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#libri e dintorni
gregor-samsung · 25 days
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“ Lipari è la migliore di tutte le isole in cui sono deportati gli oppositori al regime. Prima del fascismo, vi erano relegati i delinquenti comuni dichiarati incorreggibili. La zona riservata ai confinati era di un chilometro quadrato: attualmente è ridotta a poche centinaia di metri. Sentinelle e pattuglie sbarrano le vie d’accesso. Per cinquecento deportati prendevano servizio trecento agenti e militi fascisti. Attualmente vi sono cinquecento militi fascisti: dietro ogni deportato un milite. Solo pochi deportati, malati o con famiglia, possono abitare nelle case private: gli altri sono obbligati a dormire nelle caserme, dentro le mura di un antico castello. La popolazione simpatizza con i deportati, ma sono vietati i rapporti. In venti mesi, dal novembre cioè del 1927 all’agosto del 1929, io non ho potuto avvicinare che il medico. Il deportato deve vivere segregato dal mondo. I giornalisti stranieri che hanno visitato Lipari non hanno parlato che con gli agenti di polizia. Un giornalista americano, per il Natale del 1927, visitò l’Isola espressamente per passare le feste con il suo amico deputato Morea. Gli fu vietato lo sbarco. Il mare è continuamente guardato da barche, da motoscafi veloci della regia marina e da un canotto da guerra: su tutti vi erano riflettori e mitragliatrici; sul canotto c‘è anche un cannone. Di giorno e di notte, ispezionano le coste. Il controllo sulle navi che approdano nell’Isola, è fatto colle norme del tempo di guerra. Tutti gli estranei che sbarcano nell’Isola sono sottoposti a perquisizioni personali. “
Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni, introduzione di Giovanni De Luna, Einaudi (collana ET Scrittori n° 1037), 2008⁴, pp. 180-181.
 NOTA: Questo memoriale antifascista fu pubblicato dall'autore in esilio a Parigi dapprima nel 1931 per un pubblico internazionale, quindi nel 1933 in lingua italiana (col significativo sottotitolo Fascismo visto da vicino) dalla casa editrice parigina "Critica". Il libro fu edito in Italia già nel 1945 dall'editore Einaudi nella Collana "Saggi".
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luigidelia · 7 months
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Una bella notizia, cari, sputo il rospo tutto insieme. Non avevo ancora scritto niente su questa novità ma a questo punto il viaggio è cominciato e bisogna pur attirare le energie positive: SONO STATO NOMINATO CONSULENTE PER LO SVILUPPO DELLA NUOVA BIBLIOTECA DI BRINDISI, IL MEDIAPORTO. E il prossimo 22 marzo con un convegno si inaugurano i lavori per la creazione di un OSSERVATORIO DI INNOVAZIONE CULTURALE ED EDUCATIVA ATTRAVERSO LA "NARRAZIONE" E L'ARTE.
Voilà. Una piccola rivoluzione, sì. Una bellissima notizia: una biblioteca e un centro di ricerca sulla povertà culturale attraverso la narrazione. Tutto insieme. All’adrenalina del palco ora si affianca un’energia ancora diversa. E credo che mi toccherà cercare un nuovo centro di gravità "errante".
Il MediaPorto - Biblioteca di Brindisi è uno spazio multifunzionale ristrutturato con il progetto della Regione Puglia Community Library. Qualche anno fa il progetto vincitore lo scrisse Simonetta Dellomonaco e ora una cordata di istituzioni e persone speciali sono davanti a me a tirare la slitta, per dirla alla Zanna Bianca: Luigi De Luca per i #polibibliomuseali della Regione Puglia, Emilia Mannozzi, per il Polo di Brindisi, Toni Matarrelli per la Provincia di Brindisi, Giovanni Luca Aresta per #santateresaspa che di quella slitta ora tiene con energia nuova le redini in mano, il Teatro Pubblico Pugliese e un'infinità di persone laboriose che poco alla volta sto scoprendo dietro le quinte di questo luogo prezioso come l’ossigeno.
Il MediaPorto - Biblioteca di Brindisi comprende sale studio (già affollate dalla riapertura!), un auditorium, una biblioteca ragazzi, una caffetteria di prossima apertura, sale convegni, spazi di co-working e mille altri spazi fisici e immateriali che saranno dedicati ai nuovi media, al cinema, ai libri, alle mie tanto amate storie. Ma soprattutto, e qui batte il cuore, a creare uno spazio dove il potenziale creativo delle ragazze e dei ragazzi del territorio possa trovare nutrimento. Il più alto possibile. E nel massimo rispetto della sovranità e dei mondi intoccabili dei ragazzi. Chi mi conosce può capire a cosa mi riferisco.
Cominciamo il 22 marzo alle ore 17 in rete con le scuole di ogni ordine e grado della provincia, l’ufficio scolastico provinciale, le reti scolastiche più prossime, la ASL, il Comune di Brindisi (il cui sindaco Giuseppe Marchionna ha dato avvio a tutto questo prima di diventare primo cittadino), la consulta provinciale degli studenti, il consiglio comunale dei ragazzi, le reti più virtuose della città (guarda caso la nomina è arrivata da un bando dove come concorrenti eravamo tutti amici cari di mille progetti svolti in città e dintorni) e lo facciamo con un convegno che apre il percorso per la creazione di un OSSERVATORIO DI CONTRASTO ALLA POVERTA’ CULTURALE ED EDUCATIVA ATTRAVERSO LA NARRAZIONE LE ARTI. Il Convegno è aperto a tutti. Muove un primo passo significativo del progetto culturale che vorrei nascesse in questo luogo.
Ho piantato letteralmente migliaia di alberi (erano i tempi che dai miei spettacoli nascevano i progetti di forestazione partecipata) e ho ben chiaro che il bosco nasce solo quando arriva un’esplosione ormai irrefrenabile dalla Terra, dalla Pancia. Quando l’ego, colui che vuole piantare, “io”, ha fatto, forse, quello che doveva fare e poi si è tolto di mezzo. Qui voglio fare questo: ariamo un poco il terreno insieme e quando sarà il momento, se lo sarà, togliersi di mezzo e qualcosa nascerà da sola. E non sappiamo nemmeno che forma avrà.
Che dire? D’ora in poi vi racconterò anche di questo luogo che si chiama Mediaporto di Brindisi. Ovunque siate fra poco potrà valere la pena venire a trovarci. Ah, dimenticavo: l’Osservatorio che sta nascendo si chiama MINISTERO DEI SOGNI. Vi piace? <3 (In una foto io e Carolina in uno dei boschi, vero Antonio…)
Ecco il programma del convegno del 22 marzo, h 17, vi aspettiamo. Contattatemi. Cerchiamoci. ---
Mediaporto di Brindisi 22 marzo 2024, ore 17.00
MINISTERO DEI SOGNI Osservatorio d’innovazione culturale ed educativa Convegno d’apertura
Saluti istituzionali
Introduce Giovanni Luca Aresta, Amministratore Unico di Santa Teresa S.p.A. Loredana Capone, Presidente del Consiglio della Regione Puglia Toni Matarrelli, Presidente della Provincia di Brindisi Giuseppe Marchionna, Sindaco di Brindisi Emilia Mannozzi, Direttrice Polo-Biblio Museale Brindisi Angela Tiziana Di Noia, Dirigente Ufficio Scolastico Provinciale
Interventi e contributi
Luigi D’Elia, Consulente per lo Sviluppo del Mediaporto e coordinatore dell’Osservatorio Gaia D’Argenio, Presidente della consulta provinciale studentesca di Brindisi e Coordinatrice Regionale Luigi De Luca, Coordinatore Poli Biblio Museali della Regione Puglia Rosetta Carlino, Dirigente ICS “Cappuccini” Brindisi - Coordinatrice Rete delle Scuole che promuovono la Salute per la Provincia di Brindisi Mina Fabrizio, Dirigente ITT “Giorgi” Brindisi - Scuola Polo per la formazione Ambito PUGLIA BR 11 Diego Caianiello, Sindaco del CCR Brindisi Consiglio Comunale dei Ragazzi di Brindisi Maria Rita Greco, Dirigente ASL Settore psicologia clinica e pedagogia dell'età evolutiva Lucia Portolano, Dirigente scolastica Coordinatrice de Tavolo docenti per l’educazione ambientale e i “diversi” linguaggi Modera gli interventi Luigi D’Elia
Info: 0831 544301 - [email protected] Si raccomanda l’Iscrizione al link: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeCQzKzUy5S_gjj5wzWxZCstD2nGm25fIiuBUgnHvvrN8k8yA/viewform?usp=sf
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susieporta · 1 year
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Una vita lunga 101 anni - di cui una trentina vissuti in Estremo Oriente - più di 30 libri scritti, due secoli attraversati da protagonista, a partire dalla Belle Époque sino alle rivolte studentesche del 1968.
Questi sono solo alcuni dei "numeri" di una donna veramente straordinaria, la prima occidentale ad aver mai visitato nel 1924 Lhasa, capitale e città santa del Buddismo tibetano.
Alexandra David-Néel nacque nei dintorni di Parigi il 24 ottobre del 1868 da un francese ugonotto e socialista, e da una belga cattolica e monarchica, che per molti versi era l'opposto del marito.
Fin da bambina desiderò, come scrisse lei stessa, "andare oltre il cancello del giardino e partire per l'ignoto", immaginato come luogo dove potersi sedere da sola a meditare, senza nessuno accanto.
Proprio per questo, a 16 anni s'allontanò dalla casa di famiglia in Belgio, in tempi in cui le donne sole erano considerate pazze o prostitute, per raggiungere l'Olanda a piedi e di qui imbarcarsi per l'Inghilterra, poi l'Italia, la Francia e la Spagna, in un peregrinare incessante.
A Londra conobbe Mrs. Morgan che l'introdusse nel ristretto mondo della teosofia, corrente di pensiero per cui tutti gli esseri viventi appartengono a un'unica famiglia nella quale le varie religioni sono espressioni di una sola verità, che a lei - figlia di un protestante e una cattolica - si attagliava perfettamente.
In questo ambiente s'accostò per la prima volta al Buddismo Zen che la folgorò al punto da diventare la ragione di vita che la spinse, fra l'altro, a studiare le lingue orientali, a partire dal sanscrito sino al tibetano.
A 21 anni partì per la prima volta per l'India, con l'intento di approfondire i suoi studi.
Tornata in Europa senza un soldo, si sforzò per un po' di vivere "all'occidentale" scontrandosi però quotidianamente con i limiti - per lei intollerabili - imposti al suo genere dalle convenzioni del tempo, tanto da risolversi ad accettare un impiego da cantante lirica presso l'Opéra di Hanoi al solo scopo di tornare in Estremo Oriente.
In Vietnam rimase dal 1895 al 1897, anno in cui rientrò in Francia per imbattersi nell'ingegner Philip Néel, che sposò senza alcun trasporto nel 1904 perché lui, a lei, garantiva una certa solidità economica; lei invece, a lui, il prestigio sociale derivante dal matrimonio con una donna che s'era già costruita un nome coi suoi primi scritti.
La repulsione di Alexandra per il sesso e tutto ciò che fosse maschile, causata anche dall'ipocrisia di una società dove gli uomini si sposavano per generare figli, ma trovavano il piacere fuori dal vincolo coniugale, l'indusse subito a trascorrere pochissimo tempo accanto al marito, che tuttavia nutrì sempre nei suoi confronti un affetto sincero.
L'Ing. Néel, comprendendo il disagio psicologico della moglie, accettò la sua proposta d'intraprendere "un lungo viaggio" da sola in Oriente, lasciandola partire nel 1911 senza però immaginare che non l'avrebbe più rivista per ben 14 anni.
L'India e il misteriosissimo Sikkim (piccolo stato himalayano) furono le prime tappe del suo viaggio. Proprio a Gangtok conobbe il locale Maharajah, il Dalai Lama e il "Gomchen" ("il grande meditatore") del monastero di Lachen, di cui divenne discepola seguendone gli insegnamenti per oltre due anni, durante i quali il suo fisico si trasformò, rifiorendo.
Sempre in Sikkim fece conoscenza con un ragazzetto quattordicenne, Aphur Yongden, per il quale provò un legame spirituale immediato tanto da adottarlo come figlio e tenerselo accanto per oltre quarant'anni, sino alla sua morte prematura.
Ormai espertissima di Buddismo Zen, con lui viaggio in Giappone, Corea, Cina e Mongolia, dove soggiornò a lungo presso il monastero di Kumbum di cui, in uno dei suoi libri, descrisse incantata la straordinaria processione mattutina di circa 3.800 monaci buddisti diretti alla sala delle meditazioni.
Viaggiando a piedi o, quando andava bene, a dorso d'asino o di yak, nel 1923 raggiunse in incognito e travestita da uomo, sempre col fedele Yongden, la mitica città tibetana di Lhasa, interdetta alle donne, dove s'intrattenne a lungo venendo però alla fine scoperta e cacciata a causa dell'unico "vizio" occidentale rimastole: quello di farsi un bagno caldo quotidiano nella vasca portatile che aveva con sé.
Rientrata in Francia nel 1925, si separò dal marito col quale però avrebbe sempre mantenuto rapporti cordiali, per stabilirsi con Yongden in Provenza, a Digne-les-Bains, in una villa chiamata "Samten-Dzong ("Fortezza della meditazione") dove si dedicò alla scrittura dei suoi numerosi libri, fra cui il famoso "Viaggio di una parigina a Lhasa", nel contempo ricevendo visitatori da tutto il mondo, sempre intrattenuti con le sue riflessioni, e non mancando di ripartire di tanto in tanto per l'amato Oriente.
Poco prima di spirare l'8 settembre del 1969, quasi cento-unenne, volle rinnovare il passaporto con l'idea d'intraprendere un ultimo viaggio che, invece, avrebbero fatto le ceneri sue e di Yongden nel 1973, per essere disperse nelle sacre acque del Gange, a Benares, come lei desiderava tanto.
Accompagna questo testo una foto di Alexandra David-Néel in compagnia del fido Aphur Yongden
(Testo di Anselmo Pagani)
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turuin · 5 months
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Il film più bello che tu abbia mai visto e perché. Grazie.
Buona domenica.
Questa è sempre una domanda complessa, per me; ogni film mi ha colpito in un modo diverso e mi risulta molto difficile prediligerne uno rispetto agli altri... ma succede anche con i dischi, con i videogames, con i libri, con le opere d'arte e via dicendo.
Ciò premesso, in questa luminosa mattina di maggio scelgo ...
UN FILM PER OGNI ARBITRARIA CATEGORIA DELLA MIA TESTA!
Categoria "Film di Quentin Tarantino"
A mani bassissime, "Bastardi Senza Gloria". Visto al cinema con un carissimo amico, ricordo ancora le nostre facce stupefatte dalla maestria vista a schermo, specialmente nella primissima parte introduttiva, e credo sia il film che più di tutti in assoluto dimostri che Tarantino sia molto di più di un simpatico cazzone con un gran talento e il vizio delle citazioni facili.
Runner-up: "Kill Bill" ma se fai un film in due parti è un po' barare, per me. Comunque notevole.
Categoria "Film d'azione degli anni '80-'90"
Qui mi trovo quasi in un imbarazzo serio quanto come con la prima domanda. Però non sarà domenica mattina per sempre (ah-ah, citazione in incognito) e quindi scelgo "Grosso Guaio a Chinatown", troppo spesso dimenticato dalle programmazioni regolari pur avendo due frecce incredibili al proprio arco, vale a dire Carpenter alla regia e Kurt Russell come protagonista.
Runner-up: "Predator".
Categoria "Fantasy & Derivati"
Quando hai visto la trilogia de "Il Signore Degli Anelli" al cinema, c'è poco da fare o da discutere. Oggi magari sembra poca roba, all'epoca (e non stiamo parlando degli anni '50, ma degli scarsi primi del secolo) lo si guardava sul grande schermo pensando: come cazzo hanno fatto?
Runner-up: "Conan" di Milius e "Ladyhawke".
Categoria "Film d'epoca"
Qui, per ragioni sentimentali, scelgo "L'anno scorso a Marienbad" di Alain Resnais. Le ragioni sentimentali sono: mio padre. (Ci ho fatto un post, qualche anno fa. Non so se resista ancora da qualche parte.).
Runner-up: "Harvey", di Henry Koster, con James Stewart. Bellissimo.
Categoria "Commedie Italiane"
Uh, questa è durissima. Però quando hai sottomano una roba come "Non ci resta che piangere", scritto, diretto e interpretato da Benigni e Troisi in stato di grazia, è difficile fare meglio.
Runner-up: "Vieni avanti, cretino!" di Luciano Salce, con un Lino Banfi che si mangia a colazione qualsiasi Jim Carrey in una sequenza di gag e scenette una più nonsense dell'altra.
Categoria "Fantascienza e dintorni"
"Blade Runner" e "Alien". Si, tutti e due. No, non sono disposto a trattare.
Runner-up: "Star Trek II: L'Ira di Khan", perché cazzo se regge bene al passare del tempo. E no, non ci metto Star Wars nonostante l'affetto che provo per il franchise.
Categoria "Film tratti da libri"
In genere si dice "è meglio il libro"... ma qui almeno va detto che merita tantissimo (anche per la sua genesi, consiglio di recuperare diversi articoli a proposito del rapporto tra regista e scrittori) "Stalker", di Andrej Tarkovskij, tratto da "Picnic sul ciglio della strada" di Arkadij e Boris Strugackij.
Runner-up: "Arancia Meccanica" perché puoi dare qualsiasi cosa a Kubrick e ne trarrà fuori il capolavoro che non sapevi di avere in mano.
Categoria "Commedie Americane"
Qui sicuramente si vede quanto io sia old-school, dato che tutti i film "commedia" sull'onda dei vari something-movie (scary movie, epic movie etc.) mi fanno abbastanza pena.
E quindi non posso che votare per "Una pallottola spuntata", diretto da David Zucker e con quel figo di Leslie Nielsen (e relativi seguiti, ma qui il primo è imbattibile).
Runner-up: "L'aereo più pazzo del mondo", perché "lo so lo so lo so!" "lo sa, lo sa, lo sa!" "lo faaaaaaaa"
Basta, mi fermo qui o vado avanti tutta la mattina. Grazie per l'ask!
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pettirosso1959 · 9 months
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Immagino che in molti ieri abbiano visto Nuclear Now di Oliver Stone, il suo ultimo film nel quale rilancia la necessità di utilizzare l'energia nucleare per fronteggiare la minaccia del riscaldamento globale. Indipendentemente dalle posizioni di ciascuno, il film è anche una sorta di autobiografia generazionale nella quale, pur essendo più giovane di lui, mi sono in buona parte ritrovato.
La nostra generazione, infatti, era largamente antinucleare (come lo era lui). E lo eravamo per diverse ragioni:
- associavamo nucleare a Hiroshima. E anche se nessuno poteva seriamente pensare che una centrale potesse produrre un fungo atomico, c'era però il problema radiazioni, quelle che colpiscono i superstiti della bomba ma potevano colpire anche in caso di incidenti, alle centrali o ai depositi di scorie. Gli incidenti di Three Miles Island prima, e soprattutto di Chernobyl poi, non fecero che confermare e rafforzare il rifiuto.
- vivevamo in un periodo nel quale lo sviluppo era solo occidentale mentre dilagava la fame nel mondo. Come scrivevo l'altro giorno (https://tinyurl.com/3wtnexmt) erano gli anni del Club di Roma e l'idea condivisa era quella di un Occidente che non solo condannava alla fame il resto del mondo, ma ipotecava un futuro nel quale lui, l'Occidente, avrebbe continuato a svilupparsi a scapito, non solo del III mondo, ma delle generazioni future.
- le energie alternative muovevano i primi passi. Il sole che ride è un simbolo che voleva dire: no a nucleare, al suo posto energia solare, gratuita, rinnovabile e illimitata. Si pensava quindi che se gli investimenti non fossero diretti solo su petrolio e nucleare, ma anche su rinnovabili, la ricerca avrebbe potuto fare passi da gigante e arrivare a risultati allora non immaginabili.
Per tutte queste ragioni essere antinucleari pareva essere cosa ragionevole e sensata. Passati alcuni decenni, però, e maturata un'esperienza consolidata, quelle stesse ragioni di allora sono state da molti riviste, come il film di Oliver Stone in parte racconta.
- Incidenti e Chernobyl. Che fu oggettivamente una catastrofe. Ma come molti libri (e non da ultimo la bellissima serie TV) hanno abbondantemente mostrato, quella catastrofe fu ingenerata da una serie impressionante di comportamenti umani del tutto sbagliati e volontari. In poche parole: gli addetti fecero ciò che non dovevano fare, e sapevano che non avrebbero dovuto farlo. Il tutto in presenza, peraltro, di reattori di antica generazione che nessuno si sognerebbe di costruire adesso. Ma mettere in conto dell'energia nucleare il comportamento deliberato (e criminale) degli operatori, è come mettere in conto il Vajont alle fonti rinnovabili (l'idroelettrico è la principale fonte rinnovabile). Ma noi sappiamo che il Vajont accadde perché anche lì vi fu un deliberato comportamento umano sbagliato (e criminale), e infatti attribuiamo quella catastrofe ai costruttori, ai progettisti, agli umani, insomma, o al massimo agli eventi meteo, ma non alle fonti rinnovabili. Fukushima, spesso citata insieme a Chernobyl, è in realtà più una controprova. Perché lì avvenne un terremoto e seguente tsunami che rase al suolo una città e uccise quasi 20mila persone. La centrale è praticamente l'unica cosa che rimase in piedi. Ci fu un incidente, verissimo, ma fu provocato da un'onda da tsunami che non era stata prevista, alta più di un palazzo di 4 piani, che scavalcò le recinzioni e allagò la centrale. Errore di progettazione e localizzazione, ma la centrale resse, a dispetto di tutto il resto nel raggio di chilometri e non vi furono morti per via dell'incidente nucleare, a differenza delle migliaia che avvennero per il terremoto (e dei quali nessuno si ricorda più). Per quanto riguarda la paura di radiazioni e la richiesta di radiazioni zero, magari in nome di chissà quale principio di precauzione, ricordo che le radiazioni naturali esistono, e in Italia non mancano affatto, con alcune zone (vedi Viterbo e dintorni https://tinyurl.com/yy4mceya) che presentano livelli tutt'altro che trascurabili. Eppure, nonostante questi livelli siano conosciuti e monitorati da decenni, non mi risultano conseguenze negative dal punto di vista sanitario per le popolazioni locali.
- Frenare lo sviluppo in Occidente. Se questa pareva una buona idea quando solo l'Occidente cresceva, oggi, che vediamo lo sviluppo asiatico di oltre metà della popolazione mondiale, non ha senso. Lo sviluppo non è più solo occidentale, e la maggioranza della popolazione mondiale di certo non ha intenzione di frenarlo. Anzi.
- Lo sviluppo delle rinnovabili. Non siamo a 40 anni fa, ora le energie rinnovabili sono state sviluppate e, in alcuni paesi, in misura enorme. L'esempio della Germania ormai fa testo. Ha un potenziale di generazione di 130 Gw o giù di lì (più o meno il doppio del nostro) eppure risulta costantemente tra i paesi europei con il maggior quantitativo di emissioni. Per Kwh prodotto, la Germania ha un livello di emissioni che è circa 10 volte maggiore di quello della vicina Francia che, come noto, ha molte centrali nucleari, pur avendo, la Germania, impianti per rinnovabili (sole+vento) che sono oltre 4 volte più di quelli della Francia. Il quadruplo delle rinnovabili per avere emissioni 10 volte maggiori: c'è qualcosa che non torna, ma i motivi si conoscono, il capacity factor e l'impossibilità di stoccaggio. Ci si continua a ripetere (da decenni) che si troverà il modo di immagazzinare energia solare per la sera su larga scala e in grado di rispondere ai picchi di, per esempio, un ospedale. Fatto sta che mi sembra di sentire i discorsi sulla fusione, che vengono fatti, anch'essi, da decenni: arriverà, è certo, è il futuro. Ma più in là. All'atto pratico, oggi (e per i prossimi decenni) non abbiamo nulla che ci serva, e l'esempio della Germania dovrebbe essere di monito per tutti.
Il film di Oliver Stone, quindi, parla ad una generazione, quella che sbrigativamente possiamo identificare come boomer, alla quale appartengo. Questa generazione nel corso della sua vita ha visto apparire il riscaldamento globale, prima come ipotesi futuribile e poi, anno dopo anno, come realtà scientifica assodata e, quel che è molto peggio, come realtà climatica percepita e constatata. Di fronte a questo si impongono a tutti riconsiderazioni, e in molti di noi l'hanno fatto nel corso del tempo: davanti alle nuove realtà e alla nuova conoscenza, le antiche prese di posizione hanno ancora senso? O non rischiano di essere, anno dopo anno, sempre più pericolose e deleterie?
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alonewolfr · 1 year
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In quel meraviglioso bosco si ergeva un albero che non fioriva mai. Pur essendo pieno di vita, sui suoi rami non apparivano mai i fiori. Per questo aveva l’aspetto di un albero morto, ritorto e secco. Pur essendo vivo, sembrava condannato a non godere del colore e degli aromi della fioritura.
L’albero si ergeva solitario. Gli animali non gli si avvicinavano per paura di essere contagiati dallo stesso male, neanche l’erba cresceva nei suoi dintorni. La solitudine, la sua unica compagna. Narra la leggenda di Sakura che una fata dei boschi si commosse vedendo l’albero apparisse vecchio, pur essendo giovane.
Una notte la fata comparve accanto all’albero e con nobili parole gli sussurrò che avrebbe voluto vederlo rigoglioso e raggiante, e che era disposta ad aiutarlo. Allora gli fece la sua proposta: avrebbe lanciato un incantesimo che sarebbe durato 20 anni. Durante questo lasso di tempo, l’albero avrebbe provato quello che prova il cuore umano. Forse così si sarebbe emozionato e avrebbe trovato la fioritura.
La fata aggiunse che si sarebbe potuto trasformare in qualsiasi momento in essere umano e di nuovo in pianta, come più desiderava. Tuttavia, se terminati i 20 anni non fosse riuscito a recuperare la sua vitalità e bellezza, sarebbe morto immediatamente.
Proprio come disse la fata, l’albero scoprì che poteva prendere le sembianze di un uomo e tornare a essere albero quando voleva. Provò a passare lunghi periodi tra gli umani, per vedere se le loro emozioni lo potevano aiutare nel suo proposito di fiorire. Inizialmente, però, ricevette una delusione: attorno a lui non vedeva altro che odio e guerra.
Questo lo spingeva a tornare nelle sue sembianze originali per lunghi periodi, e così passarono i mesi e poi gli anni. L’albero era quello di sempre e non trovava negli esseri umani la svolta che potesse liberarlo dalla sua condizione. Un giorno, tuttavia, dopo essersi trasformato in umano, camminò fino a un ruscello cristallino e lì vide una bellissima giovane. Era Sakura. Impressionato dalla sua bellezza, l’albero dalle sembianze umane si avvicinò a lei.
Sakura si rivelò gentile con lui. Per ricambiare la sua gentilezza, la aiutò a trasportare l’acqua fino a casa. Durante il tragitto conversarono animatamente, e con una vena di tristezza sullo stato di guerra in cui si trovava il loro paese, condividendo i loro sogni di speranza.
Quando la giovane gli chiese quale era il suo nome, all’albero venne in mente una sola parola: “Yohiro”, che significa speranza. Tra i due nacque una profonda amicizia. Si incontravano tutti i giorni per conversare, per cantare e leggere poemi e libri pieni di storie meravigliose. Più conosceva Sakura, più sentiva il bisogno di stare al suo fianco. Quando non era con lei, contava i minuti che mancavano per vederla.
Un giorno Yohiro non poté più trattenersi e confessò a Sakura tutto il suo amore. Le confessò anche la sua vera natura: era un albero tormentato che presto sarebbe morto perché non era riuscito a fiorire. Sakura rimase impressionata e restò in silenzio. Il tempo era passato e la scadenza dei 20 anni stava per avvicinarsi. Yohiro, che tornò ad assumere le sembianze di un albero, si sentiva sempre più triste.
Un pomeriggio, quando meno se lo aspettava, Sakura si presentò al suo fianco. Lo abbracciò e gli disse che anche lei lo amava. Non voleva che morisse, non voleva che gli accadesse nulla di male. Fu allora che apparve nuovamente la fata e chiese a Sakura di scegliere: rimanere umana o fondersi con Yohiro sotto forma di albero.
Lei si guardò intorno e ricordò i campi desolati e distrutti dalla guerra. Allora scelse di fondersi per sempre con Yohiro. Ed ecco che i due si fusero e divennero uno solo, e come per miracolo, l’alberò fiorì. La parola Sakura significa “Bocciolo di ciliegio”, ma l’albero non lo sapeva. Da allora, il loro amore profuma i campi del Giappone.
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libriaco · 2 years
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Le coincidenze
All'improvviso è comparso, sul mio comodino, un libro di Leskov: "Una famiglia decaduta".
Quel bel piano di legno, dove riposano pile di cartalibri, un ereader, due cellulari, due tablet, un paio di cuffiette bluetooth, un power-bank, una moleskine per le note e alcuni lapis, evidentemente è stato l'oggetto di una 'messa in ordine' da parte di mia moglie. Ora, io considero quell'ampia superficie una naturale estensione delle mie scrivanie (plurale!) e quindi soggetta alla stessa regola che vige per loro: nulla deve essere toccato, spostato, aggiunto o tolto, pena il mio impazzimento nel ritrovare un qualsiasi oggetto che, con memoria fotografica, ricordo a quale livello di stratificazione appartenga, vicino a cosa sia e perché lo abbia amorevolmente accomodato lì (certo in attesa che, un anno o l'altro, mi punga vaghezza di riaverlo tra le mani). Questa 'riorganizzazione' del piano in noce mi ha proprio infastidito ma mi sono ben guardato dal fare commenti; si sa, siamo nel periodo delle feste...
Il libro era in bella evidenza, chissà perché; se siete buoni lettori sapete senza dubbio che i libri, dotati di una vivace vita autonoma, spesso si nascondono e non si fanno trovare nonostante ricerche capillari, per poi sbucare fuori, all'improvviso, dove meno ci si aspetta. Questo libro però io non lo stavo cercando, quindi, da bell'esibizionista, ha evidentemente trovato il modo di mettersi in mostra per imperscrutabili motivi tutti suoi. Si tratta di un economicissimo pocket Longanesi, risale alla fine degli anni '60 e quasi certamente apparteneva alla biblioteca di mio suocero; però il romanzo devo averlo letto anche io, nel periodo adolescenziale dell'innamoramento con gli scrittori russi; sicuramente dopo i Grandi, però. Lo sfoglio e vado a cercare chi ne sia il traduttore: noi common readers abbiamo un sacco di fissazioni, una di quelle che ho io è di sapere chi traduca/tradisca i testi che leggo; nel caso specifico si tratta di una coppia: Dan Danino di Sarra e Leo Longanesi. Rimango perplesso: mi passa per la mente che il primo, sconosciuto, sia un nom de plume; che Leo Longanesi conoscesse il russo non l'ho mai saputo e forse ha solo 'aggiustato' la traduzione, facendo da editor al primo traduttore: in fondo lo ha pubblicato nella sua stessa casa editrice e avrà voluto avere un buon 'prodotto'.
Faccio qualche ricerca e scopro che Dan Danino (detto Dante) di Sarra era uno slavista, profondo conoscitore di lingue e civiltà slave, docente presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli, traduttore di autori russi, polacchi e cèchi tra cui Ljeskov, Gor’kij, Achmatova. "Il suo curriculum annovera attività didattica, pregevoli traduzioni di autori russi, polacchi e cèchi, autorevoli riconoscimenti per la promozione della cultura dell’Est in Italia, collaborazioni a riviste nazionali e straniere di rilevanza intellettuale, rigorose ricerche filologiche nel grande gruppo delle lingue slave. La severità dei suoi studi lo pose tra gli intellettuali bene considerati nei Paesi slavi e nel mondo della Slavistica italiana."  Leggo  QUI. Lo studioso era originario di Fondi. Quest'ultima informazione mi fa accendere, fioca, una lampadina: Fondi, Alberto Moravia, Elsa Morante, “La ciociara”... (uno dei peggiori libri che abbia mai letto).
Approfondisco e scopro che quando Moravia e consorte sfollarono da Roma nel 1943, sperarono di essere aiutati proprio da due loro buoni conoscenti che vivevano a Fondi: i giovani fratelli di Sarra; all'arrivo nel paese non trovarono però Dante, che era impegnato in una docenza a Bratislava, tuttavia la sua famiglia, per i coniugi Pincherle  (che si erano sposati nel 1941, testimone di nozze Leo Longanesi...), riuscì a trovare, nei dintorni, una casetta dove si rifugiarono per mesi e dove Moravia scrisse “La Ciociara”, il suo capolavoro (ironia, eh, ironia!).
Resto tuttavia pensieroso: perché il libro sarà improvvisamente comparso in bella vista? Vorrà ricordarmi di andare a leggere anche "L'angelo suggellato" di cui mi parlò con calore un'amica tempo fa? Mi starà suggerendo di riprendere in mano il saggio di Benjamin su Leskov?   Vorrà che lo rilegga perché il messaggio che mi deve comunicare è contenuto proprio nel testo? Oppure c'è  qualcos'altro che non ho ancora capito?
N. Ljeskov (sic) [Захудалый род - Zahudalyj rod, 1874 ], Una famiglia decaduta, Milano, Longanesi, 1967 [Trad. D. di Sarra, L. Longanesi]
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thelostgrimoire · 2 years
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Ciao! sto cercando informazioni sulle pratiche magiche della Toscana (soprattutto nei dintorni di Firenze e Arezzo) e vorrei chiederti se conosci dei libri e degli articoli sull'argomento :-)
Ho letto il vangelo delle streghe di Leland, ma non so quanto sia attendibile.
Grazie !!
Hey ciao!
Cavolo, questa è un po' una sfida...sulla Toscana non si trova tantissimo materiale scritto. Prova con questo e sbircia la bibliografia per trovare altri spunti/direzioni
Matteo Cosimo Cresti "Draghi, streghe e fantasmi della Toscana. Creature immaginarie, spettri, diavoli e leggende di magia della tradizione toscana"
Poi in realtà ne ho un altro, ma devo essere sincera non mi ricordo più il cognome dell'autore 😅 l'ho letto una vita fa
"Gli streghi, le streghe" di...Oscar qualcosa 😅
Poi è una terra in cui la cultura etrusca è rimasta abbastanza viva nelle pratiche magiche, quindi magari cercherei qualcosa anche su quel versante e seguirei un po' lo strascico storico...
Spero ci sia qualcosa di utile qui in mezzo 😊 Buona fortuna ✨
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jo-from-saturn · 1 year
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Ieri sono andata con mia madre a fare colazione al Bar Madonna. Mi sono portata Jane Austin con l'intenzione di leggerlo e invece ho finito solo per fare la foto lol. Comunque mi sta piacendo, mi ci voleva una lettura facile facile, anche se ho avuto dei timori per via di come Jane Austin è stata descritta in racconti come After e compagnia bella. Spero di finirlo prima di Giugno anche se ho altri libri in sospeso.
Ma poi mi sono detta sciallia, che me ne frega a me e l'ho iniziato ben sapendo che sono a buon punto secondo The Storybook e che avrò il tutto il tempo del mondo quest'anno per raggiungere il mio obbiettivo.
Tra i libri che vorrei leggermi c'è anche il prequel di Hunger Games, La Ballata dell'Usignolo e del Serpente, che spero non storpino a Novembre oppure vado lì e li uccido hahhahahhah.
In ogni caso, come diceva Freddy, il king bisessuale:
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In ogni caso mo mi devo mettere a studiare, a Giugno ho un'esame da fare e di sicuro non ci sta un antidoto per questo. In ogni caso chiederò aiuto a delle mie amiche, che ci sono sempre per me anche se non sembra. L'ansia sociale è una brutta bestia ma almeno sono abbastanza assertiva da sapere cosa mi piace e cosa no.
La Disney è il mio guilty pleasure, almeno io lo so che ci sono code da dover cambiare ma non fa nulla, come Zendaya io vengo da Saturno e da Saturno le cose sono come nel Piccolo Principe. Io mi identifico come LA 🌹 perché ho tante spine per proteggermi mentre in realtà dovrei essere più sciolta, come direbbe una mia amica villana: <<Ma che ce ne fott, la vita è una sola YOLO!>>
Sono un po' boomer di mentalità ma sono pronta a cambiare se ce la fa Amadeus sicuramente ce la posso fare io. E finalmente mi prenderò la maturità e perderò la mia verginità filosofica perché è così che si fa a Napoli e dintorni.
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afnews7 · 2 months
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Biblioteca e Museo del Consolato di Syldavia in Taurinia: lavori in corso
E’ in lavorazione la sezione Biblioteca e Museo del Consolato del Regno di Syldavia in Taurinia (Italia). Gli articoli ivi inseriti trattano di libri e oggetti, relativi alla Syldavia e a Tintin e dintorni, che fanno parte della collezione consolare. Man mano la lista verrà completata. Vedi la lista (in fieri) su: https://www.afnews.info/w22/syldavie-taurinie/biblioteca-e-museo/
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gregor-samsung · 6 months
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“ Sono anni molto violenti a Firenze. La città è percorsa da bande di fascisti terribili, duri e fanatici, riuniti in squadracce dai nomi paurosi. Una su tutti, ‘La Disperata’, al cui soccorso arriva ogni tanto ‘La Disperatissima’, composta da squadristi di Perugia che si muovono anche fuori regione spingendosi a fare incursioni fin nelle Marche. Gentaccia pronta a usare bastone e olio di ricino senza alcuno scrupolo, teppisti, criminali come Amerigo Dumini, il capo degli squadristi che un paio di mesi dopo sequestrano e uccidono Matteotti (e che, ricorda Lussu ne La marcia su Roma, era solito presentarsi dicendo «Amerigo Dumini, nove omicidi»). Il professor Salvadori, per non mettere in pericolo la famiglia, obbedisce alla convocazione senza fare storie e va a piazza Mentana. Entra nel covo alle diciotto del primo aprile [1924] e ne esce a tarda sera, coperto di sangue e barcollante. Max, all’epoca sedicenne, che gli è andato appresso perché aveva delle lettere da impostare alla stazione e l’ha aspettato fuori, ha sentito tre brutti ceffi che ciondolano per la piazzetta dire alcune frasi inquietanti. «Occorre finirlo». «Già, ma chi l’ha comandato?» «L’ordine viene da Roma».
In quel momento Willy esce dal palazzo circondato da una dozzina di fascisti esagitati che brandiscono bastoni. Il padre, ammutolito, è coperto di sangue, e quando Max gli si fa incontro per sostenerlo e aiutarlo riceve la sua razione di botte: i picchiatori non hanno finito, la squadraccia li segue fin sul ponte Santa Trinita, vogliono buttare padre e figlio al fiume. I due si salvano solo grazie a una pattuglia di carabinieri che passa di lì per caso, e quando infine arrivano a casa a mezzanotte, malconci e umiliati, sebbene Cynthia mantenga calma e lucidità e Willy cerchi di minimizzare, lo shock è forte per tutti loro. Scrive Joyce in Portrait: “Tornarono tardi, e la scena è ancora nei miei occhi. Noi due donne (mia madre e io, mia sorella era in Svizzera), affacciate alla ringhiera del secondo piano, sulla scala a spirale da cui si vedeva l’atrio dell’entrata; e loro due che dall’atrio salivano i primi gradini, il viso rivolto in alto, verso di noi. Il viso di mio padre era irriconoscibile; sembrava allargato e appiattito, e in mezzo al sangue che gocciolava ancora sotto i capelli, si vedevano i tagli asimmetrici fatti con la punta dei pugnali: tre sulla fronte, due sulle guance, uno sul mento. Mio fratello aveva il viso tutto gonfio e un occhio che pareva una melanzana. «Non è niente, non è niente», diceva mio padre, cercando di sorridere con le labbra tumefatte. Capii in quel momento quanto ci volesse bene.” In quella sera drammatica che costituisce uno spartiacque nella storia della loro famiglia, Joyce fa tesoro dell’esempio dato dai genitori e dal fratello. Il padre che coraggiosamente cerca di sminuire la portata della violenza e il fratello che lo sostiene forniscono alla Joyce dodicenne «solidità, in quanto alle scelte da fare. Servì a pormi di fronte a ciò che è barbarie e a ciò che invece è civiltà». “
Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Laterza (collana I Robinson / Letture), 2022¹; pp. 13-14.
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luigiviazzo · 6 months
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Versione de luxe, de Il Gioco della Rana il cosiddetto libro per gioco, ovvero il nuovo esperimento, meglio la seconda puntata dell'esperimento cross mediale fra diverse dimensioni ludiche, editoriali, di edutaintment e tanto altre ancora. La prima, pubblicata nel 2021, si intitola Due nel S(c)acco - King for Two nella versione inglese - ma la filosofia è sempre la stessa. Il Gioco della Rana, ovvero 6 x 1 Gioco, opera su tre livelli: base, medio, avanzato... per sei giochi complessivi di carte e dintorni... Come funziona il progetto? In maniera molto semplice: armatevi di forbici e tutto quanto vi suggeriscano immaginazione e creatività. Il resto, ma proprio tutto il resto, ve lo fornisce il Team de I Giochi di Alfonso (formato da Michele Caldarelli, Stefano Misesti e Luigi Viazzo). Nel dettaglio ecco che cosa troverete nel volume: carte a colori in tre formati e carte da colorare in tre formati. Le carte da colorare, oltre a consentire di effettuare la personalizzazione del gioco, daranno la possibilità a grandi e piccini di interagire, divertendosi insieme. Potrete ritagliare la carte anche dalla copertina per averle già disponibili con lo spessore dato dal cartoncino. In quest’ottica, troverete nelle ultime pagine del volume anche delle sagome a tutta pagina, onde permettere ai più piccoli (e perché no, anche ai più grandicelli e agli adulti) di colorarle e dare vita a delle piccole “opere d’arte” da conservare o mostrare a conoscenti e amici. In corso d'opera la versione in in lingua inglese (per i mercati esteri) che si intitolerà 6 2 play 1 Game: uscita prevista nel 2024.
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alessiazeni · 6 months
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Capitolo Bonus La Corte Di Nebbia E Furia Nessian
Avviso: Partendo dal presupposto che non ho studiato per diventare traduttrice, quindi ci saranno SICURAMENTE dei possibili errori di traduzione, grammatica, punteggiatura e/o ortografia, questa è la mia versione tradotta in italiano dei capitoli bonus dei libri di Sarah J. Maas.
Introduzione: Per Cassian, lo sfacciato, bellissimo generale delle armate di guerra Illyrian di Rhysand, avere a che fare con il sesso opposto era sempre stato facile e piacevole. Ma quando venne inviato nel reame umano per mandare un messaggio per conto del suo Signore Supremo, Cassian si trovò contro la tenace sorella maggiore di Feyre, Nesta. Sinceramente, Cassian non vedeva l’ora di avere un altro round contro la bellissima Nesta dal loro primo incontro particolarmente teso di qualche settimana prima, anche se non l’avrebbe mai ammesso a nessuno, tantomeno a sé stesso.
E Cassian non avrebbe sicuramente ammesso di aver finalmente trovato qualcuno che non sarebbe riuscito facilmente a sedurre con uno dei suoi sorrisi smaglianti o la sua costante arroganza.
Continua a leggere per scoprire cosa è successo al secondo incontro privato e perché il generale del Signore Supremo si è rifiutato di divulgare alcun dettaglio di ciò che è accaduto, una volta tornato alla Corte della Notte.
Non è che stesse cercando una zuffa, continuava a dirsi Cassian mentre volava in cerchio per la quinta volta sulla vasta tenuta, nonostante il freddo d’inizio primavera, così brutale da poter togliere il respiro persino al più grande guerriero Illyrian. Rhys aveva chiesto a lui di consegnare la sua ultima lettera alle regine umane, dato che Az era impegnato a cercare un modo per penetrare in qualunque dannata difesa che fosse stata piazzata attorno al loro palazzo, e Mor non voleva mettere piede nel reame umano a meno che non fosse strettamente necessario. Amren, naturalmente, era fuori questione, per il semplice fatto che si trattava di Amren e sarebbe stato come mandare una volpe in un pollaio. Quindi restava lui.
In realtà anche Feyre, ma lei e Rhys erano… impegnati.
E, sinceramente, aveva accettato di andare un po’ troppo velocemente, ma… Cassian osservò la tenuta, il terreno fangoso che si stava scongelando, il villaggio poco lontano e la fitta foresta in gemmazione. Se n’era andato dall’ultimo incontro senza sapere in che posizione fosse o chi avesse il coltello dalla parte del manico. E, che la Madre lo dannasse, nelle ultime settimane, si era ritrovato a pensare ad ogni parola che si era scambiato con Nesta, in continuazione.
Nessuna di esse era stata piacevole, ogni sillaba uscita dalla bocca di lei era stata pungente e crudele e… Cassian sbuffò, caldi viticci che sparirono nel vento. Non riusciva a decidere quale fosse la cosa peggiore: che ci avesse pensato così tanto o il fatto di essere corso fin lì così in fretta. Ed ora stava… bighellonando.
Il pensiero lo fece andare in una veloce, quasi imprudente, picchiata verso la tenuta dal tetto verde, la sua magia di occultamento lo rese poco più di un soffio di vento ed un battito d’ali. I cavalli nelle stalle vicine si agitarono e nitrirono mentre si avvicinava, ma i loro custodi controllarono i dintorni, ma non notarono niente e ritornarono al loro lavoro.
Cassian cercò di non pensare a quanto semplice sarebbe stato, a come quella mancanza di attenzione e di istinto sarebbe costata le loro vite se il muro fosse stato distrutto. Nel caso in cui qualcuno come lui avesse reso quella tenuta un terreno di caccia.
L’aveva visto accadere durante l’ultima guerra, non che ci fossero molti umani abbastanza ricchi da avere una proprietà. Ma aveva visto ciò che era rimasto di interi campi di schiavi quando un Fae decideva di divertirsi un po’. Bastò quel pensiero per fargli serrare la mascella e concentrarsi sulla porta di fronte a lui.
Il giorno prima avevano avvisato sull’orario esatto in cui sarebbe giunto. Quindi, quando bussò, non passò altro che un istante prima che la porta venisse spalancata. 
Il brusco movimento gli bastò per capire quale sorella era in attesa del suo arrivo. 
Dato che era ancora celato dalla magia, Nesta Archeron, con il suo volto perfetto, non vide altro che qualche chiazza di neve sul prato fangoso ed il vialetto in pendenza che lo attraversava, il pietrisco che luccicava per il ghiaccio che si stava sciogliendo. Aprì con disinvoltura la porta per farlo passare, mentre diceva alla governante maledettamente curiosa che non c’era nessuno alla porta e che il rumore che avevano sentito non era altro che il vento. 
Giusto. Se avessero fatto lasciare la casa da tutti i servitori così spesso, avrebbe fatto aumentare i sospetti più del previsto. Soprattutto con l’altra sorella fidanzata con quel coglione di un cacciatore di Fae.
La governante corse nell’atrio immacolato per accertarsi che non ci fosse nessun’altro, ma Nesta le disse solo che sarebbe andata al piano di sopra e che non voleva essere disturbata per un’ora. La donna aprì la bocca per obiettare, ma Nesta con la sua impressionante monotonia ripeté il suo ordine ed iniziò a salire la gradinata coperta da una passatoia.
Gli occhi della governante si assottigliarono mentre guardava la sua giovane padrona andarsene, e Cassian mantenne i suoi passi il più leggeri possibile, mentre superò la vecchia signora e saliva le scale.
Era così concentrato a non fare rumore e a tenere le ali strette al suo corpo affinché non andassero a sbattere contro qualcosa, che notò a malapena il pesante abito viola chiaro, più semplice rispetto agli altri che aveva visto addosso a Nesta, con il corpetto abbastanza stretto da mettere in risalto la vita magra e le maniche aderenti che mostravano le esili braccia. Aveva una corporatura più magra rispetto a Feyre ed Elain, eccetto per i generosi seni che aveva notato quando Nesta aveva raggiunto la cima delle scale ed aveva girato a sinistra.
Non che fosse rimasto a fissarli. Troppo.
Per il resto del mondo Nesta stava solo ciondolando verso la sua stanza, forse un po’ irritata e leggermente barcollante. Ma una volta entrata nella spaziosa stanza da letto, adornata da velluto e sete di varie sfumature di blu e argento, e chiuse la porta di quercia subito dopo, la sua posizione stanca e afflosciata svanì.
E così fece l’occultamento di lui.
Un battito di palpebre fu l’unica reazione di sorpresa da parte di lei, e lui potrebbe o meno aver aperto un po’ le ali mentre lei lo osservava.
«Sei in ritardo di dieci minuti» lei disse solo, spostandosi nell’angolo più lontano della stanza, dove un fuoco bruciava, contrastando il freddo d’inizio primavera. Dove il rumore delle fiamme avrebbe potuto coprire le loro voci. Ragazza intelligente.
«Ho anche altri doveri, sai» rispose lui, tenendo il tono di voce basso e facendole un sorriso.
Tipo girare intorno alla casa perché doveva compilare una lista di insulti da rivolgerle per controbattere a quelli di lei durante una litigata campata per aria. Come un completo idiota.
«Ed io che pensavo» disse Nesta, un pilastro di ghiaccio ed acciaio di fianco al focolare «di averti sentito volare qui attorno per dieci minuti. Deve essere stato un piccione che si è incastrato in uno dei camini.»
Cassian restò a fissarla. E lei fissava lui.
Sentì che stava iniziando ad agitarsi per quelle parole, alla perfezione di lei. Un’arma fatta persona, ecco cos’era.
Sorrise lentamente, in maniera perfida, proprio nel modo in cui aveva capito che le faceva vedere rosso. Un sorriso che aveva subito capito le avrebbe fatto tirare fuori quei suoi begli artigli. «Ciao, Nesta. È bello vederti.»
Nessuna reazione, neanche un cambiamento nel suo odore dopo quel sorriso che solitamente faceva scappare i suoi nemici. Niente, a parte un fremito delle narici. «Come sta mia sorella?»
“Sta guarendo” quasi disse. “Cerca di scappare dal fatto che si sta innamorando di Rhys e sta deliberatamente ignorando il fatto che lui è innamorato di lei da davvero molto tempo. Che tutti i segnali indicano che sono compagni, ma non sono così stupido da dirlo a nessuno dei due.”
Quindi disse solo: «È impegnata.»
La sua gola si mosse leggermente. «Così impegnata da non degnarsi nemmeno di venire a trovarci, a quanto pare.»
«Feyre ha già abbastanza di cui occuparsi, tra la situazione in cui ci troviamo con Hybern e tutto il resto.»
Il fuoco fece risplendere d’oro i capelli di Nesta quando ella inclinò la testa di lato. Un predatore che giudicava un valido avversario. «E quale sarebbe il tuo ruolo in tutta questa storia?»
Cassian allargò i piedi sul pavimento. «Comando le armate di Rhys.»
Gli occhi grigio-azzurro di lei guizzarono verso di lui in un modo tale che avrebbero potuto tagliare le palle ad un maschio inferiore. «Tutte quante?»
«Quelle importanti.»
Lei sbuffò e guardò verso il fuoco. Certamente un modo per sminuirlo.
Cassian si irrigidì. «E cos’è, esattamente, che tu fai che abbia importanza?»
La testa di lei scattò verso l’alto. Oh, aveva colpito il bersaglio.
«Perché dovrei preoccuparmi di difendermi» disse Nesta con un gelo letale «da un maschio che è così gonfiato dal suo senso d’importanza al punto che c’è a malapena spazio nella stanza per la sua enorme testa?»
Fu il turno di lui di sbattere le palpebre, sorpreso.
Poi si trovò a muoversi verso di lei, con lunghe falcate, passando sul tappeto ornato che si trovava tra di loro. Lei non indietreggiò neanche di un passo. Alzò solo il mento per incontrare il suo sguardo mentre torreggiava su di lei, aprendo leggermente le ali, sibilando: «Hai qualche notizia dalle regine?»
Le sue sopracciglia si appiattirono. «Generale delle armate del Signore Supremo, ma rimani comunque un bruto. Non puoi intimidirmi con le parole, quindi cerchi di farlo con la tua imponente corporatura.»
“Imponente…”
«Hai più bisogno di me di quanto io ne abbia di te. Quindi ti consiglio semplicemente di concordare con me, ripiegare quelle ali da pipistrello e chiedere gentilmente.»
Lui non lo fece.
Ma fece un passo in avanti, appoggiando una mano contro il caminetto, avvicinandosi abbastanza da inalare il suo profumo.
Lo colpì con una tale intensità che a malapena riusciva a concentrarsi e gli ci vollero cinquecento anni di addestramento per costringersi a guardarla negli occhi, piuttosto che far roteare i propri all’indietro, per restare fermo invece di nascondere il volto nell’incavo tra il collo e la spalla di lei, per trattenersi dall’avvicinarsi, dal… toccarla.
Le guance di Nesta non si arrossarono alla poca distanza che li divideva, poco più di una spanna tra i loro volti.
Era giovane, ventidue, ventitré anni al massimo. Ma era mai stata con un uomo? Non gli sarebbe dovuto importare, né avrebbe dovuto chiederselo, non faceva differenza, ma… di solito riusciva a capirlo. Ma lei… Cassian non riusciva proprio a decifrarla. Quindi sporse la testa verso di lei, i capelli scuri che gli coprirono le sopracciglia, e mormorò: «Ci sono altri modi in cui posso essere gentile, Nesta Archeron.»
Quel maschio Fae, Cassian, era pericoloso.
Ovviamente era pericoloso nei modi in cui ci si aspetterebbe: alto, muscoloso, esperto con le armi e in guerra. Poi c’erano quelle enormi ali ed il piccolo dettaglio che fosse un letale guerriero Fae ai servigi del più potente Signore Supremo della storia. Un Signore Supremo a cui sua sorella era legata e di cui si stava innamorando, se ci aveva visto giusto. Era chiaro che lui fosse già follemente innamorato di lei.
Ma Cassian era pericoloso per tutt’altra ragione. Non per il bellissimo viso, ma per quegli occhi nocciola… tendevano a valutare tutto e tutti.
Rimase attaccata al caminetto, il fuoco crepitante era incredibilmente caldo sul suo lato sinistro mentre Cassian torreggiava su di lei, abbastanza vicino da condividere la stessa aria. Nesta contò i propri respiri. Resse quello sguardo, decisa a non permettergli di vedere troppo in profondità. Era meglio tenerlo distratto con parole pungenti, allontanandolo completamente.
O con quello. L’offerta che le aveva rivolto, la prova.
Senza dubbio un modo per trovare un’altra debolezza. C’era un modo per superare le sue difese su quel fronte?
Doveva solo essere gentile. Un sorrisetto le incurvò le labbra.
«Se volessi le zampe di un maschio addosso a me» disse Nesta, rifiutandosi di abbassare il mento «andrei direttamente da uno dei nostri segugi.»
Quell’insopportabile sorriso rimase e Cassian puntò dritto alla gola quando chiese: «Sei mai stata con un maschio, Nesta?»
Mentire o dire la verità, cosa le avrebbe portato vantaggio? Quindi disse solo: «E tu?»
Cassian sbuffò e quel respiro le sfioro le labbra. «Te l’ho chiesto prima io, dolcezza.» Inclinò la testa di lato, i capelli scuri come la notte gli scivolarono sulle sopracciglia, come seta. «A meno che tu non preferisca le femmine?»
Non sarebbe stato affatto un insulto se fosse stato così, ma era stato abbastanza una provocazione da portarla ad appoggiare spudoratamente una mano sul petto di lui.
Muscoli scolpiti giacevano sotto le strette pelli da combattimento, il suo calore che irradiava nel suo palmo. Fuoco, le ricordava fuoco reso persona. Premette leggermente sul suo petto, la mano che in qualche modo sembrava ancora più piccola in contrasto all’ampiezza di quel torso.
Un assassino addestrato, nato e cresciuto come un predatore.
Arrogante per natura.
Quando lei osò muovere un passo in avanti, Cassian si raddrizzò, costretto a farlo solo perché se non l’avesse fatto, non ci sarebbe più stato spazio tra le loro bocche. «Non sono affari tuoi chi e cosa preferisco.» disse. «Tantomeno…»
«Non hai risposto alla mia prima domanda. O tutte queste domande sono solo un diversivo?»
«Secondo te?»
«Ed ecco un’altra domanda.» Fece un sorriso presuntuoso.
E facilmente lei la trovò, la risposta che sapeva l’avrebbe attanagliato.
Nesta premette il proprio corpo contro quello di lui, sfiorandolo appena, ma bastò per farlo irrigidire. Per far dilatare le sue pupille al punto che quasi divorarono quelle iridi nocciola. Mormorò: «No, mai.» Era vero. La sua mano spinse contro il petto coperto di pelli. «Perché avrei dovuto? Appena sono maturata mi sono trovata circondata da bruti e bastardi di basso rango. Ho preferito usare la mia mano piuttosto che insudiciarmi con le loro.»
Qualunque divertimento svanì. Avrebbe potuto giurare di sentire la freccia celata nelle sue parole colpire il proprio bersaglio. Aveva capito abbastanza delle sue origini. Quindi gli disse la verità, rivestendola di lame pronte a ferirlo se si fosse soffermato a pensarci su troppo a lungo.
No, non era mai stata con alcun maschio, né Fae né umano. Tomas voleva farlo, e lei… una parte di lei sapeva che non ci sarebbe stato un futuro con lui. Sapeva del suo odioso padre e del fatto che lui non aveva fatto nulla per evitare che quell’uomo picchiasse sua madre. Aveva a malapena lasciato che Tomas la baciasse, ed il giorno in cui lei aveva messo la parola fine alla loro relazione, lui aveva cercato di…
Deglutì, chiudendo fuori il ricordo di ciò che lui aveva detto e fatto. Il rumore del suo abito che si strappava. No, non si era giunti a quel punto, ma… il puro terrore di quei momenti in cui lui ci aveva provato, prima che lei urlasse e si liberasse con le unghie e con i denti. E non lo disse a nessuno.
Qualcosa doveva essere cambiato nella sua espressione, nel suo odore, perché il fastidio di lui svanì, no, mutò. In qualcos’altro, qualcosa… rabbia.
Questo era ciò che si vedeva sul volto di Cassian.
Pura, cocente rabbia.
Le tolse il fiato, cancellando qualunque sentore che avesse lei il coltello dalla parte del manico quando lui tagliò corto «Chi è stato?»
Odiava Tomas, lo odiava al punto che a volte sperava che venisse investito da un carro, ma non avrebbe augurato a nessuno il genere di morte che gli occhi di Cassian promettevano.
«Non so di cosa tu stia parlando» rispose e fece per ritirare la mano.
Lui la afferrò, prima che potesse registrare il movimento, bloccandola lì.
Era come se il suo cuore stesse galoppando, un rimbombante, potente galoppo.
Pericoloso, pericoloso, pericoloso era quel maschio.
Solo per il fatto che la faceva sentire senza controllo. Che non aveva idea di cosa lui, cosa lei, avrebbe fatto se l’avesse trovata vulnerabile per un solo istante.
«Qualcuno ti ha fatto del male» disse, la voce così gutturale che lo comprese a malapena.
L’ira, l’assoluta fermezza in cui si ergeva, era così quando stava per uccidere. Quando voleva uccidere.
Mano contro mano, i calli che la graffiavano.
Lei non gli rispose. «Cambierebbe qualcosa se qualcuno l’avesse fatto? Mi metterebbe in una luce diversa? Mi tratteresti diversamente?»
«Mi farebbe dare la caccia a quella persona per spezzargli ogni osso che ha in corpo.» 
Un brivido le percorse la spina dorsale, non per paura di lui, ma per la verità celata in quella promessa. La sincerità.
«Non mi conosci» disse lei. «Perché dovresti preoccupartene?»
Cassian ringhiò, avvicinandosi ulteriormente, la sua mano che stringeva quella di lei, poi si fermò. Come se la domanda stesse penetrando. Come se la realtà stesse penetrando. «Lo farei per chiunque.»
Sapeva che diceva sul serio, che l’avrebbe fatto.
Forse era quello che la snervava, che la portava a volerlo ferire. L’assoluta sincerità. Il fatto che onorava le sue promesse e che non ne faceva alla leggera. Che vedeva e diceva la verità, e quando la vide il primo giorno, giudicò le sue… azioni di quando vivevano nella loro vecchia casa.
La sua codardia, l’egoismo. La rabbia che l’aveva consumata, al punto da portarla a volere tutti tremendamente affamati, solo per vedere se il loro inutile padre si sarebbe degnato di salvarle. E poi la piccola Feyre si era fatta avanti e Nesta l’aveva odiata anche per questo, perché Feyre aveva fatto l’inimmaginabile per mantenerli in vita.
Non sapeva di che farsene, di quella rabbia. Ancora la bruciava, la perseguitava, la faceva voler scattare, ruggire e distruggere tutto fino a fare a pezzi il mondo intero.
Lei sentiva tutto, troppo e profondamente. Odiava e si preoccupava, amava e temeva, più delle altre persone, pensava a volte. Poteva vagliare tutti loro in un istante, come se provasse un nuovo abito, e nessuno se ne accorgeva o non gli importava.
Tranne lui. Lui lo vedeva, lo sentiva.
Quel primo pomeriggio l’aveva guardata, non il viso ed il corpo a cui gli uomini umani puntavano, ma lei, ed aveva visto tutto. Voleva ferirlo per ciò, prima che potesse rivelare quelle cose a chiunque altro, voleva trovare un modo per spezzarlo così che non potesse…
La mano che spingeva la sua contro il suo petto allentò la presa. Il pollice di Cassian accarezzò il dorso della sua mano, il polpastrello ruvido per i calli.
Un ceppo di legno si spostò nel fuoco, schioccando mentre le braci scoppiettavano, illuminando la stanza.
Era rimasta a fissarlo. Lui sbatté le palpebre, la bocca che si aprì appena.
Cassian si inclinò verso di lei, e Nesta si trovò a piegare la testa all’indietro, esponendo il collo, garantendogli ulteriore accesso mentre lui le sfiorò la gola con il naso.
Che la Madre ed il Calderone lo dannassero.
Quella donna.
Nesta.
Cassian non riuscì ad allontanarsi da quella linea che era chiaramente segnata tra loro. Il momento prima avrebbe voluto strozzarla, poi aveva visto il terrore sul suo volto riguardo il suo passato e l’aveva sopraffatto una tale calma omicida che si era spaventato di sé, poi… poi tutto si era fermato, l’occhio del ciclone con loro dentro, e lei era lì.
Ed in quegli occhi grigio-azzurro poteva vedere i pensieri che le giravano per la mente, come fumo in un bicchiere. L’astuta mente al lavoro dietro quel viso, lo stesso che non era riuscito a togliersi dalla testa in quelle settimane.
Quindi, semplicemente, si… mosse.
E poi Nesta aveva alzato il mento, dandogli completo accesso alla sua gola.
Ogni istinto nel suo corpo venne in superficie, così violentemente che li dovette soffocare con una presa salda, altrimenti si sarebbe trovato in ginocchio, implorandola di toccarlo, di fare qualunque cosa.
Ma si chinò in avanti, passando la punta del naso lungo il lato del suo collo.
Morbida, la sua pelle era così morbida; così delicata. Poteva sentire l’odore del sangue mortale che scorreva nelle vene appena sotto quella pelle. Cassian inalò il suo profumo, che si attaccò a qualche intrinseca parte di lui, radicandosi e facendo sussultare il suo membro.
Nesta, Nesta, Nesta.
Gli occhi di lei si chiusero ed un affannato, piccolo suono uscì dalle sue labbra mentre Cassian spostava le labbra dove poco prima aveva strofinato il naso.
Quasi gli cedettero le gambe quando lei spinse ulteriormente la sua esile mano contro di lui. Cercò di non pensare a come sarebbe stato avere quella mano da qualche altra parte. Afferrandolo, accarezzandolo.
“Di più, di più, di più” implorava il suo corpo.
Inclinò la testa e baciò un altro punto, più vicino alla sua mandibola.
Il suo frenetico battito cardiaco era come le ali di un colibrì, anche se il suo corpo rimase teso, ma sciolto nei punti giusti, un leggero rossore che si espandeva sui suoi meravigliosi seni. Abbastanza grandi da riempirgli le mani, contro cui strofinarsi finché non lei non lo avesse implorato…
Il suo battito cardiaco martellava proprio sotto la sua bocca. La leccò. E fu proprio quel tocco che la fece saltare indietro.
Nesta andò a sbattere contro i pannelli di legno abbastanza forte che la dovette afferrare. Ma lei aveva gli occhi spalancati, furiosa, mentre si portava una mano alla gola.
Cassian la batté sul tempo con un commento velenoso contro quello che lei si stava preparando a sputare, dicendo «Un po’ tesa in questi giorni, Nesta?»
Lei abbassò la mano sibilando «È stata una tua qualche magia da Fae a fare questo?»
Abbaiò una risata. «No. Anche se sono lusingato che tu pensi questo.»
Nesta lo guardò in cagnesco, ma emise una bassa risatina. «Beh» disse, passandogli di fianco, dirigendosi verso la finestra con lenti passi calcolati. «Se un guerriero Fae nato bastardo è in grado di fare questo, non c’è da stupirsi che mia sorella sia così coinvolta con dei Signori Supremi.»
Stronza.
Stronza per l’insulto a lui e a Feyre. «Ti ha infastidita di più il fatto che lo volevi, o che un nessuno nato bastardo ti ha fatto provare certe cose, Nesta?»
«È stato un lungo inverno. I mendicanti non possono essere esigenti, suppongo.» Innalzò muro dopo muro dopo muro, la sua postura che si irrigidiva e…
Che gli importava? Che cosa gli importava? Aveva già abbastanza stronzate di cui doversi preoccupare. Lanciarsi su una mortale che avrebbe avuto qualche altra decade prima che le cose diventassero strane era… stupido. E poi ci sarebbe stato il problema di doverlo spiegare a tutti gli altri.
A Mor. Gli si gelò il sangue.
Non era stupido. Sapeva che lei e Azriel erano… qualunque cosa fossero. Sapeva che Azriel si era innamorato di Mor non appena era entrata nel campo di guerra Illyrian cinque secoli prima. E Cassian ne era stato geloso, dei timidi sguardi di Mor verso Azriel in quelle prime settimane e del fatto che il suo migliore amico e fratello… stesse guardando qualcun altro. Che lei era apparsa ed Azriel era cambiato. Leggermente, ma Cassian sapeva che il suo amico non apparteneva più solo a lui e a Rhys.
Così quando Mor gli chiese di andarci a letto insieme… L’aveva fatto. Uno stupido, geloso coglione, l’aveva fatto e se n’era pentito alla prima spinta, quando aveva sentito la sua verginità cedere sotto di lui, ed aveva realizzato la gravità di ciò che aveva fatto.
Ma poi lei se n’era andata ed Azriel non aveva fatto niente, e… Mor era ancora tra di loro. Da qualche parte tra l’essere amica ed amante. Cara alla sua famiglia, ma… Cassian si era odiato per quello sguardo sul volto di Azriel, successivamente.
E poi per quello che era successo a Mor per mano della sua famiglia.
Aveva avuto delle amanti, alcune solo per una notte, altre per mesi, e a Mor non era mai importato, ma…
Questa donna che stava davanti a lui come un pilastro di acciaio e fiamme… Cassian non voleva dire a Mor di lei. Di come le aveva toccato il collo.
Cassian riuscì a dire «Dato che eri felice di una distrazione, supporrò che le regine non si siano fatte sentire e me ne andrò.» Prima che lei riuscisse a castrarlo completamente. Schioccò le dita, la lettera di Rhys apparse tra di esse. La appoggiò su un basso tavolino lì vicino. «Inviatela alle regine prima che potete.»
Nesta spostò lo sguardo tra la lettera e lui, raddrizzando le spalle. «Dì a mia sorella ed a quel suo nuovo Signore Supremo di mandare qualcun altro la prossima volta.»
Cassian digrignò i denti in un sorriso feroce. «Dì alla tua altra sorella che preferiremmo avere a che fare con lei.»
«Elain resta fuori da questa storia. Meno deve avere a che fare con la tua specie, meglio è.»
«Perché le lasci sposare quel coglione bigotto?» La domanda gli sfuggì.
«Ha buone ragioni per odiare la tua specie. E così ne abbiamo noi.»
«Questa è una stronzata e lo sai benissimo»
«Credevo te ne stessi andando.»
«Hai una maledetta opinione per chiunque altro nel mondo. Perché non dire ad Elain che sta per sposare un mostro?»
«Forse tutti voi maschi siete dei mostri.»
Se qualcuno le avesse fatto del male, non l’avrebbe biasimata affatto per quel pensiero. Ma le sue parole furono comunque taglienti quando disse «Merita qualcuno di migliore.»
«Naturalmente.» Piatta e fredda.
Lui continuò, perché semplicemente non riusciva a fermarsi «E cos’è che tu meriti?»
Un lento sorriso, un felino pronto ad uccidere. Poi «Sicuramente più di un nessuno nato bastardo.»
Stronza. Ma rispose «Che socia carina che sei, Nesta. Ricordami di portare un libro di strategia militare la prossima volta. Allora, magari, avrai qualche possibilità.»
Uno sguardo freddo, piatto.
«È più semplice, non è vero» mormorò Cassian, avvicinandosi nuovamente, non curandosi di chi avrebbe potuto vederli dalla finestra. «Brandire le parole e la freddezza come armatura per impedire agli altri di vedere dove e chi hai deluso e di come non ti è importato finché non è stato troppo tardi.»
Solo l’odio le brillava negli occhi, nessuna traccia di quella lussuria dormiente che gli aveva annebbiato i sensi.
«Beh, io riesco a vederlo, Nesta Archeron. E tutto ciò che vedo è una ragazzina annoiata e viziata…»
Si mosse con un’impressionante velocità per un essere umano, ma fu comunque troppo lenta, permettendogli di bloccarla.
Cassian le afferrò il ginocchio alzato, a pochi pollici dalle sue palle e premette abbastanza forte da farla sibilare.
«Colpo basso» disse con un mezzo sorriso. «Vieni a giocare con me, Nesta, e ti insegnerò modi molto più interessanti per portare un maschio in ginocchio.»
Provò a liberarsi, ma lui non la lasciò. Inciampò all’indietro e lui la afferrò per la vita, tirandola vicino a sé per impedirle di cadere dalla finestra. Diede un’occhiata alle gonne attorno a lui. «Comunque, cosa nascondi sotto tutto questo?»
Nesta si stabilizzò abbastanza da liberare il ginocchio dalla presa di lui. «Esci da casa mia.»
Cassian le fece solo un sorriso.
Era tesa a causa sua.
Credeva che l’avrebbe strangolato, per cui le aveva afferrato il polso, ma…
Le sue mani, fredde e ferme, gli afferrarono i lati del volto. Tirandogli la testa verso di sé.
Il respiro di Cassian divenne irregolare quando gli occhi di lei si posarono sulla sua bocca, quando premette il proprio corpo contro il suo, quei seni cosi morbidi contro di lui. “Stupido, stupido, stupido…”
Non gli importava. Non gliene importava un cazzo mentre lei si sollevò sulla punta delle dita, avvicinando la bocca alla sua…
Il dolore esplose tra le sue gambe, togliendoli il respiro dai polmoni quando quel maledetto ginocchio trovò il suo bersaglio.
Cassian barcollò all’indietro, imprecando. Lei sbuffò, guardandolo cadere contro una poltrona, tenendosi lo stomaco, cercando di riordinare la sua mente…
«Siete tutti uguali.» disse, imperiosa come la notte e fredda come il crepuscolo. «Forse essere immortali vi rende prevedibili.»
«Tu» boccheggiò.
Una bassa risata emerse da quelle labbra, che si era preparato ad assaggiare, a divorare…
«No, le regine non si sono fatte sentire» disse Nesta, avviandosi verso la porta. «Non abbiamo sentito niente da parte loro.»
Cassian costrinse le sue gambe a muoversi, ma il dolore persisteva, immobilizzandogli le ginocchia.
«Invierò la lettera domani mattina.» Nesta si fermò con la mano sulla maniglia e guardò oltre la propria spalla. «Non sai niente di chi io sia, di ciò che abbia fatto e cosa voglio. E già che siamo sull’argomento… Manda qualcun altro, la prossima volta. Se ti vedo sulla soglia di casa mia, urlerò abbastanza forte affinché i servitori accorrano.»
Lui rimase a bocca aperta, il dolore si placò abbastanza da permettergli di rimettersi in piedi.
Ma Nesta se n’era andata, scendendo nell’atrio, dove un qualche domestico la chiamò e lei mormorò una risposta.
Un minuto dopo lui se ne andò. Non per la porta principale, ma passando per la maledetta finestra della camera da letto di lei, come un ladro nella notte. Si lanciò nel cielo prima che qualcuno potesse chiedersi cosa fosse stato quel fruscio e battito d’ali.
Cassian non girò intorno alla casa. Ma poteva comunque sentire l’attenzione di Nesta su di lui mentre si dirigeva verso il muro. Anche se schermato dall’essere visto, poteva sentire quegli occhi grigio-azzurro su di sé.
Quel sentore lo perseguitò fino a Velaris.
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vintagebiker43 · 10 months
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Israele 2002
Mo' vi racconto come sono inciampata nella questione palestinese io, una trentina di anni fa. L'ho già raccontato in passato ma ogni tanto ci ripenso. Perché io non sono nata imparata, non ci sono arrivata attraverso la politica, non ne sapevo nulla più di ciò che si sa leggendo distrattamente i giornali, ci so' capitata per sbaglio. Perché la mia idea, quell'estate di una vita fa, era di andare in Israele.
Era l'epoca in cui ero intrippatissima con la psicoanalisi, divoravo Freud e compagnia, andai a un convegno su Cesare Musatti a Milano che mi piacque molto e mi lessi pure i suoi libri. Tra i quali uno, "Ebraismo e psicoanalisi", mi intrigò particolarmente. Era pure l'epoca in cui leggevo tutto di Philip Roth e, per farla breve, quando quell'estate andai al CTS per cercare di capire dove andare in vacanza, vidi il volo per Israele in offerta e lo presi.
I primissimi giorni a Tel Aviv, tutto bene o quasi. Atmosfera interessante, ostello fricchettone, cose da fare, ero a mio agio. Poi andai a Gerusalemme e cambiò tutto. Ed è che i palestinesi, a Tel Aviv, non li avevo proprio visti. A Gerusalemme li vedevo eccome, e non venivano trattati bene. Trasudava tensione quella città: coloni in giro con la pistola nella cintura e l'aria arrogantissima, soldati di leva da tutte le parti col fucile in spalla, gente con la mania di chiedermi, amichevole: "Sei ebrea?" per poi allontanarsi senza una parola alla mia risposta negativa, chissà perché. Di fronte a non so quale monumento della città vecchia vidi una bimba israeliana che si era persa e piangeva. Cercai di aiutarla, nei dintorni c'era solo un signore dall'aria ortodossa, gli portai la bimba spiegandogli la situazione e lui, senza mai guardarmi in faccia, mi disse secco di lasciargliela e andarmene, che ci avrebbe pensato lui. Me ne andai preoccupata, senza sapere se avevo fatto bene ma rassegnata a essere scacciata. Tante piccole scene che trasmettevano malessere. Una processione cristiana e un paio di israeliani che sputano nel vederla passare. E ovviamente i palestinesi, dicevo. Un mondo a parte, e decisi di cacciarmici dentro.
Andai nei Territori con due o tre compagni di ostello in un taxi palestinese il cui conducente mi raccontava che lui, nato a Gerusalemme da genitori, nonni e bisnonni di Gerusalemme, non poteva avere nessun passaporto se non quello giordano, e lui in Giordania non c'era mai stato. Seduto davanti, accanto a lui, un altro ragazzo palestinese. I soldati israeliani ci fermano al posto di blocco, questo ragazzo si impiccia con la giacca e tarda a tirare fuori i documenti, il soldato gli tira una tremenda botta in faccia col calcio del fucile. Così, per niente. Davanti a noi tre stranieri seduti dietro e agghiacciati. E il palestinese zitto, non una reazione, estrae infine i documenti e glieli dà. E quello fu il mio "benvenuta nella vita dei palestinesi" e il momento in cui mi resi conto che no, non me lo avevano spiegato così, ciò che succedeva là.
Sono passati trent'anni, ho mille ricordi sovrapposti di ciò che vidi nei Territori ma uno mi è rimasto stampato nel cervello per sempre, nitidissimo: una giovane mamma palestinese con in braccio una bimba di due o tre anni con una gonnellina bianca a balze. La bimba aveva, da un lato, 'sti riccioli neri stretti in un codino e, dall'altro lato della faccia, nulla. Metà faccia era completamente bruciata, non aveva neanche l'orecchio. I coloni avevano buttato bottiglie incendiarie nella loro casa mentre erano seduti a tavola e quello era il risultato.
Io ho una rara malattia genetica che si chiama porfiria: ci si convive, normalmente è del tutto asintomatica. Ci sono occasioni in cui si attiva, però, causando crampi addominali fortissimi che possono durare giorni. Può attivarsi se prendi farmaci controindicati, se non assumi abbastanza carboidrati o, anche, in situazioni di stress elevato. Io tornai dai Territori e mi misi a letto. I crampi mi durarono sei giorni, che il preoccupatissimo vecchietto palestinese dell'ostello trascorse curandomi con litri di tè.
Poi continuai il mio viaggio - lo racconto meglio in un vecchio post che metto qua sotto - e infine arrivai a Eilat, nel sud. Un cesso di posto con pretese di modernità, incongruente, la voglia di fuggire subito. Il mio ostello era gestito da un ragazzone ebreo di origine yemenita che voleva portarmi non so dove con la sua jeep per il weekend. Io gli dissi che avevo sentito parlare bene di un posto chiamato Dahab, oltre la frontiera egiziana. Lui, schifatissimo, mi disse che lì mi sarei presa il colera, che era un postaccio sozzo, di lasciare perdere e andare con lui. Al mio diniego, alzò le spalle e fece: "Well, there are winners and there are losers", nel senso che rifiutare il suo invito era da losers.
Passai la frontiera a piedi e con le mani alzate mentre una soldatessa mi abbaiava contro chiedendomi se ero armata. Qualche metro dopo vidi per la prima volta l'Egitto, nella forma di un grasso poliziotto egiziano che dormiva beato, nella sua uniforme bianca, all'ombra della guardiola. E, mentre mi guardavo attorno alla ricerca di qualcuno abbastanza sveglio da timbrarmi il passaporto, sentii che la tristezza mi scivolava via di dosso per la prima volta dopo un mese di angoscia.
L'Egitto mi accolse così, col paradosso buffo dei due diversi stili alla frontiera e il regalo di un'ondata di serenità che non se ne è mai più andata in tutto il tempo che, per i successivi trent'anni, ci ho trascorso.
Di Israele mi rimase la presa di coscienza di un'ingiustizia che non avevo mai nemmeno immaginato, non di quella portata. Di una violenza capillare, di una mostruosità quotidiana ai danni di gente innocente che viveva in un incubo. A pochi chilometri, persino a pochi metri da altra gente che, invece, viveva benone facendo finta di nulla.
Poi ci sono anche tornata, ci portai pure mia figlia ragazzina. Che ne uscì come ne ero uscita io, e infatti adesso è lì a distruggersi il fegato e a fare l'attivismo che può per i palestinesi.
Fa bene alla consapevolezza, andare in Israele. Si imparano un sacco di cose.
@
Lia Haramlik De Feo
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cinquecolonnemagazine · 10 months
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Parliamo ancora di napoletano? Due libri e un’iniziativa
Rieccoci con ’O napulitano e ’o nnapulitano, ovvero L’homo neapolitanus e la sua lingua, una rubrica che abbiamo tenuto su queste (Cinque)colonne alcuni anni fa e che interrompemmo per mancanza di novità. Ora le novità ci sono. E sono due: un’iniziativa della Regione Campania e un libretto di Sergio Zazzera. Cominciamo dal secondo: Sergio Zazzera, La parlata napolitana. Istruzioni per l’uso, Giannini editore, pp. 62, € 6,00. Si tratta di un piccolo vademecum sull’uso corretto e sulle conoscenze (anche bibliografiche) necessarie a chi voglia accostarsi in modo corretto al nostro idioma. L’autore, “magistrato in pensione, giornalista con l’hobby delle ‘cose di Napoli e dintorni’” (si legge in quarta di copertina), già autore di un vocabolario di napoletano e di altri testi sul nostro dialetto, è socio del Coordinamento dei Comunicatori della Cultura (detto 3C) e dirige il periodico (oggi online, ma nato cartaceo nel 1950) “Il Rievocatore”. Il napoletano a portata di libretto Il libretto – dicevamo - si presenta come un vademecum informativo-divulgativo-bibliografico sul napoletano. Diviso in nove agili capitoletti, affronta a volo d’uccello ma con meticolosa precisione varie tematiche, sulle quali dà un orientamento (anche bibliografico) al lettore sprovvisto di fondamenti scientifici che sia desideroso di accostarsi al napoletano come si parla realmente (“parlata” è infatti il termine che usa l’Autore fin nel titolo). I primi due capitoli rievocano, a livello personale e generale, le modalità d’uso del napoletano nelle famiglie di una volta e i “lessici famigliari” che ne derivavano. Il terzo capitolo passa in rassegna gli interventi legislativi sui dialetti e parlate locali e sul napoletano in particolare, a partire dall’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (diritto alla libertà di espressione), passando per l’equivoco in cui sono caduti in tanti a proposito della pretesa decisione dell’UNESCO di dichiarare il napoletano “lingua” (sullo scioglimento dell’enigma è intervenuto il prof. Nicola De Blasi, che Zazzera puntualmente cita), fino alla legge regionale 14/2019 che istituisce il Comitato Scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano (l’altra novità, di cui parleremo fra poco). Lingua, grammatica e letteratura Seguono capitoli più “linguistici”, sulle etimologie (anche le false etimologie), sulle grammatiche, sulla letteratura, sulle improprietà nella scrittura. E passiamo alla seconda novità di cui sopra. L’iniziativa di cui parlavamo all’inizio, e su cui informa pure il libretto di Zazzera, è la Legge Regionale 8 luglio 2019 n. 14, che ha istituito il Comitato Scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano. Il Comitato si è costituito ed ha prodotto già dei risultati tangibili. I membri sono: Nicola De Blasi, professore di Storia della lingua italiana presso l’Università Federico II, Francesco Montuori, anch’egli della Federico II, Rita Librandi, dell’Università “L’Orientale”, Carolina Stromboli, dell’Università di Salerno, e gli studiosi e scrittori Armando De Rosa (purtroppo venuto a mancare recentemente), Umberto Franzese e Maurizio De Giovanni. I primi quattro hanno curato una pubblicazione, distribuita gratuitamente, che si presenta come strumento di divulgazione di notizie e informazioni corrette e scientificamente fondate sul napoletano, contro le tante false informazioni e gli scorretti usi del napoletano che imperversano sui muri della città (manifesti pubblicitari in primis) e sul blog, con scritti dall’ortografia improbabile e proposte di insegnamento non supportate da conoscenze corrette. Il libro s’intitola Per il patrimonio linguistico napoletano. Notizie storiche, a cura del Comitato scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano, ed è redatto da Nicola De Blasi, Rita Librandi, Francesco Montuori e Carolina Stromboli, con introduzione di Maurizio De Giovanni. Dialetti e origini È opportuno riportare integralmente qui almeno alcune parole della quarta di copertina, che chiariscono l’intento degli autori e anche alcuni aspetti della questione del napoletano che di solito vengono fraintesi o ignorati dai più: “I dialetti sono soltanto una versione ‘deformata’ della lingua italiana? Qual è la loro origine? Come si è svolta la loro storia? In passato erano insegnati a scuola? A queste e ad altre domande risponde questo libro ideato dal Comitato scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano. Una prima forma di salvaguardia può infatti realizzarsi attraverso una corretta divulgazione, anche in alternativa a notizie imprecise o a luoghi comuni che sono da tempo in circolazione in rete e in altri media. In queste pagine si chiarisce, tra l’altro, che in Campania si parlano numerosi dialetti, alcuni dei quali piuttosto diversi dal napoletano e che quest’ultimo, diversamente da quanto si legge in rete, non è mai stato riconosciuto dall’UNESCO né come lingua, né come bene dell’umanità”. Un’operazione nuova Si tratta insomma di un’operazione nuova e da tempo auspicata da molti scrittori in napoletano e cultori del nostro idioma, spesso magnificato in termini entusiastici da persone che in buona fede credono di esprimere il loro amore per la propria cultura ma che non sono attrezzati con conoscenze corrette, per cui cadono in errori tali da nuocere alla comprensione stessa e alla valorizzazione della lingua che intendono promuovere. Basti solo un esempio: molti scrivono il napoletano “come si parla”, sostituendo alle vocali semimute degli apostrofi o semplicemente nulla (es. pat’t’ o patt invece di pateto), in questo modo rendendo più difficoltosa la lettura. Invece bisognerà pure riflettere che nessuna lingua si parla come si scrive, neanche l’italiano (ad esempio il suono gli si scrive in spagnolo ll, e il nostro digramma gn si legge in tedesco ghn. Quest’ultima osservazione, peraltro, si legge nel libretto di Sergio Zazzera di cui abbiamo parlato sopra. E così le due novità che abbiamo detto all’inizio si saldano, dando luogo a una speranza, quella di poter diffondere notizie certe sul nostro dialetto (che, non dimentichiamolo, è anche una lingua letteraria di tutto rispetto) ed esprimere in modo davvero efficace il nostro amore per esso. Read the full article
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alonewolfr · 18 days
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In quel meraviglioso bosco si ergeva un albero che non fioriva mai. Pur essendo pieno di vita, sui suoi rami non apparivano mai i fiori. Per questo aveva l’aspetto di un albero morto, ritorto e secco. Pur essendo vivo, sembrava condannato a non godere del colore e degli aromi della fioritura.
L’albero si ergeva solitario. Gli animali non gli si avvicinavano per paura di essere contagiati dallo stesso male, neanche l’erba cresceva nei suoi dintorni. La solitudine, la sua unica compagna. Narra la leggenda di Sakura che una fata dei boschi si commosse vedendo l’albero apparisse vecchio, pur essendo giovane.
Una notte la fata comparve accanto all’albero e con nobili parole gli sussurrò che avrebbe voluto vederlo rigoglioso e raggiante, e che era disposta ad aiutarlo. Allora gli fece la sua proposta: avrebbe lanciato un incantesimo che sarebbe durato 20 anni. Durante questo lasso di tempo, l’albero avrebbe provato quello che prova il cuore umano. Forse così si sarebbe emozionato e avrebbe trovato la fioritura.
La fata aggiunse che si sarebbe potuto trasformare in qualsiasi momento in essere umano e di nuovo in pianta, come più desiderava. Tuttavia, se terminati i 20 anni non fosse riuscito a recuperare la sua vitalità e bellezza, sarebbe morto immediatamente.
Proprio come disse la fata, l’albero scoprì che poteva prendere le sembianze di un uomo e tornare a essere albero quando voleva. Provò a passare lunghi periodi tra gli umani, per vedere se le loro emozioni lo potevano aiutare nel suo proposito di fiorire. Inizialmente, però, ricevette una delusione: attorno a lui non vedeva altro che odio e guerra.
Questo lo spingeva a tornare nelle sue sembianze originali per lunghi periodi, e così passarono i mesi e poi gli anni. L’albero era quello di sempre e non trovava negli esseri umani la svolta che potesse liberarlo dalla sua condizione. Un giorno, tuttavia, dopo essersi trasformato in umano, camminò fino a un ruscello cristallino e lì vide una bellissima giovane. Era Sakura. Impressionato dalla sua bellezza, l’albero dalle sembianze umane si avvicinò a lei.
Sakura si rivelò gentile con lui. Per ricambiare la sua gentilezza, la aiutò a trasportare l’acqua fino a casa. Durante il tragitto conversarono animatamente, e con una vena di tristezza sullo stato di guerra in cui si trovava il loro paese, condividendo i loro sogni di speranza.
Quando la giovane gli chiese quale era il suo nome, all’albero venne in mente una sola parola: “Yohiro”, che significa speranza. Tra i due nacque una profonda amicizia. Si incontravano tutti i giorni per conversare, per cantare e leggere poemi e libri pieni di storie meravigliose. Più conosceva Sakura, più sentiva il bisogno di stare al suo fianco. Quando non era con lei, contava i minuti che mancavano per vederla.
Un giorno Yohiro non poté più trattenersi e confessò a Sakura tutto il suo amore. Le confessò anche la sua vera natura: era un albero tormentato che presto sarebbe morto perché non era riuscito a fiorire. Sakura rimase impressionata e restò in silenzio. Il tempo era passato e la scadenza dei 20 anni stava per avvicinarsi. Yohiro, che tornò ad assumere le sembianze di un albero, si sentiva sempre più triste.
Un pomeriggio, quando meno se lo aspettava, Sakura si presentò al suo fianco. Lo abbracciò e gli disse che anche lei lo amava. Non voleva che morisse, non voleva che gli accadesse nulla di male. Fu allora che apparve nuovamente la fata e chiese a Sakura di scegliere: rimanere umana o fondersi con Yohiro sotto forma di albero.
Lei si guardò intorno e ricordò i campi desolati e distrutti dalla guerra. Allora scelse di fondersi per sempre con Yohiro. Ed ecco che i due si fusero e divennero uno solo, e come per miracolo, l’alberò fiorì. La parola Sakura significa “Bocciolo di ciliegio”, ma l’albero non lo sapeva. Da allora, il loro amore profuma i campi del Giappone.
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