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NE ZABORAVI BATKOVIĆ
Piše: Jusuf Trbić Nedjelja 13. aprila. U Batkoviću, na mjestu nekadašnjeg koncentracionog logora, grupa ljudi skromno i tiho obilježava godišnjicu otvaranja ovog mučilišta, koje je na suđenjima u Hagu nazvano logorom smrti. Sastali su se bivši logoraši da još jednom ožive uspomene na neopisive patnje kojima su bili izloženi, samo zato što su imali pogrešna imena i što su se našli na putu…
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Prvi koncentracijski logor u NDH bio je u Koprivnici.
KOPRIVNIČKI HOLOKAUST – OBLJETNICA Noć u kojoj su odveli naše susjede i njihovo 51 dijete Za kulturu sjećanja na II. svjetski rat u našem gradu, a podsjetimo da je to današnja memorijska baština Europske unije i cijelog svijeta, od velike je važnosti datum na koji se dogodio koprivnički holokaust 22. na 23. srpnja, a prema nekim podacima 23. na 24. srpnja 1941. godine. Na taj datum je u jednoj…

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Portreti iz logora
Nada Tomić i Milka Protić Aneta Andrejević Milica Šuvaković Jelena Glavaški
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Ladakhi Woman - Chris Rainier
"High in the Himalayan mountains of Northern India close to the Tibetan border lies the remarkable territory of Ladakh. Predominantly Buddhist, Ladakh's landscape is sparse and rugged, almost lunar, with little vegetation and austere but beautiful monasteries perched on its isolated peaks. Returning back here to continue a photographic documentation that I began forty years ago, I am doing a series of portraits of the region’s wonderful traditional Buddhist costumes and dance rituals. Here is a portrait that we did at Thiksey Monastery this week of Stanzin Angmo wearing a traditional Ladakhi perak headdress and logor cape. Stanzin's headdress is adorned with turquoise, coral and lapis lazuli. Passed down from mother to elder daughter, it is 4 generations old."
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Solo per tre aspetti le masse meritano attenzioni: come copie evanescenti di grandi uomini fatte su carta cattiva e lastre logore; come ostacolo contro i grandi, e infine come strumenti dei grandi; per il resto che se le prenda il diavolo e la statistica.
Nietzsche - Maestro del sospetto
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Instagram è una vetrina. Ma non di quelle polverose di un negozio d’antiquariato, dove trovi cose vere, logorate dal tempo, con qualche difetto che le rende affascinanti. No, è una vetrina lucidata a specchio, dove non guardi gli altri, ma guardi te stesso riflesso e ti chiedi: "Perché io non sono così?"
C'è questa pressione costante, sottile, appiccicosa come umidità in estate. Devi essere sempre bello, sempre felice, sempre al massimo. La pelle liscia, il corpo tonico, il sorriso spontaneo ma perfetto, la vita avventurosa ma ben illuminata, la foto naturale ma scattata ventisette volte fino a trovare l’angolazione giusta. E se non lo sei? Se hai occhiaie perché la vita è fatta anche di notti insonni, se hai qualche chilo in più perché hai mangiato un piatto di pasta senza pensare ai carboidrati, se sei triste senza sapere perché? Sei fuori. Sei rotto. Sei sbagliato.
Ma la verità è che la perfezione è una truffa. Non esiste. È un’idea venduta a pacchetti pubblicitari tra uno scroll e l’altro. Ti dicono che devi volere quella pelle, quei vestiti, quel corpo, quella casa minimalista con la luce giusta. E tu ci caschi, perché vuoi sentirti come loro. Vuoi essere accettato, amato, desiderato. Ma loro chi? Nessuno. Un pubblico invisibile che non si accorgerà nemmeno se domani sparisci.
La vita vera è altrove. È fatta di cose che non stanno bene in una foto: di risate sguaiate che ti fanno venire le rughe, di pianti improvvisi senza filtri, di giornate in cui non succede niente di memorabile ma che comunque valgono la pena di essere vissute. È fatta di errori, di sbagli, di imprevisti. Ed è lì che trovi la vera bellezza, non nei post perfetti, non nei reels sincronizzati con la musica del momento.
Forse dovremmo smettere di misurarci con immagini ritoccate e iniziare a guardarci davvero. Accettare che la vita è fatta di alti e bassi e che non dobbiamo essere sempre all’altezza di uno standard imposto da nessuno. Smettere di vivere per un pubblico e iniziare a vivere per noi stessi. Perché alla fine della giornata, quando lo schermo si spegne e restiamo soli con i nostri pensieri, l’unica cosa che conta davvero è se siamo in pace con chi siamo, senza bisogno di filtri
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“the chinese dress” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Le strade lastricate di ciottoli grezzi e le facciate logore dei palazzi antichi costituivano lo sfondo mutevole per la sua passeggiata senza meta. Lei, una figura solitaria in un abito cinese bianco ornato da eleganti pavoni colorati, si muoveva con una grazia discreta, i suoi lunghi capelli lisci e neri scivolavano lungo la schiena come un fiume d'ebano.
Nessuno poteva dire chi fosse o da dove venisse. La città, con la sua atmosfera intrisa di storia e di segreti, sembrava accoglierla con un sussurro sommesso di benvenuto. Era come se fosse destinata a vagare tra le strade tortuose, un'estranea ammaliante in un mondo di sogni e illusioni.
I suoi passi erano misurati, una danza silenziosa tra i vicoli tortuosi e le piazze affollate. Non c'era fretta nei suoi movimenti, solo una calma contemplativa mentre assorbiva l'atmosfera della città che viveva e respirava intorno a lei.
Attraversò antichi vicoli lastricati, dove le pietre portavano i segni indelebili del tempo. Il profumo del pane appena sfornato si mescolava con l'odore pungente del caffè, che si alzava dalle piccole caffetterie nascoste tra gli edifici storici. La vita quotidiana pulsava nelle strade, una sinfonia di voci, odori e movimenti che creava un tappeto vivente sotto i suoi piedi.
La donna bruna si fermò di fronte a una chiesa antica, le sue guglie si stagliavano contro il cielo color turchese. Un sorriso sottile sfiorò le sue labbra mentre osservava i dettagli scolpiti nella pietra, testimoni silenziosi di secoli di storia e devozione umana.
Continuò il suo cammino, incrociando sguardi fugaci con gli abitanti della città. Ogni sguardo raccontava una storia, un frammento di vita vissuta, di speranza e di dolore. C'erano occhi luminosi pieni di gioia e occhi stanchi segnati dalla fatica, ma tutti parlavano lo stesso linguaggio universale dell'umanità.
La luce del pomeriggio si attenuava gradualmente mentre la donna bruna si avvicinava al fiume che attraversava la città. Le acque scure riflettevano timidamente i raggi del sole, creando un gioco di luci e ombre sulle sue sponde. Si sedette sul parapetto di pietra, lasciando che il suono rilassante del flusso d'acqua cullasse la sua mente.
Chissà cosa avesse portato quella donna bruna nelle strade di quella città? Forse era alla ricerca di qualcosa o forse semplicemente seguiva il flusso della vita, senza sapere cosa il destino avesse in serbo per lei. Ma in quel momento, sotto il cielo che si tingeva di arancione e rosso, accanto al fiume che scorreva placido, era semplicemente una presenza, un'anima in viaggio nel labirinto delle esperienze umane.
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Pavelićevu unutarnju politiku nije prihvaćao veliki broj Hrvata zbog njegovog zatvaranja političkih neprijatelja i Židova, koji su bili prihvaćeni u hrvatskom društvu. Njemački utjecaj na Hrvatsku vodio je do donošenja zakona o zatvaranju Židova što je u narodu dočekano s nevjericom s obzirom na to da su veliki broj visokopozicioniranih časnika Domobranstva činili Židovi, kao što su i supruge nekih ministara bile Židovke. Josip Frank, poznati pravaški političar i čovjek u čijoj je stranci bio i sam Pavelić, također je bio Židov do svoje 18 godine kada je prešao na katoličku vjeru. Među ustaškom logorima najpoznatiji je Sabirni logor Jasenovac, gdje je, prema pretpostavkama, stradalo od 70 000 - 80 000 ljudi. U početku je Ustaški pokret bio isključivo antisrpski, da bi se kasnije, pod utjecajem njemačke politike, pretvorio i u antisemitski. Kako se Srbi sve više i više počinju buniti protiv ustaškog režima, Pavelić osniva Hrvatsku pravoslavnu crkvu u nadi da će smiriti Srbe. Pavelić je time slijedio i politiku Ante Starčevića koja je držala kako su hrvatski Srbi zapravo hrvatski pravoslavci.
bro,. bro., god.,,,., bi,,.,..
#i put it through google translate and its talking about croatia and judaism what is going on#why am i getting history classes in croatian#lol.obj#blackout poetry#pro endo#endo safe#endo friendly#anti rq#radqueers fuck off
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Mi son chiesta mille volte il perchè dei tuoi silenzi
sforzandomi a trovare un diagolo con te
anche nei momenti no
Ti ho aperto porte che non avrei mai pensato di aprire a nessuno
Consegnato chiavi ormai logorate dagli eventi e dal tempo
E sono rimasta, sempre e comunqune dietro tutti i nonostante tutto
Sono giunta al limite, ho dato il massimo, e forse anche di più..
solo per viverti, o meglio viverci..
ora non so più quale strada intraprendere
e resto qui, in un dolce quanto difficile e pungente silenzio..
non posso darti di più..
non ne sono in grado..
mi spiace...

Orme dell'Anima
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Godišnjica logora Batković
KROZ OVAJ LOGOR PROŠLO JE 4.000 LJUDI IZ CIJELE DRŽAVE: U Bijeljini će u nedjelju biti obilježene 33 godine od… (…) otvaranja logora “Batković”, kroz koji je, prema podacima Saveza logoraša Bosne i Hercegovine, prošlo oko 4.000 ljudi iz cijele države. Nedim Trebinčević zvani Bego u logor “Batković” je doveden u septembru 1994., s nepunih 19 godina, nakon što je protjerano stanovništvo Janje.…
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a questo punto sembrerò un'invasata monotematica ma GUARDATEVI CIRCEO QUESTO MARTEDI E IL PROSSIMO. meglio ancora se con i vostri padri, fratelli, amici, fidanzati. specialmente se siete giovanissim* e non avete contezza di come vanno queste faccende ma anche se un pochino ne avete: la messa in scena concretizza e rende più consapevoli. vedrete le cose oscene che gli assassini si inventano al processo per passarla liscia, vedrete la vittimizzazione secondaria, vedrete quanto fanno schifo certi avvocati, quanto abbiano dovuto urlare le femministe per far sì che l'attenzione non scemasse. vedrete la giustizia che parte a mille e poi si accartoccia perché già due anni dopo l'onda emotiva attorno al massacro evapora lentamente, in aula e alle messe in memoria iniziano a mancare le persone che poco tempo prima sembravano irriducibili. vedrete le famiglie logorate che a un certo punto accettano i risarcimenti in denaro perché non ce la fanno più. guardatevi circeo perché racconta un caso preciso, con coordinate precise, ma anche la storia di TUTTI i processi alla violenza di genere che con giulia cecchettin potrebbe verificarsi di nuovo perché quasi 50 anni il femminismo si è illuso di aver fatto cambiare qualcosa e invece siamo sempre punto e a capo e ogni medium vale per sviluppare la tantissima consapevolezza che ci serve per capire in che pantano socio-culturale siamo.
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Da: FUOCO GRIGIO - di Gianpiero Menniti
LUOGO CHE ATTENDE
Protetto dai colori del bosco, si rivela improvviso allo sguardo, esibendo l’ombra della soglia.
Rifugio.
Possiede i suoni della natura.
E la cadenza dei miei passi sul sentiero impastato di foglie, di legno e di terra abbrumata.
Chiede silenzio, come gesto di saluto.
Bisogna avvicinarsi, non troppo.
Con fortuna, alla giusta distanza, appoggiata la schiena al terrapieno, ecco che il fruscio dal timbro morbido diviene voce antica, sottile e vibrante.
Narra.
Ogni racconto è limpido.
Ogni durezza è sciolta.
Ogni mondo è lontano.
Il tempo rallenta.
L’istante è sorriso.
Adesso, tutto può accadere.
Ancora una volta.
Tra le pagine logore di una fiaba.
#thegianpieromennitipolis#racconti brevi#racconti#daniela silvi#fuoco grigio#fotografia artistica#fotografia
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APRE IL PRIMO MUSEO DELLE COSE RITROVATE

A Verrucchio, un piccolo paese in provincia di Rimini, ha aperto il primo museo dedicato agli oggetti abbandonati. Si chiama Micro ed ha sede nel Torrione delle Mura di San Giorgio.
Oggetti apparentemente insignificanti, abbandonati o dimenticati, sono esposti come se fossero opere d’arte e catalogati come reperti archeologici. L’idea alla base del Museo dell’Oggetto Ritrovato è quella di recuperare il vecchio rapporto tra le persone e le cose e di mettere in luce il contrasto tra la vita effimera degli oggetti moderni e il rapporto profondo che l’umanità aveva con le cose in passato, quando gli oggetti erano progettati per durare. In un’epoca in cui gli oggetti sembrano nascere per durare poco e vengono rapidamente sostituiti, il museo invita il pubblico a riconsiderare il valore intrinseco degli oggetti e ad affezionarsi ad essi, indagando il rapporto fra l’uomo e le cose.
“Le cose rifiutate, talora ridotte a frammenti, parlano di noi e della nostra storia recente, quanto le pagine di un trattato di sociologia o di antropologia. Oltre ad avere un potere evocativo, affettivo ed estetico straordinario che non può non far breccia nell’anima delle persone” racconta Gabriele Geminiani, ideatore del progetto. “Ho sempre subito il fascino delle povere cose abbandonate al proprio destino nei greti dei fiumi come sulle battigie invernali. Si tratta di cose logore delle quali mi ferisce profondamente lo stato di abbandono unito a quello del degrado, dello sfinimento, dell’agonia… Perché senza una loro casa le idee come i sogni, restano chiusi nel cassetto”
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Fonte: Rimini Today; Artribune
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La lotta al liberalismo si fa con frasi logore invece che con un'autentica rivoluzione di ogni essere e di ogni sapere. Il nostro pensiero quotidiano affonda sempre più profondamente nelle fondamenta insuperate del liberalismo.
-Martin Heidegger
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Today, in Bosnia and Herzegovina, we commemorated the day of the white headbands. On the 31st of May 1992, the Army of Republica Srpska ordered the non-Serb population of Prijedor, and later, some other places to wear white bands around their arms, and to put white bands on their windows. This was the start of systemic executions, rapes, openings of concentration camps, deportations and other crimes against all non-serb members of the population (mainly Bosniaks and Bosnian Croats). At least 3176 people were killed. Around 27 000 people survived these concentration camps. Among the dead victims were also many kids, aka aged under 18. The 3 notorious concentration camps were Keraterm, Omarska, and Trnopolj.
Btw, the real word in Bosnian is 'logor', which means smth like a concentration camp. Idk if there is any other direct translation

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È morto il Sup Galeano. È morto come è vissuto: infelice.
Questo sì, si preoccupò, prima di morire, di restituire il nome a colui che è carne e ossa ereditati dal maestro Galeano. Ha raccomandato di tenerlo vivo, ovvero, di lottare. È così che Galeano continuerà a camminare su queste montagne
Per il resto, è stato qualcosa di semplice. Ha iniziato a cantilenare qualcosa come “lo so che sono finito, finito, finito”, e, subito prima di spirare disse, o meglio domandò: “I morti starnutiscono?”, e caput. Queste furono le sue ultime parole. Nessuna citazione da lasciare alla storia, né da scolpire su di una lapide, né degna di un aneddoto da raccontare davanti al fuoco. Solamente questa domanda assurda, anacronistica, estemporanea: “I morti starnutiscono?”.
Poi rimase quieto, sospesa la stanca respirazione, gli occhi chiusi, le labbra finalmente ammutolite, le mani logore.
Uscimmo. Quasi al punto di uscire dalla capanna, già sulla soglia della porta, sentimmo uno starnuto. Il SubMoy si voltò per guardarmi e io voltai verso di lui, pronunciando un “salute” appena accennato. Nessuno dei due aveva starnutito. Ci girammo verso dove si trovava il corpo del defunto e nulla. Il SubMoy disse solamente “buona domanda”. Io non pronunciai neanche una parola, però pensai “sicuramente gli sarà finita la luna nell’orbita di Callao” [Citazione della canzone in difesa della follia “Balada para un loco” di Adriana Verela – riferimento alla perdita di senso nel discorso del SupMoy ].
Questo si, ci siamo risparmiati la sepoltura. Anche se ci siamo persi caffè e tamales.
-*-
Lo so che a nessuno interessa l’ennesima morte, e men che tutto quella del defunto SupGaleano. In verità, vi racconto tutto questo perché è lui che ha lasciato quella poesia di Rubén Darío con cui inizia questa serie di testi. Tralasciando l’evidente ammiccamento al Nicaragua che resiste e persiste – che si potrebbe anche vedere come un riferimento all’attuale guerra dello Stato di Israele contro il popolo palestinese, anche se, al momento della sua morte, non era ancora ripreso il terrore che sconvolge il mondo –, lasciò questa poesia come riferimento. O meglio come risposta a qualcuno che domandò come spiegare quello che sta succedendo in Chiapas, in Messico e nel mondo.
E, chiaramente, come un discreto omaggio al maestro Galeano –da cui ereditò il nome–, disse colui che chiamò un “controllo di lettura”:
Chi ha iniziato? Chi è colpevole? Chi è innocente? Chi è buono e chi è cattivo? In che posizione si trova Francesco d’assisi? Perde lui, il lupo, i pastori o tutti? Perché l’Assisi concepisce che si faccia un accordo basandosi sul fatto che i lupo rinunci a essere ciò che è?
Aunque esto fue hace meses, el texto concitó alegatos y discusiones que se mantienen hasta la actualidad. Así que les describo una de ellas:
Anche se questo è successo mesi fa, il testo ha sollevato accuse e discussioni che si mantengono vive nell’attualità. Così che ne descrivo una di queste:
Si tratta di una specie di riunione o di assemblea, o qualcosa come un tavolo di dibattito. C’è il meglio di ogni dove: dotti specialisti tuttologi, militanti e internazionalisti di qualsiasi causa, meno che quella della loro geografia, spontaneisti con dottorati in social network (la maggioranza), e l’uno o l’altro che, vedendo il rumore, si avvicinano a vedere se stanno regalando secchi, cappelli o magliette con il nome del partito che sia. Non in pochi ad essersi avvicinati per scoprire il motivo di tanto clamore.
– Non sei altro che un agente del sionismo imperialista ed espansionista», ha gridato uno di loro.
–»E tu sei solo un propagandista del terrorismo arabo musulmano fondamentalista!” – rispondeva un altro, furioso.
C’erano già stati diversi esordi di rissa, ma ancora non si era andati oltre qualche spintone del tipo: «ci vediamo fuori».
Si è arrivati a questo punto perché si sono messi ad analizzare la poesia di Rubén Darío «Los Motivos del Lobo».
Non era stato tutto uno scambio di aggettivi, frecciatine e smorfie. Era iniziato come tutto il resto da quelle parti: con buone maniere, frasi incisive, «interventi brevi» – spesso della durata di mezz’ora o più – e una profusione di citazioni e note a piè di pagina.
Naturalmente, si trattava di un dibattito tutto per maschi, perché organizzato dal cosiddetto «Hypertextual Toby Club».
«Il Lupo è il buono», ha detto qualcuno, «perché ha ucciso solo per fame, per necessità».
«No», argomenta un altro, «è lui il cattivo perché ha ucciso le pecore, che erano il sostentamento dei pastori». E lui stesso ha riconosciuto che «a volte ha mangiato agnello e pastore».
Un altro: “I cattivi sono gli abitanti, perché non hanno mantenuto l’accordo”.
E un altro: “la colpa è dell’Assisi, che ha ottenuto l’accordo chiedendo al lupo di smettere di essere lupo, fatto di per sè questionabile, e poi non è rimasto per mantenere la promessa”.
O più in là: “Ma l’Assisi sottolinea che l’essere umano è malvagio di natura”.
Si ripetono da una parte dall’altra. Ma si vede che, se in questo momento si facesse un sondaggio, il lupo avrebbe un abbondante vantaggio di due palmi sul villaggio di pastori. Ma un’abile manovra sui social network, ha ottenuto che l’hashtag “lupoassassino” fosse TT molto di sopra a #morteaipastori. Così che la vittoria degli influencer pro pastore è stata netta rispetto ai pro lupo, anche solamente sui social network.
C’è stato qualcuno che ha argomentato a favore di due Stati convivendo sullo stesso territorio: lo Stato Lupo e lo Stato Pastore.
E qualcun altro su di uno Stato Plurinazionale, con lupi e pastori, convivendo sotto lo stesso oppressore, scusate volevo dire lo stesso Stato. Un altro ha risposto che questo era impossibile, visti gli antecedenti di ambo le parti.
Un signore in giacca e cravatta si alza e chiede la parola: “Se Rubén (disse così ovviando al Darío), ha intrapreso la sua strada a partire dalla legenda di Gubbio, noi potremmo fare lo stesso. Diamo seguito alla poesia:
I pastori, avvalendosi del loro legittimo diritto di difendersi, attaccano il lupo. Prima distruggono la sua tana con i bombardamenti, poi entrano con i carri armati e la fanteria. Mi sembra, cari, che la fine sia certa: la violenza terroristica e animale del lupo viene annientata e i pastori possono continuare la loro vita bucolica, tosando le pecore per una potente impresa multinazionale che produce vestiti per un’altra impresa multinazionale altrettanto potente che, a sua volta, è debitrice di un’istituzione finanziaria internazionale ancora più potente; questo porterà i pastori a diventare efficienti lavoratori della propria terra – questo sì con tutti i benefici delle prestazioni lavorative di legge – e a elevare il villaggio a standard da primo mondo, con moderne autostrade, alti edifici e persino un treno turistico dove i visitatori di tutto il mondo potranno ammirare le rovine di quelli che un tempo erano prati, foreste e sorgenti. L’annientamento del lupo porterà pace e prosperità nella regione. Certo, alcuni animali moriranno, indipendentemente dal numero o dalla specie, ma sono solo danni collaterali perfettamente trascurabili. Dopo tutto, non si può chiedere alle bombe di distinguere tra un lupo e una pecora, né di limitare la loro onda d’urto per non danneggiare uccelli e alberi. La pace sarà conquistata e nessuno sentirà la mancanza del lupo».
Qualcun altro si alza e sostiene: “Ma il lupo ha l’appoggio internazionale e abita in quel luogo da prima. Il sistema ha tagliato alberi per far posto ai campi per il pascolo, e questo ha alterato l’equilibrio ecologico, riducendo il numero di specie di animali che il lupo mangiava per vivere. Bisogna aspettare che i discendenti del lupo si prendano la giusta vendetta”.
“Ah, quindi il lupo uccideva anche altri esseri. È uguale ai pastori”, replica qualcuno.
Così hanno continuato, portando delle così buone motivazioni come quelle qui riportate, piene di arguzia, sfarzi di erudizione e molti riferimenti bibliografici.
Ma la moderazione non è durata a lungo: la discussione si è spostata dal lupo e dai pastori alla guerra Netanyahu-Hamas, ed è degenerata fino al punto che è alla base di questo aneddoto, giunto a noi per gentile concessione post mortem dell’ormai defunto SupGaleano.
Ma in quel momento, dal fondo della sala, si è alzata una piccola mano per chiedere la parola. Il moderatore non riusciva a vedere di chi fosse la mano, così concesse la parola “alla persona che sta alzando la mano dal fondo”.
Tutti si girarono a guardare ed erano a punto di lanciare un grido di scandalo e riprovazione. C’era una bambina che teneva in braccio un orso di peluche che quasi la uguagliava in statura, vestita con una camicia bianca con ricami e un pantalone con un gattino vicino al malleolo destro. Ovvero, il classico “outfit” da festa di compleanno o qualcosa di simile.
La sorpresa fu tale che tutti rimasero in silenzio con gli sguardi fissi sulla bambina.
Lei si mise in piedi sopra la sedia, pensando che così la ascoltassero meglio e domandò:
E le creature?
La sorpresa si fece mormorio di condanna: quali creature? Di cosa parla questa bambina? Chi diavolo ha fatto entrare una donna in questo sacro recinto? E peggio ancora una donna bambina!”
La bambina scese dalla sedia e, sempre portando con sé il suo orsetto di peluche con chiari segni di obesità -l’orso si intende-, si diresse verso la porta d’uscita dicendo:
“Le creature. Ovvero, i cuccioli del lupo e i cuccioli dei pastori. I loro piccini. Chi pensa a queste creature?
Con chi parlerò? E dove andremo a giocare?”
Dalle montagne del Sudest Messicano
Capitano Insurgente Marcos.
Messico, ottobre 2023.
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