Tumgik
#Soprattutto pazza
dreamers-queen · 3 months
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sheireen · 2 years
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Vorrei una scena (possibilmente nella stagione 2) in cui Daniele regala ad Andrea un vestito, ovviamente gli dà la busta un po' imbarazzato e gli dice che spera di averci azzeccato pure con la taglia, che lui non ci capisce niente de ste cose, ma ecco spera gli piaccia. Andrea prende la busta, la apre, vede il vestito e all'inizio non ci crede, lo guarda e fa "mi hai comprato un vestito, davvero?" e Daniele risponde preoccupato: "oddio, non ti piace? Si può cambiare eh, ci vado io e..." e Andrea lo blocca sorridendo, con un "è bellissimo." Poi prende e se lo va a provare e quando torna all'inizio ha un po' paura di guardare che faccia fa Daniele, ma poi alla fine vede che lui lo guarda non dico incantato, ma quasi e quando gli dice imbarazzato "ti sta bene." Andrea sorride e fa una giravolta, poi prende un fiorellino dal mazzo che gli ha regalato Daniele insieme al vestito e se lo mette sull'orecchio. Si avvicina a Daniele e gli dà un bacio sulla guancia "grazie," gli dice. Dovrebbe finire lì, però i loro visi rimangono un po' troppo vicini (e anche la mano di Andrea un po' troppo posata sull'altra guancia di Daniele) e allora Daniele senza quasi neanche prendere fiato lo bacia. Un bacio vero. Il loro primo.
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prisonerinthedark · 2 months
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Innamorati di una donna umile. Che vada a letto senza trucco e si alzi al naturale, senza vergogna. Che sia intelligente, combattente e lavoratrice, che ti aiuti ad essere la versione migliore di te. Innamorati di quella donna che tutto lo voglia fare con te e che in te trovi tutto. Innamorati di quella “pazza” che ti faccia ridere anche se sono in un luogo pubblico e non gli importa degli altri. Innamorati della donna che vuole vederti progredire e ti aiuti a ottenerlo, che si prenda cura di te, ti rispetti, ma soprattutto, che ti sostenga nelle tue decisioni e ti aiuti ad essere un uomo eccellente nella vita. Innamorati di una donna con grandi sogni e ambizioni, che abbia i suoi obiettivi ben chiari e definiti. Innamorati di quella donna che si fida ad occhi chiusi di te, queste sono quelle che valgono davvero.
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haiku--di--aliantis · 4 months
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No, grazie: i modi gentili non fanno per me. Quelli sono tipici di mio marito e mi piacevano, un tempo. Perché si cambia: più si invecchia, più si ama l'indecenza, l'immorale. Il sesso sporco e illecito. Allora sono qui come al solito per subire la tua virile urgenza di fottere. Quando mi mandi i tuoi vocali con ordini precisi da eseguire in merito a quando vederci, oppure per ricordarmi che sono solo la tua puttana, io già a sentire la tua voce maschia e profonda mi bagno. Molto. Ecco: arrivi fischiettando e sento il tuo profumo arrivare prima di te. Il rumore delle chiavi sul piattino all'ingresso è la nostra breve sigla di passione. Ti stai spogliando. Non capisco più nulla, dalla voglia di essere dominata da te. Senza una parola, mi infili il gel nel culo col medio per lubrificarmi. Senza neppure un 'ciao', mi prendi da dietro: di botto e senza farmi capire nulla, proprio come ti piace.
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E come desidero. Vedo le stelle, quando lo fai. Non nel senso romantico: soffro proprio tantissimo, come una cagna ferita! Ma lo adoro. Perché è quello che sono, ormai. Non vedo l'ora che tu mi spacchi il culo. Sono la tua preda di caccia preferita. Almeno spero. Desidero che tu violi il mio corpo, che mi strizzi i capezzoli da farmi urlare. Che mi scudisci fino a farmi piangere. Voglio sentire le ferite. Una per una. Me le devo curare di nascosto, a casa. Voglio sanguinare per te. Irrita il mio ano. Sfondamelo. Devo sentire di essere solo la tua troia, un corpo di donna buono solo per soddisfare il tuo cazzo, per farti sborrare senza sporcare in giro. Ti scongiuro, non usare mai i kleenex: sborra sempre dentro di me. Se avessi un'esigenza improvvisa, tu chiamami: io interromperò qualsiasi riunione e con l'auto aziendale correrò da te per farti venire dentro l'orifizio che sceglierai, del mio corpo. O adorerò segarti e bere il tuo seme.
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Quanto sono pazza di te! Non ti interessano i miei titoli accademici. Non vuoi sapere nulla del mio prestigioso e remuneratissimo incarico di dirigente aziendale. Sono anche molto ricca di famiglia. Ma ormai sono ridotta così: da mesi ormai non desidero altro che succhiare il tuo cazzo e sentirti godere mentre mi sborri tutta. In quei momenti non riesco più a pensare a mio marito, o a mio figlio - che è la mia vita - che sta quasi per laurearsi. Alla mia esistenza al di fuori di te. Raggiungo l'estasi solo se mi schiaffeggi sul viso mentre mi scopi. Mi prendi a sberle se solo provo a sorriderti: quando scopi tu sei serissimo e non vuoi distrazioni sentimentali, soprattutto se si tratta di me.
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Mi vuoi far godere maltrattandomi. Lo adori. Non chiedo altro. Quando vieni poi, mi ordini di aprirmi al massimo. E invariabilmente, dopo che ti sei svuotato, sfili l'uccello dal mio culo o, con sforzo e forti sberle sul mio corpo, dalla mia passera. Mi prendi a ceffoni perché cerco sempre di trattenerti dentro di me. E più mi percuoti, più cerco di tenerti nella fregna con le mie gambe incrociate sulle tue natiche forti. È, la mia, una dolce lotta d'amore. Sono destinata a perdere, con te. Ti amo. Mi schiaffeggi e poi mi passi il cazzo sul viso. Me lo sbatti dolcemente sulle guance. Sulle labbra. Se ce lo lasci sopra, capisco che vuoi essere succhiato, vuoi ancora godere nel mio cavo orale.
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Quindi, io sempre golosissima di te, schiudo la bocca per darti un supplemento di piacere. Quella del tuo cazzo sbattuto in faccia a sfregio è l'unica carezza romantica a cui ho diritto, mi dici! Quanto ti desidero, quanto ti penso, quanto ho bisogno che tu mi maltratti. E pensare che da ragazza ero la leader del movimento femminista universitario, sempre in prima fila per le lotte contro le discriminazioni sessuali e la parità di diritti. Tutta tesa a ottenere il rispetto degli uomini per la figura della donna in genere. Ora sono delusa se non mi metti il collare.
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Se, chiamandomi con nomi osceni, non mi porti in giro a quattro zampe sul pavimento del mio buco in campagna, dandomi scudisciate sul culo e sulla schiena. Ci vediamo infatti sempre nel vecchio casolare dei nonni di mio marito, che ho fatto ristrutturare in quattro e quattr'otto solo per farmi sbattere da te quando vuoi. Con sollievo e compiacimento da parte di mio marito, perché avrebbe dovuto farlo lui, uno di questi anni. Ho cinquantun anni e tu trentadue. Ma sono la tua troia e ne sono segretamente fiera. Adesso mi prendi di peso: vuoi ancora fottere... Fai piano... oooh... è entrato tutto... siiii... scusate...
Aliantis
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Morning dance (Spyro Gyra)
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mikaelarebel · 2 months
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Molti mi definiscono “diversa”, io semplicemente, penso di essere “rara”; ho dei difetti, ne ho parecchi, ma ho anche dei pregi, forse pochi.
Sono una persona di cuore, lo sono troppo. Non do mai tanto quanto gli altri danno a me, se posso e se voglio do tutta la mia vita. E no, non me ne pento mai, se c’è una cosa che voglio lasciare dentro una persona è il mio bel ricordo. Amo lottare per chi penso possa valerne la pena, e non mi tiro indietro al primo problema, anzi, abberei muri e cancelli.
Lascio agli altri la libertà di farmi del male, non sono stupida e nemmeno una fifona, purtroppo vedo del buono anche nelle brutte persone provando a tirar fuori il loro meglio, vorrei davvero che le persone fossero come realmente le vedo io. Sono un’ingenua, basterebbe solo aprire un po’ di più gli occhi. Le brave persone, quelle che ti amano soprattutto, non ti farebbero mai lo sgambetto.
Sono testarda, quando mi impunto non c’è verso che io cambi idea, ho bisogno di sbattere contro un palo e di cadere 1000 volte, per far sì che ascolti i consigli degli altri. Non ho paura del giudizio altrui, anzi non mi tocca minimamente, ma voglio sbagliare e camminare con le mie gambe, voglio poter capire da sola quali sono le cose che ostacolano il mio cammino e non mi lasciano passare.
Sono impulsiva, maledettamente impulsiva. Se c’è qualcosa che odio sono le bugie e le doppie facce. Ho bisogno di dire tutto ciò che penso, non riesco a trattenermene una. A volte questo mio lato viene “condannato”, non a tutti piace la verità sbattuta in faccia, eppure penso si vivrebbe meglio. Viviamo in un mondo fatto di menzogne.
Odio il grigio, o è bianco o è nero, le mezze misure non mi piacciono. Quando chiudo una porta, butto via la chiave, non torno indietro, tendo a farmene una ragione sin da subito.
Sono la persona più paziente al mondo in assoluto, sopporto fino a quando non scoppio, ma quando mi incazzo non mi trattengo.
Sono una romanticona, mi piace l’amore, io amo l’amore. Odio le sdolcinatezze, non mi si addicono per niente (sono quasi una scaricatrice di porto). Preferisco il cinema alla discoteca, un film con una pizza piuttosto che una cena a lume di candele al ristorante. CHE IMBARAZZO!! Sono passionale, mi piace fare l’amore con la persona per la quale mi batte il cuore. Sono una sognatrice, mi piace immaginare cose che per la maggior parte delle volte non accadono, però mi fanno star bene, meglio di niente, no?
Mi chiudo a riccio quando non conosco qualcuno, sono sfiduciosa verso il genere umano, ma quando prendo confidenza divento logorroica e inizio a parlare di tutto il mio albero genealogico e della mia vita dalla mia prima parola.
Sono insicura, non sempre mi convincono le decisioni che prendo e spesso, tendo a cambiare idea facilmente anche mentre la sto cambiando, mi sento una pazza!!
Sono folle, mi piacciono le pazzie, d’amore...
Sono una persona gelosa, non morbosa ma controllata, so cosa è giusto e cosa è sbagliato, nei limiti.
Sono complicata, è vero, ma non chiedo né pretendo nulla da nessuno, sono questa PRENDERE O LASCIARE
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vividiste · 5 months
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Sono stata definita pazza quando mi allontanavo dalle persone senza pensarci troppo. Accusata di essere una persona che per "cavolate" metteva fine ai rapporti. Colpevole di non essermi mai interessata a tali persone o fatti. Dalla personalità ingestibile e troppo dura perché non è mia abitudine regalare finti consensi a scopo personale, ma solo ciò che penso e senza troppi giri di parole. Peccato... Che il tempo non mi abbia mai dimostrato che "Allontanarmi" da suddette persone sia stato un errore. Non ho mai dovuto dirmi "Ho sbagliato"! Soprattutto ci tengo a spiegarvi che la mia personalità non è "Ingestibile". La mia è una di quelle personalità che non plagi e non compri "lisciandola" quando ti conviene. La mia personalità è ben salda e sicura di se'... A differenza di molte altre che noto spostarsi con estrema facilità dove conviene di più! Continuate a "pensare" di sapere... Io continuerò a sorriderci su.
Silvia Nelli🌻
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conilsolenegliocchi · 9 months
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~ Leggimi ~
""Diommio che passione nei tuoi scritti!
Ne ho letti un po'...vorrei e dovrei commentare ognuno di essi per la bellezza e la profondità di ciò che trasmetti.
Porcaccia quanto amore hai in te.
Ho sempre pensato che siamo fatti d'amore e che quello tra uomo e donna sia in fondo la forma più bassa di questo meraviglioso e nobile sentimento.
Non smettere di essere amore solo perché qualcuno non lo ha capito...o semplicemente ha smesso di capirlo.
Non credo all'amore eterno... quindi cerco di prendere il buono quando arriva ...farlo durare più che si può...e soprattutto chiudere senza trascinare e vedere morire i miei sentimenti.
Sai...poche ore che ti leggo...e che ti percepisco...ma nel mio cuore già non vedo l'ora di leggerti nuovamente pazza d'amore😜🥳💓
Arriva...ne sono certa.""
Leggimi. Una richiesta così semplice. Eppure dopo decine di post e centinaia di like ho contato sulle dita di una mano chi l'ha saputo fare.
Grazie @nonsonoioblog per le tue parole, che ho avuto il piacere di riportare sopra. È vero c'è passione, c'è amore coniugato in tanti tempi e in tante forme. Non smetterò mai te l'assicuro, perché ci ho provato, tanto, e non ci sono mai riuscita. Ci vuole sensibilità a leggere tra le righe, è lì che si nascondono le chiavi di lettura e lì che si nascondono le insidie. Sei forte. Resta Donna. Resta spirito libero.
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elenascrive · 2 years
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Buon Compleanno a Te
che sei Il Mio Sole ogni giorno
pronto ad illuminarmi la via
da percorrere in questa pazza vita,
soprattutto lungo quelle notti
buie e tempestose
che sembrano non avere fine
Provo un forte sollievo quando penso
che ci sei in ogni momento,
basta anche solo un fischio
che arrivi in un baleno
pronto a saltare di felicità insieme
oppure ad asciugare lacrime
che alle volte ribelli
vogliono rigarmi
prepotentemente il viso
La verità è che sei sempre
pronto a raccogliere ogni Mio coccio
per rimetterli insieme in qualche modo,
con quella colla speciale
composta dal Tuo Amore
unico e sviscerale
Come farei senza di Te?
Non ci voglio nemmeno pensare!
Quanta pazienza che hai
nel sopportarmi,
soprattutto quando mi lamento
o quando discutiamo
ed Io voglio avere ragione
Quante litigate che ci facciamo,
le stesse che anziché allontanarci
incredibilmente ci avvicinano
perché Noi Due
non possiamo stare lontani
troppo a lungo!
Perché Io e Te
saremmo sempre una cosa soltanto!
Tu sei la Mia versione al maschile,
sei la Mia parte migliore!
Sei anche il Miglior Fratello del Mondo,
il sogno di ogni persona
che esiste in questo strambo Universo
Mi ritengo fortunata ad averti accanto
Che bel regalo mi è stato fatto
31 anni orsono
Tu che Ti prendi cura di Me
quasi fossi una bambina
d’accudire e proteggere
con infinita cura e delicatezza
Sono Io quella ad essere più grande
eppure a guardarci insieme non si direbbe
Sei il Mio Angelo in carne ed ossa!
Tanti Cari Auguri allora
alla Stella più bella e luminosa
del Mio Firmamento
Ti amo Alex,
con tutto il Mio cuore!
La Tua Elenuccia
@elenascrive
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flavio-milani00 · 20 hours
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Mi ha fin da subito colpito questo libro. In particolare la figura del protagonista, il principe Miskin, mi ha incuriosito e non poco. Il principe arriva a Pietroburgo in treno, provenendo dalla Svizzera, per portare una mentalità rivoluzionaria in un contesto di pensiero totalmente diverso. Considerato un vero e proprio idiota, soprattutto per la malattia che ha (epilessia) ma anche un po' per la sua scarsa istruzione e per il suo modo di essere, riesce a portare un modo di pensare particolare in mezzo alla gente con cui viene a contatto.
La mentalità del principe Miskin ha come punto saliente un modo di amare decisamente diverso da quello della gente che lo circonda. Un amare spinto dalla compassione e dall'accettazione del prossimo. Lui stesso sostiene tranquillamente di amare per pietà e di accettare dunque l'altra persona anche se decisamente disastrata. E questo lo si nota in particolare nei confronti di Nastas'ja Filippovna, una ragazza infelice e per certi versi anche pazza che viene amata dal principe per la sua condizione difficile fino al punto di volerla sposare. Chiaramente egli non viene capito dalla maggior parte delle persone, che lo reputano il "diverso" e lo deridono pure. Anche la stessa Nastas'ja si prende gioco di lui e alla fine finisce per scartarlo definitivamente poco prima del matrimonio. Tuttavia lui prosegue con decisione restando fedele alla sua natura, alla sua mentalità.
Questo tipo di amore che si nota nel protagonista, anche se da un lato può essere letto come un qualcosa di positivo, non mi trova del tutto d'accordo se devo essere sincero. In particolare l'amare una persona in prevalenza per pietà non lo trovo correttissimo. Però non ho potuto fare altro che assistere con curiosità alle azioni di questo personaggio davvero particolare e consiglio a tutti la lettura di questo libro, ricco di spunti davvero interessanti che vanno anche oltre a ciò che ho scritto in questo post.
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quello che sto vivendo io in questi giorni non è minimamente paragonabile a tutto quello che ho passato negli anni precedenti e soprattutto a quello che mi hanno fatto in passato alle persone perché adesso una sola persona, cioè la persona che dice di amarmi mi sta mettendo tutti contro e mi sta facendo dare dalla pazza da tutti solo perché io ho espresso un mio parere e solo perché io mi sono arrabbiata di una cosa che si sarebbe potuta risolvere tranquillamente con calma sapendo come sono io e soprattutto questa persona sta facendo uscire il peggio di me, la parte peggiore la parte quella che odio di più quella che è da tanto tempo non viene fuori e mi sento di merda, mi sento veramente tanto male e tanto appressa da questa sensazione di vuoto da questa sensazione di gabbia che sto provando e ho paura di non farcela perché mi ha messo tutti contro e perché continua ancora ad umiliarmi e a dirmi che sono una vergogna umana e che non merito di esistere perché sono pazza solo perché io mi difendo e solo perché io voglio far valere le mie possibilità e le mie azioni e il mio modo di pensare. 
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exterminate-ak · 1 year
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di Pierpaolo Mandetta:
Oggi voglio parlare di un tema importante che riguarda migliaia di donne (ma anche uomini) che stanno male, ma che per la nostra società è ancora ritenuto un disagio di poco conto, da sopportare.
Il carico mentale.
Poche ore fa sono rimasto chiuso fuori casa.
Non mi era mai successo. Sono tornato dal podere, ho svuotato una scatola di fagioli in un cuonzo, un filo d’olio e ho pranzato come un operaio russo dell’80. Poi ho lavato i piatti di due giorni, ho messo a posto i sacchi della spazzatura da portare fuori stasera, mi sono rivestito e sono uscito meccanicamente di casa per tornare al podere. E zac. Cazzo! Avevo lasciato le chiavi dentro.
Proprio oggi che Max è a Milano per lavoro, quindi non avevo neanche le sue.
Io, che sono quello precisino, scrupoloso e concentrato. Com’è potuto succedere?
Per fortuna il proprietario di casa aveva una copia delle chiavi, e quindi il lieto fine è arrivato. Però in quel momento, lì davanti alla porta chiusa, sulle scale, ho esitato. Mi tremavano le mani, e sentivo come se la mia testa si potesse frantumare perché troppo piena. Sentivo che avrei potuto piangere e gridare fino a graffiarmi ma gola, una reazione esagerata per un episodio così banale. E allora ho avuto un crollo. Il bisogno che tutto il corpo cadesse a terra come una camicia, ma fatta di cemento. Una camicia estenuante. E ho pensato “adesso preparo una valigia e me ne vado”. Ve lo giuro, è stato il mio primo istinto. E ho capito così di essere al limite. Mentalmente.
Al limite del carico mentale, della malattia del multitasking, del peso delle responsabilità che affligge spesso un componente della coppia, soprattutto la donna. E stanco di quanto il problema sia ancora ritenuto una lamentela di chi non è disposto a sacrificarsi abbastanza, come se i sacrifici fossero una bella cosa. Un capriccio, come spesso succede per i disagi psicologici.
Chi esprime sofferenza viene preso in giro. E uomini e donne parlano ancora delle casalinghe come di gente che in fin dei conti “non fa un cazzo”. Bella vita, beata lei, fortunata a stare in casa.
Ma andiamo con ordine.
Avete presente che nei paesini si narrano quei pettegolezzi della serie “un giorno è uscita pazza e ha lasciato il marito”? Oppure “ha mollato la famiglia ed è scappata con uno. Ha abbandonato i figli!”. O ancora “non si sa perché, non vuole più parlare con nessuno, si è trasferita”.
In queste storie, “lei” è sempre descritta come una donna che fino a un certo punto si è comportata con dedizione, apparente spensieratezza, e regolarità. Una donna regolare, che fa le stesse cose ogni giorno senza proteste, anzi con piacere. E che poi una mattina ha avuto un corto circuito.
La pazza del villaggio. La divorziata. La strana. La stronza ribelle.
Punto. Lei non è una persona, è un dovere che non segue più il suo copione. Nessuno si chiede cosa abbia scatenato simili reazioni, perché non ci sono motivi che scusino l’aver lasciato il proprio ruolo di moglie o madre.
Eppure è possibile che dietro quel gesto di follia ci sia semplicemente un accumulo di stress divenuto insopportabile. E che quella che sembra una fuga sia in realtà una salvezza.
Le donne che “scappano” da una condizione ingestibile sono donne che si mettono in salvo. E uno dall’esterno penserà ma come, e i figli? Se ami tuo marito, non te ne vai. Se vuoi bene ai tuoi figli, non puoi lasciarli. Ma è una stronzata retorica. Quando lo stress, la disperazione, il senso di soffocamento diventano massimi, può subentrare la depressione, o problemi mentali più feroci. Possono succedere le tragedie che vediamo al tg. Dimenticare un figlio in auto, posare distrattamente la candeggina nel frigo. E allora, preferire la propria salute all’infelicità momentanea della famiglia diventa un atto di coraggio, di amore per se stessi.
Vuol dire mettersi in salvo.
Ma da dove viene il carico mentale?
Per la nostra orribile cultura, la donna nasce casalinga. E ricordiamo ai gentili spettatori che le faccende di casa sono un lavoro. Fisico, mentale, che richiede ore. Come un qualsiasi altro mestiere, ma questo non è retribuito.
Con l’avanzare dei diritti e dell’emancipazione, la donna non si è equiparata all’uomo, ma ha solo aggiunto più doveri: oltre a quello della famiglia, anche il lavoro. Mentre l’uomo, in una società maschilista, restava al suo posto.
L’uomo lavora e porta a casa i soldi, e non ha alcuna aspettativa sociale da soddisfare oltre a questo ruolo. Sì, deve inseminare la moglie, ma poi finisce lì, visto che il mondo si aspetta comunque che a crescere i figli sia lei. La donna, invece, deve essere moglie, madre, una brava domestica, e in più coniugare un lavoro pagato per contribuire alle spese.
Eppure è il 2023. Si parla di femminismo, Netflix propone mille titoli sull’abbattimento degli stereotipi, e i giovani d’oggi sembrano così sensibili. Allora perché lo stress mentale colpisce molte donne?
È semplice: perché siamo tutti figli di quel modello familiare, ancora attuale. Di mia madre, di mia nonna, delle nostre madri. Che hanno sofferto, hanno sacrificato tutto il loro tempo, hanno gestito ruoli che dovevano invece essere condivisi, e infine ci hanno trasmesso quell’educazione. Perciò, molti bambini hanno appreso che le donne soddisfano i bisogni, e molte bambine hanno imparato che dovranno occuparsi di svariati compiti senza fiatare. E questo insegnamento ha radicato nei nostri sentimenti, nei sensi di colpa, nelle frustrazioni, nelle aspettative degli adulti che siamo oggi, nella comunicazione politica, nei cartoni animati, nei luoghi comuni. Formando nuove relazioni, nuovi matrimoni, che sono freschi all’apparenza ma antichi nelle dinamiche.
Adesso sarebbe ingiusto parlare direttamente dell’uomo che amo, come fosse un imputato. Quindi alleggerisco il discorso e invento una storia.
Mio marito si chiama Matteo. È l’uomo migliore che potessi aspettarmi in una società così complessa ed egocentrica. Lui è uno degli ultimi romantici, è fedele, è molto sincero. Un compagno di vita.
Però è un uomo. E forse è stato un bambino che ha vissuto i modelli genitoriali in quel modo lì, che uno lavora soltanto e l’altra lavora e pulisce casa.
A questo punto tutti ci facciamo una domanda ovvia: conosciamo bene i nostri fidanzati, i nostri mariti. Sappiamo chi sono, prima di andare a vivere insieme. Come e cosa pensano. Allora come cazzo si fa a partire con una relazione splendida e a finire per interpretare i tristi ruoli di mamma e papà, se ci siamo ripromessi di non farlo?
Io penso che sia colpa dell’educazione, perché ciò che assorbiamo da piccoli emergerà solo quando ci ritroveremo nelle dinamiche di coppia della casa, rievocando quella in cui siamo cresciuti.
Succede per caso. Con piccoli eventi innocui. Per esempio, a me piaceva tanto cucinare per lui. Era uno stereotipo, quello della mogliettina, ma uno dei due doveva pur farlo, e per me era una forma d’amore. Solo che poi cucini oggi, cucini domani, e ti ritrovi incastrato nell’obbligo di farlo. E non farlo ti fa sentire in colpa. E poi c’è lui, che lo fa poco, perciò quando glielo chiedi non si tira indietro, ma per cucinare ti mette la cucina sottosopra. Perché tu hai il tuo metodo rodato, sai che poi dovrai lavare, e allora cerchi di usare meno pentole, di stare attento alle macchie, di abbassare la fiamma per consumare meno, magari sciacqui subito lo scolapasta così l’amido non si incrosta. E allora lui cucina entusiasta, e dopo è un macello, quindi gli suggerisci di stare attento al gas, di non versare l’acqua sul piano cottura, di sciacquare le latte del sugo altrimenti puzzano, e lui si snerva perché si sente rimproverato e odia prendere ordini. Lui ha il suo metodo.
Ed è così che brevetta il suo nuovo modo per fare sempre le cose alla cazzo di cane. Il suo metodo.
Be’, anche io ho il mio. Chi stabilisce quale sia giusto? Eh…
Così, se lasciarlo cucinare vuol dire il doppio del lavoro poi per rimettere a posto, inizi a dire vabe’, lascia stare amore, faccio io.
E quello è l’inizio della fine. Faccio io.
Chi lo diceva? Sì, mia madre. Anche tua madre, tu, che leggi. Faccio io. Lo so che lo diceva. Faccio io vuol dire da qui in avanti non preoccuparti più.
E così, da un gesto d’amore, si passa a un compito. Io divento più zelante nelle faccende domestiche, lui più spensierato. Si accomoda l’idea che preparare la cena sia il mio rituale. Di rado mi chiede se deve pensarci lui, quando mi vede molto stanco. Ma non si abbasserà mai a seguire i miei consigli, perché si sentirebbe umiliato. Perciò macchia il pavimento, il sale finisce sotto il mobile, pentole ovunque, ditate di olio.
Nell’arrabbiarmi mi sento mia madre. In che modo assomiglio a lei? Nello stesso modo in cui lui si comporta da adolescente. Se dopo avermi inchiavicato la cucina, lava anche i piatti, allora è il mio compagno. Ma se fa “a modo suo” e mi lascia quaranta pentole sporche, allora è mio figlio.
Con questa dinamica di compagno/figlio, tutto va a puttane.
Se la casa è sporca e va pulita, lui dice ma sì, che fa, riposati, ci pensi un altro giorno. Non è che dice amore, ci penso io. No. Te la risolve dicendo che quel bisogno non esiste. Quindi si sottrae a un dovere. E allora pulisco casa come sempre, ma con quel tocco di rancore e veleno che mi intossica la giornata.
Ogni tanto lui passa pure l’aspirapolvere, ma senza tralasciare il brevetto “a modo mio”. Che vai a guardare e la zozzima sta lì, bella evidente. E di nuovo non gli posso dire nulla, se no litighiamo e lo stresso e lo esaspero e non sono mai grato.
Quindi cucino. E pulisco casa. E la spesa. Perché se cucini, sai ciò che manca. Altrimenti non lo sai.
Poi c’è il bonus: fare una spesa decente, pensando a un’alimentazione sana, alle verdure, al variare coi pasti. Questo qui è un pensiero che dall’esterno sembra una sciocchezza, invece è carico mentale. Vuol dire programmare ogni cazzo di giorno della settimana in un colpo solo, pensando a cosa cucinare oggi, domani e così via, sapendo di dover variare tra carne, legumi, pasta, verdure. Spazi mentali.
Come la risolve lui? “Amore, che devo prendere?”. E io gli devo scrivere la lista. Questo vuol dire che non alleggerisce la mia mente, ma mi libera solo dell’azione di fare la spesa, lasciandola comunque un mio problema. Grazie al cazzo.
Quando invece fa la spesa senza avvertire, soddisfa più che altro le sue voglie. Se ha voglia di uova al sugo, compra la salsa, e magari venti cioccolate alle nocciole per dopo cena. Stop.
Poi ci sono le bollette. L’affitto. La lettiera dei gatti, il veterinario, le pipette. Le visite mediche per noi, che prenoto io. Lui invece non ha problemi a filare in farmacia. Adora acquistare subito le medicine, perché non deve soffrire di mal di testa neanche per cinque minuti. Poi le posa sul comodino, assieme a tutte le altre. Io ho organizzato due cassetti per i farmaci, ma lo trova scomodo. Preferisce averli tutti spalmati lì dove può vederli, tra la polvere e le monete da venti centesimi, per mesi. Anche se il prossimo Moment lo prenderà l’anno prossimo, quando si accorgerà che è scaduto e allora andrà a prendere altri farmaci, che di nuovo getterà sul comodino assieme a quelli scaduti.
Se glielo faccio notare, si altera come io facevo con mia madre a sedici anni. È il suo modo di tenere in ordine e non devo rompere il cazzo. Per il resto, ci penserà domani.
Una volta litigammo per la spazzatura. In realtà tante volte. Succede quando io esterno stanchezza. Gli dico che non ce faccio più, e allora lui, per senso di colpa, reagisce con rabbia e stabilisce “bene! Da domani penso io alla spazzatura!”. L’eroe che salva il mondo, la grande impresa. Che invece dovrebbe essere una naturale divisione dei compiti.
E ovviamente dopo tre giorni si è già rotto il cazzo di ricordarsi quand’è che si butta la plastica e quando l’organico. Perché questo è un carico mentale, non è molto piacevole. E così ritorno al mio corso, a tenere a mente che di lunedì c’è la plastica.
Piccola nota buffa. A lui piacciono le bevande in vetro. Solo che il vetro, a differenza della plastica, va portato di sotto, nel secchio. Invece il principino si scola le sue fottute gassose e lascia le bottiglie lì, tutte carine e allineate, accanto al forno. I suoi trofei. Non scende a buttarle manco se questo potrebbe determinare la pace in Ucraina. Tra mille anni, gli alieni le troverebbero lì, impolverate, il nostro cazzo di reperto archeologico, tutte le sue bottiglie di gassosa.
C’è un aspetto, tra tutti, che si adopera per consolidare questi ruoli tra noi. I doveri, i rancori e libertà di non preoccuparsi. Ed è il retaggio antico del chi porta i soldi a casa.
Nel nostro caso, lui è quello stipendiato. Qualcuno, alla fine del mese, gli dà del denaro e certifica dunque il suo lavoro. Lo rende reale, tangibile.
Nessuno lo fa con me. Significa che tutti i lavori mentali e fisici dentro e fuori casa non esistono. Ed è così che diventano dovuti. Diventano assodati. Diventa impossibile lamentarsene. Non è qualcosa che puoi togliere, sono le basi. Puoi solo aggiungere. E io faccio anche quello.
Mi occupo del podere. Ma come, e lui non se ne occupa? Ma certo. Ma qui si tratta di carico mentale. Che non si limita al fare, all’agire. Si tratta di pensare, di occupare uno spazio della mente per un’ansia, una data, un problema, un’urgenza, una telefonata, un dettaglio.
Programmo le potature, i trattamenti, tutte le migliorie del pollaio e della tenuta. Nuovi spazi, aiuole, alberi. Nuove idee per l’ospitalità. Ma mi preoccupo pure di quel tubo che perde, la rete rotta da cui possono entrare le volpi, gli afidi sul limone, lì ci vorrebbe una panchina, lì c’è troppo sole, il vento ha spezzato un palo, il decespugliatore, il tagliasiepe, l’irrigazione, l’orto, le semine in serra.
E lui non mi sostiene in niente? No, certo che partecipa. In moltissimi compiti. Ma prima di ognuno c’è la fatidica domanda: “amore, posso fare qualcosa?”. E nella mia testa vorrei solo rispondergli “sì, andare a fanculo”. Perché se i compiti devo organizzarli mentalmente io e poi affidarglieli, allora mi sta solo aiutando, ma non mi alleggerisce. Il mio stress resta lì. Quel che dovrebbe fare è invece assumersi la responsabilità, togliendo a me il peso di alcuni pensieri.
Così un pensiero. Dieci pensieri. Cento pensieri.
E allora fatico a dormire. Prendo il Brintellix. Convivo con l’ansia, che mi convince che c’è sempre un motivo per essere in allerta. Sono intrattabile. Sono gonfio, debole, con ossa doloranti. Sono irascibile. Vorrei quello e poi non mi piace. Sono la pazza di casa.
E quando sono molto, molto stanco, gli chiedo di aiutarmi. Invece lui lavora. Lo dice così, con convinzione, io lavoro!, quasi allibito che io non capisca che lui sta già facendo il massimo. Ha il suo mestiere pagato, che gli occupa l’intero spazio utile di carico mentale.
E allora mi arrabbio. Mi sento solo. Uno straccio logoro. Di aver sbagliato. Di non farcela. Mi sento perso e sopraffatto. E lui si snerva nel vedermi così, si sente inutile, di non riuscire a rendermi felice, di essere maltrattato e ossessionato, e allontanato.
E nelle coppie in cui entrambi sono stipendiati, perché i doveri ricadono comunque su di lei? Be’, perché per la società è ancora umiliante che un uomo svolga compiti “da donna”.
Pensateci. Ci sono centinaia di chef e influencer maschi che preparano piatti sui social. Ma chi commenta? Le donne. Gli uomini cucinano solo per mestiere. A casa, col cazzo che lo fanno.
Non parliamo della vita sessuale. Quante volte fidanzati e mariti si lagnano delle loro donne che non gliela danno più? Sorpresi, poi. Non ci arrivano proprio, che dopo cinquemila cose a cui pensare, ansie e livori, tu a fine giornata non hai tutta ‘sta voglia di fare un pompino all’uomo che ogni giorno ti chiede “che si mangia stasera?”.
No, no. Loro sono come in quei film con Massimo Boldi. Che lui è un cofano spelacchiato coi mutandoni a quadri, ma si aspetta che la modella di turno impazzisca di voglia per lui. Così ti vogliono. Devi fare i servizi, devi lavorare e alla fine devi pure impazzire di carica erotica per loro.
Infine ci sono i viaggi. Lui viaggia per lavoro, sicuramente sarà successo anche a voi. Un’altra merda di situazione che lo convince che, siccome al ritorno è stanco, può pretendere di tornare in un ambiente confortevole. Quindi si aspetta che io sia la Penelope del cazzo, che attende il marito con le mani incrociate al petto, pronta a baciarlo e a stendergli il tappeto. Perché dopotutto lui viaggia e si affatica, io invece resto qui a grattarmi la fessa e a farmi idromassaggi. Non pensa che senza di lui viene meno perfino quel timido aiuto che mi dava.
E concludo. Con pochi ingredienti diluiti nel tempo, una bella coppia moderna torna indietro al secolo scorso. A quando ogni faccenda era un obbligo imposto dall’alto. A quando invece di comunicare si preferiva urlare. A quando si sognava di volare via dalle difficoltà. A quando si chiedeva aiuto troppo tardi. A quando il dolore si manifestava solo con le accuse.
Il carico mentale è uno di quei problemi sociali che esistono anche se li banalizziamo o non affrontiamo. Distrugge le coppie, cancella l’amore, istruisce nuovi figli a replicare comportamenti sbagliati nelle relazioni.
È lì, colpisce molte donne, colpisce ugualmente tanti uomini, a seconda del modello di famiglia che ci ha cresciuti e un po’ condannati al ruolo di chi si accolla il mondo sulle spalle.
Potrei chiuderla con una melassa che restituisca un po’ di buon umore. Con la raccomandazione di dialogare, di esporre con coraggio i propri sentimenti, anche quelli dolorosi. Ma la verità è che potrebbe non bastare. E non è colpa tua, non è colpa sua.
Il patriarcato è dentro tutti noi da tanti secoli. La maggior parte delle persone ci convivono, sapendo che qualcosa di putrido sta rosicchiando le loro vite ma incapaci di riconoscerlo. Altre ne restano schiacciate e annullate. Altre fuggono.
In nessun caso è una sconfitta o una colpa. In nessun caso possiamo immaginare quanta disperazione si nasconda dietro i sorrisi di ogni giorno o a scelte plateali.
Però, quando sentiamo di quella donna che da un giorno all’altro è uscita pazza e ha mollato tutto, potremmo non giudicarla. Forse si è solo salvata la vita.
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musicaintesta · 1 year
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Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita. No, finita mai, per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti da la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l’esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all’altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai. E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l’aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s’infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c’è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa. Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: “Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così”.
E il cielo si abbassa di un altro palmo. Oppure con quel ragazzo che ami alla follia.
In quell’uomo ci hai buttato dentro l’anima; ed è passato tanto tempo, ce ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c’è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi. E hai pianto. Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d’acqua nello stomaco. Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo. E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l’aria buia ti asciugasse le guance? E poi hai scavato, hai parlato. Quanto parlate, ragazze!
Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore. “Perché faccio così? Com’è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?” Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli.
Un puzzle inestricabile. Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
È da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai. Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.
Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere. Ma quando va, va in corsa.
È un’avventura, ricostruire se stesse. La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo “sono nuova” con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo.
Perché tutti devono capire e vedere: “Attenti: il cantiere è aperto.
Stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse”.
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
È la primavera a novembre. Quando meno te l’aspetti.
Diego Cugia - Jack Folla
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umi-no-onnanoko · 3 months
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18 😚
🐚. Hai un cantante per il quale esci pazza? Perché?
Tiziano Ferro, soprattutto quello di anni fa, perché le sue canzoni con i loro testi e musiche mi arrivano tutti e mi salvano da me stessa.
Grazie mille per la domanda
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unquadernino · 11 months
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Ieri mi sono laureata, la definirei un'esperienza di dissociazione, soprattutto perché parlavo al microfono e a volte pensavo: sono qui, sto parlando, oh cazzo che strano. Beh comunque. È stato molto bello sentire la presentazione del mio lavoro da parte del mio relatore e in generale sentire lui soddisfatto. La mia correlatrice mi ha fatto una domanda mega bastarda che penso volesse addirittura essere in mio favore, nel senso che forse voleva darmi modo di parlare anche degli aspetti più complicati della mia tesi. Solo che la mia prima reazione è stata: 😑. Poi vabbè mi dicono che sono stata cattivissima nella risposta, non voglio saperlo, ovviamente non faccio altro che pensarci perché sono una pazza, diosanto
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mikaelarebel · 8 months
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Innamorati di una donna umile. Che vada a letto senza trucco e si alzi al naturale, senza vergogna. Che sia intelligente, combattente e lavoratrice, che ti aiuti ad essere la versione migliore di te. Innamorati di quella donna che tutto lo voglia fare con te e che in te trovi tutto. Innamorati di quella “pazza” che ti faccia ridere anche se sono in un luogo pubblico e non gli importa degli altri. Innamorati della donna che vuole vederti progredire e ti aiuti a ottenerlo, che si prenda cura di te, ti rispetti, ma soprattutto, che ti sostenga nelle tue decisioni e ti aiuti ad essere un uomo eccellente nella vita. Innamorati di una donna con grandi sogni e ambizioni, che abbia i suoi obiettivi ben chiari e definiti. Innamorati di quella donna che si fida ad occhi chiusi di te, queste sono quelle che valgono davvero.
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nospiderpls · 4 months
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La cucina era un completo, assoluto disastro. Le pentole si ammassavano una sopra l'altra, la farina si stendeva su tutta la penisola, e non si contava il numero di posate sporche sparse ovunque.
Susan stava richiudendo le finestre, l'odore di bruciato se n'era appena andato, ora solo il camino scoppiettante poteva semmai procurarlo ma anche quello sembrava ora sotto controllo.
Era particolarmente su di giri per la sera di San Valentino. Da quando Alan aveva quel tarlo di intraprendere la carriera politica, lo vedeva di rado e solo di sfuggita. Cercava alleati, cercava prove, andava a noiosissime riunioni segrete e meno segrete, odiava soprattutto quelle da cui tornava che puzzava di sigari.
Averlo finalmente per sè tutta la sera le aveva fatto tornare il buon umore, perchè sapeva non si sarebbe mai perso l'occasione per riempirla di regali. Per questo si era affaccendata tutto il giorno per preparargli una cenetta coi fiocchi, con risultati decisamente discutibili.
Portò i piatti sul tavolino del salotto. Sapeva di avere della farina sulla guancia, ma la lasciò perchè sapeva lo avrebbe divertito. Posizionò per bene la teglia e il piatto con le polpette, accese le candele spegnendo le luci e cercò di coprire i brownies al cioccolato.
Fece il giro del tavolino e si sedette sul divano incrociando le gambe in attesa. La fece sorridere il confronto tra la pulizia del salotto e la cucina appena pochi passi più in là. Ma la lasciò così, perchè quando sarebbe tornato l'avrebbe guardata con quello sguardo da "è pazza, ma la mia pazza" e le piaceva da morire. Quasi quanto provocarlo.
Certo, era emozionata di passare un po' di tempo assieme, ma allo stesso tempo era piuttosto tesa. Aveva deciso che quella sera ne avrebbe approfittato per dirgli tutto. Voleva dirgli della Lega degli Eredi Nobili, voleva dirgli quanto il suo cognome pesasse più di quanto si pensasse. E magari l'indomani portarlo al pub, presentargli alcuni alleati che avrebbero potuto fargli comodo. Rientrare un po' nei suoi piani.
Il camino scoppiettò. Poi ancora. Le lancette scandivano man mano lo smorzarsi del suo entusiasmo. Quella stronza di una polpetta sulla sinistra rotolò nuovamente di qualche giro sul piatto, mostrando la sua bruciacchiatura. La fece rotolare nuovamente nella sua posizione, ma stavolta più malamente che nelle precedenti ore.
Quando l'orologio scandì le undici, lo fece esplodere innervosita. Per poi stringersi nelle gambe posando il mento sulle ginocchia, in un sali e scendi di emozioni tra irritazione e consapevolezza. A mezzanotte soffiò sulla candela ormai consumata.
Anche il camino scoppiettava ormai debole. Risistemò la polpetta. Era fredda.
Passò un'altra mezz'ora e tirò su col naso scuotendo il viso. Bruscamente col dorso della mano, si asciugò gli occhi e poi stiracchiò le gambe alzandosi. Non avrebbe permesso a quel cretino di rovinarle anche quella serata.
Si andò a lavare, accorgendosi che di farina ne aveva fin sui capelli. Si cambiò e truccò, sbattendo più volte gli occhi per abituarli all'eyeliner che riusciva ora a nascondere tutta la sua tristezza.
Scendendo per tornare in salotto, si immaginò mille scenari in cui si sarebbero incrociati e lui avrebbe cercato di fermarla, ma non accadde. L'unico rumore era quello del camino ormai quasi spento. Tirò appena le labbra cercando di sorridere invano, e prese un blocco e una penna. Scrisse velocemente "Vienimi a prendere" con l'indirizzo del pub della Lega. Coprì le polpette e lasciò il biglietto vicino al piatto, uscendo l'istante dopo.
Mise la giacca sulle spalle, senza infilarne le maniche. Si avviò per le stradine, umidicce per la pioggia ormai passata, ma che aveva lasciato qualche pozzanghera qua e là.
Camminò senza particolare fretta, incrociando questa o quella coppia, e qualche ubriaco. Poi si diradò anche la gente, man mano che si avvicinava al pub.
Sentiva solo un calmo silenzio, e lungo una vietta finalmente tranquilla potè sentire solo i suoi passi. Scalpicciavano lenti sul pavimento, mentre svoltava. Ancora un po' di metri, poi una nuova svolta.
Fu in quella strada che sentì che l'eco delle sue scarpe non era più solo. Fu all'inizio solo una sensazione. Una sensazione che la fece accelerare appena, e non fece che confermargli la sua impressione. Qualcuno aveva iniziato a seguirla.
In cuor suo sapeva che era così, ma sperava con tutto il cuore fosse solo una spaventosa coincidenza. Mancavano due vie a raggiungere il pub, dove avrebbe svelato dove si trovava al suo inseguitore. Così sbagliò via. E i passi a seguire sbagliarono con lei. E sbagliarono anche la successiva.
Si infilò in un viottolo di case diroccate dove era impossibile qualcuno volesse andare, e l'essere seguita anche lì ne fu solo la conferma.
Rallentò, e si fermò in mezzo alla via. Era il suo primo passo falso. Stava da Greengrass e si muoveva sempre in orari sicuri, fino a quella sera. Maledizione.
Si voltò, senza alcun timore di chi, sapeva, avrebbe trovato dietro di lei. Davanti le si pararono diverse figure, tutte vestite in scuro. Difficile affrontarle tutte. Per questo mise su un sorriso, e parlò a quel ciuffo riccio che riconobbe:
<< Ti sei portato persino la scorta Pembroke? Così mi commuovi, la scorta per una sola ragazzetta >>.
Alla risata a seguire non piacque la battuta. Non si sarebbe di certo sporcato le mani:
<< Prendetela >> disse con voce grave. Si mise in posizione, sapendo bene di avere poche possibilità. Ma si tolse la soddisfazione di schiantarne un paio addosso alle pareti. Si riparò da un paio di incantesimi facendo cadere la giacca dalle spalle, indietreggiò alla potenza di uno che finì per colpirla sentendo una fitta all'altezza del sopracciglio, ma si vendicò subito sbattendolo con un incantesimo addosso ad un cancello che rimbombò lungo tutta la via deserta. Avrebbe voluto arrivare anche a Pembroke, ma gli lanciò dietro solo una trave che lo sfiorò di striscio.
Fu l'ultima azione prima che il risalire della nebbia avvolse tutti loro. E man mano che le forze le venivano risucchiate via, riuscì a storcere il naso mentre si accasciava sulla strada bagnata. Una pozione per far perdere i sensi. Lanciarla voleva dire che non la voleva morta, ma per ora le serviva viva.
Riuscì a fare in tempo a pensare che Pembroke doveva sentirsi sotto scacco, forse tallonato, e lei avrebbe potuto servirgli per far uscire allo scoperto la Lega per provare a salvarla.
Con questo pensiero rassicurante si lasciò cadere a terra, chiudendo gli occhi cercando di respirare. Una stupida pozione per perdere i sensi, come i vigliacchi. Si appuntò di dirglielo appena si sarebbe risvegliata, chissà dove.
Che poi, chissà se quella polpetta era rimasta al suo posto.
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