Tumgik
#Le Luci della Città
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salto nel vuoto, vieni con me?
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cercamiinunsogno · 1 year
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È un mondo fatto per due
Come le selle delle moto
Come le stelle se le guardi sola
Non è uguale senza di me
Guarda da qui le luci della città
E non capisco dove sia casa mia
Mi chiedevo se
Salto nel vuoto, vieni con me
Guarda da qui le luci della città
E mentre i taxi vanno via
Hai detto che eri solo mia
Mi chiedevo se
Vanno via tutti resti con me?
Vanno via tutti resti con me?
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yomersapiens · 4 months
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Ratti auguri di buon Rattale!
A Vienna si calcola esistano una cosa come tre milioni di ratti che vivono nel sottosuolo della città. C'è un tour che ti fa esplorare le complesse linee fognarie dove ti raccontano di tutti questi ratti che girano. Tre milioni di ratti sono quasi due ratti a testa per ogni abitante della città. Quindi, in un mondo perfetto, questo Natale in casa saremmo in quattro: io, Ernesto e due ratti. I due ratti durerebbero poco. Uno Ernesto se lo mangerebbe in un secondo. L'altro lo difenderei a spada tratta e diventerebbe il mio alleato eterno e lo chiamerei Ratteo, così, per avere un essere vivente a cui tramandare quello che ho imparato durante la mia esistenza.
Ho deciso di passare il Natale lontano dall'Italia perché negli ultimi mesi sono stato troppo in giro e mi stavo dimenticando di uno dei valori principali su cui è fondata la mia stabilità: la solitudine. Ho fatto in modo di andare a cena da mio fratello molto molto presto, per essere in grado di finire prestissimo e tornare a casa quando il resto delle famiglie si stanno sedendo a tavola. È stupenda Vienna quando in giro non c'è anima viva. O per meglio dire, quando in giro ci siamo solo noi immigrati, senza famiglia, senza nessuno. No ok io ho un gatto e un ratto a cui sto insegnando tutto di me e che spero un giorno prenda il mio posto nella società. Lo vestirei con i miei stessi abiti. Forse gli farei pure gli stessi tatuaggi.
Vienna di per sé non è mai troppo affollata, c'è da dire. Ma vederla ancora più deserta del solito è rinvigorente. La solitudine che tanto mi manca è ovunque. Il bus si muoveva sinuoso tra le strade senza l'ombra di una macchina in movimento. I semafori lampeggiavano sincronizzati con le luci degli alberi negli appartamenti di chi non vedeva l'ora di festeggiare. Tante lingue diverse. Del tedesco neanche una lontana eco. Prima di rientrare sono passato dal supermercato turco, loro sono sempre aperti. Ecco un altro pilastro della mia stabilità. Due ragazzini prima di me stavano comprando quella che penso fosse la loro cena natalizia. Una confezione di pane da toast, del formaggio già tagliato a fette, del prosciutto, qualche sacco di patatine e una marea di coca zero. Quanto li ho invidiati. Non dovevano essere di qua, intendo abitanti della zona. Avevano l'aspetto dei turisti. Erano giovani, vestiti male, capelli orrendi, con pochissimi soldi ma stavano avendo la serata che vorrei tanto aver avuto io con te. In una città di cui non sappiamo niente, in un momento in cui tutti si ricongiungono con i familiari, noi, andare via da tutto e avere tutto quello che ci serve tra i filamenti del formaggio sciolto del toast. Unica differenza, lo si farebbe senza prosciutto, che lo diamo a Ernesto e Ratteo.
Quando ottieni quello che hai sempre voluto è il momento in cui ti rendi conto di quanto era bello semplicemente desiderare, senza le responsabilità che derivano dall'ottenere. La felicità è un atto di responsabilità e va difesa. Devi lavorare ancora più di prima per mantenerla. Consuma un sacco. Ha sempre fame. Ci mette un attimo ad ammalarsi e deperire e mutare e non appena diventa anche solo di un gradiente meno luminosa ecco che pensi di averla persa. Sono successe tante cose in questo anno terribile che mi hanno reso felice e solo dire la parola "felice" mi fa sentire sporco perché quella voce che costantemente urla in testa "tu non meriti di essere felice!!!" non è che ha smesso di urlare eh, continua a farlo, ma vedendo che un pochino io sono sereno ha fatto il broncio, incrociato le braccia, sbattuto forte i piedi per terra e si è andata a mettere in un angolo del cranio a escogitare un piano per farmela pagare.
Ho lavorato tanto in questi anni e neanche me ne sono reso conto. Tutte le volte che venivo qua a scrivere mi stavo preparando per fare qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadere. Non ho la forza ahimè, per raccontare la mia storia a tutti, ancora, cosa che dovrei fare dato che devo andare in giro e promuovere la mia carriera di autore e spiegare pure tutte le altre attività che svolgo e cercare di sembrare interessante e intelligente e sagace e invece sono solo a pezzi e la socialità mi esaurisce.
Questo Natale lo sto passando come John McClane. Decisamente lurido e unto, senza scarpe, con un gran mal di testa, chiuso nel condotto di areazione mentre scappo da tutti. Mi farei portare di tanto in tanto qualche biscottino da Ratteo ma poi come cacchio riesco a strisciare fuori da qua dentro. La mia pancia ha raggiunto livelli che mai avrei pensato potesse raggiungere e il bello è che non mi interessa minimamente. Solo quando mi allaccio le scarpe dai, lì un po' intralcia. Non mi interessa perché sono entrato nei quaranta e finalmente "ho dato". Posso dirlo con fierezza. Ho dato. Ora tocca a qualcun altro darsi da fare ed essere bello e atletico e magro e muscoloso e pieno di talento io, ho dato. C'ho provato. Ha funzionato per un frangente e poi ha smesso e ho passato anni a cercare di rimanere come nei miei ricordi finché non mi sono reso conto che ero rimasto fermo. Bloccato. E non nel sistema di areazione come questa notte.
Ernesto non è più abituato a guardarmi scrivere, in effetti sono passati parecchi mesi. Non riuscivo più ad avvicinarmi a una tastiera se non per piccoli frangenti di tempo. Per rispondere a delle mail o per digitare nel motore di ricerca la categoria con la quale mi piacerebbe masturbarmi. Ernesto mi ha attaccato un piede, segnale che non accetta io sia distratto e che non lo stia degnando delle attenzioni che ritiene di meritare e meno male che non mi stavo adoperando per masturbarmi altrimenti sai che dolore se mi avesse addentato altro. Tipo il piccolo Ratteo che ho tra le gambe e che, nonostante la pancia sia cresciuta, resta sempre delle stesse dimensioni contenute.
Lo psicologo l'altro giorno mi ha chiesto cosa vorrei fare se scoprissi che in sei mesi tutto sarebbe finito. Gli ho chiesto cosa intendesse con tutto. Ha risposto tutto. Tu, il mondo. L'umanità: tutto. Anche la mia famiglia? Sì, anche la tua famiglia. No aspetta ma quindi anche mio nipote? Sì, anche tuo nipote. Cercherei di salvare la mia famiglia. Ha detto che non potrei farci nulla. Allora ho detto che andrei per strada e urlerei a tutti che il mondo sta per finire e che mancano solamente sei mesi anche se poi sembrerei uno di quei pazzi che urlano che siamo fottuti con un cartello scritto male e un cappello di stagnola e che quando li becchi mica gli dai retta, pensi che siano pazzi e torni a casa e te ne dimentichi mentre cerchi qualcosa di nuovo con qui masturbarti. Mi ha detto che non posso dirlo a nessuno, che sono l'unico ad essere informato e devo tenermelo per me. Allora ho pensato davvero a cosa avrei voluto fare, ma c'era un'altra domanda da porgli. Dovrei continuare a prendere farmaci oppure sarei senza la mia malattia? Ci ha riflettuto un attimo e poi mi ha fatto un grande dono. Saresti senza. Allora ho elencato tutti i posti che vorrei vedere e le cose che vorrei fare e il Giappone e nuotare con le balene e i cibi che vorrei mangiare e le droghe che vorrei provare per poi finire dicendo che un mese lo vorrei passare abbracciato a mio nipote, che non capirebbe e anzi, probabilmente mi caccerebbe via dicendo "zio Pattejo coza fuoiii" però a me andrebbe bene lo stesso. Voi cosa fareste, se rimanessero solo sei mesi?
Mi mancava la solitudine e sentirmi solo e parlare da solo e scrivere in questa condizione di silenzio totale. Nel palazzo di fronte non c'è nessuna luce accesa. Forse sono tutti usciti per cena o forse sono tutti rientrati nei loro paesi di appartenenza. Se ancora sono a Vienna è per questo motivo, da nessuna altra parte del pianeta riesci a sentirti così solo come qua. Per questo poi ti affidano due ratti.
Ernesto si è appallottolato sul divano. Ratteo si è addormentato sulla mia spalla. Spengo le luci, apro i regali che mi sono fatto e aspetto sia domani. È un Natale bellissimo ma sarà ancora più bello quando potremo farci dei toast insieme e raccontarci cosa ci ha insegnato il silenzio.
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angelap3 · 1 month
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Quando Albert Einstein e Charlie Chaplin si incontrarono nel 1931, Einstein disse a Chaplin:
"Quello che ammiro di più della tua arte è la sua universalità. Non dici una parola, ma il mondo ti capisce."
"È vero." Rispose Chaplin, "ma tu sei ancora più da ammirare. Il mondo intero ti ammira, ma nessuno ti capisce."
Nel gennaio 1931 in California, al Los Angeles Theatre, ebbe luogo la prima di "Luci della città", film muto scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin, autore anche delle musiche. Tra gli spettatori Einstein e la moglie Elsa. Quando si incontrarono, alla fine del film, le due menti geniali si scambiarono quelle due battute passate alla storia.
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neropece · 20 days
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“the chinese dress” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Le strade lastricate di ciottoli grezzi e le facciate logore dei palazzi antichi costituivano lo sfondo mutevole per la sua passeggiata senza meta. Lei, una figura solitaria in un abito cinese bianco ornato da eleganti pavoni colorati, si muoveva con una grazia discreta, i suoi lunghi capelli lisci e neri scivolavano lungo la schiena come un fiume d'ebano.
Nessuno poteva dire chi fosse o da dove venisse. La città, con la sua atmosfera intrisa di storia e di segreti, sembrava accoglierla con un sussurro sommesso di benvenuto. Era come se fosse destinata a vagare tra le strade tortuose, un'estranea ammaliante in un mondo di sogni e illusioni.
I suoi passi erano misurati, una danza silenziosa tra i vicoli tortuosi e le piazze affollate. Non c'era fretta nei suoi movimenti, solo una calma contemplativa mentre assorbiva l'atmosfera della città che viveva e respirava intorno a lei.
Attraversò antichi vicoli lastricati, dove le pietre portavano i segni indelebili del tempo. Il profumo del pane appena sfornato si mescolava con l'odore pungente del caffè, che si alzava dalle piccole caffetterie nascoste tra gli edifici storici. La vita quotidiana pulsava nelle strade, una sinfonia di voci, odori e movimenti che creava un tappeto vivente sotto i suoi piedi.
La donna bruna si fermò di fronte a una chiesa antica, le sue guglie si stagliavano contro il cielo color turchese. Un sorriso sottile sfiorò le sue labbra mentre osservava i dettagli scolpiti nella pietra, testimoni silenziosi di secoli di storia e devozione umana.
Continuò il suo cammino, incrociando sguardi fugaci con gli abitanti della città. Ogni sguardo raccontava una storia, un frammento di vita vissuta, di speranza e di dolore. C'erano occhi luminosi pieni di gioia e occhi stanchi segnati dalla fatica, ma tutti parlavano lo stesso linguaggio universale dell'umanità.
La luce del pomeriggio si attenuava gradualmente mentre la donna bruna si avvicinava al fiume che attraversava la città. Le acque scure riflettevano timidamente i raggi del sole, creando un gioco di luci e ombre sulle sue sponde. Si sedette sul parapetto di pietra, lasciando che il suono rilassante del flusso d'acqua cullasse la sua mente.
Chissà cosa avesse portato quella donna bruna nelle strade di quella città? Forse era alla ricerca di qualcosa o forse semplicemente seguiva il flusso della vita, senza sapere cosa il destino avesse in serbo per lei. Ma in quel momento, sotto il cielo che si tingeva di arancione e rosso, accanto al fiume che scorreva placido, era semplicemente una presenza, un'anima in viaggio nel labirinto delle esperienze umane.
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occhietti · 5 months
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CITTÀ ETERNA
Lungo il Tevere
cammino
mentre le acque del fiume
s’illuminano
di luci della città.
Tra le strade
ed i vicoli
ancora pieni di gente
musiche e parole
che colmano l’aria.
Marciapiedi
e piazze gremite
artisti di strada a dipingere
mentre la luna curiosa
s’infila tra vicoli e attici.
Tutto illumina
anche le illusioni nascoste.
Un malinconico sguardo
al passato
mentre al futuro
sorrido.
La città dove vivo.
- Antonella Ariosto, Vite in equilibrio in… stabile
La città dove vivo... Tevere al tramonto...
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libero-de-mente · 9 months
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𝗪𝗲𝗲𝗸𝗻𝗱 𝗰𝗼𝗻 𝗶𝗹 𝗺𝗼𝗿𝘁𝗼
Weeknd avete letto bene, no non è un errore. Niente titolo di un film del 1989. Weeknd è un cantate e il morto sono io.
Ora mi spiego.
Figlio 2 insieme alla sua Rebecca decidono di andare a un concerto, il concerto di Weeknd a Milano per l’appunto, in una serata di luglio rinfrescata dalle tempeste monsoniche dei giorni precedenti.
- Pa’
- Dimmi Gabriele
- Domani c’è il concerto, potresti venirci a prendere?
- Ci mancherebbe certo che sì
Furono le mie ultime parole famose, del resto lasciare due ragazzi diciottenni in piena notte ostaggio dei mezzi pubblici, non proprio vicino casa, non mi andava.
I ragazzi si alzano presto, l’andata al concerto sarà autonoma: treno, metro e poi una camminata di mezz’ora. Partenza la mattina presto, ore 7:00, per un concerto che inizierà alle ore 21:00.
Come sempre i messaggi su WhatsApp durante il giorno piovono a catinelle. In realtà da parte mia, da parte sua sporadici messaggi da decifrare. Manco stesse usando un dispositivo elettromeccanico di scrittura crittografata degna della famosa “Enigma”. Così si succedono risposte del tipo:
“Ben”
“Ok, arrivat”
“A post”
“Fa hot”
“Cojon”
“So seduto”
“Mo eating”
“Mo drinking”
“Mo piscing”
“Mo ‘nizia”
Mi sembra di chattare con Cattivik, il personaggio di un fumetto che si mangiava le lettere finali, eppure studia, ha anche dei bei voti, ambisce alla carriera lavorativa nel campo della medicina.
Mi immagino se fosse medico: “Rott falang, mo gess e ripos così impar. Statt attent la pross volt, cojon”.
La sera parto con anticipo per andare con calma e senza correre a recuperare Gabriele e Rebecca. Autostrada e arrivo alla zona del concerto a Milano abbastanza tranquillo. Mi posiziono fuori dall’auto appoggiandomi a essa, si sente chiaramente il concerto. Sono molte le auto parcheggiate in quella zona, tutte contengono almeno un genitore in attesa.
Li vedi subito quelli abituati ai concerti, hanno l’aria sicura e scommetto che hanno preparato il giusto ristoro e il kit da viaggio di rientro per i ragazzi che attendono (cosa che ho capito dopo e lo leggerete). Poi ci sono quelli social, che condividono l’attesa facendosi selfie e go go, oppure postando storie dove riprendono sullo sfondo le luci e i suoni del concerto. Si sentono giovani.
Poi ci sono quelli come me. I novelli. Quelli che si chiedono se la posizione trovata è strategica, se si fosse potuto fare di meglio. Mille dubbi.
Mentre osservo questo mi si avvicina un padre della mia categoria
- Scusa sai se il concerto è da quella parte? – darsi del tu in queste occasioni è alla base per sopravvivere all’ansia della prima volta.
- Si si, è di là.
- Ho usato questa diavoleria della geo localizzazione su WhatsApp mi troveranno?
- Fidati, quelli vivono di geo localizzazione. La usano anche per trovarsi in casa “Dove sei?”, “In cucina, aspetta che mi geo localizzo”.
- Davvero? – occhi sbarrati.
- Ma no scherzavo, ti troveranno questi sono il loro metodi per ritrovarsi anche in paese.
- Ah certo, noi dovevamo girare per le vie della città col motorino per trovare la compagnia se arrivavi in ritardo, te lo ricordi anche tu?
- Si, solo che io non li trovavo mai.
- Perché?
- Perché si nascondevano da me.
- Ah ah ah, bella questa. Sei un tipo a cui piace scherzare.
- Sono serio – il suo volto si pietrifica come se fosse stato colto da una paresi. Il suo imbarazzo e percepibile.
- Ehm, io ho qua due figlie tu?
- Figlio 2 maschio e la sua compagna.
Ed è in quel momento che dalle mie spalle, zona concerto, si sente un fortissimo “Grazie MiLLanoH!”.
Ok, il concerto è finito, io e l’altro genitore vergine di concerti ci guardiamo. Come a dire sei pronto? Con cenni da Marines, in silenzio indichiamo da dove potrebbero arrivare.
Passano pochi minuti e i primi ragazzi che hanno partecipato al concerto si palesano. Arrivano da lì, ma anche da là e pure da quell’altra parte. Siamo circondati. In breve l’orda di gnu che attraversa il Serengeti è arrivata.
Cominciamo a girare con la testa come se fossimo gufi, lui si alza sulle punte dei piedi.
Lo guardo, mi guarda – Sembri Roberto Bolle sulle punte – gli dico.
- Eh, le mie ragazze non sono molto alte, tuo figlio è alto?
- Non l’ho più misurato ma credo che sia 1,87 cm – dico con orgoglio.
Ma lo sguardo di quel padre che mi squadra come a dire “l’altezza non è il tuo forte, di sicuro avranno preso da tua moglie”, mi mette in ginocchio.
Arriva Gabriele e saluto padre ansioso un po’ stronzo con la mia altezza, augurandogli buona fortuna.
- Pa’ diciotto minuti di cammino, non potevi avvicinarti? – le prime parole di Gabriele
- Gabriele era tutto strapieno, anche il parcheggio di Lampugnano era pieno.
Ripartiamo.
Percorro cento metri. E lì ci rimango per un’ora abbondante, tutto bloccato sia sulla mia carreggiata che sull’altra. I ragazzi dopo avermi raccontato, soprattutto Rebecca, del concerto crollano nel sonno più profondo. Neanche lo strombazzare di genitori impazienti e arrabbiati li sveglia. Cavolo suonano il clacson, la coda non ha fine con chi se la prendono? Con un semaforo o un incrocio che crea colonne di traffico a due chilometri?
La gente continua a sfilare camminando sulla destra, dalla sinistra e pure in centro tra le due corsie di marcia. Alcuni ragazzini molto giovani sono stati accompagnati al concerto dai genitori. Li vedo molto provati sul volto.
Se lo avessi fatto io sarei sembrato Bob Dylan al concerto di Gigi D’Alessio. Un estraneo.
Sono stanco, stanco morto quando finalmente ho raggiunto la tanto agognata tangenziale.
L’ingresso all’Autostrada è chiuso per lavori in corso. Rabbia.
Deviazione su altra autostrada ma per arrivarci devo percorrere una tangenziale trafficatissima dove una corsia è chiusa per lavori in corso.
Sono più morto di prima.
Esco nelle zone di Monza. La circumnavigo e per altre chiusure per lavori notturni viaggio per paesi e comuni diversi attraverso strade provinciali. Vedo strade da 50 Km all’ora, prostitute, gente che barcolla ubriaca e l’orologio che indica le 3:00 del mattino.
Ricordo il tempo delle strade secondarie percorse il mattino presto e di musica condivisa con amici, mentre si tornava dalla discoteca. Avevamo ancora voglia di spaccare il mondo. Oggi vorrei spaccarmi a letto.
Arriviamo a casa che sono le 3:35, penso che alle 6:00 dovrò svegliarmi. Sveglio i ragazzi, e Gabriele nota subito l’orario – Papà perché così tanto tempo? –
- È stato un viaggio un po’ complicato. Domani ti spiegherò. Ora andate a dormire? – più che una domanda era una preghiera.
Sento la sua voce, quella di Rebecca che si rivolge a me sempre come se fossi un padre. La figlia che non ho me la ritrovo in lei – Io ho un po’ di fame – mi dice scusandosi con i suoi dolci occhi.
Hanno fame, si vede. In casa tutti gli altri esseri viventi dormono di un sonno profondo, preparo loro da mangiare e li saluto. Guardo l’orologio. Due ore. Me le farò bastare. Perché per loro mi farei anche la notte in bianco, morto (di sonno) ma felice.
Cerco di fare pensieri felici prima di addormentarmi e penso a loro due. Penso alla battuta di Gabriele che rivolgendosi a Rebecca gli ha detto – Mio padre quando andava ai concerti suonava ancora Beethoven.
Beethoven, me lo immagino a un suo concerto in chiave moderna:
- Siete caldi?
- Siiiiiiì!
- Non vi sento!
- Siiiiiì!
- Non vi sento, sono sordo! Ahahahahah!
Ok meglio dormire. Sono morto di sonno con Weeknd. Può bastare.
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mucillo · 2 months
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Mettere ai tuoi nudi piedi tutto questo mondo terribile
dove il cantante di strada col cappello teso ci evita,
dove angeli con impermeabili consunti e laceri
vagano lungo i marciapiedi sotto una pioggia funebre.
Sotto una pioggia funebre, sulle pietre della città,
mettere la legge di tutte le leggi e il segreto della creazione,
tutto questo assurdo mondo pieno di luci artificiali,
dove tu e io viviamo bisbigliando i nostri desideri.
Sono sola al mondo e non c’è un’altra me,
sei solo al mondo e non c’è un altro te,
e in noi c’è un amore unico, amico mio caro,
fino alla morte, fino alla fine. E poi ancora
dopo la morte.
Nina Berberova 1926
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salto nel vuoto, vieni con me?
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littlepaperengineer · 2 months
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È un mondo fatto per due, come le confezioni dello yogurt...
Dentro l'amore c'è una punta d'odio, e viceversa.
Guarda da qui le luci della città, e non capisco dove sia casa mia mi chiedevo se...
... salto nel vuoto vieni con me.
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c3ss4 · 4 months
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almeno una volta al giorno penso alle mie passate frequentazioni e al fatto che abbiano fatto di tutto pur di impressionarmi. per farvi qualche esempio, manuèl in meno di un paio di mesi mi aveva regalato un diamante e una volta ricordo mi avesse portato in uno di quei ristoranti in cui i camerieri ti chiedono il nome “per rendere l’ esperienza più personale”. mi portava spesso al mare e non mi faceva mai alzare un dito. poi c’è stato luigi. una sera aveva ricreato la mia scena preferita del mio film preferito. mi aveva portato sul porto, aveva preso due pizze, un binocolo e ce ne stiamo stati lì, in silenzio, ad osservare le luci della città. mi comprava sempre il mio lambrusco preferito e cucinava per me. lorenzo non mi conosceva da nemmeno una settimana e si è fatto chilometri e chilometri solo per vedermi. ma nulla di tutto questo mi ha mai fatto scattare qualcosa. certo, ero lusingata. a volte intenerita. eppure sentivo che mancava qualcosa. a dire il vero mancava tutto. con pietro invece è venuto da sè. senza sforzi. passeggiavamo in tondo per ore e ore, parlando del nulla e ridendo per tutto. ci sedevamo su una panchina a fumare, oppure ci sdraiavamo sul prato e ci fissavamo in silenzio. avevo sempre una sensazione di svenimento quasi, una sorta di formicolio al petto che mi faceva sudare le mani e mi arrossiva le guance. una felicità contagiosa, che mi contorceva un po’ le budella e mi stringeva il cuore fino a farmi credere di non respirare. abbiamo aspettato sei uscite prima di poterci sfiorare. temevo che se mi avesse baciato sarebbe tutto finito. avevo paura che si tirasse indietro. non lo fece. continuava ad avvicinarsi ed io a nascondermi. entrambi ridevamo forte. “dove scappi?” mi diceva. e poi mi baciò, e facemmo l’amore sul prato bagnato. ero sporca di terra e si congelava, ma non potevo essere più felice.
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yomersapiens · 1 year
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Il muro del piantala.
Uno poi si dimentica che esistono i colori, nelle giornate sempre uguali, dominate dal grigio. I miei occhi non aiutano ma li imbottisco di farmaci così da farli stare calmi. Ho visto il sole ed è stato come incontrare un vecchio amico che se ne era andato via in erasmus. Tornare in Italia è questo. Le feste comandate e ignorare il telefono e le persone che vogliono festeggiare insieme a te. Ho fatto piangere mia madre per quello che sono diventato: un muro. Ma io non riesco a cambiare oramai. Dieci anni di solitudine e non mi viene da raccontare come sto, lo tengo per me, lo scrivo nel diario e poi lo dimentico. L'ho gettato fuori, non mi appartiene più. Tutto quello che scrivo è un rito di espulsione. È difficile starmi vicino, l'unica cosa che sembra non aver paura di me è la mia malattia cronica ecco, lei proprio non si annoia mai e anzi cerca sempre di saltarmi addosso in ogni momento, che birbante!
Ho parlato con mio nonno. Era intento a raccontarmi l'ennesima storia che conosco a memoria e io a fingermi sorpreso nelle pause dove era necessario dargli maggiore attenzione. Ha detto che in 3 anni ne farà 90. Gli ho detto che è un bel traguardo, complimenti. Poi ha aggiunto che già che sarà lì, se Dio vuole, magari si impegna per altri 10 così arriva a 100. Che 100 è un bel numero per andarsene. Ha indicato il ritratto di suo nonno e ha detto, lui se ne andò a 103, io mi accontento di 100. Io manco so se ho voglia di arrivare alla prossima estate ma ammiro la sua perseveranza. Mi ha fatto promettere di esserci al suo funerale. Gli ho detto che non solo ci sarò ma che suonerò anche qualche canzone deve solo dirmi quale e ora stiamo facendo una lista di canzoni che dovrò imparare, ho solo 13 anni accidenti meglio iniziare subito.
C'è una storia che ho iniziato a scrivere 12 anni fa, ricordo il luogo. Ero seduto alla scrivania del museo dove lavoravo. Pensavo fosse finita e invece l'ho riaperta e i personaggi mi hanno detto che volevano capire qualcosa di più della loro esistenza così mi sono messo a dialogare con loro e a seguirli, per vedere come mai erano stati creati. Scrivere, creare, è quello che più fa sentire noi umani vicini a Dio. Credo, non lo so, anche perché pure Dio è stato creato per una storia quindi è come quando dici è nato prima l'uovo o la gallina? Fatto sta che ora io vivo in quel villaggio, ho in testa le voci di tutti i suoi abitanti e non riesco a smettere di stare la dentro. Ho paura sia il sintomo definitivo. Quello che conferma che ho perso la testa e non ho più nessun legame con la realtà. Forse è per questo che faccio difficoltà ad accettare i sentimenti degli esseri umani che mi circondano.
Sto andando in giro a leggere le mie storie. C'è un amico, un musicista jazz che mi accompagna. Le luci sono spente, solo quelle necessarie ai miei occhi per essere in grado di capire la traccia del racconto. Ho fatto piangere una sala intera e non mi sento in colpa. Bravo Matteo non solo fai piangere tua madre eh no, anche una sala. Però che ci posso fare, mi sono rotto delle mezze misure. Se esco dalla tana io entro a gamba tesa ovunque adesso, perché lo sforzo già l'ho fatto che diamine. Vorrei portare questo spettacolo in giro l'anno prossimo quindi se state leggendo questa frase ora e vivete in una città e conoscete un posto dove posso portare le mie favole della buia notte beh, scrivetemi in privato.
Ho contato le volte in cui mi sono innamorato quest'anno. Quando diavolo la smetterò? Spero presto perché è fastidioso. Odio internet. Odio essere consapevole del fatto che ovunque c'è qualcuno di cui mi vorrei innamorare. Alle elementari avevo 4 compagne di classe che ritenevo bellissime. Alle superiori un'intera scuola dominata da esseri femminili che dovevo conquistare. Poi arrivò l'internet e scoprii che anche in provincia di Milano c'era qualcuno che dovevo conoscere e all'epoca c'era il 56k quindi mica era facile scambiarsi foto. Poi arrivò la Sardegna, la provincia di Firenze, l'Australia. Ma ora, ora non vedo più persone, mi sembra tutto diventato merce. Vedo i volti di ragazze e ragazzi bellissimi e ne studio i tratti e riconosco i lineamenti e sì, è chiaro, sono studiati in laboratorio apposta per piacermi. Penso alle generazioni attuali che si dividono tra domanda e offerta. La domanda sono quelli come me, che restano affamati o curiosi e poi c'è l'offerta, che sono questi essere stupendi resi raggianti dai filtri con lentiggini e i corpi sinuosi nelle angolature studiate su misura per essere tutti uguali, dei meme di se stessi, infinite riproduzioni di umani con cui non voglio interagire. Tutto è diventato una vetrina. Dietro c'è una di quelle macchinette che distribuiscono bevande. Le lattine siete voi esseri bellissimi. Digita il codice. Inserisci le monete. La lattina cadrà in pochi secondi. Ma è un sorso solo e non sa di niente. La dottoressa mi ha vietato di bere bevande gassate quindi lascio perdere più che volentieri.
Mi spiace aver perso un paio di persone quest'anno. Una è il mio migliore amico, non so cosa è andato storto. Quasi non ricordo. Ah sì, ha deciso che era più interessante scoparsi la mia ex e a me non interessava stare lì a suggerirgli cosa fare per migliorare le prestazioni. Che cosa orribile che ho appena scritto. Me ne pento. Non la cancello perché un'altra cosa che vorrei provare ad essere l'anno prossimo è: un pelo più cattivo. Mi spiace anche aver perso la mia ex, che era un bel ricordo alla fine. Mi spiace aver perso una persona che mi stava piacendo più del necessario e non se lo meritava, era troppo vicina ai filtri e agli standard che la società impone. Spero sia felice. Spero sia così felice da rendersi conto di aver fatto bene a mandarmi via fino al momento in cui come un fulmine tornerà il ricordo di me e deciderà di scrivermi in amicizia, per sapere come sto. Allora io sarò finalmente cattivo e con tutta la rabbia che ho in corpo aspetterò ben 4 minuti prima di risponderle e di chiederle di rivederci. Solo perché aveva le lentiggini. Che odio. Solo perché le lentiggini mi ricordano ancora un'altra persona e ancora prima di quella persona era qualcosa che avevo letto in un libro o avevo immaginato e che ora i computer e gli algoritmi hanno imparato e mi propinano in mille influencer al giorno da ogni parte del mondo tutte con lo stesso pattern di lentiggini. E io sono un uomo oramai prossimo alla quarantina che guarda queste proposte come un ubriaco davanti a un distributore automatico. Annoiato. Senza spiccioli.
Ho un programma per i prossimi Natali. Insegnare a mio nipote la poesia di Pacciani e fargliela recitare durante il pranzo davanti alla famiglia. Senza avvisare mia madre. Aspettare che finisca la sua esibizione, vedere le lacrime di commozione negli occhi di chi ha ascoltato e poi rivelare l'autore. Mio nipote è così carino che pure le parole del mostro di Firenze diventano adorabili. Poi magari cambio e ci metto frasi di altri serial killer o psicopatici o politici.
Ho preso una pausa dallo scrivere annotazioni di vita perché tutto stava diventando simile a una puntata lunghissima del podcast e io odio ripetermi anche se sono anni che in pratica gli argomenti sono sempre gli stessi. Amo essere la dimostrazione che il tempo passa e qualcuno può decidere di non imparare niente. Nemmeno da i suoi errori.
Sto bene. Non mi manca niente. Forse vorrei solo conoscere te, ma solo per capire che è giusto fermarsi alla superficie e non rischiare di andare in profondità. Metti che poi uno davvero poi trova un luogo che non riesce a smettere di esplorare? Io voglio restare quassù a guardare le foto dove sei venuta bene. A galleggiare. A mettere i cuoricini ogni tanto giusto per ricordarti che esisto. Che poi lo so solo io di esistere, tu mica te ne accorgi. Ma nel mio piccolo sento di essere speciale. Mentre tu aspetti solo che io inserisca le monetine e la spirale si azioni e ti faccia fare il salto nel vuoto. Lo ripeto spesso quando guardo video di modelle incredibili da chissà dove. Sei fortunata cara mia, a non avermi incontrato. Altrimenti adesso saresti persa di me e mi vorresti e non riusciresti a fare questi sorrisi davanti alla fotocamera. Eh no. Mica verresti così bene. Nessuno si abbonerebbe al tuo canale. Vedi che lo faccio per te, a non farmi avanti? Io mica voglio avere il tuo futuro economico sulla coscienza.
Tutti piangono quando dico la verità. Avevo più amici quando raccontavo palle. Avevo più amori quando dicevo fandonie. Ora ho solo questa finta pace momentanea, il mio gatto, la mia malattia cronica che non vede l'ora di risvegliarsi e chilometri di pensieri verso umani generati da computer.
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neropece · 5 months
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“unafraid to fall” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il sole stava calando dietro le cime degli edifici, lanciando sfumature di rosso e arancione nel cielo. Sul tetto dell'edificio abbandonato, due ragazzi si tenevano in piedi con il vento freddo della sera tra i capelli.
Nick fissava il tramonto, le mani infilate nelle tasche della giacca sbiadita. Era alto e magro, con i capelli corti e gli occhi che sembravano trattenere un segreto. Al suo fianco, Edo, più piccolo ma dal viso determinato, sfoggiava una giacca di pelle logora.
Non avevano molto da dire, ma c'era un'intesa silenziosa tra loro. Erano fuggiti dalla monotonia della vita quotidiana, cercando qualcosa di più, qualcosa di diverso. Avevano scelto questo vecchio edificio, una sorta di monumento decadente, come loro rifugio. Una fuga dalla realtà, una ribellione silenziosa.
"Guarda là", disse Edo, indicando l'orizzonte. "Sembrano pennellate di un pittore ubriaco."
Nick annuì, senza staccare gli occhi dal cielo in fiamme. "È strano come il mondo possa sembrare diverso da quassù."
Si sedettero sul bordo del tetto, le gambe penzoloni nel vuoto. L'asfalto disegnava la città sotto di loro come un mosaico di luci tremolanti. Il suono della città notturna si faceva sentire lontano, come un sottofondo costante.
Edo tirò fuori una sigaretta dal pacchetto sgualcito e la accese offrendone una a Nick. Fumarono in silenzio, osservando la luce del giorno svanire gradualmente.
"Che ci fai qui, Nick?" chiese Edo alla fine, rompendo l'assenza di parole.
Nick esalò il fumo lentamente. "Sto cercando di capire cosa voglio dalla vita. E tu?"
Edo sorrise debolmente. "Stesso motivo, suppongo. Solo qui sembra che tutto abbia più senso, anche se so che è solo un'illusione."
I loro sguardi si incrociarono per un istante, e capirono. Quel tetto, privo di barriere, era una metafora della loro vita in quel momento. Senza regole, senza confini.
"Abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo, Edo. Qualcosa di più grande di noi stessi", disse Nick, fissando l'orizzonte ora oscurato dalla notte.
Edo annuì, la città sotto di loro si animava sempre di più. "Forse è ora di iniziare a cercare."
Si alzarono in piedi, guardando l'infinito davanti a loro. I due ragazzi, in bilico tra il passato e il futuro, senza paura di cadere.
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io-rimango · 4 months
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“Vorrei che cresci rara come una giraffa in città, ma con l'istinto domestico del cagnolino (che a me è sempre mancato)", aveva scritto mia mamma, nella sua lettera. Di solito quindi bisognava scegliere: o la libertà di girare per il mondo come fosse una savana o l'istinto domestico, un collare col nome e qualcuno che ci porta dal veterinario. Ma la libertà lo sanno tutti che è una cosa bella e giusta: allora l'istinto domestico, se la esclude, che è? Brutto e sbagliato? Insomma che significa, esattamente, istinto domestico? Me lo chiedo ancora: stanotte, qui. Come si fa a capire se ce l'hai o se ti manca? E, se ce l'hai, perché devi rinunciare all'avventura della savana?
Chiara Gamberale, Le luci nelle case degli altri
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deathshallbenomore · 5 months
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Ciao, sono una piccola anon (ah ops, non c'è attivo l'anon, beh comprensibile considerando le grandi menti del nostro tempo che ogni tanto decidono di scriverti) tumblr user che vuole ringraziarti perché venerdì passerò la giornata a Torino e l'organizzazione della giornata si baserà interamente su un paio di ask a cui avevi risposto che ti chiedevano consigli a proposito. Quindi grazie mille e passa una dolce serata <3
AAAAAAAAAAA sono super contenta, spero che torino my most beloved ti piaccia e che i consigli che diedi (con la partecipazione straordinaria di qualche mutual nei commenti) ti siano d’aiuto!
un’aggiunta: nel periodo autunnale/natalizio non ci sono (solo) le semplici luminarie, ma c’è “luci d’artista” in giro per la città, quindi le piazze e gli angolini carini della zona centro (ma non solo) hanno delle luminarie Particolari e mediamente molto molto carine [anche se quest’anno via Po a mio dire Incommentabile, they had one (1) job e cioè mettere le solite luci e invece l’amministrazione ha scelto l’autosabotaggio. bellissimo invece il monte dei cappuccini BLU arrogantissimo]. spero che rimanga in città abbastanza da poter attendere il favore delle tenebre in modo da poter apprezzare le lucette✨✨✨
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la-novellista · 7 months
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Appuntamento a Villa Bellini
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Da poco giunta a Catania, ospite in un meraviglioso albergo di una via del centro, mi accingo a passare la sera in un locale per la cena. Scesa nella hall, l'uomo alla reception mi ferma consegnandomi un biglietto: " L'attendo domani mattina presso il gazebo della musica alla Villa..." Chiedo quindi, dopo aver letto, se fosse a conoscenza del mittente, ma il messaggio era stato semplicemente recapitato da un fattorino e quindi rispose che non poteva darmi alcuna informazione. La mattina dopo, dopo aver scelto una longuette ed una camicia con mezze maniche a palloncino, indossai un cappello con un bel fiocco ed uscii. Era una giornata soleggiata ma la passeggiata fu comunque piacevole, dopo aver chiesto indicazioni arrivai al luogo indicatomi.
Salii fino a raggiungere il gazebo. In piedi c'era un uomo giovane distinto dai capelli ed occhi chiari. Appena mi vide, mi accolse con un sorriso ed un delicato baciamano: " Madame... mi presento sono Vincenzo Bellini, musicista."
Lo guardai interdetta e capi' senza che dicessi niente:" Non la conosco, ma lei conosce me, forse" disse mentre annuivo con la testa" ma ieri tra le signore arrivate all'albergo lei mi ha colpita, era l'unica che teneva una brochure di musica tra le mani. Ecco che quindi mi sono permesso di chiederle un incontro. Vorrei invitarla stasera a teatro, sarà mia ospite, alla prima della mia ultima opera , Norma. Vuole?"
Non sapevo cosa rispondere ero al settimo cielo: " Certo Signor Bellini ci sarò sicuramente"
"Bene l'attendero' all'ingresso. A questa sera"
Come promesso, Bellini era in abito scuro ad attendermi all' ingresso" Benvenuta" disse porgendomi il braccio. Appoggiai la mano e mi invitò ad entrare tra il mormorio delle signore e dei signori che mi guardavano come se si stessero chiedendo chi fosse la "straniera"al braccio del Maestro. Ci accomodammo nel palco centrale e prima che partisse l'aria di "Casta Diva" disse: "Alla fine vorrei il suo sincero giudizio. Ci conto". Si abbassarono le luci e sentii la sua mano sfiorare la mia, stette così tutto il tempo come se volesse percepire ciò che stessi provando. Finito mi accompagnò all'esterno del teatro: " Facciamo due passi così mi racconta...ma credo le sia piaciuta, l'ho sentito "
"Sì, Maestro, straordinaria, cosa devo aggiungere. L'opera mi ha tolto le parole ma mi ha lasciato tante emozioni..."
Si fermò, mi prese le mani e guardandomi negli occhi disse:" Trovi le parole per parlare di me, per ricordami ed ogni volta che ascoltera' Norma vorrei sentirla emozionare come stasera ovunque lei sarà. La musica può tante cose Signora come legare le persone."
Abbassai la testa per non far notare l' imbarazzo, lui sorrise e riprendemmo la passeggiata sotto il cielo di Catania illuminato dalla luna e profumato dal mare.
Dedicato a Bellini ed alla sua città.
Ph. Il gazebo della musica. Villa Bellini, Catania
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