#conflitto Israele Hamas
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Oltre 35.000 morti a Gaza: una catastrofe nata nel dopoguerra e mai sanata. Analisi storica e dati aggiornati sulla crisi. Scopri di più su Alessandria today.
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gregor-samsung · 2 years ago
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" Hamas divenne un attore significativo sul campo anche grazie alla politica israeliana di appoggio alla costruzione di un’infrastruttura educativa islamica a Gaza, che intendeva bilanciare la presa del movimento laico Fatah sulla popolazione locale. Nel 2009 Avner Cohen, che aveva prestato servizio nella Striscia di Gaza nel periodo in cui, alla fine degli anni ’80, Hamas iniziò a prendere il potere, ed era responsabile degli affari religiosi nei Territori occupati, dichiarò al «Wall Street Journal»: «Hamas, con mio grande rammarico, è una creazione di Israele». Cohen spiega come Israele abbia aiutato l’organizzazione benefica al-Mujama al-Islamiya (il «Centro islamico»), fondato da Sheikh Ahmed Yassin nel 1979, a diventare un potente movimento politico, da cui emerse Hamas nel 1987. Sheikh Yassin, un religioso islamico disabile e semi-cieco, fondò Hamas e ne fu il leader spirituale fino al suo assassinio nel 2004. Originariamente venne avvicinato da Israele con un’offerta di aiuto e la promessa del benestare governativo all’espansione della sua organizzazione. Gli israeliani speravano che, attraverso la sua opera di beneficenza e le sue attività educative, questo leader carismatico avrebbe fatto da contrappeso al potere di Fatah nella Striscia di Gaza e altrove. È interessante notare che alla fine degli anni ’70 Israele, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna vedevano nei movimenti nazionali laici (di cui oggi lamentano l’assenza) il peggior nemico dell’Occidente.
Nel suo libro To Know the Hamas, il giornalista israeliano Shlomi Eldar racconta una storia affine sui forti legami tra Yassin e Israele. Con la benedizione e il sostegno di Israele il Centro islamico aprì un’università nel 1979, un sistema scolastico indipendente e una rete di circoli e moschee. Nel 2014 il «Washington Post» trasse conclusioni molto simili sulla stretta relazione tra Israele e il Centro islamico fino alla nascita di Hamas nel 1988. Nel 1993 Hamas divenne il principale oppositore degli accordi di Oslo. Mentre c’era ancora chi appoggiava Oslo la sua popolarità diminuì, ma non appena Israele cominciò a rinnegare quasi tutti gli impegni assunti durante i negoziati il supporto verso Hamas crebbe, dando nuova linfa vitale al movimento. La politica di insediamento di Israele e il suo uso eccessivo della forza contro la popolazione civile nei Territori giocarono sicuramente un ruolo importante. La popolarità di Hamas tra i palestinesi non dipendeva però unicamente dal successo o dal fallimento degli accordi di Oslo, ma anche dal fatto che l’organizzazione avesse effettivamente conquistato i cuori e le menti di molti musulmani (che sono la maggioranza nei Territori occupati) per via dell’incapacità dei movimenti laici nel trovare soluzioni all’occupazione. Come per altri gruppi politici islamici in tutto il mondo arabo, il fallimento dei movimenti laici nel creare posti di lavoro e nel garantire benessere economico e sicurezza sociale spinse molte persone a tornare alla religione, che offriva conforto e reti stabili di supporto e solidarietà. Nell’intero Medio Oriente, come nel mondo in generale, la modernizzazione e la secolarizzazione hanno giovato a pochi e hanno lasciato molti infelici, poveri e amareggiati. La religione sembrava una panacea, oltre che un’opzione politica. "
Ilan Pappé, Dieci miti su Israele, traduzione di Federica Stagni, postfazione di Chiara Cruciati, Tamu editore, 2022. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Ten Myths About Israel, New York: Verso, 2017]
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nicolacostanzo · 7 days ago
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Verso una seconda "Nakba"? Il destino ineluttabile di Gaza…
Faccio seguito a quanto scritto ieri, puntualizzando i motivi che potrebbero portare in questi anni al totale esodo del popolo palestinese dalla Striscia di Gaza e, in seguito, dalla Cisgiordania, oltre alla fine del gruppo militare Hamas.  La mia opinione è che si stia preparando un’operazione militare congiunta tra Stati Uniti e Israele, ufficialmente presentata come un’azione per liberare gli…
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infogiotv · 2 months ago
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Crisi tra Israele e Iran: Analisi Storica, Politica ed Economica
Profilo Storico Il conflitto tra Israele e Iran affonda le radici negli sconvolgimenti geopolitici del XX secolo e si è evoluto attraverso fasi molto diverse. Prima del 1979 i due paesi mantennero persino rapporti ufficiosi di cooperazione, ma la Rivoluzione Islamica iraniana segnò un punto di non ritorno, trasformando un’intesa pragmatica in un’ostilità dichiarata. Da allora, una serie di…
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tremaghi · 1 year ago
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Vieni, primavera, vieni a svelare la bellezza del fiore celata nel bocciolo tenero e delicato (Rabindranath Tagore)
Oggi é il primo giorno di primavera, arrivata con un giorno di anticipo rispetto al canonico 21 marzo, quando inizia il Grado Zero dello zodiaco, ovvero il principio di un nuovo ciclo con il segno dell’Ariete. Diversamente da quanto molti pensano, l’equinozio primaverile non dura l’intero giorno, bensì un singolo istante e precisamente nell’emisfero boreale alle 4:06 (ora italiana), ovvero quando…
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GAZA. ISRAELE BOMBARDA GLI OSPEDALI DI GAZA COME FOSSERO CAMPI DI BATTAGLIA. ESCALTION ANCHE IN LIBANO.
Proseguono incessanti i massacri di civili a Gaza, sotto assedio gli ospedali, che l’esercito israeliano considera come centri di comando di Hamas, e intanto sono trascorsi 38 giorni dal massacro del 7 ottobre con 1.400 vittime e 240 ostaggi compiuto dai miliziani di Hamas. L’esercito di Tel Aviv ignorando gli appelli che arrivano da tutto il mondo, dall’Onu e dalla Chiesa prosegue nell’opera di…
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raffaeleitlodeo · 5 months ago
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Un’Europa sottomessa e senza bussola
Gli europei non si accorgono neppure più dove stanno andando, o forse fanno finta di non saperlo: sono un po’ sonnambuli e un po’ sottomessi al loro destino. Siamo all’agonia della politica estera comune europea, che per altro non è mai esistita, cullando nel settore difesa l’idea di una Banca per il Riarmo destinata a divorare altre risorse. Hanno sempre seguito l’agenda americano-israeliana, dall’Est Europa al Medio Oriente, e ora ne pagano le conseguenze.
La loro disonestà è tale da pensare che la guerra in Ucraina sia cominciata il 24 febbraio 2022 e non quando, nel gennaio 2014, il sottosegretario di Stato Usa Victoria Nuland, in una conversazione con il suo ambasciatore a Kiev, pronunciò la ormai famosa frase «Fuck the Eu», letteralmente «l’Unione europea si fotta».
Si discuteva ancora di un accordo tra il governo ucraino del filo-russo Viktor Janukovich e l’opposizione. Allora non c’era Trump alla Casa bianca ma Barack Obama e il suo vice era Joe Biden, che accorse a Piazza Maidan a celebrare il primo anniversario delle proteste mentre suo figlio Hunter guadagnava milioni di dollari in Ucraina nel settore energetico. E ora vorremmo stupirci se Trump trascina Zelensky a firmare l’accordo multi-miliardario sulle terre rare mentre Putin, diventato ormai a Washington un «volenteroso dittatore», si offre di portargli quelle in possesso dei russi? Chi più ne ha più ne metta mentre ognuno si fa i propri conti in tasca e Macron, nella sua visita da Trump, reclama che l’Europa ha versato all’Ucraina il 60 per cento degli aiuti, più degli Stati uniti.
Ma il presidente americano si tappa le orecchie: questa guerra, nonostante le copiose commesse all’industria bellica americana, è un «cattivo affare» e bisogna chiuderla. C’è da pensare alla Cina. A raccontare la favoletta della «pace giusta» ormai insistono solo i giornali del mainstream, spiazzati dagli eventi. Ma quale pace giusta? Gaza e la Palestina sono la prova che in Europa non ci crede nessuno.
La sottomissione europea al complesso militar-industriale israelo-americano è totale. Pochi giorni dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre, Biden spostava le portaerei nel Mediterraneo orientale e stanziava miliardi di dollari di aiuti militari per Israele: gli Stati uniti si sono immediatamente schierati non per la pace ma per una escalation del conflitto. E noi europei con loro, mascherando i nostri aiuti a Israele dietro la ormai sfiorita formula «due popoli e due stati». Il complesso militar-industriale israelo-americano si è schierato all’Onu con Putin e le dittature perché tra un po’ gli Usa riconosceranno l’annessione israeliana della Cisgiordania.
Chiediamo giustamente a Putin di ritirarsi dai territori occupati in Ucraina ma Israele occupa il Libano, ha esteso la sua presenza nel Golan siriano e si sta divorando la West Bank. Giustifichiamo tutto questo con la necessità di Israele di preservare la sua “sicurezza”, le stesse argomentazioni che usa Putin quando chiede alla Nato di tenersi lontana dall’Ucraina. Non è un caso che contro la risoluzione all’Onu che difendeva l’integrità territoriale dell’Ucraina abbiano votato contro Usa e Israele insieme a Russia, Bielorussia, Mali, Nicaragua, Corea del Nord e Ungheria (Iran e Cina si sono astenuti, si presume per la vergogna).
Il Consiglio di Sicurezza ha poi approvato una brevissima risoluzione degli Stati uniti che chiede la «rapida fine della guerra», senza però citare la Russia come aggressore e senza far riferimento alla sovranità territoriale di Kiev. Francia e Gran Bretagna, che avrebbero potuto porre il veto, hanno preferito astenersi, spianando la strada alla versione di Trump che piace tanto a Israele. Da notare il doppio binario dell’Italia. Stiamo con l’Unione europea ma Meloni, con la scusa del Forum con gli Emirati, si è sfilata dalla cerimonia di Kiev per il terzo anniversario della guerra: prendiamo 40 miliardi di dollari di mancia dagli sceicchi membri del Patto di Abramo con Israele e la premier incassa le lodi sperticate di Trump.
Cosa volete di più? È il manuale della giovani marmotte di Trump. La Ue paga anni di sottomissione a Usa e Israele: Trump è l’anello mancante di decenni in cui abbiamo giustificato, partecipato o avallato guerre di occupazione e aggressione, dall’Iraq alla Libia, dall’Afghanistan alla Palestina, provocando la disgregazione di interi paesi e popoli, centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Basti pensare all’Iraq nel 2003, dove tra i soldati si contava pure un nutrito contingente di ucraini. Fu un conflitto per «esportare la democrazia» che ha precipitato la regione nell’anarchia e nel terrorismo integralista più feroce.
In un momento in cui ci si indigna per le bugie e i travisamenti della realtà di Trump, bisogna ricordare che la guerra del 2003 fu la più grande fake news della storia recente, quando gli Usa giustificarono l’attacco con una campagna di stampa e propaganda mondiale che sbandierava il possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Venne persino esibita all’Onu dal segretario di stato Powell una falsa provetta con armi chimiche. Una tragica commedia. Nessuno dei responsabili ha mai pagato – né Bush né Blair – e abbiamo partecipato a quella guerra e alle altre senza fiatare. Ora ci tocca accettare le bugie di Trump e gli insulti del suo vice Vance a Monaco: sanno con chi hanno a che fare. I sottomessi europei. Alberto Negri, ilmanifesto.it, 26/02/2025
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superfuji · 7 months ago
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Sia l’abbrutimento dei soldati sia l’indifferenza della popolazione civile israeliana derivano da una disumanizzazione dei palestinesi che da tempo si dispiega incessantemente. 57 anni di barbarie dell’occupazione e la persistente cancellazione del conflitto israelo-palestinese dall’agenda politica di Israele e del mondo (come portata avanti intenzionalmente soprattutto da Netanyahu) hanno mostrato il loro inevitabile effetto. La vita umana palestinese per la maggior parte degli ebrei israeliani non vale molto, meno che mai dopo il 7 ottobre e meno ancora quando si tratta degli abitanti di Gaza che dall’attuale Governo israeliano vengono definiti nella loro quasi totalità come terroristi di Hamas. Un’equiparazione della catastrofe di Gaza con Auschwitz non è sostenibile – la rigetta anche Gideon Levy nel suo editoriale. Ma non è questo il punto. Per troppo tempo la politica israeliana ha strumentalizzato la singolarità di Auschwitz per scopi politici eteronomi. Dalla Shoah non si può trarre insegnamento, neanche quello del postulato ideologico di quanto fosse necessario creare un “rifugio per il popolo ebraico”, come ora dovrebbe essere diventato evidente. Semmai, dalla Shoah, si potrebbe far derivare come messaggio astratto unicamente il principio guida di una società impegnata a minimizzare se non a rendere impossibile che degli esseri umani continuino a produrre vittime umane. Questo potrebbe essere ciò che Walter Benjamin intendeva con il «debole potere messianico» che viene attribuito a ogni generazione presente in relazione a generazioni passate. E proprio in questo si manifesta l’orrendo tradimento che Israele (non solo adesso, ma ora con una smisuratezza di sua scelta) ha commesso nei confronti della memoria di Auschwitz. E in questo, esattamente in questo, sta la spaventosità del simbolo che il primo ministro israeliano non parteciperà alla cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz perché deve temere di essere arrestato come quel criminale di guerra che in quanto rappresentante di Israele è.
Se Israele tradisce la memoria di Auschwitz
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the-nightpig · 2 months ago
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Post di Gad Lerner (fonte Facebook)
IL NOSTRO DISSENSO, UN ANTIDOTO AL NAZIONALISMO SANGUINARIO
Vi propongo il testo del mio intervento alla grande manifestazione per Gaza di sabato 7 maggio 2025 in piazza San Giovanni a Roma.
Con imperdonabile ritardo, anche i governanti dei paesi occidentali si stanno accorgendo della carneficina in corso a Gaza da venti mesi. Travolti dall’indignazione dell’opinione pubblica, non possono più voltare la testa dall’altra parte. Se fino a ieri avevano taciuto, se rifiutano tuttora sanzioni contro un governo israeliano che ha apertamente teorizzato ciò che sta facendo, cioè la distruzione di Gaza è perché li muoveva un calcolo indicibile: lasciamogli finire il lavoro, è uno sporco lavoro ma lo fanno anche per conto di tutti noi nazionalisti occidentali. Un calcolo sbagliato oltre che cinico, che trasformerebbe la nostra civiltà in barbarie.
Lasciatemi dire allora per prima cosa: NO, non in nostro nome. Basta complicità con questo crimine, dissociarsi a parole non basta.
Tanto meno si dica che lo si fa in nome della difesa degli ebrei, questo sporco lavoro di massacrare Gaza e annettere la Cisgiordania per rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese. Siamo figli e nipoti di famiglie sterminate qui in Europa. Al destino di Israele ci sentiamo indissolubilmente legati, è ovvio, anche se siamo cittadini italiani. La mattina del 7 ottobre 2023 abbiamo rivissuto l’incubo del rastrellamento militare che prevede la cattura o l’uccisione uno a uno dei civili, comprese le donne e i bambini.
Da questa grande piazza, allora, vorrei rivolgermi alla piccola Comunità ebraica italiana, di cui faccio parte: ho provato lo stesso vostro tormento. Siamo rimasti impietriti nel sentir definire da qualcuno il 7 ottobre un’azione partigiana. Mai i partigiani fecero nulla di simile. Diciamolo, chi inneggia a Hamas bestemmia la Resistenza. La sua ideologia del martirio, che celebra il sangue versato dal popolo di Gaza come sacrificio necessario a ottenere in ricompensa la terra "nostra per diritto divino", è la frode macabra che copre una realtà di segno opposto:. queste decine di migliaia di morti in venti mesi sono la peggior sciagura toccata in sorte al popolo palestinese in un secolo di conflitto.
Ma è proprio per tutte queste ragioni che Israele non doveva infilarsi nella trappola tesagli da Hamas, cadendo preda di un delirio di onnipotenza alimentato dall’illusione che basti la superiorità militare per prendersi tutto.
Noi sappiamo che questa storia non è cominciata il 7 ottobre. Già la mattina dopo quel massacro il giornale israeliano “Haaretz” poteva scrivere: la responsabilità di questo disastro ricade su Benjamin Netanyahu, a capo di “un governo di esproprio e annessione”. Dura da oltre mezzo secolo l’occupazione militare dei territori palestinesi. Un’occupazione che non solo ha perpetuato la sofferenza di chi la subisce. Ma come un virus si è inoculato, degradandole, nelle istituzioni e nelle mentalità degli occupanti.
Ciò spiega anche l’incancrenirsi, l’inferocirsi di questa guerra; il fanatismo di due gruppi dirigenti che tendono sempre più a rassomigliarsi: “Dal fiume Giordano al mare Mediterraneo Israele è terra ebraica perché sta scritto nella Bibbia”, dicono gli uni. “Dal fiume Giordano al mare Mediterraneo la Palestina tornerà per intero islamica”, replicano gli altri. Eppure stiamo parlando di due popoli assai evoluti, non di trogloditi. Da decenni viene imposta loro una separazione assoluta, premessa necessaria a rifiutare l’altro, a de-umanizzarlo, a farne l’oggetto di una punizione collettiva.
I fanatici sono al potere ma non hanno nessuna soluzione razionale da proporre. Nell’insieme della regione vivono all’incirca sette milioni di ebrei israeliani e sette milioni di arabi palestinesi che non hanno nessun altro posto in cui andare. Il massacro o la deportazione totale di uno dei due popoli, oltre che criminale, risulta inverosimile. La convivenza è l’unico sbocco razionale.
Oggi viviamo un paradosso. Israele domina sul piano militare, perpetra crimini di guerra e crimini contro l’umanità, affida il suo destino a uno stato di guerra permanente, eppure avverte il tracollo non solo della sua reputazione ma anche della sua sicurezza.
Noi ebrei italiani che scendiamo in piazza e sottoscriviamo appelli contro la pulizia etnica, per il riconoscimento dello Stato di Palestina -ci chiamiamo Mai Indifferenti voci ebraiche per la pace e Laboratorio ebraico antirazzista- siamo in minoranza nelle nostre Comunità. Magari ci danno dei traditori perché in guerra tendono sempre a prevalere gli istinti di appartenenza, ma avvertiamo l’urgenza, insieme a tanti cittadini israeliani, di difendere Israele da sé stesso, dal male che fa a sé stesso oltre che agli altri.
Chi vi parla è un sionista. Mettetevi nei miei panni: chi della mia famiglia non è riuscito a emigrare laggiù, dove sono nati i miei genitori, è stato sterminato. Sionista non equivale a fascista e non equivale a assassino, spiace doverlo ricordare ancora dopo una vita di militanza al fianco dei miei fratelli palestinesi. E’ innegabile che la conduzione criminale della guerra di Gaza resuscita un odio atavico contro gli ebrei. Voi vi offendete, giustamente, quando vi sentite scagliare addosso con strumentalità l’infame accusa di antisemitismo. Anche questo ci ha fatto Netanyahu: s’intesta abusivamente la memoria della Shoah per tentare invano di darsi un salvacondotto morale; e così induce molta gente a dire “basta, questi ebrei ci hanno stufato con la Shoah”.
Pensate a cosa possano provare due donne sopravvissute all’inferno di Auschwitz come Liliana Segre e Edith Bruck. Tutti lì a pretendere che dalle loro labbra esca la parola genocidio, altrimenti la repulsione da loro più volte dichiarata per Netanyahu non sarebbe valida. Chi lavora per la pace rispetta le sensibilità altrui.
La forza di questa piazza democratica sarà bene impiegata se ci aiuterete a favorire l’incontro fra i dissidenti israeliani e palestinesi, quelli che sanno che Shoah e Nakba sono sinonimi; i dissidenti sono forza viva all’interno di entrambe le società, unico antidoto agli effetti spaventosi del nazionalismo e del fondamentalismo.
Poco prima di morire Primo Levi ha scritto: “Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli”.
E a chi gli chiedeva perché in Germania nessuno reagisse durante la pianificazione dello sterminio, Primo Levi rispose così: “La maggior parte dei tedeschi non sapevano perché non volevano sapere, anzi, perché volevano non sapere”.
Ancora oggi c’è tanta gente che non vuole sapere, anzi, che vuole non sapere. Noi siamo qui perché vediamo e non possiamo tacere.
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abr · 12 days ago
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Non è questione di essere neutrali ma di vivere una realtà alternativa.
Albanese Francesca dell'Onu ad esempio, se ne uscì con la seguente (tradotta dall'inglese): perché mai Israele manda i suoi militari dentro a Gaza? Gaza è già sotto il controllo di Israele, per cui basterebbero dei poliziotti mandati ad arrestare i criminali comuni che han compiuto i massacri del 7 ottobre 2023.
Lei non vive nella nostra realtà, quella dove Israele lasciò Gaza all'Autorità Palestinese nel lontano 2005 (VENTI ANNI FA), usando si la polizia ma per sgomberare EBREI che non volevano lasciare casa loro; una realtà dove, nel giro di un anno e di massacri 10 volte quelli in atto attualmente, Gaza finì sotto il controllo di hamas finanziata per metà dall'Iran via Qatar e per metà dagli "aiuti umanitari" gestiti dall'Onu. Una realtà dove non v'è chi non veda come lei sia in palese conflitto di interessi.
Potrebbe essere che nella realtà alternativa dove vive la Albanese, gli ebrei si nutrano di carne umana e si divertano a massacrare bambini. E' una realtà già edificata e molto frequentata tra gli anni '30 e '40 del secolo scorso. In quella stessa realtà, i Gazawi sono pacifici rispettosi del buon vicinato, non esultano come fosse uno sport al massacro di neonati e ragazzine ebree, denunciano gli assassini e gli stupratori, non scavano tunnel e arsenali sotto gli ospedali e collaborano proattivamente per identificare dove siano detenuti i rapiti. Tutto è possibile quando ti stacchi dalla realtà e fai il salto.
Spoiler: non ci interessa affatto indagare in che luna sian finite le ampolle col senno di Albanese Francesca. Nè dei maranza e sodali che la appoggino e supportino esplicitamente. Stiamo parlando a suoi follower a loro insaputa, autolesionisti e pure a gratis.
#u
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missviolet1847 · 10 months ago
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Un anno dopo la falsa libertà dell’indifferenza | il manifesto
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Pubblicato circa 12 ore fa
Edizione del 6 ottobre 2024
# Mario Ricciardi
«La storia conosce molti periodi di tempi bui in cui lo spazio pubblico è stato oscurato e il mondo è diventato così esposto al dubbio che le persone hanno cessato di chiedere alla politica niente altro se non che presti la dovuta attenzione ai loro interessi vitali e alla loro libertà personale. "
Sono parole di Hannah Arendt, scritte nel settembre del 1959, in occasione del conferimento del premio Lessing, ma rimangono attuali ancora oggi.
Le riflessioni di Arendt erano in parte ispirate dalla sua esperienza di ebrea apolide, sfuggita alla persecuzione nazista e alla Shoah, ma non avevano un carattere esclusivamente retrospettivo, e neppure riferito soltanto allo sterminio degli ebrei. L’oscuramento dello spazio pubblico cui allude Arendt è una condizione che deriva dall’impoverimento del tessuto connettivo da cui dipende la politica nel suo senso più nobile, che non la riduce al nudo uso della forza, ma si alimenta invece nel dialogo e nel confronto tra i cittadini di una repubblica.
Nei tempi bui il conflitto sociale, che è un fattore essenziale di una democrazia sana, perde il proprio carattere positivo, di espressione della pluralità delle opinioni e della parzialità delle verità che esse esprimono, e lascia il posto a contrapposizioni identitarie, e alla fuga dalla politica di ampi settori della popolazione, che si rifugiano nel culto esclusivo dei propri interessi e della propria libertà personale, priva di alcun collegamento con l’azione collettiva.
Chi si sente minacciato – i perseguitati, gli oppressi – cerca soltanto la compagnia di chi condivide lo stesso destino, e chi si trova invece in una condizione di relativa sicurezza vive sovente come un esiliato in patria, coltivando una visione individualista della vita e degli scopi che essa si prefigge. In una situazione del genere è inevitabile che si perda la sensibilità nei confronti delle ingiustizie che colpiscono gli altri, quelli che non appartengono alla nostra cerchia, e che si finisca per accettare come un fatto la prevalenza del forte sul debole.
In gioventù Arendt aveva conosciuto questo atteggiamento di acquiescenza nel modo in cui tanti tedeschi, persone in molti casi colte e ben educate, scelsero semplicemente di ignorare «la chiacchiera intollerabilmente stupida dei nazisti». Noi lo vediamo oggi nel modo in cui molti voltano lo sguardo dall’altra parte mentre c’è chi ripropone una visione suprematista e violenta dei “valori” della società occidentale, negando l’umanità delle vittime innocenti dei bombardamenti a Gaza e in Libano.
Un anno di guerra
A un anno dal 7 ottobre questa forma di cecità morale si manifesta nel ricordare la vittime dell’attacco di Hamas solo per tentare di giustificare la reazione, sproporzionata e illegale, del governo Netanyahu, e nel disinteresse nella sorte degli ostaggi israeliani, molti dei quali sono morti o rischiano di morire come “danni collaterali” di una guerra che potrebbe estendersi a tutto il Medio Oriente a servizio di un disegno politico di pura potenza.
Chi potrebbe permettersi di coltivare l’altruismo e l’apertura verso il prossimo rinuncia a farlo, lasciando il campo aperto a una guerra in cui tutti si considerano aggrediti, nessuno è in grado di riconoscere le ragioni altrui, ma una parte può mettere in campo una forza militare di gran lunga superiore, e non si fa alcuno scrupolo di usarla in modo indiscriminato, non per colpire il nemico, ma per punire un intero popolo. All’orizzonte c’è la concreta possibilità che si compia un genocidio, perpetrato dalle vittime di ieri che hanno scelto di farsi carnefici.
Dopo un anno persino chi ha criticato in modo più convinto le scelte del governo Netanyahu corre il rischio di soccombere al senso di impotenza, alla difficoltà che si incontra nel far sentire la propria voce di dissenso superando gli ostacoli e le intimidazioni provenienti da chi è convinto che lasciare mano libera all’uso indiscriminato della forza da parte di Israele soddisfi un “superiore” interesse strategico, e sia utile per puntellare una sempre più fragile egemonia.
Lasciare sole le vittime – i palestinesi, i libanesi, gli israeliani che hanno ancora il coraggio di opporsi alle scelte del proprio governo – è una tentazione ricorrente, per rifugiarsi nello spazio ristretto, ma per alcuni soddisfacente, del proprio interesse e della propria libertà. La lezione che ci trasmette Hannah Arendt e che, così facendo, ci stiamo incamminando sulla stessa strada percorsa nel secolo scorso dai tedeschi che scelsero di ignorare la «volgarità» nazista.
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Un'analisi dell'articolo di Gianluca Mercuri sul Corriere della Sera. Netanyahu, Trump e la "libertà" dei palestinesi di abbandonare Gaza. Una riflessione tra cinismo politico e tragedia. Scopri di più su Alessandria today.
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gregor-samsung · 2 years ago
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" Come l'Olp, il Hamas si compone di svariati gruppi e correnti. La sua dirigenza, per esempio, è divisa tra i cosiddetti "interni", ossia i rappresentanti dell'organizzazione all'interno dei territori occupati, e gli "esterni", ossia i dirigenti in esilio, per esempio a Damasco. Gli esterni controllano la maggior parte dei fondi esteri del movimento, ossia i finanziamenti che provengono dai regimi simpatizzanti dell'area, e, di fatto, hanno in mano le leve dell'apparato organizzativo. Gli interni, invece, hanno il difficile compito di gestire quotidianamente la vita politica ed economica dei loro sostenitori e parare i colpi dei rivali politici. È interessante notare che alcuni osservatori sostengono che questa divisione del lavoro rende gli interni più pragmatici, e che un numero pressoché uguale di altri osservatori sostiene esattamente il contrario. C'è poi la divisione tra il Hamas di Gaza e quello della Cisgiordania. Secondo un certo numero di commentatori, poiché gli islamici su posizioni radicali furono oggetto di repressione all'epoca in cui l'Egitto controllava Gaza, i militanti del Hamas di Gaza sono sempre stati maggiormente inclini alla segretezza, alla disciplina organizzativa e alle trame cospirative rispetto ai militanti della Cisgiordania, dove non s'è registrata una repressione del genere all'epoca dell'amministrazione giordana. Il Hamas della striscia di Gaza s'è inoltre fatto una reputazione di maggiore inflessibilità ideologica e di zelo puritano rispetto al Hamas di Cisgiordania, dove occorre fare i conti con una cultura più laica che al Sud (in Cisgiordania, studentesse del Hamas reclutano per l'organizzazione, e qualcuno ha riferito che, per promuovere la causa, lascerebbero addirittura scoperto qualche centimetro di gamba). Allo stato, gli esiti politici concreti di queste tensioni interne sono piuttosto prevedibili: movimenti come l'Olp e il Hamas, che premiano l'inclusione e sono poco propensi, o incapaci, a far rispettare la disciplina "di partito" sul piano tattico e strategico, finiscono per essere alla mercé dei loro militanti più intransigenti. Paradossalmente […] potrebbe essere stata proprio questa intransigenza a tenere aperti gli spiragli della creazione di uno Stato palestinese effettivo a fianco di Israele. "
James L. Gelvin, Il conflitto israelo-palestinese. Cent'anni di guerra, traduzione di Piero Arlorio, Einaudi (collana Piccola Biblioteca Einaudi n° 357), 2007¹; pp. 295-296.
[Edizione originale: The Israel-Palestine Conflict, Cambridge University Press, 2005]
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nicolacostanzo · 7 days ago
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ginogirolimoni · 2 months ago
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Israele ha attaccato a sorpresa uno Stato sovrano che non aveva manifestato direttamente (e sottolineo la parola DIRETTAMENTE) intenzioni aggressive nei suoi confronti. Tutti diranno che è noto che dietro Hezbollah, Hamas, gli Huthi c’è la longa manus dell’Iran che li arma e li sostiene, quindi Israele è nel suo diritto quando cerca di estirpare alla radice l’origine del terrorismo islamico che lo colpisce. 
A parte che la vera origine del terrorismo che colpisce Israele è la sua intenzione di sloggiare con le buone o con le cattive i palestinesi da quella che considerano da sempre la loro terra, secondo loro l’umanità avrebbe dovuto conservare tutta la Palestina, magari mettendo dei picchetti, tutta una segnaletica intorno e dei teli ai mobili, come quando una famiglia prevede un viaggio lungo.
Ma colpire l’Iran a scopo preventivo è un processo alle intenzioni, e somiglia molto alle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein per chi se lo ricorda, cioè una guerra preventiva, senza l’approvazione dell’ONU, con la motivazione che l’Iraq possedeva armi di distruzione di massa (detto così, genericamente, perché nemmeno gli USA e la Gran Bretagna sapevano di cosa si trattasse) , che però non furono mai trovate.
Colpire l’Iran adesso sarebbe come colpire gli USA o l’Europa, perché armano Israele, hanno cioè la stessa funzione che ha l’Iran nei confronti di Hamas; per le anime belle he candidamente mi replicheranno che un conto è armare una struttura terroristica come Hamas e un altro conto è armare uno Stato democratico, rispondo che molto probabilmente se Israele permettesse l’esistenza di uno stato palestinese, Hamas sarebbe il partito di governo, e tempo fa durante un’elezione divenne il primo partito della Palestina.
Direi che anche sulla faccenda di Israele come dell’unica democrazia in Medio Oriente avrei molto da ridire, l’estrema destra israeliana si è impadronita del potere dopo l’assassinio di Isaac Rabin, un politico moderato che voleva trattare, mentre la linea che oggi ha vinto è quella di prendersi tutto con la forza e non fare alcuna concessione ai palestinesi: o ve ne andate o vi ammazziamo.
La paura è che l’Iran è ad un passo dalla bomba atomica? L’atomica ce l’hanno i russi, gli americani, i francesi, gli indiani, i pakistani, i coreani del nord, i cinesi, gli inglesi e gli israeliani, per quale motivo il “club dell’atomo” dovrebbe escludere proprio l’Iran? Perché è pericoloso? Mah, viste le infinite provocazioni da parte di Israele, mi pare che abbia una leadership piuttosto moderata e con i nervi ben saldi, altrimenti sarebbe già caduta nel tranello ebraico, così come non si sono fatti prendere da rabbia e furore i militanti di Hamas, che tengono in vita gli ostaggi israeliani, nonostante i crimini contro il loro popolo, mentre avrebbero potuto mettere in scena una mattanza cruenta e diffonderla in tutto il mondo.
L’unico Paese che ha usato l’atomica contro i civili è stata l’America, e non parlo solo di Hiroshima e Nagasaki, ma anche in Kosovo venivano usati bossoli contenenti uranio impoverito, e alcuni artiglieri e carristi italiani e non solo che parteciparono a quel conflitto sono morti per l’esposizione alle radiazioni. 
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end-of-hamas · 27 days ago
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𝐆𝐥𝐢 𝐨𝐫𝐫𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐢 𝐇𝐚𝐦𝐚𝐬: 𝐥’𝐎𝐍𝐔 𝐭𝐚𝐜𝐞
Pubblicato un nuovo rapporto sulle violenze sessuali subite dalle donne israeliane il 7 ottobre e nel periodo di prigionia a Gaza, nelle mani di Hamas. Una serie di orrori indicibili che, a quanto pare, non interessano alle istituzioni internazionali. Lo stesso rapporto lamenta infatti il silenzio assordante e vergognoso dell'ONU.
Secondo il Sunday Times, un nuovo rapporto sugli indicibili crimini sessuali commessi dai terroristi di Hamas durante il massacro del 7 ottobre - il più esteso e il più dettagliato pubblicato finora - sarà presentato domani (martedì) alla First Lady di Israele. Si tratta di un documento ufficiale che raccoglie tutte le testimonianze registrate circa le violenze sessuali gravi e sistematiche avvenute durante l’attacco di Hamas nel sud di Israele, e presenta un quadro ampio dell’uso dello stupro come strumento deliberato di guerra.
Il rapporto analizza i racconti inediti di 15 ostaggi rilasciati da Gaza, 17 sopravvissuti al massacro, un gruppo scelto di professionisti nell’ambito terapeutico, 27 membri delle forze di emergenza intervenuti subito dopo l’attacco, oltre a fotografie e prove forensi.
Secondo questo documento, le vittime venivano spogliate, aggredite sessualmente e poi uccise dai terroristi di Hamas: un sadico rituale molto più diffuso di quanto si pensasse.
In almeno sei luoghi diversi, infatti, si sono verificati 15 episodi di violenza sessuale che includevano stupri singoli o di gruppo. Gran parte delle vittime sono state uccise durante le aggressioni, e quelle sopravvissute soffrono oggi di traumi tali che impediscono loro di condurre una vita regolare. In alcuni casi, il trauma impedisce loro persino di parlare e di testimoniare. Non è tutto: il 7 ottobre molte donne sono state trovate nude o semivestite, legate ad alberi o a pali. Sui loro corpi vi erano evidenti segni di violenze quali mutilazioni di genitali, inclusi spari agli organi sessuali. Alcuni stupri sono stati commessi su cadaveri di donne.
Tutti gli atti di violenza sessuale documentati si sono verificati al Nova Festival, sulla strada 232, nella base di Nahal Oz, e nei kibbutz Re’im, Nir Oz e Kfar Aza. Tuttavia, secondo il rapporto, anche gli ostaggi hanno subito degli abusi sessuali, tra cui nudità forzata, molestie fisiche e verbali, minacce di matrimonio forzato e stupri. Due delle vittime di violenza sessuale sono uomini, uno dei quali è stato rasato completamente in tutto il corpo.
Il documento ufficiale è stato redatto sotto la guida della professoressa Ruth Halperin-Kaddari, direttrice del Centro Rackman per il progresso della condizione femminile presso l’Università Bar-Ilan, in collaborazione con Sharon Zagagi-Pinhas (ex procuratrice militare) e la giudice emerita Nava Ben-Or. Secondo loro, lo scopo del documento è «contrastare la negazione, la disinformazione e il silenzio globale» rispetto a quella che definiscono «una delle dimensioni meno raccontate dell’attacco di Hamas».
Il rapporto esprime inoltre profonda delusione per la debole risposta e il mancato coinvolgimento di organi internazionali, in particolare delle Nazioni Unite e dei suoi dipartimenti dedicati ai diritti delle donne. Il documento infatti chiede al Segretario Generale Onu di inviare una missione d’inchiesta in Israele e di inserire Hamas nella lista nera delle Nazioni Unite come organizzazione che utilizza la violenza sessuale come armadi guerra.
«Nel caso di violenza sessuale durante un conflitto armato, non è necessario identificare l’aggressore specifico per dimostrarne la responsabilità», ha dichiarato in merito la giudice emerita Nava Ben-Or. «Chi ha preso parte all’attacco è diretto responsabile di tutte le sue conseguenze».
• Gli orrori di Hamas: l’Onu tace
Cronaca di David Zebuloni
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