Tumgik
#sento già la depressione
volumesilenzioso · 9 months
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ieri ho messo un paio di jeans skinny per la prima volta dopo diverso tempo. nell’ultimo mese ho perso 4 kg partendo già da un sottopeso grave e ieri, per la prima volta, quando mi sono vista allo specchio con quei jeans ho pensato “faccio impressione”, tanto che per un attimo ho pensato di mettere una delle mie solite tute larghe per nascondermi. ieri, quando mi sono guardata allo specchio, ho capito di aver toccato di nuovo il fondo, ma questa volta non so neanche come abbia fatto ad arrivare così in basso. poi sono andata dalla nutrizionista, mi ha fatto l’esame per calcolare la massa grassa, la massa magra ecc e mi ha mostrato quanto il mio corpo stia soffrendo per come lo sto trattando da diversi anni. ieri ho pensato che vorrei poter tornare indietro nel tempo, così da poter tornare al 2018 ed evitare di ripetere gli stessi errori che ho commesso negli anni successivi. ora si sono mischiate troppe cose e non so come affrontarle tutte, quindi la mia testa mi porta a pensare che forse sarebbe più semplice morire, così da evitare tutto questo processo che sarà sicuramente pieno di alti e bassi solo per poi vivere una vita normale che sarà comunque una merda. depressione, ansia generalizzata, anoressia nervosa e disturbo borderline di personalità: questo è tutto quello che vedo quando mi guardo allo specchio, praticamente mi identifico nelle mie malattie, non vedo le qualità che altre persone vedono in me, vedo solo tutte queste cose che da tempo mi mettono i bastoni fra le ruote. ieri ho deciso che voglio provarci, voglio provare a stare bene. con la psichiatra non è andata benissimo, probabilmente mi troverò male anche con lo psicologo, ma devo stringere i denti e andare avanti, questa volta non devo mollare, non posso sempre darla vinta alla parte irrazionale della mia testa, perché quella è la parte di me che vorrebbe soltanto vedermi morta. devo cercare di fidarmi e affidarmi, sarà difficile, ma sento di doverci provare davvero
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muffa21 · 28 days
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Ho avuto un'infanzia meravigliosa. Con i monti e i torrenti e gli alberi e le lucertole assolati del mio Paesello. E Dio che ci sorvegliava, sonnacchioso dentro ai tabernacoli delle chiese, insieme alle vecchiette con la bocca piena di caramelle Rossana e canti sacri nella luce colorata che filtrava attraverso le vetrate della Matrice.
A undici anni, il declino. Abusato il primo anno di scuole medie da un compagno di classe pluri-ripetente. Mi costringeva a masturbarlo di fronte a tutti. Nessuno mosse un dito. Temo che qualche professoressa sapesse; ma meglio non andarsi a infilare in faccende più grandi di sé... soprattutto se ti ritrovi disgraziatamente a buscarti il pane nel quartiere più violento e feroce di Palermo, a pochi anni della guerra e delle stragi di Mafia. Nessuno si vergognò. Né l'abusante, né i compagni, né chi sapeva e non ha mosso un dito. In compenso mi vergognai io. Questo causò una timidezza patologica, una goffaggine che superava il ridicolo. E di conseguenza il bullismo, il male minore fra quelli sopportati, mi costrinse a chiudermi in casa. Ad uscire solo per andare a scuola e incontrare giorno per giorno il mio carnefice. Perché conoscevo già cos'erano i doveri. La mia famiglia mi ha sempre amato - le uniche persone ad averlo mai fatto - e li ho ripagati essendo sempre ligio ai miei doveri di figlio.
Le superiori andarono un po' meglio. Ma anche qui, amicizie superficiali che si basavano sulla simpatia che sucitava il mio essere goffo e ridicolo e brutto - avevo denti sporgenti e pesavo quanto una vacca - e per il resto cinque anni passati in casa a leggere narrativa fino alla nausea.
En passant: Prima e unica esperienza sentimentale. Rifiutato e umiliato.
Botta di culo. Passo i test di medicina. Volo a Pavia. Ci resto sei anni.
Il primo anno, fantastico. I miei sono lontani. Mi sento in diritto di mollare la presa sulle mie remore morali. Inizio a fumare tabacco e a bere, quasi ogni sera. Passo alla marijuana. Sembra la svolta. Ma dietro l'angolo c'è il baratro. Divento dipendente dall'erba - sì, gente, come si può essere dipendenti da quella porcheria che è il porno si può benissimo essere dipendenti da un fumo magico che fa svanire le proccupazioni - fumo fino a 15 canne al giorno; e le fumo solo, uscendo fuori dalle grazie di Maria. Dimentico che sto lì per studiare e inizio a mandare a troie la possibilità di laurearmi, dicendomi c'è tempo, e raccontandomi un fottìo di fregnacce. Ma sono consapevole delle fregnacce e per tre anni non faccio niente, se non spendere soldi in droga, vedere film d'essai su megavideo e masturbarmi fino a stordirmi, perdere i sensi e finalmente dormire.
Un gruppi di belle persone mi raccatta dal fango a 22 anni. Tra i 22 e 24 finalmente vivo, mi diverto, sono felice, quasi quasi mi viene pure voglia di studiare e dare una bella ordinata alla mia vita... ma i traumi dell'infanzia sono troppo pesanti e mi ammalo. Esordio psicotico acuto. Fottuto. Per 10 anni passo la vita, tra ricoveri, farmaci, psicologi, psichiatri, testi di roschark (o come cazzo si scrive) e le urla, i pianti e la depressione di tutti i miei familiari.
Per 10 anni lotto... e ne vengo fuori. Trovo lavoro a Milano, le miei poesie vengono pubblicate da una piccola casa editrice di Roma che crede in me, mi metto in forma, da dipendente pubblico ho tutte le agevolazioni del mondo e uno stipendio che farebbe invidia al mio psicologo.
Ma perché questa carrellata sulla mia vita? Perché ieri ho visto questo angolino di luce che mi sono costruito a calci e mozzichi e mi sono detto: non ho nessun diritto ad essere così fortunato. E pensavo a Gaza, all'Ucraina, alle carceri libiche, alla barista del mio paese morta a 40 anni, senza aver mai visto la Luce.
Fortunato? Porca Madonna, l'unica fortuna è essere nato in un paese del primo mondo, avere una famiglia che mi ama, ed essere molto meno stupido della media. Tutte cose niente affatto scontate. Ma la Fortuna, cazzo, è un'altra roba.
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susieporta · 7 months
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IL LATO OMBRA DEL NON ESSERE STATI AMATI
Concludiamo indagando il lato ombra della ferita dei non amati.
Torniamo più all’aspetto energetico-psichico, mettiamo da parte il karma per un attimo e torniamo all’aspetto più pratico causa-effetto.
Esiste in noi una ferita o caratteristica principale che se ne sta ben nascosta in profondità.
Invece altre ferite, più facili da cogliere, sono quelle che siamo in grado di vedere meglio e sono quelle che la ferita principale manda avanti come soldati, a generare reazioni emotive, istintive e meccanismi di difesa.
Immaginiamo che c‘è una ferita principale, nascosta, quella karmica, che viene dalle vite passate e che questa poi muova tutti i meccanismi di difesa e agganci le ferite di questa vita, facendo scattare tutti i meccanismi di difesa.
Se noi riusciamo a lavorare, come abbiamo già spiegato, dall’interno verso l’esterno, sarà il cuore, l’essere, l’energia interna a pulire la ferita principale e tutte le altre ferite. Non ci interessa analizzare ferita per ferita. Quello che invece ci interessa è vedere il lato ombra di tutto questo.
Il lato ombra di non essere stati amati genera la sensazione di essere vittime dei genitori, vittime della famiglia, vittime della società, vittime del sistema, vittime della vita.
Vittime punto.
E può essere qualcosa di conscio, cioè mi sento vittima e so di sentirmi tale, oppure inconscio, cioè porto avanti la mia vita, però dentro qualcosa non va.
Questo è molto importante, perché dobbiamo vedere i problemi da tutti i lati.
Allora, quando ci si posiziona da vittime per non essere stati amati e non si riesce a coglierne la vera causa, (la causa radice dei nostri problemi), recitando anche molto spesso il ruolo di vittima, allora c’è un grande rischio, quello di passare da vittima ad abusatore.
Questa è una delle classiche reazioni della vittima.
Ci ricolleghiamo al capitolo della relazione vittima-carnefice.
Quindi, esiste la vittima passiva e la vittima attiva.
La vittima passiva spesso cade in stati di depressione, malinconia, va molto giù e non riesce a reagire.
Diverso è quando, per non essere stati amati, si cade nello stato di vittima attiva.
La vittima attiva reagisce molto spesso compensando e diventando l’esatto opposto.
Cioè, si posiziona da vittima, ma in realtà diventa un abusatore, e spesso diventa un vero e proprio stalker in amore.
Tantissime persone che vivono con un grande vuoto d’amore e non sono state amate, o sono state abusate, diventano così affamate d’amore che praticamente ossessionano chiunque gli dia un briciolo di attenzione.
Possono diventare davvero ossessivo-compulsivi, maniaci, stalker, pur di avere un briciolo d’amore. Perdono completamente il controllo del centro emozionale e di quello istintivo-motorio.
Però loro si sentono vittime a livello profondo. E quando non gli dai quello che si aspettano esce il peggio del peggio.
Bisogna stare molto attenti a queste ferite, perché da vittima ti puoi trasformare in un vero e proprio mostro. E non si capisce più bene il ruolo, a quel punto.
Se dovessimo dare voce alla ferita dalla quale ci stiamo relazionando, la ferita direbbe: “Siccome io ho sofferto tantissimo e non sono stato amato, voi dovete accettarmi, dovete amarmi, dovete riconoscermi, con le buone o con le cattive. La vita mi deve molto perché io non sono stato amato”.
Questo è il ragionamento della ferita.
Cosa succede?
Posizionandoci come vittime per non essere stati amati, cadiamo nell’illusione che il mondo ci debba qualcosa, perché abbiamo sofferto e non siamo stati amati.
Questo è ovviamente un meccanismo inconscio.
Chi entra nel ruolo di vittima sente che tutti gli devono qualcosa; quindi, non c’è solo il vittimismo, ma nasce un senso di orgoglio negativo, vanità negativa, egocentrismo.
Da bambini, quando eravamo molto, molto piccoli, tutto ruotava intorno a noi, tutti si preoccupavano di noi, avevamo la completa attenzione e questo ci piaceva un sacco.
Ma cosa succede quando i genitori stanno male e non c’è più questa attenzione?
O cosa succede quando nasce un altro bambino e la loro attenzione è diretta tutta a lui?
Anche queste sono sfumature che poi possono generare la ferita di non essere amati o accettati, perché nella nostra mente di bambini pensiamo che preferiscano i nostri fratelli. In verità, in quel caso, i genitori devono gestire molte cose e semplicemente danno precedenza ai più piccoli.
Però, se a questo si aggancia una ferita karmica pregressa, in cui c’è già un bel buco e una bella chiusura di cuore, ecco che la cosa si fa davvero pesante, soprattutto se preferiscono un altro fratello o sorella a noi e siamo noi i primogeniti.
A prescindere da fratelli e sorelle, quando abbiamo un grande buco di amore e tante ferite si attiva un meccanismo, per il quale è come se diventassimo molto, ma molto egocentrici. “Siccome ho sofferto, adesso gli altri mi devono qualcosa, devono ascoltarmi, devono rispondermi, devono, devono, devono…”
Questo in Quarta Via si chiama, in gergo tecnico, tenere i conti. È come se noi andassimo in giro con un libro nero dove segniamo ogni piccolo torto subito, ogni piccola offesa, ogni situazione dove non riceviamo in cambio ciò che secondo noi ci spetta di diritto, dato che abbiamo sofferto e non siamo stati amati.
Si dice proprio “tenere i conti”.
Piano piano, a forza di tenere i conti, il nostro cuore si tinge di nero come quel libro.
Questa è una delle cause profonde della rabbia e del risentimento che non riusciamo a lasciar andare.
Quante volte abbiamo parlato della difficoltà a lasciar andare la rabbia, a lasciar andare i vecchi torti, lasciar andare il passato?
È difficile farlo, perché abbiamo un libro pieno di cose che secondo noi gli altri ci devono. Teniamo i conti di ogni offesa. E quello è un po’ il nostro diario di bordo.
La cosa interessante però è che in questo libro dei conti scriviamo solo le cose negative, non scriviamo mai le cose belle che abbiamo ricevuto.
Non abbiamo un libro bianco.
Peccato che non teniamo conto anche di tutte le volte in cui abbiamo ricevuto del bene, e di tutte le volte che invece noi abbiamo ferito qualcuno in qualche modo, a causa delle nostre pretese.
Qui c’è qualcosa che non va. O tieni tutti i conteggi, da bravo ragioniere, oppure non puoi tenere solo le ferite.
Il problema è che se accumuliamo e ci segniamo ogni cosa, prima o poi il nostro inconscio farà il botto, e dovremo scaricare rabbia e frustrazione sul primo che capita. Ci dovremo vendicare.
Oppure, come succede molto spesso, se qualche persona si adatta, si incastra con i nostri buchi d’amore, ecco che diventiamo dei veri e propri stalker, dei maniaci, delle persone ossessionate da un’altra persona, come accade spesso nei film. Si parla di amore, ma in realtà è violenza, è compensazione.
Questo è proprio il campo della psicologia e psichiatria, non il nostro, però è importante vedere le cose da molti punti di vista diversi.
Insomma, si può diventare cinici, vendicativi, chiusi o ossessionati nei confronti degli altri, violenti, soprattutto quando chi ci interessa non ci dà ciò che vogliamo.
Di fatto nessuno ci deve niente e noi non dobbiamo niente a nessuno, ma vallo a raccontare alla tua ferita, che invece pretende amore, pretende attenzione, pretende riconoscimento, pretende all’infinito.
Per concludere è importante vedere che anche quando non ci sentiamo amati da adulti, allarghiamo la ferita di non essere stati amati da piccoli. La rinforziamo.
Ogni delusione d’amore, ogni tradimento, ogni abbandono allargherà la ferita di non essere amati.
E andrà sempre a cadere nel buco.
Un bambino che non è stato amato, riconosciuto nelle sue caratteristiche, nelle sue qualità, nel suo stesso amore verso i propri genitori, soprattutto quando non hanno mai tempo per lui, piano piano, si chiude in sé stesso, chiude il cuore e non gli interessa più condividere amore con nessuno: Non gli interessa più condividere sé stesso.
ROBERTO POTOCNIAK
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unwinthehart · 4 hours
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senti, probabilmente c'hai i guai tuoi ma ho bisogno di parlare con qualcuno. sono mesi, azzarderei anni, che mi sento oppress* in famiglia, incompres*, di troppo, perfino detestat* e non volut*. ho un caratteraccio e una personalità detestabili che ho forgiato piano piano per via di brutte esperienze che ho avuto e che non riesco a soupire anche se ormai sono archiviate. my sibling mi ha dato tanti consigli per migliorare ma non faccio il minimo sforzo per metterle in pratica.
sto sfaldando la mia famiglia se perdo questa sono sol* e non voglio. faccio piangere mia madre che è stanca e non ce la fa più. appena mi alzo sono già discussioni e musi da non dirsi. a volte sono io ma a volte sono loro, parlano tra loro e loro di me manco mi alzo e mi sento frustrat* e mi dicono di non urlare ma non ci riesco, mi sale proprio la frustrazione! poi mi alzo sempre tardi perché la notte non riesco a dormire. sto sempre a scrollare pigramente il cellulare e/o a piangere. piango ogni notte e a volte non so neanche perché. ho pianto perfibo per una stupidaggine per un vip che non ha visto il mio dm ma forse sotto c'era qualcosa di più. mi odio, non mi piaccio, non riesco a spegnere questi flashback del passato che ritornano a galla e non voglio/posso permettermi un* psicolog*. non so più che ca* fare. sto male perché ho 26 anni e non vengono a svegliarmi a letto come quando ne avevo 6 e oggi che gliel'ho detto hanno detto che quello che dico è senza senso. tutto quello che dico per loro è senza senso. non mi capiscono. poi my sibling a volte è opprimente, mi vuole consigliare ma ripete ripete ripete e mi sta addosso. e la cosa mi fa stare peggio, perché mi sento più oppress*, schiacciat*. se perdo la mia famiglia sono sol*. non voglio. e non vogliono più sentirmi parlare si sono rotti. non riescono a capirmi e quando provo a spiegarmi non capiscono che voglio dire come se parlassi una lingua diversa. e io nella mia mente so che certi miei comportamenti fanno peggio, mi ripeto di non partire in quarta ma proprio non riesco a controllarmi e ci ricasco ogni volta. e sono arcistuf* di far piangere mia madre. arcistuf* di tutto questo. e penso che forse l'unico modo per liberarci tutti sarebbe compiere l'insano gesto ma ho paura della m**te. sono stanc* di tutto questo male. aiutami ti prego, non so più cosa fare!!! e non so quanto possa essere rilevante per comprendere la mia psiche ma ho sempre in testa lily of the valley dei queen. visto che ormai c'è questa cosa di cercare significati nascosti belle canzoni che uno ascolta. sai, non hanno fatto/fanno altro che ripetermi che sono pazz* e stupid*. e ho paura che a furia di sentirmelo ripetere a un certo punto lo sia diventat* davvero.
Anon io purtroppo non ne ho nè le competenze, nè la capacità di aiutarti soprattutto così, a distanza. Ma non mi sento neanche di ignorare questo tuo grido di aiuto. Non sei nè pazz* nè stupid* ma descrivi quella che sembra depressione, o comunque un malessere generale nei confronti della vita. Io non so come aiutarti con la tua famiglia, ma sappi che se ti sembrano frustrati nei tuoi confronti potrebbe essere proprio perchè non sanno come aiutarti. Certamente non voglio farvi i conti in tasca, so bene cosa vuol dire attraversare anni difficili senza potersi permettere un terapista, ma qualcosa devi fare. Innanzitutto so che non vorrai sentirtelo dire, ma dormire poco o avere un ciclo sonno/veglia sballato acuisce e peggiora tutti gli altri sintomi, ti rende paranoico e ti mette in un costante stato d'ansia. Ci sono milioni di rimedi, naturali, per cui non devi spendere un rene oppure rivolgerti ad uno psicologo, puoi parlarne anche solo col tuo medico di base. E esci, non stare tutto il tempo in casa. Anche solo una passeggiata, da sol* con la tua musica, credimi, ti svolta la giornata. So che ti possono sembrare oppressivi, ma probabilmente neanche loro sanno che pesci pigliare e vogliono solo aiutarti. Sappi soprattutto che nulla è irremediabile, a tutto c'è una soluzione, che piacersi e conoscersi e accettarsi è un processo continuo. Che ci saranno giorni peggiori e giorni migliori. Ma soprattutto che niente al mondo vale la pena perdersi le piccole gioie quotidiane. Tieni duro e se ti serve pensa che a tutte le persone nella tua vita mancheresti troppo.
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E quindi si, non so come ma sono a Vienna. A dir la verità sono qua da ben due mesi, giorno più giorno meno. Ma il tutto è stato talmente programmato male (si può parlare di programmare anche quando non c'è stata traccia di un programma?) e traumatico che ancora non me ne rendo conto. Sono finita qua come risultato del mio esaurito nervoso slash depressione dell'anno scorso. Ero( sono) talemnte confusa che ho ben pensato di dover prendermi una pausa dal mio amato Innsbruck per almeno un anno stravolgendo totalmente la mia vita togliendomi ogni tipo di sicurezza e soprattutto punto di riferimento. Quindi sono andata a vivere in un posto in culo al mondo, per i miei canoni lontanissimo da casa mia e per lo più totalmente diverso da quello che ho visto in 26 anni. Questa volta però me lo sono giurata. È l'ultima volta che mi impongo di fare cose che non voglio fare solo per combattere il mio senso di inferiorità e per dimostrare che no, io non sono sfigata ma sono forte e brava e faccio tutto quello che voglio fare,senza paure. Ecco, tutta sta marea di cazzate, io mi auguro questa sia l'ultima volta. Comunque c'è poco da dire. Sono qua. 
La città mi fa cagare. Non ho mai vissuto in un posto così enorme e con milioni di persone. La sensazione quotidiana è :soffoco. Per non parlare del fatto che mi sento in esilio. Ecco allora d'ora in poi quest'anno lo chiameremo l'anno dell'esilio volontario. Non ho il potere di scegliere quando andarmene fuori dai coglioni e tornare a casa. Che poi, casa. Come se casa mia fosse un posto sano dove stare. Ma ho imparato in questi due mesi che il mio andare a casa 5 volte all'anno era il mio "fuggire" da Innsbruck dal tedesco, dall'Austria, da tutto. E ora non lo ho più. Ed è una merda.  Comunque back to la cosa di Vienna. Vienna. Un ammasso di infiniti edifici ovunque. Gente ovunque. Macchine ovunque. Bus ovunque. Assurdo. Esci la sera per passeggiare 5 minuti dopo lavoro e c'è *sempre* ma dico *sempre* qualcuno. Asfissiante, soffocante. Non so come cazzo ve lo devo spiegare. Sono venuta qua anche e forse soprattutto perché mi sono (stupidamente,ma aimé sono ancora giovine) lasciata influenzare da gente che alla fine si è rivelata diversa da me. E ci sta. Ma io dovrei finalmente capire minimamente che cazzo voglio dalla vita in modo da non vivere come una banderuola in balia di opinioni altrui. Vabbè, questa la ho imparata. 
Dove eravamo. Ah sì, giusto. Lavoro. Una delle mie migliaia di paure. A Gennaio ho finito definitivamente tutti i miei studi e vabbè, sappiamo tutti cosa è successo i mesi prima. Ignoravo gli effetti che un cambiamento simile potesse avere su di me. Comunque di nuovo, lavoro. Che alla fine era la mia priorità qui a Vienna. Che sia qua o la, Vienna o Innsbruck o che cazzo ne so io dove, alla fine devo lavorare. Ho già parlato miliardi di volte di quanto si scioccante per me che da ora in poi per i prossimi 40 anni (se va bene) non avrò più controllo sulla mia vita ma che *dovrò* ( e già il verbo dovere a me fa stare male) lavorare e rispettare delle regole imposte da qualcun altro. Quindi il discorso vedremo di affrontarlo il meno possibile che ne ho un po' piene le palle. Comunque, di nuovo, lavoro. Eh sì, ho fatto l'unica cosa che una come me poteva fare. Insegnante di tedesco per i rifugiati. Era l'unica cosa che mi immaginassi di poter fare in qualche modo. A dire la verità io non mi vedo come niente, ma a quanto pare qualcuno ha detto che dobbiamo lavorare e quindi si stronzi, andrò a culturizzare tutti quelli che voi non volete capre ignoranti per farveli trovare come vicini di casa, speriamo un giorno non troppo lontano. Il vostro incubo di uno stato senza più chiese e pandori si avvererà anche grazie a me. Ah ops, qui non mangiamo pandori. Vabbè. Senza chiese e Schnitzel e Strudel ok?? Il concetto rende ugualmente. Comunque il mio lavoro contribuisce notevolmente alla mia sensazione di estraneazione, se il vocabolo esiste. Si perché che cazzo ci faccio io qui, a insegnare loro una lingua che non è manco mia? Ma qualcuno ha detto che andavo bene e quindi boh, sono qua. E qualcuno ha detto anche che dovrei lavorare e quindi boh, Hallo, ich bin hier. A dire la verità non mi trovo neanche troppo male, con gli alunni,intendo. Con i colleghi come sempre un disastro. Non parlo, non interagisco. A dire la verità in due settimane ho avuto qualche accenno di interazioni. Allora diciamo che se il lavoro precedente già dalla prima settimana era circa meno 20 qua siamo a più due. 
Che poi, in realtà se non avessi ansia a parlare con la gente sarei anche abbastanza bravina. Ovviamente a volte dicono delle cazzate, d'altronde non è la mia madrelingua. Del tipo che sbaglio articoli. E allora mi prende l'ansia che uno di loro mi dica "ma come, non era das?" E la credo che morirei. E poi mi viene pure l'ansia perché penso e se per il accento di merda poi non capiscono quando li parlano per strada? E se non si integrano perché insegno di merda? E allora poi non dormo più, di nuovo. Eh niente, una vita in pena.
Che poi si, avete capito bene, ho iniziato da due settimane ma ho già le paturnie. Pazienza non è mai stato il mio forte. Ci sarebbero altre migliaia di cose da dire ma lentamente non ho più sbatti di scrivere.
Che altro dire. Antidepressivi ho smesso già a dicembre, il sonno rimane un gran problema. Ho ridotto le dosi, ma di smettere totalmente non mi va. Dormo male con la dose minima, figurati senza. Il fatto è che so che non posso prendere sonniferi per sempre e pure questo mi dà ansia. Come mi dà stra ansia di non poter tornare a casa quando cazzo voglio.
Comunque boh, chissà che cazzo mi aspetta. Sono davvero curiosa perché alla fine io in un modo o nell'altro ce la ho sempre fatta, bisogna solo vedere se questa volta ce la faccio senza rifinire in psichiatria o no. Io ci provo ad essere positiva ma ho tante di quelle ansie e gli ultimi mesi mi hanno totalmente traumatizzata.
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ross-nekochan · 10 months
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Ciao. Mi dispiace per come ti senti e per quello cui andrai incontro. Spesso faccio lunghi periodi di giornate lavorative infinite, senza gratificazione. Lo stipendio è buono ma se sei svuotato di energie e non hai tempo libero, i soldi marciscono assieme a te. Ho dovuto ricorrere a farmaci e terapia per lungo tempo e adesso sto meglio, ora sono in grado di pensare: mal che vada mi licenzio e sopravviverò come tutti, senza vergognarmi per questo pensiero a causa del mio senso del dovere. Ma io sono in Italia, bene o male ho affetti vicini, si parla la mia lingua, se sto male mi metto in malattia (non l'ho mai fatto...) senza dover contare i giorni che mi restano nell'anno. Tu... ti leggo e mi chiedo spesso perché ti sia decisa a fare determinate scelte. Coraggiose se vogliamo, per prospettive future. Tuttavia mentre raggiungiamo il burnout la vita ci passa davanti e quello che immaginavamo potesse accadere, cambia. Restiamo delusi, con niente di concreto in mano. Onestamente al solo pensiero di essere lontana non dico dalla famiglia, ma dalla confortante madrepatria, alle condizioni quali quelle che descrivi... non so come tu faccia. Mi scuso se ti risulto inopportuna, ti scrivo perché mi sembra di riconoscerla la tua sofferenza. Una cosa sola mi ha insegnato la depressione, che quando ci sei dentro vedi davvero quanta povertà si cela dietro i castelli di fantasie più o meno autoindotte per trovare una strada nella vita. E pensi che ti sei ammalato "per niente". Tutt'ora fatico a concepirmi distaccata dal mio lavoro, anche se la società lo ritiene nobile e indispensabile mi ha rovinato anni importanti. Ma sono arrivata ad essere consapevole dei miei limiti, ho imparato a proteggermi un po'di più, a dire di no. Per adesso resisto ma sai, adesso non mi importa più di come reagirebbe la gente a sapere che ho lasciato per andare a raccogliere pomodori o pulire bagni, proprio io che sono così brava, istruita e specializzata. Non mi importa più cosa dice il mio senso del dovere. E mi sento meglio, anche solo perché mi permetto di pensare a delle vie di fuga.
Abbi cura di te.
Ciao.
Spesso è facile leggere senza dire niente quando non si conosce qualcuno, quindi ti ringrazio per il tuo messaggio, sebbene in anonimo (non perché sminuisce il pensiero, semplicemente a volte non ne comprendo a pieno il motivo del suo utilizzo - ma questo è un discorso a parte).
Mi dispiace molto per quello che ti è successo, anche se mi pare tu stia leggermente meglio e sono contenta per te per questo.
I motivi per cui sono tornata qui sono tanti e, forse, a dirli nemmeno li si comprenderebbe. Uno tra tutti: ho speso quasi 10 anni della mia vita (e denaro) per studiare la lingua e la cultura di questo paese e purtroppo questi 10 anni non li posso "vendere" a nessuno perché non sai quanta gente fa la stessa cosa. Una cosa che mi sono promessa a me stessa è che io questi 10 anni della mia vita non li voglio buttare, anche se giustamente c'è gente che si reinventa nonostante la sua laurea (non ho niente contro di loro, ma vorrei evitare di farlo io).
Hai ragione nel dire che spesso quelli che costruiamo sono solo castelli senza alcun senso e non ti nascondo che sono già un paio di anni che la mia testa è a metà tra il voler diventare chissà chi e il voler semplicemente vivere di un lavoro umile con uno stipendio minimo che mi permetta di mangiare, mandando a fanculo laurea e tutto il resto.
A volte sono sul punto di pentirmi della mia scelta ma quando la mia migliore amica, come te, mi dice: "Stai attenta alla tua salute mentale perché se le cose vanno male, puoi sempre tornare in Europa", sai cosa le rispondo? Che non è il momento adatto. Adesso è come se vivessi nell'occhio del ciclone: sebbene la cultura lavorativa giapponese faccia veramente pena, questa megalopoli vive di milioni di opportunità diverse e non penso ciò sia equiparabile a qualsiasi altra città in Europa.
Per cui non posso fare altro che sfruttare questa opportunità il meglio che posso. Non mi interessa dell'opinione di nessuno e vivere dall'altra parte del mondo, sebbene sia triste perché non hai nessuno su cui poter contare se non te stesso, hai la libertà di poter fare il cazzo che ti pare, pure lasciare tutto e andare a raccogliere i pomodori o andare a fare le pulizie.
Poi, anche se volessi tornare, dove vado? Non ho più contatti con nessuno della mia famiglia, né li voglio avere e sono al punto che quasi non saprei nemmeno dove andare a dormire se tornassi in Italia. Anzi, me ne sono andata anche per tagliare finalmente tutti i ponti possibili.
Detto questo, come hai detto anche tu, per adesso, resisterò. Quando la situazione mi sembrerà insostenibile, cambierò e cercherò altro; almeno avrò soldi a sufficienza per poter vivere senza lavorare per un po' (dato che non avrò tempo per spenderli).
La via di fuga cerco di vederla sempre (anche se è molto difficile farlo), perché, almeno per il momento, non mi voglio assolutamente arrendere a questo mondo bastardo e per me oltremodo incomprensibile.
Abbi cura di te anche tu.
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piccolaaa3 · 1 year
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Ieri zia V è andata in ospedale a trovare suo fratello, nonostante non stesse bene (a causa della sua patologia). Zia C al momento è in chiamata con mia sorella, è più di un'ora che le sta dicendo su perché, secondo lei, NOI dovremmo impedire a zia V di andare a trovare suo fratello quando non se la sente.
A parte che zia V ha quasi 70 ed è perfettamente capace di capire da sola se fisicamente se la sente o no di fare qualcosa. Ma a maggior ragione, tu stai facendo sentire una merda una ragazza che in passato ha già tentato il suicidio e che è nuovamente sull'orlo della depressione a causa della situazione.
E io sento così tanta rabbia dentro che vorrei strapparle il telefono di mano e gridare a zia C di trovarsi qualcuno con cui trombare invece che venire a rompere i coglioni.
Ma così butterei al vento 1 anno e mezzo di terapia e la mia psicoterapeuta non ne sarebbe troppo felice; quindi ora saluto tutti e torno nella mia personale bolla verde, tappezzata di erbetta fresca e girasoli, dove nessun pensiero cattivo può raggiungermi.
Una crisi isterica non avrà la meglio sulla mia psiche.
Non stavolta.
#me
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lovelesswhiteblood · 1 year
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Cosa c'è da aggiungere.
Sono stanca, terribilmente stanca, sono stanca di ogni cosa, sono stanca di esistere, e sono stanca di esistere perché in realtà la mia esistenza è misera ed irrilevante, e non come quella della maggior parte della popolazione, la mia è ancora più squallida, priva di dignità. Sono l'immagine sfocata di quella che dovrebbe essere una persona, sono un fantasma reietto che annega, annaspa e soffoca costantemente, perché quella che per altri è aria, è vita, per me è un lago di petrolio viscido e colloso che non fa altro che farmi affondare sempre di più, che mi fa bruciare i polmoni, che mi corrode lo stomaco ma che crudele non mi concede la morte. Dopotutto, come potrebbe se in realtà non sono niente? Come potrebbe annientare il vuoto, come potrebbe annullare qualcosa che è già annullato? Non può, ma quel lago oscuro e catramoso non mi lascerà andare, lo so bene, mi tiene incatenata a se in una perpetua tortura, quasi come fossi un po' il suo cane da compagnia, e devo ammettere che in certi momenti è proprio così che mi sento, come un cane fedele che aspetta, aspetta, aspetta, ma resta sempre lì, immobile in speranze morte anni addietro, quando ancora aveva del pelo a scaldarlo, della pelle a vestirlo ed un'anima a donargli ancora speranza, quando ancora il mostro della rabbia, della frustrazione e della disperazione non gli aveva lasciato solo le ossa, concedendoli a stento una patetica illusione di vita.
#pensieri #original #depressione #borderline #bipolare
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nonamewhiteee · 2 years
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12/10: vorrei avere il coraggio di far capire veramente ai miei genitori come mi sento, ma come sempre è totalmente inutile. uno degli aspetti che odio di più del mio carattere è sicuramente l'empatia e la sensibilità, fin dalle elementari mi mettevano seduto accanto ai bulletti e cercavo di aiutarli, di farli parlare con me (a distanza di anni N con già due figli a carico si ricorda di me e mi saluta con affetto). ma questa è fin da subito stata la mia condanna, ho cercato di essere più apatico, di smussare questa sensibilità, ma ho ottenuto solo il risultato opposto: i pensieri, i dca, gli sbagli, la depressione, i farmaci, la droga e l'alcool, e forse con il senno di poi avrei dovuto farla finita molto tempo fa. ogni volta ci ho riprovato a ricominciare da zero, e sono sempre punto e a capo, da solo, con i miei pensieri in testa a darmi doppiamente del fallito perché "tutto sommato cosa ti manca?" per poi sentirmi dire: "tu credi di essere super in tutto, noi ti abbiamo capito", "con i soldi che ti dava papà ti saresti già preso un cellulare" "ai miei tempi....." "tanto anche questa storia degli ITS con te sarà solo una perdita di tempo" "a 22 anni e stai così". sono un frustrato, un fallito depresso con attacchi di panico, ho paura a scegliere qualsiasi cosa perché tanto so che sbaglierò. sono stanco di avere intorno a me tutto questo odio gratuito e ingiustificato.
ps: ho il bisogno di scrivere questo, me ne frega meno di un cazzo di passare per attention whore o per "quello che fa il depressoxd", avere un cervello significa anche ogni tanto saper stare in silenzio e non avere sempre da ribattere su tutto. se una cosa non è di proprio gradimento si passa oltre, pace.
#me
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volumesilenzioso · 7 months
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mi sento estremamente insoddisfatta nonostante gli altri stiano provando a farmi vedere tutti i progressi che ho fatto in questi due mesi. l’anno scorso è stato uno degli anni peggiori della mia vita, un anno intero in cui mi sono completamente abbandonata alla depressione e l’ho fatta impossessare di ogni singola parte di me senza pensarci due volte, arrivata a settembre ho smesso anche di parlare, dicevo al massimo due frasi al giorno e solo se mi sentivo obbligata, stavo sempre da sola, non volevo vedere né sentire nessuno, non rispondevo ai messaggi per mesi, non mi importava di nessuno, men che meno di me stessa. ero sprofondata in un mondo spento e triste che si nascondeva già nella mia testa, un mondo in cui l’unica cosa che ero in grado di sentire era l’odio, un odio smisurato mischiato a tanta, tantissima rabbia: verso il mondo, verso le persone, verso la vita ma, soprattutto, verso me. mi sono sempre odiata, non era una novità, l’autodistruzione e l’autosabotaggio sono sempre stati parte di me, ma l’anno scorso, in quel piccolo mondo dentro la mia testa, tutto quello che faceva già parte di me è cresciuto ulteriormente, e non riuscivo a pensare ad altro oltre alla morte. passavo le giornate sul divano a guardare il soffitto, a un certo punto ho smesso anche di ascoltare la musica, e questo non è assolutamente da me. mi sono allontanata da tutto e ho sperato ogni giorno di perdere improvvisamente il respiro. non riuscivo a smettere di farmi male, era più forte di me. tutto è cambiato quando mi hanno ricoverata perché la mia famiglia era preoccupata, sia per la situazione con l’autolesionismo sia per il peso troppo basso. qualche giorno in psichiatria e tutto è cambiato, ma al tempo stesso non è cambiato niente. ora lavoro, ma il mio lavoro non mi piace, non mi dà niente. vorrei studiare, ma mi sento in ritardo e non mi sento in grado di farlo, nonostante tutti dicano il contrario. ho ancora l’ansia, le paure e i pensieri che avevo prima, perché gli psicofarmaci non sono magici, aiutano un po’, ma il resto del lavoro dovrei farlo io, e lo farei, se solo mi importasse di me. ora mangio, sono tornata normopeso, ma odio il mio corpo ogni giorno di più. ancora penso alla morte, voglio distruggermi, ho la tentazione costante di farmi del male. ho ricominciato a parlare, ma per la maggior parte del tempo vorrei soltanto stare sola e annegare nel mio dolore. quindi si, sono cambiate tante cose, ma non è cambiato niente
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imponderabile · 2 years
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perdonami amore, l’ultima persona che voglio ferire sei tu. ma c’è tanta roba pesante che devo trasportare tutti i giorni e faccio così tanta fatica. ogni giorno è una sfida a non cadere, a non crollare e a non farmi sotterrare dai miei pensieri, mi dico che devo resistere, però ho una voragine nel petto, così grande, così profonda che mi irretisce con lei. la psico mi ha detto che non devo chiudermi, ma non mi sento capita da nessuno, mi sento così sola sempre, lo sono già da una vita e ora fa così male, perché purtroppo sto prendendo consapevolezza che le persone che avrebbero dovuto amarmi incondizionatamente non l’hanno mai fatto, che sono sempre solo stata usata, fatta a pezzi dalle persone che mi avrebbero dovuto far sentire al sicuro e protetta. ed io mi odio così tanto, non so nemmeno se sia possibile contenere tutto questo odio in un corpo solo, e la depressione è così, quando ti da tregua non ti ricordi nemmeno come sia stato viverci dentro, ma quando torna chiude a chiave la porta dietro le tue spalle e non ti lascia uscire fin quando non ha terminato i proiettili. sono stata forte per tutta la mia vita, ma ora non so che farci, sono un po’ ammaccata per i colpi che ho preso. perdonami sono tanto fragile ora, ho sempre paura e mi vergogno tantissimo di questo, vorrei tanto essere la persona forte e magari all’altezza di starti accanto, spero che con quelle poche forze che mi rimangano, riesca a renderti un po’ felice.
lettera a G
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astra-zioni · 1 year
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Anche io credo di avere l'ADHD o i pensieri così veloci che mi ingolfano la mente che delle volte capita di dire all'altra persona già cosa starà per concludere di dire. Purtroppo non lo faccio con cattiveria o con presunzione ma è causato da questa impazienza latente e iperattività. Se non faccio così, penso già a ottomila cose che si collegano al discorso o, se è noioso, mi perdo per cazzi miei. Quant' è difficile 😩
Quanto ti capisco! Anche a me capita molto spesso di anticipare i pensieri dell’altro, ma non per presunzione appunto. (C’è da dire anche che in una società in cui la conversazione non esiste più e si procede per monologhi autoreferenziali è abbastanza difficile per un ADHD non farlo, ma penso per chiunque).
Ad ogni modo, se credi di averlo ti consiglio vivamente di indagare la questione, scoprirai tante cose sul funzionamento del tuo cervello che ti aiuteranno a non sentirti in colpa o frustrat* nella vita quotidiana. Ovviamente, nel caso ce lo avessi, si può intervenire per via farmacologica e la qualità della tua vita sarà migliore.
Mi sento di fare però un appunto generale per completezza: l’ADHD non si manifesta solo attraverso l’incapacità di mantenere una soglia dell’attenzione alta nelle conversazioni o in una lezione scolastica, è un disturbo complesso che coinvolge più aspetti e può portare a un vero e proprio stato depressivo. Altri sintomi (che solitamente compaiono nell’infanzia) sono: iperattività (io da piccola saltavo e facevo capriole ogni due per tre, non stavo mai ferma) basso rendimento scolastico (innumerevoli insufficienze nel mio caso e una bocciatura), incapacità di stare seduti e fermi, non riuscire a definire delle priorità nelle attività quotidiane e rimanere dunque paralizzati (questo aspetto viene spesso scambiato per depressione ma la causa è legata all’ADHD, che appunto ti rende incapace di svolgere normalmente le normali attività quotidiane e ti porta ad avere mille pensieri di continuo nella testa). Molto spesso è associato anche ad altri disturbi, come il disturbo borderline di personalità e i DSA.
Ti mando un abbraccio!
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entropiceye · 2 years
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Cerco di mettere in atto la compassione, di non darmi ancora più addosso in momenti come questo, eppure spesso non ci riesco.
Non posso fare a meno di pensare alla tabella di marcia della settimana scorsa e quella della settimana in corso, ancora da scrivere.
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Penso che il fatto di non aver avuto grosse abbuffate, di non aver comprato compulsivamente quantità industriali di dolci e schifezze simili sia già qualcosa. E forse questo lenisce un po' il senso di colpa per non rispettare il mio programma... Del resto stare qui non è facile.
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Ho voglia di farmi del male. Inizialmente erano solo pensieri passeggeri, ora sono insistenti... A volte sono sul punto di cedere però poi lascio perdere... Non tanto per me, quanto per gli altri. Non voglio diventare di nuovo la persona ingestibile da dover tenere sotto controllo, di cui tutti poi si stufano. Non voglio essere abbandonata... Però ho bisogno di aiuto, ho bisogno che tutto questo dolore finisca.
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A volte non vedo nessuna speranza e vorrei semplicemente mollare. E mi dispiace ammetterlo, scriverlo qui, perché so che tu leggerai e starai male per me. E se da un lato sono felice di farti stare bene, mi dispiace che tu possa sentirti in difetto perché io invece sto male. Tu non c'entri in questo, ok? Sono io che sono difettosa e forse non funzionerò mai come una persona normale.
A volte mi pento di averti dato il link di questo blog, perché so che questo raramente è un posto felice. È più la gabbia di contenimento dei miei pensieri, che spesso sono davvero tanti ed ingestibili.
Non voglio tagliarti fuori e nasconderti le cose, però ho paura.
Perché nemmeno io mi sopporto quando sto così, mi odio e ho paura che potresti finire per odiarmi anche tu.
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E forse scrivo qui perché a parole certe cose non riesco a dirle, perché non so fare un discorso coerente e salto sempre di palo in frasca.
È che sono così stanca cazzo... Io sto davvero facendo del mio meglio per non farmi inghiottire da tutto questo, però siete tutti lì a chiedermi sempre di più.
Io vorrei solo un po' di affetto, non dei consigli su come uscirne, perché magari funzioneranno pure su di voi, ma non è detto che per me sia lo stesso, anche perché ripeto che sto già facendo grossi sforzi per non fare cazzate e per convivere con la mia oscurità.
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Mi sento così sola. So di non esserlo e mi sento in colpa anche per il mio senso di solitudine.
Sono entrata in un gruppo di auto aiuto per la depressione, ma non mi ha aiutato granché. Ho ripreso a scrivere su un forum sempre su questo tema, forse sperando di distrarmi dai miei problemi con quelli degli altri, una volta funzionava e mi faceva sentire utile, ora mi sento solo vuota.
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Sto iniziando a perdere il senso del tempo e riconosco non sia affatto un buon segno... Non voglio tornare al tempo degli episodi psicotici. Forse dovrei scrivere al mio psichiatra, anche se speravo di non doverlo più fare.
Mi sento persa, come se galleggiassi su un flusso indistinto di cose e la mia volontà non contasse, in balia della corrente, senza né un salvagente per evitare di andare a fondo, né un'ancora che mi impedisca di finire chissà dove.
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luposolitario00 · 2 years
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Le storie di persone lgbt+ che non fanno ritorno a casa per Natale: le feste sono circostanze che provocano stress e minacciano la salute mentale. "Devo fingere di essere chi non sono?" si chiede G. mentre Alessandro si pente di essersi allontanato dalla famiglia.
Il Natale per le persone lgbt+: il 42% delle violenze è in famiglia
Fare coming out potrebbe voler dire confessare alla famiglia ciò che si vive alla luce del sole altrove ma che in casa si tiene nascosto.
E non deve necessariamente essere l'orientamento sessuale.
Tuttavia, il tema è invece il ritorno a casa, fosse pure per qualche ora, delle persone lgbt+ a coming out avvenuto oppure no che devono fare i conti con uno stress maggiore.
Le settimane delle feste (quest'anno poco più di una, in realtà) causano alle persone lgbt+ stress, ansia e depressione secondo la Lgbt Foundation di Manchester e i dati tutti italiani della Gay Help Line (800.713.713) e Speakly.org, rispettivamente numero verde e chat contro l’omotransfobia con gli oltre 20mila contatti l’anno, ci dicono che il 42% delle violenze avviene in famiglia.
Ci sono moltissime persone lgbt+ che non hanno fatto coming out in famiglia o che l'hanno fatto ma sono state rifiutate, aggredite, derise e minacciate ma hanno comunque l'obbligo, morale, di vedere la famiglia per Natale.
Ci sono poi quelle persone che sono state allontanate dalla casa dei genitori proprio perché omofobi, lesbofobi o transfobici e che quindi per Natale saranno forzatamente sole.
Dunque, senza nulla togliere ai segreti degli altri, le persone lgbt+, sul piano emotivo, per Natale stanno peggio.
Molte, moltissime infatti scelgono di non raggiungere la famiglia per Natale, Anche a costo di pentirsene, magari dopo anni, come è accaduto ad Alessandro che adesso di anni ne ha 57.
"Avevo fatto coming out con mamma, fu doloroso ma dopo tempo accettò. Però era la piccola di diverse sorelle che non ero sicuro sapessero di me. Così, quando è venuta a mancare ho smesso di sentirle e di vederle, quindi anche in occasione del Natale si erano spezzati i legami". Perché non parlargliene? "Fingermi etero sarebbe stata una mancanza di rispetto nei miei stessi confronti, d'altro canto non sapevo come avrebbero reagito loro, che erano anziane, a un mio eventuale coming out, magari forzato dalla domanda di rito non hai una fidanzata? così ho taciuto e mi sono allontanato. Oggi, dopo quasi trent'anni, loro non ci sono più e mi chiedo se forse non ho fatto una sciocchezza a privarmi di quei momenti".
A patto che si viva una condizione assolutamente priva di rischi per la propria incolumità, Alessandro consiglierebbe di tentare di sanare i rapporti, "fosse anche per poche ore, quelle di un pranzo".
La tradizione di riunirsi con la famiglia può essere causa di apprensione per chiunque non si senta pienamente libero o libera di essere pienamente sé stesso o sé stessa e inoltre, per molte persone non binarie o lgbt+ significa avere a che fare con persone che non fanno segreto della loro omofobia, che siano genitori, zii o amici di famiglia.
Alice è una donna bisessuale che legge, da sempre, "qualsiasi ricorrenza passata in famiglia e coi parenti come un incubo" per via del trattamento che le riservano.
Delle festività Natalizie, in particolare, "dove ci si rimpinza e ci si scambia oggetti come se il resto dell'anno non ci riempissimo già di queste cose, dovendo interpretare un'armonia familiare e un affetto inesistenti, ne ho la nausea a questo punto. Sentirmi chiedere Quando ti sposi?, Quando fai i figli? e veder considerare le mie ex come se fossero unicamente delle amiche e vedere le loro di famiglie fare altrettanto con me è diventato sempre più intollerabile". Ormai "non sono più una ragazzina e cerco di vivere la mia vita come meglio credo per me. Infatti ho rotto tutti i ponti e quando sento la parola famiglia mi paralizzo. Per me significa solo umiliazioni, disprezzo, violenza, esclusione perché non hai saputo conformarti alla famiglia col bambino nella mangiatoia della donna angelica, casta, totalmente votata e sottomessa alla famiglia".
E Alice da qualche anno preferisce passare il Natale alle mense delle persone povere insieme a chi "come me, ha bisogno di essere ascoltatə, per cui un regalo e un pasto caldo circondata da un calore sia ambientale che emotivo che non vuole essere né pietismo né giudizio, possono davvero fare la differenza".
Di recente G. ha dovuto interrompere ogni comunicazione con la madre e con il fratello e la sorella maggiori, con i quali era molto legato fino a quando la relazione che viveva con un ragazzo non è diventata seria.
"Siamo andati a vivere insieme e stiamo pensando all'unione civile ma la mia famiglia non ha preso bene nemmeno la notizia della convivenza", ​​racconta il ragazzo."Mia madre mi ha detto che non ha dato alla luce un bambino gay e che non avrebbe mai partecipato a un matrimonio gay, mentre mia sorella (in precedenza la mia più stretta alleata) si è rifiutata di incontrare il mio ragazzo trovando scuse ridicole".
La relazione e la scelta di viverla pienamente sono state paragonate, dalla famiglia di G. alla "vendita di droga", ricorda, ed è stato accusato di mettere la sua felicità prima del benessere della famiglia. Opinioni, direbbe qualcuno, ma sono gesti violentri che hanno messo G. nell'unica posizione possibile: scegliere di allontanarsi.
"Trascorrere del tempo con una famiglia che crede che la queerness sia una devianza o contro natura crea un disagio che solo chi lo vive può comprendere: è umiliante, doloroso, alienante, Io ho scelto di andarmene e non tornare".
"L'alternativa", continua, "è controllarsi continuamente e nascondere parti di sé perché potrebbero scioccare la zia o l'amico di papà, non poter parlare della persona che ami o con cui si convive né tantomeno invitarla. Devi fingere di essere chi non sei durante un periodo che dovrebbe essere ricco di affetto, di autenticità e gioia e che invece è una minaccia per la salute mentale".
Quest'anno G. trascorrerà il Natale con amici e amiche che non lasceranno la città d'elezione, una città a nord nella quale G. divide casa con il suo ragazzo ormai da oltre un anno: "Abbiamo una chat di gruppo di persone queer e alleate che vivono qui", spiega, "ci siamo confrontati su chi scende giù per le vacanze e chi invece resta: saremo circa una decina a festeggiare il Natale. Lo faremo insieme, siamo una famiglia".
Sarai sol*? Va bene e ricorda: sono solo 24 ore
Le associazioni ci tengono a specificare che va bene avere paura della prospettiva di trascorrere il Natale da solo o da sola, soprattutto se è la prima volta: basta tenere a mente che è solo un giorno e che possiamo farcela. Comunque ci si senta in questo momento, non è una sensazione che durerà per sempre.
In ogni caso ecco qualche numero utile:
La Gay Help Line italiana risponde al numero
800 713 713 di Gay Center
o anche via chat grazie a speakly.org
Si può avviare una chat anche con Arcigay o ancora contattare il Telefono Azzurro per la Linea di Ascolto 1.96.96, per bambini, adolescenti e adulti: è un servizio gratuito e accoglie le richieste di aiuto provenienti dal territorio nazionale h24, 7 giorni su 7.
C'è infine il non stop natalizio del Telefono Amico Italia: un servizio telefonico completamente gratuito al 02 2327 2327
o anche via whatsapp
al 324 011 72 52.
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yoursweetberry · 26 days
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Mi sento solo una fallita, perché l’ansia e la depressione mi controllano, perché i pensieri negativi vincono sempre, perché sembra che io non meriti niente di buono.
Ho voglia di vederti e di stare con te che non lo puoi nemmeno immaginare quanto e vengo da giorni in cui mi sembra infinito il tempo che sto aspettando e poi mi succede questo, che prima sto sotto terra per l’accumulo di tutto, poi ci provo lo stesso nonostante tutto, nonostante possa raccogliere solo le briciole e poi si mettono i fattori esterni del cazzo.. e quando si risolvono? quando già è tardi e già tutto mi è andato a fanculo
Io non lo so se qualcuno mi può capire, vorrei solo mi capissi.. lo so che ti sembro solo una pazza, che leggendomi lo avrai pensato e ci credo
ma non è per oggi, questo che mi sta facendo scoppiare oggi è solo la goccia stupida che ha fatto traboccare il vaso pieno di mille altre cose e pensieri
io sto in uno stato di sofferenza che mi sta uccidendo il cervello e tutto il mio corpo perchè sento il dolore ovunque e non ce la faccio più vorrei solo un po’ di pace vorrei solo sentirmi dire che va tutto bene che devo solo respirare e invece più sono sola più vado in tilt e più penso a tutto quello che hanno gli altri e io no e mi sento il cuore in mille pezzi
forse oggi doveva andare così, ma non riesco ad accettarlo perchè vorrei solo correre da te e vorrei solo sentirti vicino, ma per come sto ora avrei bisogno di ció che non posso avere e sono troppo vulnerabile per non averlo e sto soffrendo qua da sola mentre magari tu riesci a stare serena e sorridere stando bene comunque senza di me
non ce la faccio più perché nessuno ci tiene per davvero a me? perchè devo sempre soffrire da sola?
mi sta venendo da vomitare.. non ce la faccio più
21:56
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ross-nekochan · 1 year
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Sono giorni in cui sento la solitudine forte e chiaro. Non è la solitudine di cui ho parlato le scorse volte, in cui ero sola ma accettavo la mia condizione. Questa è diversa.
È una solitudine dove ti senti individuo unico: una monade.
Sarà stata la botta di due giorni fa, più il fatto che ora una coinquilina si è licenziata e l'altra è tornata a casa questo weekend, quindi sono partita sola per ritrovarmi di nuova sola.
Ma perché gli esseri umani si sentono soli e sono tristi per questo? Sarà uno di quegli istinti inspiegabili della biologia umana? Ci sta, in fondo persino gli animali vivono in gruppo, spesso perché si sopravvive come specie meglio insieme che da soli. Forse ci portiamo appresso questo bagaglio biologico e, avendo creato intere società, non riusciamo più a farne a meno, né della cooperazione né del contatto umano.
Ieri pomeriggio dopo aver letto tanto, non sapevo più come distrarmi e mi sono messa sotto le coperte. Ero stanca ma senza sonno. Avrei potuto piangere un po' ma non l'ho fatto. Ero quasi tentata dal riempire quel vuoto mangiando. Come al solito. Il mio fantastico metodo disfunzionale per gestire le emozioni negative. Oggi, invece, mi sono fatta una foto indecente in accappatoio.
In fondo, sono entrambi metodi per avere uno spike di dopamina. Il cibo, la foto (l'erotismo che ne consegue), il sesso, l'alcol, la droga: in fondo fanno tutte la stessa cosa ed è il motivo per il quale ne siamo ghiotti. Siamo proprio macchine perfette, tese continuamente a ristabilire i disequilibri organici e ormonali attraverso azioni che sembrano dettate dal niente... e invece col cazzo.
Forse ho veramente uno squilibrio in testa come mia nonna e ho bisogno degli psicofarmaci. Forse la mia costante depressione è peggiorata veramente. Forse ha ragione lei a dire che ha paura e che è preoccupata per me per il peggio, specie adesso che sto per andarmene lontano. In fondo una volta lì sarò davvero una monade ed esserci o non esserci sarà quasi impercettibile per chiunque, persino per me stessa.
Mi è ritornato di nuovo l'eterno dilemma del voler capire perché è così necessario per l'essere umano amare ed essere amati. Potrei prenderlo come un dogma, come la gente fa con le religioni, col veganesimo o con altre cose: è così punto e basta. E invece no. Perché ne abbiamo bisogno? Perché non essere amati adeguatamente causa certe ferite dilanianti dentro? Adeguatamente poi è pure un concetto estremamente soggettivo. Infatti amare è tutto un gioco di incastri per cui si sta in pace nel momento in cui il tuo modo di amare mi appaga e viceversa. Se non è così, è tutto un gioco di compensi e di accontentarsi.
Però io sogno sempre di poter sfidare le leggi dell'essere umano, di poter essere l'unica al mondo che non ha bisogno di essere amata e vivere perfettamente in pace con sé stessa così. Poi invece una persona a caso mi fa un complimento a caso e capisco che sono lontana trilioni di anni luce dall'essere quella che vorrei essere. Sempre perché è l'inesistenza della mia autostima che mi fotte, così credo almeno.
Chissà se esiste o se è mai esistita nel mondo una persona sola. Magari triste il giusto, però sola. Senza una relazione amorosa, senza famiglia e con giusto qualche affetto lontano. (Già solo a pensarlo, sembra una cosa impossibile. Ma perché sembra così impossibile pensare a un essere umano in una condizione del genere senza che sia in un'isola deserta?) Se sì come è morto? È morto di vecchiaia? Si è suicidato? Se sì, lo ha fatto in pace o in tormento? Avrà scritto un diario o un romanzo su di sé? Forse dovrei cercare, per non sentirmi sola...
Ecco, di nuovo la mia natura di essere umana mi riporta a voler sentire una connessione, un contatto umano. Non c'è scampo.
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