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The Scientist - O La Divorziando!Au Che Avevo Promesso Di Scrivere
Milena, direte voi, cosa ne stai facendo della tua vita? Beh, niente. Guardo serie tv. Solo che ora come ora mi sono messa a vedere Atypical e sfortunatamente per voi due puntate mi sono bastate a desiderare di angstare a tutto spiano, per cui eccovi serviti. Due piccole avvertenze: questa è una au, which means che i nostri piccioncini sono sposati ma non sono cantanti. Fabrizio gestisce un negozio di musica, Ermal invece qui è, a ispirazione del titolo, uno scienziato. E’ rilevante ai fini della storia solo per sapere che le tempistiche del loro esseri conosciuti sono diverse dalla realtà, erano molto più giovani qui, e per sapere che no, Fabrizio non ha dei figli. Enjoy. Il prompt era semplicemente la richiesta di una song fic su The Scientist, io ho unito le due idee. Non c’è di che.
Come up to meet you, tell you I'm sorry You don't know how lovely you are I had to find you, tell you I need you Tell you I set you apart Tell me your secrets and ask me your questions Oh, let's go back to the start
Quando Fabrizio apre gli occhi, la prima cosa che vede è bianco
Un soffitto bianco, delle pareti bianche, delle luci bianche. Dovunque sia, è tutto bianco. 
Gli fa male la testa ed è con fatica che gira appena il capo per guardarsi attorno, cercando di mettere a fuoco la stanza dove si trova. Quando ci riesce, la prima cosa di cui si rende conto è l’uomo seduto accanto a lui, il capo reclinato in avanti e gli occhi chiusi. I ricci scuri gli adombrano il viso su cui figura una leggera peluria sintomo di una barba non fatta da qualche giorno. Nonostante ciò, quello è l’unico segno di incuria che presenta, perché il suo viso, sebbene leggermente corrugato, sembra più riposato del solito. Le occhiaie violacee che sfoggiava tipicamente sono meno profonde, meno gonfie, meno scure, come se avesse effettivamente dormito circa quanto una persona normale. La camicia era perfettamente stirata, spiegazzata solo a causa della posizione innaturale in cui si era appisolato.
Ermal non amava farsi la barba. Gli piaceva avere il viso liscio, ma a volte si scocciava e per qualche giorno mandava a quel paese il rasoio. Probabilmente era in uno di quei giorni.
Osserva le sue dita intrecciate, le mani giunte in grembo. 
Usa muoverle spesso quando è nervoso o stanco o stressato o arrabbiato. Si sfoga così, cercando di scaricare sulle proprie dita o nell'oggetto che sta tormentando la tensione che sente. Ora però sono immobili, rilassate.
E non c’è nessuna fede sul suo anulare.
Qualche mese prima c’era. O meglio, un anno prima c’era. Era incredibile che fosse giù passato un anno da quel momento, da quando seduti al tavolo della cucina dopo una disastrosa cena fuori l’aveva visto rigirarsi quello stesso anello tra quelle stesse dita.
Se lo faceva girare attorno all’anulare, portandolo fino alla nocca quasi nell’atto dello sfilarselo, per poi rimetterselo con un sospiro.
Erano usciti per tentare di andare d’accordo, ancora. Fabrizio l’aveva invitato fuori, nella speranza di fare qualcosa di carino per lui. Aveva prenotato un tavolo al loro ristorante preferito, quello in cui avevano avuto il primo appuntamento serio. Quello dove gli aveva fatto la proposta di matrimonio, esattamente nove anni prima. Dopo sei anni di stare insieme, senza lasciarsi mai, aveva pensato che fosse il momento. Dopotutto, all’epoca Ermal aveva trent'anni e lui trentasei. Non era molto diverso dal lui ventiquattrenne, Ermal. Qualche ruga in più, qualche sorriso in meno. Ma era sempre bello come la prima volta. Lui si che era invecchiato. Dopo i trenta, dopotutto, l’età non era più così clemente. Ma aveva detto sì, Ermal, e si erano sposati in un bel giorno di fine primavera, con l’estate alle porte e il mare che profumava di speranza. 
Era stato un bel matrimonio, il loro, non poteva negarlo. 
Quella sera però, nella penombra di una cucina dove non si erano nemmeno dati la pena di accendere la luce, Fabrizio sentiva che qualcosa stava per rompersi definitivamente. L’aria era pesante, greve, quasi quanto lo sguardo che Ermal rivolgeva a quell’anello che portava al dito come simbolo del loro amore, tormentandolo come se potesse trovarvi una risposta o le parole che voleva dire ma che non aveva ancora pronunciato.
Fabrizio, del canto suo, si era messo a sua volta a giocherellare con la fede che teneva appesa al collo, su una catenina che non si era mai tolto da quel giorno.
La serata era davvero stata un fiasco completo. Non erano nemmeno arrivati al ristorante senza litigare e alla fine avevano lasciato i piatti mezzi pieni lì sul tavolo, sotto lo sguardo allibito dei camerieri e degli altri commensali che avevano seguito la loro lite come se fosse una soap opera horror.
In casa, si erano versati del vino. Avevano già bevuto al ristorante, ma Fabrizio sentiva di aver bisogno di bere ancora per qualsiasi cosa stesse arrivando. Anche Ermal, stranamente, si era bagnato più volte le labbra con il vino prima di scolarsi il bicchiere in due lunghi sorsi, posandolo poi sul tavolo.
Un rumore secco aveva tintinnato per un secondo nella stanza, attraversando l’aria tra di loro. Erano a pochi centimetri di distanza, ma sembravano millemila chilometri.
Ting, aveva fatto il bicchiere.
“Dobbiamo divorziare” aveva fatto Ermal
E tutto il suo mondo gli era crollato addosso in un istante.
Si riscuote da quei pensieri quando Ermal si stiracchia appena sulla sedia di quello che ormai sa essere un’ospedale, aprendo lentamente gli occhi, sbattendoli per la luce.
Quando riesce a mettere a fuoco a sua volta, si accorge che Fabrizio lo sta guardando.
I loro sguardi si incrociano, ma dopo un istante la tensione è troppa ed Ermal sospira, pesantemente, come rassegnato, distogliendo gli occhi dal suo viso
“Sei sveglio” commenta, piano 
Fabrizio si schiarisce la voce. Si sente la gola secca, arida.
“Sono sveglio, sì. Che è successo?” chiede poi. Anche la testa gli fa male, i suoi ricordi che sono solo una confusa accozzaglia. Sa di aver fatto qualcosa di stupido, ma non sa bene cosa. Ricorda solo una strada che puzzava di piscio e vomito, e poi il nulla.
“Non te lo ricordi?” commenta Ermal, sarcastico, e al suo cenno di diniego fa uno sbuffo “Non mi stupisce, Fabrizio. Eri ubriaco. E strafatto. Ti hanno trovato di tutto nel sangue. Anche della cocaina. Cocaina, Fabrizio. Mi spieghi che cazzo ti dice il cervello?”
E’ arrabbiato. Certo che è arrabbiato. Deve aver fatto qualcosa di stupido oltre a drogarsi e bere. Ma che cosa?
Ricorda vagamente di aver camminato a lungo, ma non ricorda quale fosse la sua meta. Sospira, passandosi una mano sul viso vecchio e dolorante, guardandolo.
“Mi dispiace” mormora 
“Ti dispiace? Fabrizio, non me ne frega un cazzo se ti dispiace, lascia che te lo dica chiaramente questa volta. Non puoi fare così, ok? guarda come ti sei ridotto! Devi trovare un modo per tirartene fuori, va bene? E se non ci riesci, se proprio vuoi buttare la tua vita così, allora per favore cerca di non mandare di nuovo in pezzi la mia. Li spaventi, Fabrizio. Hai capito quel che ho detto? Gli fai paura. Le chiamate in piena notte, venire sotto casa nostra... la devi smettere. Io non voglio chiamare la polizia, capisci? Ma stai davvero spaventando anche me adesso e-”
Le sue parole diventano un mormorio arrabbiato e indistinto di sottofondo nella testa di Fabrizio, mentre piano piano i suoi ricordi trovano un modo di rimettersi in fila
Si era fatto, sì. Era andato a cercarlo. Perché stava male, sì. Era andato a cercare Ermal perché stava male e doveva dirgli che aveva bisogno di lui perché tutta la sua vita faceva male se lui non c’era. Ma non era solo quello, no. Doveva scusarsi, sì. Scusarsi per averlo spaventato, l’ultima volta, per aver bussato all’una di notte ad una casa che nemmeno conosceva. Ecco, sì. Ma c’era altro. Era urgente, questo lo sapeva. Doveva dirgli che gli mancava, ecco. Che gli dispiaceva di aver distrutto tutto e che dovevano riprovare, sì. Era quello che era andato a fare. E poi aveva colpito qualcosa o qualcosa aveva colpito lui, ma era per quello che doveva andare da Ermal, per scusarsi e farlo tornare con lui. Proprio quel giorno, poi. Certo. Certo che si. Il suo cervello fa clic. Chiaro.
“Oggi è il nostro anniversario” mormora, a mo di spiegazione, interrompendo  il quieto ma severo rimprovero da parte dell’altro, stroncandolo in pieno.
Ecco perché era così importante che andasse da lui. Era il loro anniversario, quello.
E loro dovevano chiarirsi, ecco tutto.
Avrebbe detto ad Ermal tutto, tutto quello che voleva sapere, pure i segreti che non lo erano più per nessuno ormai, pure quelli che aveva da bambino
Gli avrebbe lasciato chiedere quello che voleva e avrebbe risposto a tutto e alla fine Ermal avrebbe capito e sarebbero tornati insieme
Sarebbero tornati all’inizio di tutto e sarebbero ripartiti con quel “Posso offrirti questo drink o vuoi tirare il tuo nuovo mojito pure in faccia a me?” di quasi diciassette anni prima.
Tornare a quando era solo un bancone di un bar a separarli, e non un’intero anno che aveva la stessa espansione di un’universo. Tornare di nuovo insieme e felici, come era stato.
E come doveva essere.
“No Fabrizio” 
La risposta è secca, brusca, dura.
Si guardano e lui non sa che dire.
“Non è il nostro anniversario, perché noi non stiamo più insieme. E tu... tu devi fartene una cazzo di ragione e smetterla di venirmi a cercare, perché io così non ce la faccio più”
Running in circles, coming up tails Heads on a science apart Nobody said it was easy It's such a shame for us to part Nobody said it was easy No one ever said it would be this hard Oh, take me back to the start
Aveva detto le stesse identiche parole l’anno prima.
Fabrizio se le ricorda bene, anche fin troppo.
Se chiude gli occhi gonfi e doloranti come tutto il suo corpo, può benissimo rivedere la faccia di Ermal davanti a sé, che nella penombra della stanza sembrava ancora più pallida e affilata del solito.
Lo guardava subito dopo avergli detto che dovevano divorziare, impassibile con non mai. Illeggibile. 
“Ermal” l’aveva richiamato, il tono incredulo ma allo stesso tempo tranquillo, come quello di chi cerca di far ragionare qualcuno che ha appena affermato di voler andare sulla luna a piedi per il Capodanno. 
Non aveva fatto in tempo ad aggiungere altro, perché suo marito l’aveva fermato con un cenno della mano, impedendogli di parlare.
“No Fabrizio. Niente Ermal. Io... non ce la faccio più. Basta” 
Il suo tono era pesante, stanco, supplicante a tratti, ma anche estremante piatto e incolore. Quello di chi ha davvero raggiunto un limite che, una volta sorpassato e rotto, non può più aggiustare.
Solo che lui, da quel limite, era ancora troppo lontano. 
Certo, le cose non erano state facili tra di loro ultimamente, litigavano, ma lui amava ancora Ermal. Avevano solo bisogno di tempo, ecco tutto.
E poi, chi era lui per avere il diritto di lasciarlo così? In quel modo, con un semplice dobbiamo divorziare, come se fosse un obbligo, e un basta.
Aveva riso Fabrizio, una risata amara e isterica, il suo cervello che rifiutava di assorbire e districare quelle parole, rigettandole.
“Tutto qui?” aveva chiesto e davanti al suo sopracciglio finemente inarcato, aveva aggiunto “Sei anni di fidanzamento e nove di matrimonio e tutto quello che sai dire è basta?” 
Ermal aveva storto il naso, sospirando amaramente e a lungo, come un adulto che sta per cercare di spiegare per l’ennesima volta qualcosa a un bambino testardo.
“Cos’altro ti devo dire, Fabrizio? Vuoi sentirti dire che sono io che sbaglio? Che non volevo arrivare a tanto? Che non vedo altra soluzione? Che ci proverei ancora e ancora e ancora fino a non avere più un briciolo di felicità addosso? Perché le cose stanno già così, sai” aveva detto, il tono duro e amaro. 
Era arrabbiato. E si stava arrabbiando sempre di più, ad ogni parola che diceva, di quella rabbia rancorosa che ti trascini dietro da tempo e che ogni giorno si fa sempre più acida e che corrode tutto ciò che di buono c’è. Una rabbia di quelle che ti porti addosso così a lungo che alla fine ormai non sai più nemmeno come o perché è iniziata: ti sembra di averla avuta sempre addosso e poi, quando alla fine la sfoghi, come stava facendo Ermal in quel momento, quella gonfia il tuo tono sempre di più.
Paradossalmente, Fabrizio aveva sempre trovato bellissima la rabbia su di lui. Il volto gli si arrossava e i suoi occhi si facevano profondi e lucidi ma scuri, forieri di una tempesta che si stava per abbattere su tutto. Era la rabbia passeggera, quella, Quella che arrivava in un istante e sconvolgeva tutto per poi ritrarsi, lasciandolo nervoso e spossato allo stesso tempo. 
Non era propriamente rabbia però quella, no. Era ardore. 
Lo stesso che poi metteva nei propri fianchi quando premeva le sue mani sul cuscino e lo scopava di forza e di fretta, sfogando così la tensione dei loro litigi o quella che qualcun’altro gli aveva causato.
Ma raramente l’aveva visto così.
Quella rabbia su di lui era terribile. Lo rendeva triste e stanco e consunto, come un vecchio pieno di rimpianto. Era una rabbia fredda, gelida, che covava da così tanto tempo ormai da essere diventata quasi odio. Era orrenda e Fabrizio non poteva credere che quello sguardo vuoto e gelido fosse rivolto verso di lui.
Ermal voleva fargli male. Glielo leggeva in viso. Voleva fargli male e fargli sentire quello che provava anche lui e sapeva come o dove colpirlo.
“O vuoi sentirmi dire che mi dispiace? Che la colpa è mia? Perché a me dispiace Fabrizio: mi dispiace che mio marito non riesca a vedere il fatto che questa cosa che ci portiamo dietro è solo una maschera che mi sta diventando insostenibile reggermi addosso. Mi dispiace che sono anni che non riesco a venire a letto con te decentemente e mi dispiace che da sei mesi ormai non mi scopi nemmeno da ubriaco perché bevi una sera si e l’altra pure, ma questo non è sufficiente. E mi dispiace che tu sia ancora arrabbiato per quella cosa e mi dispiace che tu sia stato il primo a infilarti nel letto di qualcun altro e non fraintendermi, non biasimo né me né te e sì, mi dispiace, ma quello che mi dispiace di più è che tu non riesca ad accettare che io odio questo cazzo di matrimonio quanto lo odi tu, anche se non vuoi ammetterlo, e mi dispiace pure che di divorziare non mi spiace manco per il cazzo!”
Aveva preso un respiro breve e tremante dopo quello sfogo, guardandolo fisso.
“Dimmi cosa vuoi sentirti dire Fabrizio, ti prego. Dimmelo, così io posso dirlo a te e possiamo chiudere finalmente questa cazzo di storia”
Si era lasciato andare contro lo schienale della sedia, in attesa di una risposta.
Fabrizio aveva tirato un sospiro incredulo, facendo un verso sorpreso “Smettila. Smettila adesso. Dio Ermal, abbiamo passato insieme quasi sedici anni, non puoi pensare che la prenda bene se mi dici che vuoi divorziare! Ho 45 anni per Dio!”
Ermal di rimando aveva sbuffato una risatina amara, rivolgendo uno sguardo al proprio calice ormai vuoto, scegliendo di prendere la bottiglia di vino e versarsene altro mentre rispondeva “E allora? Qual è la tua preoccupazione, quella di non riuscire a trovare un altro a cui infilarlo nel culo? Non mi sembra tu abbia avuto difficoltà finora”
Aveva bevuto un sorso del liquido rossastro, che nella penombra appariva quasi nero, rovesciandosene però una goccia addosso quando Fabrizio aveva sbattuto le mani sul tavolo, facendolo sussultare.
“È successo una volta Ermal. Una! Ma ti senti quando parli? Mi accusi come se avessi passato la vita a tradirti cazzo!”
“Due volte, per quanto ne so io e-” aveva corretto, venendo poi però interrotto dalla risata amara di Fabrizio.
“Ancora sei incazzato perché quando eri un ragazzino sono andato a letto con Alessandra mentre ero sbronzo? Cazzo Ermal non stavamo nemmeno insieme, eravamo usciti sì e no tre volte!” “Sono comunque due volte, Fabrizio. Che sono quelle che so, per giunta” aveva precisato, bevendo un altro sorso.
“E tu allora?!” Fabrizio aveva sentito la rabbia esplodergli nel petto a quelle accuse “Tu, no, tu sei un santo Ermal vero? Ma per favore. Quante volte sei andato a casa sua questo mese, mh? Due, tre? Cinque? Quel convegno era reale o una scusa, dimmi!”
Ermal l’aveva osservato, gelido come mai era stato con lui.
“Almeno ho le palle di non nascondertelo” aveva sussurrato, strappandogli così un sussulto incredulo.
“E ti credi forse migliore per questo?”
Fabrizio non capiva. 
Con Ermal si era sempre capito. Sempre, fin dall’inizio.
Ermal non era una persona facile, questo era vero. Diversi suoi amici glielo avevano fatto notare. E concordava con loro, certo, ma la verità era che per lui Ermal non era mai stato nemmeno così difficile.
Erano opposti, in certe cose, eppure si capivano. In qualche strano e assurdo modo, avevano fatto clic, e si erano capiti.
Ora, invece, non riusciva a capire più niente. Non riusciva a capire il suo atteggiamento, le sue parole, perfino il suo viso gli sembrava sconosciuto: anche per lui, Ermal era diventato un puzzle impossibile da decifrare e se doveva essere sincero, la cosa lo spaventava.
E sapeva che ognuno aveva la sua parte di ragione in quella discussione, ma quello che più voleva in quel momento era tornare indietro. Tornare all’inizio, dove tutto era più semplice e anche il difficile sembrava non esserlo così tanto.
Tornare a quando si capivano, a quando erano ErmaleFabrizio, non Ermal E Fabrizio, con uno spazio tra di loro che si allargava sempre di più ad ogni parole, i rancori di quegli ultimi anni che venivano tutti fuori.
Erano stati la coppia perfetta, loro due.
Un modello che tutti prendevano d’esempio quando parlavo di vero amore e di destino e di appartenersi. Separati, loro due? Utopia. 
“Se voi due vi lasciaste, sarebbe davvero un peccato perché a quel punto chi cazzo crederebbe più nell’amore” aveva detto una volta Andrea, ridendo quando, ancora da ragazzini, Ermal aveva minacciato di lasciarlo se si fosse di nuovo presentato a casa sua mentre stava finendo la tesi.
“Già, sarebbe davvero vergognoso” aveva riso Claudio “Credi a me, tra una ventina di anni vi ritroveremo insieme a bisticciare sul colore della cameretta del vostro secondo figlio adottivo” aveva riso
Tutti avevano riso
Come era possibile che da quella previsione fossero arrivati a quel futuro vuoto, senza più sogni o bambini e senza ormai alcun motivo valido per stare insieme a parere di Ermal?
Lui che era lo scienziato, il razionale. 
E razionalmente, per loro non vedeva più niente.
Perché quella non era più la minaccia di un ragazzino, ma la realtà di un adulto e la cosa era davvero terrificante.
“No” Ermal l’aveva pronunciato in tono secco e perentorio quel diniego, incrociando le braccia sottili al petto “No, va bene? Mi faccio schifo, Fabrizio, mi faccio schifo da solo e tanto anche, ma almeno non sento il bisogno di fingere con lei”
“Il bisogno di fingere? Fingere cosa? Ma tu credi davvero di essere così bravo a nasconderti da me, Ermal? Da me, che ti conosco da quando ancora non avevi una laurea in mano ed eri solo uno stronzo troppo bello che ha tirato un cocktail in faccia a un poveretto che ti ha preso con la luna storta? Ma se sono quasi quattro anni che riesco benissimo a leggere nei tuoi occhi il disgusto quando mi guardi, Ermal. Ma per favore”
Ed era vero. Ora che l’aveva detto se ne era accorto. Era una verità, quella, che aveva provato a nascondersi da solo ma che ormai era innegabile. E ci avevano provato, sì, ma sotto sotto Ermal, nonostante le sue belle parole, non l’aveva mai perdonato. Non aveva mai smesso di odiarlo e ora che la diga si era rotta, il fiume di quello stesso odio li stava travolgendo, spazzando via la fragile fiducia che avevano provato a ricostruirsi e che troppe volte nel corso di quei mesi era stata spezzata.
“Mi biasimi?”
Ermal glielo chiede lentamente, il tono improvvisamente basso e quasi calmo.
“Mi hai tradito, Fabrizio. Eravamo a tanto così, tanto così, dall’avere tutto quello che avevamo sempre voluto e tu hai mandato tutto a puttane per cosa? Per quella stronza che non rivedrai mai più, Fabrizio, ecco per cosa. Per una scopata. Sembra assurdo, cazzo, te ne rendi conto di quale cazzo di assurdità è questa? Per infilare il cazzo dentro una sconosciuta, ecco perché hai rovinato le nostre cazzo di vite!”
E a quel punto, anche Fabrizio era esploso.
Era esploso perché la verità era che sì, odiava quel matrimonio, ormai, e c’erano giorni che avrebbe voluto non aver mai sposato quell’uomo ormai sconosciuto che gli stava di fronte e che preferiva passare le ore con una donna di cui, lo sapeva, si stava innamorando, ma l’altra faccia della medaglia era che lui amava ancora Ermal. Lo amava e non voleva lasciarlo andare, nonostante tutto.
Anche perché stava mettendo la colpa addosso a lui quando, di colpe, anche lui ne portava, perché era stata solo colpa sua se non era riuscito a perdonargli un singolo errore quando Fabrizio aveva fatto tutto quello che era in suo potere per rimediare
“Avremmo potuto averlo lo stesso, se tu non avessi dato di matto a quel modo!”
Ermal si era alzato di scatto, incredulo.
“Dato di matto!? Ma ti senti quando parli? Davvero credevi che avrei voluto portare a termine l’adozione e crescere un figlio con l’uomo che diceva di amarmi e ha portato un’altra donna nel nostro letto? Nel nostro letto, Fabrizio! Dove noi facevamo l’amore, cazzo!”
I was just guessing at numbers and figures Pulling the puzzles apart Questions of science, science and progress Do not speak as loud as my heart
“Fabrizio. Mi stai ascoltando?” 
La voce di Ermal lo strappa nuovamente da quei ricordi, i suoi occhi che vanno ad incontrare nuovamente quelli altrui.
Si accorge di averli lucidi, ma cerca di imputare la colpa alle luci accecanti che aveva fissato e al mal di testa lancinante che ha
“Sì” risponde in un bisbiglio, deglutendo piano
Ermal sospira, passandosi stancamente un mano sul viso
“Non è vero” mormora, scuotendo appena la testa “Fabrizio senti... per l’ultima volta: per il tuo bene, devi starci lontano. Sta lontano da casa sua, sta lontano da me, sta lontano dalla nostra vita. Lo so che vuoi sistemare le cose, me l’hai detto anche qualche ora fa, prima di collassare e prendere in pieno il gradino del portico ma... non c’è più niente da sistemare. Lo so io come lo sai tu”
Il suo tono è quasi dolce ora, come un adulto che spiega qualcosa a un bambino che fatica ad afferrare un concetto troppo grande o fuori dalla sua portata
“Lo so che non vuoi fare del male a nessuno Fabrizio. Lo so. Ma guarda come sei ridotto. Io... non posso nemmeno provare ad esserti amico così, lo capisci?”
Ermal era sempre stato bravo a spiegare le cose. Era sempre stato cinico nel farlo, non nascondendo all’adulto davanti a lui se pensava che questo fosse ignorante nella materia, ma si faceva capire. 
Con i bambini, invece, era magnifico
Tutta la pazienza che non aveva con gli adulti, l’aveva con loro. Adorava, quando venivano in visita al laboratorio, spiegare loro tutto quello che chiedevano, facendo disegni sghembi alla lavagna e lasciandoli osservare qualsiasi cosa volessero al microscopio 
Sarebbe stato un ottimo padre, lo pensavano tutti.
Fabrizio incluso.
E usava dirglielo, un tempo, quando i suoi dubbi e le sue ansie ritornavano ad assalirlo e allora se lo stringeva contro, nel loro letto, e gli accarezzava la schiena segnata, mormorandogli quanto sarebbe stato perfetto con un bambino, il loro bambino.
La storia dell’adozione era venuta fuori quasi per scherzo, quasi per caso.
Stavano di nuovo parlando, costruendo, immaginando un futuro che potevano quasi toccare con mano: il negozio andava bene, Ermal procedeva spedito nella sua carriera. Si erano trasferiti da poco in un appartamento più grande, più bello. Non gli mancava nulla, il mondo era solo un tappeto di possibilità ai loro piedi. Immaginavano i posti che volevano visitare insieme e quelli già visti in cui volevano ritornare, pensavano a cosa provare di nuovo. Quel ristorante appena aperto in centro, quella gita che volevano fare da anni. Niente sembrava impossibile.
E immaginando e parlando, si erano ritrovati a esprimere il desiderio di allargare la famiglia.
“Un nostro immaginario bambino, se fosse possibile averne uno nostro, avrebbe i miei ricci ma i tuoi colori” aveva detto Ermal, rotolandogli addosso e tirandogli i ciuffi castani con un sorriso.
“No no, sarebbe identico a te” aveva riso Fabrizio, carezzandogli le natiche nude “Tutto ricciolo e pallido, con gli occhioni scuri e le guanciotte” e gli aveva pizzicato il sedere, facendolo sussultare.
“Quelle non sono le guance, coglione” aveva riso Ermal, prima di farsi serio.
“Fabrizio” aveva chiesto poi “Ma se davvero ci pensassimo, ad un bambino nostro?”
E ci avevano pensato, certo.
E dopo mille e altri mille pensieri, si erano accordati sul fatto che sarebbe stata meglio l’adozione. Sarebbero andati anche in capo al mondo, per farla, ma volevano completare la famiglia.
Ne erano convinti, tutti e due.
La loro era una vita felice e quello sarebbe stato il coronamento di tutto
Solo che felice non è sinonimo di non stressante. 
E lo stress, si sa, è cattivo consigliere per tutti.
Fabrizio sa che Ermal ha ragione. In quel letto di ospedale in cui è finito, sa che le sue parole sono veritiere più che mai. 
Non c’è niente da sistemare perché lui aveva rotto tutto, anni addietro, quando aveva ceduto ed era stato debole e aveva sbagliato e da allora non aveva mai davvero potuto fare qualcosa per rimediare
Aveva sbagliato, lo sa. Aveva sbagliato perché era stanco, stanco da morire e stressato come non era mai stato in vita sua.
Ermal era all’apice della sua carriera ed era costantemente rimbalzato tra un convegno e l’altro, tra una città e l’altra e la sua assenza si sentiva e anche parecchio. Il negozio non faceva più così tanti guadagni e c’era la concreta possibilità che dovesse chiuderlo e cercarsi un altro lavoro e se anche con i soldi guadagnati da Ermal ce la facevano abbastanza tranquillamente c’era l’affitto della casa e del locale da pagare e le spese da sostenere e le bollette e far quadrare i conti per comprare anche le cose necessarie per il bambino. Le pratiche da firmare, l’avvocato da sentire, la camera da ridipingere, il commercialista incazzato, l’ordine di dischi che si era perso. L’insonnia che l’aveva colto di nuovo, la casa da pulire, il suo aiutante da licenziare. Doveva arrivare ovunque, essere costantemente presente e non ce la faceva
La verità era semplicemente quella: non ce la stava facendo a reggere tutto ma non riusciva a frenare Ermal.
Non poteva chiedergli di fermarsi o aspettare, non dopo tutto quello che avevano giù fatto
E una sera, non aveva retto. 
Portava la fede al collo, legata ad una catenina, e sotto al maglione non l’aveva vista. 
Quella povera ragazza che gli si era avvicinata al bar non ne aveva colpa. La colpa era sua che era di malumore, che era stanco e stressato ed Ermal era rimasto bloccato fuori città per un incidente e gli aveva detto che avrebbe cercato un posto dove dormire fuori e non andavano a letto da settimane ormai perché quando non erano impegnati erano troppo stanchi e lui aveva bisogno di sfogarsi, di sfogare quella tensione che sentiva sulla spalle e fin nell’anima perché era Ermal, lo scienziato, ma era lui che stava provando a far quadrare tutti i conti.
Era lui che doveva far incastrare tutti i pezzi dei puzzle della quotidianità mentre Ermal stava dietro alla sua stupida scienza e alle sue stupide ricerche 
E allora aveva ceduto
Non lo saprà nessuno, aveva pensato. Sarà solo per una notte, si era detto. Solo una scopata, niente di più. Niente sentimenti, no. Lui amava Ermal e non avrebbe potuto amare nessun altro, ma lei era bella e lui aveva bevuto ed era stanco e se ne sarebbe andata prima che Ermal tornasse e se lo sarebbe tenuto per sé e si sarebbe vergognato, probabilmente, una volta che fosse tornato sobrio, ma così si sarebbe sfogato e non sarebbe impazzito e avrebbe tenuto quel vergognoso segreto per sé e sé solo.
Non voleva pensare a niente per un istante, ecco tutto. Ecco tutto quello che voleva da lei. Non pensare. Per quegli attimi, non pensare a nulla. Essere solo un corpo che si univa a un altro corpo, fine. E aveva capito che stava facendo una stronzata già mentre, mezzo ubriaco, mancava per la terza volta la serratura di casa, ma non poteva tornarsene indietro. Se la sarebbe scopata e basta, l’avrebbe mandata via e chiuso lì.
Ma Ermal non si era fermato per la notte.
Era rientrato, nonostante quel che aveva detto, facendo pure piano per non svegliarlo e l’aveva trovato a letto, nel loro letto, con una donna di cui non ricordava nemmeno il nome. 
E da quel momento, con lui affacciato sulla porta della camera, bloccato dall’orrore e incapace di reagire, le cose si erano rotte e non erano mai riusciti ad aggiustarle.
La riprova era che si trovavano lì, in ospedale, con Ermal che gli posava delle carte che aveva visto fin troppe volte sull’asettico e vuoto comodino.
“Firmale” mormora, quasi implorante “Fatti un favore, Fabrizio. Firmale e basta”
But tell me you love me, come back and haunt me Oh and I rush to the start Running in circles, chasing our tails Coming back as we are
Non erano comparse subito quelle carte
Certo, avevano annullato l’idea dell’adozione, ma Fabrizio aveva chiesto perdono ed Ermal si era arreso nel darglielo, nel dargli una seconda possibilità perché lo amava troppo, diceva.
Gli aveva chiesto scusa mille e mille volte ancora
L’aveva supplicato di tornare, di dirgli che lo amava ancora, perché non poteva vivere senza di lui.
Se ne era pure andato di casa, per qualche settimana, ma poi un giorno, dal nulla, si era ripresentato, sempre giocherellando con quella fede che, nonostante tutto, teneva ancora al dito.
“Ti perdono” aveva detto
“So che lei non significava niente” aveva detto
“Ricominciamo” aveva detto 
E Fabrizio aveva annuito e pianto, grato della cosa, grato di non aver distrutto davvero le loro vite e la cosa più bella che aveva. Grato che potessero ricominciare, che potessero ritornare a pensare, pian piano, al loro futuro
Che potessero tornare ad essere semplicemente loro, perché le settimane senza di lui erano state un tormento infinito, che l’avevano straziato fin nell’anima
Eppure, nonostante ciò, qualche anno dopo erano lì, al tavolo, a discuterne e a rendersi conto che no, quel perdono non c’era mai stato e che il loro matrimonio non aveva fatto altro che colare sempre di più a picco, fino a quel giorno, a quella notte, in cui tutte le carte stavano venendo scoperte e quella parvenza di normalità che gli rimaneva veniva fatta a pezzi parola dopo parola.
Anche Fabrizio si era alzato, spalancando le braccia in un gesto di esasperazione
Non capiva. La rabbia era davvero troppa in quel momento e non capiva e basta come fosse possibile che fossero arrivati a quel punto.
Loro due, che erano sempre stati una cosa sola fin dall’inizio
Loro due, che avevano ricominciato senza mai, apparentemente, farlo davvero
E allora cosa erano stati quegli anni? Solo delle bugie che si erano detti per stare meglio? 
E lo sapeva che le cose non andavano bene, perché Ermal era stato onesto, a differenza sua: una sera, a cena, in una di quelle cene vuote e silenziose dove non aspettavano altro che finire e alzarsi da tavola e non si toccavano praticamente mai se non in rare occasioni, Ermal aveva parlato.
“Ho conosciuto una persona, settimana scorsa”
L’aveva detto così, senza nemmeno alzare gli occhi dal suo piatto di carbonara, rigirandosi i due spaghetti che rimanevano lì con la forchetta
“Mi piacerebbe frequentarla in amicizia, se ti va bene”
“Ora mi devi chiedere anche con chi puoi o non puoi fare amicizia?” aveva sbottato acidamente Fabrizio.
La verità è che sapeva, dal modo in cui Ermal aveva introdotto la cosa, che questa persona, chiunque fosse, lo interessava. E probabilmente, non solo in amicizia. 
“Stavo solo chiedendo, prima che tu ti faccia strane idee” aveva ribattuto lui, acido a sua volta come non mai
“Fa come cazzo ti pare” aveva ribattuto Fabrizio, finendo l’ennesimo bicchiere di vino
“La smetti di bere?” 
“La smetti di farti i cazzi miei? non ho due anni?”
La discussione era degenerata, infine, ed Ermal se ne era uscito di casa. 
Era successo così, ancora e ancora. Discutevano e poi Ermal usciva. 
Le cose poi erano cambiate quando, rientrando, Fabrizio aveva notato che addosso lui aveva un altro profumo. Non si toccavano da tre mesi e da uno nemmeno si baciavano più. 
“Sei stato dalla tua amica?” aveva chiesto, piano
“Silvia. Si chiamava Silvia” aveva risposto lui, dandogli le spalle “Buonanotte Fabrizio”
Era stata l’unica volta che aveva pronunciato il suo nome davanti a lui. In qualche modo, il riconoscimento di un’identità verso quella sconosciuta suonava come un ultimatum 
E infatti, tre mesi dopo eccoli lì, a discutere e discutere e discutere.
“Ti ho chiesto scusa, Ermal, decine e decine di volte! Non sto dicendo di non aver sbagliato, l’ho sempre ammesso e sì, mi sono fatto schifo anche io, ma ti ho chiesto scusa e ho capito che stavo facendo una stronzata perché, lo sai, lei non significava nulla e ho fatto tutto quello che potevo per dimostrarti che ti amo e che volevo ancora una famiglia con te e che mi dispiaceva e se davvero la pensavi così perché hai scelto di perdonarmi? Potevi chiedere il divorzio allora e invece sei tornato a casa! Pensavo che mi amassi anche tu, ma forse allora non era così. Lascia che ti chieda io, allora, perché sei tornato? Perché cazzo mi hai rivoluto con te se mi odiavi già a tal punto!?”
Stavano urlando ora. Non importava che fossero quasi le tre e che i vicini si sarebbero lamentati. Non importava più nulla perché Ermal voleva il divorzio e questo sembrava essere quanto, senza se e senza ma.
“Perché ti amavo, Fabrizio! Ti amavo ancora da impazzire e volevo, non lo so, stupidamente rivolevo solo indietro la mia vita prima di quel maledetto giorno. Pensavo di poterci passare sopra ma non è stato così!”
Fabrizio si era stropicciato la faccia, stancamente, alzando poi lo sguardo verso di lui.
Lo amava ancora, allora. Cosa era cambiato adesso? Che cosa gli era successo?
“Io ti amo ancora però”
Aveva pronunciato quelle parole in un sussurro, in contrasto con le gira di prima.
“Io no”
Ermal non aveva esitato. Nemmeno per un istante. 
Aveva pronunciato quelle due semplici parole e il gelo era calato immediatamente nella stanza.
Non lo amava più.
Fabrizio aveva tirato su con il naso 
Cosa era cambiato?
“Sei... sei innamorato di lei adesso?”
Era la spiegazione più semplice. La più facile, la più veloce. La più logica e razionale, come piaceva ad Ermal.
Questa volta lui aveva esitato, ma poi aveva scosso il capo riccioluto, ornato da qualche capello bianco ormai.
“No. Non la amo. Non ancora, ma so che potrei, Fabrizio. Perché mi piace. Tanto. Troppo. Come te un tempo”
“E di quel che provo io non ti interessa più”
Non era una domanda, solo una constatazione.
“Non è così. Non è così io-“ aveva sospirato Ermal, passandosi una mano sul viso “Non centra cosa provo per lei, è che io non ti amo più, Fabrizio. Ma abbiamo passato insieme quasi sedici anni e no, non riesco a fregarmene di te. Una parte di me ti odia. Tanto. Davvero... tanto. Ma ti voglio ancora bene in parte e questo non posso negarlo. Però no, non ti amo più. Ed è anche per te che voglio il divorzio”
Uno sbuffo amaro era seguito a quelle parole. “Per me?” aveva chiesto, ironico.
“Sì. Per te. Non è... giusto, nei tuoi confronti” “Perché” “Perché lo so che tu mi ami ancora. Ma so anche che non puoi più amarmi come prima. Sopratutto perché /io/ non ti amo più. Non come prima, non ti amo più e basta”
Era sempre stato schietto, Ermal, e questo a Fabrizio era sempre piaciuto, ma mai come quella volta si era ritrovato a desiderare che lo fosse di meno. Perché faceva male, faceva dannatamente male e non c’era niente che potesse addolcire o lenire quelle parole. Dopo sedici anni insieme, Ermal non lo amava più. 
E alla fine, aveva fatto quello che più temeva: aveva rimproverato e crocefisso lui per una scopata, ma era stato infine lui quello che si era innamorato di un’altra
Perché, lo sapeva, dopo che quella sera Ermal aveva lasciato l’anello sul tavolo e se ne era andato senza mai più tornare questa volta, era andato da lei.
E si erano frequentati e messi insieme e si erano innamorati e vivevano insieme, adesso, lo sapeva.
Ermal si era rifatto una vita. All’alba dei suoi quarant’anni, aveva tutto quello che voleva. Una persona che amava, una carriera soddisfacente e, Fabrizio lo sapeva, perfino quello che loro due non avevano mai avuto.
Ne era uscito, lui. Cambiato, distrutto, stanco, a pezzi. Ma ne era uscito.
Fabrizio invece non ce l’aveva fatta. 
Non aveva più una vita, non aveva più Ermal. Aveva dovuto lasciare l’appartamento, chiudere il negozio e ritornare a fare il barista, con i suoi quarantasei anni sulle spalle che pesavano nelle notti in cui doveva rimanere fino alle quattro di mattina. Era invecchiato molto più in quell’anno che in una vita intere. Ermal era più vecchio, si, ma conservava ancora quella fiera e strana bellezza che l’aveva conquistato fin da subito. Sotto alle rughe e dietro a quegli occhi più stanchi, riusciva ancora a vedere quel ventiquatrenne che gli aveva spudoratamente fatto un pompino nel bagno del personale. Lui, invece, non si riconosceva più. Si era trasferito in un appartamento che era un buco, tutto quello che faceva era lavorare e quando non lavorava beveva. E poi ci era ricaduto, anche nella droga. Perché l’acol non bastava a guarire quel dolore, quel vuoto che pesava più di qualsiasi peso perché non gli era rimasto più niente, nemmeno un mezzo sogno. Ermal, invece, aveva tutto. Era stato lui a lasciarlo eppure lui si era rifatto una vita al contrario suo
E ora lo guardava, in attesa di una risposta, in attesa che firmasse quelle carte che li tormentavano da mesi.
Le carte del divorzio.
“Devo fare un favore a me o a te?”
Ermal sospira, di nuovo, guardandolo
“A tutti e due. Per favore Fabrizio. Se davvero mi hai amato come hai detto prima, fai la cosa giusta e lasciami andare”
C’era un che di implorante nel suo tono, un qualcosa che non riusciva a collocare ma che sembrava disperazione mista a qualcosa di più profondo e indefinibile, una stanchezza esistenziale che non gli aveva mai sentito così tanto addosso.
“La ami?” 
La domanda giunge inaspettata, ma nemmeno troppo. “Non la amavi, l’anno scorso. Adesso la ami?” 
Ermal, questa volta, non esita. Attende un secondo ma poi annuisce lentamente.
“Sì. La amo. Tanto, anche. E sono felice con lei, più di quanto potessi sperare di essere dopo di te. Mi dispiace che per te non sia lo stesso, Fabrizio, dico davvero. Mi dispiace che siamo qui in ospedale, adesso, ma non posso fare più di così per te. Più che portare pazienza una volta in più, io non posso fare. Per favore, Fabrizio. Firma queste carte e liberati di questo peso. Anche per te stesso. Credimi, Fabrizio, credimi che mi dispiace vederti così, ma io non posso accettare che tu chiami a casa di Silvia alle quattro del mattino. Spaventi lei e spaventi e spaventi anche-” si interrompe, scuotendo appena il capo “Per favore. Firmale e rimettiti in piedi. Non è troppo tardi per questo, e se proprio vuoi posso aiutarti in qualche modo, ma devi lasciarci in pace”
Fabrizio lo osserva, leccandosi le labbra secche e tagliate.
Sembra tanto diverso, Ermal. E’ uguale a prima, eppure non è l’Ermal che conosce lui.  Non è più l’Ermal di Fabrizio, adesso.
E’ suo, di quella donna che ha visto di sfuggita troppe volte e mai sobrio. Non abbastanza per ricostruire bene il suo volto
Sa che è bella. Sa che ha i capelli biondi e lunghi, gli occhi azzurri ed è alta. Veste colorato. La sua voce è piuttosto bassa, ma piacevole. Questo è tutto quello che sa. Questo, e il suo nome.
“Passamele” mormora, allungando una mano tremante e instabile
Ermal sembra stupito ma le recupera e gliele tende, osservandolo mentre lui guarda la sua firma. Certo, Ermal le ha firmate non appena le ha avute in mano.
“Ti do una penna?” chiede, e non riesce a fare a meno di trovare la speranza nel suo tono, una speranza sporcata da qualcosa che sembra incredulità, ma di quella quasi timorosa ma felice.
“Io... va bene” mormora piano
Pure le mani di Ermal tremano mentre gliene tende una che recupera dalla tasca
“Ecco. Devi firmare qui e qui. E qui” gli indica.
Fabrizio posa la penna a sfera sul foglio, premendovi appena. Fabrizio Mobrici. E’ solo il suo nome. Deve scriverlo, e sarà tutto finito.
Nobody said it was easy Oh, it's such a shame for us to part Nobody said it was easy No one ever said it would be so hard
Non era stato facile. Non era stato per niente facile tracciare quelle lettere
Per tre volte, aveva tracciato la forma del proprio nome, ben sapendo che così si stava finendo di annullare completamente
Tre segni e niente più Ermal
Tre Fabrizio Mobrici, e non era più Fabrizio Mobrici-Meta
Tre firme ed erano entrambi divorziati, non più sposati.
Era stato facilissimo, in un certo qual modo. Erano bastate tre firme per annullare nove anni dopotutto, sedici se si contava anche quando erano insieme senza essere legati dal matrimonio 
Eppure, era stato difficilissimo.
Scrivere il suo nome non era mai stato tanto difficile in vita sua. Quando aveva finito, si sentiva spossato, svuotato, senza più neanche un filo di forza nel corpo dolorante.
Non riusciva nemmeno a piangere, nonostante sentisse gli occhi lucidi pungere
Ermal si era ripreso le carte con cura, reggendole come se fossero un tesoro prezioso
Non sapeva se era a causa del riflesso delle luci, ma a Fabrizio sembrava che pure lui avesse gli occhi lucidi. Solo che lui non sembrava triste, sembrava quasi...commosso.
“Grazie” aveva mormorato riconoscente, mettendole via con cura “Le farò avere all’avvocato il prima possibile”
C’era sollievo nel suo tono.
Fabrizio non lo metteva di certo in dubbio. Era già bello che non ci sarebbe andato appena uscito di lì.
Si era messo il cappotto, guardandolo.
“Ho chiamato Andrea e Claudio. Mi hanno detto che non ti sentono da un po’, ma verranno per riportarti a casa e stare un po’ con te se vuoi. Io devo andare” 
Fabrizio l’aveva guardato, perplesso, quasi ferito. Era tutto lì dunque? Firmate le carte se ne andava e basta, così.
“Andare?” aveva chiesto.
“Si. Mi... devo andare a prendere i bambini a scuola”
I bambini, certo. Fabrizio sapeva che lei aveva dei figli. Due gemelli, da quel che aveva potuto intuire. Non erano suoi, certo che no. Un precedente matrimonio, fallito come il loro. Ma a Ermal non importava. Alla fine aveva avuto l’adozione che voleva, anche se per via indiretta
“Capisco” aveva detto soltanto, evitando di guardarlo
“Bene. Allora... io vado. Grazie per... le firme. Davvero. Spero che questo possa aiutarti, Fabrizio. Dico davvero. Spero che anche tu possa ricominciare, adesso. Addio Fabrizio” aveva sussurrato, facendogli un breve cenno, guardandolo per un ultimo istante, prima di uscire dalla stanza da uomo libero.
Fabrizio l’aveva osservato, godendosi per quella che ormai sapeva essere l’ultima volta i dettagli del suo viso. Le labbra sottili, i ricci indomiti ormai striati di grigio, gli occhi scuri, le lunghe ciglia nere. Il mento, le orecchie, le occhiaie. La fronte, le rughe agli angoli della bocca e degli occhi. Il collo sottile e quel piccolissimo neo sul labbro che era il suo preferito.
“Lo spero anche io” aveva sussurrato alla stanza vuota, chiudendo gli occhi. 
I'm going back to the start
Anche se in cuor suo sapeva che, in fondo, un nuovo inizio per lui non ci sarebbe mai stato.
E’ stato un parto? E’ stato un parto. Spero che ve la siate goduta, perché io non ce la posso più fare. Ho fatto raffreddare anche il te, andate in pace, amen. Anon, se non era quello che volevi mi dispiace. E mi raccomando ragazzi, non è tardi per ricominciare quindi non mi dovete linciare grz
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sammylikesyaoi · 3 years
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Solo un milione di cose da dirti (ma non dico niente)
Dal testo:
"Ermal avrebbe voluto dirgli tante cose. Avrebbe voluto chiedergli come riusciva a diventare più bello ad ogni respiro, voleva confessargli che ogni momento insieme a lui era come vivere sulle nuvole, che voleva baciarlo da quella sera a Sanremo seduti nel bagno della sua camera.
Ma Ermal non disse niente."
Piccola fic ispirata dalla canzone di Ermal "Un milione di cose da dirti"
E ritorno in questi giorni di caldo impossibile con una fic ripescata dal mio archivio.
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misskyeyes · 4 years
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"In un bel classico hollywoodiano a questo punto l’eroe malinconico avrebbe dovuto alzarsi, prenderle le mani nelle sue e cavalcando un inutile cliché, chiederle dal nulla di andar via con loro."
     Autogrill (Non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia?) - on AO3
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astradelta-undomiel · 5 years
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Scrivere qualcosa significa darle forma, imprigionarla per sempre, ingabbiarla, ma per Ermal la musica era amorfa –un po’ come il vetro, no?
Ciao! Rieccomi con un’altra breve “storia” (non sono nemmeno sicura che possa definirsi storia... forse “flusso di coscienza” sarebbe più adatto) ispirata da una canzone che di me ha tanto. Spero che possa essere di vostro gradimento. Ogni commento è il benvenuto! Un abbraccio.
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a---fire---inside · 6 years
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It seems like oure boy likes spending time lying on the floor with his legs apart. And damn it, he makes my imagination run wild.😏 I would really appreciate a headcanon on this topic, of course, only if you feel like writing it, no pressure.😘
It started by coincidence.
Ermal was really tired during that concert, so he decided to sit down when it was time for Le Luci Di Roma.
How odd that an originally sad song about goodbyes, regrets and endings, had lost that meaning long since. He didn’t even know when, yet in his memories what had inspired it had been replaced by other places, lights, sounds and sights. A manly inked hand holding his. The sunlight highlighting freckles on a tanned face. A low raspy voice calling his name. A whirlwind of emotions because of him.
When it had first happened he assumed he got distracted during a rehearsal for a live show. When it had happened again though, during a Radio Subasio interview, he had realized how screwed he was, no longer able to sing it without thinking about Fabrizio. No longer able to sing love songs without thinking about him. Or any other song, cause even the vaguest reference to something beautiful made him think of him. 
Fighting the urge to sing the lyrics as they were back didn’t always work, that’s why he didn’t even try changing liberO in Schegge anymore. Sometimes he wondered if Fabrizio felt the same.
(Fabrizio made the public sing the parts that made him think of Ermal. He started doing it once that he felt like he couldn’t sing his parts in NMAFN because they were Ermal’s and he loved Ermal too much)
So that night when he sat down with the first chords of Le Luci Di Roma he knew that his mind would have wandered towards him. 
And so it did. Only in a different, unexpected way, even for an overly imaginative person like him.
That night his mind didn’t go to Fabrizio, instead Fabrizio came to him.
“Lasciami le stelle Almeno so con chi parlare”
The other man was right in front of him, dressed in his cut sleeves Libero tshirt, black ripped jeans and combat boots, as vivid and real as the rest of the band onstage. 
“A chi rivolgermi stanotte Perché tu non puoi restare”
Ermal closed his eyes, when he reopened them he was gone. Good, he told himself, as he had a song to perform.
“Volevo darti un aereo di carta Da lanciare nell'aria Ho scritto lì tutti i miei sogni per vederli andare via”
Too bad Fabrizio wasn’t gone, he realized with a shiver, feeling his strong hands stroking his shoulders, to free him from the tension and the fatigue. Somehow it worked: he felt lighter and better. Fabrizio always made him feel better, even when he was just in his imagination.
“Ti ho chiamata a bassa voce ma tu non mi rispondi Fra tutti i cuori in giro dimmi in quale ti nascondi”
Ermal closed his eyes again, and when he opened them Fabrizio was crouching beside him, his fingers running through his hair, resting on his cheek, his dark eyes locked on him, just like his own dark eyes can’t stop looking at his freckles, his perfect nose and his plump lips, semi-parted in a smile. Ermal would like to kiss him so badly but he can’t, cause he’s singing. Besides, Fabrizio wasn’t really there.
“Io mi ricorderò di te Tra le luci di Roma, ogni abbraccio per strada Mi riporterà da te”
When Fabrizio pushed him down to lie on his back Ermal didn’t protest, as he liked when the elder moved his body as he pleased. He just kept singing, while Fabrizio stood up and took a few steps, ending in front of him, back straight, chin up, chest out.
“Volevo dirti che ho sognato Di avere molto più tempo Per capire fino in fondo La parola accanto”
Fabrizio closed the distance between them, hovering above him in his typical powerful stance, looking at him with smoldering eyes that seemed ready to devour him. 
“Ti ho cercata in ogni volto In questo mi confondi”
Ermal was feeling vulnerable and exposed, as if he were naked, not for the public but for him. He would have never thought that he’d love that sensation; being vulnerable, exposed, helpless, only for one person in the whole world, allowing that one person to see everything about him, to take everything he wanted from him, from his body to his heart and soul, at his complete mercy, yet  knowing that he would cherish and protect him, that he would shield him, like he did so far.Like he was doing now, shielding him from strangers in such a private, vulnerable moment.
“Ma dimmi se c'è Una buona ragione per correre ancora Senza di te”
Under Fabrizio’s eyes Ermal was lying down on the ground, his legs spread slightly, singing low, as if he were singing for him only. His hands were on his guitar, feeling its weight on his body while craving to feel his weight on top of him instead, looking up into the other man’s eyes while playing its cords as if he were caressing his lover, his head slowly tilting from side to side, baring his throat to him, his singing getting close to moaning, like a prayer for the other to come down on him. 
When the song was over he kept his eyes closed, until his fans’ screams made him return to the here and now and he got up, purposely ignoring the bands’ puzzled looks. They’re no longer puzzled now, every time they play Le Luci Di Roma and he repeats the same gestures, lying down on the ground and living his sensual dream.
Here you go anon, I hope this was worth the wait~
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astradelta-undomiel · 5 years
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2008
La musica continuava, il tempo era ormai fermo al momento in cui le sue dita gentili avevano sfiorato quei tasti con la stessa delicatezza di chi saluta i propri cari con un bacio d’addio, ultimo contatto fino ad una data ignota. E la mente di Ermal vagava [...]
Ciao! Rieccomi con una nuova songfic. Finalmente sono riuscita a scrivere della canzone che mi ha ispirato a cimentarmi in questa raccolta! Mi sono ispirata ad un racconto di Ermal risalente  (se non erro) al Forum di Assago nel 2018: prima di suonare questa canzone, raccontò brevemente la sua genesi. Disse che era ad un passo dall’abbandonare la musica perché si sentiva profondamente scoraggiato, ma decise di concedersi un’ultima suonata (fortunatamente)... e la canzone nacque da sé. Da musicista, mi ha colpito molto perché purtroppo è facile cadere nello sconforto, quando il tuo sogno è mille volte più grande di te e nessuno a parte, forse, te sembra crederci; quindi ho lasciato che la mia mente vagasse, guidata da un particolare commento molto cattivo che ho trovato sotto il video di “Ne Doren Tende” e da idee che mi frullavano in testa da mesi. Insomma, concludo e lascio spazio alla storia. Spero vi piaccia, buona lettura! 
Un abbraccio. PS: Ricordate che ogni commento è più che gradito!
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astradelta-undomiel · 5 years
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“Cosa ne pensi?” domandò quasi timoroso a Silvia, che all’alba lo aveva raggiunto in studio. Ella aveva immediatamente notato qualcosa di diverso nel compagno, e non si trattava degli occhi rossi e gonfi un po’ per le lacrime, un po’ per la stanchezza, tanto meno delle occhiaie spaventosamente evidenti. Aveva ascoltato immediatamente ciò che Ermal era riuscito ad incidere una volta per tutte. “Ha la dolcezza di chi ha sofferto.”
Ciao! Ecco un nuovo capitolo della serie di songfic “Perché una canzone spietata appare come una rosa?”. Penso che dal titolo si intuisca subito la canzone -inutile dirvi quanto sia stato difficile cogliere in tempo questo lampo di ispirazione! Ho pensato molto spesso a quello che Ermal ha detto di questa canzone nel corso degli anni, soprattutto al Medimex 2019 di Foggia. Spero di aver prodotto qualcosa di vagamente decente, sappiate che ciascun feedback è il benvenuto, ne sarei molto felice. Grazie in anticipo a coloro che leggeranno. Un abbraccio.
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