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#lo sapete qual è la cosa peggiore?
auroradepax · 1 year
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La cosa che più apprezzo di me e l'aver mantenuto un animo gentile nonostante tutto il dolore e la cattiveria che gli altri mi hanno riversato addosso.
Sapete la cosa più bella? Quando mi guardano e mi dicono "guardandoti nemmeno si potrebbe immaginare quale inferno tu abbia veramente passato".
Questo è la vittoria più dolce, perché significa che la sofferenza non mi ha piegata ma che sono stata io a piegarla non dimenticandomi mai chi fossi sin dal principio.
Dopotutto lo dico sempre, se la cattiveria ti cambia e ti fa diventare peggiore o uguale a chi ti ha fatto del male, allora da essa non hai imparato proprio un bel niente.
Aurora De Pace
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volevodirtj · 6 years
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Ermal a Chieti, un tentativo di resoconto (again)
È la terza volta che devo riscrivere tutto, perché il mio computer ricarica a caso la pagina e mi cancella tutto. E ovviamente non salva il post nelle bozze. Bestemmio malissimo.
A ventiquattro ore dal concerto penso di poter affermare con certezza che io non mi riprenderò mai più, né fisicamente (ho dolori in parti del corpo che nemmeno sapevo di avere) né soprattutto psicologicamente (non potete immaginare quante lacrime io abbia trattenuto in queste ultime ore). Potrei riassumere tutto semplicemente con “Li mortacci tua Meta, vaffanculo”, ma stilerò una lista a punti semiseria. Mettetevi comodi, perché c’è tanto da raccontare
 Anche ieri ero in tribuna poveri, ma ho avuto la fortuna di trovare un posto abbastanza centrale (lato Emiliano, per intenderci) ed ero più vicina rispetto al concerto di Fabrizio
Shoutout a Claire Audrin, la ragazza che ha aperto il concerto di ieri. È davvero bravissima, la sua voce mi ha stregata sin da subito. E poi è un sacco carina, ieri era tutta agitata e ansiosa, ha anche fatto cadere tutti i plettri per terra. Andate ad ascoltare qualche sua canzone, merita tantissimo
Il concerto è iniziato alle 21:30 e io sono scattata in piedi non appena hanno spento le luci. Ho ascoltato attentamente l’intro (fino a che non è entrata la band e hanno iniziato tutti a urlare) e già ero emotivamente instabile. Vi lascio immaginare che piega abbia preso la serata
La prima canzone è stata Non Abbiamo Armi, quella che sin da quando è uscito l’album sento un po’ mia. Oltre ad aver sorriso dall’inizio alla fine, sono riuscita a cantare “Ogni dolore ti è servito e non lo sai, a costruire il tuo sorriso, quel bel sorriso che adesso hai”. È stata una rivincita
Alla seconda canzone, Gravita Con Me, quelli dietro hanno cominciato a scartavetrare le ovaie. Una signora è venuta da me e la mia amica chiedendoci di non saltare perché la figlia (che stava tranquillissima, tra l’altro) non riusciva a vedere bene. Non so cosa mi abbia trattenuta dal non mandarla a quel paese nel giro di cinque secondi. Non puoi chiedermi di stare ferma durante Gravita Con Me e in generale durante una canzone movimentata. Piuttosto alzatevi voi e non rompete l’anima a chi vuole godersi il momento a modo proprio. Non siamo al cinema, per la miseria!
Non potete immaginare la faccia di mia sorella alle prime note di Ragazza Paradiso e Amore Alcolico, canzoni che non sopporta. Sono scoppiata a ridere
Dopo Ragazza Paradiso, Ermal era tutto soddisfatto e ha detto “Finalmente dopo due anni ho imparato il testo”. Peccato che durante la serata abbia sbagliato Caro Antonello, Piccola Anima e La Vita Migliore. Nice try Ermal
Parte 9 Primavere e, miracolo eucaristico, non ho pianto. Certo, ci sono andata abbastanza vicino, ma non ho pianto
Dovevate vedere quanto era felice Ermal quando ha visto le fan action durante Caro Antonello e Non Mi Avete Fatto Niente. Sulla prima si è talmente emozionato che per un secondo ho temuto non riuscisse più a cantare. La seconda gli è piaciuta talmente tanto che ha chiesto di fotografarla (Montanari, lo so che hai la foto, ti ho visto col telefono ieri sera. Sei pregato di uscirla)
“Fotografa ‘sta roba qua”
Le versioni di ieri sera di Caro Antonello e Piccola Anima mi hanno lasciato senza parole. Cantale per sempre così, te ne prego
“Ma c’è un letto solo, dormirò per terra” aka Ermal Meta che modifica i testi delle sue stesse canzoni perché non li ricorda
Vietato Morire e Non Mi Avete Fatto Niente le ho urlate, ho buttato fuori tutta la merda che mi portavo dietro da un paio di mesi a questa parte. È stato liberatorio al massimo
A Schegge e Mi Salvi Chi Può ho mollato la macchina fotografica a mia sorella e mi sono appoggiata alla ringhiera, con la mano sinistra sul cuore. Non sono riuscita a sentire il battito, ma sono piuttosto sicura che andasse a tempo con la batteria. Le emozioni, quelle le ho sentite tutte. Mi hanno distrutta quelle due canzoni
Se può interessarvi, durante Schegge ha cantato “liberOOOO” and I was like :)))
Durante Volevo Dirti ero l’unica deficiente che urlava “DAJE VIGE”, facendogli anche dei video. Stessa cosa durante Rien Ne Va Plus, dove Ermal lo ha anche fatto venire avanti a cantare
L’intro di Molto Bene Molto Male è incredibile, non sapevo dove guardare prima. Molto meglio di un porno. @ Ermal, azzardati a levarla dalla scaletta e giuro che ti vengo a prendere a sprangate
Quando sono partite Rien Ne Va Plus e La Vita Migliore ho buttato un urlo che avrebbe potuto buttare giù l’arena
“NON CI CREDO CAZZO ERMAL TI AMO” e due secondi dopo ho detto “Tranquillo, da domani tornerai a starmi sul cazzo”
Breaking news, infatti oggi mi sta sul cazzo
Also, la mia coreografia su Rien Ne Va Plus >>>
Ad un certo punto è partito il coro di “Sei bellissimo” e io, piena fino all’orlo e con la solita classe che mi caratterizza, non sono riuscita a trattenermi e ho gridato in loro direzione un soave “VI TAGLIO LE LINGUE”
Mi Salvi Chi Può e Dall’Alba Al Tramonto una dietro l’altra è illegale, non ho nemmeno fatto in tempo a riprendermi psicologicamente che già stavo saltando e cantando
 “Che parlano di me, di noi E POI UN ALTRO GRANDE CASINO” aka Ermal Meta che inserisce frasi criptiche nelle sue canzoni
Comincia a suonare Piccola Anima chitarra e voce ma si inceppa subito al secondo verso. Scoppia a ridere e dà la colpa a qualcuno in platea, ma non so a chi perché ero troppo impegnata ad urlargli “Ma zitt, che noi le canzoni le sappiamo!”. Ha lasciato che fossimo noi a cantare la prima strofa e il ritornello, dopodiché ha ricominciato dall’inizio con tutta la band
La cosa migliore di Piccola Anima, però, è stato stringere la mia amica dall’inizio alla fine
Penso di aver definitivamente perso la dignità con Umano, che ho gridato a pieni polmoni. Non posso farci nulla, è sempre stata tra le mie preferite
Prima e durante Straordinario ha tirato fuori certe perle, del calibro “Vi faccio dimagrire, caspita!” “Ogni mattina io metto Straordinario e salto, è così che mi mantengo in forma” “Straordinario non è una cover, l’ho scritta io” “Non barate laggiù, vi vedo!”
Sull’”UN DUE TRE SALTA” ho fatto un video talmente disagiante che penso non pubblicherò mai nella vita. Ovviamente non si capisce nulla, dato che ero impegnata a saltare e non ho minimamente pensato a cosa stessi riprendendo
Ermal è peggio di un personal trainer, alla fine della canzone mi sono dovuta sedere per recuperare il polmone che avevo perso
Dopo una breve pausa rientra e canta La Vita Migliore, sbagliando il primo ritornello: invece di “Un sognatore non si perde mai…” canta “Un sognatore, sai, non dorme mai”. Subito dopo che ha cantato “Non dorme mai” ho urlato “BUONANOTTE!” e poco dopo “E STASERA HA SBAGLIATO”. Il video qui.
Dopo La Vita Migliore imbraccia la chitarra e io ero convintissima che avrebbe suonato Quello Che Ci Resta (anche se è più probabile che suoni Black Mamba da ora fino alla fine del tour, piuttosto che quella) e invece Ermal fa “Questa è Voodoo Love” e io “MA VA A CAGARE”
Non mi fa impazzire quella canzone, sorry
Sempre durante Voodoo Love due ragazze ci hanno chiesto se potevano sventolare uno striscione e non appena lo alzano una ragazza dietro di me ha cominciato a rompermi i coglioni, chiedendo di spostarmi più a sinistra (dove appunto c’era il cartellone). Al che le ho fatto notare che c’erano loro e che se ne sarebbero andate alla fine della canzone e lei ha continuato. Mi è dispiaciuto troppo chiedere a una di loro di spostarsi un po’, pur di far tacere quella lì. In fondo, non stavano facendo nulla di male
La prima strofa di A Parte Te l’ha cantata da seduto (e io non ho pensato al fatto che, la settimana scorsa, Fabrizio abbia cantato la prima strofa di Sono Anni Che Ti Aspetto da seduto, no no) e si è creata un’atmosfera magica, che è durata fino alla fine della canzone
“Ma soprattutto grazie a voi, perché senza di voi non funziona”
Prima che cominciasse la parte acustica, delle ragazze in gradinata hanno cominciato a cantare Come Il Sole A Mezzanotte ed Ermal ha detto “Non capisco che canzone state cantando. Di chi è il compleanno?”. Chiunque voi siate, sappiate che avete il mio cuore
Un Pezzo Di Cielo In Più, Era Una Vita Che Ti Stavo Aspettando e Invecchio. Tutte in acustico. Non so come abbia fatto a sopravvivere
Dopo i primi versi di Un Pezzo Di Cielo In Più, Ermal ha asfaltato con classe un coro di galline urlanti con un immortale ed efficacissimo “Statv citt”. In quel momento sono volata
Quando è partita Era Una Vita Che Ti Stavo Aspettando sono quasi scoppiata a piangere per la gioia. È stato il regalo migliore che potesse farci
Invecchio me la sono fatta con gli occhi lucidi, a un passo dal tracollo emotivo
“Cosa c’è nonna” “Niente, è che invecchio” E lì il mio cuore ha fatto crack
A fine concerto, sono uscita dall’arena imprecando e insultandolo, perché con la parte acustica mi ha ammazzata definitivamente
“COME SI È PERMESSO STO STRONZO, IO LO QUERELO, HA ROTTO IL CAZZO, QUESTA È L’ULTIMA VOLTA CHE VADO AD UN SUO CONCERTO (sure darling), LO ODIO DEVE MORIRE” and things like those
 Tralasciando l’ultima parte, Ermal e soci mi hanno regalato una serata più unica che rara, perché io tante emozioni tutte assieme non le avevo mai provate (Ermal è la causa del mio bipolarismo insomma). E niente, già mi manca da morire.
Qua sotto, come al solito, vi lascio qualche foto scattata alla rinfusa con lo zoom quasi al massimo
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L’amore non basta. Anni fa lessi questa frase, non ricordo più né dove né di chi fosse, ma ricordo che mi colpì. Mi segno in modo indelebile. Non l’ho mai dimenticata, e credo che sia una grande verità. Io sono un’inguaribile romantica, al che potrebbe apparire strano che creda in una sentenza che sbaraglia in tal modo il fondamento stesso del mio essere, ma tant’è. Sono profondamente convinta che l’amore sia la più grande forza al mondo, che sia il motore di ogni azione nobile e che innalzi lo spirito come null’altro; sono altresì profondamente convinta del fatto che ci sia qualcosa ancor prima dell’amore, forse non egualmente grande e potente, ma abbastanza importante da potersi trasformare in un ostacolo. Amore non conosce ostacolo di pietra, diceva Shakespeare. Io credo di sì, e credo che tale ostacolo sia l’uomo stesso. Più precisamente, l’individuo, il suo mondo e tutto ciò che gravita attorno a esso; il microcosmo che si crea e che si porta dietro; le ferite e i traumi che seppellisce durante gli anni e che riemergono dalle crepe di quella cortina di fumo costruita unicamente allo scopo di difendersi. Il problema di ogni cortina è che crea una frattura, un non-luogo invalicabile per chiunque, in grado di nasconderci dallo sguardo altrui, ma anche di separarci da esso definitivamente. L’immagine del fumo è eloquente – la lingua raramente commette errori; quello ci intossica, lentamente e inesorabilmente, finché non ci ritroviamo asfissiati: vorremmo gridare, ma non possiamo più farlo. C’è una linea sottile che divide l’autoconservazione dall’allucinazione, dalla paranoia. Difficile stabilire quale sia, come riconoscerla quando la si incontra per la prima volta, ancora più difficile sapere come non arrivarci mai o come non superarla. Le persone oggidì temono l’introspezione, la consapevolezza li spaventa, la possibilità di essere fragili, di mostrarsi vulnerabili. Ci vogliamo cavalieri dalla lucente armatura, sempre retti, sempre indefessi, sempre vittoriosi; nessuno pensa mai che l’armatura possa essere un peso, che possa immobilizzarci. E d’altronde, non esiste armatura in grado di resistere ai nostri colpi, questi ci afferrano e ci dilaniano dall’interno, non hanno bisogno di un arciere che li scocchi o di una mano che affondi la lama: noi siamo al contempo l’arciere e la freccia, la mano e la spada. Non puoi fuggire dai tuoi stessi dardi, non puoi schivarli o bloccarli prima che ti trapassino: provare dolore, come infliggerlo, è connaturato all’uomo. Il progresso non sarebbe stato altrimenti possibile. Forse non avremmo saputo neanche cosa farcene dei pollici opponibili, se non avessimo imparato che con essi potevamo fare del male, che potevamo uccidere. Ma queste sono sciocchezze, riflessioni di una notte appena iniziata e che doveva essere già terminata. Solo che a volte è difficile accettarlo, accettare l’ineluttabilità della sofferenza, sapere che, nonostante tutto, non può essere ignorata, che richiede di essere sentita, vissuta, e che non può essere estinta. A volte la nostra mente, analitica più che mai, smette di resistere ai colpi, depone le armi, si lascia andare al piacere lancinante della carneficina. Ci si sente sopraffatti. Mi sento spesso sopraffatta, sapete? Mi impegno per non darlo a vedere, ma è così. Ci sono cose, frasi, domande, che mi stordiscono, inaspettatamente, che disseppelliscono timori e mi costringono a pensare a ciò che mi rende infelice. Temo di essere una persona profondamente infelice. Amo la vita, ma non riesco a goderne a pieno. In fondo, lo so, è colpa mia. Sono cresciuta in fretta, troppo in fretta, perché potessi arrivare a ventidue anni sperando di non sentirmi così. Mi sembra di non essere più in grado di provare emozioni, emozioni intense, vere, trascinanti; mi sento come una fiamma spenta d’un colpo, a cui è stato violentemente sottratto l’ossigeno, ma da cosa, o da chi? Non sono una persona che cerca giustificazioni, o che tenta in ogni modo di deresponsabilizzarsi, al contrario, sono cresciuta assumendomi sempre più responsabilità di chiunque intorno a me, e questo mi ha resa forte, solida, fiera, mi ha fatto credere di poter affrontare tutto, mi ha donato determinazione, rigore, organizzazione, ma mi ha allontanata dal rischio. Una frase di Leopardi che porto tatuata sul braccio sinistro recita: bisogna vivere eikè, témere, à l’hasard, alla ventura. À l’hasard, ho scoperto di recente cosa significhi, la trovo un’espressione magnifica, infatti, quando mi chiedono di tradurla, non uso mai altre parole, dico letteralmente all’azzardo. All’orecchio di qualche esteta potrebbe suonare male, ma credo che ne trasmetta la potenza, l’ispirazione. Ho sempre creduto che sia questa la parte migliore della vita: l’ispirazione. Ma ho smesso di vivere secondo quell’idea, ho smesso di lasciarmi ispirare. Forse non so più come si fa, forse è solo una questione di assuefazione: ho vissuto tanto tempo senza sentire nulla di grande che non riesco più a capire dove trovarlo. E’ come se un’ombra fosse discesa su ogni cosa: è tutto grigio, né bianco né nero, solo un’infinita e triste gamma di grigi. E credo sia per questo che qualunque segno di vita mi ferisce, vedo negli altri ciò che mi manca, la scintilla, l’ardore, la prepotenza del sentimento, qualunque esso sia, che sia gioia o dolore, poco importa. E’ quella forza a mancarmi. La forza che rende tutto significativo, ogni parola, ogni suono, ogni lacrima; le persone credono che il dolore sia la cosa peggiore, non è così, la cosa peggiore è questa: sentirsi anestetizzati, guardare gli occhi di una persona innamorata e sentire i contorni della voragine che si ha nel petto bruciare. A tratti è insostenibile. Ed è qui che si torna alla cortina di fumo. E’ quel tipo di sensazione che ti rende insopportabile la gente, la sua compagnia, la sua mera presenza. Quel tipo di sensazione che ti fa desiderare di stare da sola per non dover più incontrare le tue mancanze sotto forma umana. D’altronde, è più semplice interferire con la voce di uno spettro che con quella di una persona in carne e ossa, si può al limite anche far finta di aver davanti un’allucinazione, se ne può discorrere geometricamente, si può fare della filosofia spicciola pur di esorcizzarla. Con la realtà è diverso, la realtà raramente accetta di essere ricacciata nelle maglie dell’astrazione: la realtà è dirompente, ti colpisce in pieno viso senza che tu abbia il tempo di accorgertene. Non hai scampo, è un ring che non puoi abbandonare. Cosa dovrei fare? Non so gestire la solitudine, ma non so neanche gestire tutto questo. Le due cose sono senza dubbio interdipendenti, dunque?
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parolerandagie · 4 years
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Fermi così...sorridete...
Se, ipoteticamente, esistesse una macchina fotografica capace di fotografare la nostra vita per quello che davvero è, e di conseguenza di fotografare noi stessi, per le caratteristiche che ci definiscono davvero di più, sapremmo riconoscerci, in quell'istantanea?
Quanto grande sarebbe la distanza, quanto la differenza, tra l'immagine che abbiamo di noi e di ciò che siamo e facciamo e quella ritratta dall'aggeggio di cui sopra?
Quanti di noi, che senza indugio si definirebbero generosi, si scoprirebbero avari e gretti, quanti menzogneri, noi che ci facevamo paladini della verità ad ogni costo, quanti pavidi e spaventati, noi che ci pensavamo cuori di leone...
...e che sofferenza sarebbe guardare quella foto e scoprire che il male peggiore non è essere più brutti, più malvagi, o anche solo molto più banali, più normali, di quanto ci si credeva...no...il peggiore dei mali sarebbe il trovarsi in un luogo che non riconosciamo, in un posto dove non avremmo voluto essere, circondati da persone che stentiamo a riconoscere, sgomenti, improvvismente soli, a chiederci a quale incrocio della vita abbiamo preso la direzione sbagliata, dove sono finiti coloro che avremmo voluto avere a fianco nel nostro cammino...
Ma soprattutto, se esistesse, quella macchina fotografica, e la avesse scattata quella maledetta foto, chi di noi avrebbe il coraggio di guardarla?
E se avete appena risposto che no, quel coraggio non lo avreste, allora, mi spiace, ma cosa ritrarrebbe lo sapete già fin troppo bene, senza doverla guardare, senza doverla scattare la foto, e, pensare a quello che ritrarrebbe, non vi piace per nulla.
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weirdesplinder · 3 years
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Libri  da cui sono stati tratti famosi videogiochi
Eccomi a voi con un nuovo post, stavolta dedicato sia ai libri che ai videogiochi. Ebbene sì, sapete che alcuni dei videogiochi più famosi sono tratti da o ispirati a romanzi ben meno famosi? E anche che da alcuni bestsellers letterari sono stati tratti dei videogiochi molto meno conosciuti?
Continuate a leggere per scoprirli.
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La famosa saga videoludica RAINBOW SIX, ha avuto spunto dall’opera omonima di Tom Clancy, per poi svilupparsi però molto più ampiamente e allontanrsi dal tema originale del terrorismo, per arrivare agli alieni.
Rainbow six, di Tom Clancy
Link al libro: https://amzn.to/3pRN4Or
Link al videogioco: https://amzn.to/3zDyI8Q
Trama: John Clarke, ex agente della CIA, amico del Presidente degli Stati Uniti, è un uomo d'azione spietato, posto a capo di un'organizzazione antiterroristica supersegreta chiamata Rainbow. Un fallito dirottamento su un volo per Londra, un assalto a una banca svizzera, il rapimento di un finanziere in Germania, un raid sanguinoso in un parco di divertimenti spagnolo: che legame c'è fra queste azioni? I terroristi sono un gruppo di uomini feroci e determinati che agiscono nel nome della natura: il loro successo potrebbe significare la distruzione totale dell'umanità, l'ultima catastrofica apocalisse.      
     Anche il videogioco Metro 2033 è stato ispirato da un romanzo con lo stesso titolo di Dimitry Glukhovsky, che grazie proprio al successo del gioco, ha visto la sua opera tradotta e pubblicata poi in tutto il mondo.
Metro 2033, di Dimitry Glukhovsky
Link al libro: https://amzn.to/3voQLw1
Link al gioco: https://amzn.to/3cOu2mH
Trama: L'anno è il 2033. Il mondo è ridotto ad un cumulo di macerie. L'umanità è vicina all'estinzione. Le città mezze distrutte sono diventate inagibili a causa delle radiazioni. Al di fuori dei loro confini, si dice, solo deserti e foreste bruciate. I sopravvissuti ancora narrano la passata grandezza dell'umanità. Ma gli ultimi barlumi della civiltà fanno già parte di una memoria lontana, a cavallo tra realtà e mito. L'uomo è stato sostituito da altre forme di vita, mutate dalle radiazioni e più idonee a vivere nella nuova arida terra. Il tempo dell'uomo è finito. Poche migliaia di esseri umani sopravvivono ignorando il destino degli altri. Vivono nella metropolitana di Mosca, la più grande del mondo. È l'ultimo rifugio dell'umanità. Le stazioni sono diventate dei piccoli stati, la gente riunita sotto idee, religioni, filtri dell'acqua o semplicemente per difendersi. È un mondo senza domani, senza spazio per sogni, piani e speranze. I sentimenti hanno lasciato spazio all'istinto di sopravvivenza, ad ogni costo. VDNKh è la stazione più a nord, una volta la più bella e più grande. Oggi la più sicura. Ma oggi una nuova minaccia si affaccia all'orizzonte. Artyom, un giovane abitante di VDNKh, è il prescelto per addentrarsi nel cuore della metro, fino alla leggendaria Polis, per avvisare tutti dell'imminente pericolo e ottenere aiuto. È lui ad avere le chiavi del futuro nelle sue mani, dell'intera metro e probabilmente dell'intera umanità.              
La famosissima saga videoludica di Assassin's Creed, ormai mitica e molto eterogenea, nella sua forma originale aveva preso spunto dal romanzo Alamut, firmato dallo scrittore sloveno Vladimir Bartol nel 1938.
Alamut, di Vladimir Bartol
Link al libro: https://amzn.to/3pSgrji
Link al videogioco: https://amzn.to/3zFzSjW
Trama: «Nulla è vero, tutto è permesso» è la sconcertante legge di Hasan Ibn Sabbah, Capo Supremo della setta ismailita degli Assassini, una legge che annulla tutte le altre, nel nome della fede cieca e delle armi. Alla fine dell'Undicesimo secolo, la fortezza di Alamut è la base e il rifugio degli Assassini, impegnati nella guerra totale contro la dinastia sunnita dei Selgiuchidi, padroni dell'Iran. Qui vengono portati i giovani Halima e Tahir e qui avviene la loro formazione: la sapienza erotica per Halima, la guerra per Tahir, la filosofia e la religione per entrambi. Ma sopra ogni cosa l'obbedienza assoluta al signore della setta, l'annullamento della propria volontà individuale, il sacrificio di sé in vista del premio finale, un Paradiso di cui solo Ha-san, un dio terrestre, detiene le chiavi. Libro maestoso e inquieto, opera visionaria che cela la propria densità nelle vesti di perfetto romanzo storico, Alamut è anche un'enciclopedia della sapienza e della follia umane, un luogo di metafore e profezie, e, infine, la storia di due giovani che si confrontano con un mondo minaccioso e subdolo, che ne userà le paure e i desideri profondi.                
STALKER (o S.T.A.L.K.E.R.) è un videogioco sparatutto in prima persona  liberamente ispirato al mondo creato dai fratelli Boris e Arkady Strugatsky nel romanzo Picnic sul ciglio della strada, del 1972.
Picnic sul ciglio della strada, di Boris e Arkady Strugatsky
Link al libro: https://amzn.to/35jw8qo
Link al gioco: https://amzn.to/3wH97Kc
Trama: Marmont, una cittadina industriale come tante altre. Eppure, poco oltre la periferia, qualcosa è cambiato irreversibilmente. Al di là di hangar e capannoni, in mezzo a una natura splendida, si estende un territorio dalle caratteristiche uniche. È la Zona: uno dei sei luoghi del mondo 'visitati' dagli extraterrestri. La Zona: un luogo magico e pericoloso, che pullula di fenomeni sconvolgenti, di oggetti dalle qualità straordinarie. Come dopo un picnic sul ciglio della strada, a metà del viaggio fra una galassia e l'altra, gli extraterrestri hanno mollato i propri avanzi sul prato. Accumulatori eterni, gusci energetici, antigravitometri sono strumenti di altissimo valore scientifico ed economico, prede prelibate di studiosi e trafficanti. A Marmont nasce una nuova professione, quella di 'stalker'. Gli stalker entrano nella Zona a caccia di questi oggetti e li rivendono al miglior offerente. Tenace 'Cercatore' dell'Istituto delle civiltà extraterrestri, Red Schouart, in arte Roscio, è sedotto dalla potenza della Zona. Rapido, fortissimo, deciso, è pronto a strisciare su un suolo imprevedibile a temperature insostenibili. L'Eldorado sembra a un passo, in quel luogo assoluto, ma non sono né la ricchezza, né il potere, né la verità che premono a Roscio: è il brivido estremo della sfida, il desiderio di 'bucare' lo schermo del possibile che lo spingono a trasgredire le leggi - fisiche e morali - di una comunità pavida e corrotta.
             - Per quanto riguarda il videogioco THE WITCHER, la storia della sua genesi è un tantino più complicata.  Il gioco prese ispirazione da una serie di racconti dell’autore polacco Andrzej Sapkowski, pubblicati negli anni 80′ su una rivista fantasy, dedicati al personaggio Geralt di Rivia. Questi ebbero un tale successo che negli anni 90′ l’autore raccolse i racconti in un volume e poi scrisse anche dei romanzi su quel personaggio e da lì nacque poi anche il videogioco.
 In che ordine leggere libri e racconti in modo da potersi godere la storia nella giusta cronologia dei fatti raccontati?
1. Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski
Link al libro: https://amzn.to/3iKSNEd
Link al videogioco: https://amzn.to/3wFt9os
Trama: Raccolta di racconto dedicati a Geralt di Rivia, che è un witcher, un individuo più forte e resistente di qualsiasi essere umano, e si guadagna da vivere uccidendo quelle creature che sgomentano anche i più audaci: demoni, orchi, elfi malvagi… Strappato alla sua famiglia quand'era soltanto un bambino, Geralt è stato sottoposto a un durissimo addestramento, durante il quale gli sono state somministrate erbe e pozioni che lo hanno mutato profondamente. Non esiste guerriero capace di batterlo e le stesse persone che lo assoldano hanno paura di lui. Lo considerano un male necessario, un mercenario da pagare per i suoi servigi e di cui sbarazzarsi il più in fretta possibile. Anche Geralt, però, ha imparato a non fidarsi degli uomini: molti di loro nascondono decisioni spietate sotto la menzogna del bene comune o diffondono ignobili superstizioni per giustificare i loro misfatti. Spesso si rivelano peggiori dei mostri ai quali lui dà la caccia.
2. La stagione delle tempeste
Anche questa è una raccolta di racconti e narra fatti avvenuti più o meno in contemporanea ai racconti de Il guardiano degli innocenti, perciò anche se meno fondamentale (non introduce personaggi o accadimenti fondamentali nella serie) se la volete leggere va letta prima dei romanzi.
3. La spada del destino
Idem come sopra, anche questa è una raccolta di racconti, ma questa racconta fatti posteriori a quelli narrati nelle raccolte precedenti e soprattutto introduce il personaggio di Cirilla che era ancora nel grembo di sua madre ne Il guardiano degli innocenti, perciò questa raccolta è molto più fondamentale che non la Stagione delle tempeste.
4. Il sangue degli elfi
Primo dei romanzi lunghi della serie che sono in tutto cinque. E che molto in sintesi vede l’inizio dell’addestramento di Ciri come Witcher e il tentativo da parte di geralt di capire i suoi poteri e molto altro.
5. Il tempo della guerra
Romanzo lungo che prosegue le avventure di Ciri su cui incombe una profezia, mentre Yennefer e Geralt tentano di proteggerla in un mondo pieno di conflitti e sfiducia.
6.Il battesimo di fuoco
Romanzo lungo. L’ordine degli stregoni è stato scardinato e Geralt è stato gravemente ferito, ma non ha il tempo di riposare perchè deve ritrovare Ciri. Per fortuna ad aiutarlo ci penseranno alcuni personaggi veramente interessanti che con lui formeranno un’improbabile compagnia.
7. La torre della rondine
Romanzo lungo. La guerra quella vera è iniziata, e sia amici e nemici cercano Ciri, che per la prima volta nella sua vita, libera da influenze ha scelto per se stessa una strada e ha scelto di diventare una bandita senza responsabilità…ma la libertà ha un caro prezzo.
8. La signora del lago
Romanzo lungo.Ciri è prigioniera nel mondo degli elfi e sa che deve tornare nel suo mondo da Geralt, ma là l’aspetta anche l’uomo che l’ha torturata, il suo peggiore incubo e la caccia selvaggia (e qui vorrei citarvi riferimenti faeries e di Merry Gentry. a manetta ma mi trattengo).
Si conclude con questo libro la serie di Geralt con un finale forte e non del tutto chiuso…triste ma con un filo di speranza, ed è da qui che partono i videogiochi.
La storia narrata nei videogiochi  The witcher, The witcher 2 e  The witcher 3: the wild hunt infatti segue cronologicamente i romanzi.
- Parasite Eve è il primo capitolo di una serie di videogiochi incentrati sulla storia di una donna in grado di innescare una combustione spontanea in chiunque le si avvicini  ed è nato come sequel alla storia narrata nel romanzo omonimo dell’autore giapponese Hideaki Sena. Il libro è inedito in italiano, ma è disponibile in inglese nel caso potesse interessarvi.
Parasite Eve (inedito in italiano), di Hideaki Sena
Link al libro: https://amzn.to/3gA7t66
Link al videogioco: https://amzn.to/3gEH0o8
Trama: Quando il dottor Nagashima perde sua moglie in un misterioso incidente d'auto, è sopraffatto dal dolore ma anche da un inquietante senso di determinazione; diventa ossessionato dalla reincarnazione della moglie morta. Il suo rene donato viene trapiantato in una giovane ragazza con un disturbo debilitante, ma il dottore si sente anche obbligato a tenere un piccolo campione del suo fegato nel suo laboratorio. Quando queste cellule iniziano a mutare rapidamente, si risveglia una coscienza intenzionata a determinare il proprio destino, intenzionata a diventare la nuova specie dominante sulla terra.
- Forse non sapevate che dal libro I PILASTRI DELLA TERRA di Ken Follett è stato creato anche un videogioco con lo stesso titolo che racconta la storia del villaggio di Kingsbridge in modo completamente nuovo e interattivo. Indossa i panni di Jack, Aliena e Philip e cambia il destino degli eventi del libro attraverso l'esplorazione, le tue decisioni e i dialoghi. Inghilterra, dodicesimo secolo: in un'epoca di grande povertà e guerra, un piccolo villaggio inizia a costruire una cattedrale per ottenere ricchezza e sicurezza per la sua gente. In una lotta per la sopravvivenza, vite e destini si intrecciano.
I pilastri della terra, di Ken Follett
Link al libro: https://amzn.to/2TGgdzX
Link al videogioco: https://amzn.to/3xrXE0W
Trama: Un mistery e, allo stesso tempo, una sensuale storia d'amore ambientata tra i costruttori delle grandi cattedrali del medioevo. Azioni, colpi di scena e oscure passioni sullo sfondo di un'era ricca di intrighi e tradimenti, pericoli e minacce, conflitti e lotte spietate per la conquista del potere.            
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alone96 · 3 years
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Sto male da star sola, da non volerlo vedere per giorni. Mi sono esposta: gli ho detto che sono stata bene. L'ho fatto perché lo pensavo davvero. Mi ha risposto che sono stata bene perche non gli ho rotto i coglioni.
Avete presente com'è cadere dalla vetta più alta del mondo? Neanch'io, ma penso sia come mi sono sentita in quel momento.
E ora mi ritrovo a fissare il vuoto, con i brividi che pervadono ogni mia terminazione nervosa a ogni atto resporatorio. Le lacrime che scendono, stufe di essere richiamate sempre.
Penso: e se non ci fosse stato lui sarei stata bene?
Penso: e se non l'avessi mai incontrato dove sarei ora? Cosa farei ora?
E mi sento in colpa. Anche se so che lui ci ha fantasticato mille volte. E mi sento in colpa a pensarlo.
Cos'è questo? È esagerato buonismo o è fesseria? Sono il mio peggior giudice quindi per me sarà fesseria.
Quando l'ho incontrato mi dicevo di non meritarlo. Non sapevo nulla, non sapevo cosa mi sarebbe aspettato.
Magari me lo meritavo davvero tutto questo dolore. E immenso, sapete?
Non vedo più la fine ormai.
Sono nel vuoto.
Vorrei urlare ma il mondo me lo impedisce.
Vorrei farmi tanto piccola e piegarmi su me stessa fino a sparire, ma la fisica me lo impedisce.
Qual è il mondo adatto a noi distrutti? Questo no. O forse si, forse non saremmo più distrutti in un mondo che ci permette di fare ciò che vorremmo fare. E non saremmo più noi stessi.
Perche io sono questo? Sono davvero solo questo?
La mia innaturalezza mentale, la mia maschera eterna definiscono ciò che sono?
Sono solo questo?
Allora è semplice.
Allora è semplice smettere di essere una distrutta.
Devo smettere di essere.
Dormire, nel mio mondo vuoto.
Il mio mondo me lo permette, questo?
Il mio mondo mi permette di dormire e smetterla?
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toleratingthings · 3 years
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Figure stereotipate
Difatti le donne delle ultime generazioni tendono a non percepirsi come vittime o escluse, rispetto ai loro coetanei uomini, perché siamo in un paese in cui la cronaca ci restituisce alcune figure canoniche, come la moglie portata allo stremo, le figlie violentate, le fidanzate uccise, o la madre infanticida, senza lasciare spazio ad immagini di donne che si trovano in posizioni diverse, come quelle di presidenti, segretarie di stato, o cancelliere, che sono considerate casi eccezionali e non rappresentative del loro genere.
(fonte: http://www.iaphitalia.org/emancipazione-e-liberazione/)
Ha spopolato il video imbarazzante di Er Faina in cui accusa le donne di "cagare il cazzo" con la tematica del cat-calling dopo la storia che Aurora Ramazzotti ha postato su Instagram, lamentandosi - giustamente, se mi permettete -, dell'imbecillità di alcuni esordendo con un "Mi fai schifo".
A me piace da morire quando gli uomini si alterano per ogni rivendicazione di stampo educativo da parte delle donne, perché dimostra palesemente la totale ignoranza che li costituisce. Senza contare che tale arroganza permetta anche di capire sin da subito come individui del genere non si preoccupino neanche di stare lì ad ascoltare e capire tematiche complesse che vanno oltre al contatto fisico.
Diciamolo: la storia del cat-calling non solo sembra offensivo alle loro bocche (e alcuni gridano persino al fascismo perché i loro commenti del tutto inopportuni non trovano più spazio), ma li fa sentire tagliati fuori dalla società.
Un complimento è bello riceverlo con garbo, non urlato a sette metri di distanza come si urlerebbe alla tv quando si guardano le qualificazioni italiane ai mondiali. E poi, miei cari, nessuno ha bisogno dei vostri commenti, né di quelli dispregiativi, né tantomeno di quelli apprezzativi. A noi piace solo vivere senza troppi problemi. Non accusateci se rispondiamo a tono quando le cose a noi riferite possono non risultarci "simpatiche e normali". Ad ognuna aggrada qualcosa di differente.
Quindi, caro uomo che fai cat-calling, passiamo alle domande serie: pensi che il mondo sia etero? Credi che qualunque donna a cui fischi interessi di te? Cos'è, da piccolo non ricevevi abbastanza attenzioni? Sei stato preso di mira dai bulli quando facevi le medie? Non hai mai risolto qualche complesso legato alle tue difficoltà di approccio con le donne? Ti hanno detto "No" troppe volte? Perciò pensi che la violenza ti sappia ricompensare da queste frustrazioni? Sei convinto che l'abuso dei privilegi non esista? Ti hanno detto di "fare l'uomo" o di "non essere una femminuccia/checca" quando volevi essere vulnerabile?
Mettiamola così: esplicatemi perché ad una donna possa mai fregare il fatto che voi uomini apprezziate immensamente il suo culo. E se questa donna fosse lesbica? Aromantica o asessuale? Forse non sapete dell'esistenza di queste etichette. (ironic, isn't it? - ndr.)
Già che ci siete, articolatemi il motivo per cui voi possiate dare aria alle vostre bocche in qualsiasi momento.
Perché dovete chiamare una tipa "bella gnocca"? Lo pensate davvero? Grazie mille, ma questa cosa ci fa paura.
E sapete perché? Per via delle esperienze.
Ieri sono andata all'ATM per ritirare un po' di contanti e in ordine di fila eravamo: un ragazzo della mia stessa, un signore, la sottoscritta e un altro signore. Senza neanche volerlo, mi sono accorta della totale calma con cui il ragazzo che stava usufruendo del servizio si muoveva, nonostante il signore subito dopo di lui si avvicinasse appena sperando di farlo sbrigare.
Insomma, una cosa abbastanza banale, direte.
Quando successe la stessa cosa a me, al mio turno, dovetti ripetermi di rilassarmi, di ricordarmi che l'uomo dietro di me andava solamente di fretta e che non ogni uomo nasce con l'intenzione di farmi del male.
Ecco, questo intendo.
Quando si tratta di fischi e commenti tra voi uomini, siete certi al 92% che non vi succederà alcun tipo di inconveniente e di conseguenza non vi preoccupa e non vi inquieta nemmeno un po' vivere episodi del genere. Per noi, invece, è il contrario.
Quei fischi, quei "bel culo", quei "complimenti alla mamma" e soprattutto quei "mamma mia che ti farei" ci ricordano i pericoli in cui incorriamo per il solo fatto di essere donne. I nostri vestiti, i nostri corpi e i nostri atteggiamenti spesso vengono presi come complici per l'istigamento verso il sesso maschile. Ogni volta dobbiamo partire prevenute da casa, avvisare chiunque dei nostri spostamenti e per di più ci sentiamo in dovere di controllare continuamente i nostri dintorni perché in noi vive insito il mito del "Stai attenta cara, che fuori ci sono brutte bestie e ti potrebbero violentare/rapinare/sequestrare/ammazzare". Quella leggenda metropolitana ci accompagna e non solo, trova anche solida base nelle storie che i telegiornali raccontano.
Che poi, quale peggior maniera di vittimizzarci e renderci deboli esiste oltre al giornalismo?
Noi non siamo donne, siamo vittime. Tutte quante. Non esiste articolo in cui non si vi venga esposte con "Nome e Cognome è stata vittima di un [inserire violenza subita]". Siamo marionette della violenza maschile, ma mai donne di potere. Mai ministre, mai presidenti o presidentesse, mai sindache, mai CEOs. Mai.
Solo un insieme di mamme, fidanzate, mogli o ex violentate a cui è stata strappata la libertà in vita e, successivamente, la vita stessa.
E quanto è stato ridicolo il post di scuse postato da Er Faina, parandosi con l'ironia - come se fosse l'arma giusta da usare. Non recupererai mai la fama che hai perso per esserti rivelato per ciò che sei.
Ma in un altro post probabilmente parlerò di come il black humor e l'ironia nascano dal razzismo e il sessimo.
- glenda | ig: a.glenda.caceres | tw: waitbythedoor_
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latuaveravoce · 3 years
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Ciao... piacere a tutti... mi chiamo..........no... non mi chiamo diciamo che per voi sarò l’Anonima, chiamatemi così.
Perché sono qua? Me lo sto chiedendo anche io... eppure ne ho sentito il bisogno di avere un posto così dove poter dire esattamente cosa sento dentro, urlando al mondo...ma silenziosamente!
Eh si... vi è mai capitato di sentirvi esattamente come le farfalle nella mia foto? In trappola, che sia in un posto, che sia in un pensiero, che sia in un periodo no, o che sia in qualcosa che vi logora dentro che non sapete come vomitare letteralmente per tirarlo fuori definitivamente?... ecco io mi sento così ora.
Magari eviterò di raccontare tutto con un colpo solo e giorno dopo giorno vi porterò con me in questa voce che vorrebbe urlare ma che invece, come nei sogni, la voce non esce🤷🏼‍♀️
Adesso cosa c’è? Il ribrezzo di persone che, come una semplice foglia a terra, ti calpestano senza porsi minimamente il problema di dire “oh cosa ho calpestato?” ma che bensì proseguono serenamente nel loro percorso come se tu non fossi mai esistita, come se tu non avessi mai fatto nulla per loro.
Sicuramente la peggior sfiga di me stessa sono esattamente me stessa... però che devo fare🤷🏼‍♀️ io non riesco a non essere così con le persone, do tutto... consapevole che tanto prima o poi mi ritroverò senza nulla, sola ad un angolo, ad aspettare che qualcuno ricambi il mio fare per loro! ................................ ovvero come aspettare la pioggia in un periodo di siccità 🤣
Però almeno ho imparato a prenderlo con filosofia e con simpatia (in fondo solo quello mi è rimasto) ... sono sempre perennemente in posizione da ortolano 🤣🤷🏼‍♀️ in fondo quando poi ci si abitua non e poi così male eh 🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣
Ah ... non fateci caso sono così... un po’ scema! Va beh dai per oggi vi ho annoiato abbastanza... vedremo domani con quale altro capito Sfigato della mia vita vi annoierò!
Buonanotte bambols😘
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mylittlewordsworld · 4 years
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certezze
frivole, frivole certezze.
È questo il problema della vita sapete, l’abituarsi, il considerare qualcosa una certezza. Perché quando hai certezze non ti poni problemi, stai bene, sei sicuro che quelle determinate cose non cambieranno. Ed è proprio questo che riesce a fottere tutti quanti. Perché ciò che regna nella legge naturale della vita è invece l’incertezza. Questa suddetta incertezza può essere determinata da diversi fattori, principalmente due: l’imprevedibilità delle calamità naturali, e l’imprevedibilità delle persone. Il problema è, infatti, il nostro dover interagire con l’ambiente circostante e, spesso, scoprire che non esiste soltanto il nostro ego spropositato ci lascia un po’ interdetti.
Pianificare non esiste - è un’illusione
Nella vita tutti si fanno un programma : esempio base, si chiede ai bambini cosa faranno da grandi, dando loro un’effimera certezza. Niente va mai come “programmato” ed è proprio per questo che bisognerebbe smettere di programmare. Perché la vita non segue nessun piano, o nessun piano che noi persone possiamo (forse sarebbe più corretto dire vogliamo) prevedere. Uno dei modi per stare davvero bene, secondo la mia opinione, è non avere un piano, non crearsi nessuno schema da seguire. In poche parole, per evitare grandi delusioni, si evita di considerare tutto una grande certezza. Dalla prima cosa, che può essere avere un tetto sulla testa, all’ultima, che può essere la fiducia e il bene incondizionato di un amico. Andando avanti con la vita, ci si rende conto di come tutto possa scomparire con la stessa velocità con la quale ha fatto la sua comparsa. Poi, infatti, ti rendi conto di come un tetto sulla testa non va sottovalutato e può andare in frantumi da un momento all’altro, come quell’amico da cui non te lo aspettavi ti tradisce. E allora? Che fare?
Un continuo lutto
Ogni volta che crolla una certezza, è come attraversare un lutto, costantemente. E per superare un lutto ci vuole tempo, forza in modo che si riesca a rialzarsi. È difficile, ardentemente difficile. Ecco ora, immaginate il lutto peggiore che possiate avere e immaginate di doverlo ripetere un numero x di volte, certamente superiore a 1. Un vero trauma e un dolore psicologico inspiegabile. È proprio ciò che succede quando crollano le nostre certezze e ci sentiamo persi. Proprio qui, arriva l’importanza di vivere alla giornata, essendo grati per quello che c’è e fregarsene di ciò che ora non abbiamo. In questo modo il nostro lutto sarà contenuto in un basso numero di volte e magari ci aiuterà a stare meglio.
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baldobranco · 4 years
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Tema di agosto: Intervista, by Beatrice Zampetti - scritta da Barnaba Benedetti
L’immaginazione è una facoltà straordinaria propria della mente umana, ma forse non è usuale figurarla come un’arma a doppio taglio. Se infatti da un lato è il motore che, incessantemente, spinge e sprona il progresso delle scienze e la carica espressiva delle arti, dall’altro, se non viene debitamente domesticata, può prendere scompostamente il sopravvento nell’equilibrio psichico, convincendo una mente di quanto più irreale e strampalato possa essere – per l’appunto – immaginato. La profonda convinzione di un individuo in lapalissiane assurdità genera, nel migliore dei casi, un moto d’ilarità in chi ne venga a conoscenza; nel peggiore dei casi, tuttavia, può dar vita a uno spaventoso effetto a valanga, nel caso in cui chi ne sia convinto goda di un certo grado di autorevolezza, espandendosi diffusamente nella popolazione, divenendo talora idea dominante e permanendo nel substrato culturale per generazioni. Abbiamo cercato di smentire almeno una tra queste assurdità, fallendo clamorosamente.
INTERVISTA AL GRIGIO
B: Buongiorno un corno! Slegatemi su-bi-to!
G: Ora non è possibile. La procedura è iniziata. Non sentirà alcun dolore, e al suo ritorno non avrà alcuna memoria di ciò che sta accadendo.
B: Per l’amor del cielo, sono il cronista, sono qui per l’intervista!
G: Oh, ci perdoni. Pensavamo fosse il soggetto dell’esperimento. Prego, è libero dalle cinghie, ci segua…ecco, si sieda pure qui, di fianco alla centralina di comando.
B: Santo cielo, ci siete arrivati, finalmente. E dire che dovreste essere organismi senzienti!
G: Lo siamo per certo, tuttavia ciò non può eliminare ogni probabilità d’errore.
B: Certo, certo, ora mi calmo. Abbia pazienza, non è piacevole trovarsi legato senza preavviso a un tavolo da vivisezione. A dire il vero, non sarebbe piacevole nemmeno con largo preavviso. Fate così con tutti i soggetti dei vostri esperimenti?
G: Sì, è la procedura standard. Sulla base delle circostanze è previsto un eventuale tentativo di contatto preliminare attraverso la psiche del soggetto; successivamente si procede al prelievo vero e proprio. Una volta conclusa la fase di studio, il soggetto viene rilasciato con minime – preferibilmente nulle – tracce visibili della procedura.
B: Vi rendete conto che in questo modo terrorizzate chiunque venga in contatto con voi?
G: che cosa significa terrorizzare?
B: Spaventare, atterrire… no, non mi capirebbe…
G: Non eseguiamo alcuna procedura particolarmente pericolosa per i soggetti, questo è garantito dal protocollo.
B: D’accordo, cercherò di spiegarlo al mio ritorno. Signor Grigio… beh, come posso chiamarla?
G: Non è rilevante, l’identità individuale è trascurabile nella nostra cultura. Signor Grigio va benissimo, qualunque cosa significhi.
B: Allora, signor Grigio, chiariamo subito un punto. Da quanto tempo siete qui?
G: Siamo qui già da molto, molto tempo.
B: Una risposta dal misterioso sapore cinematografico. Permetta, che cosa ci fate, dunque, qui?
G: Studiamo e aumentiamo la nostra conoscenza e comprensione dell’universo. Non vedo altri motivi per cui dovremmo sostare in questo pianeta.
B: Chiaro. Ma gli altri pianeti, allora? Non c’è dell’altro da studiare? L’universo, come sapete di sicuro, è immenso: come mai il pianeta Terra sembra essere così prediletto da voi?
G: Non è affatto prediletto, sa? Nostri simili stanno eseguendo attività analoghe alle nostre su di altri sistemi stellari, su di altre forme di vita. Tuttavia, limitatamente al Sistema Solare, l’unica forma di vita complessa si trova sul pianeta Terra, ed ecco spiegato perché avete l’impressione d’essere oggetti di studio eletti.
B: Aspetti, lei ha detto che siamo l’unica forma di vita complessa del Sistema Solare. Non vorrà forse insinuare che esistono altre forme di vita, semplici, nel nostro sistema?
G: Non sono autorizzato a riferire informazioni di classe A.
B: Capisco, si tenga pure i propri segreti; non tutti, però, spero. Confesso che, da bambino, il vostro aspetto mi impressionava come nient’altro. Avete una linea inusualmente umanoide, ma snaturata in qualche modo: colorito grigio, testa molto grande, occhi grandi e neri e bocca piccola e inespressiva. È forse il risultato di un’evoluzione convergente?
G: Chiarirei prima di tutto che, per quanto ci riguarda, è il vostro aspetto a risultare grigioide. Ad ogni modo, è probabile che quanto lei afferma sia corretto. Dopotutto sopravviviamo nel vostro pianeta da millenni, quindi nel nostro pianeta d’origine le condizioni in cui la vita si è sviluppata e ha proliferato non possono essere che molto simili; dunque è probabile che abbiamo assunto un aspetto simile al vostro, benché voi lo riteniate impropriamente mostruoso.
B: Si è spiegato. Nella vostra attività di studio è previsto l’anonimato? Voglio dire, sembrerebbe di sì, poiché non vi siete mai dichiarati pubblicamente alle autorità, e tuttavia praticamente ogni persona al mondo sa di voi, tanto che siete divenuti parte integrante della nostra cultura urbana.
G: Come le ho già detto, l’individualità è irrilevante, e perciò lo è anche l’anonimato. Inoltre, forse lei conosce qual è il genere di attività che eseguiamo, nel dettaglio?
B: No, certo che no.
G: Ecco, appunto: voi non sapete che cosa facciamo. Sapete che vi studiamo, d’accordo, e tanto basti. La nostra tecnologia e le nostre procedure non vi sono note, né è previsto che lo siano.
B: Chiaro, ma allora perché rapire le persone? Non sarebbe più onesto richiederne il consenso informato?
G: Beh, la sua è un’obiezione legittima. Ci abbiamo provato, ripetutamente. Inizialmente non eravate in grado di comprendere il nostro linguaggio, dunque abbiamo dovuto attendere. Quando la vostra civiltà si è sufficientemente evoluta per poterci comprendere, siete divenuti pericolosi e ostili. Quindi abbiamo optato per quello che voi chiamate rapimento, ma che non ha nulla a che vedere con il reato descritto nei vostri codici. Potremmo piuttosto definirlo un prelievo di un campione biologico, che viene conservato per un periodo limitato prima dell’inevitabile e previsto rilascio, in condizioni di totale incolumità.
B: Eseguite tutte le operazioni di studio in questi vostri velivoli a forma di disco?
G: Sì, sostanzialmente tutte. Cerchiamo di scendere al suolo il meno possibile, solo quando è strettamente necessario. Come le ho detto, abbiamo ragione di ritenervi una forma di vita alquanto aggressiva, sia interspecie che intraspecie.
B: Vorrei poterle dare torto. Vi è mai capitata qualche sorta d’incidente, con le cavie o con i velivoli?
G: Non cavie, per favore, ma oggetti di studio. Comunque non è mai accaduto nulla di veramente rilevante. La maggior parte dei problemi con i soggetti sono dovuti a risvegli traumatici e a stati di panico incontrollato alla nostra vista, il cui susseguente stato di agitazione può causare gravi danni alla nostra strumentazione. Non ci risultano invece incidenti a carico dei velivoli.
B: Dunque non è avvenuto alcun incidente, per esempio, a Roswell, nel 1947?
G: Non è presente nei nostri registri. Probabilmente avete preso un abbaglio: è tipico della vostra specie dare spiegazioni fantasiose agli avvenimenti per diletto o per ricercare l’attenzione altrui.
B: Ben poco lusinghiero da parte vostra. Poco male, è l’ora di lasciarci.
G: Ma certo. Possiamo rilasciarla dove preferisce. Che ne dice della sua camera da letto?
B: Grazie, ma non vorrei allarmare il vicinato, qui sulla strada va benissimo. Buon proseguimento!
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questouomono · 4 years
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Questo uomo no, #107 - Lo stupratore e la leggenda
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E’ morto Kobe Bryant. Immagino che questo lo sappiate. E’ morta una leggenda dello sport, ispirazione per migliaia di persone. E anche questo lo sapete. E’ morto uno stupratore. E anche questo lo sapete: Kobe Bryant era uno stupratore e una leggenda dello sport.
Sapete anche che una delle cose più odiose che il patriarcato insegna per evitare che tutte e tutti si uniscano lottando contro il suo sistema di potere e culturale è il binarismo. Non solo quello di genere: si tratta di quella visione del mondo che divide etiche, concetti, esperienze e pratiche solo in due valori: giusto/sbagliato, vero/falso, bianco/nero, normale/strano, e così via.
Kobe Bryant è stato l’ultimo - in ordine di tempo - esempio famoso di voluto fallimento del sistema giuridico occidentale. Che sia Roman Polansky, Cristiano Ronaldo o Kevin Spacey, la storia è sempre quella: non c’è tribunale che riesca a condannare uno stupratore, perché il sistema non è in grado di farlo. Non importa quanti ne vengano condannati: non solo socialmente è inutile - seppure definibile “giusto” - mettere qualcuno in galera, ma il fatto che puntualmente alcune personalità famose riescano a stuprare senza che la giustizia ordinaria possa fare niente basta e avanza a far sentire non tutelate tutte le donne. Ma il danno sociale è molto più grande - non è cinismo - di quello inferto alle sopravvissute agli stupri; il danno è che queste personalità famose continuano nella loro vita che viene spesa a fare cose che ispirano altri, continuano a produrre arte, diventano padri affettuosi e generosi mecenati, producendo un vero e proprio scisma sociale apparentemente irrisolvibile.
Da una parte c’è chi - a ragione - disprezza gli stupratori chiunque siano e qualsiasi cosa facciano nella loro vita. La vita di una sopravvissuta, soprattutto se per quello che ha subito non ha neanche la magra consolazione della condanna da parte della giustizia istituzionale, non ha alcuna possibilità di tornare o di “essere come prima”. Se c’è qualcosa di male che rende il sopravvivere peggiore del morire, probabilmente è lo stupro.
Dall’altra migliaia di persone piangono un uomo morto - oppure si affannano a difenderlo dalle accuse di stupro - perché quell’uomo è stato un gigante dell’arte o dello sport, ha ispirato migliaia di persone, ha ottenuto risultati straordinari, ha devoluto milioni in beneficenza, è stato un padre amorevole. Molti e molte lo hanno ammirato e la sua vita (a parte lo stupro, ovviamente, per il quale non è stato condannato) è stata caratterizzata da generosità, educazione, disponibilità, bontà d’animo o genialità, originalità, creatività ai massimi livelli.
Nessuno e nessuna che la pensa in quest’ultimo modo sarà perdonato, o solamente compreso, da chi la pensa come nel primo caso. Nessuno e nessuna che esalti, ammiri o solamente parli delle virtù di Kobe Bryant sarà giustificato da parte di chi lo ritiene prima di tutto uno stupratore. In questo modo, realizziamo uno dei principali scopi per i quali il sistema di potere patriarcale rimane ancora tanto potente: dividerci, lottare l’un* contro l’altr* per una realtà definita contraddittoria, invece di lottare contro il sistema di potere vigente che permette a quella realtà di accadere.
Questo stesso sistema cerca di non ammettere che sia possibile affrontare una situazione che sempre più spesso continua a presentarsi: che un uomo sia contemporaneamente colpevole di stupro E ingiudicabile da un tribunale, che abbia una carriera esemplare e virtuosa E che si sia macchiato del forse peggior delitto, che sia un famoso padre amorevole E uno che ha violentato una donna, che sia uno stupratore E una leggenda.
Invece di affrontare questa complessità che continua a presentarsi, lavorando su un sistema educativo e culturale affinché non crescano più stupratori MENTRE modifichiamo il sistema giuridico affinché il concetto di “prova” e di “testimonianza” siano più sensati ed efficienti per chi sopravvive a uno stupro, ci dividiamo di fronte a una realtà che ci chiede di prendere la solita posizione binaria: o di qua o di là, o con me o contro, o bianco o nero.
Io continuerò ad ammirare Kobe Bryant per il suo meraviglioso modo di praticare uno sport che amo, e continuerò a deplorarlo come stupratore di una donna alla quale ha rovinato la vita. Continuerò a pensare che la sua carriera di leggenda dello sport, d’esempio per tanti e tante, è stata possibile grazie a un sistema giuridico incapace di inchiodarlo alle sue responsabilità. Continuerò a lottare affinché questo modello di uomo non abbia più posto nel mondo mentre non biasimerò chi ne ha ammirato l’abnegazione, la generosità, la professionalità, il talento. Perché se non sono in grado di ammettere che questa complessità è quella che devo affrontare nella mia pratica di lotta e pensiero verso un mondo più paritario, allora il patriarcato ha già vinto in partenza.
Chi non è d’accordo può tranquillamente smettere di parlarmi, frequentarmi, conoscermi, adoperarsi insieme a me in quella lotta. Sicuramente anche il sistema di potere patriarcale e tutte quelle persone che più o meno volontariamente lo sostengono saranno ben contente di ciò.
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viaggiatricepigra · 4 years
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Review Party: Loving The Darkness (Loving The Demon 3), di Nicole Teso
AVVERTENZE: Il romanzo contiene scene esplicite destinate a un pubblico adulto. 
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"È finita. Sto scappando... Finalmente, il mio rapitore non mi farà più del male". È questo che penso mentre corro tra le vie di Las Vegas. Sono libera, ma voglio vendetta. Non riesco a smettere di pensare a Jake, all'uomo che mi ha tolto tutto, al carnefice che ha tormentato le mie notti. La libertà ha un prezzo. Il mio è essermi innamorata dell'uomo sbagliato.  "Ti troverò, Angelo. Anche a costo di impazzire". È questo ciò che penso mentre sfreccio tra le vie di Las Vegas, ossessionato dalla donna che mi ha rubato il cuore. Ho lottato contro i miei sentimenti, li ho calpestati nella speranza che morissero, li ho ignorati come se fossero insignificanti. Ma ora voglio te, Brittany. Ti voglio come l'aria che respiro. E che la mia anima sia dannata, farò di tutto per raggiungerti.
Siamo finalmente giunti al capitolo conclusivo della trilogia d'esordio di Nicole Teso; dopo Loving The Demon e Loving The Angel (i link portano alle mie opinioni in merito) la storia di chiude ed i lettori secondo me saranno estremamente soddisfatti di come andranno le cose, nonostante ci possano essere degli elementi che, a gusto personale, possono non piacere totalmente.  Ma veniamo alla storia.
Lo dico ugualmente, anche se dovrebbe essere intuitivo:  se non avete letto i precedenti romanzi, NON CONTINUATE perchè vi fareste spoiler.
Nella magnifica lotta per la sopravvivenza, noi esseri umani ci trasformiamo in animali. Non c'è niente che non faremmo pur di avere salva la vita. A un passo dalla libertà, è un ticchettio sciagurato a candire gli attimi nella nostra testa. Momenti in cui corriamo a perdifiato lungo le vie di a Las Vegas. Istanti in cui coordiniamo le gambe e braccia, ignoriamo i dolori alle articolazioni e annaspiamo in cerca d'aria. Siamo disposti a fare qualunque cosa, a trascinarci esausti, lungo un tragitto di cui ignoriamo la destinazione, a ingannare i nostri simili, a tradire i nostri cari. E' vero che quando sei in bilico tra la vita e la morte, tutta la tua esistenza ti scorre davanti agli occhi. Il tempo rallenta. Dieci secondi diventano quindici minuti. E quindci minuti diventano due ore. E due ore, a loro volta, diventano come un déjà-vu che riviviamo all'infinito. MI chiamo Brittany Moore e sono evasa da un ospedale psichiatrico la notte del ventisette aprile duemiladiciotto, mano nella mano con Abbie, una paziente del St. Jamie. 
Brittany è riuscita a scappare dall'ospedale psichiatrico insieme ad Abbie, ma la loro corsa per la salvezza è appena cominciata. Abbie è determinata, forte, pronta a tutto pur di allontanarsi da quell'inferno in cui è rimasta rinchiusa per troppo tempo. Brittany la troviamo spaccata a metà: da una parte forte, una guerriera che non molla per riuscire a scappare ed ottenere giustizia che pretende per tutto ciò che le è stato fatto; dall'altra stremata e stanca, il suo corpo e la sua mente barcollano al limite della resistenza.  Le due giovani dovranno farsi forza a vicenda per riuscire ad allontanarsi e riprendere in mano le loro vite. Nel frattempo Jake, saputa la notizia, corre immediatamente a braccare Brittany. La rivuole, lei è sua, il suo Angelo. Fra possesso e qualcosa che sta nascendo di molto profondo, non vuole permetterle di allontanarsi da lui. "Deve" capire quanto lui la ami ed accettare tutto questo, anche perchè davanti a questi nuovi sentimenti, la sua vita si stravolge completamente ed è disposto a qualunque cosa, a qualunque sacrificio per poterla avere al suo fianco. Questo è solo un piccolissimo assaggio di quello che si andrà a leggere fra le pagine. Giusto come iniziano i primi capitoli, ma senza nemmeno andare nei dettagli. Questo capitolo conclusivo mi è piaciuto e non mi è piaciuto (per gusti personali).  Partiamo dai personaggi. Brittany è caratterizzata davvero molto bene. In questo romanzo verrà "approfondita" meglio la sua divisione interiore, ovvero: l'amore che prova per Jake (sia fisicamente, che emotivamente), contrapposto all'odio che prova per lui per quello che le ha fatto e la voglia di vendicarsi, portando giustizia e liberando le donne che ha rinchiuso. È mostrata molto bene questa doppia "facciata" perchè, nonostante qui sia una storia estrema, chiunque si è trovato almeno una volta nella vita spaccato fra mente e cuore.  Jake ci viene mostrato ancora meglio durante questo suo cambiamento in atto, poichè questa fuga (e varie cose che succederanno nei capitoli successivi) gli faranno prender sempre più coscienza di quanto voglia Brittany e, sorprendentemente, quanto forte stia crescendo il sentimento che prova verso di lei. Scopriremo meglio il suo passato, capendo cosa lo porterà a diventare quello che è. O meglio, quello che era prima di Brittany.  Avremo anche altre voci narranti, che però non saranno "importanti" nè resteranno per tutto il romanzo, come Jake e Brittany, però ci permetteranno di ampliare la nostra visione delle cose e capir meglio alcuni comportamenti che leggeremo. No, non voglio anticiparvi chi.  La trama è intensa e molto forte. Ci sono scene in cui Nicole non si è risparmiata per nulla e le ho adorate! Questo per avvertirvi di esser caut*, perchè sicuramente non saranno per tutt* (nonostante sappiate che è un Dark Romance e certa violenza sapete già che farà parte della storia). 
Una serie di colpi di scena incredibili ed imprevedibili, che portano alla chiusura di una storia molto forte e coraggiosa, che apprezzo ancora di più (nel complesso) se penso che è stato il primo lancio in questo mondo da parte di una giovanissima autrice.  Oltre la straordinaria fantasia e le idee stupende che usa per i suoi romanzi, la stiamo vedendo crescere ed imparare sempre meglio a scrivere (cosa da non dare assolutamente per scontata).  Poche note stonate che mi hanno lasciato l'amaro in bocca, ma parlandone con l'autrice (che è stata, come sempre, molto aperta alle opinioni personali) mi è stato più chiaro il suo intento e, nonostante in alcune parti sarebbe stato più apprezzato un capitolo in più, il senso generale si può intuire. Anzi, sono curiosa di scoprire altri pareri e veder se sono solo io ad aver avuto queste sensazioni!  Il finale...eh, sapete che è difficilissimo accontentarmi! Infatti non è nelle mie corde. Nicole lo sapeva e quindi era "preparata" a questa mia critica, ma (alla fin fine) la storia è sua, chi sono io per pretendere una strada invece che un'altra?!  Gusto personale a parte, che comunque influisce nel giudizio ma spero di avervi chiarito che è personale e non qualcosa di peggiore (oh, si, ce ne sono parecchi che vanno oltre!): una lettura che consiglierei sicuramente.  A parte tutto, se siete arrivat* fino qui, non potete fermarvi proprio ora!  Nonostante i romance non siano proprio il mio genere, sono sicura che leggerò altro di suo per scoprire in quale altra storia ci porterà. Sperando che ci siano tinte molto Dark, che a me non dispiacciono per nulla. Grazie per questo viaggio e per avermi permesso di leggere tutta la trilogia in anteprima negli anni! 
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pangeanews · 4 years
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“La droga uccide tutto. È un grido che lanciano gli adolescenti, è la risposta a una società che si fonda sul risultato e che si dimentica delle persone”. Dialogo con Angela Iantosca
Delle droghe non se ne parla ancora abbastanza. È un argomento scomodo, perché non riguarda solo i tossicodipendenti. Quello dell’uso delle droghe – e della morte che ne deriva – è un problema sociale, familiare e culturale. È un problema che riguarda tutti. In tempo Covid19 guardiamo con scandalo agli adolescenti e ai minorenni che si assembrano e non indossano la mascherina dentro agli chalet e ai locali. Scriviamo post sui social per ergerci a giudici integerrimi, ricordando le buone pratiche secondo i decreti emanati in tempo di emergenza sanitaria. Eppure non ci indigniamo a sufficienza davanti a fiumi di alcool, a minorenni che, in evidente stato di alterazione, uniscono ai superalcolici sostanze stupefacenti con conseguenze gravissime per il loro stato di salute. E i loro modelli sono spesso gli adulti. L’alcol è una droga, come lo sono le nuove sostanze psicotrope, l’eroina, la cocaina, l’hashish e la marijuana. Spesso si chiudono gli occhi, si preferisce la nenia della compassione al coraggio della responsabilità.
La giornalista Angela Iantosca, direttrice del Festival InDipendenze e autrice del libro In trincea per amore (Paoline, 2020), ci racconta senza veli il dolore di chi ha aperto la porta della dipendenza. Lo fa in modo duro, secco, raccogliendo le testimonianze di madri, padri, fratelli e sorelle che hanno vissuto sulla loro pelle l’inferno delle droghe e il percorso di recupero delle comunità.
Un libro che ha un titolo forte, che evoca l’impegno di chi combatte “contro” e “per” qualcosa. In questo caso “contro” l’uso delle droghe e “per” una vita d’amore. Come nasce il tuo lavoro di “trincea”?
Nasce nel 2015, quando entrai per la prima volta nella Comunità di San Patrignano a realizzare un servizio per “La Vita in Diretta” (RaiUno). Dovevo raccontare la storia di Roberta, una ragazza del Sanpa Hair (il parrucchiere della comunità), quasi pronta per uscire dalla comunità: sarebbe tornata alla sua nuova vita di lì a qualche mese. Da quel momento ho sentito l’urgenza di raccontare tutti quei ragazzi: le loro voci, i silenzi, le paure, le ragioni, le scelte sbagliate, la voglia di riscatto, la ricerca di verità, la necessità di fare pace con il tempo perduto, di guardarsi allo specchio, di accettarsi e provare a ricominciare. Grazie alla comunità, ho avuto la possibilità di raccogliere molte storie, trascorrendo con i ragazzi il Natale, il capodanno, dormendo all’interno della struttura che si trova a Rimini e che è stata fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli. Una esperienza molto forte, che continua tuttora, e che ha portato alla pubblicazione di Una sottile linea bianca (Perrone, 2018) e alla collaborazione con la comunità al progetto di prevenzione alle tossicodipendenze, il We Free, che ogni anno fa incontrare a San Patrignano circa 50mila ragazzi delle scuole italiane. Nel mio caso, abbiamo trasformato le storie contenute nel libro in monologhi teatrali che porto in scena con i ragazzi in percorso o con alcuni già usciti. Dal 2018, anno appunto della pubblicazione del libro, è cominciato un altro percorso che mi ha portato poi a In trincea per amore.
E dopo il 2018 cosa è accaduto?
Alle mie presentazioni si presentavano familiari di ragazzi tossicodipendenti che mi dicevano “parla di noi”. Quasi un mantra. Un richiamo fortissimo al quale inizialmente mi sono sottratta per diverse ragioni: in primis l’estrema delicatezza della materia da trattare, e poi la responsabilità di raccontare una ferita sanguinante, di entrare nel dolore più profondo di una famiglia, sapendo di doverlo fare con tatto, ma anche con quella forza necessaria per rendere un servizio utile a chi racconta e a chi legge. Alla fine, ho ceduto e ho cominciato a scrivere, scegliendo di essere autentica come sempre nella narrazione e anche nella scelta stilistica. È accaduto quando un padre, a Ravenna, durante un pomeriggio di prevenzione, mentre raccontava la storia di suo figlio eroinomane è scoppiato in lacrime dicendo “ho fatto cose che un padre non dovrebbe mai fare”. Di fronte a quelle lacrime ho deciso che era giunto il momento di raccontare la tossicodipendenza dal loro punto di vista, dalla prospettiva di un padre, di una madre, di un fratello, di una sorella, di uno zio, di un nonno ed anche di un figlio. Sapevo che sarebbe stato coinvolgente e doloroso buttarmi in questa nuova avventura, ma ciò che mi è stato restituito in cambio è stata un’onda di amore infinito.
Nel libro, ricco di testimonianze dirette di giovani figli e genitori, si evince chiaramente che il dramma della tossicodipendenza riguarda tutti: è un problema sociale, culturale, e solo alla fine familiare, quando un membro diventa dipendente dalle sostanze. Che cosa, secondo te, non si è ancora capito a sufficienza della tossicodipendenza?
È un problema familiare, sociale, culturale. È un problema che riguarda tutti, anche quando pensiamo non ci riguardi. È la manifestazione ultima di problemi che hanno radici profonde, di irrisolti, di dipendenze affettive. È un grido che lanciano gli adolescenti che non sanno in che altro modo farsi sentire. È la loro risposta a ciò che non c’è, a ciò che non trovano dentro di sé e nella famiglia. È la loro soluzione alla necessità di omologarsi, di far parte del gruppo, alla noia, all’avidità, all’invidia, alla curiosità. È la risposta a una società che si fonda sul risultato e che si dimentica di guardare alle persone. Mi capita spesso di sentire gente che tende a voler trovare un’etichetta politica per chi si occupa di queste tematiche, come me. La mia risposta è sempre la stessa: la droga non è un problema partitico o politico e le mie battaglie non hanno nessun colore, nessuna bandiera che le sostenga. Ciò che le muove è l’interesse che nutro per l’essere umano. Mi lasciano senza fiato dichiarazione provenienti da più parti sulla possibile legalizzazione, addirittura della cocaina (qualcuno è arrivato a dichiarare proprio questo): perché accade? Perché si ragiona sui numeri, sui soldi e non sulle persone. Oltre che su una cattiva informazione e su una assenza totale di analisi critica. Mi spiego: vogliamo domandarci cosa significherebbe legalizzare la cocaina? Ci si domanda quali sono gli effetti di questa droga sulle persone? Quando si parla della legalizzazione della cannabis per far cassa, si parla con cognizione di causa? Perché non si specifica che la legalizzazione interesserebbe sempre e comunque i maggiorenni e che i maggiori fruitori sono i minorenni? E ancora: sapete quali sono i danni della cannabis sul cervello, soprattutto sul cervello degli adolescenti? Sapete che si assottiglia la corteccia cerebrale? Sapete che fa emergere il bipolarismo latente? E che brucia i neuroni? E che non ci si dovrebbe mettere alla guida di nessun mezzo nelle tre ore successive all’assunzione perché aumenta del 50% la possibilità di fare incidenti? La droga dovrebbe preoccuparci e dovremmo occuparcene, perché quello che produce è omologazione, assenza di emozioni, perdita della memoria, danni fisici, morte, distruzione non solo di chi ne fa uso, ma di tutto ciò che ruota intorno a chi la usa.
Angela Iantosca, giornalista, scrittrice, impegnata nella prevenzione
Purtroppo tantissimi ragazzi si nascondono dietro al miraggio che vuole una distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere…
Ogni droga produce conseguenze diverse e non ci sono differenze tra droghe leggere e pesanti. Questa è una distinzione che serve da un punto di vista legislativo, ma di fatto la droga è droga. Non c’è quella migliore e quella peggiore. La droga fa male e chi la “promuove” davvero ha a cuore la vita delle persone? Ma soprattutto: perché lo Stato dovrebbe produrre malati? Credo sia un errore già fatto con il gioco d’azzardo: per far cassa lo Stato ha prodotto un milione di ludopati. Per questo dico sempre ai ragazzi quando li incontro nelle scuole (e con me lo dicono anche gli ex tossicodipendenti): “Non apritela quella porta”. Chi entra in contatto con le sostanze dovrà farci i conti tutta la vita, dimenticando il sapore che hanno le cose buone, quelle conquistate con forza di volontà, con determinazione, con il cuore pulito, la mente lucida, in piena coscienza. Le droghe spengono tutto ciò che siamo o potremmo essere. Ascoltate chi ci è passato da quell’inferno, ascoltate i sogni bruciati, le carriere finite, le doti distrutte, le famiglie rovinate. Andate nelle comunità, ascoltate e osservate. Informatevi sulle Nuove Sostanze Psicoattive e ciò che danneggiano: dovete sapere che sono realizzate in laboratori che non si conoscono, nei quali si assemblano sostanze che non si conoscono e la cui assunzione può causare la morte perché i medici non sanno cosa fare di fronte a chi le assume e finisce in ospedale. Bisogna dire che chi le spaccia usa i giovani come cavie per fare cassa e che modifica il contenuto di queste sostanze in base ai vuoti degli adolescenti, costruendo prodotti ad hoc. È questo che vogliamo per i nostri figli? Ecco forse non ci si indigna abbastanza, non se ne parla abbastanza, non si crede abbastanza che la droga sia come la peste.
«È una malattia la droga, di fronte alla quale non si può far finta di niente. Perché ti prosciuga. Ti rende tossico a tua volta. E ti fa anche ammalare». Con queste parole metti in luce come l’uso della droga da parte di un figlio possa a sua volta fare ammalare genitori e fratelli: ictus, aneurismi, infarti e tumori. Qualcuno non ce la fa. Quanto logora e consuma un certo tipo di dolore?
Paura, rabbia, senso di colpa, dolore, lacrime, attese infinite, carcere, violenza, sangue, minacce, denunce. La droga porta con sé tutto questo. E chi vive a contatto con chi si droga combatte ogni giorno una battaglia durissima, fatta di tante sconfitte, di distruzione fisica, di pianti senza fine, di urla, di disperazione. Di dipendenza dalla dipendenza. E anche di attesa della morte. Tanti genitori me lo hanno detto: “Speravo che mio figlio morisse”. Per spegnere tutto, per porre fine alla tossicodipendenza dalla tossicodipendenza, per allentare la tensione, per sentire finalmente la pace, per sapere dove è il figlio. Perché in quel dolore senza fine meglio saperlo in pace in una bara che in giro a rubare, spacciare, a morire giorno per giorno. Perché attendere la morte è sfiancante, soprattutto quando si tratta di tuo figlio.
Il tossicodipendente mente, dice bugie, sfugge alla realtà. Sa muovere ricatti emotivi. Qualche genitore, nella sua infinita battaglia, afferma che il figlio «gliela fa continuamente sotto il naso». Quali atteggiamenti non bisogna mai sottovalutare?
Il cambio di umore, gli strani appetiti, l’inappetenza, la pelle grigia, gli orari che cambiano, i risultati scolastici, le frequentazioni. Ma al primo posto è fondamentale assumersi la responsabilità di voler vedere. La droga, spesso, è l’ultimo male a cui si pensa.
Il tuo lavoro si avvale anche delle indicazioni e delle testimonianze di operatori specializzati, responsabili terapeutici e referenti di Associazioni di recupero, perché il messaggio che è necessario divulgare è che dal tunnel della droga si può uscire. Qual è il primo passo da fare?
Ho scritto questo libro per far sapere a più persone possibili che dalla droga si può uscire, ma che è importante chiedere aiuto. Che le associazioni esistono, sono sul territorio nazionale e sono delle “zattere in mezzo alla disperazione”. Si tratta di associazioni dove operano genitori di ragazzi in percorso, genitori di ragazzi usciti dalla comunità, ex tossicodipendenti. Sono luoghi in cui si organizzano incontri e si danno indicazioni precise su come comportarsi con chi si droga. Di solito sono i familiari che contattano le associazioni, passaggio necessario per arrivare poi in comunità. Quando arrivano sono trascorsi anche dieci anni dall’inizio della tossicodipendenza del familiare. Sono smarriti, increduli, incapaci di prendere decisioni, fragili e hanno bisogno di qualcuno che li indirizzi e che spieghi quali siano i passi da compiere: portare il ragazzo, monitorarlo, non lasciarlo mai solo, portarlo una volta a settimana a fare le analisi al Serd per dimostrare che ha smesso di drogarsi, togliere il cellulare, il motorino, la paghetta. Solo con la determinazione e la durezza si può sperare di ottenere qualcosa. Anche se la conditio sine qua non è sempre la partecipazione attiva del tossicodipendente, è fondamentale il ruolo dei familiari, in primis dei genitori che devono mostrarsi duri e compatti, coesi, determinati e soprattutto pronti anche a denunciare il figlio o a cacciarlo fuori casa, se le regole non saranno rispettate. Quindi il primo passo da fare è affidarsi a chi conosce bene i meccanismi mentali dei tossicodipendenti e le fragilità dei familiari.
C’è un aspetto, però, da considerare: «Il troppo amore può essere controproducente». Quale errore bisogna evitare, perché l’amore stesso si trasformi davvero in un gesto efficace e di aiuto per un tossicodipendente?
I no sono fondamentali nella crescita dei figli. Non solo: un errore che spesso si commette è creare una relazione amicale con i propri figli. Cosa sbagliatissima che porta i giovani a non rispettare gli adulti e le loro regole. Le regole sono espressione di amore, non di “odio” verso i figli. E non importa se loro non lo capiscono. Sono adolescenti, sono giovani, è normale che si vogliano ribellare al sistema. Non abbiate paura di essere risoluti. Soprattutto se si ha un figlio tossicodipendente: sanno annusare la debolezza, sono manipolatori e violenti. Chi ha a che fare con loro non deve arretrare.
Antonio Boschini, responsabile terapeutico della Comunità di San Patrignano, afferma che nove persone su dieci che arrivano nel centro fanno uso smodato di sostanze con l’unico fine di sballarsi. Il fine è la ricerca di un divertimento che senza droghe sembra non poterci essere. Pensiamo anche al caso recente di Terni, che ha visto morire per uso di metadone due giovani adolescenti. Una mancanza nel percorso educativo familiare, un bombardamento mediatico fuorviante nei modelli proposti o entrambe le cose?
Manca la famiglia, mancano punti di riferimento, manca un metodo, mancano delle regole, mancano i no, manca una scuola attenta e preparata. In compenso c’è disinformazione, ci sono serie tv violente, serie tv che parlano di droga e che spiegano anche come venderla on line o sul deep web. Serie accessibili a tutti e che invece richiederebbero accanto qualcuno di preparato in grado di spiegare, indirizzare e far sviluppare nei giovani un senso critico. Quando sento di episodi tragici che riguardano ragazzini giovanissimi che erano in giro di notte mi domando sempre: “E la famiglia dove era?”. È inutile poi piangere e disperarsi, riempire i giornali per un paio di giorni, quando anche l’informazione è la prima responsabile di una informazione parziale. Sono temi sui quali bisogna tenere i fari accesi sempre, non solo quando c’è qualche sequestro o muore qualcuno o quando ci sono delle ricorrenze. Il 26 giugno, giornata internazionale della lotta alla droga, non si è parlato da nessuna parte del tema perché “troppo pesante”. È inutile cercare i responsabili o un capro espiatorio. Tutti dobbiamo considerarci responsabili di quelle morti: anche chi sapeva e non ha detto niente, chi ha pensato che fosse meglio farsi i fatti propri, chi ha pensato che è meglio non immischiarsi con certe situazioni. Non ci si può deresponsabilizzare. Essere società civile significa anche questo.
E l’alcol, che a tutti gli effetti è una droga, come si colloca dentro il discorso delle dipendenze?
L’alcol arriva prima della droga. Non se ne parla abbastanza, proprio perché è sdoganato da un punto di vista culturale e anche statale. Ma dall’Istituto Superiore di Sanità continuano a ripeterlo: prima della canna arriva l’alcol e non c’è bisogno di andare nelle periferie per vedere giovanissimi ubriachi in giro di notte che schiamazzano. Ancora una volta mi domando: la famiglia dov’è? La risposta è implicita nella domanda. Stessa domanda che mi sono posta quando un ragazzino di terza media mi ha detto che prima di andare a scuola beve la Redbull perché così si sente tranquillo. O quando una ragazzina di 12 anni mi ha confessato che la madre le permette di bere senza limiti a casa, purché non lo faccia fuori. Ancora una volta: di chi è la colpa?
La scuola fa già molto grazie ai percorsi didattici dedicati alla cultura della legalità. Secondo te a quale età bisognerebbe cominciare a parlarne?
Dalle scuole medie e in forma di gioco anche dalle elementari. I miei progetti di prevenzione alle tossicodipendenze li organizzo per le seconde e terze medie: durano circa due mesi e comprendono anche una visita alla comunità di recupero. È importante che i ragazzi sappiano, perché possano essere davvero liberi di scegliere. È importante che abbiano tutte le informazioni corrette.
Lasciamoci con un messaggio di speranza…
Ci sono migliaia di famiglie che hanno attraversato l’inferno delle droghe e che hanno trasformato il dolore in un’occasione incredibile di crescita, di messa in discussione, di riscoperta di ciò che conta davvero, e anche di amore. Sono tutte famiglie che non dimenticano ciò che hanno vissuto o stanno vivendo, ma che hanno permesso a se stessi di attraversare una porta difficile da varcare, di assumersi la responsabilità delle fragilità dei figli, per scoprirsi alla fine migliori e aggrappati alla vita come solo le persone che hanno rischiato di perderla sanno fare.
Alessandra Angelucci
*In copertina: Frans Hals, “Giovane ragazzo con teschio”, 1626, particolare
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falcemartello · 5 years
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I gretini di oggi sono peggio dei cretini di ieri
Ogni volta che vedo i giovani protestare, sfilare e urlare slogan idioti che farebbero arrossire anche l’ultimo comunista della storia mi vengono in mente le sante parole di Goethe: “I giovani sono insopportabili e se li sopportiamo è solo perché ci ricordiamo di essere stati anche noi giovani”. È vero e, tuttavia, ricordo benissimo che io da ragazzo cazzate come quelle di Greta ed i suoi seguaci non le ho mai dette. Avrò detto certamente altre scemenze ma non quelle sull’esistenza di un mondo perfetto fatto a misura d’uomo e di giovani viziati. Ecco perché l’integrazione che Benedetto Croce faceva della frase del grande poeta tedesco è da manuale: “I giovani devono imparare a non dar fastidio e devono diventare adulti il più presto possibile”. Purtroppo, è più facile a dirsi che a farsi perché oggi si sa quando l’adolescenza inizia ma non si sa quando finisce e così ci ritroviamo con uomini anziani e donne mature che credono di essere l’incarnazione del fanciullino di Giovanni Pascoli.
Qual è il difetto costitutivo dei giovani? Sono privi di esperienza ma pretendono di giudicare il mondo non solo come se lo conoscessero ma anche come se ne fossero i padroni. Cosa che fa sbellicare gli dèi. Questo mondo è brutto, sporco e cattivo e loro lo vogliono bello, pulito e buono. Madonna, una noia senza fine e un moralismo così pedante che ucciderebbe un elefante. Il mondo, amava dire Giordano Bruno, è fatto di pazzi e di savi e se tutti fossero pazzi o tutti fossero savi non sarebbe il luogo interessante che è che sta bene così com’è proprio perché è tempestoso e pericoloso e nei pericoli ognuno deve attenersi al suo dovere. L’idea di voler cambiare il mondo è sempre stata una fissazione dei cretini che con la scusa di renderlo migliore lo hanno reso peggiore e hanno fregato la povera gente. Ma fino a quando si tratta del mondo umano, beh, qualcosa si può forse ancora fare. Ma i ragazzi di oggi – come cantava quella lagna di Luis Miguel – non si accontentano della natura umana e pretendono di cambiare anche la natura della natura come se ne avessero scoperto nientemeno che la pietra filosofale.
Purtroppo, non esistono più i cretini di una volta. Oggi ci sono i gretini. La differenza sta nel fatto che i cretini tutto sommato erano meno presuntuosi: i sessantottini ritenevano d’essere dei padreterni in terra e volevano l’uomo nuovo fatto a loro immagine e somiglianza. Quando i sessantottini, durante il maggio francese, sfilarono per le vie di Parigi, Emil Cioran si affacciò dalla finestrella del sottotetto dove sopravviveva e gridò profetico: “Finirete tutti a fare i notai”.
I gretini sono boriosi e saccenti e credono d’essere direttamente il padreterno e s’intestano il potere di creare una nuova natura immutabile, senza cambiamenti, senza catastrofi, senza caldo e senza freddo. Insomma, il classico paradiso terrestre della santa religione e della sacra pubblicità che rende Vasco Rossi di Vita spericolata – “voglio una vita come Steve McQueen” – una specie di Zarathustra di Zocca.
Alla base di ogni paradiso vi è un ideale edonistico. L’idea che il mondo sarebbe un luogo così bello e piacevole se non ci fosse qualcosa – la natura matrigna, la morte, il male – che ogni tanto va storto e ci impedisce di spassarcela tutti i giorni come vorremmo mangiando i frutti a portata di mano sugli alberi rigogliosi e felici. Ma, ecco l’idea geniale: il male si può eliminare perché è il frutto di alcuni cattivoni che ci rovinano la vita piacevole: il Capitalismo (sempre lui), gli Americani (sempre cattivi), le Industrie (sempre inquinanti). Basta eliminare queste cose e il mondo ritornerà ad essere come per magia, ma questa volta addirittura su base scientifica, il paradiso terrestre che è sempre stato o, se più vi piace, la bellissima isola dei beati dove nei fiumi scorrono il miele e il latte e la gazzella va a spasso con il leone.
L’idea dei gretini è vecchia come il cucco ma ad ogni passaggio generazionale rispunta: noi sappiamo ciò che voi non sapete e abbiamo capito ciò che voi non capite e questo sapere ci rende buoni e superiori e ciò che vogliamo, superare i conflitti, il male, la libertà, è per il bene dell’umanità. Il fanatico convincimento d’aver capito come si elimina il male è la porta d’ingresso dell’inferno.
Ci vuole pazienza, molta pazienza.
Giancristiano Desiderio, 24 settembre 2019
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untouchablw · 4 years
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Quando avevo 7 anni, mio padre mi ha detto una cosa che sarà il motivo per cui morirò da solo. E anche felicemente.
A 7 anni non sapevo cosa fosse la vita. Come cazzo facevo a sapere cosa fosse l’esistenza? Decido di chiederlo a papà. Sa aggiustare il computer, lui lo saprà.
“Papà, qual è il significato della vita? Perché siamo qui? Che cazzo è?”
Papà ama i suoi figli, quindi vuole spiegarlo in un modo comprensibile. Purtroppo suo figlio è un testa di cazzo. Quindi deve spiegarlo in un modo comprensibile a un testa di cazzo, e, accidentalmente, lo fa alla perfezione. E mi è rimasto fino ad ora.
Fa: “Ok, amico. Immagina che la mia vita, la tua vita, quella di ognuno di noi, che ogni vita sia un puzzle individuale. Noi viviamo e aggiungiamo un pezzo alla volta al puzzle, con ogni esperienza e lezione che affrontiamo, fino a creare l’immagine perfetta. Ma il fatto è che ognuno ha perso la scatola del puzzle. Quindi non sappiamo come sarà l’immagine finale, stiamo tirando a indovinare, cazzo.
Quindi, in questo caso, il modo migliore per fare il puzzle è cominciare dall’esterno, i lati e i quattro angoli:
La famiglia.
Gli amici.
Gli hobby e gli interessi.
Il lavoro.
Ovviamente, nel corso della nostra vita cambieranno. Ti farai dei nuovi amici e ne perderai altri. Devi spostarlo un po’. A volte hai un lavoro e un hobby, e devi decidere se vuoi più tempo libero o più lavoro. A volte un membro della famiglia muore e lascia un vuoto. Dovrai riempire quel vuoto altrimenti resterai incompleto.”
Questo aveva perfettamente senso per me, perché avevo 7 anni, e adoravo i puzzle.
“Una volta creati i bordi, qual è la parte centrale? L’immagine che ne verrà fuori?”
“Quello è il pezzo del partner.
Tu e questa persona che non hai mai visto prima, che spunta fuori dal nulla, riempie la tua vita, ti completa. E ti fa sentire realizzato per la prima volta in vita tua, come tua madre fece per me.”
Nel mio cervello di 7 anni si registrò così:
Se non sei con qualcuno, sei difettoso.
Se non sei con qualcuno, sei incompleto.
Se non sei con qualcuno, non sei integro.
E non è qualcosa che mi ha fatto provare mio padre, ma è ciò che la nostra società proietta ai bambini nati negli ultimi 40 anni.
C’entra sempre l’amore.
Il divorzio, cosa ordinaria, niente di male in quello. Quando cresci e i genitori dei tuoi amici divorziano, ti dicono di non parlarne con loro, perché è un tabù, e il motivo è che ogni relazione sembra perfetta, perché nessuno vuole ammettere che non sappiamo cosa stiamo facendo. E, se cresci i figli in quel modo, dove tutto porta all’amore e sembra perfetto, quando i fottuti 18 anni e diventano adulti per la prima volta, cercano ancora di essere adulti. Alcuni prenderanno il pezzo sbagliato, e cercheranno di incastrarcelo comunque, negando che non ci stia. “Sposto questo. Questo non mi serve. La sua opinione no, fuori la mamma. Perché no?”
Mettiamo a forza questa persona nella nostra vita, perché preferiamo avere qualcosa piuttosto che niente.
Cinque anni dopo, guardate il puzzle che non riconoscete: “Come cazzo c’è finita qui questa stronza?”
Forse incontrate la persona perfetta. Magari ci uscite. Vi fa ridere. La fate ridere. Ha una risata stupida, ma quanto cazzo vi piace.
Vi piacciono le stesse cose. Accettate le vostre stravaganze. È perfetto. Oddio, vi ha completati.
... Per tre mesi.
Ogni relazione è perfetta per tre mesi.
Perché, dopo tre mesi, capite che nessuno è il pezzo di un puzzle. Ognuno al mondo è tanto complesso, intricato e singolare quanto voi, e anche loro hanno passato 20 anni della loro vita a fare il proprio puzzle. Come voi avete fatto con il vostro. Non potete aspettarvi che lascino tutto ciò che hanno ottenuto per venire nel vostro. Anche voi vi incazzereste se vi chiedessero di sacrificare tutto per entrare nel loro. Ma ora, siccome vi piacete, e siete interessati l’uno all’altro dovete fare un puzzle insieme. E sappiamo tutti quanto cazzo è irritante.
Ma lo fate, perché vi amate e siete interessati, e forse per due anni andrà bene. Ma il tempo non è amico del successo. Puoi passare 5 anni o più con qualcuno e solo allora, dopo tutto il divertimento, guardare il puzzle e notare che state lavorando su immagini diverse, e capire che volete cose diverse. E, in quel momento, dovrete porvi delle domande molto difficili.
1. Ammetto che questi 5 anni della mia vita sono stati sprecati?
2. Ho intenzione di sprecare il resto della mia vita?
Il 55% dei matrimoni finisce con un divorzio.
Il 99% delle relazioni che iniziano prima dei 30 anni finiscono.
Se queste fossero le statistiche per un intervento, nessuno rischierebbe.
Ma siccome è l’amore ed è stupido, ci sdraiamo sul tavolo operatorio: “Forse stavolta non morirò dentro”.
La mia generazione è così ossessionata con l’iniziare il resto della loro vita che sono pronti a rinunciare a quella che stanno vivendo.
Abbiamo una visione romanzata del romanticismo e questo è cancerogeno.
La gente è innamorata dell’idea dell’amore e non della persona con cui sta.
Non dico che è impossibile trovare l’amore. Dico solo che, statisticamente... voi non l’avete trovato.
Nel profondo del mio cuore, io credo che l’80% delle relazioni nel mondo siano cazzate.
Un mucchio di persone che non hanno imparato a stare da soli e, di conseguenza, ad amare se stessi, quindi hanno assunto qualcun altro che lo faccia.
Dimostratemi che mi sbaglio.
Volete delle prove?
Guardate come la gente cerca consiglio.
“Qual è il segreto di una relazione felice? Per una lunga e fruttuosa relazione?”
Eccolo, venite tutti qui.
Un cazzo di niente.
Dovrebbe essere facile come respirare. Dovreste essere un tutt’uno con l’altro.
Se diventa difficile, uscitene, perché ci sono 7,5 miliardi di persone sul pianeta. Ne troverete un’altra.
I compromessi sono la cosa più scema mai sentita in vita mia, perché li ho fatti.
Quando sono in una relazione, faccio dei compromessi e cambio chi sono. E poi, per qualche motivo, odio me stesso. Perché? Perché non sono io. Sono una fottuta persona artificiale. Ma ora basta.
Ora sono del parere che, se non ami al 100% chi sono fanculo stronzo di merda.
Perché se non ami al 100% chi sono, allora non ami me. Ami l’idea di me che hai creato nella tua testa. E non è colpa mia se non sono all’altezza delle aspettative. Devi amare il buono e la merda, perché sono fatto al 90% di merda. Devi amare il 100% di me, perché è quello a rendermi chi sono. Se non mi ami al 100% ci sono altre 7,5 miliardi di persone al mondo. Vanne a cercare una e vedi se la ami al 100% e se riesce a sopportare la tua fottuta mamma.
Perché io amerò il 100% di te, davvero, anche le cose che mi irritano. Le amerò perché è ciò che ti rende chi sei, è ciò che sei per me e anche tu devi amare le mie peculiarità.
Papà dice che il centro del puzzle dovrebbe essere il partner. Perché sono felice quando non c’è? Papà si era sbagliato su una cosa, nel suo modo adorabile. Dice che il centro del puzzle è il partner, ma non ha proprio ragione. È la felicità, qualcosa che ti rende felice. Mettilo al centro della tua vita e tutto il resto si incastrerà perfettamente. È solo che per mio padre il suo pezzo della felicità e quello del partner sono lo stesso. Il pezzo è mia madre.
Ma questa è la verità per alcune persone, non per tutti.
Imparate ad amare voi stessi prima di permettere ad altri di amarvi.
Non c’è niente di male nell’essere single, nel prendere del tempo per voi stessi per scoprire chi siete prima di entrare nel mondo delle relazioni di coppia. Come potete offrire voi stessi se non sapete chi siete? Non c’è niente di male nell’essere un po’ egoisti, perché avrete il resto della vostra vita per essere altruisti. Se amate voi stessi solo al 20%, potrebbe arrivare qualcuno che vi ama al 30%. E voi: “Wow, è tantissimo!”. Non è nemmeno la metà. Se invece vi amate al 100%, allora chi si innamora di voi dovrà fare di tutto e di più per farvi sentire speciali. È qualcosa che ci meritiamo tutti e non significa che non siete felici. Potete trovare la felicità in 100 persone diverse e senza fare i porci. Io trovo la felicità in centinaia di persone, ogni giorno, in cento cose diverse. Così, invece di un pezzo grande nel centro del puzzle, sono tanti pezzettini. Se uno va via, è triste, ma posso sostituirlo. Ma ora ho paura, perché in questo momento posso dire di non essere mai stato tanto felice. Il mio puzzle è completo, e non è un bene, perché non sarà per sempre. Ho 26 anni, è troppo presto. Ma ho paura di avere il puzzle perfetto, perché mi renderà più egoista. E se la ragazza perfetta arriva, io: “Non toccare il mio cazzo di puzzle!”
Se non vi sentite a vostro agio a farvi le domande che vi ho fatto io è perché siete spaventati dalle risposte. La cosa peggiore che potete fare è trascorrere la vostra vita con l’essere umano sbagliato.
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Le nocche spaccate, i singhiozzi nascosti nel cuscino e le lacrime che offuscano la vista, così tanto da non poter rispondere alla sua buonanotte... Penso di meritarmi il premio come peggior fidanzata sapete? Non ne combino una giusta con lei... E si... Stasera un bel vaffanculo me lo sarei meritato... Ma forse va bene così... Tanto ormai lo sanno tutti che la gente si stufa facilmente di me... E scommetto che lei vorrà altro... Anzi, lo merita proprio e poi il bello è che ne sono pienamente consapevole. Lei è bella, intelligente e fantastica... Io sono... Semplicemente io... Oggi ne ho avuto la conferma... Ti posso proteggere da tutti, tranne che da me stessa... Perciò scusami se sono così, non ti capisco e poi ti ferisco... Sono fatta dannatamente male, ma sono il risultato di ciò che mi è stato fatto, tu hai paura del futuro ma non sai che in te ho visto la mia vita felice, tu mi parli della specializzazione che vuoi fare e io non so neanche in quale università andare, tu una Dea e io una ragazza che ha scelto di non inseguire i propri sogni. Siamo così diverse io e te, così tanto che quando ci amiamo il mondo sembra essere migliore... Sarò sbagliata, sarò una stronza, non sarò mai alla tua altezza... Però sarò sempre onesta con te... E quindi guardami negli occhi? Cosa vedi? Io ci vedo amore e paura... Amore per te e paura di perderti. Quello che provo per te non è normale per una ragazza della mia età... Però contengo il fuoco per paura di allontanarti. La amo da impazzire... Però... Ne sbaglio così tante con lei... Che queste lacrime me le sono meritate... Per me l'importante è che sia felice lei... Poi io... Come sto sto... Su questo... Posso far finta di niente. Voglio solo vederla sorridere... Non solo con le labbra, ma con gli occhi. E comunque 3 cose giuste con lei le ho fatte... La prima è stato un regalo, un agenda con una normale dedica all'interno... Ma in realtà su quei fogli c'era il mio cuore... Solo per lei, ormai è suo... E quel che ne farà, non mi importa... Sono pronta per le conseguenze... La seconda cosa giusta è stata dedicarle una canzone... E l'ultima... È stata farla sentire amata tramite i miei sguardi...
Ah e un ultima cosa, se tu andassi a studiare lontano... E ci fosse la facoltà che mi piacerebbe fare da quelle parti... E se ipoteticamente fossimo ancora insieme... Come lo vedi il fatto di vivere insieme?...
@il-nostro-amore-segreto
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