previsto dalla riforma): se questa nuova regola di giudizio renderà più pregnante l’udienza preliminare ridando significato a questo momento processuale sarà il tempo a dirlo; altrettanto positivo sarebbe se un’udienza filtro avesse rilevanza effettiva anche nei procedimenti introdotti con decreto di citazione diretta a giudizio.
 Ugualmente ci si chiede se “l’obbligo rafforzato” di motivare le richieste di prova inciderà su questo passaggio procedurale (l’art. 493 c.p.p. richiede ora che le parti dovranno d’ora in avanti illustrare, dopo l’indicazione dei fatti da provare, i profili di ammissibilità delle prove).
 Così si è conclusa l’introduzione dell’Avv. Fabrizio Reale, che ha poi lasciato la conduzione del Convegno al moderatore, il Collega Avv. Riccardo Magarelli, il quale a sua volta ha ceduto la parola al primo dei relatori, il Giudice, Dott. Cristiano Trevisan.
 Il relatore ha iniziato il suo intervento occupandosi della questione che può essere sollevata riguardo alla tempestiva iscrizione della notizia di reato con facoltà di chiedere al Giudice la retrodatazione della stessa. La retrodatazione avviene quando il ritardo è INEQUIVOCABILE E NON GIUSTIFICATO. Come rilevato nelle pronunzie della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, Lattanzi e Tammaro (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, 24/09/2009 – 20/10/2009, n. 40538; Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, n. 16/2000) il momento dell’iscrizione è estremamente FLUIDO, se non in casi evidenti.
Ci si chiede allora se le carenze degli uffici della Procura possano essere un ritardo giustificato. Per le Procure è così, ma le loro inefficienze (dovute al carenza di personale o ad insufficienza di attrezzature) devono essere provate e documentate.
Il contraddittorio è limitato solo all’indagato e alla Procura, ma sarebbe opportuno che venisse allargato anche agli altri indagati. Inoltre la Procura dovrebbe OSTENDERE i propri atti per partecipare al contraddittorio con possibile lesione del segreto istruttorio.
In più, non è impugnabile la decisione.
Secondo il Dott. Trevisan, il Giudice per le Indagini Preliminari sta diventando Giudice “delle” Indagini Preliminari con il Gip che può ordinare l’iscrizione (secondo il nuovo art. 335-ter c.p.p.). Prima si poteva procedere così solo per i reati contri ignoti, ora anche in quelli contro noti.
Con la riforma è dato alle parti un autentico potere di controllo sul rispetto dei termini per le indagini.
In particolare, l’art. 407-bis c.p.p., che prevede il “termine di riflessione” di tre mesi del Pubblico Ministero e se questi rimane inerte è previsto l’intervento del Procuratore Generale. La Procura, infatti, deve periodicamente comunicare alla Procura Generale l’elenco dei procedimenti per i quali sono scaduti i termini per le indagini. Se il Procuratore non riceve la comunicazione per un procedimento chiede il fascicolo. Solo dopo che sono scaduti tutti i termini ci si può rivolgere al Giudice. Questa è una prima “finestra di giurisdizione” perché le parti possono vedere gli atti (art. 415-ter c.p.p.).
Il complicato meccanismo procedurale messo a punto con questa riforma, tuttavia, prevedibilmente, ad avviso del Giudice, Dott. Trevisan, avrà per lo più conseguenze dissuasive nei confronti delle Procure, che saranno indotte a richiedere l’ARCHIVIAZIONE per non incorrere in queste scadenze e in questi adempimenti.
 Al termine di questo intervento, assai apprezzato per la sua completezza ed analiticità, il moderatore, Avv. Magarelli, ha passato la parola al Procuratore Generale, Dott. Carlo Maria Pellicano.
Il relatore ha esordito osservando che l’IMBUTO è l’appello.
Il processo di appello, ha aggiunt0, è sempre di più ad IMPULSO DI PARTE.
A suo avviso è l’imputato a dover chiedere all’avvocato di impugnare. Le lungaggini del processo sorgono in grado di Appello e di Cassazione ed è per questo che l’Italia continua a prendere condanne i Europa.
Soprattutto dopo l’emergenza epidemiologica il processo di Appello e quello di Cassazione è diventato molto più CARTOLARE. Già di per sé comunque è fisiologicamente un processo scritto (si basa sulla sentenza e sugli atti di impugnazione). Comunque la Corte, anche d’ufficio, può disporre la discussione orale.
È da riscontrare un maggior numero di concordati, forse anche per l’effetto Cartabia perché le sanzioni sostitutive danno maggiori margini di accordo.
Sulle impugnazioni della parte civile il processo verrà passato al Giudice civile.
L’art. 598-bis c.p.p. contiene la nuova disciplina cartolare. La regola è la Camera di Consiglio.
Il termine di quindici giorni prima è quello delle conclusioni ma anche delle memorie e dei motivi aggiunti e poi vi è il termine di 5 giorni (prima) per le repliche. Se la Procura Generale non presenta le sue conclusioni la Corte decide lo stesso. Sono solo quattro le ipotesi di passaggio all’oralità (comma 2). La norma però, testualmente, recita: «L’appellante e, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore possono chiedere di partecipare all’udienza» e dunque sembra escludere che questo potere spetti anche alla Procura. La richiesta è IRREVOCABILE.
Che succede se è il P.M. di primo grado ad impugnare? La Procura è unica, quindi il Dott. Pellicano ritiene che il P.G. la possa chiedere la trattazione orale, ma la fissazione d’udienza non arriva alla Procura Generale e quindi conviene già chiederla con lo stesso atto di appello.
La Corte la dispone invece d’ufficio quando ritiene che si tratti di questioni particolarmente rilevanti (ad esempio in tema di bancarotta o di infortuni sul lavoro). La trattazione è orale anche quando è disposta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Altro caso è se la Corte non accoglie la richiesta di concordato.
 L’Avv. Magarelli, nel riprendere la parola, non ha potuto non esprimere ammirazione e apprezzamento per l’intervento del Dott. Pellicano, non solo lodandone la chiarezza espositiva, ma anche la capacità di anticipare le possibili svolte future del processo in fase di gravame.
 È stata poi la volta dell’intervento dell’altro Sostituto Procuratore Generale, il Dott. Giancarlo Avenati Bassi.
In apertura del suo intervento il Procuratore Generale ha ricordato dapprima, iniziando a trattare dei profili di improcedibilità introdotti dalla Riforma Cartabia, ricordando i termini entro cui si deve concludere il giudizio di Appello (due anni) e quello di Cassazione (un anno). C’è poi il termine transitorio per quei processi già pendenti, che è quello di entrata in vigore della riforma (dies a quo).
Il problema, ha evidenziato il Dott. Avenati Bassi, è la formazione del CALENDARIO. Quando infatti giunge un fascicolo nuovo lo si inserisce in una calendarizzazione, ma questi calendari poi si saturano.
Il Dott. Avenati Bassi lamenta che talvolta si impugnano sentenze che accolgono la domanda subordinata (ad esempio la pronuncia dell’esclusione della punibilità, ai sensi dell’art. 131-bis c.p., per particolare tenuità del fatto). Talvolta, ascoltando i discorsi degli avvocati, ha sentito commenti soddisfatti su sentenze che nonostante ciò vengono poi impugnate ingolfando il carico di lavoro dei Giudici. Non è, ad avviso del Procuratore Generale, responsabile impugnare sempre e a prescindere, anche sulla base di motivazioni deboli.
Se si arriva alla improcedibilità è un FALLIMENTO DELLA GIUSTIZIA.
Se è così, ha proseguito il relatore, allora disponiamo, come in certi altri ordinamenti, che l’imputato venga accompagnato COATTIVAMENTE almeno alla prima udienza, in modo che poi non debba essere considerato assente.
Inoltre vi è da chiedersi se l’improcedibilità valga anche nei processi a carico dei minorenni nel caso di reati che comportano l’ergastolo, posto che a loro l’ergastolo non può essere applicato.
Altro quesito è se la complessità della questione giustifichi una proroga della decisione: vale a dire. Ed anche vi è da chiedersi: è giusto che il carico di lavoro sia da considerarsi un buon motivo per allungare i tempi?
L’improcedibilità, sostiene il Dott. Avenati Bassi, serve adesso con questi numeri, ma quando aumenteranno gli abbreviati e quando comunque in virtù della riforma scenderà il numero degli appelli, sarà un istituto non più così necessario.
 Riprendendo la parola dopo l’intervento del relatore, l’Avv. Magarelli, ha opportunamente evidenziato lo spessore degli interrogativi così sollevati e delle sue riflessioni.
 Come ultimo relatore è intervenuto l’Avv. Matteo Ferrione, il quale ha dato conto, anzitutto, delle nuove sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, applicabili quando è stata irrogata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale della pena. All’imputato deve essere dato avviso dell’accesso a tali misure, a norma dell’art. 545-bis c.p.p., da parte del Giudice (a meno che non venga già chiesta dalla difesa). È prevista la fattispecie di reato dell’evasione per il mancato rispetto di tali misure.
Se all’esito dell’appello, con la riduzione della pena in riforma della sentenza di primo grado, la pena scende al di sotto dei limiti per l’applicazione di tali sanzioni sostitutive, la loro concessione può essere chiesta anche nel grado di appello.
Molti, però, sono i soggetti che non potranno fruirne a causa della loro mancanza di radicamento sociale o familiare.
La riforma ha introdotto anche l’istituto della giustizia riparativa.
Se la valutazione dell’esito riparativo dovesse essere negativa (in un’ottica di incoraggiamento del ricorso a tali percorsi di composizione dei conflitti) essa non avrà ripercussioni sul giudizio (sebbene sia difficile pensare che il Giudicante, anche inconsciamente, non ne rimanga comunque in una certa misura influenzato).
Peraltro, sotto il profilo del pragmatismo, 4 milioni di euro stanziati per apprestare gli strumenti di giustizia riparativa non sono per nulla abbondanti.
Quanto alla digitalizzazione, l’Avv. Ferrione, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di costruire un’unica piattaforma telematica per tutti i depositi, evitando l’attuale disordinato e caotico FEDERALISMO GIUDIZIARIO ispirato dalla pluralità dei diversi protocolli adottati dai vari Tribunali italiani.
 Nel commentare quest’ultimo intervento, il moderatore ha elogiato le capacità del relatore di tenere catalizzata fino all’ultimo l’attenzione dell’uditorio, nonostante l’ora tarda. Molto lodevolmente, inoltre, la relazione dell’Avv. Mattero Ferrione è stata accompagnata da delle slides che hanno permesso di visualizzare in modo efficace le sue illustrazioni.
 È da elogiare il grande equilibrio dimostrato dai relatori che sono riusciti brillantemente a condensare in quattro ore una massa imponente di informazioni per le quali sarebbe stata necessaria un’intera giornata di lavori.
Verrà poi pubblicato sul sito dell’Associazione Avvocati nella Polis il contenuto delle slides che hanno accompagnato l’esaustivo intervento dell’Avv. Matteo Ferrione.
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L' autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha avviato una consultazione sulla revisione del Regolamento in materia di contratti tra operatori telefonici e utenti finali
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Novità introdotte dal Codice delle comunicazioni elettroniche in materia di obblighi di informazione da applicare ai contratti. Durata massima dei contratti non superiore a 24 mesi; proroga dei contratti; rateizzazione di servizi e apparecchiature terminali; modifica delle condizioni contrattuali (ius variandi); diritti degli utenti in caso di discrepanza delle prestazioni del servizio rispetto a quanto promesso nel contratto; diritto di recesso; cessazione del rapporto contrattuale; informazioni contrattuali sulle procedure di migrazione e portabilità del numero. I riferimenti a indennizzi in caso di migrazioni e portabiilità Tra le misure in consultazione, è previsto che l'operatore riporti nelle proposte contrattuali i termini entro cui, a seguito della conclusione del contratto, dà avvio alla procedura per l'attivazione dei servizi voce e Internet. Il contratto dovrà riportare il riferimento agli indennizzi spettanti agli utenti in caso di mancato rispetto degli obblighi in materia di migrazioni e portabilità del numero da parte del fornitore.Il regolamento disciplina, altresì, le offerte che comprendono, nella stessa proposta contrattuale, uno o più servizi di comunicazione elettronica e apparecchiature terminali. Ipotesi di adeguamento del canone ai prezzi al consumo Una specifica sezione del Regolamento è dedicata poi all'adeguamento del canone sulla base dell'indice dei prezzi al consumo: per i contratti già in essere che non lo prevedono, una proposta di modifica del contratto che inserisca un meccanismo di adeguamento periodico all'indice dei prezzi al consumo dovrà essere espressamente accettata dall'utente; per i contratti che prevedono già un meccanismo di indicizzazione, il conseguente aumento del canone non si configura come una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. Gli obblighi dell’operatore  Una volta prevista l'indicizzazione nel contratto, l'operatore potrà modificare le tariffe esclusivamente in misura corrispondente alla variazione dell'indice annuale dei prezzi al consumo. L'operatore è inoltre tenuto a informare i clienti di tali adeguamenti. L'applicazione dell'adeguamento all'indice dei prezzi al consumo può avvenire, in prima applicazione, solo dopo 12 mesi dall'adesione contrattuale, si legge ancora nella nota Agcom. L'operatore è tenuto a pubblicare sul proprio sito web l'entità della variazione del canone due mesi prima della sua entrata in vigore. La stessa informazione deve essere comunicata all'utente su supporto durevole (ad esempio attraverso un avviso sulla fattura emessa periodicamente) almeno un mese prima della sua entrata in vigore. Trasparenza e comprensibiità Le comunicazioni antecedenti all’adesione al contratto e nel contratto stesso, relative all'adeguamento del canone a causa dell'indicizzazione, devono essere caratterizzate dalla massima trasparenza e comprensibilità in relazione all'indice di adeguamento utilizzato, al mese di applicazione della variazione e alle modalità di comunicazione della variazione.Le informazioni ai consumatori sulla presenza di eventuali clausole di indicizzazione vanno incluse nella descrizione delle offerte commerciali insieme alle condizioni economiche di base delle stesse; vanno inoltre incluse nella sintesi contrattuale e poste in evidenza su tutti i canali di comunicazione, garantendo adeguata evidenza dei canali utilizzati. Consumatori: bene consultazione pubblica ma proposta è insufficiente  «Bene la consultazione pubblica. La proposta dell’Agcom è un passo avanti, ma decisamente insufficiente». Lo afferma in una nota Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. «Abbiamo presentato mesi fa un esposto sia all’Antitrust che all’Autorità delle Comunicazioni contro le compagnie telefoniche che hanno deciso di adeguare il canone sulla base dell'indice dei prezzi al consumo», aggiunge Dona secondo cui «anche se questo regolamento prevede più vincoli rispetto alla giungla attuale, a nostro avviso il Regolamento deve vietare del tutto questa nuova trovata delle compagnie telefoniche fatta solo per spillare soldi ai cittadini, in barba alla trasparenza dei contratti». Read the full article
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scienza-magia · 2 years
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Operato il primo braccio bionico che si controlla con la mente
Dopo incidente un braccio bionico che aggira memoria cervello. A 16 anni l'amputazione, ora vuole diventare prof di ginnastica. Nell'estate del 2020 a 16 anni, a causa di un incidente in moto distante da casa sua a Lugo, nel Ravennate, aveva subito l'amputazione di un braccio. Oggi Davide, nel frattempo diventato maggiorenne, dopo l'applicazione di una protesi alla clinica Maria Cecilia Hospital di Cotignola, sempre nel Ravennate, si è iscritto all'università per diventare professore di educazione fisica. La tecnica neurochirurgica utilizzata su di lui - spiegano dalla struttura romagnola - è la Tmr, una re-innervazione dei muscoli target per innesto di protesi, che consente di aggirare la memoria del cervello per controllare l'arto artificiale. In generale si stima che siano oltre tremila ogni anno i casi di amputazione di un arto superiore in Italia a causa di patologie o per eventi traumatici. L'uso di una protesi richiede però un lungo percorso di preparazione e riabilitazione: la Tmr serve proprio a questo scopo.
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Pioniere nazionale è il neurochirurgo Guido Staffa, del Maria Cecilia Hospital, clinica accreditata con il sistema sanitario nazionale. Negli ultimi quattro anni nel nostro Paese sono stati eseguiti sette interventi di Tmr, tutti dal team guidato da Staffa. Nel mondo gli interventi simili sono finora stati una cinquantina. "La funzione della Tmr è creare i presupposti per l'impianto protesico - osserva Staffa - anni fa ho fatto parte di un gruppo di studio sugli amputati: le protesi elettriche impiantate non venivano utilizzate bene dai pazienti in quanto per eseguire il movimento si devono contrarre muscoli che sono tuttavia deputati a movimenti diversi. Il nostro cervello si rifiuta di usare movimenti diversi da quelli per cui è stato progettato. Da qui l'idea di impiantare i nervi della parte residua all'amputazione, ovvero quelli che rimanevano nel moncone, su questi muscoli per ottenerne l'attivazione. Si aggira così il limite umano". Prima dell'incidente, in moto, ha ricordato Davide, "giocavo a pallavolo, passione che è proseguita giocando a sitting volley, la pallavolo paralimpica. Oggi mi dedico anche agli studi: non potendo fare il poliziotto, il mio grande sogno da bambino, e nemmeno intraprendere una carriera nell'elettrotecnica per i lavori manuali che richiede, indirizzo delle scuole superiori che ho frequentato, mi sono iscritto all'Università per diventare professore di educazione fisica con la speranza in futuro di potere mostrare come la menomazione non costituisca necessariamente un limite e come affrontare un problema ricavandone una nuova opportunità". Read the full article
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levysoft · 3 years
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VOI lo sapevate che in passato il casco non era obbligatorio?
Io, nata nell’anno domini 1984, NO. Per me un mondo senza l’obbligo del casco è come un mondo senza Nutella o senza TV… praticamente IMPOSSIBILE.
Eppure fino alla fine degli anni ’70 in Italia l’utilizzo del casco era pressoché inesistente. Solo nei primi anni ’80 venne richiesta a gran voce una legge che ne imponesse l’utilizzo e nel 1986 arrivò la normativa che ne sanciva l'obbligo, sia in città che fuori, per i passeggeri e i conducenti dei mezzi di cilindrata superiore ai 50 cc e per i minorenni.
La svolta ci fu il 30 marzo del 2000, data in cui il casco divenne obbligatorio per gli over 18 anche sui ciclomotori.
Dal 2000 quindi, per chiunque vada a cavalcioni di un mezzo a motore a due ruote, l’obbligo del casco ALLACCIATO ed OMOLOGATO è legge.
Dagli articoli di giornale di quel periodo (1985 – 2000) si evince quanto, il mondo dell’epoca (parliamo di circa trent’anni fa!), abbia vissuto quel momento storico come una “tragedia”: produttori di ciclomotori in rivolta per paura che il loro business venisse penalizzato dall’obbligo di legge, ragazzi e ragazze indignati per il ciuffo cotonato scompigliato a causa del casco, giornalisti arrabbiati contro il Governo per un “provvedimento inutile che considera gli utenti come incapaci di provvedere a se stessi”.
Parole, parole, parole, ma i fatti? I dati dell’Istituto Superiore di Sanità dell’epoca attestano che dopo l’entrata in vigore della normativa, tra i motociclisti vittime di lesioni al capo, si registrò un calo del 48.6% degli accessi al pronto soccorso e del 50% dei ricoveri e delle prognosi riservate; il Bollettino epidemologico nazionale del Giugno 2001 affermava: “la legge ha permesso, in un anno, di salvare 180 persone, di evitare 350 casi di invalidità grave, con una riduzione complessiva di circa 8.000 ricoveri”.
Oggi siamo pienamente consapevoli del bene che la legge sul casco ha portato.
Ci viene quasi spontaneo chiederci in che razza di mondo barbaro vivessimo prima del 2000!
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avvocatodiprovincia · 3 years
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Storia d’amore e d’avventura o “di quando m’innamorai della Costituzione”
Ero una studentessa di giurisprudenza al primo anno, quando mi innamorai della Costituzione.
Perdutamente.
La storia della nostra Costituzione è un po’ come quella di Indiana Jones e del Santo Graal. Avventura. Azione. Sfida. Incantesimi.
Sì. Davvero.
Immaginateli, i Padri Costituenti.
Uomini e donne di destra, sinistra, centro.
Reduci da una guerra mondiale, da una ancor più dolorosa guerra civile, da vent’anni di regime dittatoriale e liberticida.
Immaginate uomini e donne dalla cultura profonda e dall’intelligenza acuta.
Che stiamo parlando di De Nicola, De Gasperi, Saragat, Gronchi, La Pira, Moro, Nenni, Ignazio Silone, Giorgio Amendola, Nilde Iotti, Palmiro Togliatti, Luigi Einaudi.
Seduti nell’emiciclo, o intorno a tavoli di lavoro.
Consapevoli di quanto dovevano dare all’Italia.
Fondamenta valoriali giuridiche da cui ripartire.
Immaginateli, che si azzuffavano e si scazzottavano (come ebbe a ricordare Scalfaro) ma che, diversi tra loro come più non si può, per il bene superiore dello Stato mediavano tra loro, e creavano una Carta che vieta la ricostituzione del partito fascista; impone a partiti e sindacati di dotarsi di ordinamenti democratici; stabilisce i diritti civili, politici, sociali; afferma il principio della solidarietà sociale, il diritto al lavoro, la responsabilità penale personale, la presunzione di non colpevolezza, il diritto all’uguaglianza, il fine rieducativo della pena detentiva.
Una Signora Costituzione, la nostra.
Antifascista.
E a chi vi dice che non c’è scritto da nessuna parte che è antifascista,
va ricordata una cosa.
Nella nostra Costituzione non è scritto da nessuna parte che è antifascista, perché è antifascista in ogni parte.
Perché è stata creata per reazione al, e come difesa contro il, fascismo.
I Padri Costituenti vollero dare allo Stato la garanzia di non ripiombare nell’incubo da cui si era usciti col sangue di una guerra civile.
La scrissero. E bene, e bella.
La più bella del mondo.
Libera perché ‘votata’ e non ‘ottriata’.
Ottriate, sono le costituzioni concesse dal regnante ai sudditi.
La nostra l’ha scritta l’Assemblea Costituente, e l’ha approvata votandola.
In nome del Popolo.
La nostra Costituzione È del Popolo, che l’ha scritta tramite i suoi rappresentanti.
Ricordatelo.
È nostra.
Siamo noi.
È il Popolo che impone la Costituzione a chi lo governa, non viceversa.
La nostra Costituzione è forte, perché ‘rigida’.
Rigida è, tecnicamente, una Carta Costituzionale che prevede, in sé, meccanismi di difesa per se stessa. Che non è facilmente modificabile.
La Costituzione difende i nostri valori irrinunciabili e ha in se stessa misure di difesa che entrano in azione ogni volta che percepisce un tentativo di modifica, ossia di attacco a quei valori.
Immaginateli, i Padri Costituenti, con ancora ben chiaro il pericolo di una dittatura, che infondono il meglio della propria conoscenza in una Carta e poi vanno oltre.
La proteggono.
CI proteggono.
Proteggono, noi, quelli che verranno, persino da noi stessi.
Consapevoli che non sarebbero vissuti per sempre, consapevoli che il tempo sarebbe passato e i ricordi della tirannia sarebbero sbiaditi, consapevoli che l’autoritarismo è uno stregone che sa assumere forme ammalianti e seducenti contro emergenze angoscianti (sanitaria?, militare?, economica? Fate voi…) i Padri Costituenti regalarono alla loro creatura quello che può essere considerato un incantesimo di protezione, che andasse oltre il loro tempo sulla terra.
Esattamente come il Santo Graal nella Grotta di Petra, nel film di Indiana Jones, la Costituzione dissemina il cammino di chi vuole modificarla, di trappole e difficoltà.
Perché i Padri Costituenti sapevano bene che, per come l’avevano scritta,
chiunque avesse voluto modificarla avrebbe quasi certamente tentato di farlo in senso peggiorativo, restrittivo delle libertà.
E oggi che qualcuno può pensare “senza tutti questi cavilli, combattere la pandemia sarebbe più semplice”, è la Costituzione a ricordarci che sarebbe più semplice, ma assai più pericoloso.
La Costituzione ci mantiene liberi nostro malgrado.
Impedisce che vengano rifiutate, a mo’ di punizione, cure del servizio sanitario nazionale a chi si ammala per propri comportamenti.
Impedisce che qualsiasi emergenza ci privi della libertà, anche quando noi stessi cederemmo a questa tentazione.
E, quando scattano questi meccanismi, penso che quella Carta ricordi le voci, le discussioni, le nottate, le battaglie, dei suoi creatori, affronti la tempesta dell’emergenza, e si prepari a reggerne l’urto.
E, la più bella del mondo, l’urto lo regge.
Così come regge la lusinga dell’autoritarismo (di) comodo.
Come puoi non amarla?
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cinquecolonnemagazine · 3 months
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L'elettorato italiano e le posizioni sui temi cruciali
Durante il recente fine settimana elettorale, l’Osservatorio della Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha pubblicato un'indagine che esplora le connessioni tra orientamento politico, attenzione alla sostenibilità e uso del digitale nella percezione degli elettori italiani. Questo studio fornisce una prospettiva unica sulle posizioni dell'elettorato italiano riguardo temi cruciali come la sostenibilità, il cambiamento climatico, il PNRR, la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale (IA). Cosa ne pensa l'elettorato italiano sui temi cruciali della società odierna? Il Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, Stefano Epifani, ha precisato che questa analisi, basata sui risultati delle ultime elezioni politiche, non è un exit poll, ma rappresenta in modo accurato il punto di vista degli italiani sui grandi temi della trasformazione digitale e della sostenibilità, secondo le loro convinzioni politiche. Epifani ha sottolineato che questo strumento è utile per i partiti sia per sviluppare programmi coerenti con le aspettative degli elettori, sia per supportare la comprensione di temi complessi da parte dei cittadini. Sostenibilità e Digitale: quale correlazione percepita? Gli elettori di centro-sinistra mostrano una forte propensione verso la sostenibilità e vedono la tecnologia come un elemento chiave per raggiungere obiettivi sostenibili, con l'84,4% che riconosce il ruolo della tecnologia. Questo dato è superiore rispetto al 76,2% degli elettori di centro-destra. Il Movimento 5 Stelle si distingue con l'80,7% dei suoi elettori che condividono questa visione, seguito dal Terzo Polo con il 79,8%. Gli astenuti hanno una consapevolezza inferiore, con il 72,6% che comprende l’importanza della tecnologia per la sostenibilità. In termini di comportamenti, il 64,8% degli elettori di centro-sinistra utilizza strumenti digitali per pratiche sostenibili, contro il 31,5% degli elettori di centro-destra. Cambiamenti Climatici: c’è vera urgenza? Il cambiamento climatico è visto in modo diverso dai vari elettorati. Il 79,4% degli elettori di centro-sinistra lo considera una priorità immediata, rispetto al 56,3% degli elettori di centro-destra. Anche il Movimento 5 Stelle sottolinea l’urgenza del problema, con il 69,7% dei suoi elettori che lo considera prioritario. Il Terzo Polo è più diviso, con solo il 51,4% che vede il cambiamento climatico come urgente, mentre il 39,9% ritiene che ci sia ancora tempo per affrontarlo. Tra gli astenuti, il 62,9% lo vede come un problema immediato, mentre un 13,1% lo considera un falso problema. Intelligenza Artificiale: Opportunità e Paure L’IA è vista come un'opportunità e una minaccia. Il 65,3% degli elettori di centro-sinistra crede che l’IA avrà un impatto positivo su economia e società, rispetto al 62,1% degli elettori di centro-destra. Tuttavia, la paura che l’IA possa distruggere posti di lavoro è più alta nel centro-sinistra (63,3%) rispetto al centro-destra (60,1%). Gli elettori del Movimento 5 Stelle sono molto preoccupati per il potere delle piattaforme digitali, con il 71,4% che vede l’IA come un rischio per la democrazia, dato simile al 67,8% del centro-destra e al 71% del centro-sinistra. PNRR: questo sconosciuto La conoscenza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) varia tra i diversi elettorati. Gli elettori di centro-sinistra sono i più informati, con il 54,1% che conosce abbastanza o molto bene il PNRR, mentre solo il 45,9% degli elettori di centro-destra ha una conoscenza approfondita del piano. Il Movimento 5 Stelle ha una buona informazione tra i suoi elettori, con il 53,8% che conosce il PNRR, mentre il Terzo Polo ha la percentuale più alta, con il 67,4%. Gli astenuti sono i meno informati, con solo il 34,4% che conosce il PNRR. Foto di HeungSoon da Pixabay Read the full article
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mezzopieno-news · 3 years
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IL MAGISTRATO E IL CONDANNATO: L’AMICIZIA CRESCIUTA OLTRE LE SBARRE
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Ha debuttato al Festival delle Colline Torinesi, in prima nazionale, l’adattamento teatrale a cura di Simone Schinocca di “Fine pena ora”, racconto autobiografico di Elvio Fassone, ex-magistrato ed ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura, sulla corrispondenza intrattenuta con Salvatore, detenuto che egli stesso aveva condannato all’ergastolo, che è continuata per 34 anni. 
Tra i due si intreccia un dialogo inatteso, con registri che rivelano diverse appartenenze: è una presa di coscienza per entrambi, lettera dopo lettera, uno squarcio sul mondo. È la storia di un’amicizia fuori dall’ordinario e dalle convenzioni, che solo una volta si è tradotta in un incontro di persona. E allora, come suggerisce la drammaturgia, è forse più semplice incontrarsi in sogno, al tempo delle illusioni intatte, e, mentre si sciolgono i nodi (14.000, uno per ogni giorno passato in cella), provocarsi a vicenda per riflettere sul senso della pena, su ciò che rimane quando la libertà è tolta (speranza? dignità?), sulla sete di vita che vince l’inedia, sul desiderio di azzerare e ricominciare, su quanto l’intorno modelli le nostre scelte: “se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia”, scrive Salvatore al “Presidente”.
Un’opera che scuote e commuove, che fa emergere le contraddizioni e mette al centro l’uomo, in tutto il suo smarrimento, al di là del bene e del male. Perché “Mai un uomo, o un atto, è tutto samsara o tutto nirvana”: non a caso Fassone scelse di regalare “Siddharta” a Salvatore, 38 anni fa.
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Fonte:  Fine pena: ora - 28 ottobre 2021
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monicadeola · 3 years
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Se si dice «neuropsichiatria infantile», in Italia e non solo in Italia, si dice Michele Zappella. A 85 anni, il grande medico toscano che divenne famoso negli anni ‘60 e ‘70 per l’impegno contro le classi differenziali — un ghetto per i bambini meridionali — e poi per aver scoperto un paio di sindromi cliniche che ne hanno fatto un’autorità internazionale negli studi sull’autismo, continua il suo viaggio nell’infanzia e per l’infanzia con una passione e un’energia che impressionano. Quest’anno ha appena pubblicato per Feltrinelli un nuovo libro, Bambini con l’etichetta, in cui si schiera contro il dilagare di diagnosi che finiscono, avverte, per creare nuove condizioni di emarginazione. Sono appunto «etichette», è la sua denuncia, che si appicciano addosso al bambino e l’accompagnano fino al suo ingresso nel mondo del lavoro. Troppo spesso dei ritardi, se non delle «transitorie timidezze», vengono a suo avviso confusi per disturbi, dislessia, discalculia, iperattività, fino all’autismo. E queste diagnosi sbagliate vengono anche rese pubbliche, così le etichette diventano sentenze. Parlando con Anna Stefi per una splendida intervista pubblicata da Doppiozero, il vecchio «zio Michele», come si fa chiamare dai bambini che ancora cura — o come a loro si propone quando non parlano — arriva a dire che con la pandemia a molti bambini è andata meglio, perché sono stati di più con i genitori e si sono evitati diagnosi sballate. Diagnosi la cui pubblicità, oltre che gli errori di merito, non si stanca di contestare: «La diagnosi, che è qualcosa di estremamente delicato, non resta tra la famiglia e il professionista, come invece dovrebbe. Certo poi si tratta di capire cosa fare della diagnosi rispetto al bambino, ma che la diagnosi venga conosciuta da tutti a scuola, anche dai compagni e dalle compagne, proprio in quel luogo dove sviluppano la loro socialità, è qualcosa di gravissimo ed è quel che porta al trasformarsi della diagnosi in etichetta, cioè descrivere una persona per un aspetto della sua personalità, un aspetto negativo. Le diagnosi nel contesto scolastico dovrebbero rimanere estremamente riservate. La conseguenza, altrimenti, a partire dai più piccoli, è che l’etichetta viene interiorizzata, i pregiudizi si diffondono, l’ascolto di quel particolare bambino, non riducibile alla diagnosi che è stata fatta, diventa difficile». Poi evidentemente c’è l’altro problema, quello del merito delle diagnosi: «Su cinque bambini che sono indietro nella lettura, indistinguibili tra loro da un punto di vista fenomenico, uno solo tra loro è dislessico, gli altri sono ritardi di lettura dovuti a problemi ambientali o a ragioni differenti. In questo proliferare di diagnosi di dislessia il messaggio che arriva dalle nostre istituzioni agli insegnanti è che dislessia, discalculia, disgrafia, sono caratteristiche biologiche dell’individuo e che, come tali, rischiano di perpetuarsi e vanno gestite in terapia. Si tratta di qualcosa di completamente errato, che toglie alla scuola uno dei compiti principali: insegnare, leggere e fare di conto. Alla scuola questo si chiede, togliere questi strumenti è grave e se ne vedono le conseguenze: se andiamo a vedere le statistiche, sul piano dell’insegnare a leggere, l’Italia è tra gli ultimi paesi, è un paese dove i ragazzi che entrano nella scuola superiore non comprendono un testo». Così, come rileva l’intervistatrice, che nella scuola lavora, c’è il rischio che noi genitori ci siamo adagiati troppo sulla richiesta degli strumenti compensativi e dispensativi previsti dalle diagnosi e che, tra mappe cognitive e interrogazioni programmate, riducono l’impatto con la fatica. Vale per gli adolescenti come vale, sottolinea Zappella, per i bambini: «Il problema di fondo lo leggo in questa maniera: succede ora e non succedeva decenni fa, e questo a mio avviso è un cambiamento di cultura. Cosa è accaduto? La cultura nei riguardi dei bambini e degli adolescenti è cambiata nella direzione di quello che si potrebbe chiamare “la caccia al diverso”, “troviamo la diversità”: inizia con i BCE, poi con i DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento), e così via. Gli stessi genitori si trovano a percorrere questa direzione». A Zappella, inevitabilmente, questi percorsi ricordano l’esperienza che l’ha reso celebre: «Ricordo benissimo i tempi delle classi differenziali e speciali. Mi sono trovato protagonista nel favorirne la chiusura e in quell’epoca, prima metà degli anni Settanta, quello che facevo era di andare nel territorio, tra Siena e Firenze. Nelle scuole si tenevano delle assemblee molto partecipate, con anche cinquecento persone. In queste assemblee non intervenivano i genitori ma i cittadini, intervenivano perché era apparso chiaro in quegli anni che nelle classi differenziali andavano i figli dei poveri, in particolare i figli degli immigrati interni, quelli che si muovevano dal sud al nord, che parlavano dialetto e provenivano da famiglie analfabete e che davanti ai test collettivi non rispondevano perché faticavano a capire il tema e dunque la diagnosi prevalente era il ritardo mentale». La chiusura delle classi differenziali liberò risorse, spazi e insegnanti specializzati che furono così indirizzati su bisogni reali: «Un esempio è quello dei bambini sordi, che hanno bisogno di un insegnamento che dura un certo periodo di tempo e li conduce a padroneggiare l’italiano: vi erano classi particolari in cui i bambini sordi portavano avanti questo lavoro, affiancato a momenti in cui stavano con i compagni. Quando poi acquisivano la lingua venivano reintegrati totalmente. Gli insegnanti specializzati intervenivano con i sordi, con i ragazzi in difficoltà, ma non c’era una diagnosi pubblica». Ma tutto questo, sostiene lo psichiatra, è stato a suo volta compromesso dalla sostituzione delle assemblee di «genitori cittadini» con i «rappresentanti dei genitori», e dalla conseguente diffusione delle diagnosi. C’è poi un altro tema — un’altra conseguenza — che Zappella affronta con grande forza nel libro, ed è quello del bullismo: «Il nostro Paese è uno di quelli con più elevato livello di bullismo, percentuali vicine al 50% secondo alcuni studi di inizio millennio. Il termine venne introdotto nel 1974 da un pedagogista norvegese, Dan Olweus dopo che tre ragazzi si erano uccisi. Olweus ha introdotto anche delle strategie antibullismo che attualmente vengono messe in atto a livello nazionale nei Paesi scandinavi. Una delle frasi di Olweus che mi trova molto d’accordo è che dove c’è bullismo non c’è democrazia: se lei ha un figlio che a scuola incontra episodi di bullismo, le pare che possa dire di essere in un paese democratico? Un paese che non rispetta bambini e adolescenti non è un paese democratico, è una finzione». Le «strategie antibullismo» prevedono l’isolamento del bullo e il confronto con lui, con modalità diverse a seconda dell’età: «Generalmente con i bambini più piccini è più facile persuadere il bullo che lui ha delle qualità sociali con cui può rendersi utile. Con gli adolescenti può essere più difficile, possono essere più tosti, dunque il discorso può esser concreto e anche duro: se vuoi ci siamo, se non vuoi, ci rivediamo tra una settimana». Anche il fallimento della lotta al bullismo Zappella lo imputa alla sostituzione delle assemblee con i rappresentanti: «Cosa fanno gli insegnanti in queste situazioni? Situazioni in cui magari i rappresentanti dei genitori sono proprio i genitori del bullo, genitori pronti a minacciare la denuncia al Tar? Molti insegnanti stanno sulle loro, non esiste una direttiva chiara in questo senso». Il «punto chiave», per ognuno di questi aspetti, è che per i genitori è difficile accettare la difficoltà dei figli. Diventa la loro frustrazione e non riescono a sopportarla: «Il collegamento importante è quello sui valori della società dei consumi, quali valori? Se devi entrarci, devi avere due qualità: saperti relazionare bene e leggere e scrivere e fare di conto. Se poi sei troppo irrequieto non va bene, perché sei impulsivo, e nemmeno se sei troppo silenzioso. Da parte dei genitori il problema quale è? Il genitore pensa che il suo obiettivo sia innanzitutto avere il minor numero di problemi e dunque moltiplicare gli interventi attorno al proprio figlio è garanzia di questo. Questa impossibilità di tollerare le difficoltà ha note molto drammatiche, la diagnosi di autismo, per esempio, ha ricadute sulla famiglia devastanti e 50 anni fa non era così. Quattro madri su cinque vanno in depressione e dopo un anno e mezzo la depressione si riscontra ancora: si tratta di depressioni pesanti, che spesso portano anche la famiglia a non reggere». Ma resta il fatto che molte diagnosi sono sbagliate perché non si interviene nel modo giusto nel momento decisivo: «Generalmente il problema si pone intorno ai due anni, i bambini a due anni che rapporto hanno con un adulto? Un bambino di due o tre anni, che non parla granché, ha un altro tipo di comunicazione, una comunicazione nella quale vuole essere rassicurato e divertito. Ogni bambino ha la sua, ci sono bambini più visivi, bambini più musicali. Io spesso borbotto motivetti musicali. Questo passaggio è necessario per creare un’alleanza e l’alleanza è essenziale per capire chi è il bambino che mi trovo davanti. Un altro elemento fondamentale è accogliere i bambini con il loro nome e in un ambiente pieno di giocattoli, distribuiti con sapienza, giocattoli che devono essere presentati a lui come fossero lì per lui. È essenziale che il bambino si senta protetto, in un ambiente sicuro, solo in questa situazione possiamo capire chi sia davvero. I bambini visitati nella corsia di ospedale sono allarmati, mica sono scemi! Sentono l’allarme dei genitori e dunque se ne stanno sul chi va là». E allora, meglio «dimenticare la diagnosi e parlare con i pazienti. Le bambine con Sindrome di Rett, per esempio, sono bambine che non parlano e non parleranno mai, quale è il senso di descrivere ai compagni le caratteristiche e le conseguenze della malattia? Si tratta di bambine che molto spesso si incantano con Mozart, comunicano con la musica. È essenziale vedere questo, vedere il rapporto con l’altro in questa direzione. Le diagnosi cancellano gli aspetti positivi». Alla fine , c’è il senso di una missione che i grandi medici trasmettono in un unico modo, l’esempio instancabile e divertito: «Quando vedo questi bambini di due o tre anni e faccio il pagliaccio io vedo un candore che trasmette un’energia che dura giorni e giorni, e insomma il problema è di mettersi dalla loro parte. Non è tanto facile, ma è possibile. Mi dispiace che il nostro Paese culturalmente sia un po’ tagliato fuori dall’Europa, non c’è comunicazione tra i discorsi educativi, non circolano. Ma io voglio pensare in modo positivo, bisogna battersi, no?».
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