Tumgik
#la dolcezza delle attese
spettriedemoni · 1 month
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La dolcezza
Pensavo che dopotutto l’attesa è un dolce tormento. Però a volte il tempo scorre davvero troppo lentamente.
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privateclubcultura · 8 months
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L'Emozione di un Contatto.
L'Emozione Del Contatto
18/05/2015
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L'Amore non può esistere.... senza l'emozione di un Contatto.
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Si possono Scrivere fiumi di parole dove si può giurare tutto ciò che si vuole e che si sente o che si vuol far credere ma al sentimento più grande del mondo non basteranno mai egli ha bisogno di più del massimo dell'emozione più grande il contatto.....!!!
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Il contatto delle mani dove parole tante parole non servono solo le sensazioni vere vive presenti inebrianti di attese di carezze da raggiungere.
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L'amore vuole si la conquista dell'anima... la presa incondizionata della mente ma queste hanno anche una condizione...
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L'Amore vuole: “I baci. Lunghi. Dolci. Delicati. Romantici. Intensi. Pieni. Voglio quei baci. Non si può fare senza.
"Ho voglia di accarezzarti e guardarti prendere colore. Ho voglia di sentire la tua pelle scaldarsi sotto le mie dita. Ho voglia di baciarti piano. Ho voglia del tuo sapore che mi mescola al mio. Ho voglia di annegare dentro di te. ho voglia del ... contatto "
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il contatto è il pensiero che si riveste la sera di noi è un sorriso che illumina l'anima è un pensiero un tocco della mano che fa vibrare il corpo e l'anima.
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il contatto silente di due anime non ha bisogno di altro che tocchi leggeri movimenti suadenti audaci
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Fuori da quella nebbia per un attimo per un istante per quel contatto desiderato per scoprire che l'astratto e pieno di sensazioni concrete per confermare che l'astratto vive di emozioni attese e vissute per realizzare l'astratto trasformando ogni sogno ogni fantasia in una grande emozione reale.
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Quante parole si sarebbero risparmiate in cambio di quel contatto Proibito. Quante parole scritte quale fuoco avrebbe devastato i corpi per tutte quelle parole attese da realizzare.
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come il vento che accarezza la pelle cosi vorrei toccarti
Mi basterebbe toccarti le mani e da li raggiungerti l'anima non chiederei altro che sprofondare nella dolcezza dei tuoi occhi e nel mare delle tue braccia.
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Parole parole parole possono dare emozioni ma non puoi paragonarle all'emozione a quell'emozione improvvisa... di un contatto....!!!
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Chi ama non fugge.... C'è chi ama ma fugge.... C'è chi fa finta d'amare e sfugge.... o forse.... non so.... aggiungete... quel che pensate voi...!!!
RelaxBeach© (Tutti i Diritti Riservati.) 26/09/2023 (18/05/2015)
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lunamagicablu · 6 months
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La bambina prese con le mani le due metà della melagrana perfettamente combacianti e simmetriche incerta sul da farsi. Poi decise di separarle con dolcezza, lasciando che copiose gocce di succo agrodolce e vermiglio macchiassero la tovaglia bianca di fiandra con cui la tavola era apparecchiata. La donna si stiracchiò languidamente, svegliata dalla solerzia della bambina guardandola interrogativamente e poi con maggior indulgenza e disponibilità. Destarsi all’improvviso le era costato parecchio ma comprendeva la curiosità di quella donna in nuce e decise di accontentarla. Fece qualche passo di danza per sgranchirsi le membra intorpidite sul chiaroscuro della tovaglia damascata lasciandosi guidare da una musica immaginaria e dal piacere genuino di quegli occhi infantili colmi d’intelligenza intenti a seguire con interesse ogni sua mossa. Sfoderò tutta l’intraprendenza che possedeva nel percorrere il perimetro quadrato del piano su cui poggiava ben attenta a non scivolare oltre, verso profondità e altezze inesplorate. Continuò fermandosi davanti alla foglia lucidissima e verdissima di un’arancia matura, saggiandone la consistenza provando a dondolarsi con leggerezza, le mani ben salde al picciolo, e la bimba ripensò a pigre giornate estive trascorse nel dormiveglia intrecciando le dita nelle maglie di un’amaca lontana dal vago sapore di salsedine e le sorrise. Decise, allora, di offrirle la polpa sugosa di un acino d’uva maturo e la donna accettò con gratitudine. Insieme ne assaporarono la dolcezza senza pretese a lungo e in silenzio; poi la creatura misteriosa accettò di salire sul palmo di quella manina grassoccia e amichevole per farsi esaminare con la stessa precisione di uno scienziato intento a osservare al microscopio un organismo prezioso e minuscolo poggiato con cura su un vetrino: i capelli lunghi e liscissimi, dalla consistenza setosa. La pelle rosea e compatta del viso. Gli occhi color ambra, mobili ed espressivi. Un corpo femminile sinuoso e morbido appena velato da un abito di consistenza traslucida che alla bimba fece pensare alla sottilissima pellicina dell’acino d’uva appena assaporato. Una fata perfetta e amabile, simile alle tante creature fiabesche da lei conosciute e amate nelle ore di assoluta e compiuta solitudine trascorse nella lettura avida di pagine e pagine di storie senza tempo. A lungo rimasero lì, insieme, avare di parole, comunicando un mondo di idee e sensazioni attraverso le sfumature sottili ed espressive dei loro sguardi sino a quando un rumore improvviso e inaspettato non le fece sobbalzare entrambe, con la sgradevole percezione di essere state appena colte in flagrante. Il persiano di casa osservò sornione la sua giovane padrona dal basso, strofinandosi contro una gamba tornita del tavolo, riflettendo sulla prossima mossa da compiere. La fata portò l’indice alla bocca chiedendole silenzio e complicità e la bambina con delicatezza decise di lasciarla laddove l’aveva, quel giorno, scoperta per la prima volta, accanto ai grani trasparenti e rossastri del frutto che era la sua dimora e attese. L’altra annuì con un sorriso leggero lasciandosi racchiudere con grazia nella sua prigione dorata. La bambina guardò a lungo le due metà ora saldate alla perfezione e non disse nulla. Poi, con fare autorevole, si rivolse al suo antico compagno di giochi invitandolo a seguirla come sempre in giardino. Di quel pomeriggio magico e irripetibile non rimasero che poche stille vermiglie sul candore violato di una tovaglia delle feste e un’aria svagata e pigra ma stranamente appagante offerta dal sole e dal garbino attraverso la finestra aperta su una domenica di dicembre unica e speciale. Lucia Guida
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sottileincanto · 8 months
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Molti anni fa... È incredibile come persone che passano solo per caso nella tua vita vita a volte possano creare impressioni così intense.
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E pensavo all'uomo col mare negli occhi, col volto scavato come una pietra antica.
Scolpito da mille rigagnoli di lacrime e risate con la pazienza delle attese, la dolcezza delle stagioni, le carezze di molti amori.
E pensavo all'uomo con la voce della risacca, il sussurro di mille sassolini che s'accarezzano l'un l'altro.
La corteccia nodosa della lavanda gli ha disegnato le braccia, le rocce aspre e riarse hanno dato forma alle sue mani, la linfa del mirto ha scavato fiumi meravigliosi sotto la sua pelle.
E pensavo all'uomo che sarà il mio prossimo viaggio, la mia terra da scoprire, da respirare, da assaporare.
Da accogliere e trasformare.
Perché scavi in me quegli stessi fiumi, perché non possa più cancellarne i segni, perché io arda e rinasca dal suo stesso identico fuoco.
G.
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wdonnait · 1 year
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Capodanno: Idee per decorare la tavola
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/capodanno-idee-per-decorare-la-tavola/114386?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=114386
Capodanno: Idee per decorare la tavola
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Il Capodanno è una delle festività più attese dell’anno, e la decorazione della tavola è un elemento importante per creare l’atmosfera giusta durante la cena di fine anno. Ecco alcune idee per decorare la tavola a Capodanno in modo originale e creativo:
Utilizzare il tema del fuoco come ispirazione: si possono utilizzare candele, lanternine, fiori rossi e oro per creare un’atmosfera calda e accogliente.
Creare un’atmosfera glamour con elementi luccicanti: si possono utilizzare tovaglie di seta, candelabri dorati, piatti in vetro o in argento per un tocco di eleganza.
Usare i colori del Capodanno come guida per la decorazione: il rosso e l’oro sono i classici colori del Capodanno, ma si possono anche sperimentare con altre tonalità come il blu, il verde o il viola.
Scegliere un tema specifico per la decorazione della tavola: ad esempio, si può optare per un tema di viaggio o di mare, utilizzando elementi come valigie vintage, mappe del mondo o conchiglie per decorare la tavola.
Personalizzare i segnaposto: si possono creare dei segnaposto originali utilizzando materiali come la stoffa, il legno o il cartoncino, decorati con nastri, fiori o altri elementi.
Aggiungere delle decorazioni per il soffitto: si possono appendere palloncini, lanterne o altri elementi sopra la tavola per creare un’atmosfera ancora più festosa.
Inoltre, è importante ricordare di prestare attenzione all’allestimento della tavola in modo da garantire il comfort dei commensali durante la cena. Assicurarsi che ci siano abbastanza sedie, che i piatti siano sufficientemente grandi e che ci siano bicchieri e posate a sufficienza per tutti.
Con un po’ di creatività e qualche tocco di originalità, sarà facile creare una tavola indimenticabile per il Capodanno. Auguriamo a tutti un felice e prospero nuovo anno!
Ricette Per Capodanno
Il Capodanno è una festa in cui si celebra l’arrivo del nuovo anno e si trascorre del tempo in compagnia dei propri cari. Ecco alcune idee per delle ricette gustose da preparare per la cena di Capodanno:
Spiedini di gamberi e avocado: questi spiedini sono facili da preparare e sono perfetti come antipasto. Basta tagliare l’avocado a cubetti e infilzarli insieme ai gamberi su degli stecchini di legno. Poi basta grigliarli leggermente in una padella e servirli caldi, accompagnati da una salsa a base di yogurt e lime.
Zuppa di ceci e salsiccia: questa zuppa è un piatto caldo e confortante perfetto per una serata fredda di Capodanno. Basta far rosolare della salsiccia in una pentola, aggiungere ceci precotti, pomodori a cubetti e spezie a piacere, quindi lasciare cuocere per alcune ore. Servire caldo, accompagnato da crostini di pane.
Filetto di maiale alle spezie: il filetto di maiale è una carne tenera e saporita, perfetta per una cena di Capodanno. Basta marinarlo con spezie come il timo, la senape e il rosmarino, quindi cuocerlo in forno finché non diventa morbido e saporito. Servire il filetto tagliato a fette, accompagnato da contorni come patate arrosto o verdure grigliate.
Cheesecake al cioccolato: per finire in dolcezza la cena di Capodanno, che ne dite di preparare una cheesecake al cioccolato? Basta mescolare insieme formaggio cremoso, cioccolato fuso e biscotti sbriciolati per formare la base, quindi cuocere in forno. Una volta pronta, lasciare raffreddare e servire accompagnata da frutta fresca o salsa al cioccolato.
Speriamo che queste ricette vi diano qualche idea per la vostra cena di Capodanno. Buon appetito e felice anno nuovo!
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti". Oggi l'autore prescelto è Elizabeth Strout e l'opera "Olive Kitteridge". In un angolo del continente nordamericano c’è Crosby, nel Maine: un luogo senza importanza che, tuttavia, grazie alla sottile lama dello sguardo della Strout, diviene lo specchio di un mondo più ampio. Perché in questo piccolo villaggio affacciato sull'Oceano Atlantico c’è una donna che regge i fili delle storie e delle vite di tutti i suoi concittadini. È Olive Kitteridge, un’insegnante in pensione che, con implacabile intelligenza critica, osserva i segni del tempo moltiplicarsi intorno a lei, tanto che poco o nulla le sfugge dell’animo di chi le sta accanto: un vecchio studente che ha smarrito il desiderio di vivere; Christopher, il figlio, tirannizzato dalla sua sensibilità spietata; un marito, Henry, che nella sua stessa fedeltà al matrimonio scopre una benedizione e una croce. E, ancora, le due sorelle Julie e Winnie: la prima, abbandonata sull'altare ma non rassegnata a una vita di rinuncia, sul punto di fuggire ricorderà le parole illuminanti della sua ex insegnante: «Non abbiate paura della vostra fame. Se ne avrete paura, sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi». Con dolore, e con disarmante onestà, in Olive Kitteridge si accampano i vari accenti e declinazioni della condizione umana – e i conflitti necessari per fronteggiarli entrambi. E il fragile, sottile miracolo di un’altissima pagina di storia della letteratura, regalataci da una delle protagoniste della narrativa americana contemporanea, vincitrice, grazie a questo “romanzo in racconti”, del Premio Pulitzer 2009. Olive Kitteridge è una signora alta e corpulenta dai capelli grigi, l’aria impenitente, schietta e leggiadra, conosciuta per le proprie opinioni taglienti suddivise tra tempeste di rabbia e risate profonde. Da sempre ha mal sopportato le chiacchiere, pur continuando a vivere in un luogo di chiacchiere, una donna che non si è mai mostrata umanamente cordiale ed educata, a cui non piace stare sola ma ancora meno in mezzo alla gente. Olive attraversa le strade, entra nelle case, osserva, si interroga, dialoga, spesso mantenendo un cauto riserbo, scruta e conosce gli intimi segreti di tutti, conserva e custodisce gelosamente i propri. La sua storia si specchia nella storia di Crosby e dei propri abitanti a cui da sempre appartiene, ne è stata l’insegnante, la incontrano per strada, nei caffè, nei luoghi di culto, spesso chiedendosi come abbia fatto il marito Henri a sopportarla per tutti questi anni. Una cittadina, un angolo di mondo che ha assorbito innumerevoli presenze, c’è chi inevitabilmente ritorna alla ricerca di un’ origine remota, della dolcezza e della comodità di un tempo, chi invece partirà cercando di spezzare il cordone ombelicale della memoria. Un romanzo intenso con una scrittura lineare che alterna e subisce gli umori della protagonista, costruito su tanti piccoli momenti ed istantanee del presente e della memoria che sanno scendere nel profondo. Paesaggi mutevoli, dialoghi intensi, silenzi protratti, attese, partenze, ritorni, la vita quotidiana ed il mostrarsi delle storie possiedono una certa delicatezza d’insieme, armonia narrativa e vivida presenza. Elizabeth Strout (1956) vive a New York con il marito e la figlia, ed è originaria del Maine. Ha insegnato letteratura e scrittura al Manhattan Community College per dieci anni e scrittura alla New School. Suoi racconti sono apparsi in numerose riviste, tra le quali il «New Yorker». Con "Amy e Isabelle" (2000), acclamato da pubblico e critica, e vero e proprio caso editoriale, il suo primo romanzo, è stata finalista al PEN/Faulkner Prize e all'Orange Prize, e ha vinto il Los Angeles Times Art Seidenbaum Award per l'opera prima e il Chicago Tribune Heartland Prize. Con "Olive Kitteridge" (2009) ha vinto il Premio Pulitzer.
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sciatu · 3 years
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Ravioli-rosa-di-pesce-spada-e-cernia-grigia; Ravioli ripieni di Cernia ;ravioli di spigola con sugo di pescespada ; Ravioli neri ripieni di pescespada; Ravioli-di-melanzane-con-sugo-di-pesce-spada ; ravioli-con tartare di pescespada ; ravioli-ripieni-di-pesce spada con burrata finocchietto e vongole; ravioli-di-pesce-spada con ricciolo di limone; ravioli ripieni di pescespada con pomodori Pachino; Ravioli-a ghiotta ripieni di pescespada
Un amore in tre atti unici - Atto secondo
FEBBRAIO 2020 - SAPERSI
Guardò la rampa di scale, l’ultima prima di arrivare al pianerottolo di casa sua. La osservò rendendosi conto che era tornata a casa senza far caso alla strada fatta, presa com’era dai suoi pensieri e dal nulla che la circondava. Ormai, con il lockdown, tutte le strade erano vuote e solo le macchine della polizia o dei carabinieri le popolavano di inquietudine. Lei tornava sempre a casa di corsa senza neanche alzare la testa a guardarsi intorno perché, ormai, non c’era nulla da guardare. Era tutto strano, con tutti quei morti al nord e l’attesa che il male arrivasse pure nell’isola facendo una strage perché gli ospedali siciliani non erano come quelli del nord. Salì l’ultima rampa di scale ed incominciò ad aprire con un gran rumore di ferraglia il suo portoncino. Si aprì la porta alla sinistra della sua, quella della signora Carmela e la vecchia con la sua figura minuta e i capelli bianchissimi apparve con una busta di plastica in mano
“Signora bonasira – esordì – è venuto il signor Giuseppe e le ha portato qualcosa da mangiare. A noi ha portato il pane e una teglia di salsiccia e patate, ai Romeo una teglia di pasta al forno: con i loro tre figli e il marito disoccupato, gli ha fatto un bel pensiero. Il signor Giuseppe è una bella persona, meno male che c’è gente come lui picchì si no ni ittiriumu unu a scippare l’occhi all’ autru (incominceremmo a strapparci gli occhi l’uno all’altro).”
Lei la ringraziò e dopo due parole di circostanza entrò in casa.
Da quando i ristoranti erano chiusi, Giuseppe le portava ogni giorno la cena. Lei appoggiò il sacchetto sul tavolo e lo aprì. In un portavivande vi erano dei ravioli di gamberi e pescespada in un brodo di crostacei. Solo l’odore la ripagò della tristezza della giornata. Si cambiò ed incominciò a mangiare con la televisione accesa ma con il volume al minimo. Non aveva voglia di sentire parlare ancora di morti e di dolore. Nel sacchetto c’era anche una bottiglia piccola di Rapitalà , lei si riempì il bicchiere e andò a sdraiarsi sul letto. Sul comodino vi erano i menù del ristorante di Giuseppe. Aprì quello emozionale e lesse la descrizione dei ravioli:
“Una nuvola di pescespada impreziosito dall’amorevole dolcezza mediterranea del prezioso gambero rosso, in una sottilissima sfoglia di pasta solare, il tutto cucinato in un delicato ed intenso brodo di scampi e cicale, esaltato da pezzettini di aromatica triglia di scoglio e di freschissime verdure di stagione.”
Sorrise. Giuseppe sapeva descrivere le cose in un modo bellissimo. Prese il menù Sensuale e lesse lo stesso piatto
“La passione amorosa del pescespada sposata con la dolcezza sensuale del gambero unite per la vita in una sfoglia di morbida ed appassionata pasta, sottile come il sospiro di una innamorata vogliosa. I ravioli si amano sospesi nel mare della vita addolcito dall’intensità degli scampi e delle cicale, in un unico abbraccio amoroso con i frutti della terra. Piatto dedicato a chi ama i sottili piaceri della vita, l’amore inteso come dolce continuo desiderare e gustare, il sesso come lento cammino verso il piacere”
Sorrise ancora. Guardò l’orologio, doveva chiamare i suoi e sentire come stavano ed ascoltare le disgrazie di famiglia. Nella mezzora di discussione finì il vino e la pazienza. Per cui tornò in cucina a mettere il piatto nell’acquario in mezzo a tanti altri sporchi e a preparare la caffettiera e la tovaglietta per la colazione. Fece in fretta perché Giuseppe l’avrebbe chiamata alle ventidue precise, un appuntamento che dava senso alla sua giornata.
Alle ventidue si sdraiò sul letto e attese. Il cellulare si illuminò mostrando un piatto di tagliolini con astice.
“Quindi io sarei una a cui piace continuamente desiderare e gustare?”
“Certo, hai una sensualità compressa, il giorno in cui la renderai libera sarai una tigre del sesso”
“Oh povera di me! Mi stai dando della Messalina repressa,”
“Sto dicendo che sei un albero che ancora non sa fiorire”
Decise di cambiare discorso
“Sei ancora arrabbiato per l’altra volta?”
“Sto metabolizzando e pensando. Non mi aspettavo che reagivi in quel modo”
“È che non sopporto che mi si stia vicino, che mi si tocchi”
“Questo lo posso capire. Non capisco come mai non mi vuoi dire perché. Poi ti stavo abbracciando, non ti stavo strozzando.”
“Ecco – sentì che tutto le stava sfuggendo di mano, che non vi era una spiegazione se non quella vera, quella che non voleva dire – poi magari ne parliamo di persona … ora, al telefono non mi viene facile”
“Neanche di presenza ti viene facile … sembra che non ti fidi di me …”
“No, non è questo … non ti so spiegare … Per favore parliamo di altro, mi fai sentire sotto processo”
“Come vuoi, ma se qualcuno ti lancia un salvagente mentre anneghi non puoi voltarti dall’altra parte”
“Non sto annegando!!!”
fece lei esasperata in modo secco ed arrabbiato.
Giuseppe restò in silenzio per quasi mezzo minuto
“Ti sono piaciuti i ravioli?” esordì improvvisamente
“Si molto buoni, tua madre è molto brava”
“Si, continua a cucinare per tutti. I fornitori, quei quattro contadini e pescatori che ci forniscono, le hanno detto di pagarli poi con calma, quando riapriremo, ma lei li continua a pagare regolarmente, come se ancora facessimo il tutto esaurito”
“Come mai?”
“Dice che se ci fermiamo tutti, i soldi non girano più e tutto si blocca. Per fortuna, con la storia che sono tutti a casa e che molti non escono neanche per la spesa, ci ordinano pranzi completi da consegnare a casa, e restiamo in pareggio”
“È un brutto momento. Vedere tutti quei vecchi che aspettano al freddo e sotto la pioggia fuori dalla posta il loro turno è angosciante. Speriamo che il lockdown serva a qualcosa…”
Continuarono a parlare di quelle cose banali che si dicevano sempre e lei si rese conto che stavano parlando per sentirsi ancora vicini malgrado il suo scatto nervoso di prima. Giuseppe le dava corda perché voleva tranquillizzarla ma lei sentiva che anche lui era come imbarazzato.
“Ora sono stanca – gli disse improvvisamente – ci sentiamo domani”
Probabilmente lui guardò l’orologio e sicuramente notò che stavano finendo prima del previsto.
“Va bene, riposati, ciao”
concluse brevemente
“Ci sentiamo domani mattina … ti chiamo io … ciao ciao”
Si sentiva in colpa. Giuseppe non voleva essere insistente. Capiva che lei aveva dei problemi e voleva aiutarla, ma lei … lei non era pronta. Forse non lo sarebbe mai stata, ma adesso meno che mai. Con tutta questa provvisorietà, tutto questo casino che stava succedendo, non era il momento di parlare del passato. Di dissotterrare fantasmi, demoni e fobie. Si certo, il loro era un rapporto strano, anche lui se ne era accorto. Prima che lei andasse dai genitori a Capodanno l’aveva invitata in campagna con dei parenti e amici. Era la loro prima uscita, un modo di rendere ufficiale quello che già dentro di loro sapevano. Qualcuno si era messo a suonare uno di quei balli paesani, la Cumparsita o un un'altra musica latina. Lui l’aveva tirata in mezzo alla sala a ballare. Lei era andata sperando che con lui non avrebbe avuto problemi. Invece appena l’aveva stretta in lei era incominciata l’ansia, più lui la stringeva, più lei sentiva crescere in se la paura, un inquietudine angosciante, una sensazione di soffocare e di dover fuggire. Gli disse sottovoce “lasciami, basta”, ma lui felice perché lei era li con lui di fronte a tutti i suoi, sorrise e continuò a girare seguendo la musica. Fino a che lei non si mise ad urlare “Lasciami, lasciami, ti ho detto di lasciarmi” e si divincolò restando nel silenzio assoluto e con tutti i presenti che la guardavano stupiti. Lei li guardò, poi corse al suo posto a prendere il soprabito e scappò fuori. Lui l’aveva rincorsa chiedendole scusa, che non gli sembrava di averla importunata più di tanto, ma lei gli disse solo di portarla a casa, che era stanca.
Da allora non si erano più visti e se lui chiamava lei gli rispondeva che non voleva parlare, che era troppo presa. Non andò più al ristorante e da allora ogni sera si trovava davanti alla porta la cena calda. Dopo una settimana lo chiamò per dirgli di non mandare più niente: Giuseppe rispose che era sua madre a mandargli i piatti pronti, lui sarebbe venuto di persona e piano piano rincominciarono a parlare, principalmente di notte, quando i telegiornali avevano finito di contare i morti e i positivi e facevano vedere camion piene di bare e strade vuote. In quella penombra di morte che copriva ogni città ed ogni quartiere, nel risentirlo lei scopri che ne era felice. Che forse aveva sbagliato a non dire le cose come erano. Ora, quella sera, avevano di nuovo litigato. Non che avessero veramente litigato, ma quel suo scatto era stato un eccesso imprevisto, come quello di quando ballavano. Il senso era sempre quello. Lei che non riusciva a parlare. Ma Giuseppe non aveva colpa, non doveva sempre trattarlo così. Non era giusto.
Richiamò
“E’ successo qualcosa?”
“No, volevo chiederti scusa per prima. Mi sono saltati i nervi per la stanchezza”
“non era la stanchezza lo sai”
“No, è che in ufficio mi fanno disperare”
Lui restò in silenzio, poi iniziò con una voce seria
“Ascolta, con questa pandemia non siamo a niente, ma non saremo mai a niente se continuiamo a parlarci a distanza e distanti l’uno dall’altra. Proprio quando tutto è provvisorio come ora che bisogna fare delle scelte e trovare dei punti fissi di riferimento. Ti sto chiedendo solo di parlarne per incominciare a trovare la nostra strada.”
“Ma è solo stanchezza, quando passerà e il virus scomparirà, tutto diventerà normale”
“Facciamo così: io tra un ora sono li da te sotto casa. Se mi mandi un messaggio salgo e ne parliamo seriamente, se no saremo sempre qui a parlare come gli innamoratini e presto ce ne stancheremo. Una relazione non dura se non capiamo chi è che abbiamo davanti. Possiamo dirci tutte le parole del mondo ma se non diciamo mai quelle vere, quelle che dicono chi siamo, non diciamo nulla”
“Hai ragione ma non è così semplice, poi c’è il coprifuoco…se ti fermano cosa dici? Che hai la zita che ha le paranoie? Cerca di essere pratico”
“Fra un ora sono li. Tu sei più importante di qualsiasi multa. Se non mi fai salire sarò li domani e dopodomani ancora, finché non parleremo o ci lasceremo.”
Chiuse la telefonata.
“Il solito testardo e presuntuoso. Per me te ne puoi restare fuori per tutta la notte ... “
Pensò arrabbiata. Prese il bicchiere andò a cercare un po' di vino. Non ne trovò perché con il Covid non aveva più tempo di fare la spesa. Si arrabbiò, il vino l’aiutava a cacciare i demoni e a non averne paura. Decise di farsi una lunga doccia e di lasciare sul tavolo il cellulare così da non rispondere al suo messaggio. Quando non avrebbe avuto risposta se ne sarebbe tornato a casa con le pive nel sacco. Andò in camera da letto e si spogliò. Quando lo faceva non guardava mai lo specchio dell’armadio, ma quella volta era tanto arrabbiata con lui che non se ne ricordò e quando si levò la canottiera di cotone, si vide allo specchio. Restò sorpresa e si osservò. Le cicatrici brillavano sotto la luce riflessa dello specchio. Erano tante, lunghe e dritte o curve e qualcuna serpeggiava da un fianco all’altro per come quei demoni gliele avevano fatte. Malgrado i dottori avessero fatto miracoli si vedevano ancora e in certe parti il suo corpo sembrava sformato e irregolare o cresciuto a casaccio. Cosa ne poteva sapere lui, non aveva sentito come lei i loro corpi contro il suo impotente ed ormai un giocattolo su cui sfogare tutto il male che una fantasia malata poteva immaginare. Lui non poteva sapere la violenza, l’umiliazione, il dolore, l’orrore che c’era nell’essere usata, nel subire tra le botte e lo schifo, le voglie di un altro. Lui non poteva saperlo e non era colpa sua. Lei aveva sbagliato a crederci, a dargli corda a pensare veramente che la vita potesse anche dare invece di togliere e basta. Non era servito a niente andare in un'altra casa con altra gente, in un'altra vita, i demoni l’avevano seguita e quando durante la festa lui non l’aveva lasciata, lei si era sentita tra le braccia dei suoi diavoli e si era ribellata. Non era colpa sua, non poteva sapere. Lei forse doveva fargli capire che lei … ma non sapeva neanche come definirsi, come spiegare. Non era colpa sua, si ripeteva sotto la doccia. Lui era buono, ma se l’avesse vista nuda, con tutti i segni dei demoni, che cosa avrebbe fatto? e tenerlo lontano, a cosa serviva? Aveva ragione che stare così senza dare o avere vuol dire essere morti. Pensò che lui non si era arreso, insisteva a voler capire e questo non per presunzione ma perché a lei ci teneva. Glielo aveva fatto capire in mille modi! Perché non accettare di mostrare i suoi problemi, le sue fobie, quello che alla fine era? Aveva ragione lui, era meglio trovare il coraggio di chiarire, chiamare le cose con il loro nome
Uscì velocemente dalla doccia e mettendosi l’accappatoio corse in cucina a prendere il telefono. Vi era il suo messaggio di un quarto d’ora prima
“Salgo?”
Rispose subito
“ Si vieni, vieni”
E corse ad aprire la porta cercando di fare il meno rumore possibile. Quando aprì lui era già dietro la porta che sorrideva
“Vieni”
Disse lei e lo tirò dentro chiudendo velocemente.
Lui entrò andando in cucina
“Che casino che c’è..”
Lei si avvicino e senza dire niente lo baciò stupendosi lei stessa di quanto stava facendo e capendo che per quanto lui insisteva a cercarla, lei stessa, a modo suo, lo cercava con la stessa intensità, lo voleva con il suo stesso desiderio e tutti i suoi modi che lo spingevano via, erano solo una maschera con cui nascondere il suo bisogno di averlo accanto. Perché aveva bisogno di essere amata e desiderata da lui e di amarlo e desiderarlo allo stesso modo, con la stessa intensità. Capì che le era mancato, che tutto quel pensare e considerare, ora che c’era lui, non aveva senso se non per ribadire che non poteva tornare indietro facendo finta che tutto era tornato normale. Lui rispose al bacio ma non l’abbracciò. Lei fu contenta di questo e disse che andava un minuto di la a mettersi qualcosa. Dovevano prima parlare, poi poteva accadere tutto quello che doveva accadere, ma prima doveva avere il coraggio di mettere le cose a posto. Andò nella stanza da letto, chiuse la porta e girò la chiave come sempre faceva quando non era sola in casa, poi dal comò prese una mutanda e una maglietta e incominciò a slacciarsi la cinghia dell’accappatoio. Nel fare questo si girò verso la porta e guardandola si rese conto che aveva fatto qualcosa di strano. Aveva chiuso a chiave la porta, quasi barricandosi nella stanza da letto, anche se di là c’era Giuseppe che tra tutti gli uomini di questo mondo, era quello che non avrebbe mai potuto farle del male. Il suo Giuseppe, quello che sapeva cosa lei volesse prima che lo pensasse. Non erano serviti a niente i buoni propositi di prima: la paura guidava ancora le sue azioni consce ed inconsce. Chi le aveva fatto del male era lì con lei, nella falsa sicurezza della stanza da letto, nella prigione in cui i suoi ricordi l’avevano chiusa. Aveva ragione Giuseppe, doveva parlare, doveva dirgli di lei e delle cicatrici, del perché non dormiva la notte e non voleva essere toccata. Buttò sul letto la mutandina e la maglietta e lentamente andò verso la porta e dopo qualche secondo di esitazione girò la chiave e l’aprì. Camminò per la casa con l’accappatoio ancora addosso come se fosse in trance. Arrivata sulla porta della cucina lo vide che stava mettendo in lavastoviglie un piatto.
“Giuseppe …”
lui si raddrizzò e si asciugò le mani con un tovagliolo guardandola, lei si avvicinò e cercò le parole che non aveva mai voluto dire prima.
“… io…volevo dirti, io …”
E si fermò incapace di iniziare a descrivere il mostro che da anni viveva come un diabolico parassita dentro di lei. Allora, disperata perché i suoi incubi le avevano levato la capacità di parlare di loro, di descriverne l’infelice causa ed i terribili effetti, slacciò la cinghia dell’accappatoio e lo lasciò cadere per terra facendo vedere quello che i suoi demoni avevano lasciato sulle sue carni.
Giuseppe continuò a guardarla negli occhi, senza indulgere sul suo corpo o mostrare meraviglia per le offese che vedeva. Lei capì che anche se non l’osservava vedeva quelle cicatrici e con loro tutto il male che le avevano fatto, ma sembrava che non volesse dargli importanza come se non gli interessasse. Voleva dirle che per lui contava solo il dolore che sapeva dentro di lei che le rubava quella serenità che voleva per lei, e che era il loro presente, il loro futuro e non il passato che non meritava di essere considerato. Allora lei prese coraggio e lentamente si avvicinò ancora di più e quando fu a pochi centimetri da lui lo abbracciò goffamente, tremando e vincendo la repulsione che provava perché ora che sentiva il suo calore e il suo profumo capiva che ne era attratta, mentre gli incubi rimasti dentro la sua anima le gridavano di correre via, al riparo del dolore che un altro corpo poteva darle, via a rinchiudersi dentro la stanza da letto, a vivere come una reclusa, una sepolta viva. Ma lei lo stringeva e non voleva fuggire: di tutta la sua vita, sentiva questo momento come l’unico in cui aveva preso per mano il suo destino. Per questo motivo voleva restare stretta a lui come da sempre non aveva mai stretto nessun altro, come un naufrago aggrappato ad un relitto per salvarsi, per non finire annegata negli abissi delle sue paure.
Lui non l’abbracciò, le accarezzava i capelli con le sue labbra, ma non l’abbracciò.
“ Quando te ne sei andata dalla festa mi sono messo a pensare. Ho chiamato un collega giornalista che copre il tuo paese e gli ho chiesto se li da lui fossero successi dei fatti che avessero coinvolto delle ragazze – lentamente incominciò a baciarla in fronte e poi ancor più lentamente sull’orecchio e sul collo, ma non la stringeva ancora – mi ha mandato degli articoli. Una ragazza era stata uccisa ad un passaggio pedonale, una seconda aveva rapinato con un amico una farmacia per rubare del metadone. Una terza era una minorenne – lentamente, usando lo stesso tono di voce continuò a baciarla sul collo e quindi sulla spalla e lei scoprì che il suo toccarla le dava inaspettatamente piacere – questa ragazza fu violentata sul treno che prendeva per andare a scuola nel capoluogo da tre ragazzi che, spaventati da una possibile denuncia, l’avevano picchiata e inferto una ventina di coltellate lasciandola per morta. La ragazza sopravvisse ma dovette subire molte operazioni perché del suo corpo avevano fatto uno scempio – Si fermò a baciare la spalla più volte – nell’ultimo articolo che ho letto, avevano intervistato la madre e lei diceva che sperava che condannassero i tre all’ergastolo perché sua figlia l’avevano violentata nel corpo e nell’anima, tanto che ora non poteva neanche abbracciarla che lei tremava e scappava via perché per lei ogni contatto fisico era il ricordo della violenza”
Tornò a baciarla sfiorandole appena le labbra.
“allora ho capito che avevi i tuoi motivi per non farti mai abbracciare e toccare e che non potevo lasciarti prigioniera di una violenza che per te non era mai finita “
“abbracciami, stringimi... – disse lei con il volto contro il suo petto e gli occhi chiusi – ho bisogno di sapere che tu non sei come quelli”
Lui alzò le mani ad accarezzare le sue spalle poi le fece scendere lungo la schiena e l’abbracciò leggermente, al bacino. La sentiva tremare, ma non si staccava da lui ne rifiutava il suo abbraccio, anzi lo stringeva più forte quasi a chiedergli di proteggerla dalla stessa paura che quell’abbraccio faceva nascere in lei. In quel momento, nel profondo della sua testa, lei era sdraiata su un sedile del treno, una mano le stringeva la bocca per non farla gridare, qualcuno le stava tenendo le gambe aperte, altre mani le stringevano i polsi per tenerla ferma, mentre sentiva un corpo schiacciarla e un dolore tra le gambe che cresceva fino a diventare un fuoco. Si dibatteva disperatamente e qualcuno la prendeva a pugni e schiaffi o la tirava per i capelli. Sentiva dolore ovunque, in bocca aveva sapore di sangue fino che le arrivò un pugno sulla tempia che la stordì e tutto di nuovo fu solo dolore e schifo in un buio assoluto. Avrebbe voluto morire ma si strinse a Giuseppe, dicendosi che era tutto finito. Tutto, finalmente, era finito.
Giuseppe capì che lei stava lottando contro i suoi demoni, era una lotta silenziosa e terribile quella che lui sentiva nel tremore del suo corpo, una lotta per uscire dall’oscurità dei suoi incubi e poterlo amare ed essere amata per come voleva e doveva, per ritrovare la luce di quella impossibile stato d’animo, che chiamano normalità.
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sallyisbrokeninside · 5 years
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C’è una cosa dell’amore che non viene mai spiegata.
Perché forse a parole, sarebbe troppo riduttivo.
Ma c’è qualcosa di diverso in lui.
Nei suoi occhi.
C’è qualcosa di diverso quando respiro il suo profumo pieno di coraggio e meraviglia.
Lui.
Il mio lui è un soldato.
Un guerriero.
Il mio orgoglio.
È il mio lui della vita.
È l’amore della mia vita.
L’amore che immaginavo di volere affianco a me.
Sono i suoi occhi a calamita che non distolgono mai il suo sguardo dal mio.
Sono le sue mani importanti e grandi capaci di lanciare una bomba, ma che sanno proteggermi con dolcezza disarmante nel buio delle notti.
Sono i suoi baci arrivati in ritardo sulle mie labbra per una licenza mancata, che mi fanno capire che siamo in realtà, in perfetto orario.
Nel nostro orario.
Perché non c’è un tempo giusto con lui.
Ci sono solo attese, tante attese.
Ci sono parole sussurrate all’orecchio durante una telefonata fugace di a malapena 2 minuti.
Ci sono solo tanti “forse” e tanti “se” di una vita in due.
Ci sono quei pochi giorni insieme che si contano sulle dita di una mano a fare solo l’amore.
Giorni contati sul calendario e segnati con una grande x.
Giorni passati a guardarsi occhi dentro occhi in silenzio.
A contemplare la meraviglia di averlo di nuovo vicino a me.
Sentirlo respirare insieme a me, sentire i suoi battiti del cuore quando appoggio la mia testa sul suo petto.
Ed essere ogni giorno sempre più fiera di lui.
Aspettarlo e aprire subito le braccia per incastrarlo di nuovo tra le mie mani e le mie ossa.
E dirgli “Ti amo”, sempre, perché non possono farne a meno.
Perché solo lui riesce a disinnescare le mie guerre fatte di nostalgia e distanza accorciando i km che ci separano.
C’è qualcosa di diverso, in lui.
E in me, quando s ono sola.
C’è una canzone che dice” ho messo in tasca un po’ del tuo respiro”.
E io l’ho fatto per le notte insonni passate ad aspettare un suo messaggio o una telefonata che non poteva arrivare.
Un fazzoletto bianco con sopra il suo profumo che sapeva di speranza, sicurezza, pazienza.
E di amore.
Quell’amore che mi fa andare oltre la sua divisa e oltre l’esercito.
Oltre le lacrime amare che ho versato tutte le volte che ho lasciato la sua mano per vederlo ripartire.
Oltre a tutti i conti alla rovescia che ci aspettano per poter sentire di nuovo la sua pelle su di me.
Ed io..
Io sarò sempre qui che aspetto il mio soldato.
L’unico uomo e amore di tutta la mia vita.
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privateclubcultura · 2 years
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Gli Amanti
Una volta entrati in quella casa lei mi guardò con un aria diversa, come se fosse entrata nel mio territorio e sentivo che avrebbe ubbidito ad ogni mio ordine, sarebbe soggiaciuta ad ogni mio volere.
Se ne andò in quell’altra stanza, adiacente a quella dell’entrata nella quale c’era il letto, dove gli amanti si spogliano e si consumano nei calori del sesso.  Quando tornò dov’ero io qualche attimo dopo lei, mentre mi spogliavo, lei era già nuda, nuda e devota, pronta pronta alla dolcezza. al dolore del sesso.
Si prostrò ai miei piedi e attese i miei ordini, la guarda osservare il mio sesso che riempiva i miei boxer, incerta, insofferente, a quella mancanza di quell’ordine che la obbligasse ad agire, a prendere quello per cui era li.
Continuai a spogliarmi lentamente osservandola nella sua sublime eleganza e bellezza.
Schiava carnale. Vergine  di ogni mia azione. L’avrei ribaltata sul letto per tutto quel giorno, così avevamo deciso, e c’era tempo di architettare tutti quei giochi che voleva e che volevo.
Ma ora in quel momento, in quel preciso istante, entrambi avevamo bisogno di una sola cosa e bisognava farla subito, scopare!
Unire i nostri sessi e godere, delle nostre menti, dei nostri corpi, del nostro sesso.
Impudica venerava con gli occhi il mio sesso che avevo liberato dagli indumenti, lasciva seguì la mia mano che prese e che la riportava davanti ai miei occhi a respirare le mie labbra , la mia bocca.
La voltai e la spinsi sul letto su cui lei si piegò con eleganza sporgendosi verso di me col suo fondo schiena, l’accarezzai e ne fu felice perché entrambe le le allargarono le gambe e le accarezzai le porte.
Mi guardò con le braccia piantate sul letto.  Nuda e sospesa nell’attesa di essere presa. Spudorata mosse il suo sedere e si abbassò sul letto
ad offrirsi, m’accostai la presi per i capelli e la sculacciai, poi esaudì quei desideri che si erano concretizzati entrando in quel luogo, presi le sue porte, e vi affondai!
RelaxBeach© (Tutti i Diritti  Riservati.) 15/09/2022  
Testo Originale di  RelaxBeach© ogni riferimento a fatti cose o persone è puramente casuale.
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newsintheshell · 4 years
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Star Comics, gli annunci del Lucca Changes
Novità per tutti i gusti e anche delle attese nuove edizioni!
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Di seguito trovate tutte le novità Edizioni Star Comics per il 2021 (che ricordiamo vanno ad aggiungersi a quelle recenti degli Star Days), divise in cinque blocchi tematici, presentate oggi pomeriggio da Cristian Posocco, Claudia Calzuola e Debora Cioccoloni live dal Teatro San Girolamo di Lucca. 
Per l’occasione, gli annunci di questa nuova edizione di Lucca Comics & Games tutta digitale, opportunamente rinominata Lucca Changes (o scherzosamente Lucca Chotto visto i toni del keynote), sono stati animati  da una speciale guest star: la stella nascente della scena stand-up comedy italiana Yoko Yamada. 
GRANDI RITORNI 
SHAMAN KING (FINAL EDITION) di Hiroyuki Takei
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Discendente di un’antichissima famiglia di sciamani, Yoh Asakura possiede l’abilità di vedere gli spiriti. Pur desiderando una vita tranquilla, il ragazzo parteciperà allo Shaman Fight, un torneo tra sciamani che ha luogo ogni 500 anni con lo scopo di eleggere lo Shaman King, colui che, unendosi al Grande Spirito, trasformerà la grande distruzione del mondo in una grande rigenerazione.
Serie di volumi 35, conclusa - Aprile 2021
CARD CAPTOR SAKURA (25TH ANNIVERSARY EDITION) di CLAMP
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Sakura Kinomoto, vivace bambina di 10 anni, trova nella biblioteca del padre un libro dal nome The Clow. Dopo aver aperto questo misterioso libro ed aver rotto il sigillo, compare un buffo animaletto parlante, chiamato Kerberus, che si proclama come Guardiano del Sigillo, cioè colui che deve proteggere il libro e le carte all'interno contenute. Ma con la rottura del sigillo, le Clow Card sono state liberate, o e ora spetta a Sakura il compito di catturarle, aiutata da Kero-chan.
Serie di 9 volumi, conclusa - Maggio 2021
WHAT’S MICHAEL? (MIAO EDITION) di Makoto Kobayashi
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Michael non è un gatto. Michael è tutti i gatti del mondo. Michael è la somma di tutti gli atteggiamenti del più popolare felino del nostro pianeta. Curioso, coccolone, cacciatore, astuto, malizioso, ingenuo... Quanti altri aggettivi, con relativi sinonimi e contrari, potrebbero essere attribuiti a lui, il signor gatto. Makoto Kobayashi indaga su tutti gli aspetti della vita grottesca, e del mondo che ruota attorno a loro, perché se l’uomo è padrone del mondo, il gatto è padrone dell'uomo. E sa di esserlo.
Serie di 6 volumi, conclusa - Marzo 2021
ALWAYS THE BEST 
ONE PIECE STAMPEDE (ROMANZO) di Eiichiro Oda, Takashi Otsuka, Atsuhiro Tomioka, Tatsuya Hamazaki
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La più grande fiera di pirati, sui pirati e per i pirati: Il Festival dei Pirati. Rufy e il resto della ciurma ha ricevuto un invito dal suo organizzatore, Buena Festa, conosciuto da chiunque come il Maestro dei Festival. Arrivando scoprono un posto fantastico impreziosito da padiglioni bellissimi e tantissimi pirati, inclusi quelli della Generazione Peggiore. Tutti sono subito in fermento, ma…
Volume unico - Marzo 2021
ONE PIECE STAMPEDE ANIME COMICS di Eiichiro Oda, AA. VV.
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Miniserie in 2 volumi, conclusa - Maggio 2021
SUPER DRAGON BALL HEROES - MISSIONE NELL'OSCURO MONDO DEMONIACO di Akira Toriyama, Yoshitaka Nagayama
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Chronoa, la Kaiohshin del Tempo, deve preservare le linee temporali e il corretto scorrere degli eventi storici. Assieme ai guerrieri della Pattuglia Temporale, la guardiana del Tempo dovrà combattere la demoniaca Towa, intenzionata a radunare le Sfere del Drago Oscure per restituire i poteri allo stregone Magicabula affinché questi possa rompere il sigillo dell'Oscuro Regno Demoniaco e trascinare il mondo nel caos.
I fantastici eroi di DRAGON BALL ritornano in questo what if ispirato a una serie di videogame e board game incredibilmente popolari in Giappone!
Serie di 3 volumi, in corso - Maggio 2021
MY HERO ACADEMIA - THE MOVIE: TWO HEROES ANIME COMICS di Kohei Horikoshi
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Dopo la light novel, Star Comics porta in Italia anche l'Anime Comics tratto da questo avvincente lungometraggio uscito anche nelle sale italiane. Midoriya e compagni dovranno affrontare un’avventura fuori programma dandoci tra l’altro occasione di scoprire qualcosa di più sul passato del mitico Allmight. Il grande Hero si reca infatti sulla gigantesca isola artificiale di I-Island per incontrare un vecchio amico, il geniale scienziato Dave, e la figlia di quest’ultimo, Melissa. Ma c’è qualcuno che, con l’obiettivo di distruggere la società degli Heroes, trama in segreto e si prepara a colpire proprio durante il grande raduno scientifico in programma sull’isola...
Volume unico - Aprile 2021
SHOJO POWER  
AKAGAMI NO SHIRAYUKI-HIME (titolo italiano da definire) di Sorata Akizuki
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Shirayuki è una ragazza dai lunghi capelli rossi che incontra il famoso, ma stupido, principe Raji. Questi appena la vede le ordina di diventare una sua concubina. Terrorizzata dall'idea, senza un posto dove rifugiarsi, decide di tagliarsi i capelli e fuggire decide di fuggire in un paese vicino attraversando un fitto bosco. Qui incontra Zen, un ragazzo che curerà le sue ferite...
Dopo il grande successo di YONA LA PRINCIPESSA SCARLATTA, diamo il benvenuto a Shirayuki in questa nuova, emozionante epopea shojo-fantasy!
Serie di 22 volumi, in corso - Aprile 2021
LIVING-ROOM MATSUNAGA-SAN di Keiko Iwashita
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A causa di particolari circostanze familiari, la liceale Miko si trasferisce presso la pensione dello zio. Il primo giorno non inizia nel migliore dei modi: lungo la via verso la nuova casa s'imbatte in un tizio dall'apparenza poco raccomandabile che comincia a seguirla! Ma era tutto un malinteso: il "tizio" in questione non era un malintenzionato, e non la stava seguendo; semplicemente stava tornando a casa – la stessa di Miko, in quanto Matsunaga – questo il suo nome – è un giovane designer che vive proprio nella pensione dello zio, assieme a una schiera di altri inquilini piuttosto... insoliti. Come si evolverà la nuova vita di Miko lontano dai genitori, a contatto con adulti stravaganti e bizzarri? Riuscirà ad adattarsi a nuovi ritmi e nuovi impegni? E soprattutto... che rapporto finirà con l'instaurare col brusco ma premuroso Matsunaga-san?
Uno degli shojo manga contemporanei più briosi e maggiormente apprezzati e richiesti dalla community internazionale, con un protagonista maschile decisamente da urlo!
Serie di 9 volumi, in corso - Maggio 2021
LET IT QUEER 
I MARRIED A GIRL TO SHUT MY PARENTS UP di Naoko Kodama
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Moritomo è continuamente pressata dai suoi genitori, che vogliono che si sposi (con un uomo). La sua kohai le suggerisce di sposarsi, così da zittire finalmente i genitori. La kohai, innamorata da tanto tempo della senpai, alla quale si era già dichiarata una volta, decide di proporre se stessa come sposa, dato che in Giappone è possibile sposarsi in determinate condizioni anche se si è una coppia omosessuale. Cosa riserverà la vita di coppia a queste due giovani donne?
Un'opera frizzante che denuncia in chiave comica le anacronistiche pressioni e aspettative che numerose donne adulte si trovano ad affrontare da parte di famiglia e società.
Volume unico - Aprile 2021
MY GENDERLESS BOYFRIEND di Tamekou
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Wako e il suo ragazzo non hanno una relazione molto comune. Lei lavora presso una casa editrice, mentre lui… è ossessionato dal trucco e dalla moda e cerca di farsi bello per la sua fidanzata, mentre agli occhi degli altri sembra in tutto e per tutto una ragazza. La loro rapporto, spesso frainteso come una relazione fra due ragazze, darà vita a innumerevoli incomprensioni, gag e situazioni comiche fuori dall’ordinario, lasciando anche spazio a tanta dolcezza e romanticismo.
Un manga divertente e a tratti geniale che riesce a toccare con garbo e delicatezza la tematica genderless e la vita di coppia.
Serie di 3 volumi, in corso - Agosto 2021
LIFE - CAMMINANDO SULLA LINEA di Miya Tokokura
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Il serio Ito e lo spensierato Nishi sono due studenti che si incontrano casualmente mentre fanno il loro "gioco della linea" tornando da scuola. Col tempo i due diventano amici, ma piano piano Ito comincia a nutrire dei forti sentimenti per Nishi e un giorno, improvvisamente, lo bacia. Il tempo passa, i due crescono e il loro rapporto di sviluppa… ma le pressioni del mondo che li circonda comincia a diventare sempre più insopportabile. Che i sogni e l'amore della giovinezza debbano piegarsi a ciò che la società richiede a due uomini adulti?
Una storia delicata e dolceamara, estremamente concreta e realistica, ma capace di toccare davvero il cuore dei lettore con una semplicità straziante. Vincitore nel 2018 del Chil Chil BL Awards nella categoria “Best Comics”e Kono BL ga yabai, da poco è stato celebrato in patria anche con un live action.
Volume unico - Giugno 2021
MY SON IS PROBABLY GAY di Okura
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Una graziosa commedia slice of life su di un giovane ragazzo gay di nome Hiroki, che vive tutti gli affanni dell'adolescenza cercando di nascondere – con fatica, visto che è bonaccione e sincero – il suo orientamento sessuale alla sua famiglia. L’opera analizza il punto di vista di sua madre, Tomoko, una donna dolce, ma non ingenua, che intuisce l’orientamento sessuale del figlio, ma cerca in tutti i modi di sostenerlo, senza mai forzarlo.
Fra una gaffe e l’altra si snoda una commedia graziosa, positiva e dai toni leggeri ma ricca di spunti di riflessione, che punta i riflettori su temi sempre attuali come il rapporto genitori e figli e il coming-out, ma soprattutto sull’importanza dell’accettazione di sé e degli altri.
Serie di 3 volumi, in corso - Aprile 2021
SI SALVI CHI PUÒ!
MASHLE di Hajime Koumoto
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In un mondo alternativo in cui la magia viene utilizzata ogni giorno anche per l’azione più banale, nascere senza poteri è una disgrazia, e chi di poteri non ne ha viene considerato un indesiderabile e messo da parte o espulso dalla società. Mash, il protagonista, è un orfanello senza poteri magici che viene trovato da un anziano di buon cuore, che lo cresce nel profondo della foresta lontano da tutto e tutti per proteggerlo. I principali interessi di Mash sono i bignè alla crema e il culturismo, tanto che passa le sue giornate ad allenarsi, acquisendo una forza sovrumana. Ma la sua vita e quella del padre adottivo vengono messe in pericolo il giorno in cui un tipo losco scopre il loro segreto e li ricatta: li lascerà in pace soltanto se Mash si iscriverà all’Accademia MagicaEaston – una sorta di Hogwarts in cui solo i maghi più talentuosi vengono accettati – e dimostrerà di avere i poteri necessari per diventare il mago dell’anno. Mash accetterà la difficilissima sfida? I suoi muscoli e la forza che lo contraddistingue riusciranno a permettergli di prevalere fra incantesimi e sfide di stregoneria?
Grazie al suo riuscito mix di commedia e azione iper spettacolare, nonché di gustose citazioni da celebri universi letterari magici ma anche da opere iconiche del panorama manga, Mashle siè rapidamente affermato come una delle più recenti rivelazioni di quella straordinaria fucina di successi che è «Weekly Shonen Jump», raccogliendo consensi su consensi tanto in patria quanto all'estero!
Serie di 3 volumi, in corso - Autunno 2021
SWEET PAPRIKA di Mirka Andolfo
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In un universo alternativo popolato da angeli e diavoli, la giovane Paprika, newyorchese di origini italiane, è una workaholic dedita anima e corpo alla causa della casa editrice dove lavora. Il successo ha risucchiato la sua esistenza, facendole dimenticare l’importanza del tempo per se stessa e per i suoi cari. Finché a portare scompiglio nella sua vita farà la sua comparsa… un principe azzurro sul cavallo bianco? No, a intromettersi rocambolescamente  nella sua vita sarà il sornione Dill, un corriere ingenuo e avvenente dal fare “angelico” assolutamente lontano dal suo mondo. Sarà l’occasione per Paprika di rimettere in discussione le sue priorità e il suo stile di vita per scoprire cosa desidera veramente? Una cosa è certa: l’incontro-scontro di due caratteri e “stili” così diametralmente opposti daranno vita a un irresistibile terremoto di fraintendimenti, gag e situazioni dolcemente piccanti – senza togliere spazio a tematiche importanti che riguardano l’universo femminile, l’integrazione e l’accettazione di se stessi.
Una commedia sexy a metà tra il diario di Bridget Jones e Sex & The City, con un tocco de Il Diavolo veste Prada: Sweet Paprika è una fiaba contemporanea divertente e accattivante a metà tra il fumetto occidentale e il manga. Un progetto editoriale di cui Star Comics e l’autrice di Sacro/Profano,Contronatura e Mercy – nonché dinumerosi progettiinternazionali per editori del calibro di DC Comics e Marvel Comics – vanno molto fieri e che sarà uno dei titoli più attesi del 2021, visto anche il successo che hanno avuto gli sketch postati dall’autrice sui suoi canali social.
Miniserie in 2 volumi - Primavera 2021
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Autore: SilenziO))) (@s1lenzi0)
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eleanordahlia · 5 years
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     👑     —    𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚   &   𝐞𝐜𝐭𝐨𝐫 𝐚𝐭𝐥𝐚𝐬      ❪    ↷↷     mini role ❫      green            island      18.05.2019  —  #ravenfirerpg
Un'ossessione, una delle forme più comuni in psicologia, era ciò che aveva colpito la mente della Janssen. Pensieri, immagini avevano un unico comune denominatore ed era la persona che lei stessa stava attendendo nell'ingresso di quel centro estetico. In psicologia le ossessioni rappresentavano più comunemente i pensieri o le immagini mentali egodistonici che si presentano insistentemente e senza adeguata motivazione alla coscienza dell’individuo, eppure la mente razionale di Eleanor sapeva il motivo che stava dietro a tutto ciò. Ector Kelley l'aveva vista durante la nebbia tossica che s'era abbattuta su Ravenfire, aveva visto la sua efferatezza, il suo essere così tanto fredda eppure non ne era spaventato, anzi. C'era qualcosa in lui che spingeva l'esperimento ad essere non indifferente, a spingersi oltre quel limite che sempre s'era fissata e soprattutto quella curiosità che la teneva sveglia di notte nel chiedersi chi fosse davvero. I messaggi che si erano scambiati erano stati intensi per alcuni punti di vista, scaltri per altri, ed ancora avevano suscitato anche un altro tipo di interesse nella Janssen, ma quel pomeriggio era un vero e proprio appuntamento. Tacchi altri slanciavano la sua figura, pantaloni aderenti fasciavano le sue curve prima di voltarsi in direzione della porta e osservare quella testata di ricci avanzare verso di lei, con quel sorriso che le avrebbe sciolto qualcosa di molto più profondo.
Ector Atlas Kelley
Ha sempre saputo di avere fascino ed è ancora più consapevole di riuscire a lasciare un segno in qualsiasi persona incontra durante il proprio cammino ma con Eleanor le cose sembrano essere diverse. Più donne l’hanno cercato in modo così insistente ma la Janssen l’ha colpito per ciò che è e che deve nascondere. Il Kelley, più o meno, conosce quasi tutti gli essere sovrannaturali di Ravenfire e di quella ragazza mai ne aveva sentito parlare eppure è esattamente come lui, una Dooddrear arrivata da dove? Tante sono le domande ed Atlas vuole trovare una risposta ad ognuna di esse. In perfetto orario arriva al Green Island pronto ad affrontare quel vero e proprio primo appuntamento in compagnia di Dahlia. « Buon pomeriggio signorina. » Si annuncia così, con voce calda ed un sorriso ad adornagli il viso barbuto.
Eleanor Dahlia H. Janssen
I muscoli delle cosce tiravano, quelli dei polpacci erano rigidi per quei tacchi così vertiginosi che le davano quell'altezza in più da poter guardare negli occhi il suo interlocutore ma non abbastanza. Le labbra scarlatte erano torturare da quella dentatura perfetta che ora affondava nel labbro inferiore. Si sapeva, gli occhi dovevano avere la loro parte ma c'era qualcosa in quella creatura sovrannaturale che ora la stava scrutando con minuzia. La Janssen lasciò scorrere gli occhi sulla sua figura, le spalle larghe, il petto ampio e la vita stretta che portava ai tronchi delle due cosce. Si ritrovò a sospirare silenziosamente lasciandosi però prendere da un'espressione facciale che non nascondeva affatto quanto apprezzasse la vista. « Ector Kelley... » Pronunciò il suo nome gustandoselo come la prima volta al Long Night, ma questa volta con gli occhi ancora più aperti. Non era passato inosservato il fatto che si stessero studiando a vicenda, ma il pensiero dell'esperimento era ancora lì, come diavolo aveva fatto l'uomo a vederla? Che fosse in qualche modo alleato dei Dottori? « A quanto pare siamo pronti a spogliarci... e lasciare che siano le mani a fare il grosso del lavoro, no? »
Ector Atlas Kelley
« Ti piace proprio dire il mio nome e cognome, Mh? » Ghigna Ector e con uno sguardo fugace ma attento squadra la figura di Eleanor soffermandosi su quegli abiti che le mettono in mostra le curve e quel fisico scolpito che ella sa di possedere. Lui, quel giorno, indossa una semplice t-shirt ed un paio di jeans slavati, un outfit che gli piace molto indossare nel tempo libero e, sopratutto, quando è esente dai mille impegni lavorativi e non. « Io sono sempre pronto a spogliarmi. » Aggiunge poco dopo aprendo la porta della spa, luogo scelto dal Dooddrear per quel loro primo appuntamento. Nulla farebbe presagire alla ragazza che, quel incontro, è dettato anche dal fatto di Atlas nel scoprire la verità sulle di lei origini.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Il ghigno che aveva mostrato Ector avrebbe potuto far sciogliere ai suoi piedi fin troppe donne, eppure Eleanor era attratta da lui non solo per il bell'aspetto ma per ciò che nascondeva. Che cosa sapeva davvero di lei? E soprattutto quell'aura di pericolo che lo circondava avrebbe potuto davvero travolgerla? L'esperimento stava correndo sul filo del rasoio e la possibilità di farsi realmente male era più vivida di quanto non volesse ammettere, ma ora che aveva cominciato, perché avrebbe dovuto smettere? Gli occhi della Janssen scivolarono sulla sua figura e l'espressione lascva sul suo volto era la prova che entrambi desideravano ottenere. « Mi piacerà ancora di più quando lo urlerò... » Si voltò in direzione della porta che l'uomo aveva aperto poco prima ed avanzò con una falcata. Era incurante dello spazio circostante, l'attenzione era tutta diretta al Kelley, e ancora quella battutina ebbe il risultato di sfidarla. « Atlas... A quanto vedo però sei ancora troppo vestito per i miei gusti. Credo che gli spogliatoi ci stiano aspettando, no? Non mi è mai piaciuto perdere tempo... E' deludente, non trovi? »
Ector Atlas Kelley
Quello è un chiaro invito a portare quel loro appuntamento per oltre a dei semplici massaggi ma di questo Ector non si preoccupa, non si è mai tirato indietro e del sano sesso non l’ha mai rifiutato a nessuno ma con quella ragazza è diverso, ha davverointenzione di scoprire cosa si cela dietro quel bel faccino e dai modi eleganti e forse un po’ troppo snob. « Se vuoi fare sesso con me potevi dirlo subito, sai? Avrei risparmiato su questa uscita. » Il tono di voce di Ector è divertito ed per condire questa battuta le dona anche un occhiolino, oltre che un ampio sorriso. « Perdere tempo può essere deludente ma può anche aumentare sia il piacere che il desiderio. » E detto ciò si avvia verso lo spogliatoio pronto ad indossare “ abiti “ più consoni a quel posto.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Sbuffò quasi l'esperimento, ritrovandosi a scuotere il capo ma con quel sorriso sulle labbra che sapeva poteva dare ai nervi. Il sorriso saccente, beffardo sulle di lei labbra faceva apparire la Janssen quasi antipatica, ma nessuno realmente aveva mai provato a comprenderla. V'era qualcosa di diverso nel ragazzo che la spingeva verso di lui, ma quella paura che mai avrebbe fatto vedere ad alcuno la faceva rimanere appena titubante. « E perdermi la possibilità di un massaggio? No grazie... » Umettò le labbra quando si voltò in direzione della porta degli spogliatoi. Avanzò così di un paio di passi prima di bloccarsi e girare solamente per un momento il capo e lanciargli così una lunga occhiata. « Preferisco, comunque, fare le cose con calma, vedere fin dove sai spingerti e osservare come sai ingannare questa attesa... Eccitante. Vedremo che cosa sai fare, e riguardo al sesso... Beh, tempo al tempo. Sono curiosa di sapere come saprai aumentare il piacere e il desiderio, no? » Gli strizzò l'occhiolino e riprendendo la sua strada verso lo spogliatoio femminile. Varcò così la stanza che ospitava gli spogliatoi femminili ed Eleanor adagiò la borsa che conteneva il suo cambio. Si spogliò, tirò su i capelli in una coda alta e con l'asciugamano annodato all'altezza del seno che scopriva le sue gambe toniche, si diresse verso la stanza che avrebbe ospitato il massaggio per l'esperimento e il dooddrear.
Ector Atlas Kelley
« Mai sfidare Ector Kelley, dolcezza. » Replica Ector che, a sua volta, si ritira nello spogliatoio maschile dove si appresta a cambiarsi. Si spoglia degli abiti casual che indossa restando con dei boxer neri ed un asciugamano bianco candido che gli copre i fianchi. Ama farsi “ coccolare “ ed ama distendere i nervi con un amorevole massaggio. Quel luogo l’ha frequentato spesso anche senza la compagnia di una bella ragazza come quel giorno ma è comunque un cliente abituale. Appena pronto esce dallo spogliatoio e si avvia alla Sala dei massaggi dove Eleanor lo sta aspettando. La osserva con una lieve attenzione senza sembrare troppo invadente con quello sguardo scrutatore e sorride alla piacevole vista. « L’attesa ha ripagato le tue aspettative? » Domanda con un sorriso mentre la invita ad entrare nella saletta con i lettini per i massaggi.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Quelle semplici cinque parole ebbero il potere di incendiare l'animo dell'esperimento che si ritrovò a fantasticare con la mente. Gli sguardi che si lanciarono poco prima che entrambi sparissero all'interno dello spogliatoio erano piuttosto eloquenti, tuttavia la di lei risposta si sarebbe fatta attendere il tempo di levarsi tutti gli abiti di dosso. Una volta uscita vestita con la morbidezza di quell'asciugamano che avvolgeva le sue curve sinuose, attese non più di qualche istante prima che il petto ben scolpito di Ector fosse davanti a lei. Ogni muscolo sembrava essere disegnato e scolpito ed improvvisamente la bocca della Janssen fu decisamente più asciutta. Si ritrovò così ad umettare le labbra cercando invano quella salivazione che sembrava essere scomparsa. Un sorriso malizioso che ricordava quello del primo incontro velò le sue labbra prima di rispondere. « Direi di sì, soprattutto perché apprezzo molto ciò che i miei occhi stanno guardando... » Confessò prima di avvicinarsi ai due lettini paralleli che occupavano gran parte della stanza. Erano bastate non pià che un paio di falcate ed ora le cosce nude s'appoggiavano alla pelle del lettino, sciolse così il nodo dell'asciugamano che aveva all'altezza del seno lasciandolo cadere a terra con un movimento deliberatamente sensuale. Lo stava stuzzicando ma non per questo aveva dimenticato nella sua mente quale fosse l'obiettivo. Che male c'era però nel divertirsi e lasciarsi avvolgere da quello sguardo così predatorio che sembrava avere Ector? « Credo di farlo proprio ora, Ector... Ti sto sfidando, no? »
Ector Atlas Kelley
Nonostante anche la vista di Ector sia ben appagata non lo lascia trapelare e mantiene un’espressione composta dinnanzi a quel fisico dalle curve perfette e simili a quelle di una vera dea. Sente lo sguardo di Eleanor su di se e quanto lo compiace talmente tanto che non riesce a trattenere un sorriso soddisfatto di chi ha l’ego ormai arrivato al limite del possibile. « Mai giocare troppo in fretta le proprie carte. » Ghigna appena mentre si bea di quello spettacolo sexy ed invitante e con lo sguardo segue l’asciugamano cadere a terra lasciando in bella vista un seno sodo, nudo, perfetto ed uno slip in pizzo nero a coprirne il basso ventre. Si contiene, si obbliga a non apparire indebolito da ciò che sta osservando e gustando interiormente. « Vai in palestra Janssen? » Ghigna di nuovo mentre si avvicina al proprio lettino e slega a sua volta l’asciugamano legato in vita e restando solo con i boxer neri.
Eleanor Dahlia H. Janssen
L'indecisione non era mai stato un sentimento appartenuto alla Janssen, e anche in quell'occasione l'esperimento si dimostrò sicura di sé, conoscendo perfettamente le reazioni di un uomo. Con qualcun altro non avrebbe osato così tanto, si sarebbe mossa in modo sensuale ma senza mostrare alcunché, ma il dooddrear sapeva toccare i punti giusti, pizzicandola come si fa con una corda di violino. Ma nonostante l'attrazione che ella sentiva verso il Kelley, Eleanor si costrinse a mantenere uno sguardo attento, compiaciuto della vista certo, ma senza tradire quanto lui potesse scavare nel profondo. Era la sua ossessione personale, ma fino a dove avrebbe potuto spingersi? La giovane sbuffò quasi a quella battuta, mostrando un sorriso sghembo, una vera pokerface. « Ho ancora in mano la partita, Kelley... Dal primo momento. » Inarcò un angolo delle labbra alzando poi una spalla in un movimento fluido e allo stesso tempo incurante di quello sguardo che sembrava mangiarla con gli occhi. Era abituata ad essere osservata, studiata con minuzia, ma quello di lui aveva un altro sapore. Il di lei sguardo scivolò sul movimento del dooddrear mostrando quella piccola V che segnava perfettamente quella vita stretta, fianchi perfetti e due lunghe cosce tornite: decisamente un bel vedere, non c'era che dire. Le pupille si dilatarono, chiara conseguenza di ciò che stava osservando, ma nonostante ciò, ella ridacchiò. S'avvicinò maggiormente al lettino che l'avrebbe ospitata, si distese prona piegando così le braccia sotto il proprio capo che volse nella sua direzione. Aveva una visuale perfetta del suo corpo, dei suoi muscoli e quella visione l'avrebbe custodita, ma qualcosa dentro di lei la fermava. Eccitazione, mistero, tutto si mischiava dentro di lei ma quella sua riservatezza sembrava andare in frantumi ogni volta che Ector fosse presente. « Madre natura è stata piuttosto generosa... Con entrambi a quanto pare, ma sì, capita di andare anche in palestra. Mantenersi in forma è come mantenere viva una conversazione, un rapporto, ci vuole impegno e costanza, no? » Affondò i denti nel suo labbro inferiore e nonostante non apparisse turbata dalla sua vista, Eleanor apprezzava non poco quel fisico che si chiedeva che cosa fosse davvero in grado di fare.
Ector Atlas Kelley
« L’unica cosa che hai in mano è la tua convinzione, Janssen. » Non ha mai amato perdere uno scontro e tanto meno uno verbale nei quali vuole e pretende avere sempre l’ultima parola. Se Eleanor vuole giocare, lui giocherà ma sarà lui a dettare le regole, sarà lui a decidere come ella si muoverà lasciandole credere che ogni decisione verrà presa da lei. Si stupirà anche, magari, le farà davvero credere che tutto è accaduto per caso ma alla fine della partita ci sarà un unico vincitore e questo sarà lui. Ha capito che la donna nasconde segreti, domande e che ha accettato quel invito per un motivo preciso solo che non ha ancora capito cosa l’ha spinta davvero a pensare di aver a che fare con un principiante. Ella è perfettamente a conoscenza di ciò che Ector è capace e quella notte di caccia è servita ad entrambi per conoscersi meglio e per studiarsi ed è da quella notte che Atlas ha capito di aver a che fare con una novizia, un Dooddrear che ancora non è in grado di capire ed usare al meglio quel gran potenziale che tutti sembrano odiare. L’attrazione fisica è più che palese dato che persino le massaggiatrici si sentono a disagio. Ector sente il profumo di quelle emozioni negative, sente la frustrazione e la vergogna di entrambe per trovarsi in quel posto ed in quel momento e di tutto ciò può solo che gioirne. « Credo che madre natura serva a ben poco Se non si possiede la costanza e la voglia di diventare ciò che si desidera. » Sorride e con un gesto del capo invita le due dipendenti ad iniziare ciò per cui sono pagate.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Peccare di convinzione era uno di quei difetti che aveva impregnato da sempre la vita della Janssen, ma c'era da dire che sapeva perfettamente fino a che punto spingersi. Il fatto che l'uomo di fronte a lei la dia quasi per scontata, la divertì facendole sorgere sulle labbra un sorriso pressoché beffardo. Rimase tuttavia in silenzio, giocando la carta dell'indifferenza, almeno per il momento. Assaporò il profumo di quegli oli essenziali che invadevano le loro narici, socchiuse perfino gli occhi nel godersi quel meritato relax, ma senza dimenticare che accanto a lei v'era un predatore, pronto ad avere l'ultima parola a qualunque costo. Stesa prona su quel lettino, osservava da un'angolazione perfetta il suo panorama, e quella sensazione di disagio provenire dalle dipendenti della SPA era il toccasana che ci voleva. Godettero di quelle sensazioni, e nonostante Eleanor probabilmente non si trovasse allo stesso livello del dooddrear, ella sapeva perfettamente cosa fare. « Quindi siamo d'accordo... » Replicò senza realmente mettere un punto di domanda a quell'affermazione. L'esperimento si lasciò così far avvolgere da quell'attrazione che impregna l'aria, le loro narici e solo quando le due massaggiatrici cominciarono il loro lavoro, Eleanor lasciò andare un sonoro respiro. Quelle emozioni negative, quel senso di disagio che avvertivano entrambi non fecero altro che alimentare la loro attrazione, quell'eccitazione che poteva perfino toccare. « Ed in ogni campo ci vuole impegno e costanza, non solo per vedere i suoi bei addominali saltare a destra e sinistra. Ad ogni modo, se ti limiti solamente alla prima facciata, Atlas... Mi deludi, sai? »
Ector Atlas Kelley
Le loro conversazioni così criptiche farebbero innervosire chiunque dato che, in sostanza, si stanno semplicemente studiando a vicenda senza dire nulla di così eclatante e, chissà, magari di nemmeno così interessante ad orecchie indiscrete come quelle delle due massaggiatrici. Ector riesce a captare la curiosità nel viso della ragazza che si sta occupando di Eleanor ed è così tentato di entrarle nella mente per scoprire a cosa sta pensando che si obbliga a distogliere lo sguardo per evitare di cadere in tentazione e rovinare quel appuntamento che è ancora agli inizi. « Siamo d’accordo, certo. » Risponde con un sorrisetto malandrino mentre socchiude gli occhi per bearsi di quelle mani esperte che gli stanno massaggiando la schiena, ammorbidendone la muscolatura ed eliminando lo stress accumulato durante quei mesi davvero assurdi. « E quale sarebbe la tua prima facciata, Dahlia? Quella della donna vissuta? Quella della mangia uomini? O quella della ragazzina venuta da lontano che è restata affascinata da questa cittadina? » Se Ector si fosse soffermato sulla prima impressione che la Janssen gli ha donato sarebbero finiti a letto, probabilmente, la stessa sera della sagra quando lei ha dato spettacolo di se stessa con quella mazza da baseball tra le mani.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Quello scambio così criptico avrebbe potuto far scappare la pazienza ad un santo eppure le due creature si stavano semplicemente studiando. L'ossessione che Eleanor aveva sviluppato nei suoi confronti aveva raggiunto seriamente livelli altissimi, eppure nella tranquillità di quella stanza, sotto gli occhi delle due massaggiatrici, la Janssen aveva ancora il controllo. Il sorriso malandrino del dooddrear non fece altro che alimentare l'eccitazione dell'esperimento che ora si sentiva quasi scoperta. Le mani della professionista accarezzavano le sue spalle, sciogliendo i punti in cui ne aveva più bisogno, tastavano e spingevano dando sollievo alle spalle della donna che ora si ritrovava ad affondare i denti nel suo stesso labbro. « Sono una semplice ragazza che ama i massaggi, non credi? » Cercò di mantenere un tono di voce naturale, senza che tradisse l'eccitazione che provava, eppure i pensieri che si stavano creando nella sua mente rappresentavano i due completamente nudi intenti nel dare il massimo del piacere all'altro. Ricordava perfettamente il loro primo incontro, da quel momento era cominciato un gioco, una sfida silenziosa in cui mostravano la loro bravura nelle strategie, una partita, tuttavia, che Eleanor voleva ancora giocare. « Le facciate sono fatte per essere distrutte, annientate dal prossimo, fino a che non ne rimane alcunché, esattamente come fa un cane con il proprio osso... Quale secondo te più mi si addice? La mangia uomini? Credo che se così fosse io e te saremmo finiti a letto insieme tanto tempo fa... » La punta della lingua saettò sulle sue labbra disegnandole, mentre quello sguardo che non perdeva nemmeno un dettaglio si soffermò sul suo viso, e quell'espressione protagonista dei sogni più spinti.
Ector Atlas Kelley
Purtroppo i loro discorsi non possono essere diversi da ciò che esce dalle loro labbra. Non possono lasciarsi sfuggire nulla di compromettente, in quella stanza sono presenti due ragazze, per lo più umane e completamente all’oscuro del esistenza del mondo sovrannaturale, che non possono di certo diventare complici dei pensieri dei due Dooddrear. Ector continua a farsi massaggiare, deve rilassarsi, è quello lo scopo di quel appuntamento no? Ovviamente vuole scoprire molto di più su quella ragazza ma se il tutto è condito da del sano relax sarebbe risultato molto meglio. « Tutti amano i massaggi ma, a prima vista, avrei detto che sei una ragazza che ama gli sport che implicano l’utilizzo di mazze. » Ed ecco che ritorna su quella notte, ecco che riporta i ricordi alla sagra del paese dove quasi tutti sembravano completamente privi di senno e di volontà propria. Se Eleanor fosse stata davvero così pericolosa e psicopatica avrebbe dato spettacolo sempre e non solo in quella occasione. C’è qualcosa sotto ed Ector è davvero tentato di scoprire cosa, ovviamente usando le adeguate accortezze per evitare di finire in guai che non saprebbe gestire. « I cani, solitamente, li sotterrano gli ossi. » Replica voltandosi di nuovo verso di lei e in quello sguardo legge chiaramente l’eccitazione che la pervade. « Quella che più ti si addice? Non credo che ce ne sia solamente una ma, quella della ragazza per nulla indifesa che ha trovato la sfortunata a Ravenfire, è quella che ti calza più a pennello. » Ghigna, fiero di quella risposta e consapevole di aver probabilmente centrato il punto più delicato della donna. « E, per precisare la facciata della mangia uomini. Io non sono tipo che si fa mangiare al primo appuntamento. »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Istinto e ragione, eppure nella quiete di quella stanza, nessuno dei due poteva concedersi di assaporare il gusto della perdita di controllo. Le due umane presenti sarebbero state un effetto collaterale non da poco, e ciò che avevano inculcato nella mente dell'esperimento era il fatto che dovesse mantenere, sempre e comunque, un basso profilo. Aveva già ceduto una volta di troppo in compagnia dell'uomo che le stava accanto, ma in quell'occasione, l'eccitazione e la brava avevano preso il sopravvento senza alcuna possibilità di fermarsi. E perché poi avrebbe dovuto? Rimase per un momento in silenzio, e il fatto che Ector avesse tirato fuori il discorso della sagra cittadina, rianimò nuovamente l'interesse della Janssen. Ancora si chiedeva che cosa avesse visto, ancora si chiedeva come era successo, ma quella battuta non era stata detta senza cognizione di causa. « Ci vuole maestria anche nel volteggiare una mazza. » Umettò le labbra non distogliendo nemmeno per un momento lo sguardo dalla sua espressione facciale. L'eccitazione che avvertiva si stava mischiando a qualcosa di più torbido, a qualcosa di decisamente più oscuro. « I cani prima rosicchiano e poi forse lasciano il ricordo del loro passaggio sotterrando gli ossi, ad ogni modo, chissà potresti avere ragione come no. » La verità nelle parole di Ector era solamente parziale e il fatto che avesse azzeccato buona parte della sua storia non significava che l'avesse compresa, anzi. Scosse così il capo mentre si lasciò andare ad un lieve gemito di piacere con quella maestria che stava dimostrando la sua massaggiatrice. « E io non apprezzo il tutto e subito. L'equilibrio tra la giusta attesa e fare centro è tutto, ed ecco perché non siamo ancora andati a letto insieme. Sembra però che tu mi conosca più di quanto non dia a vedere, e tutto questo è tutto fuorché una coincidenza. »
Ector Atlas Kelley
Il discorso sta diventando forse un po’ troppo intimo per lasciar quelle due massaggiatrici nei paraggi. Ector non si fida quasi di nessuno, figurarsi di due perfette sconosciute che sicuramente amano il gossip più del loro stesso lavoro; con un cenno appena percettibile della mano destro le invita a fermarsi e ad andare, ringraziandole con un cordiale saluto. « Lavoro impeccabile. Vi ringrazio. Ora ci attende la sauna. » Spiega mantenendo un’espressione rispettosa ed educata mentre si mette seduto su quel divanetto in attesa che le due escano dalla porta riservata al personale. « Ci vuole maestria anche nel volteggiarla senza temere le ripercussioni delle nostre gesta. » Asserisce non appena restano soli ed è certo che nessuno di gradito stia origliando al di là della porta in legno. « Credo che il discorso dei cani possiamo abbandonarlo, non credi? A volte, gli animali, sono molto più intelligenti di noi esseri umani e sanno nascondere meglio di noi ciò che non vogliono far trovare. » Discorsi forse un po’ troppo criptici ma è certo che Eleanor capisca perfettamente dove il Kelley sta andando a parare. « Noi saremmo finiti a letto insieme solo se io l’avessi deciso. Non ritengo di far parte di quella categoria di uomini Zerbino che venderebbero persino la propria anima al diavolo per del sesso. » Ci tiene a puntualizzare sfoderando un ghigno contornato da quella barba un po’ spettinata a causa della posizione precedente. « Non è così difficile capirti mia cara Eleanor e che sia una coincidenza o no dovresti dirmelo tu. »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Era bastato un attimo prima di osservare l'espressione di Ector farsi decisamente più concentrata su di lei. Aveva liquidato velocemente le massaggiatrici che in fretta erano uscite dalla stanza, lasciandoli così completamente soli. Non diede nemmeno uno sguardo alle donne che avevano abbandonato la stanza, quello sguardo attento era concentrato su una persona solamente. Rimasta a pancia in giù con le mani sotto il capo e l'asciugamano che copriva parzialmente il suo corpo, aveva girato la testa nella sua direzione. S'era presa così un momento, osservava i suoi occhi celesti dipingersi di una tonalità più scura mentre valutava, nella sua mente, quanto potesse essere a conoscenza. Troppe erano le cose che Ector sembrava conoscere, troppe erano le cose che sembravano essere delle semplici coincidenze. « Sembra che tu sia piuttosto convinto di te stesso, tuttavia le cose si fanno in due... E ricordo come mangiavi con gli occhi il mio fondoschiena quando ci siamo conosciuti. » Replicò con lo stesso ghigno dell'uomo, certa che il Kelley avesse perfettamente chiaro che tipo di donna avesse davanti. Si ritrovò così ad umettare le labbra inizialmente per poi sostituire quell'espressione in una decisamente più piccata, ma con quel sorriso beffardo che dava letteralmente ai nervi. « E sentiamo che cosa avresti capito di me, mh? » Era una sfida bella e buona, ma Ector l'avrebbe accettata? Si voltò con tutto il corpo sul fianco, piegando un braccio su cui resse il capo. Avvicinò l'asciugamano che la copriva fino a coprire così la linea del seno. Si sentiva quasi esposta in quel momento, ma quella curiosità la stava facendo avvicinare sempre di più.
Ector Atlas Kelley
« Purtroppo, o per fortuna, sono sempre stato abbastanza sicuro di me stesso e, come ben sai, le cose belle vanno sempre guardate. Non sei d’accordo? Altrimenti non saprei come spiegarmi quel tuo sguardo sempre posato su di me e sul mio corpo. » È un ghigno quello che compare sulle labbra di Ector, un ghigno compiaciuto di chi sa di aver fatto centro e di aver la vittoria in pugno. Non ha mai negato la bellezza disarmante di Eleanor ma, mai, ha pensato di far terminare quella loro conoscenza tra le lenzuola costose di un grande e comodo letto almeno finché non fosse riuscito a capire con esattezza come ella sia riuscita ad uscire da Ravenfire nonostante la vera natura che nasconde dietro quel bel viso e quel corpo dalle curve perfette. Si alza, ora, non si premura nemmeno di rimettere l’asciugamano attorno alla vita perché sa che l’occhio curioso di Eleanor finirà per posarsi proprio sull’unica parte di lui coperta dai boxer. Con l’indice le sfiora la pelle morbida e vellutata del braccio, sorride, ignora quel seno che si intravede e sposta il polpastrello sempre più su: avambraccio, spalla, collo per fermarsi sotto il mento. Con una leggera pressione la obbliga ad alzare la testa nella di lui direzione anche se sa benissimo che quello sguardo è sempre posato su di se. « Nascondi un segreto. La tua mente è un turbinio di pensieri e di sentimenti che non riesci a placare. La tua anima è dannata, i demoni la stanno logorando così velocemente che prima poi faranno cadere e distruggeranno la maschera da ragazza viziata e perfetta che tenti disperatamente di mantenere. Ma la mia domanda è una solamente. Da quanto tempo è iniziato questo tuo percorso verso gli inferi? »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Era una sfida velata quella che Eleanor aveva lanciato a Ector. Sapeva che il dooddrear non avrebbe perso l'occasione di dire qualcosa che avrebbe potuto turbarla, o peggio aprirle gli occhi su quanto lei fosse un libro aperto per lui. Eppure le sue prime parole la fecero alterare, il fatto che fosse stata così debole da far scoprire il suo sguardo, le sue intenzioni, ma Ector aveva qualcosa che la attraeva, che la spingeva costantemente verso di lui. Non si trattava del fatto che lui fosse bello e sexy, ma piuttosto qualcosa a livello inconscio, qualcosa che la stessa Eleanor aveva intravisto grattando la superficie. La Janssen decise di rimanere in silenzio, umettò appena le labbra mentre quello sguardo rimase puntato sul quel ghigno. Quando il Kelley si alzò in piedi mostrando tutti quei muscoli guizzanti, Eleanor dovette mettere a dura prova se stessa per non far cadere lo sguardo su qualcosa che stava decisamente più in basso dei suoi occhi. Lo guardò avvicinarsi, bagnarsi le labbra con la punta della lingua fu l'unico movimento che lei fece. Un brivido di eccitazione cominciò a correre lungo la di lei schiena, scatenato da quel contatto con le loro membra, un piccolo e quasi inesistente contatto: avambraccio, spalla, clavicola per arrivare a quella parte sensibile appena sotto il mento. Qualcosa di più profondo si stava smuovendo in Eleanor, qualcosa che partiva dalla base dello stomaco, qualcosa che nasceva e si muoveva, qualcosa che le aveva fatto perfino inturgidire i capezzoli al di sotto della spugna dell'asciugamano. « Atlas... » Un gemito, un soffio spirato nel silenzio di quella stanza ora pregna di un'odore inconfondibile. Non era un caso che l'avesse chiamato con il suo secondo nome, come lui la chiamava Dahlia, aveva assaporato il movimento della lingua che aveva compiuto per pronunciare il suo nome, eppure ciò che davvero la colpì furono le sue parole. Gli occhi erano agganciati al di lui sguardo, impossibile poterlo distogliere, eppure con un rapido gesto la Janssen afferrò il polso del dooddrear affondando le dita nella sua stessa carne. Cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe dovuto lasciare che Atlas continuasse quella battaglia volta a metterla in ginocchio? O avrebbe dovuto combattere come il suo animo le stava suggerendo di fare? Tutte quelle affermazioni erano veritiere, sentiva la sua anima dannata divincolarsi dentro di lei, ma quello sprazzo di lucidità le fece capire esattamente che cosa il Kelley volesse sapere. « Da quando sono venuta al mondo... » Rispose mentre con un movimento languido si mise seduta lasciando che l'asciugamano scivolasse alla base della vita. Seduta con i piedi penzoloni su quel lettino, rimase con la mano chiusa attorno al di lui polso mentre il seno, ormai libero, non nascondeva più la sua eccitazione. Tuttavia, erano ad un bivio in quel momento, ma che cosa sarebbe successo?
Ector Atlas Kelley
È una chiara eccitazione quella che si respira in quella piccola stanza adibita ai massaggi ma Ector è più forte, Ector ha imparato a non cadere in tentazione, ha imparato a controllare se stesso e quegli istinti primordiali che in una bestia come lui sono mille volte più forti rispetto ad un semplice essere umano. Nato preda, nato vittima è lentamente diventato predatore e carnefice e non sarà di certo una donna attraente come Eleanor a farlo crollare. La Janssen può avere il potere su chiunque ma non su quel Dooddrear che la sta sfidando non solo a parole ma anche con uno sguardo glaciale che rispecchia quanto lui si senta sicuro di se stesso. È allietato da quel contatto, ha sempre amato la bellezza e la perfezione e queste sono due caratteristiche che ella possiede, assapora quei movimenti lenti ma decisi di quella lingua che viene passata in modo sensuale su labbra carnose, gesto che non lascia di certo spazio all’immaginazione ed è un chiaro invito ad osare, ad averle. Ed infine avviene quel contatto deciso dove Eleanor prende in mano la situazione, o meglio credo di aver compiuto un atto di forza che dovrebbe impaurirlo ma che lo fa solamente sorridere, ed è in questo momento che il Kelley capisce che con lei può osare fino all’esasperazione. Nemmeno quel nome mormorato fa scattare quel membro ben stretto in boxer attillati seppur egli desideri possederla su quello stesso lettino complice di quel loro incontro. « Dahlia. » Replica con lo stesso tono che ella ha utilizzato poco prima senza però opporre resistenza a quella morsa, non ancora, attende con pazienza finché la risposta che attende giunge carica di menzogna ed è qui che lui rompe quel silenzio con una fragorosa risata. « Ah, mia cara Dahlia. » Aggiunge quando L’ilarità di quelle parole scema a tal punto da farlo tornare serio, impassibile. Predatore. Con un movimento rapido del braccio rivolta la situazione ed ora è lui che stringe il braccio di che piega verso la di lei schiena ora completamente nuda come quel seno che mostra tutta l’eccitazione che è riuscito a provocarle. Si abbassa per recuperare l’asciugamano sfiorandole con le labbra e con il proprio respiro la pancia, l’addome ed il seno fino a ricoprirla come se nemmeno quel gesto sia riuscito a smuoverlo. « Risposta sbagliata mia dolce Eleanor. » Sussurra al suo lobo mettendo più forza in quelle dita che le stanno stringendo il braccio. « Ti pongo di nuovo lo stesso quesito e sono davvero curioso di sapere se sarà l’intelligenza a prevalere sulla stupidità... — sospira riportando lo sguardo in quello di lei — ... da quanto, / Dahlia / ? »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Non era raro che la Janssen sfidasse i propri limiti ma mai una volta era stato qualcun altro a farlo, mai qualcuno come Ector Kelley. Fin da quando era venuta al mondo, Eleanor aveva posseduto quella determinazione e quella caparbietà che l'avrebbe portata lontana, ma quando tutto era successo, quando tutto era cambiato nel suo DNA, anche il suo carattere s'era rafforzato. Quel barlume di lucidità che le aveva permesso di mentire al dooddrear era ancora lì, pronto per essere sfruttato e solo quando sentì la forza da lui esercitata, il ghigno sulle di lei labbra diventò decisamente più ampio. Non importava che la vedesse nuda, non importava che vedesse l'evidenza della sua eccitazione, non importava che osservasse l'effetto fisico che lui poteva avere su di lei, Eleanor era stata creata. Uno sbuffo fuoriuscì dalle labbra dell'esperimento. « Atlas, Atlas... » Sussurrò per quanto potesse. Quelle dita callose la eccitavano, il dolore la galvanizzava e quella situazione era di fatto la migliore che potesse desiderare. Aveva sentito le labbra accarezzarle la pelle accaldata, il respiro scivolarle addosso, ma quella forza aveva fatto sì che il calore che Eleanor stava provando, si propagasse anche nella parte più profonda di lei. Con un rapido movimento, la scena cambiò facendo sì che la Janssen dovette tirare in fuori il petto, bloccata da quella presa ferrea, o almeno apparentemente. Il ghigno sulle di lei labbra divenne più ampio, un gemito si elevò nel silenzio della stanza rotto dai loro ansimi, e solo quando fu così il turno della Janssen di stringere maggiormente la presa sul polso di Ector, ella riuscì a scivolare da quella posizione intricata. Avvicinò il volto fino a ritrovarsi a ben pochi centimetri dalle sue labbra, lasciò la lingua seguire il contorno delle proprie labbra, umettandole prendendo così tempo e alzare lo sguardo su di lui. « Sei così accecato da ciò che pensi di sapere... Atlas, poteva terminare in modo nettamente diverso questo incontro... » Con la mano destra tracciò il profilo della sua erezione coperta dai boxer prima di sogghignare e allontanarsi. Raccolse l'asciugamano che prontamente coprì nuovamente il suo corpo nudo avviandosi così verso la porta. Solo quando la aprì, Eleanor si fermò voltandosi ancora una volta nella sua direzione con un'espressione apparentemente seria. « Non si è mai trattato di intelligenza o stupidità, Kelley ma di sopravvivenza. »
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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isabelamethyst · 5 years
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      👑👠     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄       𝐢𝐬𝐚𝐛𝐞𝐥 𝐚𝐦𝐞𝐭𝐡𝐲𝐬𝐭   &   𝐣𝐚𝐱𝐨𝐧       ❪    ↷↷     mini role ❫       isabel's           home       12.01.2019  —  #ravenfirerpg
Le vacanze natalizie erano da sempre quel periodo dell'anno in cui Isabel faceva i suoi bilanci, dai più semplici come quanti libri aveva letto durante l'anno, a quelli più importanti come le persone a cui teneva maggiormente. Non era passato però inosservato agli occhi della mora, la mancanza di una persona, nonostante lei stessa in quel periodo si fosse ritirata dedicandosi maggiormente alla famiglia. Ricordava il suo ultimo messaggio — in cui avvertiva della sua partenza —, e anche la serata trascorsa a casa della giovane, in cui si erano confidati ciò che più li tediava ma dopo quella sera, uno dei suoi migliori amici sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Era conoscenza della diatriba tra Jaxon e Axel, e anche quanto il primo stesse male, ma il fatto di sentirsi completamente inutile stava mandando in bestia la giovane Hughes. Non sapeva esattamente dove fosse andato, le sue ultime parole furono poco più di un mugugno, ma in cuor suo sperava che prima o poi si presentasse alla sua porta dicendole che tutto andava bene. Quel sabato sera decise di rimanere a casa, avrebbe bevuto un bicchiere di vino, guardato magari qualche serie divertente su Netflix prima di andare a dormire. Gli esami erano ormai alle porte e che lo volesse o meno, era tempo di rimboccarsi le maniche. Si rilassò buttandosi sul divano, allungò una mano sui popcorn che aveva appena sfornato dal microonde e prese il telecomando, quando sentì suonare alla porta. Chiuse gli occhi per un momento sperando che chiunque fosse andasse via, ma quell'insistenza cominciava a darle ai nervi. Si alzò velocemente e senza pensarci aprì la porta d'ingresso, ma solo quando vide il viso di Jaxon si bloccò.
« Jax... Jaxon? »
Domandò con voce incredula, totalmente spiazzata dal vedere alla sua porta il suo migliore amico, e all'apparenza anche alla grande.
Jaxon Hill
*a Jaxon è dispiaciuto non pocoper il modo in cui ha avvertito la ragazza della sua partenza. Sa di non essere stato carino e che Isabel non merita di certo un comportamento del genere, ed è per questo che, invece di scrivere solamente un messaggio per avvertirla del suo ritorno, si presenta a casa sua con un vasetto di Nutella di quelli giganti con sopra scritto "I'm Sorry". Non sa quanti supermercati e minimarket ha girato per trovarlo, ma ne è valsa la pena per una persona che tanto l'ha aiutato ed ascoltato quando ne aveva bisogno. Quando gli apre, la guarda con un sorriso imbarazzato e le porge il vasetto affinché legga la scritta... Non è bravo a chiedere scusa e spera che lei non lo odi troppo per averla abbandonata così* Ehi... Sono tornato... *le spiace solo non portarle buone notizie... Non dirle che quel periodo di assenza l'ha aiutato, che ora ha il cuore libero e pronto a ricominciare la sua vita. Ama ancora Axel come il primo giorno, gli fa ancora malissimo la loro separazione, ma la sua vita gli è mancata di più, quindi ha deciso di tornare...Ha deciso che lui non merita la sua rinuncia ad ogni legame e tutti ciò a cui tiene. Gli ha già spezzato il cuore, non lascerà che si prenda anche la sua vita*
Isabel Amethyst M. Hughes
La voce incredula della Hughes ruppe quel silenzio che si era venuto a creare. Davanti a lei si trovava uno dei suoi migliori amici, in carne ed ossa, e nonostante il dolore che lui stesso le aveva provocato con la sua sparizione improvvisa, un peso sembrò scivolarle dal petto. Ci impiegò qualche istante prima di poter rispondere, anche solo con un gemito alla vista dell'amico, che senza nemmeno pensarci si lasciò addosso in un forte abbraccio. Tastò le sue spalle, gli afferrò anche il viso per guardarlo negli occhi prima di lasciarlo libero e osservare il vasetto che teneva in mano. « Non ci credo... Sei davvero qui? » Abbassò poi lo sguardo sul vasetto di Nutella e un sorriso assolutamente divertito comparve sulle sue morbide labbra. Indietreggiò di qualche passo spostandosi così dalla soglia di casa e lo fece accomodare. « Allora mi conosci ancora... Sapevi che non potevi presentarti a mani vuote. Dai entra, stavo per mettermi a guardare un film o una serie, ancora non ho deciso. Ma soprattutto comincia a vuotare il sacco! »
Jaxon Hill
*sorride all'abbraccio della ragazza, stringendola a sua volta forte, con dolcezza. È così felice che la ragazza non lo odi e non lo mandi via per essere sparito così, anzi ciò gli fa capire che quando si vuole davvero bene a qualcuno, lo si capisce anche quando non si condividono le sue scelte, non gli si volta le spalle* Sono davvero qui, sono tornato e ho pensato di venire di persona da te stavolta, niente messaggi. Ho fatto bene? *si accomoda dentro, guardandola con gratitudine, non ha parole per ringraziare le persone che lo stanno accogliendo di nuovo nelle loro vite senza batter ciglio, davvero, gli stanno dimostrando un affetto maggiore di quanto immaginasse. Ridacchia quando la ragazza asserisce che il dood la conosce ancora... Come potrebbe dimenticare la sua amica di film e scorpacciate? Isabel è unica* Certo che ti conosco ancora, non saranno certo qualche mese passato alla casa al lago dai miei a farmi dimenticare di te! Posso unirmi a te per questa visione? O disturbo? Vorrei avere di più da raccontarti, ma non è cambiato molto con il mio allontanamento, ho solo capito che mi siete tutti mancati e che non devo rinunciare alla mia vita per quello che è successo fra me e Axel...soffro già abbastanza.
Isabel Amethyst M. Hughes
Ancora non riusciva a credere che uno dei suoi migliori amici fosse proprio lì, davanti a lei. A lungo aveva pensato a Jaxon, chiedendosi come stesse e se nel caso avesse avuto anche bisogno di aiuto. I messaggi che la Hughes aveva inviato non erano stati nemmeno presi in considerazione, ma il fatto di ritrovarselo lì a pochi passi da lei, annientava tutta la rabbia che Isabel aveva provato. Inoltre, poteva davvero biasimarlo per il suo comportamento? Probabilmente anche lei si sarebbe comportata alla stessa maniera. Il sorriso che era comparso non appena il giovane le si era palesato davanti si era ampliato e rispose solamente con un cenno d'assenso con il capo. Ancora non riusciva a parlare, e per Isabel era decisamente strano. « Accomodati e comincia dal principio... Vuoi, nel frattempo, qualcosa da bere? E nessun disturbo, mi fa solo che piacere averti qui, esattamente come ai vecchi tempi! » Domandò la Hughes prima di passare per la cucina e prendere un paio di bicchieri per lei e l'amico. Aveva organizzato tutto ma non aspettava nessuno, tanto meno una visita così inaspettata. Attese qualche istante la risposta e quando sentì il giovane cominciare a parlare, ella si bloccò, si voltò nella sua direzione e sentì il cuore stringersi in una stretta sempre più forte. « Okay, per questo discorso credo che ci voglia qualcosa di forte... Vino va bene? Sono contenta però che tu sia qui, e finalmente hai capito che scappare dai problemi non serve assolutamente a niente... »
Jaxon Hill
*Jaxon al contrario non può credere che nessuno delle persone a cui tiene è arrabbiato con lui per la sua sparizione, anzi sono tutti così felici di rivederlo. Lo sorprende e lo commuove anche, anche se non lo ammetterebbe mai* Ti ringrazio e decisamente mi va qualcosa da bere. Del vino sarebbe perfetto. No, scappare non mi è servito a nulla, la mia sofferenza si è spostata con me e non è sparita come speravo. Sono ancora innamorato follemente di Axel e soffro ancora come un cane da quando mi ha lasciato.... Fine, questo è ciò che ho da dire... Ti prego dimmi che tu hai belle novità *sospira, sconsolato, seguendola in cucina come un bambino che strascina i piedi e abbracciandola poi quando le "passa il testimone"*
Isabel Amethyst M. Hughes
Per affrontare quel tipo di discorsi la Hughes necessitava qualcosa di ben più forte che una bibita gasata e il suo amore per il vino rosso ormai era piuttosto rinomato. Era contenta di aver ritrovato finalmente l'amico, non era arrabbiata per la sua improvvisa sparizione, perché tutto sommato un poco lo capiva: chi non avrebbe fatto lo stesso al suo posto? Ella fece un lungo sospiro, si diresse dapprima in cucina e per prendere i calici e una bottiglia di vino rosso, per poi riempirli. Ne offrì uno all'amico, che sembrava più affranto di quanto non volesse apparire. « Jaxon, scappare dai problemi non è mai servito a nulla... E te lo dice una persona che sta ancora cercando di farci i conti. Per quanto soffra a dirlo, bisogna andare avanti, aggrapparsi al passato non serve a niente... » Si ritrovò a scuotere appena il capo mentre ripensava a quanto sarebbe potuta essere diversa se fosse rimasta a New York. « Io? La mia vita è una calma piatta... Mi spiace deluderti. Ho iniziato il college, ma questo già lo sapevi, ma potrei raccontarti che sono in una situazione di stallo con Eliza Rodriguez... Ci siamo incontrate qualche settimana fa. »  
Jaxon Hill
*accetta molto volentieri il bicchiere di vino, dopo essersi accomodato sul divano, aspettando che la ragazza lo raggiunga. Gli piace che sia rimasto tutto esattamente come prima di sparire, lo conforta averla al suo fianco, è sempre stata una brava amica e una splendida persona, oltre che una fantastica modella per le sue foto. Sapere di averla al suo fianco gli da forza in più per affrontare la situazione con Axel* Lo so...l'ho capito mentre ero dai miei e tutto il dolore era comunque con me, unito a quanto mi mancasse la mia vita. *mentre la ragazza le parla di sé, sordeggia e apprezza il vino, ascoltandola ovviamente. Poggia poi una mano sulla sua e la stringe. Jaxon è sempre stato così, strano e decisamente troppo espansivo per essere un dooddrear, ma a lui piace essere diverso, essere se stesso* Tu lo sai vero, che se vuoi e ne senti il bisogno, puoi parlare e sfogarti con me... Io farò del mio meglio per darti i consigli migliori che mi vengono in mente
Isabel Amethyst M. Hughes
La mente di Isabel aveva cominciato a vagare, pensando a possibili scenari di vite diverse se non si fosse trasferita altri anni fa, ma tutto quel pensare era assolutamente inutile in quel momento. Il fatto che si sentisse ferma in qualche modo era dovuto principalmente a lei e a nessun altro. Ma nonostante quel suo dramma interiore, la ragazza era contenta che l'amico di sempre fosse di nuovo al suo fianco. La giovane si ritrovò a serrare appena le labbra dopo quel suo consiglio all'apparenza duro, eppure veritiero. Quante volte aveva pensato al passato prima di riuscire a capire che avrebbe dovuto lasciarlo andare? Solo quando sentì le successive parole dell'amico, la Hughes annuì con vigore e ricambiando quella stretta di mano intensa. Con quello sguardo sembrava che gli amici stessero parlando una lingua tutta loro, come se non avessero bisogno di altre parole. Ella fece un lungo sospiro prima di rispondere. « Lo so, sei sempre stato un ottimo amico. Ci siamo sempre aiutati, ed è per questo che mi è dispiaciuto quando te ne sei andato senza dirmi niente... Ad ogni modo, ora brindiamo al tempo perso, con la promessa che, qualunque cosa succeda, ci saremo per l'altra. » Aveva parlato sinceramente e, facendo tintinnare il cristallo del suo bicchiere contro quello dell'amico, brindarono insieme prima di godersi la serata in compagnia dell'altro.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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shantiamore · 5 years
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...é che sono da sempre corrente e spugna, fuoco e cerino, l'anfiteatro la sorgente e la grotta, una flotta di navi pronte a salpare, mare dentro mare fuori, fiori non colti ma lasciati essere... non sono portata per la danza (così mi han detto) eppure sono un'ancestrale e prepotente cassa di risonanza... mi è sempre piaciuta l'armonia e quando penso, quando scrivo, quando liquido il mio spirito cerca il corsivo più bello, sento musica tra le pareti del mio castello... ho sempre amato la libertà delle note tra gli accordi, gli azzardi melodiosamente consonanti coi miei sguardi d'amore, ho sempre nutrito il cuore, fatto l'amore con le rime, le assonanze, le evocazioni cariche d'infinito e non ci avevo mai pensato amore mio, per dio...eppure ho sempre sognato anche le rotture. Le rotture tra le stelle, i lampi nel cielo, tra il sereno di una notte magica e l'arcobaleno di un giorno di sole, dopo un temporale... le spaccature e le crepe nei muri, quelle imprecise e arrivate al momento giusto, quelle che fanno posto ad uno spiraglio di luce, ad un'entrata diversa, immediata, sproporzionata rispetto alle attese. E' che sono da sempre corrente e spugna, fuoco e cerino, caverna e grembo e mi piace la musica dentro, l'accordo musicale che sale dal collo dell'utero fino alla gola, ma ho voglia di qualcosa che spacchi, che buchi e che bruci, una mano giocosa che entri amorosa nell'anima mia... in fondo le crepe sulle pareti le ho sempre amate, amo la dolcezza si ma anche le cose salate... un buco, al centro, una crepa ai lati, un tocco che per un momento infranga l'armonia rispettando la melodia...ho voglia di vento e lampo, di un tuono fresco, di cantare su una musica che senta parole nuove. *La Bruja del Viento*
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clairinwonderland · 7 years
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Notte di pigiami pesanti e capelli raccolti. Notte di romanzi e di lenzuola fresche. Bello l'odore di bucato. Notte di proverbi: “Chi la dura, la vince”, “La speranza è l'ultima a morire”, “Chiusa una porta, si apre un portone” - a me basterebbe pure una finestrella che affacci sul mare. E qualcuno che mi cinga le spalle con dolcezza. Notte di canzoni, di mappe e di valigie. Voglio le atmosfere fumose degli anni '30, i bicchieri di whisky, i sigari e i pittori surrealisti, il charleston, le prime calze di nylon e lo Chanel n.5. Notte di dolcissima trepidazione, attese, memorie e facce pulite di serenità. Notte di stelle da perderci il conto. E di costellazioni da disegnare con la punta delle dita. Voglio un messaggio mentre dormo che dica, più o meno, così: “Ciao, non sapevo come entrare nei tuoi giorni ed allora ho pensato di scriverti mentre, probabilmente, stai sognando. Perciò, se non riuscissi ad abitarti la vita, proverò almeno ad abitarti i sogni”.
Antonia Storace
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pangeanews · 4 years
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“Ho sofferto così tanto che sono stata espulsa dall’altro mondo”. Le poesie & i diari di Alejandra Pizarnik
Una ipnosi nel vetro: l’acustica di Alejandra Pizarnik è sinistra, sotto vuoto; sa di essere espulsa da tutti i mondi – dal giacimento dell’incomprensione estrae verbi-pugnali, di cristallo. “Una scrittura densa, fino all’asfissia, ma fatta con nient’altro che con ‘vincoli sottili’ che permettano la consistenza innocente, su uno stesso piano, del soggetto e dell’oggetto, così come la sovrapposizione delle frontiere abituali che separano io, tu egli, noi, voi, essi. Alleanze, metamorfosi”, scrive, nel dicembre del 1964. Niente è salvo, ma esiste quel periglio innocente – tra la parola bugiarda e quella che sbugiarda – che pare un bosco bianco. C’è sempre qualcuno che muore, però, per nutrire l’innocente.
*
Nel 1964 la Pizarnik è a Parigi, da anni: di questo mondo non trova il punto di giuntura, i volti, umani, gli paiono cani, nodi, asperità, triangoli che separano sguardo da sapienza. “Un giorno forse, troveremo rifugio nella realtà vera. Intanto, posso dire fino a che punto sono in disaccordo?”, scrive in I posseduti tra lillà. Non ha neanche trent’anni, quell’ispirata giovinezza presa a unghiate. Il 5 ottobre di quell’anno – ma il loro anno è il ’63, s’erano conosciute, l’anno prima, a Parigi, entrambe attratte dall’abisso, dai libri come sequenza di pozzi, vuoti – le scrive Cristina Campo: “Mia cara amica, il mio cuore mi aveva detto che qualcosa di spiacevole doveva essere successo. Perfino la busta della Sua lettera era pallida, come se volesse anticipare da dove veniva. Ci rassicuri al più presto. (Ha un telefono? La chiameremo). Non ho nemmeno capito se l’hanno operata o solamente curata, e nel primo caso, di cosa? E Sua madre, ne è stata informata? Non crede che debba esserlo? Tutte queste ombre – e la distanza – sono di una tristezza opprimente. Io stessa sono a letto, pare che il mio cuore si sia dilatato, a causa delle tante preoccupazioni. Un sudore orrendo, colpi di pugnale. Nulla di nuovo: ma mio padre è ammalato, mia madre a malapena in convalescenza; Elémire solo. Autunno inoltrato – che cerco di accettare con dolcezza, gli occhi negli occhi chiari di due angeli terribili: il dott. Cechov, il dott. Céline”.
*
Nel libro formidabile, La figlia dell’insonnia (Crocetti, 2020; la curatela è di Claudio Cinti), appena edito per festeggiare l’acquisizione di Crocetti da parte di Feltrinelli, una poesia della Pizarnik alla Campo, s’intitola Anelli di cenere.
Stanno le mie voci al canto Perché non cantino loro, i grigiamente imbavagliati nell’alba, i camuffati da uccello desolato nella pioggia.
C’è, nell’attesa, una voce di lillà che si spezza. E c’è, quando si fa giorno, una scissione del sole in piccoli soli neri. E quando è notte, sempre, una tribù di parole mutilate cerca asilo nella mia gola, perché non cantino loro, i funesti, i padroni del silenzio.
Tutto ciò che sancisce un patto, in questa poesia (anelli; voce; parole; asilo; sole), si scinde, si spezza, come mani dalle dita d’acqua (spezza; scissione; neri; mutilate; funesti). Ci si lega, sembra, perché, dopo, la separazione sia implacabile – ogni incontro ha in seno l’asperità del lutto. La poesia viene accolta in Los trabajos y las noches (1965). Quando la riceve, è l’ottobre del 1963, la Campo risponde, preoccupata: “Comunque, bisogna curare la Sua insonnia… Non oso interrogarLa sul significato reale della Sua insonnia, ma se lo desidera me ne scriva pure, La prego… Anche i Suoi versi mi preoccupano da questo punto di vista. Vedo, credo di vedere la Sua vita come la bella gabbia terribile che non vede l’ora di “trasformarsi in uccello”. Soffra in questa gabbia se è necessario (so bene che non si può abbreviare il tempo dell’incanto, della stregoneria) ma non la renda, mia cara, una gabbia di ferro…”.
*
La tensione all’aforisma, al bagliore eracliteo, alla fiammata serafica, inevitabilmente ustiona, presuppone l’erma del morire. “E soprattutto guardare con innocenza. Come se nulla fosse, il che è vero”, scrive in Vie dello specchio. Quaderno della vita intima, cella delle torture, confessionale, lucida in una solitudine priva di dio (“Come chi non ama la cosa. Nessuna cosa. Bocca cucita. Palpebre cucite. Dimenticai. Dentro, il vento. Tutto chiuso e il vento dentro”), di chi si sceglie la trappola. Un’opera, d’altronde, è sempre un modo per approssimarsi alla morte – con inelegante e speziata spavalderia. “Ma la mia notte, nessun sole la uccide”. Battibeccando, ieri, pensavo, l’egotismo è lecito finché si annienta in un’opera, altrimenti è insopportabile. Pensano di sapere, gli umani, al posto di accettare la liturgia, di stare al criterio del miracolo, senza burocrazie dell’intelletto, barometri che valgano per la sanità di mente. Credono sia data la stazione eretta, credono sia eletta, duratura, cuspide del rango – in verità, una nobiltà rara è nella creatura orizzontale, all’orizzonte, pronta allo scatto, o che striscia, sibilando un valore secolare, non dissimile alla lava.
*
“Invitata ad andare nulla più che fino al fondo”, scrive la Pizarnik, in certi versi terminali – frasi appoggiate come ossa, levigate fino a sdebitare una offesa, appuntite e puntate verso di sé. Non altro si fa, atleticamente, che forgiare l’ombra per gli altri mondi. Scelse, nel settembre del 1972, a 36 anni; preferì le pillole, ma l’altro gli aveva già succhiato gli occhi – vent’anni fa esce la racconta dell’Obras completas, anche in Italia, ora – penso alla raccolta delle lettere, come L’altra voce, edite da Giometti & Antonello – la Pizarnik ha una cospicua dote di accoliti, di accorti lettori. Il diario – di cui si traducono alcune lasse – è una tesoreria di intuizioni, una grotta al massacro. Più che altro, bisogna tenerla in braccio. (d.b.)
  ***
Domenica 3 novembre 1957
Una rivoluzione per placare la mia ferita, un terremoto per sostituire la sua assenza, il suicidio del sole per il mio fervore fisico, la follia della notte per la mia sete segreta, la fine del mondo per soddisfare la mia prediletta angoscia.
*
Venerdì 22 novembre 1957
Fede soltanto in te stessa, Alejandra. Fede in te sola. Impossibile la piena comunicazione umana. Gli altri ci accettano sempre mutilati, mai con la totalità dei nostri vizi, delle nostre virtù. O ci detestano per qualche aspetto che li mortifica, o ci accettano per qualcosa che è l’angelo della nostra carne. Spesso accadono giorni in cui è possibile comunicare, altri in cui tutto si annienta. Questi sono i giorni in cui qualcosa di umano ci è necessario. Sicuramente, ci respingono per questo volto da mendicanti repellenti che propinano angoscia e solitudine. È possibile vivere soltanto se nella casa del cuore arde un buon fuoco.
*
Lunedì 16 dicembre 1957
È come se il mio sangue fosse amputato. Alzarsi di notte con il pugnale in mano e devastare il paese dei sogni. Di quei sogni divorziati dalla realtà. Grande vergogna non solo di essere, ma di essere semplicemente. Vergogna di vivere o di morire. Mi vergognerò anche quando sarò morta. Sarà, la mia, una grande morte inibita. Possibilità di vivere? Questa. Un foglio bianco e perdersi nella carta, uscire da me stessa e viaggiare su un foglio bianco.
*
Domenica 2 febbraio 1958
Solitudine e silenzio. Ho pensato alla felicità di dedicarmi interamente alla letteratura, senza altra cura che scrivere e studiare. Bisogna recuperare il tempo perduto. So che questa felicità mi è accanto, ma non dipende dalla mia volontà, perché non sarebbe più felicità, allora, ma lavoro. Devo credere con tutto il mio essere, credere ossessivamente, lucidamente. Ma soprattutto, continuare a sostenermi nel difficile compito di non pensare all’“amore impossibile”, causa di tutti i miei mali.
*
Venerdì 14 febbraio 1958
Mi è facile essere serena e obbiettiva con gli esseri che non mi interessano veramente, di cui non aspiro all’amicizia, all’amore. Sono calma, cauta, padrona di me. Ma con i pochissimi esseri che mi interessano… c’è l’assurda domanda, la convulsione, il grido, il sangue che ulula. Da qui deriva la mia assoluta impossibilità di sostenere l’amicizia con qualcuno attraverso una comunicazione profonda, risolta. Mi do così tanto, mi stanco, mi trascino, mi sfinisco, finché non vedo l’ora di “liberarmi” di quella prigione tanto amata. E se non interviene la mia stanchezza, agisce la volontà dell’altro, fiaccato da tanto presunto genio, che finisce per cercare una persona come sono io con chi non mi interessa.
*
21 aprile 1958
Violento egoismo. La mia suscettibilità al minimo abbandono delle persone nei miei riguardi diventa così grande che mi tramuto in un morto. Tutte le prove di amicizia, di congiunzione hanno un esito così debole rispetto alle mie attese che non posso fare altro che entrare in un silenzio vestito di dignità, pulsante di delusione. Non posso accettare una realtà diversa da quella dell’arte. Questo mondo è orribile. Ma credo che la misura di ognuno sia nell’uso che fa della propria solitudine e angoscia. Più che “coraggio” direi “innocenza”.
*
Sabato 26 aprile 1958
L’angoscia arriva. Non c’è altro che lasciare spazio al suo coltello, che affondi sempre di più, che una mano invisibile mi sottragga il respiro. Nessuna difesa è lecita. Tutto perde il suo nome, tutto si veste di paura. Anche pensare alla poesia come possibile salvezza è falso, nevrotico.
*
16 maggio 1964
Ho paura del mio mostruoso pensiero su me stessa, della mia compiacenza e allo stesso tempo della mia estrema durezza. Voglio stare calma. E scrivere di questo tremare. La mia sete di realtà, a causa del mio confino forzato alla letteratura – qualcosa di prigioniero che si annuncia solo per la brama sessuale.
*
Novembre 1971
Scrivere è dare senso alla sofferenza. Ho sofferto così tanto che sono stata espulsa dall’altro mondo. Scrivere è dare qualche senso al nostro dolore.
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khecara · 5 years
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IL VIAGGIO INTERIORE
Questa storia ci parla di Shiva e di Parvati, sua consorte. Shiva si aggira liberamente per l’Universo, senza mai sentirsi separato da esso. Sovente, in queste sue escursioni, lascia Parvati sul monte Kailash, dove abitualmente risiede la coppia.
Un giorno, Parvati confidò al suo grande signore che le pesava la sua mancanza e si sentiva sola. Allora Shiva le disse:
“Mia cara, lasciati condurre da me in un viaggio speciale, un viaggio all’interno di te stessa. Là saprai scoprire i mezzi che ti risolveranno il problema della solitudine e dell’isolamento. Dopo questo viaggio, ti sentirai perennemente unita a me. Sappi, però che, in quel viaggio, perderai completamente te stessa, la tua individualità. Lo vuoi fare, Parvati?”
“Oh, sì, - rispose Parvati -. Sono pronta ad andare dovunque il mio Signore mi voglia portare. Sono tua. Ti prego, guidami come meglio ti pare.”
“Va bene, mia cara! – riprese Shiva -. Ecco dunque ciò che devi fare. Siediti nella posizione del loto, ma in modo di essere comoda. Assicurati che il posto dove siedi sia liscio e soffice. Non devi soffrire né il freddo né il caldo. Fai in modo di essere libera da qualsiasi bisogno fisiologico e di essere in regola con i tuoi doveri. Nulla ti deve disturbare. Abbi un senso di conciliazione col mondo intero e, abbandonato ogni pensiero, rimani tranquillamente presente a te stessa. Adesso chiudi gli occhi e lasciati calare nelle profondità di te stessa. Appena percepisci un’esperienza qualsiasi, gentilmente fammelo sapere. Dimmi ogni cambiamento che possa subentrare nella tua coscienza. Il tutto con molta calma, senza nessuna fretta. Qualunque cosa accadrà, avrà un suo particolare decorso.”
Parvati si sedette con calma e rallentò il suo respiro, intimamente soddisfatta. Dopo alcuni minuti, disse:
“Mio Signore, avverto una generale coscienza del mio corpo, che sento rilassarsi in ogni sua parte, abbandonando tutte le tensioni. Sento una benefica ondata di rilassamento, che mi dà una meravigliosa sensazione di pace. Seduta qui al tuo fianco, o mio Signore, sono molto felice. Tutto il mio essere riposa.”
Shiva attese alcuni istanti, in modo che la mente della consorte scendesse sempre di più negli abissi interiori. Alcuni minuti dopo, infatti, Parvati, aveva raggiunto un nuovo livello di coscienza. Schiva le chiese:
“Che cosa avverti ora, mia cara?” “Mio Signore, - rispose Parvati – sono consapevole del fresco respiro che inalo e del caldo alito che esalo. Sento come se la pura e fresca aria delle cime più elevate stia entrando nel mio corpo e attraversi tutto il mio essere, portandovi dovunque energia vitale. In ogni parte del mio corpo sento una fine e vibrante energia che dà risveglio alla vitalità eliminando torpore ed inerzia. Mi sento meravigliosamente rilassata e piena di pace! Il respiro che entra ed esce mi mostra come tutto sia perfetto. Oh, come sono felice!”
Shiva attese un altro poco, consentendo alla moglie una discesa ancor più profonda, in questo viaggio all’interno di se stessa. Dopo un intervallo abbastanza lungo, Shiva, con voce delicatissima, le chiese:
“Ed ora, mia cara Parvati, che cosa provi?” Ci volle molto tempo prima che Parvati potesse rispondere:
“Ora, mio Signore Shiva, una pace indescrivibile è scesa su di me. Nella mia mente c’è solo l’unica, immobile, stabile, fissa e bellissima immagine di Te, o mio Signore! E’ assai piacevole vedere la tua dolce forma, o mio Signore Shiva! Col tuo sguardo morbido e dolce mi guardi, premuroso e tenero. La tua espressione è così amabile che il mio cuore è colmo di gioia ed i miei occhi si riempiono di lacrime. Oh, come sono felice di vederti, o mio Signore!”
Shiva, a questo punto, lasciò che Parvati si beasse a lungo in quel mare di gioia. Sapeva che, non appena Parvati avesse trasceso anche quello stato, sarebbe scesa ancor più in profondità. Così, dopo una lunga attesa, le domandò:
“Che cosa stai provando, carissima Parvati?”
Parvati, mentre Shiva stava parlando, si sentì calare in una dimensione di coscienza sempre più sottile e, con estrema calma, disse:
“O mio Signore Shiva, la tua amabile forma ora si sta dissolvendo e va trasformandosi in una intensissima luce raggiante, fulgida, ma insieme morbida e confortevole. Che luce meravigliosa! Il suo splendore va oltre ogni descrizione. Essa pervade tutto lo spazio con la sua aura dorata e riempie della sua luminescenza ogni punto. Questa luce sembra oltrepassare i confini fisici: è calore, splendore, lucentezza, amore e tenerezza. Essa riempie di fulgore ogni parte del mio essere. Ora tutto è luce, una luce dorata, stupenda. O mio Signore Shiva, sono felice, felicissima!”
Il maestoso Signore Shiva, seduto al fianco della consorte, ne condivideva l’esperienza, immerso nel caldo splendore di quella radiosa luce dorata. Ma Egli sapeva che Parvati sarebbe andata oltre. Giunto il momento estremo, quando Parvati stava per entrare nell’ultimo stadio della sua trascendenza, Shiva rivolse ancora una volta con estrema delicatezza la parola alla moglie:
“Mia adorata dolcezza, di che sei consapevole ora?”
Pareva che Parvati ci mettesse una vita per rispondere, ma, alla fine, giunse la sua voce, come da un abisso, lenta e calibrata:
“Mio Signore Shiva, il cosmo intero si è riempito dell’unico suono puro! La splendida luce dorata si è trasformata nella risonante eco della OM, che pervade tutti i mondi, come il suono di una campana che percorre valli e pianure. Tutto è colmo delle sue sacre vibrazioni. Questo suono è squisitamente fine, sottile, puro e chiaro. Ovunque, in ogni spazio ed interstizio c’è solo Om, Om, Om.”
Quando ormai sembrava che il Pranava primordiale, l’eterna OM fosse tutto quanto potesse esistere, Parvati parlò ancora, in tono sommesso:
“Ed ora, mio amatissimo Signore, il suono della Om sta sfumando lentissimamente e lascia il posto ad un profondo e solenne silenzio! E’ la quiete più placida che si possa immaginare. E’ indescrivibile. Non è possibile servirsi della mente per farne una descrizione. E’ pura beatitudine. Ananda!”
La sua voce si affievolì sempre più, fino ad essere assorbita completamente in un silenzio cosmico. Parvati aveva raggiunto uno stato di trascendenza ancor più profondo. Shiva scorse sul volto della consorte un leggiadro e beato sorriso, che le conferiva l’aspetto sacro di un’icone raffigurante una Madonna. Quella serenità irradiava calore da tutto il suo essere. Ma poi, un esile e delicato suono emerse dal più profondo del cuore di Parvati:
“Io sono la Pace Suprema... Io sono... Io...”
Shiva era molto soddisfatto. Si alzò e si preparò a congedarsi per i suoi viaggi. Ma prima di andarsene, si avvicinò alla moglie ancora una volta e le sussurrò all’orecchio:
“Mio dolce amabile splendore. Io ora me ne vado. Lascia che mi accomiati da te.”   Poi stette in attesa. Ma non ci fu alcuna risposta. Ripeté:
“Parvati, mia amata, io vado.”
Ma Parvati non si mosse. Per Lei ora non c’era più né Shiva né Parvati, non c’era più l’andare e il tornare, nessuna divisione, nessuna unione. C’era solo quell’incredibile, inimmaginabile e completo silenzio. Una pace inalterabile. Finalmente, Parvati era in completa unione con il suo Signore. Era un tutto unico con il suo Sé immortale. Quando Shiva tornò dai suoi giri per i vari mondi, trovò Parvati ancora seduta là, con lo stesso sorriso beatifico, con il medesimo raggiante splendore intorno alla sua forma. La toccò delicatamente. Parvati aprì gli occhi e, quando vide Shiva, il suo amato Signore, il suo cuore si riempì d’amore e gratitudine.
Brano tratto da Alcuni racconti in Dhyana (la meditazione negli insegnamenti di Sri Sathya Sai Baba)
via @rasaculture
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