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#esperienza pre-morte
susieporta · 1 year
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In questa fase del percorso sto vedendo più chiaramente
la mia rigidità, e come essa impedisca
un’apertura reale del cuore,
che è il presupposto della gioia autentica.
Ho sperimentato perciò uno scioglimento reale,
un pianto liberatorio, in cui mi sono lasciato andare
senza resistenze; ho sentito che in quel momento
è come caduta un’antica difesa,
un’armatura che voleva proteggermi dal dolore.
Quel “tenermi su”, quell’essere tutto di un pezzo,
moralmente integro ma in fondo a debita distanza dall’altro,
sempre un po’ temuto o venerato.
Un tenermi separato dalla vita per paura
di non essere amato e corrisposto.
(..)
Lo vedo nei volti arrabbiati, nei corpi ricurvi,
nelle parole prive di forza, il dolore inespresso del mondo.
Nel “voler essere qualcuno” in proprio, nell’importanza che ci diamo,
in una “serietà” o in una frivolezza che sono una gabbia, una prigione infernale.
Mi capita molto spesso di piangere in questa fase
per un nonnulla, per una canzone,
percependo la fragilità
delle persone, della malattia, della nostra ricerca
di connessione e amore, e per l’isolamento che avverto
come cifra del nostro tempo.
Desideriamo cioè fare parte di un progetto comune e sensato
di espansione ed espressione creativa, di guarigione,
di liberazione reale del nostro essere
dai blocchi mentali e fisici, dalle catene inique,
e di lotta contro le ingiustizie e nefandezze di un mondo
freddo, ipocrita e malato.
Desideriamo rinascere, questo sento.
Ma ancora facciamo fatica a tradurre questo desiderio
in una prassi comune di liberazione,
in opere concrete
nelle quali dare voce
al Nascente che è in noi.
(..)
Ancora oscilliamo fra stati d’animo furibondi e incertezze,
fra intuizioni e capitomboli, fra visioni
e docce fredde della realtà.
E spesso il nostro anelito alla libertà e alla gioia
viene soffocato dalla mano fredda e implacabile
del carceriere, del boia,
che oggi è divenuto il mercato finanziario,
il sistema mass-mediatico, la pubblicità onnipervasiva
e il controllo algoritmico di tutto l’esistente.
Abbiamo a disposizione ogni cosa dai nostri dispositivi,
ma rischiamo di perdere un contatto reale e sincero
con l’altro e con la realtà.
Stiamo perciò molto male, siamo insoddisfatti,
perché stiamo capendo che quello che desideriamo
è una vita in relazione autentica.
(..)
Ma sento che c’è sempre come uno spiraglio, una sorta di punto cieco
rispetto allo sguardo capzioso del nostro io ferito e angosciato,
dove non ha presa la dittatura della morte
e dell’irrigimentazione.
È come uno spazio vuoto che però è solido, come certe opere di Klee,
dove scorre ancora la vita, limpida,
calorosa e imprevedibile.
È in quella scintilla, quando abbiamo abbandonato
ogni difesa, ogni certezza, ogni pre-concetto,
che avviene il contatto
con la dimensione del Nascente.
È lì che abbiamo paura di stare, dove la vita scaturisce
ad ogni istante infinita e beatifica.
È lì che lo Spirito dissolve ogni costruzione illusoria,
e fa crollare le roccaforti del potere
in cemento armato.
È questo che il potere teme più di ogni altra cosa:
che avvenga questo risveglio, questa piccola ma reale
esperienza di rinascita alla vita, questa liberazione dalle prigioni mentali.
Che in ognuno di noi e assieme ci sia come una scintilla,
uno scuotimento, una fessura
per fare spazio al Nuovo.
Facciamogli spazio. Diamogli Voce.
Questo è il tempo in cui rovesciare sempre di nuovo
la morte
in una nuova nascita. La nostra.
(Francesco Marabotti)
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romacristiana · 2 years
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ESPERIENZA PRE-MORTE: TESTIMONIANZA con SERGIO AUDASSO
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medicomunicare · 3 years
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Le esperienze pre-morte: un probabile meccanismo evolutivo di sopravvivenza
Le esperienze pre-morte: un probabile meccanismo evolutivo di sopravvivenza
Le esperienze di pre-morte possono essere definite come esperienze percettive coscienti, comprese le esperienze emotive, auto-correlate, spirituali e mistiche, che si verificano in una persona vicina alla morte o in situazioni di imminente minaccia fisica o emotiva. I resoconti di esperienze di pre-morte includono, ma non sono limitati a, aumento della velocità dei pensieri, distorsione della…
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L’anima esiste ed è immortale, lo dice la fisica quantistica
Due scienziati di fama mondiale, esperti in fisica quantistica, dicono che si può dimostrare l’esistenza dell’anima, basandosi sulla fisica quantistica.
Lo studioso americano Stuart Hameroff e il fisico inglese Roger Penrose hanno sviluppato una teoria quantistica della coscienza, affermando che le anime sono contenute all’interno di strutture chiamate microtubuli che vivono all’interno delle cellule cerebrali (neuroni).
L’anima sarebbe composta da prodotti chimici quantistici, che nel momento della morte fuggono dal sistema nervoso per entrare l’universo.
La loro idea nasce dal concetto del cervello visto come un computer biologico.
La coscienza sarebbe una sorta di programma per contenuti quantistici nel cervello, che persiste nel mondo dopo la morte di una persona.
Le anime degli esseri umani sarebbero perciò molto più che la semplice interazione dei neuroni nel cervello: sarebbero della stessa sostanza dell’universo ed esisterebbero sin dall’inizio dei tempi.
Il dottor Hameroff, professore emerito nel Dipartimento di Anestesiologia e Psicologia, nonché Direttore del Centro di Studi sulla Coscienza dell’Università dell’Arizona, ha basato gran parte della sua ricerca negli ultimi decenni nel campo della meccanica quantistica, dedicandosi allo studio della coscienza. Con il fisico inglese Roger lavora sulla teoria dell’anima come composto quantistico dal 1996.
I due studiosi sostengono che la nostra esperienza di coscienza è il risultato degli effetti di gravità quantistica all’interno dei microtubuli.
In una esperienza di pre-morte i microtubuli perdono il loro stato quantico, ma le informazioni contenute in essi non vengono distrutte. In parole povere, l’anima non muore ma torna l’universo.
Con la morte, “il cuore smette di battere, il sangue non scorre, i microtubuli perdono il loro stato quantico”, ha detto il dottor Hameroff.
L’informazione quantistica all’interno dei microtubuli non è distrutta, non può essere distrutta, si distribuisce soltanto e si dissipa nell’universo in generale, ha aggiunto.
Se colui che ha avuto un’esperienza di pre-morte risuscita, rivive, questa informazione quantistica può tornare nei microtubuli.
In caso di morte è possibile che questa informazione quantistica possa esistere al di fuori del corpo a tempo indeterminato, come anima.
Il dottor Hameroff dice che gli effetti quantistici, che svolgono un ruolo in molti processi biologici come l’odore, la navigazione degli uccelli o il processo di fotosintesi, stanno cominciando a convalidare la sua teoria.
Fonte: http://www.in-dies.info/
Tratto da: http://www.astronavepegasus.it/
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arcoblog · 4 years
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Nascere in quarantena. Quando l’apertura alla vita viene a coincidere con la chiusura e l’isolamento sociale
Questo tempo particolare, dominato da un’emergenza sanitaria, condiziona in modo capillare la nostra vita e le nostre relazioni, ci pone limiti e regola la prossimità con gli altri, nel lavoro come nelle relazioni private. Ci ritroviamo così accomunati dal fronteggiare ognuno secondo il proprio ruolo e con le proprie modalità un pericolo di cui siamo tutti potenziali vittime.  Lo smarrimento rispetto ai limiti imposti, la paura di essere contagiati o di contagiare, la paura per una persona cara ammalata, quando non la morte di una persona cara: in qualche modo ognuno di noi si ritrova coinvolto. Questo vissuto comune fa poi i conti con il modo proprio di ciascuno di affrontare un pericolo o un'emergenza e anche con le condizioni particolari in cui ci si trova. Vogliamo provare a riflettere su alcune di queste condizioni particolari partendo dai nuovi nati. Cosa significa per una donna partorire in questo periodo? E' una situazione che incide in qualche modo sulla relazione che si sta costituendo tra la madre e il bambino? In che modo? La relazione tra la madre e il neonato ha le caratteristiche di una simbiosi. Il neonato non ha alla nascita strumenti che gli consentano di mediare tra i propri bisogni e il mondo esterno, l'unione tra la madre e il bambino è in questo senso fondamentale. Da questo stato di fusione tra la madre e il bambino derivano i precursori del successivo sviluppo individuale del bambino e la sua nascita psicologica. Il bambino partecipa a questa relazione portando il proprio corredo genetico e quel po' di esperienza che ha fatto della relazione con la madre nel corso della gravidanza. La madre a sua volta partecipa sulla base della disponibilità che la caratterizza in quanto madre. Secondo Winnicott la madre, sulla base di quella che lui definisce preoccupazione materna primaria e grazie alla propria sensibilità coglie con precisione gli stati emotivi del figlio e risponde ai suoi bisogni. All'interno di questa relazione il bambino si sente visto e riconosciuto e impara a conoscere se stesso. Soprattutto nelle prime settimane di vita del bambino la madre stessa può attraversare stati di fragilità o sentire la necessità di essere supportata, rassicurata o accompagnata nell'incontro con il proprio bambino. Un ruolo importante in questo senso può essere rivestito dal marito o da una persona di fiducia (la madre, una sorella, un'amica) o da una figura professionale esperta, come un'ostetrica.  Abbiamo chiesto a Maria Eufemia Manniello, un'ostetrica esperta del  Consultorio Familiare dell’azienda USL di Rimini un contributo per provare a capire quanto le esigenze del neonato, della madre e la loro relazione possano essere ostacolate o facilitate in questo periodo.
La gravidanza e il parto sono momenti estremamente delicati nella vita di una donna. Cosa succede in generale, sulla base della tua osservazione, alle donne che affrontano questa esperienza in una situazione di emergenza sanitaria?
“Nessuno di noi avrebbe immaginato di dover far fronte  ad  una emergenza sanitaria così importante tanto da doverci isolare e non avere contatti neanche con chi è più prossimo a noi… ma è accaduto e dobbiamo avere  uno sguardo diverso per le donne in gravidanza iniziale e gravidanza a termine, chi ha già figli e chi è alla sua prima esperienza, chi ha i parenti vicini e chi non li ha… ognuna con preoccupazioni e domande diverse… cercando di mantenere questo momento magico senza associarlo alla sensazione di essere malati.”
Cosa preoccupa maggiormente le donne alle prese con la maternità in questo periodo?
“Le donne  prossime al parto sono preoccupate per tante cose. Assalite da mille dubbi...  Innanzi tutto di non infettarsi. Di come  proteggersi. Se  basta solo l’isolamento . Se il virus le rende più vulnerabili. Se le modalità del parto possono essere diverse dal solito se si è postive  al virus.  Di avere il partner vicino durante il travaglio e il parto e soprattutto di non infettare il neonato e se possono stare con il bambino pelle a pelle dopo la nascita. Sono preoccupate.. Sono preoccupate del rientro a casa, specie se hanno altri bambini ad attenderle , di non poter condividere con i familiari  l’arrivo di un nuovo membro  della famiglia atteso con ansia e immaginato per nove mesi,. Di non avere supporto nel puerperio, con la consapevolezza che il calo dell’umore  è una tipica “componente del dopo parto...
E per le donne in attesa?
Per le donne che sono ancora lontane dal parto o addirittura che  sono rimaste incinta in questo periodo le preoccupazioni sono diverse. Ci chiedono  se  il virus potrebbe danneggiare l’embrione, se può causare l’aborto o il parto prematuro o pre termine , se devono adottare misure  ulteriori  per non far male al piccolo.. Sono sempre attente a quello che viene detto loro…  Nello stesso tempo l’energia di una relazione così unica  e irripetibile dà loro  tanta forza … quasi come se il bimbo stesso rassicurasse la mamma . Sarà un caso, ma noto nell’attesa  del consultorio donne che non staccano mai le mani dalla pancia , più di quanto facessero prima... Le nostre rassicurazioni sono principalmente improntate sulle evidenze scientifiche /cliniche, sull’attenzione e il tatto nel comunicare eventuali indicatori  di “pericolo”... Le informazioni cliniche e di prevenzione sono aderenti a tutte le indicazioni e procedure di comportamento dettate da OMS  e dal Ministero della Salute sia per il ricovero in ospedale che per il periodo di dimissione  e post parto.”
 A questo proposito, le regole sono cambiate.. Cosa comporta per le mamme il ricovero senza la presenza del marito o di un parente?
“Le informiamo che durante tutta la degenza le donne saranno da sole con il neonato, il partner sarà presente  solo in travaglio e al parto; che non riceveranno, come al solito, le visite di parenti e amici, ma vivranno in stanza condividendo con le altre puerpere la loro esperienza. Le videochiamate vengono ovviamente in aiuto e il personale sanitario cerca di rendere meno faticosa la degenza. In caso di negatività al coronavirus nulla sarà diverso da prima per quel che riguarda il contatto con il bambino e la promozione dell’allattamento al seno, promosso anche in caso di covid positivo, con le dovute precauzioni. Sappiamo quanto sia incisivo sul neonato l’attaccamento precoce al seno e il contatto skin to skin con la mamma fin dai primi momenti dopo la nascita e di quanto sia importante attivare  precocemente  tutti i meccanismi di relazione/legame  della diade madre/bambino. Tutto questo viene promosso pienamente dalle ostetriche della sala parto e del reparto di ostetricia, sempre attente a cogliere segni di disagio e di necessità. Le colleghe dell’ospedale ci raccontano anche di tanti episodi  di aiuto da parte delle donne che hanno già partorito e quindi più sicure, verso quelle che sono alla prima esperienza e di quanto coraggio infondano a chi è più vulnerabile.” 
Questo è infatti un tasto particolarmente delicato e importante. Interessante vedere come la condizione di isolamento attivi movimenti di empatia e di solidarietà nel gruppo delle mamme che si sostengono reciprocamente in base alle proprie competenze. Quali sono le altre figure che possono intervenire per sostenere le mamme nelle loro necessità in ospedale e poi a casa?
“La psicologa dell’ostetricia può essere sempre attivata durante il periodo di degenza per consulenze immediate. Il ritorno a casa è un altro argomento che suscita domande. ricorrenti sull’andamento della crescita del bambino e sui nuovi  equilibri in famiglia.  Le mamme hanno  bisogno di essere rassicurate  circa il fatto che il “ritiro” non scalfirà le loro  competenze di madri. Le risposte confermano sempre che la fisiologica crescita del neonato seguirà il suo costante incremento anche quando non sarà possibile allattare al seno. Anche i mariti sono spaventati perchè devono occuparsi di cose di cui si sono occupati poco, o mai, di non essere all’altezza di quello che viene loro richiesto. Anche per loro i consigli che diamo sono di essere sempre vicini … di sostenere le loro compagne, e di essere attenti anche ai più piccoli cambiamenti che possono destare preoccupazione, di non minimizzare quello che le partner lamentano e di occuparsi dei neonati per dare spazio alle madri nella relazione con gli altri figli…. insomma di esserci..”
Quali possono essere i rischi che corre la famiglia che accoglie un nuovo cucciolo in un contesto di isolamento sociale? Ci possono essere anche aspetti positivi?
“Dunque l’aspetto psicologico è quello che più ci preoccupa perchè lo scarso o mancato confronto nuoce alla nuova famiglia e l’isolamento può mettere a dura prova le relazioni in generale. D’altro canto può rappresentare una sorta di protezione dai contagi ma anche dalle tante interferenze e intrusioni che spesso rendono la neo mamma diffidente e protettiva verso il proprio cucciolo. Le divergenze generazionali mai come in puerperio vengono fuori… tutte…quindi per alcune, magari per le più “navigate”, l’isolamento rappresenta un’occasione unica. Secondo me quello che manca di più  sono gli sguardi e la vicinanza delle persone più care . Affidarsi ad un mediatore come il telefono, che per fortuna c’è, spesso vanifica il senso e la profondità dei pensieri, delle parole e delle emozioni… Il racconto ad un’amica o ad una sorella o alla madre delle emozioni del parto del primo sguardo e dei primi pensieri, non ha lo stesso sapore raccontato per telefono...”
E al di fuori della cerchia familiare quali sono i servizi a cui può far riferimento la puerpera in questo periodo?
“I pediatri sono disponibili a dare tutte le informazioni, anche se spesso le donne si rivolgono all’ostetrica che magari le ha seguite in gravidanza  e con cui hanno un rapporto di fiducia consolidato… Il nostro supporto principale è la presenza e la disponibilità ad accogliere le mamme che hanno bisogno. Loro sanno che noi ci siamo sempre, che i servizi sono aperti (con le dovute precauzioni di distanziamento) a ricevere in Consultorio o con consulenze telefoniche qualora non fosse possibile venire direttamente da noi. Un occhio particolare alle donne che durante la gravidanza sono state seguite da uno psicologo.  Mantenere un contatto anche dopo il parto è la scelta migliore per non precludere quanto fatto prima.  Le nostre psicologhe lavorano da casa in smart working con la stessa dedizione che le contraddistingue rendendosi disponibili anche ai nostri dubbi e incertezze. Concludo dicendo che trasmettiamo quello che siamo. La forza delle informazioni scientifiche dimostrate sono la sicurezza di un trasferimento fiducioso e senza ansia.”
 Un bambino nato in questo tempo potrebbe quindi non essere particolarmente penalizzato. Il bisogno particolare di cura di cui necessita un neonato sembra poter trovare una rispondenza in questo periodo in cui i ritmi e tempi sono più dilatati e la casa un rifugio sicuro. Anche la nuova famiglia che si va formando, pur pagando lo scotto di un aiuto dall'esterno limitato forzatamente, può trovare un vantaggio nella possibilità di stringersi e creare un legame in cui il padre ha la possibilità di sentirsi importante fin da subito. 
A cura di Enrica Notario.
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girodivite · 5 years
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Venivano con i barconi, venivano dall’Africa. Erano gaglioffi, oggi li chiameremmo pirati, gente di malaffare, trafficanti. Il “dito puntato” sulla Sicilia, la Tunisia con il suo capo Bon, era una delle vie più facili. Ma anche costeggiando lungo la Calabria e scendendo dall’alto come uccelli predatori era possibile giungere in Sicilia con facilità. Oggi sono afgani, pakistani, ed etiopi ed eritrei, mischiati a siriani, tunisini marocchini, e gente del centro Africa: nigeriani, maliani, ghaniani. Allora si chiamavano focesi, cumesi, calcidesi. Spesso mischiati a fenici, a ciprioti, cretesi e a mille altre etnie del Mediterraneo dell’epoca.
Copertina del libro di Massimo Frasca e Dario Palermo: Civiltà egee alla scoperta dell\’Occidente.
Venivano e trovavano le popolazioni siciliane perplesse se non contrariate da simili presenze. Gente che portava disordine, che rubava, che sovvertiva l’ordine religioso. Quando andava bene, commerciavano in droga: vino, e spezie provenienti dalla profondità dell’Anatolia e dell’Estremo Oriente. Attraverso il vino e il metallo convincevano i capi più restii a tollerare la loro presenza. Quando arrivavano in pochi avevano la furbizia di trattare; quando cominciarono ad arrivare più numerosi si prendevano semplicemente quello che ritenevano gli servisse. A Leontinoi dicono, i calcidensi trattarono; a Siracusa i corinzi fecero strage. D’altronde, quando si viene con le barche e poi non sai dove parcheggiarle, ti capita il parcheggiatore esoso, oppure quello che ti fa lo sgarro: bisogna stare attenti, e quella razza di viaggiatori erano davvero “navigati”, facci tagghiati, scafati. Sfruttavano tutto quello che era possibile sfruttare: il vento e la corrente, le stagioni (si navigava solo per i pochi mesi della buona stagione); poi si tirava la barca a riva e si seminava, ci si disponeva per passare l’inverno. Era gente povera, che veniva in contatto con popolazioni altrettanto povere e ci si derubava per niente. Le eccezioni erano ricordate. Si tramanda che le mura della città di Focea furono costruite grazie alla donazione del re spagnolo di Tartesso (Argantonio). i Focei furono i primi Greci ad intraprendere lunghi viaggi marittimi e a scoprire l’Adriatico, la Tirrenia, l’Iberia e Tartesso a bordo di agili penteconteri. 
La pentecontera era un barcone con 25 vogatori da una parte e 25 dall’altra (50 vogatori, da cui il nome dato a questo tipo di barcone). Per intendersi: la nave Argo mitica era una pentecontera (e gli Argonauti erano appunto 50). La pentecontera era una nave da guerra, non a uso esclusivamente mercantile (le navi mercantili anche allora avevano il fondo tondo, per permettere di trasportare più roba). Quando si viaggia, è meglio essere preparati al peggio.
Si sparsero un po’ tutto il Mediterraneo, come il prezzemolo: ovunque c’era possibilità di attecchire, di creare un emporio, una colonia. Marsiglia (coste mediterranee della Francia odierna) fu fondata dai focei.
Qualche secolo dopo, nella distanza che tutto sfoca, si parlò di “greci” per queste popolazioni che cominciarono ad occupare le coste per poi addentrarsi cautamente all’interno dell’isola. E si ammirarono quali “monumenti” le cose che furono costruite dopo: templi, statue, monete. Man mano che gli archeologi scavavano, o i viaggiatori inglesi, tedeschi, francesi indicavano come reperti d’interesse turistico ed archeologico.
Si imparano un bel po’ di cose dalla lettura del libro di Massimo Frasca a Dario Palermo, “Civiltà egee alla scoperta dell’Occidente : Viaggi, esplorazioni, colonizzazioni” (edito dalla ragusana Edizione di storia e studi sociali). Un libro di archeologia scritto da due valenti archeologici, con taglio divulgativo ma scientifico. Nel primo, mirabile, saggio di Frasca, si parla delle città greche della fascia anatolica: Focea, Smirne, Cuma.
"La serie dei graffiti dell’agorà di Smirne costituisce, rivaleggiando con quella di Pompei, la collezione di graffiti più ricca del mondo antico" [1]
Cuma Eolica era una delle 12 città “Eolide”. Nell’VIII secolo ac, alcuni cumani e alcuni calcidesi arrivarono fino in Campania per fondare un’altra Cuma, che influenzerà Roma e avrà un ruolo culturale e religioso molto più importante di quanto normalmente si pensi. Ed Elea, che ha a che fare con Parmenide, la musica e la matematica, la filosofia e la medicina. Il saggio descrive quel che abbiamo finora rinvenuto, e l’influenza che queste città ebbero nel mondo egeo e mediterraneo “sprovincializzando” le nostre letture finora troppo concentrate sui territori siculi e dando una visione d’insieme e di più vasto respiro. Il Mediterraneo era davvero quella cosa “aperta” che Braudel ci ha indicato di contro la nostra visione “chiusa” e murata, abituata a una “cortina” marina che ancora non è caduta a differenza di quanto è avvenuto con l’arretramento della frontiera nell’Europa dell’Est e che anzi la terrorizzata Europa dei privilegi vacillanti vuole a tutti i costi ristabilire.
Il secondo saggio, quello di Palermo, ci aggiorna sul periodo pre-greco, sull’avventura e l’espansione dei cretesi (la “civiltà minoica”) in Sicilia. Oggi ne cominciamo a sapere molto di più delle poche scarne notizie che ne avevamo tramite i documenti storici greci (tutti posteriori di diversi secoli). Ancora troppo poco, ma quel poco risulta davvero affascinante e ci apre (attraverso le pagine di Palermo) intere pagine di pre-storia che non conoscevamo.
L’archeologia, così come la filologia e l’investigazione criminologica, è un logos indiziario. Attraverso la "prova" o l’evidenza dell’indizio ritrovato quale traccia dell’evento passato, si congettura l’ipotesi su "come si sono svolti i fatti". Purtroppo, in archeologia (e anche in filologia) quasi mai l’assassino confessa il misfatto. Si rinvengono oggetti, gli oggetti si cerca di interpretarli, il resto sono congetture. Se la criminologia recentemente può avvalersi di metodiche di attribuzione e di datazione "scientifiche" (es_ analisi del DNA), non così l’archeologia per cui solo il carbonio 14 e poche altre tecnologie aiutano nella datazione dei materiali organici. Per i materiali inorganici (le pietre) c’è poco e niente. Giusto l’acume di qualche archeologo che utilizza il metodo della scuola dell’arte (Warburg) per trovare similarità stilistiche tra anfore e fregi rinvenuti. Ho sempre trovato affascinante la concomitanza che criminologia e archeologia hanno avuto nei loro sviluppi, dall’Ottocento ad oggi, Sherlock Holmes e le grandi spedizioni archeologiche hanno mosso i loro passi assieme - assieme agli eserciti coloniali europei. Per il resto la ricostruzione è provare a far luce su un buio tenace.
In questo buio ciò che vediamo è spesso quello che fa parte della nostra esperienza, l’esperienza dell’"oggi". Così l’archeologia recente ha maggiormente compreso alcuni aspetti commerciali e tecnologici del passato pre-storico. Abbiamo avuto una consapevolezza maggiore delle epoche di cesura: epoche in cui per un qualche motivo "la storia" cambia (la metafora del fiume che devia o si riduce a un rivolo). Insomma, quella visione catastrofista che è propria della visione novecentesca e occidentale. Sappiamo ad es_ che "qualcosa" è avvenuto attorno al 1177 ac [2] con il "collasso" di tutta una serie di civiltà che nell’era del bronzo erano arrivate a costituire un sistema connesso (si pensi solo che lo stagno, necessario per il bronzo, proveniva dall’Afghanistan; il rame da Cipro ecc_). Qualcosa avverrà poi con l’uccisione di Archimede nel 212 ac nel settore scientifico [3].
Vicino Mussomeli (Caltanissetta) vi è il sito di Polizzello [4] su cui ha indagato Dario Palermo. Qui è il rinvenimento di un elmo cretese [5] che viene datato alla fine del VII secolo e che "costituisce sinora la più cospicua testimonianza della presenza cretese al di fuori della Grecia" [6]. Il saggio di Palermo ci riporta a una pre-storia in cui i pochi rinvenimenti archeologici dialogano con i testi che la tradizione storiografica greca e romana ci hanno lasciato e che testimoniano dei rapporti che esistevano tra Sicilia e Creta. La fondazione di Gela, in epoca post-1177. Ma (probabilmente) prima la fuga in Sicilia del mitico Dedalo, e la morte sempre in Sicilia dell’autocrate Minosse. Nel racconto di Diodoro e di Apollodoro, Minosse fu sepolto in Sicilia, e le truppe cretesi sbandate fondarono poi diverse città tra cui quella di Engyon, che divenne sede di un santuario dedicato al culto delle Madri (Matéres). Noi non sappiamo se Engyon è il sito di Polizzello o di Sant’Angelo Muxaro (per questo sito, in cui è stata rinvenuta una tomba molto grossa si è fatta l’ipotesi che potesse essere il sepolcro di Minosse [7]). E tuttavia la venerazione delle Madri rimanda non solo a una religiosità probabilmente attestata anche nella madrepatria Creta ma soprattutto a una civiltà pre-indoeuropea [8] che rimanda a un’epoca ancora antecedente quella del bronzo. Nella ricostruzione mitologica che i Greci operarono culturalmente successivamente, avvenne l’identificazione delle Madri con le donne che aiutarono Zeus bimbetto appena scampato dall’essere divorato dal padre-patrigno Kronos.
Il libro di Frasca e Palermo è davvero consigliato. I due saggi sono due viaggi, che invogliano il lettore a prendere valigia e notes e mettersi in viaggio per andare a visitare i luoghi descritti. [...]
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Tre incredibili esperienze di pre-morte
Sono i casi di cui parla il dottor Theillier, medico che ha studiato i miracoli di Lourdes.
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Il dottor Patrick Theillier conosce bene i fenomeni soprannaturali. Cattolico convinto e impegnato, ha lavorato per dieci anni come medico dell’Ufficio delle Constatazioni Mediche del santuario di Lourdes. Insieme ad altri medici, non necessariamente credenti, si è impegnato a verificare scientificamente il carattere umanamente inspiegabile delle guarigioni ottenute per intercessione di Nostra Signora di Lourdes. Ed è proprio a partire dalle conclusioni elaborate da questo Ufficio che è stato possibile alla Chiesa giungere al riconoscimento di alcuni miracoli. Una guarigione inspiegabile è dichiarata miracolo quando l’autorità ecclesiastica competente vi riconosce un segno della potenza e dell’amore di Dio presente nella vita degli uomini, in grado di fortificare la fede del popolo cristiano. In “Quando la mia anima uscì dal corpo” (edizioni San Paolo) il dottor Theillier studia le esperienze di pre-morte, o avvenute “ai confini della morte” (conosciute con la sigla inglese NDE, Near-Death Experiences). 1) “HO FATTO UN VIAGGETTO IN CIELO” Nel 2010 Todd Burpo, un pastore della chiesa metodista del Nebraska, negli Stati Uniti, scrisse un piccolo libro, Heaven Is for Real, il Paradiso per davvero, nel quale raccontò la NDE di suo figlio Colton: «Ha fatto un viaggetto in Cielo» nel corso di un’operazione di peritonite alla quale è sopravvissuto. La storia è particolare perché Colton aveva solo 4 anni quando il fatto accadde, e ha raccontato la sua esperienza, ai genitori stupiti, in maniera occasionale e frammentaria. Le NDE dei bambini sono le più toccanti perché sono le meno inquinate, le più vere; si potrebbe dire: le più vergini. Pre-Morte più autentica nei bambini Il pediatra dottor Melvin Morse, direttore di un gruppo di ricerca sulle esperienze di pre-morte all’Università di Washington, dice: «Le esperienze di pre-morte dei bambini sono semplici e pure, non inquinate da nessun elemento di carattere culturale o religioso. I bambini non rimuovono queste esperienze come fanno sovente gli adulti, e non hanno difficoltà a integrare le implicazioni spirituali della visione di Dio». “La’ gli angeli hanno cantato per me” Ecco dunque il riassunto del racconto fatto da Colton come è riportato nel libro Heaven Is for Real. Quattro mesi dopo la sua operazione, passando in auto vicino all’ospedale dove era stato operato, a sua mamma che gli domanda se se ne ricorda, Colton risponde con una voce neutra e senza esitazione: «Sì, mamma, me ne ricordo. È là che gli angeli hanno cantato per me!». E con un tono serio aggiunge: «Gesù ha detto loro di cantare perché io avevo molta paura. E dopo andava meglio». Stupito, suo padre gli domanda: «Vuoi dire che c’era anche Gesù?». Il bambino facendo un cenno affermativo col capo, come se confermasse una cosa del tutto normale, dice: «Sì, c’era anche lui». Il padre gli domanda: «Dimmi, dov’era Gesù?». Il bambino risponde: «Ero seduto sulle sue ginocchia!». La descrizione di Dio Come è facile immaginarsi i genitori si domandano se tutto ciò sia vero. Ora, il piccolo Colton rivela che aveva lasciato il suo corpo durante l’operazione, e lo prova descrivendo con precisione ciò che ciascuno dei genitori stava facendo in quel momento in un’altra parte dell’ospedale. Stupisce i suoi genitori descrivendo il Cielo con dei particolari inediti, corrispondenti alla Bibbia. Descrive Dio come veramente grande, veramente grande; e dice che ci ama. Dice che è Gesù che ci riceve in Cielo. Non ha più paura della morte. Lo rivela una volta a suo padre che gli dice che rischia di morire se attraversa la strada correndo: «Che bello! Vuol dire che tornerò in Cielo!». L’incontro con la Vergine Maria In seguito risponderà sempre con la stessa semplicità alle domande che gli pongono. Sì, ha visto degli animali in Cielo. Ha visto la Vergine Maria inginocchiata davanti al trono di Dio, e altre volte vicino a Gesù, che ama sempre come fa una mamma. 2) IL “TUNNEL” DEL NEUROCHIRURGO Il dottor Eben Alexander, neurochirurgo americano, specialista del cervello, non credeva assolutamente ad una vita dopo la morte. Era scettico: per lui, tutti i racconti di NDE erano deliri e stupidaggini. Nel 2008 ebbe una meningite fulminante che gli fece cambiare idea. Dapprima in un articolo del settimanale americano Newsweek, e poi in un libro, racconta la sua esperienza di pre-morte. Un viaggio che l’ha convinto dell’esistenza di una vita dopo la morte. “Ero in una dimensione più vasta dell’universo” Quattro anni fa i medici dell’ospedale generale di Lynchburg, in Virginia, dove lui lavorava, gli hanno diagnosticato una rara forma di meningite batterica, che colpisce generalmente i neonati. Le possibilità di uscirne senza cadere in uno stato vegetativo erano deboli, e divennero nulle già al pronto soccorso. «Ma mentre i neuroni della mia corteccia venivano ridotti all’inattività completa, la mia coscienza, liberata dal cervello, percorse una dimensione più vasta dell’universo, una dimensione che non mi ero mai nemmeno sognato e che sarei stato felice di poter spiegare scientificamente prima di sprofondare nel coma. Ho fatto un viaggio in un ambiente riempito di grandi nuvole rosa e bianche… Molto sopra queste nuvole, nel cielo, volteggiavano in cerchio degli essere cangianti che si lasciavano dietro delle lunghe scie. Degli uccelli? Degli angeli? Nessuno di questi termini descrive bene questi esseri che erano diversi da tutto ciò che avevo potuto vedere sulla terra. Erano più avanzati di noi. Erano degli esseri superiori». Un canto celeste Il dottor Eben Alexander si ricorda di aver anche udito un suono in pieno sviluppo, come un canto celeste, che veniva da sopra, e che gli ha dato una grande gioia, e di essere stato poi accompagnato nella sua avventura da una giovane donna. Dopo questa NDE, il dottor Alexander non ha avuto più dubbi: la coscienza non è né prodotta né limitata dal cervello, come il pensiero scientifico dominante continua a ritenere, e si estende al di là del corpo. Nuova idea di coscienza «Ora, per me è – dice Alexander – cosa certa che l’idea materialistica del corpo e del cervello come produttori, piuttosto che come veicoli, della coscienza umana, è superata. Al suo posto sta già nascendo una nuova visione del corpo e dello spirito. Questa visione, a un tempo scientifica e spirituale, farà posto alla verità, che è il valore che i più grandi scienziati della storia hanno sempre cercato». 3) LA FUCILAZIONE Ecco una lettera di don Jean Derobert. È una testimonianza certificata data in occasione della canonizzazione di padre Pio. «In quel tempo – spiega don Jean – lavoravo al Servizio Sanitario dell’esercito. Padre Pio, che nel 1955 mi aveva accettato come figlio spirituale, nelle svolte importanti della mia vita mi ha sempre fatto pervenire un biglietto in cui mi assicurava la sua preghiera e il suo sostegno. Così accadde prima del mio esame all’Università Gregoriana di Roma, così accadde quando entrai nell’esercito, così accadde anche quando dovetti raggiungere i combattenti in Algeria». Il biglietto di Padre Pio «Una sera, un commando F.L.N. (Front de Libération Nationale Algérienne) attaccò il nostro villaggio. Fui preso anch’io. Messo davanti a una porta insieme ad altri cinque militari, fummo fucilati (…). Quel mattino avevo ricevuto un biglietto da padre Pio con due righe scritte a mano: «La vita è una lotta ma conduce alla luce» (sottolineato due o tre volte)». La salita in cielo Immediatamente don Jean fece l’esperienza dell’uscita dal corpo. «Vidi il mio corpo al mio fianco, sdraiato e sanguinante, in mezzo ai miei compagni uccisi anch’essi. Cominciai una curiosa ascensione verso l’alto dentro una specie di tunnel. Dalla nuvola che mi circondava distinguevo dei visi conosciuti e sconosciuti. All’inizio questi visi erano tetri: si trattava di gente poco raccomandabile, peccatori, poco virtuosi. Man mano che salivo i visi incontrati diventavano più luminosi». L’incontro con i genitori «All’improvviso il mio pensiero si rivolse ai miei genitori. Mi ritrovai vicino a loro a casa mia, ad Annecy, nella loro camera, e vidi che dormivano. Ho cercato di parlare con loro ma senza successo. Ho visto l’appartamento e ho notato che avevano spostato un mobile. Molti giorni dopo, scrivendo a mia mamma, le ho domandato perché avesse spostato quel mobile. Lei mi rispose: “Come fai a saperlo?”. Poi ho pensato al papa, Pio XII, che conoscevo bene perché sono stato studente a Roma, e subito mi sono ritrovato nella sua camera. Si era appena messo a letto. Abbiamo comunicato scambiandoci dei pensieri: era un grande spirituale». “Scintilla di luce” Ad un tratto don Jean si ritrova in un paesaggio meraviglioso, invaso da una luce azzurrina e dolce.. C’erano migliaia di persone, tutte dell’età di circa trent’anni. «Ho incontrato qualcuno che avevo conosciuto in vita (…) Ho lasciato questo “Paradiso” pieno di fiori straordinari e sconosciuti sulla terra, e sono asceso ancora più in alto… Là ho perso la mia natura di uomo e sono diventato una “scintilla di luce”. Ho visto molte altre “scintille di luce” e sapevo che erano san Pietro, san Paolo, o san Giovanni, o un altro apostolo, o il tale santo». La Madonna e Gesù «Poi ho visto santa Maria, bella all’inverosimile nel suo mantello di luce. Mi ha accolto con un indicibile sorriso. Dietro di lei c’era Gesù meravigliosamente bello, e ancora più indietro c’era una zona di luce che sapevo essere il Padre, e nella quale mi sono tuffato». La prima volta che vide padre Pio dopo quest’esperienza, il frate gli disse: “Oh! Quanto mi hai dato da fare tu! Ma quello che hai visto era molto bello!”.
La testimonianza integrale dell'abbé Derobert "Caro Padre, Lei mi ha domandato una relazione scritta a proposito dell'evidente protezione di cui sono stato oggetto nell'agosto 1958 durante la guerra d'Algeria. In quell'epoca, ero al servizio del Corpo Sanitario delle Forze Armate e avevo notato come ad ogni momento importante della mia vita, Padre Pio, che mi aveva accettato nel 1955 come figlio spirituale, mi facesse pervenire una cartolina che assicurava la sua preghiera e il suo sostegno. Uno di questi casi fu prima del mio esame all'università Gregoriana di Roma, così come al tempo della mia partenza per l'esercito, oppure quando dovetti raggiungere i combattenti in Algeria. Una sera, un commando del F.L.N. (Fronte di Liberazione Nazionale Algerino) attaccò il nostro villaggio e fui ben presto fatto prigioniero, messo davanti ad un portone con cinque altri militari e là fummo fucilati. Mi ricordo che non ho pensato né a mio padre, né a mia madre di cui ero, tra l'altro, figlio unico, ma provavo solamente una grande gioia perché «andavo a vedere ciò che esisteva dall'altro lato». Avevo ricevuto, la mattina stessa, una cartolina da Padre Pio con due righe manoscritte: «La vita è una lotta, ma porta alla Luce» (sottolineato due o tre volte). Immediatamente, feci l'esperienza dell'uscita dal corpo, e lo vidi accanto a me riverso e sanguinante in mezzo ai miei compagni, anch'essi uccisi. Ho allora iniziato ad ascendere e ad entrare stranamente in una sorta di tunnel. Dalla densa nube che mi circondava, emergevano dei visi conosciuti e non.All'inizio, questi volti erano tenebrosi; si trattava di persone poco raccomandabili, peccatori con poche virtù. Però, man mano che salivo, ne incontravo altri sempre più luminosi. Ero sorpreso di come potessi camminare... e mi dicevo esser fuori dal tempo, dunque già resuscitato... Mi stupivo di poter osservare tutt'intorno alla mia testa senza voltarmi indietro. Ero sbalordito di non aver sentito nulla per le ferite riportate dalle pallottole dei fucili e compresi che erano entrate nel mio corpo così velocemente da neutralizzare qualsiasi dolore. Subito, il mio pensiero andò ai miei genitori... E in un lampo mi sono ritrovato ad Annecy, a casa mia, e li ho visti dormire nella loro camera. Ho provato a parlare loro, ma senza successo. Ho visitato l'appartamento notando il cambio di posizione di un mobile. Molti giorni dopo, scrivendo a mia madre, le ho domandato perché lo aveva spostato. Nella risposta che mi inviò mi chiese: «Come fai a saperlo tu?» Ho pensato pure a Papa Pio XII, che conoscevo bene (ero stato studente a Roma), e immediatamente sono arrivato nella sua stanza. Si era appena messo a letto. Abbiamo comunicato per mezzo dei pensieri (telepatia; ndt), perché era un grande spiritualista. Ho proseguito la mia ascensione fino a trovarmi circondato da un paesaggio meraviglioso soffuso di una luce azzurrognola molto delicata... Non c'era tuttavia il sole «perché il Signore è la loro Luce...» come dice l'Apocalisse. Ho visto là migliaia di persone, tutte con un'età approssimativa di trent' anni, e ne ho incontrate alcune che conoscevo mentre erano in vita... La tale era morta a 80 anni... e sembrava averne 30... La tal altra era morta a 2... ed entrambe apparivano coetanee... Ho lasciato questo «paradiso» costellato di fiori straordinari e sconosciuti quaggiù. Sono salito ancora più in alto... Là, ho perso la mia natura umana e sono diventato una «goccia di Luce». Ho veduto molte altre Scintille luminose e sapevo che una era San Pietro, un'altra Paolo oppure Giovanni, o un apostolo, o quel tal Santo... Poi ho visto Maria, meravigliosamente bella nel suo mantello di Luce, che mi accoglieva con un sorriso indicibile... Dietro di Lei c'era Gesù, di una bellezza indescrivibile, e alle Sue spalle splendeva una zona di Radianza, che sapevo essere il Padre, e in cui mi sono immerso... Ho sperimentato, così, l'appagamento totale di tutto ciò che potevo desiderare. Ho conosciuto la felicità perfetta... e, bruscamente, mi sono ritrovato sulla Terra, il viso nella polvere, in mezzo ai corpi insanguinati dei miei compagni. Ho preso coscienza che il portone davanti al quale mi trovavo era crivellato dai colpi che avevano attraversato il mio corpo; che il mio abito era perforato e intriso di sangue; che il mio petto e il dorso erano macchiati anch'essi di sangue a metà coagulato, un po' vischioso... ma io ero incolume! Sono andato allora dal Comandante così com'ero. Mi venne incontro gridando al miracolo. Era il comandante Cazelle, oggi deceduto. Quest'esperienza mi ha segnato molto, senza alcun dubbio. Ma quando, affrancato dall'Esercito, mi recai da Padre Pio, egli mi scorse da lontano nel salone San Francesco. Mi fece segno di avvicinarmi e mi diede, come sempre, un piccolo buffetto affettuoso. Poi mi disse queste semplici parole: «Oh! Come mi hai fatto correre! Ma quello che hai visto, era talmente bello!» E chiuse lì la sua osservazione. Si può capire, ora, il motivo per cui io non abbia più paura della morte... poiché so cosa c'è dall'altra parte!" Padre Jean Derobert Questo documento fa parte degli atti del processo per la canonizzazione di Padre Pio. La relazione scritta ci è stata concessa a condizione di non renderla pubblica prima della canonizzazione stessa. Suor Benjamine
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redazione-rosebud · 2 years
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L'eccezionale esperienza di pre-morte (NDE) dell'artista ogliastrino Sergio Muntoni (1955-2014)
L’eccezionale esperienza di pre-morte (NDE) dell’artista ogliastrino Sergio Muntoni (1955-2014)
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out-o-matic · 3 years
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L’ateo alla guida dei cappellani di Harvard. O della spiritualità senza religione (guardando a Robert Musil)
New York Times, Quartz
DI ELENA TEBANO
Greg Epstein, 44 anni, è il nuovo presidente dei cappellani dell’Università di Harvard, il primo ateo nella storia dell’università americana. Non è un fatto da poco, considerato che Harvard deve il suo nome al pastore John Harvard ed è stata fondata nel 1630 dai coloni puritani per dare un’educazione adeguata al clero (il suo motto era «Veritas Christo et Ecclesiae», «Verità per Cristo e la Chiesa»). Epstein, che è cresciuto in una famiglia ebraica, ha fatto studi teologici ed è stato ordinato rabbino umanista dall’Istituto internazionale per l’ebraismo umanistico secolare, istituzione non religiosa di cultura ebraica, è l’autore di un libro di grande successo, Good Without God. What a Billion Nonreligious People Do Believe («Bene senza Dio. In cosa credono un miliardo di persone non religiose»). Ed è il punto di riferimento di coloro che sostengono una concezione spirituale ed etica della vita che non passi dalla religione. «Coordinerà le attività di più di 40 cappellani universitari, che guidano le comunità cristiane, ebraiche, indù, buddiste e altre comunità religiose nel campus», spiega il New York Times. Tra gli studenti che si sono rivolti al cappellano ateo di Harvard ci sono: Adelle Goldenberg, 22 anni, che è fuggita dalla comunità chassidica ultraortodossa di Brooklyn per poter studiare («Mi ha mostrato che è possibile trovare una comunità al di fuori di un contesto religioso tradizionale, che si può avere il valore aggiunto che la religione ha fornito per secoli, cioè che è lì quando le cose sembrano travolte dal caos», dice, riferendosi in particolare al periodo della pandemia); l’ex presidente dei laureati umanisti di Harvard A.J. Kumar («Essere in grado di trovare valori e rituali senza dover credere nella magia, è una cosa potente»); o infine Charlotte Nickerson, 20 anni, una studentessa di ingegneria di educazione cattolica. Nickerson racconta che grazie agli incontri con Epstein ha trovato un linguaggio comune con la nonna, cattolica praticante. E sono riuscite a condividere il senso della finitezza umana («La nonna della signora Nickerson ha riflettuto sugli aspetti della sua vita che erano nelle mani di Dio; la signora Nickerson ha convenuto che era importante riconoscere tutti gli eventi al di là del controllo umano, anche se lei non crede che ci sia una divinità coinvolta» sintetizza il Nyt). La nomina di Epstein riflette un cambiamento importante nella società americana (simile a quello che sta avvenendo in Europa): l’aumento delle persone che non credono in nessun dio. Secondo il Pew Research Center, un importante centro di ricerca americano, il gruppo dei non credenti è la «preferenza religiosa» che cresce più rapidamente negli Stati Uniti. Più del 20% degli statunitensi si identificano come atei, agnostici o non religiosi, percentuale che sale al 25% tra i millennial. Soprattutto a Harvard: un sondaggio del quotidiano studentesco Harvard Crimson sulla classe del 2019 ha rilevato che gli studenti dell’università erano due volte più propensi a identificarsi come atei o agnostici rispetto alla media dei 18enni americani. Oggi quasi il 20% della popolazione mondiale non crede in una divinità. Ma sull’ateismo ci sono ancora molti tabù: negli Stati Uniti, ricorda Quartz, «ci sono quasi tre volte più persone che dicono di non credere in dio (9%) di quelle che si identificano come atee (3%). Un altro 4% dice di essere agnostico». E in generale tutte le grandi religioni guardano con particolare sospetto ai «senza dio». A lungo nella storia «ateo» è stato considerato sinonimo di «senza valori» o «amorale». E lo stigma permane. Secondo Quartz, ancora oggi negli Stati Uniti, «il pregiudizio contro l’ateismo è uno degli ultimi pregiudizi socialmente accettabili. I Boy Scout d’America, per esempio, ora ammettono gay e trans, ma mantengono un divieto sugli atei. Quasi la metà degli americani dice che non sarebbe felice se il proprio figlio o figlia sposasse un ateo. Secondo un sondaggio, sarebbe più facile essere eletto presidente per un musulmano o un gay che per un ateo». Uno dei pregiudizi più diffusi sull’ateismo è che non ci possa essere spiritualità senza religione. Non è così. La dimensione spirituale è fondamentale per l’essere umano e può passare anche da altri «canali»: arte e filosofia o ciò che tradizionalmente chiamiamo umanesimo, per esempio. La nomina di Epstein a Harvard ne prende atto. «C’è un gruppo crescente di persone che non si identificano più con alcuna tradizione religiosa, ma sperimentano ancora un reale bisogno di conversazione e sostegno su ciò che significa essere un buon essere umano e vivere una vita etica» dice lui spiegando il suo ruolo. «Non guardiamo a un dio per le risposte. Siamo le risposte gli uni degli altri». Per inciso, una delle più belle riflessioni sulla spiritualità senza fede è quella di Robert Musil ne L’uomo senza qualità, il capolavoro che lo scrittore austriaco lasciò incompiuto alla sua morte, nel 1942. Nel libro Musil descrive «la sensazione di essere congiunti con tutte le cose come in un molle specchio di acque, e di dare e ricevere senza volontà: sensazione meravigliosa di sconfinamento e di sconfinatezza interiore ed esteriore, che è comune all’amore e al misticismo» e spiega che in questo «stato di sublimazione» c’è una «strana parentela» tra «pensiero e morale». Per Musil questa esperienza di spiritualità è fondamentale per gli esseri umani. Ritiene però che tutte le chiese l’abbiano trattata «con la stessa diffidenza che un burocrate oppone all’iniziativa privata» cercando di «mettere al suo posto una morale disciplinata e comprensibile». La morale (e i precetti religiosi) secondo Musil, sono proprio questo: «la cristallizzazione esterna di un movimento interiore pienamente diverso da essa». Ovvero un insieme di regole per raggiungere quello stato di comunione con tutte le cose (la spiritualità), che però cessano di funzionare nel momento stesso in cui vengono fissate. L’unico modo di recuperare quello stato, per Musil, non è dunque l’aderenza a una serie di precetti pre-definiti, come insegnano le religioni tradizionali, ma una ricerca continua e continuamente aperta su se stessi e gli altri. La descrive così, parlando di Ulrich, l’uomo senza qualità: «La morale non era per lui né costrizione né saggezza, bensì l’infinito complesso delle possibilità di vivere. Egli credeva a un potere d’accrescimento della morale, a gradini della sua esperienza, e non soltanto, come si usa comunemente, a gradini della sua conoscenza, come se essa fosse qualcosa di stabile per cui l’uomo, soltanto, non è abbastanza puro. Egli credeva nella morale senza credere in una morale definita. Di solito s’intende per essa una specie di regolamento di polizia che serve a mantenere in ordine la vita; e poiché la vita non obbedisce neppure a tali regole, esse appaiono quasi impossibili a seguirsi, e, pur in questo modo meschino, acquistano l’apparenza d’un ideale. Ma non è lecito mettere la morale su questo piano. La morale è fantasia». La morale è educazione della capacità di sentire se stessi e gli altri.
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morrissannumero6 · 3 years
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Testimonianza di esperienza Pre-Morte e Oltre con Sergio Audasso e Gianluca Lamberti
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Usare il piegaciglia su un auto in movimento come esperienza pre-morte
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lafrenki · 6 years
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Breve premessa: ci ho pensato molto e iniziare un articolo su un blog di viaggi con ‘vi racconto un viaggio…’ mi è parso pretenzioso, così ho prontamente aggiunto anche il riferimento all’amicizia, un valore che ritengo essenziale e importante, anche più dell’amore, qualche volta.
Iniziamo ora…
L’amicizia, in tutte le sue estensioni e le sue declinazioni, quando è vicina e quando è lontana geograficamente, quando è per sempre e anche quando è solo per un po’ di tempo, attraversa le vite di noi tutti  – per l’amore romantico non si può dire altrettanto – e ci regala sempre emozioni forti: felicità quando ne nasce una nuova che riesci a coltivare, tristezza quando un rapporto finisce per ‘le cose della vita’, e poi tenerezza, comprensione, unione, risate e anche pianto.
E’ esattamente questo che desidero fare oggi, raccontare la mia più recente esperienza come viaggiatrice, nata grazie ad un’amica e costellata di vera amicizia in ogni sua fase.
Lo scorso febbraio di programmato c’era poco, avevo acquistato un volo andata-ritorno Verona-Cagliari con solo bagaglio a mano, e per tutto il resto mi ero affidata alla mia amica, che da viaggiatrice appassionata e grande conoscitrice della meravigliosa terra dove mi avrebbe condotta, aveva capito che per me sarebbe stata un’esperienza indimenticabile.
La destinazione era la Sardegna, precisamente Càbras, vicino Oristano, sulla costa centro-occidentale dell’Isola italiana che tutto il mondo ci invidia.
Questo lungo weekend in Sardegna con la mia amica Nadia era stato più volte rimandato e anche questa volta è stato a rischio annullamento per un triste evento, la morte di un mio carissimo giovane amico; ma proprio nello spirito di rispetto e di amicizia che nutro per lui, che amava viaggiare almeno quanto me, ho deciso di partire all’indomani dell’ultimo addio al Ciano. Anzi, sai che ti dico Ciano? Dedicherò un articolo sul mio blog ai viaggi ‘on the road‘ che abbiamo fatto insieme, e lo farò con tutto il mio cuore!
Il volo era serale, a Verona faceva freddo – ed era anche giusto lo facesse l’8 di febbraio in una città del nord Italia famosa per il suo clima ‘nordico’ – in aggiunta il traffico intenso per arrivare all’aeroporto e l’ansia dovuta ad una mini-valigia troppo piena e troppo pesante perché potesse passare indenne il controllo, fecero sì che la mia voglia di sbarcare a Cagliari e togliermi il piumino crescesse di minuto in minuto. Ma l’esperienza insegna, sempre insegna, a non fidarsi dei luoghi comuni, e in questa precisa circostanza mi ha insegnato che in Sardegna non fa sempre caldo! Non in pieno inverno almeno, e così giù dalle scalette dell’aereo, appena pestato il suolo sardo, ho chiuso in fretta la zip del piumino e con Nadia e la sua simpaticissima figlia Alessandra ci siamo dirette frettolose e infreddolite verso l’autonoleggio.
La strada statale che collega l’aeroporto di Cagliari ad Oristano è la SS131 –  non ci sono autostrade in Sardegna e non si pagano pedaggi – una sorta di tangenziale lineare, scorrevole e veloce: sono circa 100 km e si viaggia attraverso la più vasta pianura sarda, il ‘Campidano‘ o ‘Campidanu’, un’area ricca di vigneti, coltivazioni di grano e anche di riso, vista la fitta presenza di paludi e stagni di quest’area.
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Fenicotteri Rosa degli Stagni
Da Oristano a Càbras, la nostra destinazione, sono 5 km di stradine non tenute benissimo ma in quel momento non ho fatto molto caso al suolo stradale, cercavo di orientarmi e di scorgere nella fresca notte sarda il bed&breakfast che ci avrebbe ospitato per le prossime 5 notti. Eccolo il Sa Cottilla, dove Elena ci attendeva a braccia aperte.
Biografia di Elena: sorella di Nadia, nata a Sant’Ambrogio di Valpolicella, terra di vini e di marmi, una vera forza della natura, energia in purezza. Lei si è trasferita a Càbras molti anni fa, con suo marito, e ora che lui non c’è più, ha trasformato la sua casa tipica campidanese in un bed&breakfast con molto stile e carattere e ospita viaggiatori sardi, del ‘continente’ come noi, e stranieri.
L’ulivo nel cortile di Sa Cottilla
Avevo già conosciuto Elena a Verona a Natale, ed era stata subito ‘amicizia a prima vista‘; come mi capita spesso nella vita anche allora avevo immediatamente percepito quel fluido magico che scorre nell’aria tra anime gemelle, stessi pensieri, stesse idee, stesse anche le stupidate per cui ridiamo a crepapelle e così, in modo naturale, avevamo subito iniziato a parlare di uomini, di progetti per il futuro, di viaggi. Perché? Di cos’altro parlate voi con le vostre amiche?
Ma devo soffermarmi su un episodio. Poco prima di rivedere Elena, quella sera, appena scesa dall’auto qualcosa ha travolto i miei sensi ed ha immediatamente acceso un sorriso sulle mie labbra, si trattava di una percezione, che per qualche minuto ha distolto la mia attenzione da tutto il resto, e che poi mi ha accompagnato per tutta la durata del viaggio: il Profumo del Mare. Un profumo forte, penetrante, intenso, che per me, montanara del nord, vuol sempre dire solo una cosa ‘sono in Vacanza!‘.
Noi, le sorelle nordiche ‘mascherate’
Dopo i saluti, quella notte a Càbras, sedute intorno ad un tavolo Elena, Nadia ed io abbiamo ripreso da dove ci eravamo interrotte a Verona, bevendo Vernaccia di Oristano, e chiacchierando per ore come se fossimo state sorelle, ‘sorelle nordiche‘, che non si incontravano da anni: uno dei più bei momenti di tutta la vacanza, che porterò sempre nel cuore e che mi farà sorridere negli anni a venire. Ora è più chiaro perché chiamo questo il ‘viaggio dell’amicizia‘?
Il mattino seguente a colazione ho conosciuto il figlio maggiore di Elena, Jacopo, giovane artista moderno, e poi Annica (non Annìka), la figlia più giovane, intraprendente e intelligente. Ma il sole e la luce che entravano dalla veranda ci inducevano a partire alla scoperta di questi luoghi, nuovi per me, e noi non ci siamo fatte supplicare.
Càbras è un paese piuttosto grande, ma non sembra a prima vista. Il suo centro si divincola in tantissime vie e vicoli come a formare una ragnatela, all’inizio non è facile orientarsi tra file di case molto basse, tipiche case campidane mi hanno spiegato, piazzette, chiese, botteghe e bar. Poi, una volta uscita dal reticolo del centro, è stato tutto più chiaro, finalmente il mare, anzi no, lo Stagno di Càbras. L’avevo visto sulla mappa su Google, e non avevo capito come potesse coesistere uno stagno, posto lì tra una città e il suo mare, mi era sembrato quasi un impedimento. Ma non è così, credetemi, lo stagno di Càbras sta bene lì dov’è, funge da anello di congiungimento ed ha un fascino dal sapore antico: in me ha evocato ricordi d’infanzia, di quando i miei genitori portavano mia sorella e me al mare in campeggio ai Lidi di Comacchio, e ancora di Venezia e della sua laguna, poi mi sono ricordata anche della zona del Circeo, anche lì la presenza di un’area lagunare, bonificata dai veneti nei primi anni ’20, proprio come a Oristano. Ecco, di nuovo, un’altra evidente conferma di un autentico legame remoto tra veneti e sardi, un’amicizia che attraversa i secoli.
La costa del Sinis verso San Giovanni di Sinis
Senza fretta, in auto, abbiamo costeggiato lo stagno, siamo scese verso sud, abbiamo superato un piccolo ponte e affiancato per qualche chilometro un altro stagno, più piccolo, e infine siamo arrivate nel punto più a sud della Penisola del Sinis, dove questa si restringe, diventa un promontorio roccioso dominato dalla Torre di San Giovanni, una striscia di terra, su un lato San Giovanni di Sinis, sull’altro il sito archeologico di Tharros, che sulla punta estrema si allarga di nuovo a formare il Capo San Marco; da una parte il Mare Morto dove si può fare il bagno in compagnia dei delfini, dall’altra il mare aperto, il Mare di Sardegna che guarda verso la Spagna, sulle cui spiagge si passeggia a cavallo e nel cui mare si fa surf sulle onde increspate dal Maestrale.
Questo luogo è di una bellezza incantevole, senza tempo, sarei rimasta lì ore ad osservare i due mari, le sue rovine, la natura espressa in tante forme diverse, ma ci attendeva dell’altro.
La Torre di San Giovanni
Tharros
La vera ragione per cui noi ragazze veronesi eravamo a Càbras in quei giorni era per festeggiare il Carnevale, che in Sardegna, ed in particolare nella città di Oristano e nella sua provincia, si perfeziona in decine di feste paesane dense di riti antichi e medievali, quasi per la totalità imperniati sul mondo dei cavalli, dei cavalieri e delle loro gesta ripetute durante le giostre, le feste, le cerimonie e le parate. In particolare il Carnevale a Oristano ha una sola parola che lo caratterizza:  Sartiglia. E noi eravamo a Càbras per l’amicizia e per la Sartiglia.
Per quella sera, mentre a Verona si festeggiava il ‘Venerdì Gnocolar’, la nostra ospite aveva organizzato una ‘festa in maschera’ che era intesa di benvenuto per noi e di buon augurio per l’ospite d’onore, un ragazzo di Càbras, Daniele Ferrari, che per il primo anno, di lì a pochi giorni, avrebbe corso la Sartiglia, il caro Daniele, da noi affettuosamente chiamato ‘il nostro cavaliere‘ era la vera celebrità della serata. E qui torna il tema dell’amicizia, che ha contraddistinto questa vacanza: a quella festa mascherata ho conosciuto tante persone che con il loro affetto e generosità si sono meritate velocemente il titolo di amici, spero di averlo meritato anch’io!
Daniele appunto, che dopo averci prestato le bardature della sua cavalla Maseda per addobbare la sala, ci ha invitato anche a presenziare alla fase della sua vestizione pre-Sartiglia in scuderia la domenica successiva; Anna del b&b Sa Pintadera che per l’occasione (e per l’ubicazione) si era mascherata da ‘Accabadora‘ – per inciso, Michela Murgia, l’acclamata scrittrice di ‘Accabadora’ è originaria di Càbras -; Enrico il viaggiatore, e poi il simpatico Antonio, Alberto che porta fuori i turisti in mare con la sua barca a vela, Anna l’archeologa, Tiziana che si occupa di promozione turistica, gli amici e la fidanzata di Jacopo, e tanti altri.
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Le bardature di Maseda, la cavalla di Daniele Ferrari
E la generosità, quella sera tutti mascherati abbiamo ballato sulla musica di De Andrè, abbiamo festeggiato nuovi amici, abbiamo celebrato il legame Veneto-Sardegna, abbiamo mangiato specialità sarde come la fregola, gli gnocchetti sardi, la pasta con la bottarga di muggine di Càbras e abbiamo bevuto vini eccezionali come Vernaccia, Vermentino e Cannonau. Questa è amicizia ed è generosità! Tutto, ripeto, ‘generosamente’ offerto dagli amici, anche da quelli assenti quella sera, come Alessandro dei Vini Contini.
I Vini Contini
Dedicato alla Sartiglia
  La festa è continuata fino a notte fonda, e anche questa storia  di viaggio e di amicizia continua… ma sul prossimo articolo. Stay tuned!
La Frenki
…to be continued
      di Viaggio, di Amici e di Sardegna Breve premessa: ci ho pensato molto e iniziare un articolo su un blog di viaggi con 'vi racconto un viaggio...' mi è parso pretenzioso, così ho prontamente aggiunto anche il riferimento all'amicizia, un valore che ritengo essenziale e importante, anche più dell'amore, qualche volta.
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tinamacripo · 4 years
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Guarda "Racconti di Halloween 🎃. Esperienza di pre-morte: suicidio." su YouTube
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media4health · 5 years
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Daiichi Sankyo ESC2019: Presentati i risultati positivi di ENTRUST-AF PCI lo studio su LIXIANA®
ESC2019: Daiichi Sankyo presenta i dati positivi di ENTRUST-AF PCI, lo studio che valuta efficacia e sicurezza di edoxaban in pazienti con FA e sottoposti a un PCI
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Lo studio ENTRUST-AF PCI ha raggiunto l’endpoint primario di sicurezza di non inferiorità relativamente al sanguinamento tra la doppia terapia a base di edoxaban e la triplice terapia antitrombotica con AVK in pazienti con FA dopo l’impianto di uno stent. I risultati pubblicati su The Lancet e presentati da Daiichi Sankyo al Congresso ESC 2019
Parigi, 4 settembre 2019 – Daiichi Sankyo ha annunciato oggi i risultati di ENTRUST-AF PCI, il primo ampio studio randomizzato per valutare l’efficacia e la sicurezza di edoxaban (LIXIANA®) in monosomministrazione giornaliera in associazione ad un inibitore P2Y12, rispetto a un regime terapeutico a base di antagonisti della vitamina K in associazione ad un inibitore P2Y12 e ad acido acetilsalicilico in pazienti affetti da fibrillazione atriale sottoposti con successo a un intervento coronarico percutaneo (PCI) con inserimento di stent. Il trial ha dimostrato la non-inferiorità della duplice terapia con edoxaban rispetto al regime di triplice terapia con AVK, per l’endpoint composito di sanguinamenti maggiori o sanguinamenti non-maggiori clinicamente rilevanti in un periodo di 12 mesi. 1,2 I risultati sono stati pubblicati su The Lancet e presentati oggi nella Hot Line Session dell’ESC 2019 che si sta tenendo a Parigi.
Si stima che tra il 20% e il 40% circa dei pazienti con FA presenti anche malattia coronarica (CAD), e una parte considerevole di tali pazienti richieda rivascolarizzazione mediante intervento coronarico percutaneo (PCI) e impianto di stent.3 Le attuali linee guida di trattamento per questi pazienti raccomandano una triplice terapia con AVK che include un inibitore P2Y12 e aspirina; tuttavia, la triplice terapia è stata associata ad un alto rischio di sanguinamento.4 ENTRUST-AF PCI è uno studio internazionale prospettico di Fase IIIb, randomizzato a gruppi paralleli, in aperto con valutazione in cieco dell’endpoint, che ha confrontato un regime antitrombotico di 12 mesi con edoxaban 60mg in monosomministrazione giornaliera in associazione ad un inibitore P2Y12, rispetto ad un antagonista della vitamina K, in associazione ad un inibitore P2Y12 e 100mg di aspirina per una durata, adattata al rischio, da 1 a 12 mesi, in pazienti affetti da fibrillazione atriale e sottoposti con successo ad impianto di stent per sindrome coronarica acuta (ACS) o coronaropatia (CAD) stabile. L’obiettivo primario di sicurezza era il composito di sanguinamento maggiore e sanguinamento non-maggiore clinicamente rilevante, così come definiti dall’ISTH (International Society of Thrombosis and Haemostasis).
“Per i pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a intervento coronarico percutaneo, una strategia di trattamento antitrombotica che prevenga sia il sanguinamento che i potenziali eventi coronarici è fondamentale – ha spiegato Andreas Goette, MD, primario del Dipartimento di cardiologia e terapia intensiva del St. Vincenz-Hospital di Paderborn, Germania, e principale sperimentatore dello studio – Questi risultati dello studio ENTRUST-AF PCI supportano l’uso di una doppia terapia antitrombotica con edoxaban più un inibitore P2Y12 come opzione alternativa e con un profilo di sicurezza equivalente alla tripla terapia basata su AVK, che include un inibitore P2Y12 e aspirina adattata al rischio, per una durata da 1 a 12 mesi”.
Lo studio ENTRUST-AF PCI ha arruolato 1.506 pazienti con FA sottoposti con successo a impianto di stent per ACS (51,6%) o CAD stabile (48,4%). I pazienti sono stati randomizzati per ricevere edoxaban una volta al giorno (60 mg o 30 mg per criteri di riduzione della dose) più un inibitore P2Y12 per 12 mesi o un AVK in associazione ad un inibitore P2Y12 più 100 mg di aspirina. Il sanguinamento maggiore o non-maggiore clinicamente rilevante, endpoint primario dello studio, si è verificato in 128 (17,0%; annualizzato: 20,7%) pazienti nel gruppo edoxaban e 152 (20,1%; annualizzato: 25,6%) pazienti nel gruppo AVK (HR: 0,83, IC 95%: 0,654-1,047), dimostrando la non-inferiorità della doppia terapia a base di edoxaban per i 12 mesi post-PCI (p = 0,001, margine di non-inferiorità pre-specificato = 1,2). Si è riscontrata una tendenza verso un minor sanguinamento con edoxaban, tuttavia i risultati non hanno mostrato superiorità statistica (p = 0,115).1 Percentuali simili per il principale risultato di efficacia per il composito di morte cardiovascolare, ictus, eventi embolici sistemici, infarto miocardico spontaneo e trombosi stent-definita, sono state osservate tra il regime di doppia terapia a base di edoxaban e il regime di tripla terapia basato su AVK.
“Questi risultati rafforzano il valore di edoxaban nel trattamento della FA nei pazienti post-PCI, – ha dichiarato Hans Lanz, MD, Vicepresidente del Global Medical Affairs Specialty & Value Products di Daiichi Sankyo – ENTRUST-AF PCI fa parte di EDOSURE, il nostro programma di ricerca clinica edoxaban progettato per affrontare un ampio range di condizioni cardiovascolari e tipi di pazienti, compresi gli anziani. Siamo incoraggiati da questi risultati che rappresentano un grande progresso per una miglior gestione dei pazienti post-PCI. “
Nello studio ENTRUST-AF PCI, gli eventi emorragici sono stati coerenti con tutte le definizioni di sanguinamento comunemente applicate (ISTH, TIMI, BARC). L’emorragia intracranica si è verificata in 4 pazienti (0,58% all’anno) trattati con edoxaban e 9 pazienti (1,32% all’anno) trattati con AVK. Un sanguinamento fatale si è verificato in 1 paziente in trattamento con edoxaban e in 7 pazienti in trattamento con AVK.
ENTRUST-AF PCI è uno degli oltre 10 studi randomizzati e controllati, registri e studi clinici non randomizzati che compongono EDOSURE, il programma di ricerca clinica Edoxaban. Si prevede che oltre 100.000 pazienti in tutto il mondo parteciperanno agli studi EDOSURE, con l’obiettivo di generare nuovi dati clinici e real-world sull’uso di edoxaban nelle popolazioni affette da fibrillazione atriale e tromboembolia venosa, con l’obiettivo di formire a medici e pazienti una maggiore fiducia nel trattamento.
ENTRUST-AF PCI
(EdoxabaN TReatment VersUS Vitamin K Antagonist in PaTients With Atrial Fibrillation Undergoing Percutaneous Coronary Intervention) è uno studio prospettico di Fase IIIb, randomizzato a gruppi paralleli, in aperto con valutazione in cieco dell’endpoint. Questo studio è stato disegnato per valutare la sicurezza e rafforzare le informazioni preliminari sull’efficacia di un regime antitrombotico a base di edoxaban rispetto al regime antitrombotico a base di antagonisti della vitamina K, in pazienti affetti da fibrillazione atriale e sottoposti con successo a intervento coronarico percutaneo (PCI) con impianto di stent. L’obiettivo primario di ENTRUST-AF PCI era quello di confrontare il trattamento antitrombotico a base di edoxaban e quello a base di AVK, per un periodo di 12 mesi, per quanto riguarda l‘incidenza di sanguinamenti maggiori o sanguinamenti non-maggiori clinicamente rilevanti (così come definiti dalle linee guida ISTH). Per questo studio sono stati arruolati 1.506 pazienti da 186 cliniche distribuite in Europa e Asia. I partecipanti sono stati randomizzati, secondo un rapporto 1:1, a ricevere per 12 mesi un trattamento a base di edoxaban in associazione ad un inibitore P2Y12, oppure un trattamento standard con antagonisti della vitamina K in associazione ad un inibitore P2Y12 e aspirina per 1-12 mesi.1
La Fibrillazione Atriale
La FA è una condizione in cui il cuore batte in modo rapido e irregolare. Quando ciò accade, il sangue può accumularsi e addensarsi nelle camere del cuore causando un aumento del rischio di coaguli di sangue. Questi coaguli di sangue possono staccarsi e viaggiare attraverso il flusso ematico verso il cervello (o talvolta verso un’altra parte del corpo), dove possono potenzialmente provocare un ictus.5
La fibrillazione atriale è il tipo più comune di disturbo del ritmo cardiaco ed è associata a una notevole morbilità e mortalità.6 Più di sei milioni di Europei hanno una diagnosi di FA, e si stima che questa cifra è destinata almeno a raddoppiare nei prossimi 50 anni.7,8 Rispetto a quelli che non ne soffrono, le persone con questa aritmia hanno un rischio di ictus 3-5 volte più alto..1 Un ictus su cinque è causato da FA.7
Edoxaban
Edoxaban è un inibitore diretto del fattore Xa (pronunciato “Decimo”) somministrato una volta al giorno. Il fattore Xa è uno dei componenti chiave responsabili della coagulazione del sangue, quindi inibirlo significa rendere il sangue più fluido e meno incline alla coagulazione. Edoxaban è attualmente commercializzato da Daiichi Sankyo e i suoi partner in più di 30 Paesi nel mondo.
Fonte: Daiichi Sankyo Italia
Daiichi Sankyo Daiichi Sankyo è un Gruppo attivamente impegnato nello sviluppo e nella diffusione di terapie farmaologiche innovative con la mission di migliorare gli standard di cura a livello globale e di colmare i diversi bisogni dei pazienti ancora non soddisfatti, grazie ad una ricerca scientifica e una tecnologia di prima classe. Con più di 100 anni di esperienza scientifica e una presenza in più di 20 Paesi, Daiichi Sankyo e i suoi 15.000 dipendenti in tutto il mondo, possono contare su una ricca eredità di innovazione e una valida linea di farmaci promettenti per aiutare le persone. Oltre a mantenere il suo solido portafoglio di farmaci per il trattamento delle malattie cardiovascolari, e con la Vision del Gruppo al 2025 di diventare una “Global Pharma Innovator con vantaggi competitivi in area oncologica”, Daiichi Sankyo è impegnata nella ricerca di nuove terapie oncologiche e in altre aree terapeutiche incentrate su malattie rare e disordini immunitari. Per maggiori informazioni visita il sito http://www.daiichi-sankyo.it
Contatti Daiichi Sankyo Elisa Porchetti Tel.+39 0685255-202 [email protected]
Valeria Carbone Basile Tel: +39 339 1704748 [email protected]
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gwallgaming · 6 years
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Quake Champions | L'aggiornamento introduce bot, budella e nuove funzionalità nell'arena
Quake Champions continua a evolversi nella fase di accesso anticipato grazie anche al sostegno della community, e questo mese non fa eccezione. A partire da oggi, l'aggiornamento di giugno introduce nuove funzionalità che faciliteranno l'accesso al gioco, tra cui la presenza di una delle funzioni più richieste: i bot. Leggi e scopri tutti i dettagli!
AGGIORNAMENTI
BOT – Vuoi migliorare le tue abilità? Qualcuno è uscito dalla partita in anticipo lasciando la squadra nei guai? Bene, i bot sono qui per salvare la situazione. Lo stesso tipo di intelligenza artificiale che presto si evolverà autonomamente e ci dominerà tutti! Con un livello di abilità scalabile che permette ai giocatori di allenarsi secondo le proprie capacità, i bot riempiono automaticamente i posti vuoti nelle partite quando necessario. Questa prima fase di apocalisse robotica supporta le modalità Deathmatch, Deathmatch a squadre e Instagib. Nuovi e avvincenti aggiornamenti sulla via dell'Armageddon sono previsti per il futuro!
SANGUE E BUDELLA – Distruggere i nemici e vederli esplodere è da sempre un tratto distintivo dei giochi di id software, e Quake Champions regala già scene da film splatter. E se ti dicessimo che il viscerale combattimento dell'arena diventa ancora più sanguinolento con il nuovo sistema di sangue introdotto oggi? In questa prima fase, ogni campione è stato rivisto dal punto di vista della morte violenta, tenendo conto di come è fatta l'armatura indossata e della sua fisiologia in termini di organi e impianti cibernetici.  Il nuovo sistema, inoltre, distrugge l'avversario in modo diverso a seconda della skin o degli shader utilizzati. Splatterrificante!
NEGOZIO AGGIORNATO – Con un sistema di sbudellamento nuovo e super dettagliato, ora più che mai è importante abbigliare i tuoi campioni in modo unico. A tale scopo, il negozio di gioco è stato aggiornato con nuovi oggetti estetica, permettendoti così di dare sfogo allo stilista che c'è in te.
E TANTO ALTRO ANCORA – Il feedback della community è più importante che mai e, siccome la nostra è la community più viva e divertente sulla piazza, abbiamo aggiunto anche quanto segue:
Playlist multi-modalità: è tutto il giorno che giochi e vuoi un'alternativa? Ora puoi cambiare modalità dalla sala d'attesa pre-partita. I giocatori esprimono un voto su come giocare al prossimo round da un elenco di tre opzioni: due combinazioni di modalità e mappa e un'opzione casuale. Resterai nell'arena PER SEMPRE! Come... Ranger!
Killer cam e scorte: Quake Champions è veloce. Così veloce che a volte non capisci neppure come abbia fatto il tuo nemico a sopravvivere dopo averti ucciso. Ora, nelle partite non classificate, la killer cam mostrerà ai giocatori appena uccisi salute e corazza rimaste dell'avversario nella schermata della morte. Ti hanno ucciso con 1 punto di salute rimasto? Buon per loro! Ora, rientra nella mischia e vendicati con un singolo proiettile!
Salute e corazza di squadra nelle modalità di squadra verrà visualizzato lo stato di salute e corazza dei compagni, in modo che sia possibile decidere se lasciare quell'interessante megasalute all'alleato o prenderla per sé.
Nuova progressione e sistema di bottino la gestione dei punti esperienza è stata modificata per permetterti di salire di livello più rapidamente. Inoltre, i giocatori che sceglieranno di giocare in gruppo otterranno PE e favore bonus. Infine, zaini, bauli e reliquiari avranno meno probabilità di fornire oggetti doppi, e i frammenti potranno essere usati per comprare i bauli. Tutto il sistema diventa più veloce, più semplice e più godibile.
Nuova modalità di provare i campioni: l'elenco dei campioni è cresciuto, e gli utenti che giocano gratuitamente vorrebbero giustamente provare le nuove aggiunte. Per facilitare le cose, il noleggio dei campioni è stato rimosso e sostituito da una rotazione di campioni gratuiti. Inoltre, i campioni ora possono essere sbloccati per sempre con il favore di gioco e con il platino. In sintesi, potrete provare i campioni con più facilità e acquisire nuovi campioni semplicemente giocando.
Modifiche al bilanciamento: oltre alle modifiche più evidenti, Quake Champions ha subito anche dei miglioramenti nascosti dedicati al bilanciamento complessivo del gioco. Queste modifiche riguardano velocità di movimento, scorte di salute e corazza per campioni leggeri, medi e pesanti e cambiamenti ai parametri delle armi e delle abilità.
Quake Champions è disponibile per l'accesso anticipato tramite Bethesda.net
e su Steam.
Per maggiori informazioni, visita www.Quake.com.
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insolitosvitae · 7 years
Quote
Sapete quando dicono che ti passa tutta la vita davanti agli occhi in un esperienza pre-morte, non è vero, perché non vedi tutto, vedi solo quello che ami.
How met your mother
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