Tumgik
#ho vergogna a dire chi sono e cosa sento
lu2211 · 1 year
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Grazie alle mie figure d'accudimento per rendere invisibile e intangibile il mio dolore.
Per negarlo così tanto da farmi credere che non esista. Sino a farmi credere che io non esista. E per spazzare via non solo le emozioni negative ma anche quelle positive a cui mi poggio per mantenermi a galla.
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barrenwomb · 1 month
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martina ho confessato i miei sentimenti e terminato per sempre un’amicizia, fortunatamente non vedrò più questa persona per un po’ (vivrà in un’altra città) ma non riesco a farmi passare questa perenne sensazione di vulnerabilità ed imbarazzo (btw la sua risposta è stata completamente ignorare i miei sentimenti perché chiaramente non voleva ferirmi con un rifiuto e chiudere i rapporti, ad ogni caso è più di una settimana che non ci sentiamo più dopo essere stati insieme tutti i giorni per 6 mesi haha).
Allo stesso tempo non riesco ad non essere un po’ fiera di me perché la me di qualche mese fa non avrebbe mai fatto una cosa del genere (probabilmente non lo farò mai più hahah).
Non so perché ti sto scrivendo tutto ciò, forse la mia vera domanda è, da persona abbastanza disperata e stanca della propria situazione, come si fa a smettere si vivere nella vergogna ed imbarazzo? Esiste effettivamente una soluzione a questo stato? Perché più vado avanti con gli anni e più mi rendo conto di star ferma e non riuscire ad uscirne.
ciao tesoro :) mi scrivi in un momento in cui mi sento particolarmente fragile dal punto di vista emotivo e incredibilmente sola (come sempre, d'altronde). vergogna ed imbarazzo possono essere paralizzanti, soprattutto quando ci imbattiamo in persone o situazioni che in qualche modo validano queste emozioni e ci fanno pensare "ah, vedi, allora non sono io, non è soltanto una mia personalissima e distorta percezione della realtà, ho effettivamente tutte le ragioni del mondo per sentirmi così". non c'è una reale "soluzione", se così si può dire: l'unica cosa è quella di non lasciarsi frenare completamente dalla vergogna e continuare ad andare a sbattere contro le cose che ci fanno male pur di rendere giustizia ai nostri sentimenti e ai nostri desideri. pensa che non sei l'unica a sentirti così. probabilmente anche quella persona ora sta provando vergogna ed imbarazzo. probabilmente è lì che ti pensa e che rimugina sul vostro rapporto e su ciò che le hai detto. probabilmente si sta chiedendo la stessa cosa che ti stai chiedendo tu. fai bene ad essere fiera di te e non è vero che sei ferma. aprire il tuo cuore a qualcuno senza avere la certezza che ricambi è un grande atto di coraggio. la paura del rifiuto è universale. soltanto, non lasciare che questa situazione ti faccia chiudere a riccio. te lo dico da persona che sta ancora pensando in maniera più o meno ossessiva a qualcuno con cui non parla da più di sei mesi. io ho semplicemente smesso di punirmi e rimproverarmi e mi lascio liberamente provare vergogna, imbarazzo, paura, rancore, tristezza, umiliazione. lasciati provare tutte queste brutte sensazioni senza cercare disperatamente di soffocarle finché non si trasformano in mal di testa, mal di stomaco, nausea. chi più chi meno, tutti ci sentiamo così. sì, anche la persona di cui mi parli. non è semplice essere vulnerabili. ogni giorno mi imbatto in video di guru, life coach, influencer et similia che insegnano a manipolare e ferire gli altri prima che loro lo facciano con noi. trucchetti e giochi mentali; una gara a chi è più emotivamente distaccato; chi ti ama ti rincorre, anzi no: ti ricorre chi ignori, chi tratti con sufficienza, chi fai assaggiare il tuo amore con il contagocce, ma solo ogni tanto, eh, senza esagerare. io personalmente mi rifiuto di vivere così. non dico di implorare, inseguire o perdonare chi ci fa del male. dico solo di essere sinceri e di agire di impulso e di sbatterci la testa finché non smette di fare poi così tanto male. magari solo un po'. se non ho mai avuto una relazione è perché sono ancora tanto spaventata. provo vergogna ed imbarazzo costantemente. mi sento spesso umiliata e usata. però anziché costringermi in una condizione di isolamento autoimposto continuo ad espormi e a sentirmi fisicamente male per la vergogna perché voglio vivere. perché mi rifiuto di pensare che siano tutti crudeli e maliziosi e malintenzionati, anche se nel profondo lo penso sempre. quindi non so se c'è un modo per liberarsi della vergogna e dell'imbarazzo, ma so per certa che si può vivere nonostante la vergogna e l'imbarazzo. io sono cooooosì stanca di sentirmi sola. così stanca di sentirmi immeritevole di amore. però se desidero così disperatamente di amare ed essere amata vuol dire che sono viva!!!!!!!! e mi va bene così: preferisco la me di adesso, patetica e disperata, alla me di qualche anno fa, praticamente morta dentro. baciiii
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ilquadernodelgiallo · 8 months
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Ah, i vecchi, quando ricordano, non fanno altro che mentire! Idealizzano il passato non avendo più alcun futuro, perciò mentono a sé stessi in maniera spudorata. Illusione e menzogna, sono queste le assi su cui si recita la commedia umana, è sempre stato così. [...] Ecco cosa rimane di tutti i nostri furori ideologici e amorosi!, ho pensato, nient'altro che una buffonata recitata da vecchie carampane, senza neppure un briciolo di vergogna o di compassione. [...] è naturale che pensi a chi ero io a quel tempo, al tempo perduto della giovinezza. E a quel punto è inevitabile che riveda agitarsi nella memoria un fantoccio tremendamente stupido e frenetico. Un pagliaccio che si ostina ancor oggi a tenere aggiornato - con implacabile e funereo masochismo - questa specie di diario dell'infamia e del disinganno. [Le scarpe di Joyce] _______________
Avvolto da fili di nebbia e pioggia, cammino attraverso l'autunno con la sensazione di camminare in compagnia di fantasmi. Di notte, li vedo nei sogni. Di giorno, mi seguono per strada indossando gli abiti delle persone più comuni. Invisibili a tutti, ma non ai miei occhi. A volte, quando me li sento alle spalle, con il fiato già sul collo, mi metto a correre all'impazzata in mezzo alla gente. Corro per sfuggire ai demoni che mi perseguitano camuffati da individui normali, ben sapendo che dietro alle loro maschere bonarie, da uomini qualunque, si celano in realtà delle terribili sfingi con la testa di falco. [Unghie sporche di sangue] _______________
I saluti che ci scambiamo all'uscita dal ristorante, le promesse assurde di incontrarci di nuovo e al più presto (addirittura di «non perderci mai più di vista»!), sono in realtà  degli addii definitivi, vere e proprie epigrafi scolpite sulla tomba del nostro comune passato. E in effetti, dopo aver guardato in faccia il passato, non resta nient'altro che ammutolire mentre gli occhi si riempiono di lacrime e di cenere. [Compagni di classe] _______________ «Tutto questo rumore assordante, lo senti? Tutto questo chiasso infernale, ti assicuro, è niente in confronto alla voce da femminuccia del mio carnefice», aveva detto al momento di salutarmi. [Una voce da femminuccia] _______________
Un petulante balbettio letterario sale molesto da ogni parte d'Italia, è quella marea di grafomani incontinenti che non hanno nulla in comune con la letteratura (cantanti, comici, politici, magistrati, alienisti, maghi, casalinghe, prostitute, conduttori televisivi, ballerine e onanisti vari) e che producono quotidianamente tonnellate di mucillagine cartacea. Tonnellate di porcherie che ammorbano l'aria e ti investono in faccia appena ci si arrischia a mettere il naso in una libreria. [...] Fortini ci confessò che quei pennini gli ricordavano un viaggio in Russia di tanti anni addietro: accogliendo lo scrittore italiano a Leningrado, alla stazione ferroviaria Finlandia, un addetto culturale russo si era sfilato dal taschino della giacca la penna e, donandogliela, gli aveva detto: «Scrivi sempre la verità!». [I pennini di Fortini] _______________
Conservo ancora una copia di La croce e il nulla, forse il suo [di Sergio Quinzio] libro più illuminante e profetico, sul cui frontespizio aveva scritto per me questa dedica speciale: caro Francesco, non conosciamo fino in fondo neppure la sofferenza e la morte se non le confrontiamo con un disperato bisogno di giustizia, di consolazione e di pace. Non perdiamolo, a qualunque costo, cerchiamo, se non altro per questo, di serbare anche la più esile memoria della gioia e della speranza. Il nulla dissolve anche la sofferenza e la morte di chi ha sofferto e di chi è morto. [Fra l'immondezzaio e l'eternità] _______________
Adesso che sono diventata cieca, io non vedrò più il demonio. Al contrario di me, tu sei condannato invece a vedere ancora a lungo i tuoi fantasmi. Ti accompagneranno fino alla tomba, te l'assicuro, i tuoi dannati incubi diurni e notturni. Perché la questione in fondo è molto semplice. Per non dire banale, ed è che tu sei vissuto finora murato vivo dentro il carcere della memoria. Sepolto sotto un cumulo di ricordi e con la mente sempre rivolta verso l'infanzia, alla fine sei diventato pazzo di nostalgia. La nostalgia dell'infanzia, è questo il tuo dramma. La tua malattia. «Una malattia subdola e regressiva che ti obbliga a rielaborare ossessivamente il lutto per la perdita della tua innocenza puerile, conservandoti così al riparo dal terrore della morte. Una malattia incurabile che ti costringe a tenere lo sguardo puntato non verso il futuro, di cui non ti è mai interessato un accidente, bensì verso il passato. Verso quei fasti inceneriti della nostra infanzia in comune, come ti ostini a chiamare con ridicola enfasi i nostri giochi infantili sulle rive verdeggianti del Tartaro, in quel piccolo eden di nome Ca' Labia.» [Negli occhi del diavolo]
Francesco Permunian, Il gabinetto del dottor Kafka
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susieporta · 1 year
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COME FARSI CAPIRE DALL'ALTR@
- LA COMUNICAZIONE NONVIOLENTA E NON MANIPOLATIVA
La comunicazione nonviolenta si basa tutta su un pilastro fondamentale:
riuscire ad esprimere i propri bisogni e i propri sentimenti per entrare in empatia con l’altro ed essere compresi, anziché addossare all’altro la responsabilità dei nostri sentimenti.
PER QUESTO, quando si impara a comunicare tramite la modalità nonviolenta,
anziché dire "mi fai sentire" si dice "mi sento";
anziché dire "mi hai detto o fatto questo" si dice "a me è arrivato questo, ho capito bene?";
anzichè dire "tu devi" si dice "io avrei bisogno di", eccetera, eccetera.
Ecco, imparare a fare questo in una cultura che ti ha insegnato ad essere punita o ripresa sempre fin dall’inizio quando hai osato, magari da piccola, esprimere i tuoi bisogni, è molto difficile, perché bisogna vincere delle resistenze e buttare giù un muro di cui spesso non siamo neanche più consapevoli.
Nel libro di Marshall B. Rosenberg “Le parole sono finestre [oppure muri] – Introduzione alla comunicazione nonviolenta”: https://amzn.to/3g9VZWS,
mi ha colpita in particolare una lista di aggettivi che possono aiutarci ad esprimere meglio, in maniera più comprensibile, analitica, sottile e dettagliata cosa sentiamo in quel momento.
Dunque qui trascriverò per tutti una lista preziosa per provare a farsi capire meglio da chi ci ascolta e, in primis, a capire meglio se stesse/i e come si reagisce di fronte a un certo stimolo! 😊
ALCUNI SENTIMENTI CHE PROVIAMO QUANDO I NOSTRI BISOGNI SONO SODDISFATTI
Mi sento….
Affascinata, A mio agio, Affettuosa, Agitata, Allegra, Amichevole, Ammaliata, Amorevole, Appagata, Appassionata, Assorta, Aperta, Attenta, Audace, Baldanzosa, Beata, Bendisposta, Brillante, Briosa, Calma, Calorosa, Coinvolta, Centrata, Commossa, Comoda, Concentrata, Contenta, Curiosa, Deliziata, Di buon umore, Desiderosa, Divertita, Eccitata, Effervescente, Elettrizzata, Emozionata, Entusiasta, Estasiata, Esuberante, Esaltante, Felice, Festosa, Fiduciosa, Fiera, Frizzante, Grata, Gioiosa, Gloriosa, Immersa, Impaziente, In armonia, Impressionata, In attesa, Interessata, In pace, Ispirata, Incantata, Incoraggiata, Incuriosita, Intenerita, Libera, Lieta, Meravigliata, Orgogliosa, Ottimista, Pacifica, Piena di ammirazione, Piena di energia, Placida, Quieta, Raggiante, Rallegrata, Rapita, Rasserenata, Riconoscente, Rilassata, Rinforzata, Rinfrescata, Risvegliata, Riposata, Sbalordita, Serena, Stupita, Sensibile, Senza fiato, Sfavillante, Soddisfatta, Sollevata, Sopraffatta (dalla gioia), Sorpresa, Spensierata, Speranzosa, Stregata, Stupita, Toccata, Tranquilla, Turbata, Vigile, Vivace.
ALCUNI SENTIMENTI CHE PROVIAMO QUANDO I NOSTRI BISOGNI NON SONO SODDISFATTI
Mi sento….
A disagio, Abbattuta, Addolorata, Adirata, Affaticata, Afflitta, Affranta, Agitata, Allarmata, Amareggiata, Angosciata, Annoiata, Ansiosa, Apatica, Arrabbiata, Assonnata, Atterrita, Avversa, Avvilita, Colpevole, Confusa, Contrariata, Costernata, Cupa, Delusa, Demoralizzata, Depressa, Di malumore, Diffidente, Disgustata, Disillusa, Disinteressata, Disperata, Dispiaciuta, Distaccata, Dolente, Dubbiosa, Esasperata, Esausta, Febbrile, Fiacca, Fredda, Fragile, Frustrata, Furibonda, Furiosa, Gelosa, Imbarazzata, Impacciata, Impaurita, Impaziente, Impensierita, Impotente, Inappagata, Inasprita, Incerta, Incontrollabile, Incurante, Indifesa, Indifferente, Infastidita, Infelice, Impietrita, In colpa, Indecisa, Infervorata, Inorridita, Inquieta, Insensibile, Insicura, Invidiosa, Irrequieta, Irritabile, Letargica, Malinconica, Mesta, Nervosa, Ostile, Pensierosa, Perplessa, Persa d’animo, Pessimista, Piena di paura, Piena di rancore, Piena di vergogna, Preoccupata, Raccapricciata, Rammaricata, Rattristata, Reticente, Riluttante, Risentita, Sbigottita, Scettica, Scioccata, Scocciata, Sconsolata, Scontenta, Sconvolta, Scoraggiata, Scossa, Seccata, Senza energia, Sfiduciata, Sfinita, Sgomenta, Snervata, Sola, Sopraffatta, Sorpresa, Sospettosa, Spaventata, Stanca, Stordita, Straziata, Stressata, Stufa, Suscettibile, Svogliata, Tesa, Tetra, Tiepida, Timorosa, Titubante, Triste, Turbata, Vergognosa, Vulnerabile
www.ilboscofemmina.com
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zizijeanmaire · 1 year
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Luis Jouvet, Medellin, ore 3 del mattino, aprile 1943.
Il sipario è calato. Lo spettacolo è finito. Nessuno è venuto a trovarmi. Sono salito nel mio camerino, solo. Che strana sensazione, sempre, quella di essere ancora truccati e restare così “a metà” sospesi tra il teatro e la vita laica. Scrivo, come è mia abitudine, le osservazioni della recita. Questa sera, ho notato che l’attenzione del pubblico al terzo atto era più alta, più intensa del solito. Mi sono sentito commosso e turbato da una specie di perdita d’identità che mi ha fatto paura. La platea era un cratere che fiammeggiava in silenzio, un riverbero quasi insostenibile. Io dicevo il mio testo come sull’orlo di un abisso con il terrore di urtare su una parola e precipitare giù. Forse mi sono mancati questa sera, il controllo ed il sangue freddo. Forse ho ascoltato troppo, la sala. È un mio difetto. E forse mi sono spinto troppo in là e troppo a lungo. Ma come “fare il teatro” senza pensarlo, senza porsi delle domande? Come stare in mezzo alla gente e non guardarla e non chiedersi, non interrogarsi sul teatro e sul mestiere dell’attore ? Su quello che “il teatro” è? Perché è? Perché lo si fa? Dopo trent’anni di pratica, il teatro mi appare ancora in tutti i suoi aspetti soltanto come un mistero. Provoca in me dei turbamenti profondi, dei disordini interiori difficili da spiegare. So soltanto che ci sono due modi per fare o considerare il teatro: alla superficie o in profondità, o meglio in altezza, voglio dire proiettato nella verticale dell’infinito. Per me, il teatro è questo: una cosa dello spirito, un culto dello spirito. O degli spiriti. Divisa, lacerata continuamente tra sentimenti contrari, la mia vita è passata nel teatro, in una servitù volontaria, dove il disgusto e la vergogna si sono mescolati sempre con il fervore e la fiducia e lo scoraggiamento con l’entusiasmo. Come tutti quelli che operano ed agiscono ho tentato d’imparare e di capire questo gioco, che gioco non è, del recitare e le ragioni di coloro che al gioco partecipano. Non l’ho capito. Ma nonostante tutte le delusioni che ho provato, in questa vita d’illusioni, tutto mi appare ancora oggi meraviglioso, anche se incomprensibile. Chi sono coloro che vengono a sedersi, una sera, in una sala di teatro? Chi sono coloro che parlano e si muovono sulla scena? E chi è colui che ha scritto un’opera drammatica? Tutto ciò che ho cercato di fare nel teatro, tutto ciò che ho cercato di conoscere mi lascia insoddisfatto. Se mi guardo a fondo non ho fatto altro che cercare di sapere e di tutte le calde emozioni che alcuni momenti drammatici mi hanno dato, soprattutto quando parevano indicarmi una scoperta vicina, solo questa curiosità mi resta. La scoperta non l’ho fatta. Continua la ricerca.
Può chiamarsi questa “la ricerca di un dogma?” È l’effimero del teatro che mi fa presentire in lui qualcosa di più grande, dietro? Sono le sue bassezza e le sue miserie che mi fanno cercare delle compensazioni? O è il desiderio di durare, di sopravvivere che mi fa vedere nel teatro qualcosa di spirituale, una specie di rinascita dalla morte, ogni sera? So che c’è in me una tendenza dogmatica e una tendenza mistica. Ma io sono e resto un attore che guida una compagnia di attori, non una specie di santo chiuso nel suo ritiro. Eppure io sento che in questa vita del teatro c’è una specie di corruzione, che nel teatro ci sono sempre degli elementi di corruzione. Essi vengono molto spesso fuori, da coloro che vogliono entrare nel teatro senza averne il diritto. Molto spesso dall’ignoranza di coloro che lo praticano oppure dall’impossibilità di essere sempre all’altezza di quello che io chiamo “stato drammatico” (e che cos’è poi questo teatro?). Intrusi, profani, dilettanti, povera umanità che cerca in qualche modo di raggiungere il sublime. Il teatro: creazione degli uomini per arrivare più in là, più in su? Esorcismo per combattere, ognuno di noi, i fantasmi che ci abitano? Gioco puerile che non va né più in là, né più in su di un gioco di bambini? Nessuno è ancora riuscito a trovare delle spiegazioni vere che riempiano il vuoto immenso di queste domande: cos’è il teatro? E perché si va a teatro? Perché si fa il teatro? E i rischi? È un mestiere quello del teatro in cui si rischia continuamente il disprezzo e la perdita di se stessi. E io ? Per quale anomalia, per quale sregolatezza dei miei sentimenti, proprio come dicono i Padri della Chiesa, mi sono ridotto a questa condizione di volere “far finta” per tutta una vita, di imitare, di … Ma perché “quelli” che mi guardano attoniti e commossi, in silenzio? Forse perché il teatro è fatto per insegnare agli altri altre cose che avvengono intorno a loro, perché essi credono o capiscono che coloro che recitano, sono là per “rivelarli” a loro stessi. Forse il teatro serve per fare sentire loro he hanno un’anima e un’anima immortale. Se è così, allora io sono l’intermediario di un’operazione altissima! Comunque sia, il mio mestiere è l’arte di fare credere qualcosa che non è, l’arte dell’apparenza. Far questo come una “maniera d’essere” e in questo esercizio trovare un equilibrio interiore per potere vivere. Trovare un equilibrio nel suo disequilibrio. Vivere nello sdoppiarsi. Perdersi nel teatro per ritrovarsi. Il segreto dell’attore, forse il segreto di tutto il teatro è qui… e i miei, sono propositi inutili. Ma possono fissare per l’anno 2000 (soltanto qualche decennio da oggi) lo stato d’animo di un attore qualsiasi, in un anno dell’epoca travagliata che stiamo vivendo. Un attore che reinventa, ogni sera, resuscita ogni sera il teatro con tutta la tenerezza che ha per amarlo meglio. È tardi. Non sono andato avanti di un passo. Tutto resta confuso, come sempre. Ho scritto. Sono stanco e non ho nemmeno il coraggio di rileggermi. Mi strucco
Luis Jouvet
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naivet-e · 2 years
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Miti, demoni e famiglia
E’ da un paio di anni che non riesco più a stare serena con la mia famiglia. C’è un’atmosfera intollerabile per me. Niente di grosso succede, ma tante parole, tante pose, tante arie che mi feriscono come punte di aghi incandescenti. Mi detesto per questo, perchè vorrei solo saperli amare senza giudizio. Mi sento così distante, come in uno spazio siderale sola con le mie idee e il mio sdegno. Ma chi mi credo di essere? Sto zitta, mangio, cerco di raggiungere la Terra e riconnettermi con il calore della casa. Però, vorrei spiegarmi, tentare anche di difendermi dalle accuse che mi rivolgo. C’è questo mio cugino, E., 40 anni circa, un imprenditore, sposato con una ragazza straniera che ha salvato dal suo contesto socio-familiare, in realtà stanno insieme da parecchi anni e lei gli è devota come ad un re. Lui le compra i vestiti, lo smalto, le scarpe.. scelgo tutto io -dice-  si, io non mi so proprio vestire -si sente lei dall’altro capo della tavola-  Intanto io penso hai mai potuto decidere cara? Lui è ovviamente un intenditore di cibo, vino biologico, formaggi pregiati, champagne, vestiti, viaggi, prodotti artigianali, ristoranti e lei cucina da dio, dunque, ad ogni festività si occupano loro di tutto, portando cose gourmet che lui spiega con grande carisma. Ah!  E. grazie, tutto buonissimo! Sei eccezionale, riesci a far star bene tutti E lui osserva tutto e tutti, riempie i calici, chiede se piace la roba e poi manco ti fa finire di parlare e ti da altre notizie. Oh si, si sente proprio questa nota di sottobosco nel vino, incredibile! ............. Bene, a me sembra un cazzo di burattinaio. Sotto questa maschera da benefattore, filantropo, zen del cazzo mi sembra solo uno che è terrorizzato di farsi vedere e vedersi per ciò che è, un cazzo di essere umano come tutti noi. E nessuno pare accorgersi di tutte queste piccole violenze che si nascondono dietro questa opulente generosità.  .............. Parlavo con mia madre e con lui della psicoterapia. Ovviamente, lui ne parlava come se fosse il suo mestiere. Io non riuscivo a dire più di tre parole senza essere che mi interrompesse. Certo che ho fatto terapia, ben cinque anni, poi il terapeuta mi ha detto che ho tutti gli strumenti e le consapevolezze.. Faccio l’errore di parlare della mia terapia, di cui sono fiera e timida. E racconto che l’ho iniziata da piccola e ho ripreso ora con l’inizio della specializzazione in psichiatria e lui, acceso come da un lampo, Ma scusa quindi da quanti anni la fai? -d’improvviso curioso- Beh saranno ** anni.. in maniera disc-- AH! Ma come -con un risolino- ancora non hai trovato la chiave? A n c o r a non hai trovato l a c h i a v e ? -mi sento sprofondare dalla vergogna- Ancora non controlli le tue emozioni, sai quello è un fatto di auto-analisi, consapevolezze........ ......
....
Io, graffiata in pieno viso, ho tentato di difendermi. Come se avessi dovuto difendere chi sono! Perchè mi ero sentita umiliata nella cosa più intima che può esistere: il rapporto con la propria vulnerabilità. Ho tentato, ma le parole non hanno consistenza se l'altro non ti ascolta e mi sono arresa: evidentemente ancora non ho raggiunto la consapevolezza (come te). Ho scelto di non giocare al suo gioco. sei un lupo travestito da pecora, sei la maschera di te stesso. ma ho taciuto.  E mia madre, che di nulla si era accorta, continuava a sorridergli e a pendere dalle sue labbra, in questo gioco perverso che fanno i “vincenti”: adulare per essere adulati mentre io, in minoranza, ripiegavo nella solitudine. Come un cane randagio, rabbioso, scontroso, ferito, che non appartiene a nessuno, né a chi vince né a chi perde
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lemandro-vive-qui · 7 months
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Tumblr media
Signore in fila: Ho visto l'ultimo Fellini giusto martedì scorso... non è uno dei suoi migliori. È mancante di strutture coesive, si ha la sensazione che non sia del tutto sicuro di quello che vuole dire. Oddio, io l'ho sempre definito essenzialmente "un grande tecnico del cinema". D'accordo, La strada era un buon grandissimo film. Grandissimo nell'uso dell'energia negativa... Alvy[ad Annie]: Io sento che mi sta per venire un colpo. Annie: Be', smetti d'ascoltarlo. Alvy: Smetti d'ascoltarlo? Mi strilla le sue opinioni nelle orecchie. Signore in fila: Mettiamo ad esempio in Giulietta degli spiriti o nel Satyricon, io lo trovo incredibilmente indulgente, sai, veramente, uno degli autori più indulgenti, ma veramente, sai... Alvy[ad Annie]: La parola chiave è "indulgente". Indulgente... Ma cos'hai che sei depressa? Annie: Non ho fatto la terapia, ho dormito troppo. Alvy: Ma come hai potuto dormire troppo? Annie: È stata la sveglia. Alvy: Tu sai quanto mi offendono queste allusioni... Annie: Lo so. Per il nostro problema sessuale, vero? Alvy: Ehi senti, tutta questa coda deve conoscere il ritmo delle nostre copule? Signore in fila: È come Samuel Beckett, sai? Io ne ammiro la tecnica ma non mi colpisce mai a livello viscerale. Alvy[ad Annie]: Lo colpisco io a livello viscerale. Annie: Smettila, Alvy! Alvy: Ma mi sta sputando sul collo questo... mi sta sputando sul collo... Annie: Vuoi sapere un'altra cosa? Sei talmente egocentrico che se io non faccio la terapia tu pensi solamente a come può riflettersi su di te. Signore in fila: Troppo interiorizzato... Alvy[ad Annie, riferito al signore che continua a parlare e alla sua accompagnatrice]: Forse è il primo appuntamento. Si saranno conosciuti con un'inserzione sulla rivista Vita ermeneutica. "Accademico trentenne desidera conoscere donna interessata a Mozart, James Joyce e sesso anale". Ma quale nostro problema sessuale? Io sono relativamente normale per uno cresciuto a Brooklyn. Annie: Ok, scusa tanto... Il mio problema sessuale! Il mio problema sessuale, eh? Alvy: Oh, non l'ho letto. Di chi è? Di Henry James? Che cos'è, forse il seguito di Giro di vite? "Il mio problema"... Non gridare! Annie: Eh, non grido. Signore in fila: Un certo Marshall McLuhan ha nei limiti angusti del suo essere una grande intensità, mi capisci? Lui è un grande mediatore... Alvy[rivolto alla telecamera]: Che cosa non darei per avere un'enorme palata di cacca di cavallo. Ma cosa fa uno quando si trova incastrato in una coda con un tipo del genere alle spalle? È una cosa da impazzire! Signore in fila[avvicinandosi anch'egli alla telecamera]: Ehi, un momento, ma cos'è, non posso dire le mie opinioni? Questo è un Paese libero! Alvy: Ma certo: lo può dire, ma deve dirlo a voce alta? Ma insomma, non si vergogna di pontificare così? E la cosa più buffa è Marshall McLuhan... Ma lei sa niente di Marshall McLuhan? Signore in fila: Ah, davvero? Senti, io tengo un corso all'università di Columbia, si chiama TV, media e cultura, e credo che le mie valutazioni sul critico McLuhan... be', abbiano una certa validità. Alvy: Ah, davvero? Signore in fila: Sì. Alvy: Oh, è buffo perché, guarda caso, il signor McLuhan è proprio qui... [va a prendere un uomo nascosto dietro un cartello] quindi... per favore... senta. Lei venga qui! Diglielo! Marshall McLuhan: Ho sentito quello che ha detto. Lei... lei non sa niente del mio lavoro. Lei sostiene che ogni mia topica è utopica. Come sia arrivato a tenere un corso alla Columbia è cosa che desta meraviglia! Alvy[rivolto alla telecamera]: Ragazzi, se la realtà fosse così...
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memoriae99 · 2 years
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Senza voce, è così che mi sento nel paesino dove sono cresciuta.
È ancora più difficile rientrare quando hai chiamato casa un altro posto, quando hai chiamato casa delle altre persone.
Per due anni sono stata felice, credo di non aver mai provato niente del genere, ed è forse proprio questo il problema, quando non hai metri di paragone non ti rendi nemmeno conto di quello che ti stai perdendo. Ma quando il confronto arriva, rientrare nelle stesse dinamiche del passato sembra insopportabile.
Se da un lato ho amato la mia infanzia in paese, almeno al di fuori della mia famiglia, dall'altro ormai mi sembra una prigione.
È tutto statico, quasi surreale, seppur trovandomi in Italia, qui le cose e persone non sembrano cambiare, e qual'ora lo facciano son sempre in ritardo.
Potrei sembrare presuntuosa, ma non è questo, sicuramente c'è chi si trova bene in un ambiente così, ma mi fa riflettere molto.
È oltre l'omofobia e il razzismo, oltre il sessismo, chiunque esca fuori dall'ordinario, e non l'ordinario comune, anche una persona di una cittadina verrebbe vista diversa, anzi criticata diversa.
Forse è questa la cosa peggiore, continua critica di tutto e tutti, come se dalla vita del prossimo ne dipendesse la propria.
Parlare così non rende chiaro ciò di cui parlo, quindi mi spiego meglio con degli esempi concreti.
Si tratta di persone che puntano il dito contro TUTTI i musulmani accusandoli di maltrattare tutte le donne, costringendole a coprirsi il capo e corpo. Stesse persone le cui madri e nonne indossano il "fazzoletto" e senza cui non escono di casa perché è "vergogna". Stesse persone le cui madri e nonne una volta morto il marito indossano il nero a vita, stesse donne che non si risposeranno mai, non per legittimo volere, ma perché "chissà cosa direbbe la gente".
Stesse persone che fino a non troppi anni fa chiamavano troie ragazzine di 13 anni, perché indossavano dei pantalonci corti d'estate, ragazzine che una volta diventate donne avranno ancora meno libertà nel vestirsi. A 25 anni son troppo grandi per vestirsi corto, o almeno così si dice, non sono mica ragazzine, "sunis jiai in edade de figgiare" dicono.
Non che la situazione degli uomini sia meglio, il cui ruolo sembra pietrificato ancor più di quello donne, l'istruzione non deve far per loro, del resto a che gli serve, sfoggiano in vanto la loro licenza media e per i più istruiti il diploma, la scuola è per "femminucce", loro devono essere forti, devono difendere la propria famiglia come cani da guardia con la bava alla bocca, se necessario devono essere pronti ad uccidere ed essere uccisi, perché questo è il prezzo dell'orgoglio. Il cazzo di orgoglio sardo che ha portato alla morte di centinaia di vittime in quelle faide, la cui età media degli uomini morti era inferiore ai 25 anni. Beh qualcuno dice vecchi tempi, ma gli anni 90 non mi sembrano così lontani, ma magari è solo un sentore personale.
Da bravi cani da guardia non c'è spazio per l'emotività, mostrare la propria personalità non è concesso, è concesso bere però. Non sorprende che la Sardegna sia la regione con una percentuale di alcolizzati così alta, del resto è una delle poche libertà concesse, anche se non a tutti, apparentemente fa meno scandalo un ragazzino di 11 anni che finisce in coma etilico rispetto ad una donna che beve una birra al bar.
A prescindere che si tratti di uomini o donne, non mi va di andare oltre, anche se ci sarebbe tanto da ridire, del resto sono loro stessi vittime del sistema, di queste norme strette alla maggior parte di persone, ma alimentate dalle stesse. È come se tutti stessero aspettando un cambiamento drastico, come se potesse piovere dal cielo, inoltre non solo sono i primi a non far passi avanti, ma sono gli stessi che bloccano quei pochi che hanno avuto il coraggio di farlo, portandoli ad uniformarsi al pecorame o a scappare per non tornare mai più. Il tutto grazie al potere esercitato dal giudizio, dalla vergogna e senso di colpa.
Mi si potrebbe dire che il giudizio delle persone è un qualcosa che si sente ovunque, e son d'accordo, bisognerebbe andare oltre ed essere se stessi a prescindere. Ma quanto e soprattutto dove può valere questa affermazione? Il peso del giudizio è uguale in tutti i posti? Cosa succede se queste critiche vanno ad intaccare la tua quotidianità?
Cosa succede se queste critiche portano un'intera comunità ad avercela con te sulle basi di un pregiudizio, di un sentito dire?
Cosa succede se questo legittimi atti di violenza, non più mentale, ma fisica?
Cosa fai se nessuno sta dalla tua parte perché teme ripercussioni?
A chi ti affidi se nemmeno l'intervento delle forze dell'ordine può aiutarti, in un contesto dove in principio eran praticamente inesistenti e ora che ci sono non vengono presi in considerazione, chi ti protegge quando l'autorità per "eccellenza" non riesce a farlo?
E disgrazia peggiore, che futuro puoi avere se ti manca la famiglia?
Sono pensieri che scorrono spesso nella mia mente, specialmente da quando sono rientrara a "casa". Ma non trovo delle risposte chiare, per quanto mi piacerebbe, non conosco tutto e nemmeno tanto, ma posso parlare della mia esperienza, o meglio raccontare.
Ho sempre lottato per l'ideale di libertà, inteso anche come possibilità di poter esprimere se stessi al 100%, senza ripercussioni, nella tranquillità del rispetto reciproco. Non è realistico, lo so, ma non costa niente sognare. Ma questo sogno non ha delle basi infondate, non puoi immaginare una realtà diversa o migliore, se non hai mai visto nient'altro. Di conseguenza del diverso esiste, l'ho visto, ma perché sembra lo veda solo io?
Nonostante questo non mi sento di dire che di questo paese, di queste persone, non mi importi nulla, non sarebbe vero, non starei qui a parlarne. Ho sempre avuto dei sentimenti contrastanti, in tutto c’è del bene e del male, ma non è facile quando le potenzialità di questa comunità le vedono in pochi, quando quelli che si muovono in questa direzione sono ancora meno e non presi in considerazione, se non contrastati. Mi chiedo se potrei fare qualcosa, se valga la pena fare qualcosa,  ma l’idea di quanta sofferenza mi potrebbe causare mi fa passare la voglia, mi fa prediligere la scelta più facile,  pensare solo a me e scappare. Lasciando così ogni speranza di contribuire, anche minimamente,  alla sopravvivenza della comunità,  del luogo che mi ha cresciuta, che a causa delle persone che ci vivono non può che non andare incontro alla morte, finire nel dimenticatoio. Fatto che mi causa del dispiacere, il mio paese come tanti altri del centro Sardegna,  ha tanto da raccontare ma nessuno disposto ad ascoltare, e forse allora mi vien da pensare che la mia non sia l’unica voce che non riesce a prender fiato.
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cassandrablogger · 2 years
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Mi sento in colpa ad affidare a questo spazio i miei pensieri egocentrici, ma non so dove - o meglio, a chi - rivolgerli, e ho bisogno di sapere che forse, da qualche parte, qualcuno leggerà queste parole.
Ho avuto un insegnante, tanti anni fa, che ha insistito dove altri hanno mollato, o dove altri non si sono nemmeno accorti che ci fosse qualcosa che non andava. Ero bravo a scuola, ero diligente, ero applicato, nulla destava sospetti, nemmeno nei miei genitori, ma dentro stavo malissimo. Con lui mi sono aperto, con lui ho esternato le mie emozioni, e lui per me c’è stato. È da tanto che non lo vedo e mi manca, vorrei incontrarlo, vorrei parlarci, ma mi vergogno. La vergogna mi frena. Vorrei scrivergli ma non ci riesco. E ogni volta che mi è capitato di incontrarlo di nuovo ero così emotivamente coinvolto da sembrare un imbecille.
Sono in un casino e mi sento deficiente. Non so cosa fare della mia vita.
Scusa
Caro anon,
sai che cosa mi colpisce delle tue parole? Non la domanda esplicita, ma ciò che d’implicito contorna la tua domanda. Voglio dire: la tua domanda è inaugurata da un senso di colpa, dal quale si snoda poi un senso di inadeguatezza, al quale si somma un senso di vergogna e un’autosvalutazione <<così coinvolto da sembrare un imbecille / mi sento un deficiente>>. La prima notizia che voglio darti è che io sono dalla tua parte. Non devi sentirti giudicato da me. Mi piacerebbe che tu potessi guardarti con occhi diversi, anche se i tuoi occhi non li conosco, e me li immagino per intercessione di una grigia icon di tumblr. Vorrei che tu potessi dapprima lavorare su te stesso, così che tu ti rivolga uno sguardo più amorevole, meno severo, meno punitivo, così che ogni tuo desiderio ti appaia meno ingestibile di come ti appare ora
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quartafuga · 3 years
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VIOLENZA #1
Bologna, fine 2018 o inizio 2019, non ricordo. Sono in autobus, è affollatissimo. Passo i primi minuti del mio viaggio in piedi, stretta tra mille persone che come me non hanno fatto in tempo a sedersi nei pochi posti disponibili. Guardo nervosamente l'orologio, ho un treno tra non molto, spero che l'autobus arrivi puntuale in autostazione. Intanto, raggiunte le prime fermate del centro, l'autobus comincia leggermente a svuotarsi ed io riesco ad accaparrarmi un posto a sedere. "Che fortuna" penso "almeno non dovrò farmi gli ultimi 15 minuti in piedi schiacciata tra mille sconosciuti". Mi siedo in un posto singolo, di quelli che preferisco perché così posso avere tutto il finestrino a disposizione. Mancano dieci minuti alla mia fermata, la musica mi riempie le orecchie, rivolgo lo sguardo fuori. Nel corridoio accanto a me la gente continua ad ammassarsi, ma non faccio caso a chi scende e chi sale, la mia attenzione è altrove. All'improvviso sento qualcosa di duro premermi contro la coscia che s'affaccia all'esterno, verso il corridoio. La cosa mi stranisce, non riesco a capire di cosa si tratti, ho anzi paura di capire di cosa si tratti perché un dubbio comincio ad averlo. Cercando di non darlo a vedere mi volto e riconosco accanto a me un uomo alto che si tiene con entrambe le mani a una delle aste dell'autobus e con tutto il suo corpo fa in modo che il suo pene duro si poggi completamente sulla mia coscia. Rimango agghiacciata, non riesco a dire nulla. La pressione continua ad aumentare, si struscia sul mio corpo. Il suo sguardo, come il mio prima, è rivolto fuori dal finestrino, vuoto, come se nessuna violenza stesse avendo luogo. Mi prende il panico, non so come reagire. Poco a poco cerco di spostare il mio corpo quanto più distante dal suo, ma gli spazi angusti del mio posto a sedere mi permettono di spostarmi ben poco. Almeno è qualcosa, penso. È il sollievo di un secondo. Lui, come se nulla fosse, segue col suo corpo il mio ed il suo pene continua a starmi addosso. Ho le lacrime agli occhi, non riesco a dire nulla. La vergogna la paura e lo schifo mi prendono la gola e vorrei solo scomparire. Non riesco più a respirare. Allora decido: devo scendere dall'autobus. Facendomi spazio a fatica fra tutte le persone, il mio violentatore incluso, scendo. Appena fuori scoppio in lacrime. L'aria fredda di Bologna mi riempie le narici, ma non basta a restituirmi il respiro. Resto immobile, nonostante sappia di dover correre perché adesso - essendo scesa prima del previsto - è ancora più probabile che io perda il mio treno. Non riesco a muovere un passo, sono immobilizzata. Poi addirittura mi sgrido, "cosa fai, non è accaduto nulla". Respiro, prendo a camminare mentre i pensieri corrono veloci e le mie lacrime con loro. Con addosso la mia confusione arrivo tutta trafelata in stazione. Prendo il mio treno, tutto scorre come previsto. Dentro però qualcosa intanto muore, una parte di me muore, ed io non me ne accorgo.
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La mia psicologa mi ha guardata e mi ha detto, lo sai che dobbiamo parlare di "colui che non deve essere nominato", vero? Continuiamo a tornare lì e lo devi affrontare. Prima non eri pronta, sviavi sempre su altro. Ora secondo me lo sei.
L'ho guardata e ho riso, belli i meccanismi di difesa. Ridendo le ho detto va bene. Hai ragione. Forse ora sono pronta.
Inizio con l'emdr e ricordo quella volta in cui cucinavi a casa di A. E rispondesti al telefono. Io ero alla finestra a fare finta di nulla. Tu sorridi e parli in italiano, ma io sapevo che era lei. Mi guardi, sorridendo, stai al telefono, chiudi la chiamata quando credi sia il momento. Nessuna vergogna. E io lì, inerme. Mi ricordo quel sorriso come se mi sbeffeggiassi. Della serie: "guarda sta cogliona che se le beve tutte". E io muta. "Mi ha assicurato che è un'amica" pensai. Devo fidarmi. Ecco come ho bruciato tutte le briciole di fiducia che avevo faticosamente guadagnato nella mia umile vita.
La guardo e le dico che ci sono due cose che mi fanno impazzire di tutto ciò: la prima è l'idea che "tu sai chi" non fosse solo uno "stronzo" ma che abbia macchinato sadicamente tutto ciò che aveva da dire e da fare. Mai la mossa sbagliata. Era tutto un disegno per farmi sbroccare e farmi tornare. Abuso narcisistico qualcuno lo chiama
L'altra cosa che odio è che mi sento in una sorta di "sindrome di Stoccolma". 4 anni e ancora ci penso. 3 anni di relazione con un'altra persona, convivenza, progetti, case, figli... Eppure la mia testa è lì. Ogni volta che succede qualcosa dentro di me penso "anche quello mi rassicurava, eppure".
Ho continuato ad elaborare il ricordo e mi è venuta un'immagine in mente, era tanto che non avevo immagini.
Pensate a quei vecchi film in bianco e nero ricolorati degli anni 60, sull'antico Egitto. Dove tutti i personaggi sono ipersaturati. Lui, con questo pantalone stile Aladdin con una frusta in mano che urla comandi a me, schiava, a quattro zampe, con una catena al collo retta da lui.
Non riuscivo a modificare la scena.
Non riuscivo ad elaborarlo.
Ho iniziato a pensare alla caprese che avrei dovuto mangiare a pranzo.
Mi sono fermata, non ce la faccio nemmeno stavolta.
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kon-igi · 4 years
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Ciao Kon, hai fiducia nell'Italia e negli italiani?
Scommetto che ti piacerebbe io ti rispondessi in modo sintetico, o affermativamente o con un diniego.
E infatti farò così.
NO
Mal sopporto fin da piccolo qualsiasi tipo di gruppo, banda, organizzazione, club, holding, aggregazione, società, congregazione, ghenga, coacervo, insieme, affiliazione, unione, clan, tribù, setta, lega, sodalizio, lobby, confederazione, cartello, trust, cooperativa, azienda ed esercito i cui membri sentano il bisogno di darsi un nome e uno scopo con i quali distinguersi dal resto delle persone ‘normali’.
Io ho un albo professionale i cui rappresentanti non consumano glicogeno muscolare se il gesto che devono compiere non è mirato a glorificare la nostra categoria a discapito di qualsiasi persona non appartenente a essa.
Lavoro in un ambito in cui l’80% dei miei sforzi è profuso non alla cura del paziente ma alla gestione del consenso con indice di gradimento, il che significa ‘cura come dico io sennò mi lamento con chi è sopra di te’.
Vivo in una piccola realtà politica dove al sindaco suonano il campanello se il colore delle foglie non piace e allora il sindaco le fa ridipingere sennò poi non lo rivotano. Che poi è quello che succede nelle grandi realtà politiche.
Ogni pulciosa organizzazione con cui sono entrato a contatto usava la scusa del proprio essersi organizzati per poi nutrire interessi personali, amplificare antipatie, dispensare favori e far sorgere un sacco di piedistalli sopra i quali pavoneggiarsi migliori degli altri.
E, soprattutto, ora mal sopporto qualsiasi forma di patriottismo, senso di appartenenza, orgoglio e sventolio di bandiere e simboli... mi fanno sentire solo, scartato, stanco e defedato, perché tutte le volte che sento dire ‘NOI!’, io penso a tutti quelli che da quel ‘noi’ sono esclusi, lasciati indietro, bollati come inadatti e, diciamocelo, inferiormente immeritevoli.
Se fossi un briciolo più meschino godrei a vedere distrutta la narrazione gloriosa di un popolo di santi, poeti e navigatori perché dietro a ognuno di quei santi c’è chi non si è meritato il paradiso, dietro ai poeti miserabili che non hanno avuto accesso all’istruzione e dietro ai navigatori popoli oppressi dalla nostra colonialista esportazione di civiltà superiore.
Quello che voi chiamate orgoglio, per me è intimo senso di vergogna.
Quindi no, non ho fiducia nell’Italia né tantomeno negli italiani ma dopo tutti questi anni ho imparato in chi bisogna riporla.
Nella persona persa.
In ognuno di quei 60 milioni, anzi... di 6 miliardi di individui che si sono sentiti così soli e spaventati da avere avuto bisogno di chiedere aiuto a un gruppo affinché questo confermasse loro di esistere.
Quando parlate con me non ditemi a cosa appartenete ma confidatemi chi siete.
Ditemi cosa vi ha ferito e spaventato così tanto da avervi fatto sentire il bisogno di indicare qualcuno diverso da voi come colpevole della vostra sfortuna e della vostra sofferenza.
Ditemi che sentite l’importanza non della corsa a testa bassa per arrivare prima di altri ma del procedere lento di un insieme di persone che camminano tenendosi una accanto all’altra senza pensare ad altro che non al sollievo di non aver lasciato nessuno indietro.
Ditemi questo e finalmente avrò trovato l’unico gruppo di persone nella cui gloriosa compagnia non dovrò più vergognarmi di essere.
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Sono ormai al terzo anno di superiori e da quando sono entrata in questa scuola mi sono sentita un po' fuori luogo.
Le mie compagne sono per la maggior parte delle ragazze intelligenti, brave a parlare, interagiscono molto in classe, simpatiche, divertenti e durante le interrogazioni ed i compiti danno sempre il meglio di loro.
Io invece non ci riesco e a volte mi sento immatura rispetto a loro.
Per di più ho sempre avuto un carattere chiuso e quando si tratta di parlare in pubblico non riesco a dare il meglio di me. Questo lato così insicuro posso dire di averlo quasi superato del tutto da ormai un anno, ma ci sono volte in cui mi sento esattamente così.
Invece, durante i temi faccio fatica a scrivere ciò che penso, passo il tempo a fissare il foglio bianco sperando arrivino idee e quando arrivano mi sembrano sempre sbagliate.
Non mi ritengo una persona stupida. Leggo e mi piace, solo che mi sembra di non avere mai tempo e ultimamente finisco a fare altro piuttosto che dedicarmi alla lettura, vorrei tanto avere un vocabolario fornito e completo. Lo studio molte volte mi pesa e non sempre sono preparata come vorrei.
Insomma, quando sono in classe per lo più me ne sto in silenzio e guardo al resto della mia classe con una certa desolazione. Rispetto a loro mi sento molto meno interessante e simpatica e a volte mi ritengo anche cattiva nei giudizzi verso di loro. Insomma sono un po' combattuta.
Io vorrei essere in grado di esprimermi in classe, dire la mia, poter interagire di più anche con i miei compagni senza vergogna, senza paura di risultare noiosa, perché so che anch'io so essere divertente. Difatti a casa sono completamente un'altra persona, divertente, allegra, solare, simpatica, ironica. Cosa che a scuola faccio fatica a manifestare.
Ho quattro compagne in classe con cui vorrei poter legare di più, sto facendo il possibile per riuscire ad aprirmi completamente, vorrei lasciarmi andare, non aver paura di dire la mia opinione su qualsiasi cosa. Con loro ci parlo, ci scherzo anche, ma ci sono dei momenti in cui mi ritrovo a sorridere per finta.
Sono riuscita discretamente ad inserirmi nel gruppo, ma non sono del tutto soddisfatta, so che potrei fare di meglio. Vorrei che fossero mie amiche. Penso mi considerino già come un'amica, ma vorrei arrivare al punto da poter uscire qualche volta con loro. Tipo ogni sabato sera loro vanno l'una a casa dell'altra e io mi ritrovo a vedere le foto che pubblicano sui social e mi sento sbagliata, a volte scoppio a piangere perché ho la sensazione di essere fuori posto, terribilmente sola. Ma anche se mi invitassero non saprei come comportarmi.
Per anni ho avuto da sempre un carattere chiuso, e ho avuto non poche difficoltà, vedo le altre che sono completamente disinvolte e le invidio, quando sono con loro ho la tremenda paura di risultare ridicola per ogni cosa che dico e che faccio, riesco a sbloccarmi solo con la gente che mi conosce da molto, o con chi mi ispira fiducia, voglio cambiare.
Sapresti darmi un buon consiglio su come affrontare questa questione e su come migliorarmi? Su come potrei maturare un po' di più, imparando anche a spingermi un po' in mezzo alla folla senza troppa paura?
Insomma il mio obbiettivo sarebbe riuscire a fare un intervento intelligente, ben fatto e che non suoni banale come preso dalle frasi dei baci perugina
Ciao tesoro,
il tuo messaggio mi ha dato una scarica elettrica, un brivido, perché mi ci rivedo tantissimo in te. È come se tornassi diciassettenne, su quel banco freddo, così grande. A me sembrava sempre grandissimo, perché seduta al mio posto mi sentivo lontanissima da tutti. Talmente distante da credere che li stessi guardando da un’altra stanza. Come se io, all’interno della classe, non esistessi. La mia presenza era al contempo di troppo e superficiale. Era come se non ci fosse mai spazio per me. E l’unica cosa che potevo fare era la spettatrice dei successi altrui.
Certo, l’italiano e la filosofia erano le materie in cui eccellevo, e qualche soddisfazione me la davano eccome. Ma anche tantissimo stress, perché avevo come l’impressione che, se non fossi stata la prima della classe in quelle, allora nessuno avrebbe notato la mia esistenza.
E comunque ero a un liceo scientifico col potenziamento di chimica e fisica, per le quali ero totalmente negata. E mi sentivo sempre così stupida. Così lenta di comprendonio. Così... sbagliata. Perché ero io l’unica che arrancava? Che passava ore sui libri per non prendere mai nemmeno una misera sufficienza?
Le persone che ti vogliono bene ti dicono “non è la tua materia”, ma alla lunga, quando passano mesi e poi anno, a sentirsi sempre gli ultimi, a non essere mai gratificati, a fallire compito dopo compito, il tuo carattere si logora e nella tua mente si forma come un blocco.
Questo per dirti che capisco perfettamente ciò che provi. E la situazione che stai cercando di cambiare. Anche io ho sempre avuto un carattere chiuso e introverso e, proprio come te, terrorizzata di rovinare un’amicizia appena nata, o per pura di essere giudicata, non mi esprimevo mai. Non svelavo i miei pensieri. Non mi lanciavo nei dibattiti. Facevo una cosa orribile che, a pensarci ora, mi suscita solo un profondo disgusto; restavo passiva.
Vedi cara, il modo in cui ti tratti è il modo in cui insegni agli altri a trattarti, e perciò tutti i miei compagni mi trattavano passivamente. Non mi mancavano di rispetto, ma talvolta la mia esistenza era come un’ombra. Un nome dimenticato nell’elenco.
Le cose sono cambiate. Perché ho lavorato su me stessa. Ho accettato i miei limiti e ho potenziato le mie virtù. Tu l’hai già fatto, perché a differenza mia, hai capito prima che vali e che gli altri meritano di conoscere la tua parte più estrosa, solare, che illumina e scalda. Ed è proprio questa la strada giusta.
Accettarsi, amarsi, conoscersi... prendere coscienza delle proprie capacità è essenziale. Il secondo passo è mettere in atto il tuo potenziale. Non è facile e sarà un percorso lungo, ma la fatica varrà la pena.
Tu sei fatta così e sei bellissima, e l’unico modo che hanno gli altri di conoscerti è quando tu sciogli il tuo guscio ed esci allo scoperto. Perciò invia quel messaggio, chiedi a quell’amica di uscire, proponi un’idea che ti balena nella testa da mesi, esprimi un tuo giudizio, cerca qualcuno che abbia i tuoi interessi e chiedigli qual è il suo quadro preferito è perché, e l’ultimo libro che ha letto.
Cerca chi ama le stesse cose che ami te, perché i vostri interessi comuni vi legheranno. E con quel gruppo di ragazze: non avere paura di perderle. Loro stanno intravedendo in te qualche briciola di quella tua personalità che a scuola si spegne e appassisce. Dagli la possibilità di assaporarti di più, non solo le briciole.
Abbi fede in te. Ripetiti ogni mattina che vali e che farai grandi cose. Che meriti di essere felice. Che la vita è unica e non bisogna sprecarla. La nostra mente è pagina: se la riempi di pensieri positivi, la tua vita inizierà a cambiare.
Io ci ho messo anni, per diventare la persona che sono ora. E continuo a combattere contro la mia timidezza e la mia paura ogni giorno. Certo, non le devi ANNIENTARE, perché è pur sempre una tua caratteristica, un tratto che qualcuno un giorno amerà. Ma non deve mai impedirti di essere felice. Allora, in quel caso, va ridimensionata.
Spero di essere stata di aiuto cara. Ti auguro il meglio. Vedrai che legando con quelle ragazze anche la scuola diventerà più leggera. Perché ti sentirai amata, nonostante i compiti e le interrogazioni. E questo farà la differenza
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eravamo-re · 4 years
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Non frequenti più siete-sigarette?
Non per scelta mia. Non c’è stato mai neanche un vero litigio. La trovo anche una domanda scomoda perchè per me non è stato semplice.
Diciamo che ho avuto un periodo un po’ difficile nella mia vita e dopo quel periodo ho potuto vedere chi mi voleva veramente bene e chi no.
Chi ti vuole veramente bene ti sta vicino, chi trova la felicità e in un tuo momento buio sparisce senza dire nulla non ti ha mai voluto bene fino in fondo.
E soprattutto chi ti giudica in modo sbagliato per poi finire a fare le stesse cose, ma con altri si giudica da sola.
Mi da anche fastidio parlarne qui perché sembra quasi di volermi nascondere, ma dopo anni di amicizia una tale indifferenza nei miei confronti senza mai spiegarmi il motivo non me la sarei mai aspettata. Non ho vergogna a dire che mi ha segnato molto questa cosa. In quel periodo avevo dei problemi importanti e mai mi sarei aspettata che qualcuno mi voltasse le spalle cosi senza dirmi nulla.
Mi sono allontanata anche da Tumblr perché non ne avevo più voglia, Tumblr e i blog erano un po’ un nostro gioco quindi non ho più sentito tanto la motivazione nel continuare a scrivere qui.
Se mi vede mi saluta come se non fosse successo nulla, io non ho quella leggerezza perchè per me le persone importanti rimangono importanti sempre. Nei momenti belli e ancora di più in quelli meno belli.
Non so cosa pensi lei di me ne cosa l’abbia spinta a eliminarmi in questo modo dalla sua vita. Ma so per certo che se in anni non c’è stato il minimo interesse nei miei confronti forse non abbiamo mai avuto la stessa considerazione l’una dell’altra.
Ho sempre mantenuto dei buoni rapporti con tutte le persone con cui ho interrotto un’amicizia. Con queste persone ogni tanto mi sento anche solo per condividere qualcosa di bello del passato che mi può essere venuto in mente in un giorno qualsiasi.
Il fatto di non aver mai ricevuto un minimo segnale mi ha fatto capire che non dovevo sentirmi in colpa io, non dovevo pensare che forse ero diventata pesante perché non avevo deciso io di vivere un momento difficile.
Detto questo, NON SENTITEVI IN COLPA MAI PER I VOSTRI MOMENTI NO.
NON ADDOSSATEVI COLPE CHE NON AVETE.
NON PENSATE DI ESSERE PESANTI SOLO PERCHÉ VI SENTITE LIBERI DI SFOGARVI CON UNA PERSONA.
NON SIETE PESANTI, SIETE SOLO VOI STESSI.
Chi avrà voglia di ascoltarvi rimarrà al vostro fianco sempre. Anche quando la vita non vi sorride.
Io sto imparando questo con tanta fatica.
E non parlo da “vittima” parlo come una persona che ci ha tenuto e che ha sofferto per questo allontamento. Chi si limita a due parole ha già dimenticato tutto.
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erosioni · 4 years
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Affinché i miei ricordi servano a qualcuno o a qualcosa. Se avete voglia di leggere quello che c’è prima è QUI. 
I miei primi due anni a Roma sono molto confusi nella memoria. Mi sembrava di essere su una cazzo di giostra al luna park. Forse nella centrifuga di una lavatrice sarebbe un paragone più descrittivo. Non ero abituato a incontrare tante persone e così diverse dopo la solitudine dell’adolescenza e del liceo. Per la prima volta avevo degli amici e di tanti tipi diversi.
C’erano i “normali”, i miei compagni di appartamento con cui bevevo, andavo alle feste e frequentavo ragazze. C’erano quelli del cineclub dove mi ero iscritto e andavo a parlare di cinema per ore e poi bevevamo birre orrende in lattina e fumavamo finché non ci lacrimavano gli occhi. C’erano le mie conoscenze del giro gay di Roma. Non tanto quelli che mi rimorchiavano casualmente nei vari luoghi di battuage, ma coetanei che avevo finito per conoscere durante i vagabondaggi in quelle serate. Mi portavano nei locali, quei pochi che c’erano, dove finivo per conoscere ancora altra gente. I froci-adulti, quelli sulla piazza dai tempi duri, che ti raccontavano l’aneddoto sul cazzo di Pasolini o su Sandro Penna. I poeti a Roma sembravano tutti froci. I froci-militanti, quelli che giravano attorno al Mario Mieli e ti facevano le ramanzine sull’aids. I primi trans che mi facevano una grandissima impressione, come figure uscite da un libro di favole folli. E poi le feste, non quelle dei normali, quelle dei froci, dove c’era sempre la possibilità che tutto degenerasse in sesso collettivo (mi è successo una sola volta in realtà).
In facoltà non ci andavo mai. Non studiavo e se studiavo non andavo a dare l’esame. Mio padre era inferocito. Tre volte alla settimana mi insultava per telefono, ma più di quello non poteva fare o non riusciva a fare. In dei periodi il mio ritmo sonno veglia era completamente invertito. Dormivo fino all’una e poi nel pomeriggio facevo le cose normali. La notte cercavo sesso o qualunque altra cosa eccitante. Mi ero iscritto in una palestra del centro storico che era frequentata da omosessuali giovani. Non ero mai stato un fissato per la forma fisica, ma imitavo quello che facevano gli altri. Forse è stato il periodo in cui sono stato più atletico, anche se bevevo come una spugna. Il mio corpo stava cambiando, ero come i mutanti dei fumetti che leggevo da ragazzino, come i Fantastici 4, come gli X-Men. Un mostro con i superpoteri e l’identità segreta. Ma soprattutto stava cambiando il mio cervello.
Tutto quello che ricordo sono facce, facce, facce e nomi, ma non necessariamente associati alle facce. Ciao sono Andrea. Ciao sono Filippo. Ciao sono Antonio. Ciao. Ciao. Ciao. Tutti usavamo nomi falsi, soprannomi, mentivamo sulla provenienza, sull’età. Queste cose non le ha inventate internet, mocciosi, si sono solo perfezionate tecnologicamente. Facce, nomi e cazzi. Tanti cazzi di tutte le dimensioni, vecchi e giovani, rugosi e lisci, con le vene in rilievo, curvi, sporchi o addirittura profumati alla colonia. Due anni pieni di vortici e cazzi. Due anni pieni di vuoto e facce. Due anni pieni di piacere e paura. Due anni pieni di prime volte.
Le prime volte che qualcuno mi ha fatto un pompino. Pensavo a un errore. Ero io che li facevo i pompini agli altri. Invece no, c’era anche chi voleva farmeli. Da uno grande non lo potevo sopportare, solo dai miei coetanei. La vista di uno coi capelli bianchi e la faccia sconvolta che si piegava a terra per prendermelo in bocca era sufficiente a farmelo smosciare istantaneamente. E la prima volta che mi hanno dato la bamba. Gentile cessione gratuita di stupefacente per “convincermi” a scopare. In realtà ero più che convinto ma ero curioso di provare quella roba e di fare come Scarface. Quanto era sexy Al Pacino in Scarface? Quanto era pericoloso?
La prima volta che mi sono lasciato legare e torturare da uno stronzo. Avevo una paura terribile e un desiderio assurdo. Mi ha aveva rimorchiato a una festa. Ero fatto o ubriaco o entrambe le cose. Forse aveva vent’anni più di me o anche più, ma portati bene. Ricordo una faccia pallida, da malato mentale però con delle mani forti, ossute, inanellate. Occhi azzurri. Mi sono sempre piaciuti gli uomini con gli occhi azzurri, io ce li ho nerissimi. Ci guardavamo e dopo un po’ mi sono andato a sedere da solo in un angolo della stanza affollata. Si è seduto accanto a me e mi accarezzava. Mi diceva all’orecchio che voleva legarmi e punirmi e io sentivo un vuoto che mi si apriva dentro e un ruggito che usciva da quel verminaio. E ovviamente mi veniva sempre più duro nonostante la paura. Mi venivano in mente tutte le seghe che mi ero fatto sulle riviste tedesche di sadomaso e le espressioni stupide e languide di quei modelli biondicci.
Poi non mi ricordo molto, a parte che ero in macchina con lui e vedevo sfrecciare le strade semivuote di Roma. Non avevo idea di dove cazzo mi stava portando e come avrei fatto a tornare indietro. I cellulari erano cose che si vedevano nei film di fantascienza, mocciosi, e non avevo detto a nessuno con chi stavo andando via. È così che ti ritrovano morto dietro un cespuglio. Magari anche oggi che lo smartphone del cazzo ti traccia minuto per minuto. Fino al cespuglio, appunto. Comunque ero talmente arrapato e fatto che neanche ci pensavo.
Ho il ricordo di lui che mi parla mentre guida, ma non di quello che mi dice. Ricordo che volevo che accendesse lo stereo per sentire musica, ma invece continuava a farmi domande a cui rispondevo a monosillabi. L’esterno della sua casa del cazzo, forse Quartiere Trieste. Un triste palazzone di lusso di quelli con i motti latini sui cornicioni. Poi di nuovo non ricordo un cazzo a parte un corridoio ingombro di tappeti e mobili color mogano. Quelli con le zampe di leone. L’impressione vomitevole che dividesse la casa con qualche vecchio genitore di cui comunque non c’era traccia mi è arrivata ex post.
La cosa che ricordo dopo è che ero legato al suo letto per i polsi. Con una corda di merda che mi faceva male. Ed ero nudo con lui addosso che mi segava. Mi ha preso a schiaffi forte. Diverse volte. Ma ero talmente fuori che sentivo pochissimo. Mi insultava, ma nella memoria la voce si è cancellata, ricordo solo l’espressione arrabbiata. I suoi occhi azzurri mi perforavano. Sparì per un tempo che mi sembrò eterno. Ora sentivo un po’ di dolore in faccia. Il cazzo cominciava ad ammosciarsi e mi veniva su la paura di essere bloccato con un coglione pazzo. Provai a scrollare le corde, ma mi facevo male ai polsi. Lo stronzo mi aveva legato strettissimo. Consenso e safe-word erano parole sconosciute e ogni volta che sento cianciare gli scienziati del bdsm mi fanno ridere con queste stronzate paralegali. La verità è che quello non mi avrebbe mollato neanche se fosse sceso San Michele Arcangelo.
Gridai “dove cazzo sei finito?” Tornò immediatamente e mi schiaffeggiò ancora sulla bocca, stavolta era nudo anche lui e ricordo bene che mi disse “Stai zitto”. Il dolore mi fece immediatamente eccitare. Sentivo un vago sapore di sangue in bocca. Tirò fuori dal nulla due mollette da bucato di quelle di legno. Non ebbi tempo neanche di dire “NO” e me le applicò ai capezzoli. Gridai con quanto fiato avevo in gola mentre lui mi teneva le mani sulla bocca. Tutte e due. Mi schiacciava sotto di lui mentre ero percorso da fremiti di dolore e di piacere. Mi ripeteva che ero cattivo, cattivo, cattivo, che dovevo essere punito. E mi entrava dentro il cervello come un fiume di merda.
Quando mi ha levato le mollette, dopo un tempo che mi era parso eterno ma dovevano essere pochi secondi, volevo solo che mi scopasse. Lo pregavo con una voce di infantile di punirmi e di scoparmi, ma lui mi segava e basta e smetteva appena vedeva che diventavo duro. Smetteva e ricominciava a schiaffeggiarmi e a torcermi i capezzoli doloranti. Non capivo più un cazzo. Mi sentivo nelle sue mani, potevo godere liberamente. Mi sentivo anche umiliato, ma più di tutto mi sentivo al sicuro dal dolore perché ero al centro del dolore. Mi sentivo finalmente protetto. Ero cattivo, dovevo essere punito, dovevo soffrire e godere, senza nessun pensiero. Mi ha inculato ripetutamente con le dita, con due o forse tre. Finché non sono venuto urlando. A quel punto non mi diceva neanche di stare zitto, doveva essere molto eccitato anche lui.
Poi c’è un momento di nuovo in cui non ricordo bene, vedo le immagini accelerate come quelle di un film comico degli anni Venti. Gli faccio un pompino, ma a quel punto sono slegato. Mi viene in bocca senza darsi pena di avvertire. Ancora qualcosa che non ricordo. Poi siamo vestiti. Sento le mutande bagnate e sporche, davanti e dietro. Le cose vanno velocissime. Ho la nausea e mi gira lo stomaco, ma non ho il coraggio di chiedere neanche un bicchiere d’acqua. Il dolore ai capezzoli è pulsante. Non sto bene in piedi. Lui mi parla, forse mi fa dei complimenti stupidi a cui non credo, ma intanto mi accompagna per un braccio alla porta. Guarda fuori dallo spioncino e poi si gira verso di me. Mi mette ventimila lire nella tasca dei jeans, “per il taxi”. Mi scompiglia i capelli e mi sbatte fuori. Ho ancora la nausea. 
Appena esco dal portone mi viene un conato di vomito, ma non esce niente. Sono quasi deluso. Guardo l’orologio ed è tardissimo. Non so bene dove cazzo sto e neanche me ne frega più. Fa freddo. Mi cade una lacrima. Una sola lacrima. Vergogna? Gratitudine? Sollievo? Ho i segni della corda di merda sui polsi. Passerò i prossimi giorni a coprirli e a inventare cazzate. Però anche a ripensare a quando avrei avuto il coraggio di farmelo fare un’altra volta. Come si chiamava sto pazzo? Aveva il mio numero di casa? Glielo avevo dato? Speravo di no. Ma forse speravo di sì. (Continua).
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stodilusso · 4 years
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Da papà il disco è molto simile ...
Ufff
Ieri ho partorito un fagottino profumato e morbido, oggi mi ritrovo un portatore sano di scarpa numero 47 con i brufoli e puzzolente di adolescenza.
Come sia successo non lo so ma così è, ho un figlio adolescente con tutti i suoi squilibri, con i baffetti e i piedi giganti.
E ho cominciato a dire tutte quelle frasi che avevo giurato di non dire mai. Le dico tutti i giorni quelle frasi tipiche delle mamme.
"Guarda che non sono la tua serva!"
"Quanto hai preso al compito?!"
"Ti sei lavato i denti? Rilavateli!"
"Cambiati che se ti fai male e finisci in ospedale..."
"Mi raccomando!!!"
Mi raccomando a cosa non lo so, ma è generico. Come il segnale di pericolo con il punto esclamativo. Mi raccomando attento all'asfalto sdrucciolevole, all'attraversamento animali, al passaggio a livello e alle caramelle drogate.
Lui risponde solo "Si" che letteralmente non è nulla di male ma nella sua mente c'è la scimmietta che batte i piatti e dice "ma non rompere".
E più lui risponde così, più la mia capacità di rompere le scatole cresce di livello.
E' ufficiale sono diventata una mamma rompiballe.
Prima ero la mamma bella, brava, divertente. Ora se dovesse fare i pensierini da prima elementare scriverebbe "mia mamma rompe le palle".
"Hai messo la lozione per l'acne?"
"Sì"
"Vieni che ti tolgo i punti neri"
"No"
"Dai, uno solo..."
"Noooooooo"
"Dai...son brutti poi nessuno ti vuole vicino"
"Chi se ne frega"
"Dai sol..."
"Noooooo mi FAI MALEEEEE"
All'improvviso la sua voce muta, diventa un misto tra Pavarotti e il demone de l'Esorcista.
"Eri tu o c'è Babadook nell'armadio?"
"Hai fatto i compiti?"
"Sì"
"Sicuro?"
"SIIIIII"
"Hai preso tutto?"
"Sì"
"Sicuro?"
"UFF"
"Hai messo il deodorante?"
"Miiiiiiiiiii"
"E poi se puzzi non ti vuole nessuno"
"Non me ne frega"
FZZZZZZZ FZZZZZZZ FZZZZZ
"AAAHHH mammaaaa! me lo spruzzi negli occhi, divento cieco!!!"
"Ti sei mangiato Babadook?"
Poi quando deve chiedere qualcosa lui invece, sussurra. Ha urlato dai 2 ai 9 anni e ora sussurra.
"Mamma psss psss pssss spsss"
"Eh?"
"Psss psss spsss ppsss"
"Non ti capisco! Cosa???"
"Eeeeeh ma non senti!"
"Chiama Babadook, lui lo sento bene"
"Mi FA MALE QUI!"
"E' il cellulare, sei sempre attaccato al cellulare"
"Ma cosa c'entra il cellulare?!"
"Te ne accorgerai"
"Mamma ho fame..."
"Colpa del cellulare"
"Mamma ho la tosse"
"Il cellulare!"
"Mamma ho preso 9"
"Bravo amore, sei tutto tua mamma".
Mio figlio quando torna da scuola non si spoglia, lui esplode e le parti vengono sparse in tutta la camera.
"Metti un po' di ordine è una vergogna questa camera"
"Si..."
"E ma fallo"
"Si..."
"Te lo spacco quel cellulare"
"Ma cosa c'entra il cellulare?!!"
Il fatto è che ti dicono che devi lasciarlo in pace, che sei noiosa, ma se lo fai ti dicono che devi seguirlo, che devi stagli appresso altrimenti chissà dove va a finire.
Io vorrei fosse facile come il bimby che ho in cucina.
"Mettere gli ingredienti dentro, 10 minuti, velocità 1 temperatura varoma" Fatto. Non ci son dubbi, è chiaro come il sole.
Invece, crescere un figlio adolescente, è più come una Mistery Box, non sai cosa c'è dentro e i giudici te la piazzano lì e ti dicono "Con questi ingredienti fate un piatto speciale, fantasioso, originale, esotico e gustoso"
Apri la Mistery Box e c'è un pacco di spaghetti e una scatoletta di tonno.
"Scusi...ma...oltre alla pasta al tonno...cosa cazzo potrei fare"
E Canavacciuolo dopo averti dato uno schiaffo che ti rettifica la colonna vertebrale, dice "Vuoi o non vuoi diventare Masterchef? Utilizza testa e cuore".
E tu sei lì che in 10 minuti di tempo concesso devi inventarti qualcosa. E passa Cracco che ti punta gli occhi addosso e ti fa la radiografia "Hai la colonna rettificata..."
"lo so è stato Antonino..."
"Occhio che ti sto osservando..."
Poi passa Barbieri e dice "Hai messo il sale?" e va via con fare enigmatico.
Arriva pure la Klugmann che scuote la testa schifata.
Finalmente presenti il piatto e Bastianich assaggia.
Ti guarda, sputa, sbatte il piatto a terra e grida "MA VUOI CHE MUORO?!!!"
E a te viene fuori solo una delle tipiche frasi da mamma:
MA SE L'HAI SEMPRE MANGIATO!!!!
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