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#bottone di legno
crisaore · 2 years
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Il capriccio di Alice
La delicata mano di Alice spostò il pesante tendaggio che celava la finestra. La luce artificiale dei palazzi irradiò la sua esile figura avvolta da un dolcevita nero e dei fuseaux del medesimo colore, brillando sui sottili capelli raccolti con uno chignon. Gli occhi della donna sovrastavano la città, percorrevano le strade notturne i cui bagliori lampeggiavano riflessi nel nevischio, fino a fermarsi sulla ruota panoramica che regalava agli avventori una vista incantevole dei viali alberati brulicanti di gente. Sorseggiava un bicchiere di vino rosso che ne ammorbidiva e ovattava i pensieri. Lo sguardo non aveva indugiato a caso sul luna park. Raggiunta l’attrazione principale, si era ancorato come un’asse di legno intrappolata da un morsetto da falegname e non si era più schiodato. Tre anni prima, dopo un giro su quella giostra iniziò il calvario dal quale ancora non si era ripresa. Scese dalla pedana e senza alcuna avvisaglia svenne, nell’incredulità generale. Gli accertamenti che ne seguirono evidenziarono il contagio di un batterio molto aggressivo che ne fiaccò il fisico e la voglia di sorridere. Passò dall'essere una ballerina in tour nei migliori teatri del paese, al fare solo tappe negli ospedali debitamente bardata di mascherina. Fu in quel contesto, in una sala d’aspetto, che incontrò Buck, un uomo che aveva perso la vista in seguito a un grave incidente. «Capriccio n. 5 di Paganini. È raro sentirla come suoneria, dev’essere un’intenditrice» disse l’uomo dopo aver udito Alice terminare una telefonata. Lei sorrise. «Già, così come è raro che qualcuno la usi per attaccare bottone. Piacere, Alice. Lei?» «Buck. Mi perdoni se le sono sembrato indiscreto» ribatté imbarazzato. «Niente affatto. Sa, la musica mi estrania dal mondo, fa sbiadire i problemi e colora con tinte vivide solo ciò che ho di bello nella vita. Chopin, Paganini, Vivaldi mi fanno sognare. È bello poterne parlare a un altro amante del genere». Buck annuiva coinvolto: «Sono d’accordissimo con i suoi pensieri! La musica è quel balsamo che lenisce i malumori e li sostituisce con candore e serenità». Dopo quel primo scambio di battute, i due intavolarono un discorso condito di ricordi e melodie. Scoprirono che Alice aveva danzato in un teatro in cui Buck si era esibito e questo piccolo particolare costituì un punto di svolta. Prima dell’incidente, Buck aveva potuto ammirare quella donna e ne aveva ancora l’immagine impressa negli occhi. La grazia e la passione che emanava con le sue movenze l’avevano incantato. Lui però si sentiva solo un violinista qualunque di un’orchestra qualunque, mentre lei era un astro in ascesa, così non ebbe il coraggio di presentarsi. C’era molto di cui discorrere, così a quell’incontro fugace ne seguirono altri e contribuirono a creare armonia. Buck rispolverò il violino per allietare la sua musa e le promise che le avrebbe composto un pezzo per renderla immortale. Doveva essere una sinfonia su cui poteva sognarla danzare con l’abito viola, con cui la ricordava. Inizialmente Alice si comportò da mamma chioccia, prodiga di protezione per il suo pulcino, ma Buck le fece comprendere di aver bisogno solo che lei si sciogliesse come avrebbe fatto con chiunque altro. Questo permise loro di gustare ogni secondo insieme e la donna tirò fuori quella forza che giaceva sopita in lei. I fiocchi di neve cominciavano a cadere più numerosi. Alice guadagnò il divano continuando a sorseggiare vino. Ciondolava la testa a ritmo del 𝑪𝒂𝒑𝒓𝒊𝒄𝒄𝒊𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒄𝒖𝒐𝒓𝒊 𝒗𝒊𝒐𝒍𝒂; l’ascoltava in loop. Buck ci era riuscito. Si percepiva l'amore per la musica, delizia per l’immaginaria danza di un’ex ballerina; il romanticismo dei dettagli evidente dal titolo, unione dei particolari dei loro primi due incontri; la malinconia di un uomo che stava morendo. Buck se n’era andato da un paio di mesi. In realtà gli ospedali li frequentava per una patologia che adagio adagio lo consumò. L’animo di Alice accusò il colpo e, come le sue gambe, non fu più in grado di sostenere il peso delle sofferenze. La donna finì per galleggiare sospesa, trafitta e allo stesso tempo cullata dalle note del violino. Annebbiata, posò il vino e si addormentò sul sofà affondando tra le lacrime e i rimpianti di ciò di cui, ancora una volta, la vita l’aveva privata.
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napoli-city · 21 days
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Wahson Set di 4 Sedie da Pranzo in Velluto Sedie da Cucina Moderne con Gambe in ...
Price: (as of – Details) Descrizione prodotto La sedia Wahson porterà un tocco moderno e individuale al tuo stile di interni. Vuoi goderti una grande cena? Wahson Sedia da pranzo combina morbido velluto e gambe in legno massello per portare una sensazione di lusso a casa tua. Il design dello schienale del sedile con decorazione della testa di leone e design del bottone rende la sedia più…
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claudiotrezzani · 5 months
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Si andava a scuola soli ed a piedi, anche alle elementari.
Ci si riversava in strada in gianburraschiane bande, di pomeriggio.
S'interveniva "dinamicamente" sui giocattoli, bastava un pezzo di legno.
Sì, quegli anni là.
Gianfranco Jannuzzo è ponte tra quegli anni là e questi anni qui.
Perché se in "Proiezione di radici" mi occupavo del Signor Carmelo Sciré "paulanise a Denominazione d'Origine Pregiata" nella magistrale interpretazione fotografica di Gianfranco, il respiro del tempo che si sovrappone a tempo viene da quegli anni là.
Perché Gianfranco  struggenti lampi di vite aveva colto anche allora con fine sensibilità.
Se Carmelo è un contemporaneo con indizi di passato e di futuro, il riccioluto bambino qui rappresentato (tratto dal volume "Gente mia")  incarna l'eternità e l'ubiquità.
Sì, l'eternità e l'ubiquità.
E sì, il bambino è d'allora.
Scene così, oggi, occorre salpare nel Mediterraneo ed attraccare al suo Sud.
Sì, in Africa.
O della spontaneità ritrovata, o della ruspantezza dei sapori veri.
Sapete, non ho chiesto a Gianfranco di etnia e colore.
Così non so se quel bambino era bianco, nero, o di qualsivoglia altra tintuale sfumatura.
Conta niente, ciò.
A contare è l'eternità e l'ubiquità che il riccioluto incarna.
Espressioni così, in ogni epoca ed in ogni luogo.
Sapete, io sono un cacciatore di emozioni.
Cacciatore iena, mentre Gianfranco è cacciatore leone.
Lo è perché la poetica coglizione è sua, a noialtri è solo dato ricevere per successiva delibazione.
E sì, catturare emozioni.
Renderle imperiture pigiando un bottone.
Solo questo conta.
Solo così il passato sopravvive e canta.
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Claudio Trezzani
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macabr00blog · 6 months
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otto
Una settimana di cibo avariato
carne, piselli, aglio che si rotola nella culla
e lavare la biancheria dall’altra parte della sponda, sei
dall’altra parte della sponda, le tue vecchie camicie
da cerimonia appese in macchina.
Mi sterilizzano le tue enormi mani
- sciame carnivoro
sono una preda che ha visto lampade spegnersi, non
ci saranno mai seni troppo bianchi,
non ci saranno mai segni troppo viola,
i colori del mio corpo che si allunga come una lacrima
ingrasso come una vacca,
ingrasso come un vitello,
sono una figlia che ha fame. Tutto per
una settimana di cibo avariato,
le tue unghie senza sonno -
apro la dispensa dei dolciumi, per quanto tempo?
Quanto tempo è passato?
Dodici anni lungo lo sterrato, giocavano a
nascondino con i sessi scoperti, derubavano
l’infanzia dalle pietre senza pelli,
ora io attraverso i loro boccheggianti spiriti,
ancora fisso sulla tavola come una carne pregiata.
Papà, sono passati dodici anni
sono ormai avariato.
La conchiglia serrata a gabbia, guardo le mie ossa che si spiegano
si piegano per cedere. Con o senza bicicletta,
rotazioni dei pedali della bilancia, su e giù come una danza
tra un vitello e un toro,
umile la mia danza, da figlio a padre.
E’ buio come una cantina silenziosa
nella notte hanno portato la ciotola dove raccogliere
i pezzi della bambina. I ringraziamenti di una madre
e di alcune telefonate di conforto, ora che sono
in un corpo che consola non ci sono più suoni.
La mia pelle si rimbocca le maniche -
ho gli avambracci scorticati dal terrore -
e la donna che mi ha partorito esita
ed esita
e sussulta
sua figlia è morta, suo figlio si è ammalato,
non sa più cosa chiedere alla vita, svuota
un secchio di caramelle lungo la via, spera in un regno
di formiche volanti che potrà chiamare figli.
Mia madre possiede il mio corpo purpureo -
rimane in un posto che
somiglia alla prossima dipartita, gli spazi tra i giorni che passano
e i giorni che passano sopra di me,
il cielo scuro e il dolore che avviene e si arresta.
Meglio una pelle suicida o uno spirito che ha fame?
Un paesaggio di uccelli gialli migratori,
aprire il cassetto delle meraviglie
-
quattro pastiglie bianche per assestare il corpo
venti mg sulle teorie del vetro tagliato,
lungo, singola magnolia sfiorita,
-
indomabile come un corpo che cade
e un dolore che si assesta.
Sono una bestia che desidera -
curvo nei tavoli di legno deformato,
parlo di architetture di rose dipinte, Gauguin e la sua scimmia
rossa, due tazze e una lattina dalla base che accoglie.
Il mio sangue è rosso come la gola di un macaco
languido come una vecchia storia di erotismi.
Mia madre mi accomuna alla simmetria di distanze,
ha un figlio adolescente
dopo la figlia morta,
mi riconduce al ghiaccio blu dell’ego, io le ripeto che il ghiaccio
non ha colore. La mia è solo assenza
mangiata a metà, io sto costruendo questo maschio
adolescente a base di bocca e ragione,
nel mio appartamento dipingo un erbario che sa
di una vecchia bugia. La mia prima di essere fame, prima di essere
uno stelo
spesso e scuro, è il naturale formarsi
di una bestia che desidera.
Mi si avvicinano gli occhi, mi si incurva
la mandibola sotto il lieve sonno dell’autunno, scivolo
come una sintesi lungo le lenzuola, vino bianco secco
o massive di scarabocchi
o quel sangue che mi ricorda da dove vengo.
Slaccio il primo bottone,
cenere scura, specchio, luna nuova,
disfaccio il suo secondo, terzo, quarto
ultimo pulsante, lui dice: sei una storia che continua
ad iniziare.
Il tempo che non ho, il tempo rimasto,
chiedere la strada di casa, indicazioni di frazioni appannate,
lenti scure degli occhi di mio padre, il nodo scorsoio nella
gola di mia madre. C’è la parola
che diamo a qualcun altro, lui la dà a me con fatica, mani
da sudorazioni lente, e c’è la parola che teniamo per noi stessi,
e a volte le due coincidono. Come cava, come inseguitore, come afflizione,
o come stupro, che è la nostra parola iniziatrice.
Un uccello ad un altro uccello e l’orecchio che esorta,
la sua camicia intorno alle mie spalle, ci sono voci che
ci svegliano al mattino, dice. E ci sono voci che ci tengono svegli
tutta la notte, dico. Il membro defunto
di quello che avrebbe potuto essere la luce, filtrata,
dalla finestra, perché la finestra poteva essere aperta,
avrebbero sentito le ingiunte, le lodi, ciascuno avrebbe assistito
al canto di un passero.
Ma il canto continua ad andarsene, la finestra era chiusa,
mi ha fatto un po’ male, poi è passato, -
la figlia è morta,
dico, la figlia è morta,
ho visto i suoi lembi nella ciotola,
ho separato gli indizi, i ponti, le ali,
dimenticato il sogno di volare, ora solo
cenere che tiene il sapore dei fumi amari
della legna.
I corpi hanno circondato i corpi fin dall’inizio,
il mio è un Dio che brucia nascosto da sempre,
ora la fiamma accende la libertà.
Quindi
bottone dopo bottone, fuoco che accende la schiavitù,
l’amore è una mano che ti tocca in un altro modo,
in un modo che tutti sapranno riconoscere.
Lo tatueremo sulle mani, dove e come, sapranno
come è facile renderci liberi, tempo dopo tempo, restituendoci
lo spazio del volo.
Papà, ho trovato un modo
per formare un petalo di fetori assemblati,
da bistecca a ombra radiosa,
indovinare i gusti dell’amore
carne, piselli e aglio che si rotola nella culla.
Non avrò mai figli, ma avrò un uccello
come un artista circense, un pensatore da appelli confusi e
Stop e Ancora. Nessun immortale, un viaggiatore con un
viaggiatore, amici che abbassano i rumori della notte,
e la sua lingua a metà come quella di una serpe
che parla di doppia provenienza, sentieri scoscesi tra alleati e nemici,
il sogno di un rifugio perché ora dormo con l’immagine
di un cielo
a misura di santuario,
e ho dipinto un erbario
di desideri, perché sono una bestia
e ogni angolo del giorno
si mescola all’odore del suo corpo.
Papà, smettila di tirare ad indovinare:
di tutte le ore ramificate, verdi e ridondanti, ne ho fatto
poltiglia. Ora
io schiocco la lingua e assaporo le sue costole,
conosco con gli occhi più di quanto il mio corpo sappia,
perché la finestra è aperta.
Mi stanno ascoltando tutti.
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Napoleone, il suo cappello da imperatore venduto all'asta per quasi due milioni di euro
Tgcom24 In feltro, color nero, decorato con la coccarda tricolore, bianca al centro, poi blu e rossa all’esterno e nella tradizionale forma alla francese, il leggendario copricapo, uno di quelli ampi divenuti il simbolo di Napoleone Bonaparte, presenta un doppia treccia di seta nera, trattenuta da un bottone di legno ricamato con fili di seta nera (usurato). La parte superiore dell’ala anteriore…
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passiondiyblog · 9 years
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Coni portariso fai da te https://www.passiondiy.com/coni-portariso-fai-da-te/ Coni portariso per un #matrimonio fai da te!
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sciatu · 3 years
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Biancomangiare mandorle e cannella, Parfait mandorle, Africano, fichi crema di ricotta e cioccolato, Gello all’arancia, Gelo all’ anguria, cassata semifreddo, Parfait mandorle, semifreddo al limone, semifreddo al pistacchio.
Sex and Food - Il Cavalier Febronio
Il Cavaliere Febronio Interdonati guardò dalla vetrata della camera da pranzo la strada assolata e vuota dove vedeva l’aria arroventata danzare salendo verso il cielo che lo scirocco aveva dilavato dal suo intenso azzurro. Osservò nel cielo il velo glauco e sbiadito che aumentava la sensazione di caldo rendendo, l’afa ancor più appiccicosa e togliendo il respiro e ogni forza vitale. Il Cavaliere osservò un vecchietto camminare sul marciapiede e fermarsi a lato di un albero di arance e asciugarsi il sudore con un fazzoletto ansimando intensamente. L’osservò guardare il marciapiede che doveva ancora percorrere e quindi lanciarsi per superarlo velocemente, per poi fermarsi all’albero successivo ansimando ancor di più. Il vecchio si guardò intorno ormai allo stremo e vedendo la porta di un bar si diresse in quella direzione per entrarvi e riposare, approfittando dell’aria condizionata del locale. A lato del bar dove era entrato il vecchio c’era una farmacia la cui insegna luminosa, dotata di termometro, segnava implacabilmente 45 gradi. Il cavaliere osservò compiaciuto la temperatura “È il momento giusto” si disse il Cavaliere. Con noncuranza si avvicinò alla tavola che il filippino stava sparecchiando e si riempì nuovamente il bicchiere con po' d’acqua che quella strega della moglie pretendeva dovesse essere a temperatura ambiente per evitare fantomatiche congestioni digestive e lo svuotò d’un colpo “ Febrò se bevi così ti fa male: potresti strozzarti” Disse la vecchia strega con la sua voce nasale e il suo tono da madre inconsolabile “sento caldo gioia. Ora però devo lavorare, per favore non mi far disturbare per nessun motivo” “Febrò ma lavori sempre. T’ha ripusari antichitta” “Dopo gioia, ora devo finire una relazione” E dopo averle dato un bacio sulla fronte che sapeva di naftalina, si avviò verso lo studio dandosi ancora una volta dello stupido perché aveva intestato tutti i suoi beni a quella laida mavara (disgustosa strega). “ Febrò siediti dritto sulla sedia, se no ti si blocca la digestione”. Gli disse la mavara e lui per risposta, non visto, si toccò gli attributi maschili. Si diresse con le mani dietro la schiena e la faccia seriosa verso il suo studio ed una volta entrato chiuse a chiave silenziosamente la porta. Era meglio non fidarsi della vecchia che avrebbe potuto portargli una di quelle tisane digestive bollenti di cui era una convinta propinatrice. Andò verso la finestra e aprendola accostò le persiane di legno in modo che lo studio fosse nella completa penombra. Nel chiudere la finestra assaporò con gioia la vampata di caldo che saliva dal cortile bollente. Chiusa la finestra si avvicino alla libreria e si levò la vestaglia giapponese di seta e quindi la canottiera appoggiandole ben piegata sulla scrivania Luigi XVI. Si levò le ciabatte ed i calzini inglesi restando a piedi nudi. Restò qualche secondo a guardare la libreria come a raccogliersi prima di un rito importante. Poi si avvicinò con i boxer eleganti che la vecchia gli aveva comprato a Parigi e schiacciò un bottone nascosto tra i libri. Si sentì un tac e lentamente si aprì una sezione della libreria e una luce bianchissima lo investì insieme ad una folata di aria fredda. Nel sentirla chiuse gli occhi facendosi avvolgere dalla nube di condensa che l’aveva accompagnata. Quando aprì gli occhi vide gli scaffali di un enorme frigo pieno di dolci. Osservò eccitato il Gelo all’anguria il Parfait alle mandorle, il semifreddo limone e fragola, le vaschette di gelato disposte a seconda del colore (bianco limone, rosa fragola, verde pistacchio, e poi nocciola, zuppa inglese torroncino, gianduia, bacio) a creare un arcobaleno di divina dolcezza. Lo sguardo si spostò su altri Geli al limone, alla pesca, alla cannella, e poi Africani di tutti i tipi, con il pan di spagna ricoperto di cioccolato al latte, cioccolato bianco, cioccolato fondente. Avvicino lentamente un dito alla grande forma di Gelo al melone ricoperto di granella di pistacchio e con un dito lo smosse per vederne il tremolio gelatinoso sensuale ed invitante. Prese un cucchiaino sul lato del piatto e lo immerse nel gelo ed esitando lo portò alla bocca chiudendo gli occhi per gustarlo meglio, alzando la testa come se quel cucchiaino gli stesse donando una nuova vita nel suo gelido scendere nel suo corpo accaldato. Ingioiò con soddisfazione il dolce e aprendo gli occhi osservò a lato una mattonella di Parfait già mezza divorata e ripeté il gesto beandosi della dolcezza e morbidezza del dolce, pensando al termometro della farmacia che segnava 45 gradi, all’ ansimare del vecchio stordito dalla calura, alla luce abbagliante della strada, alla danza dell’aria che saliva dal marciapiede rovente, alla vecchia mavara con le calze di lana. Pensare tutto questo, mentre la lingua spalmava sul palato la frescura del dolce, lo eccitava esaltandolo quasi. Prese una piccola tazza con dentro del bianco mangiare spolverato di cannella e ricoperto di gocce di cioccolato, chiuse con delicatezza lo sportello del frigo camuffato da libreria e sedendosi sulla poltrona della scrivania, allungò i piedi su di essa incominciando a gustarsi, lentamente, il dolce. Pensò alla mattonella di semifreddo che ancora non aveva iniziato e allo zuccotto ripieno di gelato nocciola e zuppa inglese, sentendosi ancor di più eccitato al pensiero di trasgredire agli ordini della moglie che aveva proibito al filippino di comprare dolci, responsabili secondo la sua mente contorta e miserrima, di provocare il cancro e meno che mai di mettere nel frigo gelati di qualsiasi tipo responsabili di innominabili disastri gastrici e intestinali. Pensò alle tisane bollite di biancospino e ortiche per la digestione o a quelle di caruba e lupino che dovevano salvarlo dal diabete, alla coperta di lanetta con cui lo faceva dormire la notte con l’aria condizionata spenta. “ Alla facciaccia tua” Si disse il Cavalier Febronio, toccandosi, mentre mangiava, per sfregio alla sessualità precocemente appassita della vecchia mavara. Mentre continuava a giocare con la ciolla, fece scivolare la lingua sui denti cercando ogni più piccolo rimasuglio di granella e raccogliendo il gusto del dolce in ogni angolo del palato godendosi la sensazione di frescura e di immensa libertà che provava nella penombra del piccolo studio in cui era rinchiuso.
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Un giorno io e la Giulia, stavamo tornando dal Gaver ed io le chiesi:
"Giuli, se ora dovessimo tornare alla macchina, ma una volta arrivati ti accorgessi che di colpo il vento si ferma, non si attenua, si interrompe completamente e smette di soffiare tra i pini che si zittiscono totalmente.
Il rumore del fiume accanto al parcheggio pian piano va a morire e l'acqua che vedi attraverso gli alberi ti sembra si sia fermata.
Tu ti giri a cercarmi ma non mi vedi più, io non ci sono.
Urli, fortissimo, ma non ricevi nessuna risposta.
Tutto è fermo.
Però, da in mezzo agli alberi, vedi arrivare a passo lento una figura grassa e grossa.
Un omone enorme con dei lunghissimi capelli grigiastri e dei baffoni folti che spariscono dentro una lunga barba che arriva quasi a metà del suo petto.
Più si avvicina e più tu alzi la testa, rendendoti conto che debba essere alto forse più di tre metri.
Ha in testa un capello di lana storto che sembra una vecchia cuffia, tutta rovinata e dalla punta un po' allungata.
Ha ai piedi degli zoccoli di legno che hanno l'aria di essere davvero molto molto scomodi, visto anche che lui li indossa scalzo.
Sopra ad essi ha delle braghe beige, con diverse gorsse macchie ed indosso ha una camicia spessissima a quadrettoni da vero montanaro, ma è lisa e consumata in diversi punti e le mancano anche un bottone o due.
Sopra ad essa ha un pesante cappottone fatto in lana di pecora ma è molto grezzo, come se la lana fosse stata utilizzata appena tagliata senza nemmeno venire cardata.
Mentre ti si avvicina, lento e placido, vedi però in questo omone, un sorrisone dolce e sornione nascosto sotto quei baffoni spessi, accompagnato da due belle pomellone rosse come anche il suo naso.
Tiene tra le sue grosse e tozze mani una lunga pipa fatta di uno strano legno chiaro e con moltissime incisioni tra le quali però non sei in grado di distinguere né scritte né figure.
Giunto ad un paio di metri da te, si ferma.
Fa un'altra profonda boccata di pipa e ridacchiando in modo dolce ti dice:
'Hai soltanto tre desideri, non uno in più e non uno in meno.
Cerca di non sprecarli e pensa bene a cosa chiedermi!'
Detto ciò si poggia con la schiena ad un grosso pino alle sue spalle e socchiudendo gli occhi aspetta di essere interpellato da te."
La cosa che più mi stupí quel giorno è che passarono i minuti.
Decine di minuti.
Arrivammo quasi ad un'ora di attesa e quando mi rispose mi disse:
"Mmmmmmh ma niente, non gli chiederei niente"
Ora, tu non lo sai, ma la Giulia ha tanti problemi poveretta, soprattutto ci sono state delle cose nel suo passato che l'hanno segnata in modo negativo indelebilmente.
Eppure, davanti alla possibilità di un potere assoluto che le permetterebbe di cambiare qualsiasi cosa della sua vita, lei non avrebbe chiesto nulla...
Io ovviamente le ho chiesto spiegazioni sul perché non avrebbe voluto cambiare il suo passato, sistemare le cose che l'hanno fatta soffrire, gli amici persi, i cuori infranti, le guerre perse, le liti infinite...
E sai cosa mi rispose lei?
"Io non cambierei niente e non desidererei nulla perché tutto quello che vissuto e che sto vivendo è quello che mi ha fatto diventare chi sono, bello o brutto che sia"
Io ero allibito, perché sapevo che aveva fottutamente ragione, ma chi cazzo si sarebbe mai aspettato una risposta del genere ad una semplice domanda Ideata per ammazzare il tempo?!?
Però quelle parole mi hanno fatto pensare tanto, per ore, per giorni.
Mi dicevo che forse, tutto quello che è successo, non sarebbe potuto andare diversamente, perché io avevo bisogno di tutte le esperienze che ho vissuto, belle o brutte che siano, per arrivare a rendermi conto di come sto vivendo e di come voglio vivere.
Per questo ti dico di non biasimarti per il passato.
Per le cazzate che hai fatto tu e per quelle che hanno fatto gli altri.
Ciò che conta è che tutto quello che hai vissuto è stata parte di ciò che tu sei oggi e di ciò che sarai domani e che forse, in fondo, si può essere felici anche senza i tre desideri di quello strano tizio.
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giovaneanziano · 4 years
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HUNGER GAMES ANZIANO - La notte numero 3
Buonanotte dolci principi, chissà chi si sveglia domani...
@acciarino si ritrova pronta, armata fino ai denti, pronta a fare l’agguato a @gold-insanity. E’ pronta ed è sicura, con la sua lancia fatta da un bastone appuntito, intagliato poche ore prima. Come Mando con la sua lancia di beskar salta su gold e lo schiva. Diomio cheffigura di merda. Rimane li bloccata Giulia, complice anche un insaccata, ma non aveva fatto i conti con un imprevisto: Gold non viaggiava solo, ma con @geometriche che prende una bottiglia delle sue San Benedetto firmate da Paulo, la spacca tenendola per il collo e accoltella acciarino proprio tra capo e collo. Abbiamo due nuovi personaggi in questa storia: acciarino aka the concime e Geo aka nuovo killer in town.
@orestiade invece sembra nella sua nuova fase della PSTD. E’ in un angolo, sola a piangere, ad aspettare che il sonno la colga, ma fluisce lacrime tristi. La sua famiglia le manca, i suoi gatti, il pelo sulle maglie e i suoi fratelli che le rubano la stanza per giocare a Fortnite. Dio come le manca la routine universitaria. Eh ve l’ho detto che è pazza MA NON MI CREDETE
Per godervi bene la prossima scena, fate riprodurre in background: https://www.youtube.com/watch?v=XS4_5xlA3Ls
@proprio-no e @tehwolfeh si ritrovano l’uno contro l’altra. Entrambi armati con una spada rubata da cadaveri per strada. Proprio parte con la spada sopra la sua testa e wolfeh si difende, manco capisce cazzo è sto astio manco t’ho toccato er cane, viene travolto fendenti da paura che para tutti. E’ una battaglia per l’ultimo sangue, si vede, con colpi scorretti, calci, fendenti colpi di dritto e rovescio che manco nei film giapponesi si vede. Proprio attacca wolfeh e quando questo contrattacca lei si allontana con una ruota atterrando sulla difensiva. Ma che sta diventando uno spin off di star wars, pensa. Continuano per 5 minuti poi col fiatone si guardano e si urlano “MA TI VUOI FAR COLPIRE MADONNA?” ma nessuno vuole cedere. Poi si fermano e Wolfeh urla “ma te lo immaginavi così stancante una lotta con le spade?” e proprio non risponde che ha un fiatone da paura. Quindi si fermano, riprendono le loro cose e se ne vanno. Lo chiamerei un pareggio, invece lo chiamo imbarazzante.
@mantenetevifolli vede @iajato che dorme e decide di fare come una vera infame: ucciderla nel sonno. “ma si, la morte nel sonno è la migliore, manco soffre, DORME!” così sguaina na freccia, punta il collo, guarda la giugulare, è li per impiantarla per poi pensare “ma io non faccio medicina, se quello fosse un nervo? e poi ma chi cazzo ha la forza di piantarla, magari manco ci riesco. E non ho manco altre armi e qui ci sono solo sassi, se sbaglio questa si sveglia e mi fa un culo tanto!” quindi coi suoi dubbi prende e se ne va. “Cheffigura demmerda” pensa fuggendo, mentre Iajato russa che manco se n’era accorta
@kuramaaa che ricordiamo è infermiera, diventa, dopo lo scorso episodio, l’infermiera pasticciona. Si ricorda del suo giuramento da infermiera (che non esiste lo SO) e si fa impietosire dalle ferite di @dichiarazione e la cura. Anche per ricambiare il favore, visto che Dichiarazione già l’aveva graziata e curata qualche giorno addietro. Così si guardano e Kura le dice “Ora siamo pari, la prossima volta non ci saranno debiti” e si allontana. Dichiarazione diventa scura in viso, vorrebbe bestemmiare, ma ha troppo sonno e dorme.
@mafaldinablabla e @burroesalvia si ritrovano a cucinare cose. Come due amiche eh! Mai viste prima ma si trovano li a cucinare. Mafaldina fa “osei scampai” mentre burro fa “tasso ripieno di bacche”. Si sfondano manco avessero mai mangiato in vita loro e si addormentano raccontando storiacce sui loro ex. Da Huner Games a Gossip Girl il passo è stato abbastanza breve
@cieli-dipinti la si ritrova a piangere sotto un tronco caduto. Piange e canta fino a quando, piangendo, guarda la telecamera nascosta e fa “non può piovere per sempre” infatti zi’ non piove da una settimana e se mi gira schiaccio il bottone “nubifragio” voglio vedere poi se citi Il Corvo ancora a cazzo.
@cretina-te​ si ritrova da sola dopo molti episodi e decide di accendere un falò con materiali trovati in zona. Quindi fa a prendere le pietre, il legno e si mette li a fare il fuoco che le viene al primo colpo. Pazzesco pensa, ho sbagliato tutto nella vita, questo dovevo fare! Ma non ha niente da cucinarci sopra. Manco dell’acqua per farci un te alle foglie a caso. Le manca @geometriche​ con la sua acqua e la sua compagnia. Si addormenta piangendo
E anche per oggi l’episodio finisce! Rendiamo omaggio ad @acciarino​ che ci muore sotto la spietata mano di Geometriche
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silence71 · 3 years
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"Sono andata da nonna, le ho chiesto di cucirmi il bottone della camicia.
Mi ha guardata, e teneramente mi ha detto : "picciré vieni qua, ti devi imparare a fare tutto. Altrimenti che fai quando io non ci sto più? Butti le cose perché non sai aggiustarle?Tutt s'accong. Ricordatelo sempre. "
La guardavo. Con il suo ditale, la sua immancabile scatola di legno che ha da quando sono nata, piena di cose per cucire e "accongiare".
Mi ha commossa. Perché lei viene da una generazione che cuciva i buchi ai calzini invece di buttarli. Quella generazione in cui si cambiava l'elastico alle mutande e dagli avanzi di un tessuto per lenzuola, si creavano camicette fresche, per i più piccoli. Perché nulla si buttava, nulla veniva sprecato.
Mentre la guardavo, fissavo la fede, che non ha mai tolto nemmeno dopo la scomparsa di nonno, anzi indossa anche la sua come ciondolo.
E ho pensato a tutte le volte che ha "accongianto" invece di buttare. A tutte le volte che ha ricucito e rammendato, in 50 anni di matrimonio.
Ha ragione lei, con il suo ditale e le sue fedi. Ha ragione la sua generazione che dava valore alle cose e alle persone.
Andiamo dalle nostre nonne e facciamoci insegnare a ricucire i rapporti, a rammendare il cuore e a ricamare nuovamente il valore della vita "Tutt s'accong." Non lo dimentichiamo." Maria Prisco
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Lana d'Abruzzo - 100% pura lana vergine
Mille benefici per chi la indossa, soprattutto per chi ha problemi di allergia🥰
Collo grigio naturale lavorato all'uncinetto con bottone in legno naturale ❇️
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levysoft · 4 years
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Segnatevi una parola nuova, se già non la conoscete: neumorfismo, cioè la versione per gli anni Venti del millennio dello scheumorfismo. È la tendenza grafica del momento, quello che ha superato lo stile “material” tanto caro a Google e poi Microsoft, composto da blocchi di colori. Invece, Neumorfismo vuol dire tornare in maniera differente a disegnare una interfaccia utente con elementi scheumorfici.
A partire dal 2007, quando arrivò iPhone con la sua interfaccia, si fece un gran parlare dello scheumorfismo, cioè il design di un oggetto che ha degli ornamenti che devono richiamare le caratteristiche di un altro oggetto. Ad esempio se prendete le vecchie Mini giardinetta, gli inserti in legno riproducevano le caratteristiche di carri in legno, oppure le pentole in ceramica con dei rivetti per far ricordare le pentole in metallo. In generale, nel design contemporaneo, gli oggetti con attributi scheurmorfici sono quelli più economici in plastica che simulano l’aspetto di oggetti in legno o metallo, che sarebbero più costosi.
Il ruolo degli oggetti per iOS
Veniamo al digitale e ad Apple. Lo scheumorfismo (la parola viene dal greco: σκεῦος (skéuos, contenitore o attrezzo) e μορφή (morphḗ, forma) è diventato un caso di successo nel mondo digitale. Steve Jobs e il papà di iOS, cioè Scott Forstall, avevano un grande apprezzamento per questo modo un po’ pacchiano di fare ad esempio una icona per i video fatta a forma di vecchio televisore, oppure quella della rubrica fatta in finto cuoio con tanto di trapunte. Un distacco forte dallo stile più sobrio dell’interfaccia del Mac, perché sostanzialmente lo scheumorfismo doveva comunicare l’idea tattile di oggetti veri, visto che poi l’iPhone frapponeva solo una superficie di vetro tra le dita degli utenti e il contenuto digitale dello schermo.
Lo scheumorfismo, per niente amato da Jony Ive, è andato in pensione nel 2012 quando il leggendario designer industriale ha preso il controllo anche del design di iOS e Scott Forstall è stato accompagnato alla porta dell’azienda. Da allora, da iOS 7 in poi (2013), c’è stata una deriva verso un tipo di design più “material”: icone piatte, colori forti, una nuova serie di animazioni compresa quella dello slide-to-unlock. Jony Ive descrisse la trasformazione come «Una bellezza profonda e duratura nella semplicità», ma le critiche sono state comunque numerose.
Il bisogno di cambiare
Arriviamo a oggi. Anche Ive è stato accompagnato alla porta (assieme a un tir di centinaia di milioni di dollari e con la certezza che la transizione avvenisse nel modo più discreto e meno visibile possibile, tant’è che ce ne siamo accorti tutti con un paio di anni di ritardo) e adesso la macchina del design di Apple è piena di volti nuovi. In questa epoca post-Camelot, dove non c’è più Re Artù-Jobs e non ci sono più i suoi cavalieri della Tavola Rotonda di livello C (tutto cambia, dopotutto), arriva la nuova rivoluzione. Bisogna opporsi? Bisogna assecondarla?
Vediamo un attimo com’è fatta. Il neomorfismo è la tendenza grafica che parte questa volta dal Mac, che dai tempi di OS X con Aqua ha avuto una interfaccia tendenzialmente “lucida” e un po’ caramellosa, mai scheumorfica. Adesso, assieme a iOS e iPadOS, c’è odore sempre più forte di neumorfismo.
Una pratica che è nata giusto ieri
Il concetto non è nuovo. Twitter è stato il suo campione, negli scorsi anni. È un linguaggio che mira a un tipo di differenziazione degli elementi che compongono l’interfaccia che non è venuto molto bene perché concentrato più sulla forma che non sulla usabilità. Cattivo design, secondo Ive, perché per lui e per Jobs il design è come funziona, non come è fatto un oggetto fisico o digitale che sia.
C’è tuttavia tantissimo potenziale ancora da portare fuori dal neomorfismo, e una “cattiva fama” che in realtà fa gioco ad Apple perché ha meno concorrenza in questo ambito visivo e quindi può differenziarsi di più. Gli elementi che caratterizzavano lo scheumorfismo erano gli attributi che imitavano visivamente oggetti reali: trame e tessuti, come il metallo spazzolato di un registratore digitale per una app audio o il feltro di un tavolo da poker per un gioco di carte.
Invece il neomorfismo se la gioca su un piano tridimensionale e utilizza soprattutto trasparenze e illuminazioni per rendere in maniera più realistica gli oggetti digitali, più che cercare di imitarne quelli fisici del mondo reale.
Cosa vuol dire neomorfismo in pratica
La simulazione delle luci e delle trasparenze nel neomorfismo è estremamente complessa e anche pesante da un punto di vista grafico, richiede processori dotati rispetto a quelli tradizionali di un tempo solo per visualizzare le icone o gli elementi di interfaccia statici. Non si tratta di oggetti 3D che si muovono, bensì di semplici rappresentazioni di oggetti digitali che però entrano in relazione l’uno con l’altro: un bottone sopra un certo tipo di finestra di dialogo si illumina in un modo, fa ombra in un altro rispetto allo stesso bottone in un altro contesto. E questo tipo di posizionamento e rappresentazione tridimensionale impatta lo stato del bottone e il fatto di poterlo usare o le conseguenze. In pratica, fa espandere e porta all’ennesima potenza l’interfaccia fatta di più piani sovrapposti, questo si un vecchio pallino di Jony Ive.
Il design neomorfico arriva dopo una decina di anni di design flat e material, con colori compatti, pile di elementi, layers, pagine, è “digitally native”, adatto a una intera generazione di persone che non ha avuto identità o rapporti con interfacce precedenti. Quella del Flat è stata una strada di modernità. Quella del design neomorfico è una via di novità che fa muovere e rende le interfacce utenti più tridimensionali, moderne, accattivanti e capaci di gestire contesti più complessi.
Nel mondo iOS
Implementare il neomorfismo può andare in due modi: introdurre semplicemente un po’ di ombre, luminescenze, trasparenze e qualche oggetto 3D. Oppure, come sta facendo Apple, andare oltre l’aspetto semplicemente visivo ed esplorare invece i modi con cui rendere più facili e comprensibili azioni più complesse, aggiungendo non solo bellezza ma anche layer di complessità in modo semplice, restituendo la fisicità meccanica dell’interazione con il computer, da tasca o da tavolo che sia.
Il neomorfismo è relativamente nuovo e ha avuto una partenza goffa, e tutt’ora, da quello che abbiamo visto con l’interfaccia soprattutto di iOS 14 la parte migliore sono le nuove forme di interazione e anche l’entrata di pannelli, widget, cartelle dinamiche, bottoni e schermate di confronto e controllo. Invece è più debole, almeno per chi scrive, la parte delle icone, che si portano ancora dietro una identità antiquata (guardate le nuove icone di Foto o di App Store, ad esempio).
Nel mondo Mac
Nel mondo di macOS 11 Big Sur invece la transizione è più di impatto anche perché deve aiutare il nuovo sistema operativo a staccarsi da una traduzione consolidata negli ultimi anni e incamminarsi verso una convergenza di modalità di utilizzo che dia continuità a chi usa Mac e iPhone-iPad. Per questo soprattutto le app Catalyst ma anche i controlli e le modalità di interazione, l’entrata in scena dei widget e mille altre cose incluso il Dock tondeggiante con le nuove icone smussate, parlano tutti una lingua più nuova di prima e per molti aspetti neomorficamente più gradevole. Staremo a vedere, nell’uso concreto, come questo si tradurrà dal punto di vista del gradimento degli utenti. La rivoluzione, comunque, è in marcia anche nell’interfaccia utente.
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lanimadellamosca · 5 years
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Mani di fata
Ho approfittato di due giornate piuttosto fredde e umide per rammendarmi un paio di pantaloni, e per cucirmi una saccoccia porta-smartphone da utilizzare quando lavoro in giro per il bosco: perché questi aggeggi sono piuttosto ingombranti, la tasca posteriore dei pantaloni non sempre è sufficiente a contenerli, sono così sensibili che fanno delle cose mentre tu li metti o li tiri fuori dalla tasca, e non ho voluto provare a cercare qualche saccoccia in commercio, figuriamoci…, lo smartphone è l’impero della standardizzazione a chi gliene frega di mettere in commercio una saccoccia per quando Sergio lavora nel bosco? Il risultato corrisponde a quel che volevo: solido e funzionale. Bello? No! Non siamo alla ricerca del bello.
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Questi giorni di isolamento non mi hanno tolto il grandissimo privilegio di stare all’aperto, anche se ne godo di meno perché non posso non pensare a chi, bambini soprattutto, ne è privato; mi hanno tolto invece quel minimo di frequentazioni che mi concedevo, e la solitudine si è fatta più pesante perché ha preso le connotazioni di una limitazione e non di una scelta. In più, si portano dietro una atmosfera sospesa che mi ricorda i giorni in cui le mie tonsilliti mi costringevano a letto, da piccolo.
Erano giorni in cui mia madre, già apprensiva di suo, lo diventava ancora di più, perché alla apprensione per le mie due lineette di febbre si aggiungeva un’altra apprensione derivante dalle mie richieste: per passare il tempo reclamavo cerchietti da ricamo, filo e ago, lana e uncinetto. La povera donna si preoccupava della natura e delle tendenze del suo unico e prediletto figlio maschio...
Eravamo arrivati a una specie di compromesso: ricamo no, filo e ago nemmeno, ma lana, uncinetto e un rocchetto di legno con quattro chiodini, arnese che mi ero fatto da me dopo averlo visto da qualche parte, quello sì. Me ne servivo per fare lunghi tubolari di lana, fino a che la febbre mi era passata. La tecnica è spiegata in un video su Youtube, qui… Figuriamoci, ero sicuro di trovarlo...  
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Ho sempre avuto una grande attenzione ai lavori femminili: mi ficcavo tra le donne quando facevano il pane e facevo anche io il mio panuzzo, e stavo ore a guardare mia cugina che ricamava il suo corredo: era una bravissima sarta, ricordo l’abilità con cui separava i fili della trama della tela per farne splendidi trafori di fiori colorati. Ho poi ancora nelle orecchie la melodia del tombolo di una vecchia signora: cercavo di capire come facesse a muovere così velocemente le spolette, e come facesse a dare un senso a quella successione di movimenti… Sta di fatto che da quel vortice di mani che si incrociavano, di dita che si muovevano, di spolette che andavano di qua e di là, magicamente usciva una striscia decorata a disegno geometrici e floreali, accompagnata da una dolcissima colonna sonora.     
A volte non riuscivo ad aspettare di aver la febbre per mettermi a fare lavori femminili: allora di nascosto da mia madre prendevo ago, filo, stoffa e qualche bottone automatico e mi cucivo dei borsellini, per tenervi le monete che non avrei avuto. Lavori del tipo della saccoccia che ho fatto per lo smartphone. 
Ormai mi metto a fare queste cose con soddisfazione e senza pudore, e mi spiace di non  riuscire a far di meglio: non molto tempo fa ho cucito una custodia per tablet e ne ho fatto omaggio ad una amica. A dir la verità non so quanto la cosa possa essere apprezzata da una donna: in fondo penso sia più tranquillizzante un uomo “maschile”, che non esibisca una sua parte così “femminile”. Tutte minchiate, queste cose che ho messo tra virgolette, che sono gli stereotipi legati al sesso. Se volete la mia opinione. Potrei farvi un elenco di donne ben più virili di me.
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Felicita
La prima  volta che conobbi Felicita fu per un progetto. Come rappresentante d’istituto mi occupavo anche degli argomenti delle assemblee, in assenza di  proposte dagli astanti.  Avevo deciso di portare un argomento che riguardava il terzo mondo, e due ragazze si erano offerte di aiutarmi, una di esse era felicita. Andammo a casa non di Felicita, dell’altra. Quel giorno spezzai la routine, presi il bus per quel posto dimenticato da dio, mi fumai un bel t sigaro tra i vicoli del centro e poi andai verso casa di Altra, quando arrivai in anticipo, mi venne a salutare sull’uscio. La vorammo febbrilmente tutto il pomeriggio. Durante la pausa merenda  raccontai alle ragazze che una volta in un succo di frutta avevo trovato il residuo di un preservativo, e loro ne rimasero shokkate. Era l’effetto che volevo ottenere, non che mi aspettassi niente da quell’incontro, ma un po’ di shock ci stava. Mia madre venne a riprendermi in auto, salì anche felicita. I raggi della luna le incorniciavano il volto angelico, pensai che non avrei mai potuto avere a che fare con una così bella.
Le feste d’istituto si svolgevano in un agriturismo in cima ad una collina che spiccava tra le altre piccole attorno, la zona era piena di campie si trovava antistante il crinale di un vero monte, l’agriturismo in sé era  un ex casa colonica adivita a bar e bed and breakfast , con a fianco un gazebo fatto con pali e travi di legno, che potevano essere ricoperti dal telo, il gazebo, o almeno la parte sotto era la nostro sala da ballo , e in fondo ala sala da ballo stava  la console. Fuori dal gazebo c’era un giardino di ulivi, in fondo al quale stava un pozzo nero, il tutto era sovrastato da una ripida scala di mattoni che portava ad una piscina di cui poche volte ho avuto il piacere di godere, più che altro vedendo altri farci il bagno su Facebook. Per entrare all’agriturismo si seguiva una breve salita, come tutti i luoghi da quelle parti,. Quella sera ricordo mille ragazze intirizzite  dal freddo con le calze, spero per loro a trenta denari, anche se qualche impavida era venuta con le cosce nude, a settembre, in una sera di freddo. La mia posizione alle feste d’istituto era ambivalente dato che non organizzavo niente e mi concentravo soprattutto sul. La gente supponeva che fossi io  ad organizzare quegli eventi  e un po’ di fiducia me la dava, io la usavo per attaccare bottone con tutti, per spingere i tipi  provarci con le tipe o per farmi dare drink gratis al bancone. Quella sera ero in cerca di una donna, come sempre d’altronde. Avevo bevuto otto bicchieri di sangria e quattro di Lemon Soda, quella sera ero in cerca di una donna, come sempre d’altronde. Avevo provato a ballar e con uan ragazza vestita di leopardato, ma quel colore, che nella mia testa richiamava così tanto la sessualità mi metteva a disagio, perché ero ancora vergine e inesperto, o almeno quel colore mi dava l’idea di una donna che avrebbe voluto qualcuno che se la prendesse e basta, e io non mi sentivo pronto, Scesi le scale barcollando, e andai in giro cercando, gli amici dell’inizio serata erano scomparsi, a casa o con chissà chi fare cose.
Quella sera avevo già tentato un abbordaggio con sei ragazze diverse, una che conoscevo fin da quando era piccola stava seduta sopra il tombino di una fossa biologica, tappata a dovere da una grossa lastra di cemento armato, illuminata da un faretto, lei sembrava una dea, col vestito corto e le gambe accavallate, vide me ed un altro ragazzo arrivare, indicò lui e non ero io.  Andai in cambusa e rubai una bottiglia di wotka alla banana, non l’avrebbero mai venduta ma soprattutto ero abbastanza sbronzo da non sentirne il sapore. Uscito dalla vidi per la prima volta Felicita. L'amore è un cane che viene dall'inferno. L'amore era lei, circondata dal fumo di sigaretta che lei e gli altri angeli al tavolo emanavano,  la vidi, la conoscevo per aver preparato con me l’assemblea, era bellissima, la musica era troppo forte per parlare così iniziai a recitare solo per lei: imbarazzo, ammirazione, sorpresa, la invitai a ballare calcolando perfettamente il tempo che mi sarebbe occorso per pomiciare con lei prima che la venissero a prendere, un ballo, poche giravolte, poi spediti in mezzo agli ulivi, lei era allergica a quelle piante così dovetti piantare i bicipiti contro l'albero, lei adagiata sopra il mio braccio, le spingevo la lingua in bocca mentre lei serrava i denti, perché aveva paura di vomitarmi addosso. Restai lì per un po' mentre provavo ad entrare almeno con la lingua, poi la riportai al tavolo che era già ora di andar via, mentre la accompagnavo alla macchina sostituii la mia bottiglia di wotka alla banana, oramai vuota, con una di champagne che teneva in mano uno che stava seduto su una sedia col busto rivolto verso le gambe. Sarà stato mezzo svenuto per colpa dell'alcol, ma queste sono cose che succedono. La salutai mentre la macchina se la portava via, poi ripresi a bere.
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valdis-d · 2 years
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Invidia in essere
16 Maggio 2022
Dario-molto-Americano 10
Questa potrebbe essere l’ultima volta che scrivo su Tumblr in America. Questa esperienza alla fine mi è piaciuta, mi sto divertendo, e quasi mi spiace che stia finendo. Di certo vorrei aver avuto più tempo per godermela di più. Ma so che anche con più tempo, la mia testa e tutte le mie pare non mi acconsentirebbero di godermela appieno. Devo risolvere il problema alla radice.
Dall’ultima volta che ho scritto, le cose sono cambiate un po’. Le candidature di dottorato, una dietro l’altra, mi hanno colpito come delle padellate, a ripetizione, come degli schiaffi, e mi hanno rifiutato in ogni università. La sensazione di rifiuto è forte, e mi sento inadeguato per le ambizioni che ho. Inoltre, ora ogni volta che penso o vedo qualcuno con una felpa della Columbia, o su linkedin, o anche uno studente in biblioteca che mi ricordi un’università prestigiosa, provo una profonda invidia. Per quello che a me sta venendo rifiutato, dopo tutta la fatica che ho fatto, mi sta venendo rifiutato e ne sono escluso. 
E’ estremamente frustante. 
Anche con le ragazze. Ho parlato tutta la sera, venerdì sul rooftop di Ahrturoh, con questa ragazza francese, e il mio coinquilino continua a spingermi di provarci, e mi chiede come mai non lo voglia fare. Ma non lo capisce, non comprende che per me non è possibile, il mio cervello non funziona. Lui attacca bottone con le ragazze e a quelle comincia a piacergli. Persino a mia sorella che è una figa di legno, ma come è possibile? Si comporta da idiota e lo faccio anche io, spiritoso e autoironico, ma lui come ci riesce? 
O ancora, F che chiacchiera con una ragazza fuori dal locale e questa vuole baciarlo. Oppure scopre che piace ad una nel dormitorio. Ancora invidia. Ma perché non succede anche a me, cosa mi ferma o mi impedisce di provare anche io queste piccole cose felici? Mi sto perdendo gli anni migliori della mia vita, il mio futuro è messo in discussione e non trovo nemmeno le scuse per giustificarmi. Com’è umiliante.
Per fortuna domani c’è la psicologa, ma un’ora mi basterà? 
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passiondiyblog · 9 years
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Coni portariso fai da te https://www.passiondiy.com/coni-portariso-fai-da-te/ Coni portariso per un #matrimonio fai da te!
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