Tumgik
#come avere sempre viso giovane
godisacutedemon2 · 9 months
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Varcò la soglia di quel bar coi capelli legati e la mano sventolante vicino al viso: faceva caldo, troppo caldo, nonostante fossero appena le 8 di mattina. Le goccioline che le partivano dalla fronte scendevano giù lungo tutto il viso arrivando alla bocca rimpolpata da quel suo lipgloss appiccicoso che usava sempre. Il locale era pieno, le voci erano alte, tutti di fretta ma non troppo: va bene andare a lavoro, sì, ma con calma, ce n'è di tempo per lavorare, ma per esser felici e spensierati ce n'è troppo poco. Si avvicinò al bancone, a servirla c'era un bel giovane sorridente. «Non ti ho mai vista qui, sei nuova?» il sorriso si fece ancora più ampio, ma come risposta ricevette il sopracciglio inarcato e indispettito di lei. «Buongiorno, innanzitutto» rimbobò. Erano già due mesi che era lì, ma ancora non si era abituata a quella confidenza che chiunque si prendeva. Sapeva non fosse cattiveria, ma un po' l'infastidiva. Tutti conoscevano tutti e lei, a sentirsi dire sempre la stessa frase, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua. «Sì, sono nuova. Ma ricordate tutti coloro che passano o è proprio un vostro modo di approcciare?» continuò quindi lei. Il giovane si passò la mano tra i capelli lisci che gli cadevano sulla fronte «signorina, non mi permetterei mai di approcciarvi... O almeno, mi correggo, non così» rise, era bello. «Scusatemi se mi sono permesso o se vi ho dato fastidio... Diciamo che qui ci conosciamo tutti» botta secca «o comunque, più o meno mi ricordo chi passa, un viso così bello lo ricorderei». Le lusinghe erano tante, ma la pazienza la stava proprio perdendo. «Sì, capito, capito. Mi può portare un caffè, per favore?» «sì, certo, permettetemi di presentarmi almeno, io son-...» dei passi lenti dietro di lei la interruppero «Antò, e falla finita! Ti vuoi sbrigare? Non è cosa, non lo vedi? Portagli 'sto caffè e muoviti, glielo offro io alla signorina». La situazione stava degenerando, la ragazza in viso era ormai paonazza e non di certo per il caldo. «Scusatemi tutti, il caffè me lo pago da sola! Posso solo e solamente averlo?! Si sta facendo tardi, non pensavo che qui fosse un delirio anche prendere un caffè!» per un attimo calò il silenzio che non c'era mai stato, nella mente di lei passò un vento di leggerezza e sollievo, senza rendersi conto che, con quell'affermazione, si era di nuovo sentita come tutto ciò che non voleva sentirsi: un pesce fuor d'acqua. «Scusatemi» bofonchiò, poi di nuovo «potrei avere gentilmente un caffè? Grazie. Mi andrò a sedere al tavolo» il barista la guardò, un po' dispiaciuto «signorì, se permettete, cappuccino e cornetto, offre la casa. Sentitevi un po' a casa, vi farebbe bene» e si dileguò. Non disse nulla e si trascinò verso il tavolino, non poteva combatterli: erano tutti pieni di vita lì in quel posto. Che alla fine, un po' di gioia dopo anni di sofferenze, non sarebbe poi mica guastata.
Si sedette lì, ad un tavolino accanto ad un immenso finestrone: da lì si vedeva il mare, mozzafiato. Si guardò intorno. Il viavai di gente era irrefrenabile e la mole di lavoro assurda, ma la cosa più bella di quel posto è che nonostante le richieste più assurde dei clienti, venivano accolti tutti con il sorriso più caloroso del mondo.
Sorseggiava il suo cappuccino, lasciando vagare il suo sguardo di tanto in tanto, fin quando non si fermarono inchiodati su quello di un altro. Nell'angolo, in fondo, c'era un ragazzo. Gli occhi scuri tempesta bloccati nei suoi ciel sereno. I capelli un po' arricciati gli scappavano qua e là dalla capigliatura indefinita che portava. Un ricordo è come un sogno lucido, che però puoi toccare, sentire, annusare, vivere ad occhi aperti, vivere senza dormire. In quell'angolo di stanza, c'era lui. I battiti partirono all'impazzata all'unisono, nel bar non c'era più nessuno, solo loro. So potevano quasi toccare co mano, nonostante la distanza a separarli, le loro mani accarezzavano i rispettivi visi come a gridare “sei vera? Sei vero?”. Un impeto di emozioni, un vulcano in eruzione, la pioggia sul viso, il vento che porta il treno che sfreccia, il pianto di un bambino, la risata di un ragazzo. «Signorì, tutto apposto?» il tempo di sbattere le palpebre: lui non c'era più «sì, sì... Pensavo di aver visto qualcuno di mia conoscenza».
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ossimoro7 · 1 year
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L'altro giorno, una ragazza giovane mi ha chiesto: "cosa provi nell'essere vecchia"?
Mi ha sorpreso molto la domanda, dato che non mi sono mai ritenuta vecchia.
Quando la ragazza ha visto la mia reazione, immediatamente si è dispiaciuta, ma le ho spiegato che era una domanda interessante.
E poi ho riflettuto, ho pensato che invecchiare è un regalo.
A volte mi sorprende la persona che vedo nel mio specchio.
Ma non mi preoccupo di lei da molto tempo. Io non cambierei nulla di quello che ho per qualche ruga in meno ed un ventre piatto.
Non mi rimprovero più perché non mi piace riassettare il letto, o perché non mangio alcune "cose". Mi sento finalmente nel mio diritto di essere disordinata, stravagante e trascorrere le mie ore contemplando i fiori.
Ho visto alcuni cari amici andarsene da questo mondo, prima di aver goduto della libertà che viene con l'invecchiare.
A chi interessa se scelgo di leggere o giocare sul computer fino alle 4 del mattino e poi dormire fino a chi sa che ora?
A chi interessa se ballo da sola ascoltando la musica anni 60?
E se dopo voglio piangere per un amore perduto?
E se cammino sulla spiaggia in costume da bagno, portando a spasso il mio corpo paffuto e mi tuffo fra le onde lasciandomi da esse cullare, nonostante gli sguardi di quelle che indossano ancora il bikini, saranno vecchie anche loro se avranno fortuna.
È vero che attraverso gli anni il mio cuore ha sofferto per la perdita di una persona cara, ma è la sofferenza che ci dà forza e ci fa crescere.
Un cuore che non si è rotto, è sterile e non saprà mai della felicità di essere imperfetto.
Sono orgogliosa di aver vissuto abbastanza per far ingrigire i miei capelli e per conservare il sorriso della mia giovinezza, di quando ancora non c'erano solchi profondi sul mio viso.
Orbene, per rispondere alla domanda con sincerità, posso dire: mi piace essere vecchia, perché la vecchiaia mi rende più saggia, più libera!
So che non vivrò per sempre, ma mentre sono qui, voglio vivere secondo le mie leggi, quelle del mio cuore. Non voglio lamentarmi per ciò che non è stato, né preoccuparmi di quello che sarà. Nel tempo che rimane, semplicemente amerò la vita come ho fatto fino ad oggi, il resto lo lascio a Dio.
Autore sconosciuto
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Ossimoro
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susieporta · 8 months
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Il giorno in cui è morta mia madre ho scritto nel mio diario: "È arrivata una grave disgrazia della mia vita. " Ho sofferto per più di un anno dopo la morte di mia madre. Ma una notte, negli altipiani del Vietnam, stavo dormendo nella capanna nel mio eremo. Ho sognato mia madre. Mi sono visto seduto con lei e stavamo facendo una bellissima chiacchierata. Sembrava giovane e bella, i suoi capelli scorrevano giù. Era così piacevole sedersi lì e parlarle come se non fosse mai morta. Quando mi sono svegliato erano circa le due del mattino, e sentivo fortemente di non aver mai perso mia madre. L'impressione che mia madre fosse ancora con me era molto chiara. Capii allora che l'idea di aver perso mia madre era solo un'idea. Era ovvio in quel momento che mia madre è sempre viva in me.
Ho aperto la porta e sono uscito. L'intera collina è stata immersa nel chiaro di luna. Era una collina coperta di piante di tè, e la mia capanna era posizionata dietro il tempio a metà strada. Camminando lentamente al chiaro di luna tra le file di piante di tè, ho notato che mia madre era ancora con me. Lei era il chiaro di luna che mi accarezzava come aveva fatto spesso, tenerissima, dolcissima... Fantastico! Ogni volta che i miei piedi toccavano la terra sapevo che mia madre era lì con me. Sapevo che questo corpo non era mio ma una continuazione vivente di mia madre e mio padre e dei miei nonni e bisnonni. Di tutti i miei antenati. Quei piedi che ho visto come "miei" piedi erano in realtà "nostri" piedi. Insieme io e mia madre stavamo lasciando impronte nel terreno umido.
Da quel momento in poi, l'idea di aver perso mia madre non esisteva più. Bastava guardare il palmo della mano, sentire la brezza sul viso o la terra sotto i piedi per ricordare che mia madre è sempre con me, disponibile in qualsiasi momento. ~Thich Nhat Hanh
(Libro: Nessuna morte, nessuna paura: saggezza confortante per la vita [ad] https://amzn.to/3OkUyqt )
(Arte: Fotografia di Nell Dorr)
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seoul-italybts · 6 months
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[✎ TESTO ♫ ITA] Hope on the Street Vol.1 - J-Hope⠸ ❛ NEURON ❜⠸ 29.03.2024
[✎ TESTO ♫ ITA] 
J-HOPE 📀 Hope On The Street Vol.1
 🌟🕺 ❛ NEURON (with Gaeko & Yoon Mirae ❜ 💃💫
~ NEURONE ~
__ 29. 03. 24 | Twitter __
SCRITTA DA: j-hope, Gaeko, Pdogg, Yoon Mirae
PRODOTTA DA: Pdogg
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* Il titolo della canzone, "NEURON" è sì un rif. ai 'neuroni' – cellule specializzate nella ricezione, elaborazione e diffusione delle informazioni e stimoli ricevuti, attraverso segnali elettrici e chimici -, ma anche alla crew di ballo NEURON, di cui faceva parte j-hope prima di debuttare con i BTS, n.d.t.
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
(il tuo/vostro movimento interiore ha radici profonde
non perderlo/perdetelo mai
perché è più prezioso di ogni altra cosa)
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione¹ N-E-W-R-U-N, non è abbastanza Appello a tutti i miei neuroni In piedi, NEU In piedi, RON N-E-U-R-O-N, prestate attenzione N-E-W-R-U-N, non è abbastanza L'inizio di questa mia opportunità inestimabile Meglio NEW (*nuova) Meglio RUN (*corsa)
Neuron, una reazione ai miei pensieri Neuron, una reazione alla mia vita
New run, è di nuovo il mio momento
Uno stimolo per i miei nervi, come quando ero più giovane, mi lancio
Il mio corpo a stile libero, ancora freestyle
Il mio spirito è intramontabile, una cosa prima mai vista
Un albero ben radicato, come l'acqua sorgiva che fluisce in profondità
Perché questi neuroni sono le cellule che mi hanno risvegliato
Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione N-E-W-R-U-N, non è abbastanza Appello a tutti i miei neuroni In piedi, NEU In piedi, RON N-E-U-R-O-N, prestate attenzione N-E-W-R-U-N, non è abbastanza L'inizio di questa mia opportunità inestimabile Meglio NEW Meglio RUN
La vita che ho vissuto mi si legge in viso
Mi guardo allo specchio e ciò che vedo non è niente male
Rilasso le spalle, per essere onesto
Ho dozzine di buone motivazioni
Al crocevia dove si incontrano i neuroni
Cerco con calma di comprendere il significato della vita, le ragioni
Quanto fulminea e distante sarà la traiettoria di lancio
Lunga o breve, dipenderà da ogni singola decisione
Mi sono liberato delle bombe [*dei pesi]
Ho passato la palla alla mia crew
Gioco a catch ball con mio figlio
Prendo la metro dalla periferia
Il metronomo ancora vicino al piano della mia infanzia
Tenere il tempo è diventato il mio lavoro ed i guadagni continuano a salire
Ma la mia vita è ancora precaria
L'ansia del futuro è sempre in agguato sotto-palco come uno spettro
Urlo, faccio casino e poi rientro
Per rilassarmi con un semplice pasto fatto in casa
Giusto per avere del rumore di fondo
Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento
j-hope x Yoon Mirae, tutto un altro livello
Pace e amore sono le due parole che mi porto nel cuore
Solleva il tuo [segno] peace, due dita verso il cielo
Ma non aspettatevi un okei-doke [*okay], baby T ²è un angelo nero
Una piccola miss dal sorriso impetuoso (Oh no)
Ora j-hope le ha passato il beat drop
Ma guardatevi, lì che rodete, perché s'è presa la parte migliore
Sì, il flow lo puoi imparare
Ma l'ardore non può essere insegnato
Io ho passione per quest'arte
Adrenalina, non mi sono mai fermata
Musica e famiglia, son tutto ciò che conta
Mi danno la forza di continuare giorno dopo giorno
Musica e famiglia, le cose più importanti
La mia motivazioni nei giorni in qui detesto tutto quanto
Mi ricordano che Dio ha creato qualcosa di speciale
Guardatemi, io ce l'ho fatta
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione
N-E-W-R-U-N, non è abbastanza
Appello a tutti i miei neuroni
In piedi, NEU
In piedi, RON
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione
N-E-W-R-U-N, non è abbastanza
L'inizio di questa mia opportunità inestimabile
Meglio NEW
Meglio RUN
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
Note:
¹gioco di parole con NEURON (neurone) e NEW RUN (nuova corsa/nuovo inizio/nuovo giro), la pronuncia è simile,
² Baby T: la T sta per Tasha (Natasha Shanta Reid), il nome americano di Yoon Mirae, n.d.t.
⠸ Ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
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aki-draws-things · 1 year
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Whumptober 2023~
Fandom: top gun
Characters: Ron slider Kerner, nick Goose Bradshaw, Pete maverick mitchell, tom iceman Kazansky
Prompts: solitary confinement, "make it stop"
Warning: Dark Nick Bradshaw, dark Pete Mitchell, possessive behavior, alpha/omega au, omega Ron, alpha nick, alpha Pete, alpha tom
Summary: [ITALIAN ONLY FOR NOW SORRY] quando Nick nota Ron al bar qualcosa scatta. Intende riprendersi l'omega che Iceman è riuscito a portargli via, ed è disposto a tutto per farlo.
Maverick inclinò la testa con un sorrisetto, arricciò il naso e si appoggiò alla spalla di Goose.
"Era quello lì? Seriamente?"
Nick borbottò qualcosa, non aveva ancora distolto lo sguardo da Slider. Erano passati anni, non sembrava cambiato molto, eccetto forse che non era un pilota alla fine. No, era solo un RIO. Non che avesse mai avuto la stoffa del pilota, a dire il vero. Era solo un ragazzetto troppo magro e fragile. O almeno lo era stato. Era cresciuto adesso.
Nick non riuscì a frenare il ghigno che gli si dipinse sul viso. Slider ancora doveva notarlo, era avvinghiato al suo alpha come se la sua stessa vita dipendesse da quello. Tom parlava con la barista, aveva alzato una mano e la passava tra i capelli corti dell'uomo alle sue spalle, affondò le dita nei riccioli che si erano salvati quando aveva tagliato i capelli. Poi gli passò un drink, non prima di averne provato un sorso. Oh, certo. Tom era sempre stato assurdamente protettivo.
"Un omega? Oh, goose, da te non me lo sarei mai aspettato. È così... inferiore."
Si leccò le labbra.
"Già. Ma era mio. E intendo riprendermelo."
"Da condividere?"
Goose guardò brevemente Maverick, poi scrollò le spalle.
"Solo perché sei tu, Pete. Potrei anche cedertelo per un po'."
"Inizia a piacermi. Come pensi di prenderlo?"
Nick fischiettò, vide come Slider si mosse, si spostò, sembrò drizzare le orecchie. Nick sorrise ancora, soddisfatto.
"Ero io il suo padrone, non Mr alpha perfettino. Sarà lui a venire da me."
Tom ringhiò e strinse la presa su Ron che chiuse gli occhi e affondò il naso contro il suo collo.
Goose conosceva quel suono, quel ringhio. "Mio", sembrava dire. Ah-- come se Slider potesse effettivamente essere suo quando Nick si era premurato che il marchio che portava sulla pelle gli ricordasse ogni volta a chi appartenesse in realtà. Avrebbe marchiato anche Mav, se solo avesse acconsentito. In realtà doveva ancora chiederglielo, e sapeva che l'alpha più giovane non avrebbe detto di no, ma voleva il suo permesso prima. Era pur sempre un alpha. Slider, d'altro canto, senza appartenere a nessuno era destinato a morire. Non si era fatto, all'epoca, troppi problemi a lasciare che Nick lo giostrasse e prendesse come voleva. Poi era subentrato Tom.
Tom, con quella sua aria da cavaliere senza macchia e senza paura. Tom, che credeva di poter arrivare e prendere quello che era suo. E quello stupido omega aveva lasciato fare. Non lo biasimava, su quello. Ron non voleva a altro che appartenere a qualcuno. Ma quel qualcuno era lui. Doveva essere lui. Aveva speso soldi per quella patetica--
"Mio. Mio. Mio." Ron si avvolse sulla sua schiena, sfregò il volto nell'incavo del suo collo.
Oh, Tom l'aveva notato. Bene. Era quello che goose voleva. Voleva che vedesse nel momento in cui quel piccolo, patetico omega tornava dal suo padrone come era giusto facesse.
E lo avrebbe punito, decise Nick. Lo avrebbe punito e avrebbe addirittura consentito a Mav di aiutarlo. Doveva imparare la lezione, cosa aveva pensato di fare? scappare in quel modo con il primo alpha che trovava? Volare?
Ah! Come se fosse davvero in grado di mantenere abbastanza controllo, e volare con un Alpha, anche peggio. Doveva aver fatto un bel lavoretto per aver avuto quell'occasione, un lavoretto coi fiocchi. Beh, Nick sapeva bene quanto bastava quanto Slider fosse abile con la bocca. Probabilmente non c'era voluto troppo a convincere il comandante. Gli aveva insegnato lui, dopotutto.
Nick fischiettò ancora prima di voltarsi e trascinare Mav via con sé. Rise quando l'eco basso del ringhiò giunse alle sue orecchie. Oh, non vedeva l'ora di farlo a pezzi. E lo avrebbe fatto davanti a quel perfetto alpha che pensava di poter avere tutto.
~~~
Ron conosceva quel profumo. Lo conosceva e faceva di tutto per ignorarlo.
Oh, forse entrare nella marina non era stata quella grande idea, alla fine. Tutti quegli alpha lì attorno, quegli occhi puntati su di lui. Non che dessero fastidio, non con Tom al suo fianco. Aveva passato così tanto tempo a comportarsi da alpha per compiacere suo padre, finché l'uomo, stanco di quel rifiuto, di quell'errore, di quel nato sbagliato che aveva infangato la sua linea, non lo aveva venduto. Come si conviene ad un buon omega, dopotutto.
Nick, il suo padrone, il suo Alpha, era... a Ron piaceva. Era gentile. Era caldo. Le sue mani erano morbide e delicate sulla sua pelle.
Nick era buono con lui, era Ron ad essere sbagliato, e Nick era costretto a punirlo, ma Ron avrebbe imparato, promise. Si sarebbe guadagnato il suo affetto. Il suo amore.
Ron lo aveva guardato con quegli occhi che Nick diceva sembravano di un cerbiatto, e aveva promesso di essere perfetto.
"Amore? Oh, sei proprio una dolcezza. Ma se avessi voluto amore avrei scelto qualcuno in grado di darmi dei figli."
Posso farlo. Posso darteli. Se me lo chiedi-- ma Ron non lo disse. Sarebbe stato il perfetto omega e Nick lo avrebbe amato, alla fine.
(Si domandò a quanto suo padre era stato disposto a lasciarlo andare. Si domandò quanto valesse. Sperava tanto, era-- non era il classico omega, non era piccolino e fragile e sottomesso. Sperava che il suo alpha--)
Il suo alpha, l'alpha che Ron amava, aveva amato, l'alpha che aveva marchiato la sua iniziale sul suo petto era lì, in quella stanza e Ron non era certo di poter, voler, resistere.
Tom non lo avrebbe lasciato andare. Ron non voleva andare, non dopo quello che era successo.
(Ma era stata colpa sua. Aveva provocato il suo Alpha e nick era stato costretto a punirlo. A legarlo in quella stanzetta senza finestre, con un collare troppo stretto al collo e l'uniforme di cui ron andava così fiero, a brandelli e macchiata di sangue. Lo aveva provocato lui, meritava di restare rinchiuso da solo finché nick non avesse deciso che era abbastanza.)
Ma il suo profumo era così dolce. Invitante.
(No. No, Ron era in controllo. Di sé stesso, della sua vita.)
"Ron? Stai bene?"
La voce di Tom era bassa. Un sussurro. Si era avvicinato, le labbra contro il suo orecchio, il respiro caldo su di lui. Vicino. Così vicino. Ron respirò a fondo, riempì i polmoni del suo profumo, cercò di scacciare quello di Nick.
Alpha. Alpha. Alpha.
Nick lo aveva comprato. Lo aveva marchiato. Apparteneva a lui.
A Ron sembrò di annegare. Gli parve di andare a fondo senza speranza alcuna di sopravvivere. Ogni parte di lui urlava e strepitava, lo spingeva verso il baratro.
Verso Nick.
Era un richiamo che non poteva frenare per quanto provasse. Per quanto volesse.
Avrebbe, aveva, chiesto a Tom di marchiarlo. Di renderlo suo. Solo suo.
"Qualunque cosa tu voglia, Tommy. La farò. Sarò chiunque mi chiedi di essere. Ma ti prego-- ti prego."
Aveva cercato di grattare via la cicatrice sul petto, di tagliarla. Tom lo aveva baciato, stringendo le mani che tenevano il coltello, gettandolo dall'altro lato della stanza. Finché la cicatrice era sul suo corpo, Ron non sarebbe mai stato libero.
"Fallo smettere... fallo smettere ti prego. Se dici che sono tuo, che sei il mio padrone allora la smetterà. Tom-- tommy ti prego--" gemette. Tom non lo disse mai.
Ron aveva le guance arrossate dal caldo e dal sole quando i suoi passi lo portarono davanti a Goose e Maverick. Conosceva l'alpha più giovane di fama, ma null'altro. Non sembrava un alpha. Così come lui non sembrava un omega, di solito.
"Hey dolcezza. Deciso di tornare a casa?"
No, voleva dire. Deciso di romperti la faccia a pugni e essere libero.
Ron annuì e li seguì.
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vividiste · 2 years
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COME CI SI SENTE AD ESSERE VECCHI?
L'altro giorno, una persona giovane mi ha chiesto:
-Cosa sentivo ad essere vecchia?-
Mi ha sorpreso molto la domanda, perché non mi consideravo vecchia. Quando ha visto la mia reazione, si è subito dispiaciuto, ma le ho spiegato che era una domanda interessante. E dopo aver riflettuto, ho concluso che diventare vecchi è un dono.
A volte mi sorprendo della persona che vive nel mio specchio. Ma non mi preoccupo per queste cose per molto tempo. Non cambierei tutto quello che ho per i capelli grigi e uno stomaco piatto. Non mi rimprovero per non aver fatto il letto, o per aver mangiato qualche "Cosetta" in più. Ho il diritto di essere un po' disordinata, essere stravagante e passare ore a contemplare i miei fiori.
Ho visto alcuni cari amici lasciare questo mondo, prima di aver goduto la libertà che viene con l'invecchiare.
-A chi interessa se scelgo di leggere o giocare sul computer fino alle 4 del mattino e poi dormire fino a chi sa che ora?-
Ballerò da sola al ritmo degli anni '50 e '60 E se dopo desidero piangere per qualche amore perduto... lo farò!
Camminerò sulla spiaggia con un costume da bagno che si allunga sul corpo paffuto e farò un tuffo nelle onde lasciandomi andare, nonostante gli sguardi di compassione di quelli che indossano bikini. Anche loro diventeranno vecchi, se sono fortunate...
È vero che nel corso degli anni il mio cuore ha sofferto per la perdita di un persona cara, per il dolore di un bambino, o per aver visto morire un animale domestico. Ma è la sofferenza che ci dà forza e ci fa crescere. Un cuore che non si è rotto, è sterile e non saprà mai della felicità di essere imperfetti. Sono orgogliosa di aver vissuto abbastanza per far diventare i miei capelli grigi e per aver conservato il sorriso della mia giovinezza, prima che apparissero i solchi profondi sul mio viso.
Ora, per rispondere alla domanda con sincerità, posso dire:
-Mi piace essere vecchia, perché la vecchiaia mi rende più saggia, più libera!-
So che non vivrò per sempre, ma finché sarò qui, vivrò secondo le mie leggi, quelle del mio cuore. Non ho intenzione di lamentarmi per ciò che non è stato, o di preoccuparmi di quello che sarà. Per il tempo che rimane, amerò la vita come ho fatto fino ad oggi, il resto lo lascio a Dio.
Autore Sconosciuto 🌻
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Fonte fb
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chez-mimich · 1 year
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JULIEN GREEN: “PARIGI”
Ci sono libri che avremmo potuto scrivere noi, ne siamo convinti tutti, solo che li hanno scritti altri e, forse, questa convinzione è dovuta al fatto che in realtà convivono nella nostra mente gli echi dei tanti libri letti. Mi è capitato di provare questa sensazione dopo le prime due o tre pagine di “Parigi” di Julien Green. Parigi è da sempre una città narrata, filmata, raccontata, cantata attraverso i secoli , come poche altro città lo sono state: forse solo New York e Londra hanno avuto la stessa “fortuna narrativa”. Il libro è semplicemente un atto di amore incorruttibile ed eterno per Parigi. “…Avevo affisso al muro una mappa di Parigi, che catturava lungamente il mio sguardo e quasi a mia insaputa mi erudiva. Scoprii che Parigi aveva la forma di un cervello umano…” Julien Green tratta Parigi con lo stesso approccio che fu dei surrealisti. Più di un passo, di questo prezioso volumetto edito da Adelphi, sembra attingere al patrimonio della letteratura surrealista, a cominciare dallo strabiliante “Nadja” di André Breton fino al mirabolante “Le Paysan de Paris” di Louis Aragon. È proprio l’anima del vero flâneur che anima tutto il volume e basta la lettura di qualche pagina per rendersene conto “…Chi non ha perso tempo in una città non può certo pretendere di conoscerla bene. L’anima di una metropoli non si lascia cogliere tanto facilmente per entrare in comunicazione con lei bisogna essersi annoiati, avere un po’ sofferto nei luoghi che la delimitano…” Parole di questo tenore sono proprie solo di pochissimi autori, legati alla città da un cordone ombelicale mai reciso. Il lettore di questo libro non può avere con l’autore che la stessa affinità elettiva, perché Parigi richiede una dedizione totale, non uno sguardo da turista e questa non è una guida turistica. Basta leggere “Le alture del Sedicesimo” (ove sedicesimo sta per XVI Arrondissement), dedicato al quartiere di Passy (per intenderci quello che inizia sotto il Ponte di Bir Hakeim, dove l’urlo di Marlon Brando squarciava la quiete parigina).La descrizione della Rue de Passy ha molto a che fare con le meraviglie del “paesano” paragonata ai “passages” dove provare la “vertigine del moderno”: il vinaio Nicolas, la pasticceria Coquelin, gli sguardi che i garzoni lanciano ai polpacci delle massaie, la Rue Raynouard, tutto ciò non può nascere da una semplice ammirazione per la città, nemmeno da un amore per la città, ma può nascere solo da una devozione per Parigi che è di molti, ma non di tutti. La stessa cosa può dirsi per le scorribande sentimentali di Julien Green nei giardini del Palais Royal, “uno di quei luoghi dove aleggia un non so che di misterioso, più facile da percepire che da dire”, scrive l’autore preso ormai dal feticismo più sfrenato: “La mia mano sfiorò una delle colonne bianche (…) Come in preda ad una allucinazione, infilai il viso tra le sbarre della cancellata le cui punte di lance dorate brillavano contro un cielo minaccioso…” Evitate di leggere un libro così se non l’amate come l’amo io, potrebbe deludervi perché leggereste un libro su una città e non su “la” città. Curiose coincidenze: lo scorso anno, proprio in queste settimane lessi “Paris s’il vous plaît” (Einaudi). Ecco, la giovane autrice romana, tra i contemporanei, è quella che maggiormente sembra essere sulla stessa lunghezza d’onda con libri simili a questo, dove la bellezza di Parigi si rivela in tutta la sua convulsività e vale la pena ricordare che come scrisse Breton “La beauté sera convulsive ou ne sera pas.”
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ilragazzosoffrente · 1 year
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우리가 여전히 서로를 사랑하는 이유와 성숙한 방식으로 서로를 계속 사랑해야 하는 이유:
Quando ci conoscemmo non potetti non notare quei bei grandi occhioni verdi,avvolti da una nube di tristezza ma ch'ero sicuro nascondessero il mondo più bello tra i mondi esistenti.Ci aiutammo sempre a vicenda,ma partiamo dagli inizi.
Arrivammo nella nostra vita come un fulmine a ciel sereno,quella sera,a Etnapolis,e capimmo dal profondo del nostro cuore che saremmo stati destinati a stare insieme,magari per tutta la vita,o magari anche per tutte le altre.Ma andiamo avanti.
Cominciammo da quella sera,in cui tu studiavi ed io rimasi solo.Lì ci aprimmo l'uno all'altra,con la piena consapevolezza che quella persona fosse quella giusta.Scoprii che stessi passando il periodo peggiore della tua vita,in cui l'universo rischiava di perdere la sua stella più fragile ma al contempo più bella.Riuscii a salvarti,e tu mi dicesti che cominciasti ad assaporare finalmente le prime lacrime di gioia della tua vita.Tutto era bellissimo,sembrava una favola da raccontare ad ogni piccola anima.
Crescemmo insieme,cominciammo ad affrontare innumerevoli difficoltà.Tu sei sempre stata sicura di me,nonostante tutto.Io ti ringraziai come possibile,nonostante gli enormi ostacoli incontrati nello svolgimento della nostra storia.La nostra giovane età,la nostra eccessiva gelosia e tante altre cose,come ogni coppia,a qualunque età.
Tutte le volte in cui da casa andai alla fermata dell'autobus correndo sotto il sole cocente di giugno,le volte in cui litigammo coi nostri genitori per riuscire a realizzare i nostri comuni desideri,la volta in cui dormii su uno scivolo al tuo Paese,la volta in cui dormii nell'atrio di un condominio solo per un'ora in più nel nostro piccolo ma grande primo anniversario.
La nostra prima volta,dove con immenso amore ci aiutammo a conoscerci a vicenda i nostri ancora innocenti corpi con tanta comprensione,la volta in cui salii per il tuo sedicesimo compleanno nonostante una tempesta in atto,con i tuoi fiori preferiti e i tuoi regali più belli che potevo donarti.
Tutte le volte in cui la mattina,per una singola ora,ci alzammo presto per poter stare insieme alla Spa,quando tu invece ti improvvisasti mia eccellente estetista,dato quanto ci tenevi a vedermi con lo smalto alle unghie nonostante io agli inizi non fossi molto d'accordo.Cosa non si fa per vedere quel tuo splendido sorriso,caratterizzato da dei dentini da bimba?
La volta in cui a Centuripe ci baciammo sotto l'ombrello nel bel mezzo di una breve tempesta,ma a noi cosa importava dell'acqua?Avevamo il nostro prototipo ideale finalmente davanti,con ancora ignari i difetti a vicenda,ma che eravamo sicuri di riuscire a superare.
Il nostro primo concerto insieme,dove pur di stare insieme mettemmo i soldi di tasca nostra per stare fianco a fianco.Io che ti tenni lo zaino e tutto ciò che avevi alla fine del concerto,perché stremata.
Il nostro primo concerto insieme,ma da soli,ad ascoltare tutte le canzoni che ti dedicai del mio cantante preferito,dove pur di avere la tua presenza al mio fianco ci facemmo accompagnare da mio cognato e pagai totalmente di tasca mia per te,perché alla fine,sennò per chi?
E poi quello di Elisa.Altra bellissima esperienza condivisa insieme... "Con te mi sento come una bambina la tua mano nella mia" "Io non ho mai provato niente di così profondo per nessuno mai"
Entrambi,insomma,l'uno per l'altra ci siamo sempre stati.
La mia prima volta in aereo,dove disperata ti preoccupasti come non mai per quel dettaglio delle unghie verdi e abbinate,dimenticandoti quanto basterebbe solo il tuo viso per rendere magnifico un qualunque contesto.
Tutto per andare in quella meravigliosa città di Venezia,insieme alla meravigliosa persona della mia vita.Insaziabili visitammo ogni centimetro di quella città,non curandoci per nulla dei soldi.Ancora penso a quando mi sorridesti in bagno appena usciti dalla doccia.
La volta in cui di nascosto ci vedemmo a casa tua,la volta in cui di nascosto scendesti qui a Paternò solamente per vederci,nonostante l'odiata herpes.
La volta in cui non riuscimmo a resistere dal baciarci al Belvedere,nonostante sempre l'odiosa herpes,ma ci bastava "sentire la forma delle labbra".
La prima volta che facemmo petting lì a centuripe,le sensazioni più belle della nostra vita.
La volta in cui ti stetti accanto tutta la giornata quando prendesti quella maledetta storta,e conobbi tuo meglio tuo nonno.Mi improvvisai medico per riuscire a convincere tua mamma di ciò che dicessi per riuscire a farti stare meglio e calmarti.
Il nostro primo anime insieme,la nostra fantastica intesa negli amplessi.
Mi dicesti che fossi "tipo quella finestra che desse luce alla stanza."
Al primo regalo di natale che mi facesti,mi dicesti che vedessi gli aculei di quel peluche come "quelli tuoi per proteggere attorno a questa piccola cupola le nostre piccole vite".
Mi promettesti che avremmo giocato al videogioco regalato insieme,spero che riuscirai a mantenere questa promessa.
Il bracciale che mi regalasti per poterci sentire vicini nonostante la distanza.
Il nostro primo ferragosto,la nostra prima notte in tenda.
Mia Helèna,ci sono talmente tante cose che dovrei cercare di ricordarti che non ce ne stanno più in questo foglio,è difficile scrivere la bellezza intera di due anni e due mesi e mezzo.
Non ho scritto appositamente nulla degli eventi brutti,perché sono solo quelli che al momento hai detto riesci solamente a ricordare.
Purtroppo nessuna relazione è interamente perfetta,e ogni età ha le sue problematiche.
Sono veramente pentito di tutte le volte in cui a causa della mia insicurezza data anche dalla mia età e della mia immaturità.
La tua unica colpa è stata quella di amare davvero "troppo" nel vero senso della parola,mettendoti troppo da parte e non riuscendo a preservare te stessa all'interno della relazione.
Ti chiedo per l'ultima volta,mia Helèna,perdono per tutti gli errori che ho commesso all'interno di questi splendidi anni.
Spero che nel tempo riuscirai a metterti alle spalle quelle terribili parentesi per poterti godere la versione migliore di me.Ti prometto che se un giorno torneremo insieme,che sia tra settimane o mesi,tutto ciò che hai subito non riaccadrà mai più.
Se ti sentirai di darci una seconda possibilità,vedrai con i tuoi stessi occhi le differenze che ci saranno col Simone piccolo,insicuro e immaturo di anni fa.
Adesso sto cominciando nuovamente a stare bene grazie a qualcosa di cui forse poi parlerò,ma non posso farlo in questo momento.
Dolce Helèna,al momento amo te e spero che un giorno,che sia tra settimane o mesi,riusciremo a tornare insieme con le nostre versioni migliori e amarci per quello che saremo.Rimaniamo e rimarremo per sempre i nostri prototipi ideali perfetti.
Ti amo per quello che sei e per ciò che potrai diventare nella vita crescendo,ti amerei sempre per quello che saresti.Spero mi darai modo di dimostrarlo,alla fine,non sarebbe niente di definitivo.
Spero infine di averti ricordato,seppur non aver detto tutto al 100% data l'enorme quantità di eventi belli e positivi di questi anni,perché continui ancora ad amarmi,a sperare e metterti quella fede al dito.
Spero tanto che questo amore si trasformi e ci permetta poi in futuro di viverci bene e interamente per ciò che saremo.
Ti amo,mia piccola bimba.💙
-Papi ;)
PS: If you hadn't changed,then I'd still be by your side.If I gave you one more chance,can we go back again?
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dormo poco ormai,
la notte mi sveglio con l'ansia
più che ansia è paura
paura di non ricordarti
mi asciugo il sudore
e cerco il tuo volto nel buio
cerco il tuo sguardo
cerco te nelle cose
arraffo il bicchiere con l'acqua
bevo facendo un rumore fastidioso
mentre l'acqua gocciola sulle lenzuola
è brutto quel senso di bagnato
credo che non ti piacerei adesso
non potrei piacerti con la mano tremante
con quella paura così poco dignitosa
con quello scatto nervoso e fragile
devo essermi agitato troppo
anche questo non ti piacerebbe
è così devastante il lenzuolo bagnato
e il bicchiere era pieno solo a metà
adesso dovrei alzarmi
cercare delle lenzuola asciutte
ma ora che ti ricordo
non voglio muovermi ci metterei troppo tempo
mi sposto di lato
e chiudo gli occhi
come quando si mangia qualcosa
di veramente buono
camminavamo vicini
sentivo la tua mano timida
mentre la stringevo con la mia
non mi importava nulla del resto del mondo
stavamo in silenzio
sopraffatti da tutta quella felicità
si, era così
posso ancora vederti
alzo la mano con le dita storte
e traccio nell'aria il tuo profilo
come feci quel pomeriggio
con le mie belle mani che tu amavi tanto
anche oggi mi sono ricordato
ti ho vista ancora
ho sentito la tua risata
ti ho abbracciata stretta
cosa farò quando non riuscirò a ricordare
il colore dei tuoi occhi
il tuo viso
quando non ricorderò le tue parole
sarà come perdere una parte di me
un'amputazione
sarà come vedermi morire
o mi sentirò per la prima volta solo
ho paura
io non so dove tu sia
se ti ricordi ancora di me
se puoi ricordarti
ma non importa
io ti penso per entrambi
lego attorno a noi i ricordi
così forse non ci perderemo
non so cosa succede dopo
ma so cosa vorrei che succedesse
vorrei essere sopraffatto ancora dalla felicità
vorrei avere le mani che non tremano per tenerti bene
la gamba mi fa male
ma devo ricominciare a camminare
camminare aiuta la memoria dicono
e io ho bisogno di una memoria buona
sono caduto come un vecchio
inciampando in qualcosa che non ho visto
e come un vecchio non guarisco
non sono mai guarito da te neanche da giovane
è facile parlare con te lo è sempre stato
mi fai compagnia
una compagnia buona
ma devo ricordarmi di te
ho bisogno di ricordarmi come piegavi la testa di lato
devo ricordare come camminavi
come ti toccavi capelli
come ti accigliavi
è che sono stanco
e sono vecchio
e ho paura
di non riuscire a inventarti più
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m.c.m.
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natsuyuki-w · 1 year
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Serenitea Shop | Bubble tea 
Ayato Kamisato x f!reader
italiano
Modern AU
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Serenitea shop >
Per arrivare all'Inazuma High dovevo attraversare un quartiere Japan Town di Teyvat. Sembrava qualcuno avesse cancellato un pezzo di città originale per essere sostituita da un angolo di Kiyoto. La via era costellata da edifici di legno dai larghi tetti spioventi, combini, ramen Shop, izakaya e tanti altri luoghi d'intrattenimento tipici. Anche la popolazione era principalmente formata da immigrati o persone di origine del sol levante. Ed uno in particolare fra i ragazzi che ogni mattina vedevo sfrecciando per quelle strade. Come Dante alla sua Beatrice ammiravo da lontano professando il mio amore ad ogni occasione immaginabile. A differenza del poeta non dai suoi scritti ma ben più fastidiosi monologhi infiniti ai miei amici.
Alto e giovane, indossava completi eleganti, ma che riconducevano alle sue origini asiatiche. Il suo delicato e bellissimo viso sosteneva uno sguardo intelligente e onorevole. Ciò che lo rendeva però così accattivante ai miei occhi, erano quei setosi capelli celesti che smorzavano quell'aria da imprenditore autoritario e lo rendevano armonioso nel contesto in cui, rigorosamente ogni giorno, lo incrociavo. Il boba shop all'angolo. Il mio povero cuore sfarfallava ad ogni mio passaggio nella speranza che un giorno mi notasse e fermasse per due chiacchiere, magari un bubbletea, magari un uscita,... I film mentali galoppavano con un principe azzurro come lui ad occuparli. E quella mattina, la fortuna decise di sorridermi, o meglio, deridermi.
Ormai gli abitudinari mi conoscevano, gli adulti salutavano gentili e i bambini, a cui lasciavo sempre due brioche avanzate al bar e giocavo insieme al mio ritorno, mi rincorrevano scherzosamente ridendo e vociando di restare. Se normalmente si limitavano alle parole, in quella occasione Kujirai, uno dei più spavaldi, decise di voler testare le mie capacità acrobatiche. - Al volo! - urlò, e un pallone da spiaggia arrivò sopra la mia testa.Lo ripassai senza problemi, era comunque leggero, il tiro facile e il mollare la mano dal manubrio non era certo un problema. Qualche giorno prima, i nuovi arrivati del quartiere, una banda di motociclisti che si faceva chiamare Arataki Gang. Aveva deciso di fare un gioco di fuochi, petardi e quant'altro per fare divertire i monelli. Questo aveva causato l'inevitabile danneggiamento alle strade.
Ma torniamo a me sulla bicicletta, carretto bar e prova di giocoleria. In un attimo di giramento d'occhi, la ruota davanti si incastrò violentemente in una buca e mi ritrovai baracca e burattini con il culo a terra e la dignità schiacciata da esso. I bambini fermarono subito le grida e risate per correre preoccupatissimi. - Signorina lasci che la aiuti. - E tutto il resto si fermò.
Quando alzai lo sguardo, vidi che quella voce soave apparteneva proprio al principe azzurro del boba shop. - La r-ringrazio - risposi senza fiato e di tutta risposta sfoggiò un sorriso gentile sbloccando il seconda stadio di imbarazzo: faccia paonazza. Con la sua presa ferma mi rimise in piedi con cautela. - Dovevo immaginare sarebbe capitato, le sue abilità al volante sono ammirevoli ma a quelle velocità i rischi sono inevitabili. - - Eh sì immagino di essere stata troppo spavalda- risposi timidamente, una mano dietro la nuca. -Aspetti un attimo, ma lei come sa...- le mie parole sospese nel registrare cosa la sua affermazione implicasse. - Pardon, sembra che sia stato scoperto con le mani nel sacco. D'altronde pensavo di avere il consenso visto il tuo interesse nel controllare il mio passaggio.- e un sorrisino lievemente diabolico adornò il suo viso d'angelo.
- Er... Ecco, vedi,... Io non intendevo.... Però, cioè, non mi aspettavo notassi... me. - "Mi scioglierò dalla vergogna e sprofonderò nel tombino. Almeno non dovrò mai più rinfacciarmi con questa persona." Era il mio viaggio mentale del disastroso momento. - Mi permetta - Mi aiutò a raccogliere tutto e raddrizzare il carretto. Con la mia preoccupazione ora focalizzata su quel problema iniziai a controllare tutto il contenuto. Fortunatamente tutto sembrava più o meno intero. - Grazie mille per la mano,... Ehr, aiuto, signor...?- - Kamisato Ayato é un piacere, posso chiederle il suo? - "Risuona stranamente famigliare..." mi ritrovai per qualche secondo a rimuginare e rendendomi conto di non aver ancora risposto gli dissi timidamente il mio nome.
- Io,...volevo ringraziarla e...vuole magari qualcosa?- offrii indicando il carretto ora sistemato. - Mmm. Volentieri, è molto gentile da parte sua ma non la voglio fermare dalle sue faccende.- pensò portandosi una mano al mento. - Ho sentito parlare bene della vostra Tearoom, penso che passerò questo weekend. Posticipiamo la sua gentile offerta, è d'accordo?- - Sì sì mi farebbe piacere rivederla... VOLEVO DIRE - troppo tardi, il sorriso sbilenco del ragazzo era già tornato al suo posto. - Beh, se è questo che desidera... - prese il suo smartphone dalla tasca e con un movimento fluido me lo porse sistemandosi dietro di me, una mano sulla spalla sinistra e il suo volto alla mia destra per osservare cosa scrivessi. Con mani tremanti, digitai il mio contatto, gli porsi nuovamente il cellulare e lui come si era posizionato si allontanò lasciandomi come un cerbiatto al voglio della strada.- A presto! - salutò andando per la sua strada, ed improvvisamente incapace di parlare, salutai con uno stupido gesto della mano.
- Come mai in ritardo questa mattina? - balzò immediatamente Gorou appena sistemata. - Ciao carissima. - salutò Kokomi a manina con il ragazzo. Dopodichè arrivò Thoma defilato con a seguito la sua amica dai capelli azzurri. - Oh ciao! Ero preoccupato ti fossi persa, come stai? - - È sempre un piacere averti fra noi. - sorrise timidamente Ayaka. - Awww ragazzi mi stavate aspettando? - esclamai toccata. - Eh beh Il caffè delle macchinette fa schifo. - disse baldanzoso Heizou. - Okay scusa per aver osato pensare fosse per la mia compagnia. - sbuffai scherzosamente.
- Allora? - richiese impaziente il primo arrivato. - Uuuh adesso vi racconto ditemi cosa volete che nel frattempo, devo fare cassa.- - È caduta. - disse con certezza l'intuitivo Heizou. - Sì ma lasciami narrare però! - mi lamentai. - Era palese - disse indicando il carico e bici graffiati e il mio stato un po' malconcio. - Ti sei fatta male? - si raddrizzò inpanicato il più alto del gruppo. - Inerme, e comunque devo dire,... Non tutti i mali vengono per nuocere. - dissi con fare sognante, il volto di Ayato stampato nella mia memoria. - Racconta non tenerci sulle spine. -ridacchiò la fidanzata di Gorou.
- ...Dalle maniere proprio educate, mi ha aiutata a tirare sul il casino che avevo combinato. Poi quando rideva lo faceva non per prendermi per il culo. Poi che voce gentile,... un principe vi dico! - arrivai al punto del mio salvataggio. - Ha persino i capelli azzurri. - il mio piccolo pubblico ascoltava attento e nominato il peculiare colore Ayaka si strozzò con il suo caffè shakerato. Thoma accorse subito in soccorso tamburellando la schiena dell'amica. - Archons del cielo, tutto bene? Magari e qualcuno che conosci? - le chiesi preoccupata. - Mmm descrivi un po' meglio questo questo principe azzurro, magari mi viene in mente qualcuno.- sorrise Heizou sotto i baffi distogliendo la mia attenzione da un Ayaka scioccata. - Beh e alto più o meno quanto Thoma, ha questi occhi a mandorla di un blu violaceo che... Wow, poi i suoi capelli lisci sembrano di seta azzurra, li lega sempre in una coda laterale. Poi vabbé ha tipo un viso perfetto,...-
Heizou aveva ottenuto il suo intrattenimento, più la descrizione andava avanti, più la povera figlia minore della famiglia Kamisato diventava nervosa e imbarazzata. Il suo migliore amico la consolava, appoggiando una mano di conforto sulla spalla. - Hahaha, mi è capitato innumerevoli volte di incamminarmi in conversazioni sul mio conto, ma mai di questa natura e tanta passione. - sentii una voce alle mie spalle, la stessa indimenticabile voce di poco prima. - Cosa ci fai qui Ayato?- chiese Thoma. - Sono venuti a prendere la mia cara sorellina - si avvicinò ad Ayaka il soggetto dei miei discorsi sognanti.
... Mortificata, e per nascondere l'immenso imbarazzo sul mio volto, mi abbassai di colpo in un profondo inchino. - Scusatemi scusatemi scusatemi! Vi ho sicuramente messo in una situazione di disagio enorme. - pregai il loro perdono. Ciò che ricevetti come risposta fu però nuovamente una risata. - Per niente! Senti posso darti del tu? - mi chiese cortesemente posando la sua grande mano sul mio braccio. Annuii ripetutamente. - Per fare chiarezza, è una prima volta molto gradita, soprattutto dal momento in cui viene da te. - mi disse terminando con un sussurro nel mio orecchio. - Ci vediamo sabato, non vedo l'ora. - e con totale nonchalance si allontanò trascinandosi un Ayaka dal cuore in frantumi.
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Negli angoli più bui della Sardegna esiste una razza di streghe vampiro note per la loro insaziabile sete di sangue dei neonati. Si dice che queste creature, temute e insultate da tutti coloro che conoscono la loro esistenza, siano le discendenti di una linea di sangue maledetta, condannata a bramare eternamente l'essenza vitale della giovinezza e dell'innocenza.
Secondo la leggenda, queste streghe vampiro chiamate "Cogas" sono in grado di trasformarsi in qualsiasi forma desiderino, usando i loro poteri per infiltrarsi nella società umana e depredare famiglie ignare. Si dice che siano particolarmente attratti dall'energia dei neonati e faranno di tutto per soddisfare le loro voglie...
Questi sono gli appunti su alcuni dei racconti che ho raccolto sulla presenza di streghe vampiro conosciute come "Cogas" nella zona di Villacidro. 
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Interviste
Molti abitanti del luogo credono che queste figure misteriose esistano davvero e che vadano temute e rispettate. ecco 2 interviste raccolte a Villacidro.Inrevista 1.-  Cogas
Il signor Giovanni ha occhi scuri e profondi, come se la memoria dell'avvistamento che stava per raccontare fosse ancora viva nella sua mente. Era seduto con la schiena dritta e le mani appoggiate sulle ginocchia, e il suo sguardo si perdeva nel vuoto mentre cominciava a parlare.
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"Era una sera d'estate, ed ero solo un bambino allora. Stavo giocando fuori con i miei amici, quando improvvisamente ho sentito una voce stridula e famelica che veniva dalla foresta. Siamo corsi a nasconderci dietro un albero, e lì abbiamo visto... Qualcosa di indescrivibile. Era alta e magra, con la pelle scura e grinzosa come quella di una vecchia noce, e i suoi capelli erano neri e arruffati come le ali di un corvo. Indossava un lungo vestito nero, e i suoi occhi erano freddi e inespressivi come quelli di un serpente. Emanava un tanfo di putrido e di morte.Siamo rimasti immobili, paralizzati dalla paura. Poi, con una risata malefica, quella creatura scomparve nel buio. Da allora, non ho mai dimenticato quell'avvistamento. Ho imparato che ci sono cose al di là della comprensione umana, e che è meglio non provocarle."
Il signor Giovanni scosse la testa, come per scacciare i ricordi. Poi guardò verso di me con uno sguardo severo e disse "Non posso essere certo di aver visto una strega, ma so che qualcosa di malvagio e potente si nasconde nei boschi vicini al paese. E ti consiglio di non andare là a cercare risposte."
Intervista 2 - Cogas
La signora Franca si sedette di fronte a me, con un'espressione seria e rispettosa. È un donna di 70 anni coni capelli grigi e un viso rassicurante. Cominciò a parlare con voce calma e pacata, come se stesse raccontando un vecchio e familiare ricordo.
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"Mio nonno Mario mi raccontò spesso dell'avvistamento che fece da giovane, di una creatura che lui chiamava 'Coga'. Era una notte d'inverno, e lui stava tornando a casa da una lunga giornata di lavoro nei campi. Mentre attraversava la foresta, sentì un grido lontano e poi una risata malefica. Nonno Mario si avvicinò lentamente per vedere da dove venisse quel suono, e lì vide qualcosa di orribile. Era una donna, o almeno così sembrava, ma aveva la pelle nera come la pece e i capelli bianchi come la neve. Gli occhi erano rossi e assetati di sangue, e la sua bocca era piena di lunghi denti affilati. Mio nonno capì subito che non era un essere umano, ma qualcosa di malvagio e antico. La creatura, la Coga, si avvicinò a lui con un sorriso maligno e mio nonno si sentì paralizzato dalla paura. Ma poi, nonno ricordò una vecchia "preghiera" un "Brebus" che gli aveva insegnato sua nonna e si mise a recitarlo. La Coga si fermò, come se fosse colpita dalle parole dell'incantesimo e poi si allontanò velocemente nella notte. Nonno non vide mai più quella creatura, ma non dimenticò mai quell'avvistamento. Ha sempre detto che quella notte gli aveva mostrato che nel mondo ci sono cose che non possono essere spiegate dalla ragione umana, e che esistono forze malvagie al di fuori della comprensione dell'uomo."
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aengusnatureking · 2 years
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Graphic credits to Artem {Spagna, Catalogna -  primavera, 21 marzo 113 E.N.} Squarciati i diafani veli brumosi il sol, colle sue mille lame luminose, sfavilla sul limpido cielo azzurro di marzo già sovrano nel giorno successivo l'equinozio; la costa ispanica dal mediterraneo bagnata si colora di mille sfumature verdi, i sentieri si veston a festa dei gioielli ulimosi che sboccian ovunque guardo si posi attraendo i primi insetti, ancor intorpiditi dall’invernal sonno, i qual vi si posan ronzando pigramente alla carezza della brezza.  La squadra valchirie a cavallo galoppa lungo il verzur cammino indicato da Enebro il qual ben conosce quei luoghi: mete del suo precoce vagare risalente a quando viveva nella Navarra, distante poche lege. Vivace ed energetico narra, con celere e squillante parlantina, or di pascoli or di fonti sorgive, or d'orti or di pozzi celati sotto alberi di fico, racconta di tutte le peculiarità ch’in quelle zone si troan e l'insegna ai compagni alternato sporadicamente dalla guardinga Mariposa che l'è sorella di nozioni, fu proprio lei ad accompagnarlo durante gl’istruttivi viaggi, tuttavia, la sua memoria n’è cotanto precisa come quella del compagno ne la sua voce tanto serena ergo gli lascia volentieri verbo concentrandosi nel pattugliar i campi che percorron alla perenne ricerca d’eventuali perigli dei quali, tuttavia, non ve n’è traccia all’orizzonte percorso dal piroettante volo di rondini e sgargianti cardellini.  Il castano enuncia ch’ove s’ode il reflusso lieto dei ruscelli, alimentati dallo sciogliersi delle nevi, sorge la maggior comunità di Nix iberica di cui tre membri eran cari amici della nonna. “Quando c’incontravam sempre omaggiavan Orquidea c’un mazzo di codesti fiori.” Sporgesi l’avvocato dal possente Gorlas tanto che l’indice sfiora un petalo pien di polline che si disperde al venticello il qual soffia, soave, nella distesa di palustri piante dall’alto stelo le cui gemme han medesima rosea tintura della blusa ch’indossa il pimpante oratore tutto preso ad annusar l’aroma fragrante. “Il profumo che ci facevi era buonissimo: è ancora trai miei preferiti lo sai?” Verbiò la mora Mariposa dirigendo Tempesta accanto all’imponente equino tenebroso. “Iniziai a preparar seriamente questo tipo di filtri proprio a cagion del persistente e gradevole olezzo di questi fiori.” Sott’un carrubo la compagnia sospende il viaggio per desinare; il monarca consuma il proprio pasto sull’albero sotto l’interessato guardo del cubano i cui occhi smeraldini dardeggian tra la ritorta figuretta e la corteccia grigiastra fin quando non s’allargan, le labbra di spiegan el viso fal medesimo illuminandosi. Ei riconosce in quel vigoroso albero il giovane esemplare, una minuta piantina sfida ed esile, che piantò con gl’amici della fata: in quella coppia di decadi ha dimostrato importante crescita divenendo imponente e florido tanto chel fogliame è sì rigoglioso e fitto da fornir ombra all’intera squadra, equini inclusi. “Guarda come cresce bene!” Esclama mettendo a conoscenza del ritrovamento anche i compagni d’avventura, gli fa eco il sire. “Proprio come te.” ”Ma se son così basso!”  Replica ilarmente.  L’ore in cui il tepor s’acuisce son allietate dalla natural sinfonia d’insetti, augelletti el gorgheggiante zefiro, s’ode persino il lontano stornellar dei rivi eppur qualcosa sembra esser manchevole: una voce è rimasta assopita. Il silvestre sire s’avvede di codesta lacuna una volta disceso dall’albero così affiancal cubano sul prato; ei s’è improvvisamente chiuso in silenzio, fattor desueto ma sintomo chel violinista ben conosce: se la lingua tace il cerebro fa l’opposto ed ei n’ha intenzion di lasciar da solo l’amico in necessità. “Come ti senti, Enebro?” L’aurea voce cristallina suscita interrogativo guardo nell’avvocato il qual, seduto a margine della tovaglia, inclina il capo distogliendo il volto. “Credo d’esser un po’ frastornato dai ricordi: è la prima volta che torno qui dopo aver concluso gli studi.” Il folletto nella sua minuta mole è in piedi di fronte al castano risultando di medesima altezza, gl’annuisce invitandol a continuar il suo dire. “Esplorai a fondo codesti luoghi assieme a Mariposa ma sovente venian anche Marisol e Finnian: un po’ mi mancano.” Enebro lascia trascorre ancor qualche istante pria di continuare. “Entrambi... Credi sia sbagliato che mi manchi anche lei?” Il convoluto capo del rosso si scote con scampanellio ovattato. “é normale, tu le volevi bene e hai vissuto bei momenti in sua compagnia.” “Non posso però escludere che anche allora stesse fingendo: dopo tutto da quando iniziò a lavorare n’ha fatto altro ch’usarmi, come posso esser sicuro che non lo facesse anche prima?” “Ancor era bambina, non conoscea a fondo l‘implicazioni del potere ed immagino non ne fosse ancor così tanto presa. Suppongo si rovinò frequentando con troppa leggerezza ambienti ove l’egoismo impera finendo sol dopo per divenir la famelica persona di cui mi parlasti.” “Ne sei davvero persuaso, papi?” Il sir annuisce.  Il cipiglio ch’aggrotta l’altrui sopracciglia vien meno, la mandibola si rilassa ed un sorriso si fa strada sull’esigue labbra rugiadose. “Hai dormito un lungo inverno, disgela l’ali stellino.” Con agil capriola il silvestre sire s’aggrappa con le gambine ad un ramo del carrubo, porge ambo le mani al druido il qual gl’annuisce sciorinando gran sorriso così si lascia sollevar p’esser portato sulla cima dell’albero. Ritrovata la gioia della primavera dal petto del druido un canto sale, la voce troa il suo loco incoronando la natural orchestra del disgelo.
© Ed ora sciogliti i capelli, che ti coprano le spalle, che s'avvolgano ai tuoi fianchi, hai dormito un lungo inverno, ora vesti la tua gioia. Inginocchiati alla fonte e purifica le labbra dal sapore di quel sonno, hai sognato un lungo inverno, ora bevi la tua gioia. Ora sei la nube che va, sei l'erba, il fiore, l’uccello che oggi torna, Se sei uomo o donna, chissà, o la farfalla ch’oggi le ali disgela. ..e le tue mani sono dolci inganni. I tuoi passi non han tempo, stai vivendo senza età, puoi danzare fino a sera, puoi amare fino all'alba, che la gioia sia con te. ..e le tue mani sono dolci inganni. ©A.B.
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Guarda "AVRAI LIVE 1985 STEREO HQ CLAUDIO BAGLIONI" su YouTube
youtube
Avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle
Storie fotografate dentro un album rilegato in pelle
I tuoni di aerei supersonici che fanno alzar la testa
E il buio all'alba che si fa d'argento alla finestra
Avrai un telefono vicino che vuol dire già aspettare
Schiuma di cavalloni pazzi che s'inseguono nel mare
E pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate
Un treno per l'America senza fermate
Avrai due lacrime più dolci da seccare
Un sole che si uccide e pescatori di telline
E neve di montagne e pioggia di colline
Avrai un legnetto di cremino da succhiare
Avrai una donna acerba e un giovane dolore
Viali di foglie in fiamme ad incendiarti il cuore
Avrai una sedia per posarti e ore vuote come uova di cioccolato
Ed un amico che ti avrà deluso, tradito, ingannato
Avrai, avrai, avrai
Il tuo tempo per andar lontano
Camminerai dimenticando
Ti fermerai sognando
Avrai, avrai, avrai
La stessa mia triste speranza
E sentirai di non avere amato mai abbastanza
Se amore, amore avrai
Avrai parole nuove da cercare quando viene sera
E cento ponti da passare e far suonare la ringhiera
La prima sigaretta che ti fuma in bocca un po' di tosse
Natale di agrifoglio e candeline rosse
Avrai un lavoro da sudare
Mattini fradici di brividi e rugiada
Giochi elettronici e sassi per la strada
Avrai ricordi, ombrelli e chiavi da scordare
Avrai carezze per parlare con i cani
E sarà sempre di domenica domani
E avrai discorsi chiusi dentro e mani
Che frugano le tasche della vita
Ed una radio per sentire che la guerra è finita
Avrai, avrai, avrai
Il tuo tempo per andar lontano
Camminerai dimenticando
Ti fermerai sognando
Avrai, avrai, avrai
La stessa mia triste speranza
E sentirai di non avere amato mai abbastanza
Se amore, amore, amore, amore avrai.
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anja-anja · 2 years
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Avrei dovuto dare retta al meccanico quando mi diceva che la mia auto aveva bisogno di cure perché era vecchia e messa male.
Ma io niente, testarda, come sempre… Era sempre andata bene e invece all’improvviso mi aveva piantata a piedi nel bel mezzo alla strada
Scesi dall’auto, nella luce di quel lunedì pomeriggio di fine settembre, con il sole che stava iniziando a tramontare.
Indossai l’apposito gilet ad alta visibilità mentre cercavo di pensare a cosa fare.
Finalmente, dopo qualche minuto, un furgone mi vide e accostò.
Lui avrà avuto 35 anni, capelli scuri, barba.
Scese con aria gentile e mi disse: ” Che ti è successo?”
“Questa maledetta macchina mi ha piantata in asso. D’altronde è vecchia e avrei dovuto aspettarmelo”.
“Sei in un bruttissimo posto! Facciamo così, adesso ti aggancio e ti traino, avanti un chilometro c’è un posto dove la puoi lasciare, poi ti porto dove vuoi.”
Non ci potevo credere. Una persona gentile che mi dava una mano in quella situazione di difficoltà.
Abbassai inavvertitamente le mie difese.
Lui agganciò la mia auto al suo furgone e mi disse: “Mi raccomando fai attenzione a tenere la fune tesa”.
Ci avviammo.
Il viaggio fu molto breve, effettivamente la piazzola distava davvero poco.
Stavo recuperando le mie cose dall’auto quando sentii distintamente le sue mani su di me.
Lo stronzo mi aveva messo le mani addosso, il mio timore più forte si stava avverando.
Cercai di divincolarmi ma lui mi girò e mi immobilizzò, spingendomi contro l’auto.
Sentivo il suo alito a pochi centimetri dal mio viso, cercava di avvicinare le sue labbra alle mie.
Non sono una donna muscolosa, ho una corporatura normale, anzi un po’ minuta, ma quali sono i punti deboli di un uomo lo so anch’io, così gli sferrai un deciso calcio alle parti basse, costringendolo ad allontanarsi ed a lasciarmi lo spazio necessario a fuggire. “Corri, o stavolta sono cazzi per davvero” pensavo tra me e me mentre scappavo, ringraziando il cielo di aver messo un paio di scarpe da ginnastica e non i tacchi.
Nella mia fuga scorsi alla mia destra un vialetto si spingeva fino ad una casa le cui luci si vedevano distintamente.
Per un po’ lo avevo sentito che correva dietro di me, poi più nulla. D’istinto mi infilai nel vialetto e arrivai d’un fiato alla porta.
Ansimavo dalla fatica.
Suonai il campanello, mentre da dentro si sentiva abbaiare un cane.
Venne ad aprire un uomo sui sessant’anni, con pochi capelli bianchi e due baffoni, anch’essi bianchi.
“Salve, mi deve aiutare, sono rimasta a piedi con la macchina e c’è uno che mi vuole violentare” dissi quasi gridando.
“Stai calma, vieni dentro” disse l’uomo che presumevo fosse il padrone di casa chiudendo la porta.
Entrai in in cucina, dove una donna più o meno coetanea del tizio che mi aveva aperto stava armeggiando ai fornelli, mentre una ragazza più giovane di me era sul divano a leggere un libro.
Non mi piacevano per nulla quei tre, a cominciare dalla più giovane, che si era alzata e mi era venuta incontro dicendomi “Benvenuta” con uno sguardo che mi aveva fatto gelare il sangue.
Chi erano quelle persone?
Dovevo correre il rischio, la situazione fuori non è che fosse molto meglio…
“Stai tranquilla quello qua non verrà”, disse l’uomo.
“Hai fame?” Aggiunse quella che doveva essere sua moglie data l’età.
“No, grazie, sto bene così” e presi istantaneamente il telefono dalla borsa per chiamare qualcuno, non importava chi, che mi portasse via da lì, da quella situazione, con uno fuori che voleva abusare di me e quei tre lì dentro che non mi piacevano per nulla.
Nessun servizio, “Maledizione”.
Nel frattempo la ragazza si era avvicinata e mi chiese: “Ti serve un bagno?”
“No grazie. Vorrei solo poter telefonare, ma il mio telefono non prende”
Istintivamente mi avvicinai alla finestra, sperando di prendere un minimo di segnale.
La notte tersa sie era trasformata, una fitta nebbia era salita dal terreno e avvolgeva tutto come una coltre lattiginosa.
Il telefono continuava a non prendere ed io sentivo la disperazione montare in me.
Lei era ancora vicina, mi prese una mano.
Ero talmente affranta che la lasciai fare.
“Vieni…” mi disse e mi portò in un corridoio alla fine del quale c’era evidentemente un bagno.
“Ti ho detto che non mi serve il bagno!” risposi stizzita ma lei mi spinse dentro e chiuse la porta.
Mi guardò negli occhi: avrà avuto venticinque anni, gli occhi scuri e dei lunghi capelli castani.
“Devi scappare!” mi disse, quasi implorandomi.
“Eh, non sai quanto lo vorrei, ma il tizio là fuori…”
“Se resti qua ancora un po’ rimpiangerai di non essere stata stuprata dal tuo amico là fuori!”
“Che cazzo stai dicendo, sei pazza…”, la apostrofai.
“No, non sono pazza. C’è qualcosa sotto questa casa…”
“Qualcosa cosa?”, risposi.
“Non lo so esattamente. Un essere, un fantasma, un mostro, non lo so. Ma quattro volte all’anno vuole una donna da portarsi via. Il primo lunedì dopo i solstizi e gli equinozi. E quei due sono una specie di guardiani che stanno lì per assecondare i voleri di quel coso.”
Guardai il telefono.
Lunedì 24 settembre, il primo lunedì dopo l’equinozio d’autunno.
“E tu?”, le chiesi.
“Io ero la vittima del solstizio d’inverno 2012. Ma a causa della particolarità di quel momento non mi volle. Da allora sono qua. Sei lunghi anni in questa casa, prigioniera di due pazzi e di un mostro invisibile”, sospirò
“Ma non puoi fuggire?”
“Secondo te non ci ho mai provato? E’impossibile. Decine di volte sono arrivata al limite della proprietà, ma lui torna sempre a prendermi. E credo che anche i due vecchi siano nella mia stessa situazione”
“Ma è impossibile non uscire mai di casa. Comprare da mangiare, i vestiti…”
“Una volta al mese, l’ultimo sabato, il vecchio (e solo lui) può uscire per non più di 4 ore per comprare le cose. Credo che se non rientrasse ci ucciderebbe. E di me forse non gliene frega molto, ma di sua moglie è ancora innamorato”
“Ma mi hai appena detto di fuggire… Come posso io, se tu non ci sei riuscita?”
“Lui non sa ancora che sei qua. Puoi ancora provarci”
In quel momento un urlo che sembrava più una specie di rantolo salì dalle profondità della terra.
“Troppo tardi…”, disse lei.
Aprì la finestra del bagno e mi disse: “Dai, andiamo!”
E saltò giù.
Ero come congelata, non sapevo cosa fare.
Una cosa enorme mi saliva dentro e sembrava volesse divorarmi.
Quella sensazione quando ti trovi improvvisamente davanti a qualcosa di più grande di te.
“Ti muovi?”, mi urlò da fuori.
Mi ripresi e saltai fuori.
Un metro più sotto mi stava aspettando.
Mi girai verso la campagna per iniziare a correre, ma mi fermò,
“No, ferma! Non nei campi. Ha paura della confusione, delle persone, dobbiamo andare verso la statale!”
E iniziò a correre seguendo il contorno della casa, mentre io le andavo dietro. Improvvisamente, mentre percorrevamo il lato più corto dell’edificio si sentì ancora quell’urlo raggelante.
La nebbia divenne immediatamente fittissima e in mezzo ad essa mi sembrò di vedere una specie di volto con sembianze vagamente umanoidi.
Rimasi paralizzata sul posto, bloccata dagli occhi di quella figura indistinta, sembravano un paio di tizzoni ardenti che fluttuavano nella nebbia, ammiccanti, ipnotizzanti.
Lei mi urlò “Non guardarlo negli occhi o sarai morta!” e mentre lo diceva corse verso di me e mi afferrò per un braccio, scuotendomi dalla paralisi e trascinandomi dalla parte opposta.
“Co..co… cos’è quel coso?” cercai di chiedere.
“Il cane dei vicini. Rincoglionita, secondo te cosa sarà mai?”
Mi sentii una stupida mentre correvo dietro alla mia compagna di sventura della quale, realizzai, non conoscevo nemmeno il nome.
Adesso non si dirigeva più direttamente verso la statale, avevamo la via bloccata da quegli occhi terrificanti.
Correva lontano da loro, verso i campi, poi all’improvviso svoltò a destra e si infilò in una specie di capanno per gli attrezzi, mi buttai dentro assieme a lei.
Un dito di traverso sulle labbra mi fece capire che dovevo stare zitta.
Gesticolando mi spiegò che saremmo uscite e poi, girando attorno alla casa, andate verso la statale.
Uscimmo nella nebbia sempre più fitta. Non mi vedevo la punta delle scarpe.
Lei si muoveva sicura, chissà quante volte era uscita con quella nebbia, magari in uno dei suoi tentativi di scappare.
A gesti mi indicava fossi, alberi da frutto, vecchie ceppaie.
Si muoveva leggera e agile, io dietro ero goffa e impacciata, ma cercavo di tenere il passo.
Ancora quel rantolo, stavolta più lontano.
Svoltammo e capii che eravamo nella direzione giusta, dalle luci delle auto che si vedevano lontane.
Avevamo raggiunto una stradina che correva lungo un campo quando ancora si sentì quel suono e di nuovo ce lo trovammo davanti.
“Guarda in basso e dammi la mano!” mi gridò.
Lo feci, ormai affidata completamente ad una giovane donna che follemente pretendeva che corressi senza guardare per sfuggire ad una cosa che non sapevo nemmeno cosa fosse.
Correvamo lungo un filare di alberi cercando di non mettere i piedi in qualche cosa che ci avrebbe potuto rompere una gamba, quando all’improvviso dalla nebbia spuntò fuori il vecchio.
Ci bloccava la strada.
Il rantolo alle nostre spalle.
Ci stavano incastrando.
Ci avevano prese in trappola, lui e il mostro.
Non era servito a nulla scappare.
Mi misi in ginocchio e iniziai a piangere.
Lei mi si avvicinò e mi abbracciò, piangendo a sua volta.
“Come ti chiami? Voglio sapere tra le braccia di chi sto per morire” chiesi tra le lacrime.
“Elisa, mi chiamo Elisa” rispose dolcemente-
La vecchia ci raggiunse e lui mi strappò dalle braccia di Elisa e gliela spinse incontro.
Poi fece lo stesso con me verso il mostro.
Neanche riuscivo a guardarlo ma sentivo la sua presenza incombere su di me.
Non facevo resistenza, ormai ero incapace di reagire.
Stavo per morire, chissà in quale modo atroce, ma non riuscivo a muovere più un muscolo, come un insetto preso in una ragnatela.
Ero ormai vicina, infilai la mano nella borsa cercando, in un gesto atavico di protezione, il santino di S.Barbara, la protettrice dei Vigili del Fuoco che mi aveva regalato mio fratello quando entrò nel corpo.
E invece la mano incontrò la mia lacca per capelli. A volte quando si è disperati si fanno cose stupide, presi la lacca e la strinsi in mano.
Quando sentii l’alito capii che si era abbassato per prendermi e con un gesto istintivo gli spruzzai la lacca negli occhi.
Sentii un urlo fortissimo e, follemente, invece di scappare, mi buttai verso di lui.
Aprii gli occhi per un secondo e vidi i suoi, rossi, vi infilai le mani e glieli strappai.
Un dolore fortissimo mi attraversò le mani e le braccia, ma tenni i palmi chiusi con una forza che non sapevo nemmeno da dove venisse.
Il rantolo adesso era fortissimo e sentivo che il vecchio stava correndo alle mie spalle.
Il dolore era insopportabile, con le ultime forze strinsi ancora i suoi occhi più forte che potevo, urlando per il male.
Poi un rumore sordo alle mie spalle e tutto finì.
Aprii i palmi delle mani ed erano pieni di cenere.
Mi girai.
Dietro di me il vecchio giaceva a terra con il cranio sfondato e in piedi dietro di lui c’era il mio presunto violentatore con un grosso bastone in mano.
Più indietro, anche la vecchia giaceva a terra con la testa rotta in una pozza di sangue, mentre Elisa era in ginocchio e piangeva. Della nebbia nessuna traccia, il cielo era sereno e si vedevano le stelle.
“Andatevene, subito” mi disse senza guardarmi in faccia.
“Ma…”
“Ho detto andatevene, cazzo. Lasciatemi finire il lavoro qui”
Mi girai e andai da Elisa.
“Forza, prendi le tue cose e andiamo a casa”
“Non ho nulla da portare via”
Mi diede la mano e ci avviammo, camminando lentamente.
In fondo, la via Emilia brulicava di luci di auto.
Arrivate in prossimità, suonò il telefono.
“Monica, dove sei?”
“Ciao rompicoglioni” risposi a mio fratello tra le lacrime e le risate.
“Mi vieni a prendere? Sono rimasta a piedi con la macchina”
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m2024a · 2 months
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Giulia uccisa da un colpo di fucile in casa. «Partito per sbaglio», fermato il compagno. Chi era la mamma 33enne Un tonfo secco, un rumore sordo che in tanti hanno sentito nelle prime ore del pomeriggio. Il rumore di un colpo di fucile automatico. È morta così, colpita alla testa, Yuleisy Manyoma, la 33enne di origine Colombiana che tutti conoscevano come Giulia. Secondo una prima ricostruzione, a sparare sarebbe stato un familiare che era con la donna nella casa in Strada del Villino, a due passi dal centro di Siena. Il compagno di Giulia, Fernando, suo connazionale, è stato a lungo interrogato per poi essere fermato con l'accusa di detenzione illegale di arma da fuoco: il fucile da cui è partito il colpo non era stato denunciato alla polizia. Compito delle indagini della squadra mobile coordinate dal magistrato di turno Niccolò Ludovici è chiarire se il colpo che ha centrato la 33enne in pieno viso sia partito accidentalmente o meno. Il colpo di fucile Intorno alle 15,30 di sabato 10 agosto un rumore ha scosso il caldo pomeriggio di Strada del Villino. A provocarlo, un colpo di fucile automatico esploso nella casa di una famiglia di origine Colombiana in cui c'erano cinque persone: Yuleisy "Giulia" Manyoma, il suo compagno Fernando, la sorella di lui con il fidanzato, un amico della coppia. Il proiettile ha colpito Giulia in pieno viso, uccidendola. Secondo la ricostruzione fatta dai presenti, il colpo sarebbe partito per sbaglio. Un errore fatale, che ha reso vano l'intervento dei soccorsi. Le indagini Gli inquirenti starebbero seguendo la pista dell'incidente, del colpo partito accidentalmente per cui potrebbe venire aperto un fascicolo per omicidio colposo. Il compagno della 31enne è stato portato in questura per essere sentito e cercare eliminare ogni altra ipotesi investigativa rispetto al gesto accidentale, per poi essere trattenuto nel carcere di Siena dopo aver accertato che il fucile era detenuto illegalmente. Come sempre succede in questi casi l'arma è stata sequestrata per potere essere analizzata e per effettuare delle comparazioni tra la traiettoria del colpo che ha ucciso la donna e i racconti dei due uomini. Versioni che nelle prossime ore potrebbero essere confermate o meno dopo il lavoro della polizia scientifica nell'appartamento. Chi era Yuleisy "Giulia" Manyoma La donna uccisa nel salotto della sua casa di Siena era una mamma di 33 anni, Yuleisy Manyoma, di origine Colombiana ma da diversi anni in Italia. Era molto conosciuta a Siena, dove per tutti era Giulia, per via del suo lavoro come cuoca in un ristorante di Piazza del Campo. Anche il compagno, Fernando, aveva lavorato nella ristorazione. Tra le prime persone ad arrivare sul posto della tragedia, la mamma di Giulia. Quella colombiana è una comunità numerosa e molto unita, e al momento è sconvolta dalla morte della giovane donna.
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manozingara · 4 months
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sogno del 12 giugno 2024
Mi sorprendo che andando, verso l'ingresso del parco, al cancello che è sempre aperto, anzi forse non c'è neanche un cancello, c'è solo il muro di cinta che è alto, in un paese dell'Umbria, forse, mentre un ragazzo che vorrebbe passare da dentro mi vede e passa da fuori, ma chissà, firse ci riprova. Il giardino di questa villa, il parco, è nel paese, sembra tipo la villa comunale del paese. Piove, e per strada all'ingresso incontro lei, mi sorprende la sua presenza, le prendo il viso tra le mani e anche lei ci sta che ci fai qui lei sorride le do un bacio sulla guancia prendendole il viso fra le mani. Trovo un fumetto forse una nuova edizione su un secchio lì per strada del libro di cui ora parliamo nella villa. Lei dice non sapevo fossi collezionista di fumetti non me l'hai mai detto intanto immagino mio nipote filippo lui sì che lo è, mi interessano ma non li colleziono. La pila di cinque sei copie è bagnata forse la dovrei lasciare lì, forse la dovrei portare dentro. Forse sono copie messe lì insieme ad altro e riviste per democrazia per doffusione gratuita tipo book sharing dalla tipa bionda della villa. La ragazza è molto giovane e carina esiste nella realtà avrà ora 17 anni la guardo da un po' ha attraversato uno di quei periodi in cui mi ha sorriso molto, giovane pallavolista. Mi sono stupito che mi abbia riconosciuto che sia così in confidenza con me, che ci stesse. È come se volesse entrare anche lei nella villa.
La villa è di una donna bionda sono credo il suo amante è popolata da ragazzi che passano da una dépendance all'altra fino alla casa principale, è immersa in un parco con alberi alti. Io ero uscito dalla casa principale per andare in una dépendance e mi sono trovato in un bagno in cui entrava un po' della pioggia esterna. I vialetti del parco sono bordati da siepi basse e curate. L'erba è tagliata. Gli alberi sono alcuni grandi cedri del libano. La padrona bionda capelli corti sorridente lascia fare aii ragazzi che corrono da tutte le parti. Sono liberi, si fida. Parliamo del nuovo numero di un libro, una graphic novel, con un disegno sulla copertina.
È un sogno che ho vissuto con buon animo, non riesco ad identificare la proprietaria della villa sembra la madre di una mia alunna che fa la cassiera al supermercato tigre. Ho una relazione affettiva con questa donna bionda così attiva democratica e fiduciosa nei ragazzi e nel prossimo, anche se comunque sono un ospite anch'io. Potrebbe essere la mia amica, anche se mi ci sono scannato recentemente, Giada. Come atteggiamento ma non le assomiglia affatto. La villa ha grandi stanza vetrate ampie di sviluppa in orizzontale non ha scale solo singoli scalini e dépendances nel parco circostante. Riconosco invece la ragazza pallavolista molto giovane e maschiaccia capelli lisci neri gran sorriso e labbra carnose che mi piace nella realtà. Mi stupisco che mi abbia corrisposto anche se non penso sia dalle parti della villa per me. Come fanno tutti i giovani che sono lì per qualcosa che mi sfugge sempre, magari qualcosa che non è importante per me e poco importante, se non al momento, per loro.
cosa è successo nella realtà: la scuola è finita stiamo facendo scrutini, Giada la devo evitare visto che non mi saluta anche se è sempre più magra e agile, visto che è arrabbiata con me perché l'ho trattata da pezza da piedi. E come al solito non ha riconosciuto pubblicamente il mio lavoro. L'unico compenso per quel che si fa collaborando. Ma ieri dopo un paio di settimane ha trovato il modo di rivolgermi la parola. Siamo stati fuori in una villetta per Gabriele. Siamo stati ad una cena di classe in campagna di sera e faceva fresco con i ragazzi che correvano da tutte le parti.
ps non ho corretto né ripetizioni né l'esposizione della trama mi rendo conto di aver scritto più volte le stesse cose ma avevo paura di perdere le sensazioni e la memoria.
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