Tumgik
#lavoro in fabbrica
ninocom5786 · 1 year
Text
Tumblr media
Oh! Saper essere come l'operaio che sente una sua precisa direttiva di azione e di pensiero, ed è filosofo senza saperlo, come il borghese gentiluomo era prosatore!
Antonio Gramsci
1 note · View note
umbriasud · 2 years
Text
Fabbrica d'Armi: già banditi i concorsxi per le prime assunzioni
Fabbrica d’Armi: già banditi i concorsxi per le prime assunzioni
Il Pmal di Terni, ex Fabbrica d’Armi Detto fatto. Quattro giorni fa, il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè in visita a Terni all’ex Fabbrica d’Armi, annunciava che sarebbero stati banditi concorsi per 164 assunzioni al Pmal di Terni e 138 allo stabilimento militare di Spoleto, E già sono stati banditi i concorsi per 12 assunzioni nella stabilimento umbri del minsitero della difesa. Certo,…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
charlievigorous · 20 days
Text
Tumblr media
Per la rubrica "Gli schiavi fanno figli schiavi" ho saputo ieri che, il figlio di 18 anni di un mio conoscente, ha trovato lavoro come magazziniere in fabbrica come il padre che fa il magazziniere in un'altra fabbrica... E un mio vecchio compagno di scuola lavora come pizzaiolo nella pizzeria del padre, il quale lui stesso aveva aperto iniziando come pizzaiolo-titolare. Poi ho ritrovato un altro mio vecchio compagno di scuola, ha studiato letteratura ed ora fa l'insegnante, come sua madre che faceva l'insegnante di italiano e storia...
Buon primo maggio schiavi, c'è Jovanotti in piazza a cantare con Vasco Rossi, Tiziano Ferro e Cesare Cremonini. Poi dopo arriva Fiorello con la Clerici e Maria de Filippi. E dopo ancora c'è Milan - Inter... Divertitevi... Divertitevi tutti prima che torna il coviddi assieme alla guerra della Nato.
23 notes · View notes
fridagentileschi · 1 year
Text
Bella risposta ai gretini
Alla cassa di un supermercato una signora anziana sceglie un sacchetto di plastica per metterci i suoi acquisti.
La cassiera le rimprovera di non adeguarsi all’ecologia e gli dice:
“La tua generazione non comprende semplicemente il movimento ecologico. Noi giovani stiamo pagando per la vecchia generazione che ha sprecato tutte le risorse! “
La vecchietta si scusa con la cassiera e spiega:
“Mi dispiace, non c’era nessun movimento ecologista al mio tempo.”
Mentre lei lascia la cassa, affranta, la cassiera aggiunge:
” Sono persone come voi che hanno rovinato tutte le risorse a nostre spese. E ‘ vero, non si faceva assolutamente caso alla protezione dell’ambiente nel tuo tempo.”
Allora, un pò arrabbiata, la vecchia signora fa osservare che all’epoca restituivamo le bottiglie di vetro registrate al negozio. Il negozio le rimandava in fabbrica per essere lavate, sterilizzate e utilizzate nuovamente: le bottiglie erano riciclate. La carta e i sacchetti di carta si usavano più volte e quando erano ormai inutilizzabili si usavano per accendere il fuoco. Non c’era il “residuo” e l’umido si dava da mangiare agli animali.
Ma noi non conoscevamo il movimento ecologista.
E poi aggiunge:
“Ai miei tempi salivamo le scale a piedi: non avevamo le scale mobili e pochi ascensori.
Non si usava l’auto ogni volta che bisognava muoversi di due strade: camminavamo fino al negozio all’angolo.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Non si conoscevano i pannolini usa e getta: si lavavano i pannolini dei neonati.
Facevamo asciugare i vestiti fuori su una corda.
Avevamo una sveglia che caricavamo la sera.
In cucina, ci si attivava per preparare i pasti; non si disponeva di tutti questi aggeggi elettrici specializzati per preparare tutto senza sforzi e che mangiano tutti i watt che Enel produce.
Quando si imballavano degli elementi fragili da inviare per posta, si usava come imbottitura della carta da giornale o dalla ovatta, in scatole già usate, non bolle di polistirolo o di plastica.
Non avevamo i tosaerba a benzina o trattori: si usava l’olio di gomito per falciare il prato.
Lavoravamo fisicamente; non avevamo bisogno di andare in una palestra per correre sul tapis roulant che funzionano con l’elettricità.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Bevevamo l’acqua alla fontana quando avevamo sete.
Non avevamo tazze o bottiglie di plastica da gettare.
Si riempivano le penne in una bottiglia d’inchiostro invece di comprare una nuova penna ogni volta.
Rimpiazzavamo le lame di rasoio invece di gettare il rasoio intero dopo alcuni usi.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Le persone prendevano il bus, la metro, il treno e i bambini si recavano a scuola in bicicletta o a piedi invece di usare la macchina di famiglia con la mamma come un servizio di taxi 24 h su 24. Bambini tenevano lo stesso astuccio per diversi anni, i quaderni continuavano da un anno all’altro, le matite, gomme temperamatite e altri accessori duravano fintanto che potevano, non un astuccio tutti gli anni e dei quaderni gettati a fine giugno, nuovi: matite e gomme con un nuovo slogan ad ogni occasione.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ecologista!
C’era solo una presa di corrente per stanza, e non una serie multipresa per alimentare tutta la panoplia degli accessori elettrici indispensabili ai giovani di oggi.
Allora non farmi arrabbiare col tuo movimento ecologista!
Tutto quello che si lamenta, è di non aver avuto abbastanza presto la pillola, per evitare di generare la generazione di giovani idioti come voi, che si immagina di aver inventato tutto, a cominciare dal lavoro, che non sanno scrivere 10 linee senza fare 20 errori di ortografia, che non hanno mai aperto un libro oltre che dei fumetti, che non sanno chi ha scritto il bolero di Ravel…( che pensano sia un grande sarto), che non sanno dove passa il Danubio quando proponi loro la scelta tra Vienna o Atene, ecc.
Ma che credono comunque poter dare lezioni agli altri, dall’alto della loro ignoranza!
Fonte: blog decideilpopolo.it
Tumblr media
229 notes · View notes
viendiletto · 3 months
Text
Nel ricordo di Marinella… Una scelta di volontariato
“Mi aggiravo tra la folla, attratta da quella moltitudine vociante, dalle bandiere e dai labari delle nostre città istriane, fiumane e dalmate. Era il 1997, si ricordavano nella piazza principale di Trieste i 50 anni dall’esodo, anche i miei cinquant’anni essendo nata nel 1947. Ma il mio pensiero era fisso su mio padre. Vedi – gli dicevo col cuore gonfio – finalmente parlano di noi. Ma lui era mancato qualche tempo prima senza smettere di sentirsi fuori dal coro, un alieno…” 
Fu così che, durante quell’esperienza pubblica, Fioretta Filippaz, nata a Cuberton, esule a Trieste dal 1956, si rese conto di sapere ben poco della propria storia e del destino di tanta gente che come lei era stata costretta all’esodo dall’Istria.
Decise così di fare la volontaria?
“Quel ’97 fu per me uno spartiacque importante, i miei genitori non c’erano più ma le domande che avrei voluto rivolgere a loro, erano veramente tante. Allora presi informazioni e mi ritrovai all’IRCI che allora aveva sede in P.zza Ponterosso, nell’ufficio di Arturo Vigini, con lui c’era anche la figlia Chiara. Mi presentai e dissi che avrei voluto rendermi utile, partecipare dopo tanto silenzio. Non cercavo un lavoro di concetto, mi bastava anche semplicemente imbustare e affrancare gli inviti per le numerose iniziative dell’ente o per spedire la rivista Tempi&Cultura. Così ho cominciato”.
Una “volontaria”, oggi una del gruppo che segue l’attività dell’IRCI in via Torino, accoglie i visitatori delle mostre che si succedono numerose durante l’anno a cura di Piero Delbello e con il supporto del presidente Franco Degrassi, raccontando un esodo per immagini, attraverso i suoi personaggi, a volte famosi, a volte sconosciuti…
“Viene sempre tanta gente, chiede informazioni, racconta la propria storia, queste sale diventano un contenitore di tante vicende mai emerse, di tante storie familiari mai portate alla luce. Molti arrivano con fotografie, locandine, documenti per il museo. Per noi volontari è una responsabilità, ma anche un profondo desiderio di condivisione. Vede, questo documento alle mie spalle nell’ambito della mostra ‘Come ravamo’ è quello della mia famiglia, è lo storico dell’anagrafe dal quale hanno cancellato Marinella…”.
Chi è Marinella? È una delle storie emblematiche dell’esodo, quella di una bambina che non ce l’ha fatta, in quell’inverno polare del ’56. Aveva appena un anno e una polmonite se la portò via, “morta di freddo” sentenziarono i medici dell’ospedale che non furono in grado di salvarla.
“Ero già grandicella e Marinella me la portavo in braccio, le davo il biberon, la cambiavo, me ne occupavo per alleviare il lavoro di mia madre che doveva pensare a tutta la famiglia, al marito e ai cinque figli. I suoi occhi erano per me, con i sorrisi e i primi borbottii, una gioia infinita: non sono mai riuscita a dimenticarla, a farmene una ragione”.
Tumblr media
Per quanti anni siete vissuti in quella baracca?
“I miei genitori dodici anni, finché io e mio fratello non siamo riusciti a terminare le scuole nel collegio dove eravamo stati trasferiti per poter avere un’istruzione e migliori condizioni di vita”.
Vita?
“Quando la famiglia vive separata tutto è molto duro. Mio padre a Cuberton era un bravo contadino, da esule poté fare il manovale, la qualifica di profugo non era servita a nulla. Aveva sperato di entrare in fabbrica, ma nessuno ci aiutò. Ricordo che spesso diceva con convinzione, non sembrava neanche un lamento ma una semplice constatazione: ‘noi ne vol, proprio noi ne vol’ e così continuò per anni sentendosi fuori luogo, forse sconfitto. Quando ebbi diciannove anni, ci diedero una casa comunale, una sessantina di metri per la nostra famiglia numerosa, ma era comunque un miglioramento. Andai a lavorare alla Modiano”.
In che veste?
“Alle macchine per la stampa, ci ho lavorato fino alla pensione. All’inizio vista con sospetto, la nostra presenza di esuli a Trieste veniva ancora considerata un peso, ma noi istriani siamo lavoratori, disciplinati, vivaci, con il tempo mi sono conquistata le simpatie delle persone che hanno saputo apprezzare il mio impegno”.
E la famiglia?
“Mi sono sposata a 25 anni, per qualcuno era quasi tardi, per me anche troppo presto, vista la tragedia che avevamo vissuto in famiglia, non mi sentivo pronta”.
Non era solo per Marinella?
“Soprattutto per lei il cui sguardo non ho mai smesso di cercare, ma anche per tutto ciò che avevo visto al campo di Padriciano: la gente si lasciava morire, di disperazione, per mancanza di qualsiasi prospettiva, in quelle baracche dove non si poteva accendere un fuoco per scaldarsi. La mia casa era rimasta a Cuberton. Ci sono tornata per andare al cimitero. L’ho vista da lontano, diroccata, non ho avuto il coraggio di avvicinarmi”.
Nessuna assistenza psicologica in tutti questi anni?
“Nessuna. E ce ne sarebbe stato bisogno”.
Che cosa ha rappresentato il Giorno del ricordo?
“La possibilità di parlare, andando nelle scuole, fornendo testimonianza sui giornali, le televisioni. Gli italiani hanno iniziato a conoscere squarci della nostra vicenda. Ogni anno mi invitano a Cremona, in Umbria, nel Veneto, con le docenti è scattata un’amicizia importante. Dopo che Simone Cristicchi ha raccontato di Marinella nel suo spettacolo Magazzino 18, l’interesse è diventato maggiore, mi chiedono di raccontare. Lo faccio per i miei genitori, per restituire dignità a tanta gente, per rivivere il ricordo di Marinella, doloroso, ma necessario. I ragazzi delle scuole mi hanno omaggiato dei loro lavori di gruppo che custodisco gelosamente. È incredibile con quanta pietas abbiano saputo raccontare le nostre vicende, anche quelle più difficili. Mi fanno tante domande”.
E Padriciano?
“Ho accolto le scolaresche per tanti anni insieme a Romano Manzutto, finché l’associazionismo ha deciso di formare dei giovani perché raccontassero la nostra storia”.
In maniera più asettica?
“Certo hanno avuto modo di studiare, approfondire, possono rispondere a tante domande, non certo a quelle sull’esperienza diretta che rimane di chi l’ha vissuta veramente, ormai non siamo tantissimi, il tempo decide per noi”.
Dal campo di Padriciano molti partirono per gli altri continenti…
“Avevamo considerato anche questa ipotesi, ma cinque figli piccoli a carico erano una condizione che non favoriva il giudizio dell’emigrazione. Mio padre era una persona di grande cuore, certo avrebbe fatto fortuna, ma era convinto che nessuno avesse compreso che non eravamo venuti via se non perché fosse impossibile rimanere. Questa sensazione non lo abbandonava mai e forse gli toglieva la forza di tentare altre strade. Non ne abbiamo mai parlato successivamente. Ma mi accorsi del suo dolore quando giunti al cimitero di Cuberton, al momento di decidere di andare a mangiare qualcosa insieme, mi pregò di riportarlo velocemente oltre confine. La paura non li aveva ancora abbandonati e non l’avrebbe mai fatto fino alla fine”.
Di cosa avevano paura?
“Di restare e di tornare. In Istria tutto era cambiato e quindi non ritrovavano più la loro dimensione, c’era stata la dittatura che aveva spaventato tutti. In Italia avevano dovuto imparare a vivere il quotidiano, in Istria pagavano le tasse e basta, non erano abituati ad andare per uffici, fare domande, ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Quando Marinella morì nessuno venne a manifestare la propria solidarietà, non fecero che cancellare il suo nome dal nostro stato di famiglia”.
Quale spiegazione riesce a darsi oggi?
“Lo dico spesso e l’ho anche scritto: fummo accolti con fastidio e indifferenza, eravamo un corpo estraneo che tentava di inserirsi in un tessuto sociale che non voleva intrusioni”. Dire che la storia si ripete è anche troppo ovvio.
Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Fioretta Filippaz per La Voce del Popolo, 5 gennaio 2020
27 notes · View notes
der-papero · 9 months
Text
Due giorni fa mia madre ha ricevuto poco più di 3.000 euro.
No, non ha vinto la lotteria. Erano stipendi per il suo lavoro di operaia, in fabbrica. Stipendi mai versati. Stipendi di 20 anni fa, nessuna rivalutazione, nessun interesse maturato, un risultato sul quale ha dovuto spendere soldi per averli, lei come tanti altri operai (quei 3.000 sono l'elemosina rimasta, dopo che lo Stato, gli sciacalli e i legali hanno fatto la loro parte per evitare che questi soldi non arrivassero mai), stipendi per i quali l'ho vista scendere in piazza più e più volte, ad alcune manifestazioni ho partecipato anche io, ad una il gruppo di operai subì una carica delle forze dell'ordine (scritto volutamente in piccolo, perché per quelle merde protestare per ricevere il dovuto compenso non era degno di un paese civile, quindi caricare le vittime era il minimo) e tornò a casa in lacrime, non riuscendo a credere che un padre di famiglia avesse potuto alzare le mani su un altro padre di famiglia, solo perché non in grado di distinguere tra il dovuto e il giusto. E immaginate che mia madre fu anche un caso fortunato, visto che le mancavano pochi anni per andare in pensione, e con vari aiuti da parenti e con altri lavoretti in nero riuscì a "saltare il fosso", molti altri operai non furono così fortunati, si ritrovarono presto senza lavoro e dopo poco tempo senza alcun ammortizzatore sociale.
Mia madre mi ha sempre insegnato a non credere mai al padrone, mai, in nessuna circostanza, a non cedere mai alle lusinghe, alle pacche sulle spalle, ai "sei davvero bravo", a non pensare mai, nemmeno per un secondo, che a qualcuno interessi della sorte di coloro che si trovano "al gradino sotto", e per quanto io l'abbia vissuto con i suoi occhi, anche con la violenza, per capirlo davvero ci son dovuto passare in prima persona, viverlo sulla pelle, e il senso di questo post è provare a trasmetterle queste parole, perché il lavoro dà dignità purché sia dignitoso, e vi confesso che, dopo tanti anni, dopo aver lavorato ovunque, da privilegiato, solo oggi inizio ad intravedere un po' di quella dignità che aveva anche lei negli anni '70, prima che l'Italia diventasse il paese della vergogna, e per quanto io viva in un paese più tutelante e in un'azienda coi controcazzi, vivo sempre con l'idea che un giorno possa cadere tutto e il padrone di turno fuggirà con la sua lauta buonuscita, dimenticandosi di tutti quelli ai quali, fino al giorno prima, elargiva copiosi complimenti, "siete i pilastri di questa compagnia".
108 notes · View notes
ideeperscrittori · 6 months
Text
LUI
Stavo pensando a una cosa. Prima del femminicidio di Giulia Cecchettin abbiamo seguito sui giornali il caso di Giulia Tramontano.
Ho fatto uno sforzo per richiamare alla mente quella vicenda. Ho scritto qui il nome della donna uccisa, ma devo confessare che non lo ricordavo. Mi è servita una ricerca su Google per farlo riemergere dalla nebbia. Eppure è passato poco tempo. Eppure per qualche giorno quel nome era rimasto impresso nella mia mente. Ma l'avevo dimenticato.
Invece ricordavo perfettamente il nome di lui. Ma perché la memoria mi ha fatto questo scherzo?
Forse perché dopo il delitto si parla della vittima all'inizio, ma poi il vero protagonista diventa lui. C'è un racconto mediatico a più voci che sommerge ogni cosa e mette lui al centro dell'inquadratura: cos'ha fatto, cos'ha detto, come si comporta, le sue giustificazioni, le sue ricerche su Google, la sua vita, le sue azioni, la sua freddezza, le strategia difensiva, le dichiarazioni dell'accusa, l'intervista al vicino, il collega di lavoro che non ha notato niente di particolare, la ricerca di qualcosa di strano nella sua vita (perché qualcosa di strano deve pur esserci), la nostra rabbia nei suoi confronti, la gente che chiede la pena di morte, le lettere che lui riceve, i giornalisti che intervistano sua madre, la madre che lo perdona, la madre che non lo perdona.
Lui riempie lo schermo e oscura tutto. Non c'è spazio per la vittima e neppure per analisi sociologiche. E ho la sensazione che nell'interesse per lui ci sia il desiderio di guardarlo in faccia per cercare quell'anomalia psichica (o addirittura fisica, sulla scia di Lombroso) capace di farlo apparire come una creatura completamente diversa dalle altre. Ci piace l'idea di un difetto di fabbrica a cui si può porre rimedio eliminando il prodotto difettoso.
Per una curiosa coincidenza (che coincidenza forse non è), in molte affermazioni che respingono riflessioni sul patriarcato troviamo proprio questo concetto, chiaro e tondo, espresso alla luce del sole. Ci dicono che non bisogna parlare di questioni sociali e mentalità da combattere, perché non è quello il problema: il problema è lui, solo lui.
Ci dicono: non parliamo della condizione femminile, parliamo di lui.
Ci dicono: non diamo spazio alle dichiarazioni di Elena Cecchettin, parliamo di lui.
Voltare pagina è una preoccupazione diffusa. Si cerca di preparare il terreno per dimenticare tutto e parlare d'altro, prima che a qualcuno venga la tentazione di guardare oltre la finestra (o addirittura dentro di sé) e notare cose che non vanno per il verso giusto.
Dicono che non c'è nessun problema, a parte lui. Ma ora lui è in gabbia. Tutto risolto. La palla passa ai collegi giudicanti. Perché lui è l'eccezione, è l'anomalia.
L'idea che trasforma lui nella rara aberrazione di un sistema quasi perfetto è stranamente rassicurante, ti rimbocca le coperte prima di dormire sonni tranquilli. Lui non è come il nostro vicino. Non ha niente in comune con noi. I problemi sociali non esistono. Esiste lui, ma a questo si può porre rimedio. Non dobbiamo farci domande. Non dobbiamo cercare di cambiare.
Ecco ciò che tanta gente vuole sentirsi dire.
[L'Ideota]
44 notes · View notes
neropece · 2 months
Text
Tumblr media
“women of the future” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
In una fredda sera d'inverno, in un locale anonimo dal nome sbiadito e dalle pareti scolorite, era ospitava una variegata umanità in cerca di un rifugio temporaneo dai rigori della vita quotidiana. Tavoli sgranati e sedie sbilenche offrivano un'imitazione di comfort mentre lo spettro di una luce fioca, filtrata da lampadari coperti di polvere, danzava nell'aria densa di fumo di sigaretta.
Tra i frequentatori abituali del locale c'era Frank, un uomo con lo sguardo perso nell'abisso dei suoi pensieri, le mani logore da anni di lavoro in una fabbrica che non lo aveva mai gratificato. Sedeva solitario, con una bottiglia di liquore a tenergli compagnia, cercando di annegare i fantasmi del passato e le incertezze del futuro.
Fu proprio mentre Frank stava cercando di dare un senso alla propria esistenza, che il suo sguardo cadde su un angolo del locale. Quattro piccole figure, appena più alte delle sedie su cui erano sedute, erano voltate di spalle. Avranno avuto si e no cinque anni, dai vestiti colorati, si concentravano su un'attività a lui misteriosa.
Con lentezza, come se temesse di disturbare quel momento di pura innocenza, Frank si avvicinò al tavolo delle bambine. Si fermò a pochi passi da loro, osservando il loro intento lavoro. Con piccole manine agili, disegnavano su fogli di carta sgualcita, concentrando ogni briciola di creatività nel tracciare linee e colori.
La luce fioca del locale danzava tra i capelli delle bambine, rendendo i loro volti invisibili a Frank. Ma in quel momento, in mezzo a un tumulto di voci e rumori del locale, tutto sembrava acquietarsi. Le risate dei clienti si attenuarono, il fumo delle sigarette si diradò. Restava solo il suono leggero delle matite che scorrevano sulla carta, come un sussurro nella notte.
E Frank, per un istante, si sentì trasportato in un mondo dove le preoccupazioni e i rimpianti non esistevano. Dove la semplice gioia di creare e condividere un momento di bellezza era sufficiente a riempire il cuore di speranza. Quel tavolo, illuminato da una luce invisibile, divenne per lui un faro nella tempesta, un promemoria che anche nei momenti più bui della vita, la bellezza e la semplicità possono ancora essere trovate, se solo si è disposti a cercarle.
19 notes · View notes
superfuji · 3 months
Text
Tumblr media
Mentre continuano le ricerche della quinta vittima nel cantiere Esselunga, Dario Salvetti spiega a cosa servono gli appalti: «a disumanizzare, renderci irriconoscibili tra di noi»
Nel cantiere nell’ex Panificio Militare, a Firenze, si mettono in sicurezza le travi di cemento crollate, dal peso di tonnellate, e si cerca ancora il quinto cadavere dentro il cantiere di via Mariti a Firenze, il marocchino Bouzekri Rachimi, 56 anni, l’ultimo disperso, giorno e notte, oltre 48 ore dopo il cedimento strutturale nella costruzione del supermercato Esselunga in un’area già demaniale che gli abitanti avrebbero desiderato adibita a tutt’altro. I vigili del fuoco agiscono con le gru – ne è arrivata una terza- fanno alzare un drone, operano con le Usar (dalla definizione inglese Urban Search and Rescue traducibile in “ricerca e soccorso in ambiente urbano” e definisce l’insieme delle pratiche utilizzate per le operazioni di ricerca e soccorso di persone sepolte da macerie in caso di crolli di edifici e strutture, esplosioni o di eventi sismici), rimuovono il cemento crollato, avanti così finché sarà necessario.
L’Ansa parla di inchiesta per omicidio plurimo colposo, ne magnifica l’approccio multidisciplinare, dagli aspetti tecnici alle condizioni dei lavoratori. In queste ore l’inchiesta starebbe prendendo forma con la distribuzione delle deleghe alla polizia giudiziaria. Viene fatto il censimento delle decine di ditte nel groviglio di subappalti che riportano al vertice della Aep di Pavia, l’impresa capofila, la stessa responsabile di un cantiere gemello, a Genova, nel quartiere di San Benigno teatro di incidenti avvenuti lo scorso anno. Aep, Attività Edilizie Pavesi, lavora per conto di La Villata Spa, immobiliare partecipata al 100% da Esselunga, presieduta – grazie ai buoni rapporti con Marina Sylvia Caprotti, la figlia del fondatore di Esselunga – dall’ex ministro Angelino Alfano. Esselunga ha acquisito l’intera società pochi mesi fa acquistando il 32,5% che era posseduto da Unicredit al prezzo di 435 milioni. Ex delfino di Silvio Berlusconi, Alfano è stato ministro della Giustizia nel governo Berlusconi IV e ministro dell’Interno dei governi Letta e Renzi.
Ma è davvero colposo un delitto che avviene nell’intrico di subappalti, contratti e lavoro nero? Ne scrive Dario Salvetti, del collettivo di fabbrica dei lavoratori ex Gkn, che è anche Rsu della Fiom:
Gli appalti sono una montagna di merda
25 notes · View notes
crazy-so-na-sega · 4 months
Text
La proposta normativa riguardante la I.A. ha trovato finalmente un primo accordo politico tra Consiglio e il Parlamento Europeo, sulla base delle proposte della Commissione presentare nell’aprile del 2021.
Per diventare legge dell’Ue, il testo concordato dovrà ora essere formalmente adottato da Parlamento e Consiglio europei. Le commissioni del Parlamento per il Mercato interno e le Libertà civili voteranno sull’accordo in una prossima riunione. Il testo finale andrà ancora limato nelle prossime settimane, ma l’intesa assicura che sarà approvato entro la fine della legislatura europea, per poi entrare progressivamente in vigore nei successivi due anni. 
-----
Articolo lungo ma punto fermo.
Temo che avesse ragione Sanders (nella migliore delle ipotesi): "Noi non sappiamo immaginare ciò che abbiamo prodotto"
che suona: la tecnica corre più veloce dei rimedi per limitarne gli effetti avversi. L'uomo è costretto a rimanere indietro a ciò che fabbrica: la morte da surplus.
37 notes · View notes
avereunsogno-62 · 3 months
Text
Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l'opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento.
Basta pensare al cambiamento di valore della parola amico tra ieri e oggi in internet per capire come i rapporti siano diventati facili e superficiali.
I nuovi rapporti vivono di monologo e non di dialogo, si creano e si cancellano con un clic del mouse, accolti come un momento di libertà rispetto a tutte le occasioni che offre la vita e il mondo.
In realtà, tanta mancanza d'impegno e la selezione delle persone come merci in un negozio è solo la ricetta per l'infelicità reciproca.
L'amore invece richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l'altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l'amore. Non troveremo l'amore in un negozio. L'amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana, ha bisogno di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno.
(Zygmunt Bauman - da "Amore liquido")
Immagine: Opera di Delona Evans
11 notes · View notes
tuttalamiavitarb · 27 days
Text
Tumblr media
20 anni fa
Esattamente 20 anni fa , era aprile anche allora, ero stato in questa uggiossima città tra Galles ed Inghilterra.
Allora l economia tirava il PIL cresceva, l Europa univa, jef besos mendicava, il mondo era felice, io almeno ero felice.
Le aziende prese dall' euro entusiasmo si fondevano.
E tutto tronfio mi sono fatto Virgilio coi colleghi, conosco il posto, so tutto io.ci penso io. Sperando che il mondo avesse congelato tutto in attesa del mio ritorno.
Quindi con la squadra ci siamo piazzati nello stesso hotel dove avevo soggiornato allora, era carino e di fronte c'era questo centro commerciale con un sacco di posti per mangiare.
Capisco la brexit, il COVID, le guerre ,leman Brothers, i sub prime.
Ma come stracazzo abbiamo fatto a sfasciare tutto in 20 anni?
Che in Italia vada tutto a rotoli lo diamo per scontato , ma scoprire che il mondo intero vada a ramengo è di una delusione sconfortante.
L hotel si è trasformato in peggio, metà sono monolocali con bagno e cucina (sporca). L altra metà è in stile indiano, e secondo me è una versione evoluta dei nostri centri massaggi cinesi.
Il centro commerciale avrà 8 negozi aperti su 60. Tutto in preda all incuria, ci sono molti senza tetto.
Nel frattempo nei classici capannoncini rossi all inglese sono sorte altre attività un pub, un centro di ritiro per auto vendute on line, un negozio di cinesi , uguale ai nostri e un parco di gonfiabili per bambini.
C è un po' di vita, anche se gli inglesi hanno sempre un aria molto trasandata.
Mi siedo su un tavolo di quelli da sagra della polenta, una ragazza , una signora attacca bottone con noi
Da dove venite ? Come qua?
Veniamo da un posto uggioso come questo, solo con più sole
Siamo qua x la fabbrica, gliela indico con un cenno.
La riaprite? Era tutto più bello quando c'era lavoro alla fabbrica, piu soldi, meno sporco.
Rifletto se dirle la verità e cioè che siamo venuti a controllare che non ci fosse niente di valore da lasciare, poi la venderanno ad un fondo, che come tutti i fondi di investimento, licenzierà tutti, svenderà tutto e farà qualche speculazione immobiliare.
Invece rispondo "i Hope"
Parliamo del più e del meno dei suoi 2 figli da due compagni diversi, di jonshon, di calcio.
Quando scopre quanti anni ho rimane sorpresa , mi aveva fatto uno sconto di 15 anni.
Mi alzo per prendere una bevuta,quando torno lei è sparita
Anche stasera si tromba domani.
Che mondo di merda
7 notes · View notes
viendiletto · 3 months
Text
Quel garofano rosso infilato nell’occhiello
Nel maggio del 1945, quando nel mondo intero, nelle strade e nelle piazze di tutte le città liberate, si festeggiava la fine della guerra e si esultava per la Liberazione, ho vissuto i momenti più tragici e dolorosi della mia adolescenza. Avevo 14 anni.
Una cappa di terrore e di angoscia era calata sulla mia italianissima città e sulla sua italianissima gente. Ho visto colonne di finanzieri, carabinieri, soldati di tutte le armi, uomini e donne, transitare laceri, sporchi, affamati e assetati, avviati verso chissà quale destino. Erano scortati da soldataglia rozza e ignorante, con la stella rossa sul berretto e armata fino ai denti che sbraitava urlando in una lingua che non conoscevo, ma sapevo essere slava. Erano le avanguardie dell’esercito di Tito che, a marce forzate, avevano raggiunto Fiume combattendo. Tito aveva spinto le sue truppe a occupare il più presto possibile quanto più territorio italiano possibile, in quanto le sue mire espansionistiche ipotizzavano il confine tra l’Italia e la sua Jugoslavia, sull’Isonzo. Voleva Trieste, Udine, Gorizia e tutta quella parte di Venezia Giulia che lui definiva impropriamente “Slavia veneta”.
Ho saputo di “giudici popolari” semi-analfabeti che decidevano, a guerra finita, della vita e della morte di persone il cui unico delitto, molto spesso, era solo quello d’essere italiani. Condannati da tribunali del popolo costituiti in fretta e furia e composti da gente qualsiasi, purché di provata fede comunista.
I primi giorni dopo l’occupazione della mia città (il 2 maggio del 1945) con le liste di proscrizione già preparate, iniziava il calvario degli italiani. Arresti, deportazioni, infoibamenti. Anche nella mia famiglia si piange uno scomparso, prelevato la mattina del 4 maggio da casa e di cui non si è saputo più nulla. Probabilmente, come tanti altri infelici, avrà vissuto gli ultimi istanti della sua vita soffocato dall’angoscia sull’orlo di una foiba.
La guerra era finita, ma vivevamo ancora nella ristrettezza e nel terrore: parlare, lamentarsi era pericoloso, criticare il regime poteva costare la vita o la deportazione. Essere italiano era una colpa e molti, anche da me conosciuti, amici di mio padre, vicini di casa, ex questurini, impiegati pubblici, professionisti, insegnanti, vigili urbani, dipendenti comunali ecc., erano considerati èlite e quindi fascisti e nemici del popolo.
Il 1.mo maggio del 1948 mio padre decise di scendere al bar sotto casa, per trascorrere qualche momento di svago. Fu avvicinato da un individuo, palesemente ubriaco e conosciuto da tutti come uno sbandato, che gli infilò un garofano rosso nell’occhiello. Mio padre (che non volle mai iscriversi al partito fascista) non gradì il gesto di quell’individuo che fino a pochi giorni prima aveva scondinzolato dietro ai tedeschi, raccattando i loro avanzi e facendo il buffone, qual’era. Si tolse, quasi di nascosto il garofano e lo appoggiò sul tavolo. Questo gesto gli costò una denuncia e un mese di lavori forzati (denominati “lavoro rieducativo”) che scontò nel carcere cittadino, segando legna da ardere in coppia con un altro detenuto, muniti di un segaccio da boscaiolo di grandi dimensioni per dieci ore al giorno. Seppe dopo, da un vicino di casa, ufficiale della milizia popolare in quanto studente di scuola superiore, che il tribunale lo aveva accusato di “scarsa simpatia per il partito”. Se l’accusa fosse stata “nemico del popolo” avrebbe corso il rischio di finire in una foiba.
A settembre riaprirono le scuole. Avevo finito in modo fortunoso la terza d’avviamento commerciale e non potevo continuare la scuola in lingua croata. L’autorità cittadina escogitò, per noi italiani, una forma insolita: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica a lavorare. Fui mandato al Siluruficio Witheead, (vanto della mia città e del mio paese) al reparto meccanici, aggiustaggio, revisione motori, fonderia e torneria. Alla fine dell’anno 1947/48, non ebbi documento ufficiale. Solo un libro il cui retro di copertina riportava una semplice dichiarazione di frequenza.
Nevio Milinovich, esule da Fiume
28 notes · View notes
mezzopieno-news · 9 months
Text
I MATTONI FATTI CON LE ALGHE: DA PROBLEMA A OPPORTUNITÀ
Tumblr media
Le alghe depositate sulle spiagge sono un problema che colpisce i litorali di tutto il mondo e che oltre ad inquinare le coste, provoca un forte impatto ambientale con la produzione di metano derivante dalla loro decomposizione. Un giardiniere messicano, Omar Vázquez Sanchez ha pensato di usare le alghe che invadevano la spiaggia del suo paese Puerto Morelos, per costruire la sua casa, compattando le alghe in mattoni e inventando un nuovo materiale da costruzione ecologico e molto flessibile e resistente.
La sua è diventata un’invenzione brevettata e con il nome di Sargablock ha velocemente conquistato il mercato fino ad essere inserita dalle Nazioni Unite nella lista delle soluzioni più ecologiche per ridurre l’impatto dell’edilizia nel cambiamento climatico. Il governo messicano gli ha commissionato decine di case costruite con le alghe e Vázquez ha avviato un’attività che fabbrica abitazioni per la popolazione a basso reddito e opportunità di lavoro per centinaia di persone, a partire da un problema. Decine di giovani oggi raccolgono il sargasso dalle spiagge per portarlo nelle fabbriche dove si costruiscono i blocchi e altrettanti lavorano come muratori.
Una casa edificata con i mattoni di alghe costa circa l’equivalente di 8.000 euro e può durare fino a 120 anni; le autorità di Malesia, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Barbados, Belize e anche degli Stati Uniti stanno costruendo edifici simili per sfruttare il sargasso. “Una notte ha piovuto a dirotto ma i miei blocchi sono sopravvissuti… è stato allora che ho capito di avercela fatta” racconta Vázquez
___________________
Fonte: Sargablock
Tumblr media
VERIFICATO ALLA FONTE | Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
BUONE NOTIZIE CAMBIANO IL MONDO | Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali
Tumblr media
Se trovi utile il nostro lavoro e credi nel principio del giornalismo costruttivo non-profit | sostieni Mezzopieno
26 notes · View notes
conte-olaf · 8 months
Text
Tumblr media
⚒️️ Prima tappa dell'azionariato popolare di Gff
📣 Campagna 100 per 10.000. Che siano 100 soci finanziatori da 10.000 euro, 10.000 da 100, che sia quel che sia, l'obiettivo è un milione. Presto info su www.insorgiamo.org, chiedere call o info via whatsapp o telegram al 3478646481
💥Rendimento solidale: 0,25 in più rispetto ai buoni fruttiferi postali a 3 anni
👺 No, non rinunciamo all'intervento pubblico. La stessa cifra pretenderemo come base di partenza dell'investimento pubblico : un dito puntato contro uno Stato complice, impotente, assente
🛠️ Non cerchiamo soldi per i soldi. Cerchiamo organizzazione e consapevolezza. I soci finanziatori potranno controllare fino a un terzo della cooperativa: cittadinanza locale, movimento climatico internazionale, gruppi di lavoratrici e lavoratori, associazionismo, le competenze solidali = controllo sociale unito al controllo operaio nella produzione
🔴 No, non si può costruire una isola felice in un sistema così. Non è quello che ci sentirete mai dire. Ma questo viaggio complicato continua. Ci meritiamo questo precedente: polo della mobilità leggera e delle rinnovabili
🌎 Il territorio ha difeso la fabbrica. Deve riavere i posti di lavoro bruciati da delocalizzazione e speculazione, dall'assenteismo di questa proprietà
⚡ La fabbrica produceva semiassi. E potrebbe tornare a produrli. Ma avete giocato con il concetto di reindustrializzazione per cuocerci a fuoco lento e confondere tutta la popolazione. Sapete cosa? Ora decidiamo noi come reindustrializzare. La vogliamo socialmente ed ecologicamente avanzata.
E ogni pannello solare, ogni cargo bike prodotto da questa fabbrica, sarà il segno tangibile, inequivocabile che qua "loro" hanno perso
🚫 Per questo faranno di tutto per fermarci.
⌛ Ogni giorno diventa più difficile. Spicchiamo il volo ora o cadiamo: diffondete la notizia, pubblicizzate la vostra scelta di aderire.
⭕ Il primo finanziatore è la stessa Società Operaia di Mutuo Soccorso Insorgiamo: convergenza culturale, dopolavoro, mutualismo conflittuale
💥 Fabbrica socialmente integrata 💥 Mutualismo 💥 Posti di lavoro 💥 Controllo sociale 💥 Transizione ecologica ora 💥 Intervento pubblico #insorgiamo
https://www.instagram.com/p/CxK9pm4qqrb/?igshid=MTc4MmM1YmI2Ng==
26 notes · View notes
fashionbooksmilano · 2 months
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Gli anni della dolce vita
Tendenze della fotografia italiana
Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, Torino 2004, 290 pagine, 40x50cm, 66 fotografie BN euro 50,00
email if you want to buy :[email protected]
L’esposizione, ideata e realizzata dalla FIAF, curata da Fulvio Merlak, Claudio Pastrone e Giorgio Tani, raccoglie 66 fotografie in bianco e nero scattate da alcuni tra maggiori fotografi italiani tra la fine degli anni ’50 ed il 1968. Le immagini sono state organizzate in due parti: la prima dal titolo La Dolce Vita è un accenno allo starsystem dell’epoca con fotografie scattate a Fellini, De Sica e Pasolini, a Mastroianni e Sophia Loren, passando negli atelier di alcuni grandi sarti, da fotografi come Garolla, Giancolombo, Palmas, Pierluigi, Secchiaroli. La seconda parte (La nuova vita) ci presenta i cambiamenti nello stile di vita, l’emigrazione dal sud, il lavoro in fabbrica, le periferie delle grandi città, il boom dell’automobile, i divertimenti dei giovani.
28/03/24
7 notes · View notes