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#morti 26 luglio
pettirosso1959 · 2 months
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Leggo il solito italiano di turno e furbo: "E' inutile costruire il Ponte sullo Stretto, è una struttura nel deserto ed in una zona sismica".
Rispondo al poverino che ama parlare e solo parlare...
Impregilo oggi WeBuild, Astaldi, Antonio Badoni, i ponti in Turchia sul Bosforo parlano tutti chiaramente italiano. Sono tutti ponti strategici per le comunicazioni e lo sviluppo della Turchia, sia verso l'Asia che verso l'Europa. Sono ponti costruiti prima ancora che venissero pronte le rispettive arterie autostradali, quindi hanno permesso lo sviluppo infrastrutturale e commerciale della Turchia.
E la Turchia è terra altamente sismica, lo dimostrano le continue tragedie nel tempo, solo nel 2023 i morti furono 57700, eppure i ponti rimasero sempre intatti e non richiesero alcuna opera di verifica particolare. Non solo ponti, la Turchia è anche reattori nucleari, con le 4 unità VVER-1200 costruite dalla Russia in collaborazione con le principali industrie turche.
Il ponte Fatih Sultan Mehmet, il secondo ponte sul Bosforo, realizzato dal gruppo Salini Impregilo (oggi WeBuild) tra il 1985 e il 1988, è ancora oggi una infrastruttura essenziale per il processo di modernizzazione economica della capitale turca e dell’intera regione, oltre ad essere una grande opera con caratteristiche uniche rispetto al momento storico in cui è stata realizzata.
Il ponte Fatih Sultan Mehmet e l’arteria autostradale che collega l’Europa all’Asia. Perché i grandi ponti non sono solo strumenti per accorciare le due sponde di una città, ma arterie di scorrimento che collegano regioni lontane. L’opera realizzata da Salini Impregilo (oggi WeBuild) non si limita infatti al Fatih Sultan Mehmet Bridge: il ponte è collegato a un’autostrada lunga 247 chilometri che unisce la città di Kinali, in Europa, con quella di Kazanci, in Asia, caratteristica che lo trasforma in una grande infrastruttura di collegamento capace, negli anni, di contribuire in modo determinante allo sviluppo della capitale turca.
Il Ponte dei Martiri del 15 luglio è uno dei tre ponti di Istanbul che attraversano lo stretto del Bosforo e che permettono di collegare l'Europa con l'Asia.
Il ponte si trova tra Ortaköy (sul lato europeo) e Beylerbeyi (nella parte asiatica). Si tratta di un classico ponte sospeso a cavi parabolici e impalcato sottile di tipo aerodinamico, con piloni in acciaio e pendini di sospensione inclinati che formano maglie triangolari. La sua lunghezza complessiva è di 1.510 metri per 39 m di larghezza. La distanza tra le torri (campata principale) è 1.074 m e la loro altezza sul livello della strada è di 105 m. Il ponte sul Bosforo era il quarto ponte sospeso al mondo per la lunghezza della campata, quando fu completato nel 1973 era il più lungo al di fuori degli Stati Uniti. Fu realizzato dagli ingegneri Roberts e Brown con la collaborazione dell'italiano Almerico Meomartini. Uno dei due piloni in acciaio è stato realizzato dalla ditta Antonio Badoni Lecco.
Il ponte di Yavuz Sultan Selim, chiamato anche il "terzo ponte sul Bosforo", è uno dei tre ponti di Istanbul, in Turchia che attraversano lo stretto del Bosforo e che permettono di collegare l'Europa con l'Asia. É il ponte stradale e ferroviario a campata unica più lunga del mondo. È stato inaugurato il 26 agosto 2016[2]. Il ponte si trova tra Poyrazköy (sulla sponda asiatica) e Garipçe (sulla sponda europea). È stato costruito da un consorzio denominato ICA composto dall'impresa italiana Astaldi, che ha il 33,33%[5], e dalla turca Içtas.
Fernando Arnò.
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mccek · 2 years
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La morte in foiba : il racconto di un sopravvissuto
Dalle esecuzioni nelle foibe qualcuno uscì miracolosamente vivo.
Uno dei pochissimi casi conosciuti è quello del protagonista di questo racconto, che si riferisce a un episodio accaduto nei pressi di Albona nell’autunno del 1943.
Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentì uno dei nostri aguzzini dire agli altri:
< Facciamo presto, perché si parte subito >.
Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico fil di ferro, oltre quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia.
Indossavamo solo i pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze.
Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un fil di ferro, ci fu appeso alle mani legate un sasso di almeno venti chilogrammi .
Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera.
Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa.
Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, ci impose di seguirne l’esempio.
Poiché non mi muovevo, mi sparò contro.
Ma a questo punto accdde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il fil di ferro che teneva legata la pietra, cosicché quando mi gettai nella foiba, il sasso era rotolato lontano da me.
La cavità aveva una larghezza di circa 10 metri e una profondità di 15 fino alla superficie dell’acqua che stagnava sul fondo.
Cadendo, non toccai fondo, e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia.
Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole - Un’altra volta li butteremo di qua , è più comodo -pronunciate da uno degli assassini.
Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia.
Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e a guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutivi, celato in una buca.
Tornato nascostamente al mio paese per timore di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola.
E solo allora potei dire di essere veramente salvo.
Nel manicomio di Lubiana: la testimonianza di un reduce.
La testimonianza che segue è tratta dalla relazione di un ufficiale di Marina Italiano detenuto a lungo nell’ex manicomio di Lubiana.
Il 26 giugno fummo messi tutti assieme in una cella misurante 7 metri per 14.
Eravamo in 126[…]
A capriccio dei secondini di servizio venivamo chiamati fuori dalla cella , a turno, alcuni di noi, e senza alcuna ragione plausibile, venivano fatti segno a colpi di mitra , pugni e schiaffi […]
L’acqua, eravamo in luglio, veniva misurata; cinque o sei sorsi a testa al giorno.Divieto assoluto per usare acqua per lavarsi.
IL cibo costituito da verdura secca bollita produsse ben presto tra di noi l’insorgere di diarrea.
Negata ogni assistenza sanitaria […].
Il 23 dicembre 1945, a sera, una trentina di noi vennero stralciati dal gruppo in base ad in elenco prestabilito, legati con le mani dietro la schiena a mezzo di filo di ferro e trasportati ad ignota destinazione con dei camions.
L’indomani mattina gli automezzi fecero ritorno recando indumenti che noi riconoscemmo come già appartenenti ai nostri compagni partiti la sera innanzi.
Ai nostri occhi tale fatto assunse l’aspetto di un macabro indizio.
Il 30 dicembre un’altra trentina di noi subiva la stessa sorte, seguiti il 6gennaio 1946 da un terzo ed ultimo scaglione di 36 persone[…]
Nel frattempo erano morti Z. e B.
Successivamente anche i tre della cella vicino alla nostra cessarono di vivere uno alla volta.
Ricordo con particolare raccapriccio il povero B ( un ragazzo triestino di 18 anni facente parte della brigata"Venezia Giulia" del corpo Volontari della Libertà) ridotto ad un pietoso relitto umano da un infezione che non gli era mai stata curata.
Negli ultimi giorni della sua vita rassomigliava di più ad un vecchio decadente che ad un ragazzo della sua età.
La notte in cui morì udimmo gridare a lungo invocando la mamma.
Quando si fece silenzio arguimmo la sua morte perché si sentì battere violentemente alla porta della cella vicina per chiamare la guardia di servizio.
Poco dopo, dal tramestio che ci era perfettamente intelleggibile in tutti i suoi particolari, sapemmo che il povero B era stato tratto fuori dalla cella e temporaneamente situato nel cesso posto di fronte ad essa.
 Salvo per miracolo
(testimonianza di Graziano Udovisi)
 Mi fecero marciare sulle sterpaglie a piedi nudi, legato col filo di ferro ad un amico che dopo pochi passi svenne e così io, camminando, me lo trascinavo dietro.
Poi una voce in slavo grid��: "Alt!".
Abbassai lo sguardo e la vidi: una fessura profonda nel terreno, come un enorme inghiottitoio.
Ero sull’orlo di una foiba.
Allora tutto fu chiaro: ara arrivato il momento di morire.
Tutto è incominciato il 5 maggio 1945.
La guerra è finita, depongo le armi e mo consegno prigioniero al comando slavo.
Vengo deportato in un campo di concentramento vicino Pola.
Prima della tragedia c’è l’umiliazione: i partigiani di Tito si divertono a farmi mangiare pezzi di carta ed ingoiare dei sassi.
Poi mi sparano qualche colpo all’orecchio.
Io sobbalzo impaurito, loro sghignazzano.
Insieme ad altri compagni finisco a Pozzo Vittoria, nell’ex palestra della scuola.
Alcuni di noi sono costretti a lanciarsi di corsa contro il muro.
Cadono a terra con la testa sanguinante.
I croati li fanno rialzare a suon di calci.
A me tocca in sorte un castigo diverso: una bastonata terrificante sull’orecchio sinistro.
E da quel giorno non ci sento quasi più.
Eccoci a Fianona.
Notte alta.
Questa volta ci hanno rinchiuso in un ex caserma.
Venti persone in una stanza di tre metri per quattro.
Per picchiarci ci trasferiscono in una stanza più grande dove un uomo gigantesco comincia a pestarmi.
“Maledetti in piedi! " strilla l’Ercole slavo.
Vedo entrare due divise e in una delle due c’è una donna.
Poi giro lo sguardo sui i miei compagni: hanno la schiena che sembra dipinta di rosso e invece è sangue che sgorga.
“Avanti il più alto", grida il gigante e mo prende per i capelli trascinandomi davanti alla donna.
Lei estrae con calma la pistola e col calcio dell’arma mi spacca la mascella.
Poi prende il filo di ferro e lo stringe attorno ai nostri polsi legandoci a due a due.
Ci fanno uscire.
Comincia la marcia verso la foiba.
Il destino era segnato ed avevo solo un modo per sfuggirgli: gettarmi nella voragine prima di essere colpito da un proiettile.
Una voce urla in slavo "Morte al fascismo, libertà ai popoli!", uno slogano che ripetono ad ogni piè sospinto.
Io, appena sento l crepitio dei mitra mi tuffo dentro la foiba.
Ero precipitato sopra un alberello sporgente.
Non vedevo nulla, i cadaveri mi cascavano addosso.
Riuscii a liberare le mani dal filo di ferro e cominciai a risalire.
Non respiravo più.
All’improvviso le mie dita afferrano una zolla d’erba.
Guardo meglio: sono capelli!
Li afferro e così riesco a trascinare in superficie anche un altro uomo.
L’unico italiano, ad essere sopravvissuto alle foibe.
Si chiamava Giovanni, "Ninni" per gli amici.
È morto in Australia qualche anno fa.
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stranotizie · 1 month
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Lo rileva l'ultimo aggiornamento epidemiologico dell'Oms: dal 24 giugno al 21 luglio sono 186mila i nuovi contagi Il virus del Covid - 123RF Crescono i casi e i morti di Covid. Dal 24 giugno al 21 luglio, il numero di contagi è aumentato del 30% e quello dei morti del 26% rispetto al precedente periodo (27 maggio - 23 giugno). Lo rileva l'ultimo aggiornamento epidemiologico Covid-19 dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Dal 24 giugno al 21 luglio sono stati identificati 186mila nuovi contagi in 96 Paesi, segnalati oltre 23mila nuovi ricoveri e più di 600 nuovi ingressi in terapia intensiva. Dall'inizio della pandemia fino al 21 luglio 2024 sono oltre 775 milioni i casi di Covid confermati nel mondo e più di 7 milioni i decessi. La situazione varianti"JN.1 è la variante di interesse (Voi) più segnalata, registrata 135 paesi e rappresenta il 25,7% delle sequenze. In discesa rispetto al dato del 30,2% del periodo precedente - si legge nel report - mentre KP.3.1.1 e LB.1, i lignaggi discendenti di JN.1, hanno mostrato una prevalenza crescente a livello globale: rappresentando il 18,6% e il 9,3% rispettivamente delle sequenze nella settimana terminata il 21 luglio. {} #_intcss0{display: none;} #U11727583095wKC { font-weight: bold; font-style: normal; } #U11727583095boC { font-weight: bold; font-style: normal; } Fonte
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m2024a · 2 months
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Influencer di viaggi scivola nella cascata mentre gira un reel per Instagram: sei ore per soccorrerla, poi è morta in ospedale Uccisa dall'ultimo reel da pubblicare su Instagram. Così è morta una travel influencer di 26 anni che è precipitata nella gola di una cascata facendo un volo di 90 metri proprio mentre era intenta a girare un video da condividere con gli oltre 300mila follower che seguivano le sue avvenure di viaggio. Morta per un reel Aanvi Kamdar, influencer indiana specializzata in consigli di viaggio nei paesi asiatici e non solo, era in gita con sette amici quando è caduta nella gola vicino la cascata di Kumbhe, nello stato occidentale del Maharashtraa, intorno alle 10.30 del mattino del 16 luglio. L'ipotesi è che la giovane donna sia scivolata proprio mentre era intenta a girare un reel con il suo smartphone. I soccorsi Sul posto sono intervenute le squadre di emergenza locali, tra cui la Guardia Costiera, che sono riuscite a raggiungere Aanvi ma non a salvarle la vita a causa delle gravi ferite riportate e alle difficoltà legate alla forte pioggia che batteva in quelle ore. I soccorritori hanno utilizzato una carrucola verticale per recuperare la 26enne, e dopo un'operazione durata sei ore sono riusciti a estrarla dalla gola in cui era precipitata. Purtoppo, l'influencer è morta la sera stessa in ospedale. Chi era Aanvi Kamdar Ragioniera di formazione, Kamdar ha utilizzato l'account @theglocaljournal su Instagram per pubblicare foto dei suoi viaggi, oltre a suggerimenti e trucchi per gli altri. Quello della giovane Aanvi non è il primo caso di influencer che perdono la vita o restano feriti mentre sono alla ricerca di nuovi contenuto da pubblicare sui social. Gigi Wu, nota come la "Bikini Climber", è morta nel 2019 dopo essere caduta in un burrone durante un'escursione in solitaria a Taiwan. Ryker Gamble, Alexey Lyakh e Megan Scraper del gruppo di vlog di viaggio "High on Life" sono morti nel 2018 dopo essere caduti dalle cascate Shannon nella Columbia Britannica mentre cercavano di scattare delle foto vicino al bordo della cascata. L'influencer di Hong Kong Sofia Cheung, 32 anni, ha perso la vita cadendo da una cascata nel parco Ha Pak Lai mentre si scattava un selfie nel 2021.
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viendiletto · 8 months
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27 gennaio, una data da non dimenticare per Fiume
Il 27 gennaio 2024 ricorre il centesimo anniversario di un avvenimento negletto dal secondo dopoguerra ad oggi, ma che all’epoca suscitò entusiasmo e manifestazioni di giubilo in tutta Italia. Veniva infatti firmato quel giorno il cosiddetto “Patto di Roma” con cui il Regno d’Italia e il Regno dei Serbi-Croati-Sloveni (che divenne poi la futura Jugoslavia) si spartivano di comune accordo il territorio del minuscolo “Libero Stato di Fiume”.
Creato a seguito del trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 fu una creatura nata morta. Fiume, fino al 1918 Corpus separatum della corona di Santo Stefano (l’odierna Ungheria) era città prettamente italiana che si affacciava sulle rive del golfo del Quarnaro, circondata però da un entroterra a predominanza slava. Il trattato di Londra del 26 aprile 1915 con cui il regno d’Italia s’impegnava ad entrare in guerra contro le potenze centrali gli garantiva cospicui compensi territoriali ma improvvidamente il ministro degli esteri italiano Sidney Sonnino non aveva reputato di richiedere tra essi anche la città liburnica. Il 30 Ottobre 1918 il consiglio comunale in carica di Fiume, denominatosi “Consiglio Nazionale Italiano” proclamava all’unanimità (compresi i consiglieri eletti nelle liste del locale partito autonomista di Riccardo Zanella) l’unione della città alla madrepatria italiana.
La città nel novembre 1918 fu raggiunta dalle truppe del regio esercito ma contemporaneamente la Francia, che mirava ad usare la città come base navale, vi insediò un contingente di truppe coloniali annamite. Il presidente americano Woodrow Wilson si palesò subito fermamente contrario a concedere Fiume all’Italia per motivi di ritorno elettorale (puntava molto per essere rieletto sul voto degli immigrati slavi negli USA ) e anche per un certo arrogante manicheismo, decisamente ingenuo e fuori luogo nel contesto della conferenza di pace di Versailles, dove aveva visto e permesso a Francia ed Inghilterra di tutto e di più. Ben presto scoppiarono disordini tra i cittadini fiumani, spalleggiati dai Granatieri di Sardegna, e le truppe francesi: nel luglio 1919 scontri provocati dai soldati francesi portarono all’uccisione di alcuni soldati dell’esercito transalpino. I granatieri furono allontanati dalla città e sostituiti con altre truppe meno “solidali” con i fiumani.
Il 12 settembre 1919 Gabriele d’Annunzio, il poeta soldato, alla guida di un reggimento dei granatieri ed altre truppe raccolse il grido di dolore dell’infelice città e vi si insediò tenendo alta la fiaccola dell’italianità fiumana fino al “Natale di sangue” 1920 quando fu scacciato dal regio esercito in ottemperanza appunto al trattato di Rapallo. Insediatosi nel 1921 il governo zanelliano il nuovo staterello fu subito e continuamente scosso da feroci scontri tra i cittadini che volevano l’annessione all’Italia ed i sostenitori di Zanella. Nel 1922, dopo ulteriori feroci scontri con morti e feriti, Zanella abbandonava la città rifugiandosi nella vicina Sussak, sotto l’ala protettrice di Belgrado.
Vennero alfine intavolate trattative che portarono alla divisione del territorio conteso: la città a maggioranza italiana passava al Regno d’Italia, cui era unita da una stretto corridoio che andava da Volosca a Borgomarina, nei sobborghi occidentali della città; l’entroterra con il Delta (posto tra l’Eneo e la Fiumara, ad est della città, ove erano posti i magazzini maggiori del porto e il binario della ferrovia che univa Fiume all’entroterra mitteleuropeo) e porto Bàross (per gli italiani porto Nazario Sauro, foraneo al porto principale di Fiume) passavano al regno serbo-croato-sloveno.
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Il 16 marzo 1924 l’annessione veniva sancita dalla visita in città del Re Vittorio Emanuele III di Savoia: veniva così coronato, purtroppo solo temporaneamente ed in modo incompleto, il sogno dei cittadini della “città olocausta”, come la definì d’Annunzio.
Franco Pizzini Sezione di Venezia dell’Associazione Nazionale Alpini Capogruppo alpini di Fiume d’Italia 
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kritere · 1 year
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Migranti, la strage non si ferma: 289 bambini sono morti nel Mediterraneo finora quest’anno
DIRETTA TV News su migranti e sbarchi in Italia 15 Luglio 2023 L’Unicef stima che da gennaio a giugno 2023, nel Mediterraneo siano morti 289 bambini che cercavano di raggiungere l’Europa. Sono 11 a settimana. Il ritmo degli arrivi non accenna a rallentare – sono 75mila in Italia dall’inizio dell’anno – e così salgono anche in morti in mare. 2 CONDIVISIONI immagine della strage di Cutro, 26…
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lamilanomagazine · 2 years
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Cosa nostra, dopo 26 anni torna libero Gaspare Spatuzza
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Cosa nostra, dopo 26 anni torna libero Gaspare Spatuzza. Il 3 maggio 2021 era tornato in libertà Giovanni Brusca. Ora, dopo 26 anni tra carcere e domiciliari, torna libero anche Gaspare Spatuzza. La notizia è stata anticipata dal Corriere della Sera. Il pentito ha ottenuto la libertà vigilata: già da due settimane non avrebbe più i vincoli della detenzione domiciliare a cui era sottoposto dal 2014. Per cinque anni dovrà attenersi ad alcune prescrizioni, come non frequentare "abitualmente" pregiudicati o non uscire, senza autorizzazione, dalla provincia in cui abita. Spatuzza, nato a Palermo l’8 aprile 1964, era affiliato alla famiglia di Brancaccio, quella dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Soprannominato ‘u Tignusu (per la sua calvizie) o l’imbianchino (per il mestiere che svolgeva), si è autoaccusato di aver rubato la Fiat 126 impiegata come autobomba in via D’Amelio, dove il 19 luglio 1992 sono morti Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, smascherando il falso pentito Vincenzo Scarantino, che era al centro dei depistaggi sulla strage. Ha ricevuto condanne per oltre 40 omicidi. L’Antimafia lo ha catturato nel 1997 all’ospedale Cervello di Palermo. Spatuzza è tra gli autori materiali dell’omicidio di Don Pino Puglisi nel 1993. Ha preso parte al rapimento del 13enne Giuseppe Di Matteo - poi sciolto nell'acido - per vendicarsi del padre Santino e del suo pentimento. Anni dopo, però, arriva anche il suo pentimento, che risale all’estate del 2008. Tra le sue dichiarazioni anche quelle che hanno mandato a processo Matteo Messina Denaro per le stragi del 1992. Spatuzza, che ora ha 59 anni, in passato ha raccontato che la sua collaborazione con la giustizia fa parte di una conversione religiosa che lo ha fatto avvicinare al cattolicesimo.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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perfettamentechic · 2 years
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26 luglio … ricordiamo …
26 luglio … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic
2021: Gogó Rojo, nome d’arte di Gladys del Valle Rojo Castro, attrice argentina. Durante gli anni sessanta e settanta è stata una vedette del teatro di rivista in Spagna e Sud America. Al cinema è apparsa in alcune produzioni spagnole. La sua carriera cinematografica si è conclusa alla fine degli anni settanta. È apparsa anche sui palcoscenici argentini. La sorella maggiore Ethel Rojo è stata…
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corallorosso · 3 years
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WIKILEAKS E I SEGRETI DELLA GUERRA IN AFGHANISTAN Negli “Afghan War Logs” rivelati dall’organizzazione di Julian Assange uno squarcio di verità senza precedenti sul conflitto afgano. Un estratto dal libro “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks” di Stefania Maurizi, da oggi in libreria per Chiarelettere. Stefania Maurizi 26 Agosto 2021 […] Il 25 luglio 2010 WikiLeaks pubblicò gli «Afghan War Logs», che mandarono il Pentagono su tutte le furie. I file erano 76.910 report segreti sulla guerra in Afghanistan compilati dai soldati americani sul campo tra il gennaio del 2004 e il dicembre del 2009. Aprivano uno squarcio senza precedenti in quel conflitto lontano e ignorato. […] Pochi mesi prima della pubblicazione di questi documenti, l’organizzazione di Julian Assange aveva pubblicato un memorandum riservato [1] della Cia, datato 11 marzo 2010. Non aveva fatto grande scalpore, eppure era importante perché spiegava le strategie da usare per scongiurare il rischio che l’opinione pubblica francese e tedesca si rivoltasse contro la guerra, chiedendo il ritiro dei loro militari. (...) Per quanto rilevante, questo documento non aveva avuto un grande impatto, quando però il 25 luglio 2010 WikiLeaks rivelò gli Afghan War Logs, i documenti furono rilanciati in tutto il mondo e la reazione del Pentagono fu durissima. Una straordinaria finestra sul conflitto I 76.910 documenti segreti descrivevano la guerra come mai prima era stato possibile. Si trattava di brevi relazioni compilate dai soldati statunitensi che combattevano sul campo. Contenevano informazioni fattuali, incluse latitudine e longitudine dei luoghi in cui erano avvenuti scontri, incidenti e stragi di civili, il tutto descritto con data e ora esatta e in un gergo militare stretto. I file registravano in tempo reale gli eventi significativi (SigActs, significant activities) dal gennaio del 2004 al dicembre del 2009, ovvero negli anni che andavano dal secondo mandato presidenziale di George W. Bush fino al primo anno dell’amministrazione di Barack Obama. Ogni unità e avamposto presente sul teatro di guerra doveva relazionare in modo estremamente sintetico su: attacchi subiti, scontri, morti, feriti, rapiti, prigionieri, fuoco amico, messaggi di allerta e informazioni sugli Improvised explosive devices (Ied), gli ordigni improvvisati piazzati lungo le strade e azionati a distanza che facevano strage di civili e soldati. Ognuno dei report era come un’istantanea che fissava in un preciso momento e in un determinato luogo geografico il conflitto in Afghanistan. Mettendo insieme tutte le istantanee, soldati e intelligence potevano avere una visione completa della guerra, così come si sviluppava sul campo azione dopo azione, in modo da poter fare piani operativi e analisi di intelligence. I rapporti erano compilati dai soldati dell’esercito americano, lo Us Army, quindi erano il loro racconto del conflitto. Non contenevano informazioni di eventi top secret, perché si trattava di documenti classificati al livello secret. I documenti lasciavano emergere per la prima volta centinaia di vittime civili mai computate: il quotidiano inglese «The Guardian» aveva contato almeno 195 morti e 174 feriti, ma aveva fatto notare che il dato era sicuramente sottostimato. I file aprivano anche uno squarcio sulla guerra segreta che si combatteva con unità speciali mai conosciute prima di allora, come la Task Force 373, e con i droni, gli aerei senza pilota che, comandati dai soldati americani che si trovavano in una base del Nevada, uccidevano in posti remoti come l’Afghanistan. La Task Force 373 era un’unità d’élite che prendeva ordini direttamente dal Pentagono e aveva come missione quella di catturare o uccidere combattenti di alto livello di al Qaeda e dei talebani. La decisione di chi catturare e chi ammazzare in modo stragiudiziale, ovvero senza alcun processo giudiziario, appariva completamente affidata alla task force [2]. Il valore degli Afghan War Logs rivelati da WikiLeaks stava proprio nel far emergere i fatti che la macchina della propaganda del Pentagono nascondeva e le oscure operazioni della Task Force 373 erano uno degli esempi. La brutalità con cui queste forze speciali agivano nella notte aveva portato a sterminare forze afghane alleate, donne e bambini. Questo tipo di attacchi contribuivano a creare un forte risentimento nelle popolazioni locali contro le truppe americane e della coalizione. Ma nelle dichiarazioni ufficiali dei militari il nome della Task Force 373 non compariva mai e, come il «Guardian» aveva ricostruito, (3) venivano nascoste informazioni per coprire errori e stragi di innocenti. Durante una delle loro operazioni, per esempio, i soldati della Task Force 373 avevano ucciso sette bambini. La notizia della loro morte era stata data in un comunicato stampa della coalizione, ma senza spiegare il contesto in cui era avvenuta. Nessuno aveva raccontato che quelle forze speciali, spesso, non avevano letteralmente idea di chi ammazzavano, come in questo caso: avevano sparato cinque missili contro una scuola religiosa, una madrasa, convinti di colpire un leader di al Qaeda, Abu Laith al-Libi. In un altro, invece, avevano sterminato sette poliziotti afghani e ne avevano feriti quattro, convinti di colpire gli uomini di un comandante talebano. (...) I file rivelavano anche un’altra informazione mai emersa prima pubblicamente: dalle ricerche del «New York Times» nel database risultava che i talebani avevano ottenuto missili terraaria trasportabili e a ricerca di calore del tutto simili agli Stinger che, venticinque anni prima, la Cia aveva fornito ai mujaheddin. Si trattava di un contrappasso: la stessa tipologia di armi con cui i guerriglieri afghani avevano inflitto perdite devastanti ai sovietici, costringendoli alla ritirata, era finita nelle mani dei nemici degli americani in Afghanistan. [6] Quanto ai droni, presentati spesso come un’arma infallibile a rischio zero – visto che, come in un videogame, venivano pilotati da soldati che operavano in completa sicurezza da una base negli Stati Uniti –, non sempre erano così infallibili. I file, infatti, documentavano situazioni, ricostruite dal settimanale «Der Spiegel», in cui le truppe avevano dovuto fare rischiose operazioni di recupero, perché quei velivoli senza pilota si erano schiantati al suolo e le informazioni segrete contenute nei loro computer potevano finire in mano al nemico. Non sempre, infatti, era possibile cancellare da remoto i dati presenti nei sistemi informatici dei droni [7] e, quando l’operazione falliva, i soldati sul campo in Afghanistan dovevano imbarcarsi in pericolose missioni. A oggi gli Afghan War Logs rimangono l’unica fonte pubblica che permette di ricostruire attacchi, morti, assassini stragiudiziali avvenuti in Afghanistan tra il 2004 e il 2009, considerata la segretezza di queste operazioni militari. Sono anche una delle pochissime fonti che abbiamo a disposizione per cercare di ricostruire il numero di civili uccisi prima del 2007, di cui nessuno pare avere dati affidabili, neppure la missione delle Nazioni unite in Afghanistan, l’Unama, che compila queste statistiche. [8] Mentre scrivo nessuno sa che tipo di futuro attende l’Afghanistan. In particolare per quanto riguarda le donne, nel caso in cui i talebani tornassero al potere, anche perché nel frattempo nel paese è arrivato anche l’Isis. L’unica certezza è che non esistono dati affidabili su quanti civili siano stati ammazzati dall’ottobre del 2001 al 2006, mentre si sa che solo nel periodo dal 2009 al 2019 sono stati uccisi almeno 35.518 civili e ne sono stati feriti 66.546. Questo significa oltre tremila morti innocenti all’anno: è come se dal gennaio del 2009 al dicembre del 2019 in Afghanistan ci fosse stato ogni anno un 11 settembre, [9] eppure questa guerra è sempre rimasta fuori dallo schermo radar dell’opinione pubblica occidentale. E senza il coraggio di Chelsea Manning e di WikiLeaks, il segreto di Stato e la macchina della propaganda bellica non ci avrebbero mai permesso di acquisire le informazioni fattuali che abbiamo scoperto grazie agli Afghan War Logs. L’allora direttore del «New York Times», Bill Keller, li aveva definiti [10] «una straordinaria finestra su quella guerra». Subito dopo la loro pubblicazione, il settimanale tedesco «Der Spiegel» aveva intervistato Julian Assange, [11] chiedendogli: «Lei avrebbe potuto creare un’azienda nella Silicon Valley e vivere a Palo Alto in una casa con piscina. Perché ha invece deciso di dedicarsi alla creazione di WikiLeaks?». Assange aveva risposto: «Si vive solo una volta e quindi abbiamo il dovere di far un buon uso del tempo a disposizione e di impiegarlo per compiere qualcosa di significativo e soddisfacente. Questo è qualcosa che io considero significativo e soddisfacente. È la mia natura: mi piace creare sistemi su larga scala, mi piace aiutare le persone vulnerabili e mi piace fare a pezzi i bastardi. E quindi è un lavoro che mi fa sentire bene». Ma il Pentagono non la vedeva allo stesso modo e reagì con furia alla rivelazione degli Afghan War Logs. L’allora segretario alla Difesa Robert Gates promise subito «un’inchiesta aggressiva», mentre l’ammiraglio Mike Mullen aveva subito dichiarato: «Assange può dire quello che vuole sul bene che lui e la sua fonte credono di fare, ma la verità è che potrebbero avere già le mani sporche del sangue di qualche giovane soldato o di una famiglia afghana». Un’accusa questa che sarebbe stata ripetuta acriticamente dai media per oltre un decennio, danneggiando seriamente Wiki-Leaks. Ma era vera? Le mani sporche di sangue Il veleno che il Pentagono aveva iniettato nel dibattito pubblico su WikiLeaks non tardò a dare i suoi frutti. Pochi giorni dopo la pubblicazione dei documenti segreti sulla guerra in Afghanistan, l’idea che Julian Assange e la sua organizzazione fossero dei pericolosi irresponsabili iniziò a circolare nell’opinione pubblica e nelle redazioni dei giornali. Le parole dell’ammiraglio Mike Mullen sulle «mani sporche di sangue» si riferivano al fatto che, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, la diffusione dei 76.910 documenti segreti esponeva le truppe americane, quelle della coalizione internazionale e i collaboratori afghani – che fornivano loro informazioni e assistenza sul campo – al rischio di attentati da parte dei talebani, perché alcuni di quei file contenevano nomi o dettagli che permettevano di identificarli. Era chiaro che il Pentagono avesse un grandissimo interesse nel delegittimare WikiLeaks a causa della pubblicazione di quei file e di altri precedenti, come il video Collateral Murder. Gli Afghan War Logs costituivano una vera e propria miniera di informazioni: la stampa e l’opinione pubblica mondiale potevano confrontare le dichiarazioni dei vari leader militari e governi, che avevano inviato truppe in Afghanistan, con i dati contenuti nei file e scoprire le menzogne ufficiali, le omissioni e le manipolazioni. Quei documenti permettevano per la prima volta di diradare la nebbia della guerra, mentre il conflitto in Afghanistan era in corso e non venti o trent’anni dopo, quando ormai i fatti potevano interessare giusto agli storici di professione. (...) WikiLeaks non aveva pubblicato le rivelazioni sull’Afghanistan da sola, aveva stabilito una collaborazione con tre grandi giornali internazionali: il «New York Times», il quotidiano inglese «The Guardian» e il settimanale tedesco «Der Spiegel». Come già fatto con me nel caso del file audio sulla crisi dei rifiuti a Napoli, Assange e il suo staff avevano scelto di collaborare con i reporter di quelle tre grandi redazioni per diverse settimane, durante le quali i giornalisti avevano avuto accesso esclusivo ai documenti segreti in modo da poterne verificare l’autenticità e indagare sulle rivelazioni più importanti che ne emergevano. (...) Due cose mi colpivano, in particolare, di questa organizzazione: innanzitutto la sua scelta di democratizzare l’accesso alla conoscenza e alle informazioni, pubblicando i documenti per tutti, affinché qualunque cittadino, giornalista, studioso, politico o attivista del mondo potesse leggerli, fare ricerche mirate e indagare in modo del tutto indipendente sulla guerra in Afghanistan, senza doversi affidare esclusivamente a quello che i giornali avevano scritto. Trovavo questa scelta rivoluzionaria, perché permetteva a qualunque lettore di avere accesso alle fonti primarie delle informazioni pubblicate dai media, (...) Era un’intimidazione da non sottovalutare: con la guerra al terrorismo, gli Stati Uniti avevano dimostrato che non si sarebbero fermati davanti a nulla e avrebbero usato ogni tipo di mezzo legale o illegale, dalla tortura agli assassini con i droni, contro chi percepivano come una minaccia alla loro sicurezza. Allo stesso tempo era da escludere che avrebbero usato mezzi così sfacciatamente brutali per neutralizzare Assange e WikiLeaks, che era un’organizzazione giornalistica del mondo occidentale e ormai molto visibile. Il documento del 2008 del controspionaggio americano, l’Army Counterintelligence Center (Acic) – che WikiLeaks stessa aveva rivelato –, aveva fatto emergere come le autorità americane puntassero a neutralizzarli colpendo le fonti che passavano loro documenti segreti, piuttosto che colpendoli direttamente. In ogni caso quelle minacce andavano prese molto sul serio: suonavano grottesche a chiunque avesse un’idea della sproporzione tra la potenza e le risorse del Pentagono e quelle di una piccola organizzazione come WikiLeaks. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti avrebbe potuto schiacciarla come un moscerino in qualunque momento. Ma Assange e il suo staff non si piegarono a quell’intimidazione. E per questo avrebbero pagato un prezzo molto alto. (...) Collusi (Rodolfo Formis)
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palmiz · 3 years
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STUDENTESSA RISPONDE ALLA LETTERA DEL RETTORE CHE INVITA ALLA VACCINAZIONE GLI STUDENTI: È SICURO DI ASSUMERSI QUESTA RESPONSABILITÀ?
23 Agosto 2021
Questa è la lettera che una ex studentessa di Scienze e Tecnologie Agrarie dell’Università di Padova, recentemente laureatasi, ha scritto al Rettore dell’Università e per conoscenza ai suoi docenti.
Byoblu ha avuto il permesso di pubblicarla e farla leggere così ai suoi lettori. L’inizio dl nuovo anno sarà con il green pass anche per le Università.
Per accedere alla vita universitaria, professori e studenti, dovranno essere in possesso del lasciapassare verde.
Ma il fronte del No al green pass si sta allargando e sono diversi gli studenti che decidono di rispondere alle lettere inviate dai Rettori che invitano alla vaccinazione sperimentale anti covid.
La lettera del Rettore agli studenti dell’Università di Padova
Ecco la risposta della studentessa
Questa è la risposta di Sara Collauto al Rettore dell’Università di Padova Rosario Rizzuto.
Magnifico Rettor Rizzuto,
mi chiamo Sara Collauto e sono una ex studentessa dell’Università di Padova, che ha conseguito la laurea magistrale in Scienze e Tecnologie Agrarie il giorno 20 luglio 2021.
Le scrivo in merito alla e-mail che ho ricevuto il giorno 26 luglio e che porta la Sua firma. Lei afferma che gli ultimi due anni sono stati “stravolti” dalla pandemia. Rispetto la Sua personale opinione, tuttavia ritengo che, ben più della “pandemia” sia stata la gestione della stessa ad aver stravolto la vita delle persone.
Sarebbe molto interessante far luce sull’effettiva validità di misure come lockdown, mascherine obbligatorie, restrizioni varie oltre che sulle loro devastanti conseguenze economiche e psicologiche sulle persone.
Interessante sarebbe anche capire il motivo per cui sono state vietate le autopsie sui morti per Covid a febbraio nel corso della prima ondata. Bisognerebbe anche chiarire il motivo per cui in seguito sia stato impedito ai medici di curare i loro pazienti in scienza e coscienza, obbligandoli a sottostare al protocollo “Tachipirina e vigile attesa”, imposto dal Governo.
Perché, infine, tutte le possibili cure che sono emerse fin dall’inizio con buoni, e talvolta ottimi risultati, sono state boicottate nel nome di un approccio prudenziale (utilizzato anche per quei farmaci, come l’idrossiclorochina, che hanno decenni di storia alle spalle), mentre con l’arrivo dei vaccini si è dimenticata ogni cautela?
Tuttavia, in questa sede mi limito a discutere alcune Sue affermazioni riportanti informazioni parziali e difficilmente verificabili. Personalmente, non comprendo la Sua scelta di non giustificare da un punto di vista scientifico le sue affermazioni e la ritengo una mossa particolarmente azzardata in un ambiente universitario dove lo studio e l’analisi dei dati oggettivi dovrebbe costituire l’essenza stessa di un discorso razionale, lucido, che indaghi la verità e privo di influenze esterne. Se ciò non si verifica nell’ambiente universitario dove si potrebbe verificare? Quale altra speranza rimarrebbe alla Scienza, alla Cultura, alla Politica per potersi evolvere?
Per quanto riguarda le sue dichiarazioni sulla campagna vaccinale non ho potuto verificare che “nonostante la presenza di queste varianti, la vaccinazione sta drasticamente riducendo l’impatto della malattia. Anche dove la diffusione delle varianti e la ripresa della socialità stanno incrementando il contagio, l’impatto clinico (…) è drasticamente inferiore rispetto alle precedenti fasi di espansione epidemica e interessa quasi esclusivamente soggetti che non hanno completato il ciclo vaccinale”. A tal proposito, ho consultato il sito dell’ISS dove con tutta chiarezza si riscontra che, rispetto all’anno 2020, non c’è stato alcun calo dei casi.
Anzi, come potrà riscontrare il confronto tra i vari mesi lascia intendere che, dopo l’inizio della campagna vaccinale, c’è stato un incremento dei contagi e dei morti attribuiti a Covid-19. Le riporto quanto ho trovato, con i riferimenti in allegato:
“Durante il periodo 18-31 maggio 2020 sono stati diagnosticati e segnalati complessivamente 6.350 nuovi casi, di cui 81 deceduti” (1)
“Durante il periodo 17-30 maggio 2021 sono stati diagnosticati e segnalati 52.191 nuovi casi, di cui 99 deceduti” (2)
“Durante il periodo 1 – 14 giugno 2020, sono stati diagnosticati e segnalati complessivamente 3.640 casi, di cui 42 deceduti” (3)
“Durante il periodo 31 maggio – 13 giugno 2021 sono stati diagnosticati e segnalati 26.960 nuovi casi, di cui 87 deceduti” (4)
“Durante il periodo 15-28 giugno 2020, sono stati diagnosticati e segnalati 2.837 casi, di cui 27 deceduti” (5)
“Durante il periodo 14 – 27 giugno 2021 sono stati diagnosticati e segnalati 12.427 nuovi casi, di cui 22 deceduti” (6)
“Durante il periodo 6 – 19 luglio 2020, sono stati diagnosticati e segnalati 2.746 casi, di cui 13 deceduti” (7)
“Durante il periodo 5 – 18 luglio 2021 sono stati diagnosticati e segnalati 26.805 nuovi casi, di cui 21 deceduti” (8)
“Durante il periodo 13 – 26 luglio 2020, sono stati diagnosticati e segnalati 3.057 casi, di cui 21 deceduti”(9)
“Durante il periodo 12 – 25 luglio 2021 sono stati diagnosticati e segnalati 48.498 nuovi casi, di cui 40 deceduti” (10)
La lettura di questi dati non rassicura molto riguardo all’efficacia della vaccinazione massiva.
Inoltre, alcuni medici e scienziati, tra i quali il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier (11), affermano che vaccinare in massa in tempo di epidemia non è prudente in quanto favorirebbe l’insorgenza di mutazioni nel patogeno.
Pur senza aver studiato medicina, ma analizzando semplicemente i dati di cui sopra e la situazione che si sta creando in Gran Bretagna (12) ed Israele (13) (14), nazioni con un’altissima copertura vaccinale e che da mesi assistono ad una crescita di casi attribuiti alla variante delta, si potrebbe concludere che la tesi del dott. Montagnier risulti la più vicina alla realtà.
Uno studio israeliano riportato dal Gazzettino (15) e da Il Messaggero (16) afferma che gli anticorpi naturali sono più efficaci del vaccino nel contrastare la malattia.
Numerosi studi scientifici dimostrano che la malattia da Covid può svilupparsi (17) tra persone giovani e sane dopo essere state vaccinate, e che dopo il vaccino, ci si può ammalare anche gravemente (18), si può essere portatori di contagio e si possono sviluppare malattie (19).
In alcuni casi è proprio dopo la vaccinazione che si sono registrati gravi focolai di infezione da Covid-19: le segnalo solo a titolo di esempio il caso dell’Ontario (20) e anche quello, forse più noto, della nave da guerra HMS Queen Elisabeth (21) dove, come forse sa, sono risultati positivi 100 membri del personale dell’equipaggio, tutti vaccinati con doppia dose. Molti altri dati sono inoltre facilmente reperibili online a supporto di questa tesi.
Un altro lampante esempio è quello dell’Olanda (22), dove quasi 1000 persone, in prevalenza giovani, sono risultate positive al Covid-19 dopo aver partecipato al festival Veknipt a Utrecht il 3 e 4 luglio, evento riservato a persone vaccinate o negative al tampone.
Quindi anche la “ripresa in sicurezza” che Lei, come tutti, auspica non è affatto garantita da una vaccinazione massiccia, in quanto ci sono già stati casi di persone che, pur vaccinate con doppia dose, hanno infettato, magari senza rendersene conto, altre persone, oppure si sono infettate e ammalate.
In Israele, addirittura, ad inizio agosto 2021 sono stati segnalati casi di contagi e persino di ricoveri dopo la terza dose (35).
Perché dunque, esimio Rettore, concludere che la vaccinazione “sta drasticamente diminuendo l’effetto della malattia” se i paesi ove la campagna di vaccinazione è stata più massiccia, sono stati i primi ad aver assistito ad un processo di selezionamento e potenziamento del virus? Se esiste qualche studio e qualche dato che può supportare tali affermazioni perché cortesemente non ce ne mette al corrente? Ovviamente di tutto ciò che le sto scrivendo troverà riportati tra le note e tra i link, notizie, analisi e dati scientifici che ne provino la veridicità. Ove ve ne fosse bisogno non indugerò a inviargliene altri.
Inoltre, moltissimi sono gli eventi avversi e persino i morti dovuti alla vaccinazione. Nei link in allegato le sarà possibile trovare, soltanto a titolo di esempio, notizie relative a ben 199 casi (23) di misteriosi decessi a seguito della vaccinazione, riportate da quotidiani locali e regionali. Si tratta, tuttavia, solo di una piccolissima parte di tutte le reazioni avverse e di tutti i decessi che, per vari motivi, sono state taciute o non riportate da fonti ufficiali.
Senza contare che gli studenti, la maggior parte dei quali sono giovani, hanno statisticamente pochissime probabilità di contrarre questa malattia in forma severa.
Benché lo stesso ISS non sia in grado, per mancanza di dati, di rassicurare circa i possibili effetti collaterali nell’ambito della fertilità (24), risalgono a pochi giorni fa le dichiarazioni della Federazione SIGO-AOGOI-AGUI-AGITE (che riunisce tutte le società e associazioni della ginecologia italiana) insieme alle società di Pediatria e Neonatologia (SIN-SIMP), che si sprecano nel decantare la sicurezza e la necessità di vaccinare persino le donne in gravidanza (25) (26) (27), nonostante i diversi squilibri verificatesi nel ciclo femminile e gli aborti a seguito del vaccino (28). Del resto, gli stessi allegati ai moduli di consenso informato di Astrazeneca (29), Pfizer (30), Moderna (31) e Johnson & Johnson (32) non garantiscono la sicurezza dei loro prodotti, in quanto dispongono di dati, studi ed esperienze limitati.
Mi domando se, caldeggiando il vaccino, Lei sarebbe in grado di garantire che questo non possa compromettere per sempre la fertilità dei giovani.
E potrebbe garantire che nessuno dei suoi studenti avrà la stessa sorte della diciottenne di Sestri Levante, Camilla Canepa, o del sottufficiale della MM Stefano Paternò, per le cui morti è stato riconosciuto un nesso causa-effetto con il vaccino? Potrebbe assicurare che a nessuno dei suoi studenti il vaccino provocherà un’ischemia, un infarto, una trombosi, una malattia autoimmune, una paralisi, un tumore, una miocardite, un evento di tossicità da ossido di grafene (33) e quant’altro?
Nemmeno i medici vaccinatori, del resto, sembrano essere così sicuri di non poter nuocere al paziente con la somministrazione di questo farmaco sottoposto a monitoraggio addizionale, dal momento che sono protetti dallo scudo penale per lesioni colpose e per omicidio colposo.
Ultimo aspetto, ma non in termini di importanza, di questa mia missiva è quello di evidenziare, con la mia più totale disistima, la folle e gravissima discriminazione che il Governo sta tentando di mettere in atto nei confronti delle persone non vaccinate (oppure che non vogliono o non possono farsi un tampone ogni due giorni) e che non mi sembra affatto in linea né con la nostra Costituzione, la quale ripudia ogni forma di discriminazione, né con le normative europee (per esempio il Reg CE 953/2021). Inoltre, anche il famoso dott. Andrea Crisanti non ha potuto nascondere come il Green Pass non sia uno strumento di sanità pubblica, bensì un incentivo alla vaccinazione (34).
Auspico, pertanto, che l’Università italiana, e in particolar modo l’Università di Padova (il cui motto, ricordiamolo è “Universa Universis Patavina Libertas”), non accetti in alcun modo di discriminare una certa categoria di persone, vietando loro l’ingresso nelle sue strutture e la fruizione dei suoi servizi, e ritorni ad essere quel luogo in cui si formano le coscienze e lo spirito critico dei giovani.
Nella certezza che Lei, quale importante promotore della cultura nella nostra amatissima città, vorrà considerare anche le istanze di chi, come me, ha idee politiche differenti, e nella consapevolezza che la ricchezza culturale si fonda soprattutto sulla molteplicità di contributi culturali, Le porgo i miei più cordiali saluti.
Dott.ssa Collauto Sara
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toscanoirriverente · 3 years
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Dunque: i filosofi Agamben e Cacciari hanno sollevato un polverone, pubblicando un documento che, accusando chi è favorevole al green pass di voler introdurre un’ulteriore, pericolosa forma di restrizione della libertà sulla strada che porta a forme non democratiche di governo, in realtà esprimono anche una serie di argomenti, sotto la forma retorica di domanda, che sono tipicamente utilizzati dalla galassia di chi si oppone al vaccino per giustificare le proprie scelte. Domande, cioè, che sottintendono dubbi tali da rendere legittima la scelta di non vaccinarsi, al pari di quella di vaccinarsi; e, per converso, rendono illegittima ogni forma di coercizione al vaccino, cui è assimilata anche la richiesta del green pass.
Non intendo rispondere al documento pubblicato originariamente il 26 luglio sul sito dell’Istituto per gli studi filosofici di Napoli: altri, anche più titolati di me visto il genere di argomenti utilizzati, ne hanno mostrato l’ovvia inconsistenza e la grossolanità. (...)  Sorrentino sul Sole 24 Ore, che in un’accurata disamina dell’origine del documento di Agamben e Cacciari parla di “salti logici” dei due filosofi. 
A me, tuttavia, interessa rispondere al solo Cacciari, perché ieri, pressato evidentemente dalle numerosi reazioni, ha sentito il bisogno di articolare meglio il suo pensiero, trovando ospitalità sulla Stampa. Di questo articolo ci sarebbe molto da dire, ma a me interessa rispondere su alcuni punti precisi, laddove cioè il filosofo “con grande umiltà” pone alla “Scienza” con la maiuscola una serie di domande. Domande che, come accennavo in precedenza, assomigliano agli artifici retorici dei No vax, volti a dimostrare l’esistenza di dubbi che non sussistono, nel senso che si tratta di questioni già risolte, le quali però si finge che siano ancora aperte. 
Chiede “alla Scienza”, innanzitutto, Cacciari: “Non dovrebbe un cittadino leggere e sottoscrivere prima della vaccinazione l’informativa dello stesso ministero della Salute?” Questa, naturalmente, non è affatto una domanda di pertinenza scientifica, né per merito né per metodo; ma proverò comunque a dare una risposta. Al sottoscritto, come a tutti coloro che si sono presentati per la vaccinazione, è stata presentata la documentazione necessaria per poter prestare il proprio consenso informato; documentazione differente per ogni tipo di vaccino e aggiornata a mano a mano che nuove informazioni divenivano disponibili. Già la modulistica in questione conteneva informazioni di significato non accessibile a tutti, per esempio la composizione del vaccino utilizzato; e per questo presso ogni hub vaccinale era possibile porre domande o formulare richieste di chiarimento con i medici presenti; questo per non parlare dell’opera dei medici di base, che si sono prestati alla campagna vaccinale e hanno fornito informazioni personalizzate ai propri pazienti. Mai i cittadini hanno conosciuto con così grande dettaglio, aggiornamento e meticolosità la natura di ciò che si iniettavano; dunque trovo l’obiezione fuori luogo.
La seconda domanda è un tipico cavallo di battaglia degli antivaccinisti, che è usato per instillare paura, e Cacciari la formula così: “Che cosa ne pensa la Scienza del documento integrale Pfitzer [sic!] in cui si dice apertamente che non è possibile prevedere gli effetti del vaccino a lunga distanza, poiché non si sono potute rispettare le procedure previste (solo 12 mesi di sperimentazione a fronte degli anni che sono serviti per quello delle normali influenze)?”. Mi piacerebbe innanzitutto verificare le fonti di questa affermazione, ma assumiamo che sia vera, e che davvero da qualche parte Pfizer abbia scritto una cosa del genere “apertamente”. Intanto, per il vaccino influenzale che inoculiamo ogni anno non vi è affatto un periodo di anni di sperimentazione clinica, visto che ogni anno si cambia vaccino a causa della variazione di quelli che si ritengono saranno i ceppi prevalenti nell’inverno. In secondo luogo, come ho già scritto più volte, quello di “lunga distanza” è un concetto relativo: quanto sarebbe la “distanza” temporale che si vorrebbe, per essere convinti? E perché proprio quella? In ogni caso, sappia Cacciari che i tempi di sviluppo e di somministrazione di massa di alcuni vaccini sono stati anche più ristretti del caso attuale; e anche se in quelle occasioni ci fu già chi prospettò potenziali e indefiniti “effetti a lungo termine”, questi non sono stati osservati. Il problema comunque è che la richiesta di “escludere effetti a lungo termine” è semplicemente impossibile da soddisfare, ed è pertanto usata dagli oppositori di qualunque sviluppo tecnologico nella forma di un malinteso principio di precauzione; non si può rispondere a questa richiesta, così come non si può provare l’inesistenza o l’esistenza di un dio. Il ragionamento è diverso: di fronte a un pericolo concreto, che si manifesta nel presente, si raggiunge il massimo di sicurezza che sperimentazioni su decine di migliaia di persone per alcuni mesi possono garantire, e poi, in presenza di morti e malati di virus, si procede con il vaccino. In alternativa, cosa avrebbe detto il filosofo Cacciari, se al propagarsi del virus e all’impilarsi dei morti, le aziende farmaceutiche avessero tenuti chiusi i depositi, attendendo qualche anno per maggior sicurezza di non arrecare danno? Sarebbe stato etico veder morire le persone, avendo a disposizione i dati che si avevano quando è iniziata la campagna vaccinale?
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abr · 3 years
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Mal di testa, dolori muscolari, febbriciattola, brividi. I più comuni effetti lievi dei quattro vaccini anti Covid utilizzati in Italia. Il 12,8% delle segnalazioni raccolte dal sistema di farmacovigilanza di Aifa (Agenzia italiana del farmaco) riguarda invece reazioni gravi, 16 su 100 mila dosi. Per gravi si intendono un insieme di sintomi paragonabili a quelli dell'influenza stagionale, anche intensi, più frequenti dopo la seconda dose dei vaccini a mRna (Rna messaggero) e dopo la prima dose di quello targato AstraZeneca. Il bilancio è contenuto nel settimo rapporto pubblicato ieri nel sito dell'agenzia. Rientra in un lavoro di sorveglianza effettuato a livello europeo (...). Finora i dati comunitari sono in linea fra loro. Compreso quel 12,8% dell'Italia (...) «un tasso assolutamente non preoccupante» (...).Tra il 27 dicembre e il 26 luglio Aifa ha raccolto 84.322 segnalazioni su un totale di quasi 66 milioni di dosi, con una tasso pari a 128 ogni 100 mila dosi. (...) Per la prima volta emergono indicazioni sui giovani: «Nella fascia 12-19 anni la distribuzione per tipologia di eventi avversi non è sostanzialmente diversa da quella osservata negli adulti». Sono una novità anche le prime rilevazioni sulle vaccinazioni eterologhe (due dosi di aziende diverse) negli ultra sessantenni: 114 invii su quasi 400 mila somministrazioni. (...).
tal Margherita de Bac (parente della contessa De Blanck?) sul Cds, via https://www.dagospia.com/rubrica-39/salute/dite-scettici-che-vaccino-anti-covid-39-farmaco-piu-39-278770.htm
Felicissimo , da pro vax, che questi NON VACCINI (*) non stiano apparentemente causando catastrofi. 
Trovo però sinistramente anti scientifico affermare come fanno nel titolo, che si tratti dei farmaci più testati di tutti i tempi : confonde QUANTI ne stian in(o)culando tra gli Occidentali - altrove ‘un so -coi sinora incompleti TEST VERI DOVUTI, eseguiti in modo codificato non ‘ndo cojo cojo (la Scienza è Metodo, non democratica quantità). Confermando by the way senza volerlo che questa è una SPERIMENTAZIONE DI MASSA.
Infatti, usando parafrasi Boskoviana (*): vaccino è quando Autorità fischia, approvando i risultati di tutti i livelli di test codificati e obbligatori. Se va bene finiranno il livello tre dei trial dovuti per poter sottoporre un farmaco ad approvazione a Dicembre 2023 (Pfizer). Quindi per adesso sono NON VACCINI, a maggior ragione per la tecnologia mai provata prima sull’uomo su cui sono basati. “Le parole sono importanti” (cit.) e in Italì vantar titoli non conseguiti è reato. 
Ciò fissato, passiamo al merito dei dati presentati nell’articolo: 128 “segnalazioni” su ogni 100.000 dosi, fa più di 1 per mille: non è poco. Inoltre, se per il virus contano le terapie intensive e i morti (in modo “largo”, come sappiamo non da gomblottisti ma dall’Avvocatura di Stato), non ce lo specificano per i (non) vaccini: parlano solo di “reazioni gravi” mettendo assieme  lesioni permanenti o morti con “banali” sintomi influenzali. Presentar dati così, ammesso sian veri,  per chi i dati li mastica da sempre suona lievemente sospetto. 
Continuiamo a mantenere sospeso il giudizio nonostante la propaganda rassicurante. Fa un po’ ridere, in tempi in cui laggente pretende di avere il tracciamento completo di quel che mangia, altrimenti non lo mangia, mentre per la roba che si sbatte in vena, Fìdati Esselunga ... vabbé. 
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pedrop61 · 3 years
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Islanda, boom esponenziale di casi nell’isola dove TUTTI sono vaccinati: tornano coprifuoco e restrizioni. L’epidemiologo Gudnason: “vaccini non funzionano come pensavamo, pandemia può durare 15 anni”
30 luglio 2021
Il capo epidemiologo dell'Islanda Thorolfur Gudnason, a cui il Governo ha affidato la lotta alla pandemia, dispone nuove restrizioni: "i vaccini non funzionano come speravamo, sulla variante Delta perdono di efficacia e i vaccinati si contagiano e si ammalano. C'è il rischio di andare avanti così anche per 10-15 anni"
L’Islanda è uno dei Paesi del mondo meno colpiti in assoluto dalla pandemia di Covid-19, grazie alla conformazione naturale del territorio: si tratta di un’isola molto lontana da altre aree abitate, con appena 350 mila abitanti e con un sistema sanitario molto efficiente che ha consentito l’attuazione di test a tappeto per individuare i casi positivi e isolare i focolai sul nascere. Così in tutto il Paese dall’inizio della pandemia abbiamo avuto soltanto 7.801 casi positivi e 30 morti, con uno dei tassi di mortalità in assoluto più bassi al mondo.
L’arrivo del vaccino è stato poi accolto con grande speranza nel Paese che si è sempre contraddistinto per una forte fiducia nei confronti della scienza, con cui ha costanti relazioni per la necessità di adottare misure di prevenzione dai rischi naturali a cui l’isola è esposta (terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni e tempeste meteorologiche). In poco tempo, quindi, tutti gli abitanti islandesi vaccinabili sono stati vaccinati: ad oggi il 78,48% della popolazione ha ricevuto la prima dose, il 74,33% la seconda. Considerando che le vaccinazioni non sono state autorizzate per bambini e ragazzi fino ai 16 anni (che in Islanda sono circa 75.000), la totalità degli islandesi con più di 16 anni ha ricevuto il vaccino anti-Covid.
Fiduciose di aver risolto il problema, le autorità il 26 giugno hanno revocato tutte le restrizioni anti-Covid, riaperto tutti i locali e dichiarato la fine dell’emergenza.
Adesso, però, in pochi giorni la situazione è precipitata. Dal 20 Luglio è iniziata una nuova ondata che in pochi giorni si è già rivelata la più intensa dall’inizio della pandemia. Nell’ultima settimana in Islanda ci sono stati 869 nuovi casi di Covid-19, un picco che non era mai stato raggiunto prima nel Paese. Tutti i nuovi casi sono stati rilevati tra i vaccinati, e i primi pazienti con difficoltà respiratorie arrivano negli ospedali. Anche loro tutti vaccinati. Dieci persone positive hanno anche già avuto necessità di ricovero.
Il capo epidemiologo del Paese, Thorolfur Gudnason, ha presentato al governo un memorandum sulle nuove restrizioni che poi le autorità politiche dell’Islanda hanno adottato a partire da lunedì 26 luglio. Gudnason ha detto che “le vaccinazioni non si stanno dimostrando efficaci come ci indicavano gli esperti“, fornendo i dati della “crescita esponenziale dei contagi” che sono passati dai 213 della scorsa settimana agli 869 di questa settimana. “Erano quasi tutti vaccinati con ciclo completo“, ha aggiunto il leader della lotta al Covid islandese. “Nonostante le vaccinazioni, potremo vedere tassi di infezione molto più elevati e forme gravi della malattia con un aumento dei ricoveri in ospedale” ha aggiunto Gudnason spiegando che la variante Delta ha portato il Paese in una “fase nuova, in cui dovremo usare le misure vecchie che hanno già funzionato un anno fa. L’emergere di nuove varianti rischia di compromettere l’efficacia dei vaccini e quindi dobbiamo tornare ad utilizzare mascherine, distanziamento e chiusure“.
Il governo, quindi, ha nuovamente imposto il coprifuoco: bar, pub e ristoranti devono chiudere alle 23:00, torna l’obbligo del distanziamento di un metro tra persone non conviventi, gli assembramenti pubblici sono banditi, le mascherine tornano obbligatorie all’interno delle attività e anche i turisti vaccinati che vogliono viaggiare in Islanda dovranno sottoporsi a tampone e potranno entrare solo se il risultato sarà negativo.
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paoloxl · 3 years
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Morti in carcere: almeno tre decessi alla settimana - Osservatorio Repressione
Nelle statistiche pubblicate online dal ministero della Giustizia i dati ufficiali (e parziali) dell’ecatombe dietro le sbarre: 154 vittime nel 2020, contando solo suicidi e decessi per presunte cause naturali
Decessi per Covid e altre malattie, in cella, in infermeria e nei reparti detentivi ospedalieri. Suicidi. Overdosi da stupefacenti e psicofarmaci, inalazione del gas delle bombolette da campeggio usate per cucinare. Infortuni accidentali. Mancata liberazione di persone malate con pochi giorni da vivere. La fine per vecchiaia, dietro le sbarre. Un delitto, probabilmente.
Casi non chiari o non chiariti. Per il 2020, l’anno della pandemia fuori controllo e della strage post rivolte, il ministero della Giustizia conta e dichiara 154 decessi di persone sotto la custodia dello Stato: 61 detenuti si sono tolti la vita (stando alle apparenze iniziali) e altri 93 sono stati stroncati da «cause naturali» (voce che include i decessi per abuso di droghe).
Ragazzi e uomini, nella quasi totalità dei casi. Una media di tre morti la settimana, almeno. L’avverbio è d’obbligo. Dal prospetto degli «eventi critici» sul portale di via Arenula mancano gli omicidi, i decessiaccidentali e quelli per cause da accertare, pochi o tanti che siano.
Morti in carcere 2021: suicidi e casi da chiarire
Di carcere, in carcere, si continua a morire. Anche quest’anno le storie tragiche si contano già a decine. Per esempio. Yassine Missri stava alla Dozza, il penitenziario alla periferia di Bologna. Aveva 28 anni, faceva il barbiere. È stato trovato senza vita il 27 gennaio 2021.
Ambra Berti era della stessa età. Veniva da esperienze personali pesanti, soffriva la lontananza dai due figli piccoli e dagli altri affetti. È spirata nella casa circondariale Spini di Gardolo, a Trento, il 14 marzo 2021.
Alberto Pastore, rinchiuso a Novara, non è arrivato a 25 anni. Ha scelto di congedarsi dalla vita il 14 maggio 2021 con un gesto irreparabile, annunciato da tempo.
A  Genova-Marassi sembrava che Emanuele Polizzi, il 28 maggio 2021, si fosse suicidato. Poi due compagni di detenzione del 41enne sono stati indagati per omicidio volontario.
Detenuti morti: nomi e dati nel dossier 2021 di Ristretti Orizzonti
Per il 2021 il ministero di Giustizia per ora in rete non fornisce informazioni né sui singoli decessi né sulla conta parziale, lasciando fuori omicidi e eventi accidentali o da approfondire. Pubblicherà statistiche aggregate l’anno prossimo.
Numeri ufficiosi e provvisori e notizie arrivano dal prezioso dossier “Morire di carcere“. A curarlo sono i volontari di Ristretti orizzonti, il giornale fondato nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Da gennaio a fine luglio di quest’anno, scandagliando pagine e siti di cronaca e vagliando denunce e segnalazioni, i redattori della rivista e del rapporto hanno individuato e censito 78 vittime, restituendo loro la dignità del nome (dove possibile). Per svariate vittime le cause di morte sono da ricostruire, per 28 è stato suicidio.
Situazione carceri italiane: sui decessi manca trasparenza
Di molti carcerati morti si conoscono i dati anagrafici minimi, di alcuni nemmeno quelli. Via Arenula, il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, i provveditorati regionali, i singoli istituti, le procure e le regioni (con la competenza sulla medicina penitenziaria e sulla medicina d’urgenza) non rendono noti i singoli decessi in tempo reale (se non in casi eccezionali), né informazioni di base sulle vite perse e sulle circostanze.
A far filtrare all’esterno le notizie delle morti in cella in genere sono fonti sindacali, avvocati e associazioni, familiari, operatori. Il dovere di informazione dello Stato, dicono dall’ufficio stampa di via Arenula, è ritenuto assolto con la pubblicazione dei riepiloghi annuali degli «eventi critici segnalati alla sala situazioni del Dap», cioè notificati dai singoli istituti ai referenti romani.
Suidici nelle carceri italiane e morti per cause naturali
Nel  2019 i suicidi “ufficiali” sono stati 53 e i decessi per cause naturali 90, con un solo omicidio dichiarato ad integrazione delle tabelle online. Per il  2018  i funzionari  ministeriali censiscono 61 suicidi, 100 morti naturali, nessun omicidio,
Dal 1992 al 2020 il totale dei decessi in carcere per cause note (o presunte tali) supera abbondantemente quota 4.000 e senza contare poliziotti penitenziari e altri operatori : 1.514 i ristretti suicidi e 2.623 i reclusi stroncati da malanni e problemi di salute, più un numero imprecisato di vittime di uccisioni o omissioni.
Morti in carcere Modena: Antigone, la strage del Sant’Anna e altri casi
Antigone sta seguendo una serie di storie al vaglio alla magistratura e la strage del Sant’Anna di Modena (cinque vittime nella struttura emiliana e quattro durante e dopo i trasferimenti in altri penitenziari).
Per quest’ultimo procedimento, archiviato dal giudice, l’associazione ha presentato reclamo contro l’estromissione dal ruolo di persona offesa. E sta studiando possibili contromosse.
Omicidio colposo, ma c’è rischio prescrizione
Alfredo Liotta morì il 26 luglio 2012 in una cella del carcere di Siracusa. Aveva 41 anni e l’ergastolo da scontare. Una vicenda di «abbandono terapeutico», a detta di Antigone.
«ll personale medico e infermieristico non ha saputo individuare e comprendere i sintomi né il decorso clinico dell’uomo e le carenze conoscitive hanno portato al decesso Gli operatori succedutisi nella cella di Liotta, negli ultimi 20 giorni di vita, sono rimasti completamente passivi davanti alle sue patologie. Alfredo soffriva di epilessia, anoressia e depressione. Aveva smesso di bere e di mangiare».
In primo grado, il 13 ottobre 2020, cinque dei nove camici bianchi alla sbarra sono stati condannati per omicidio colposo. La sentenza è stata impugnata in appello. Sulla vicenda però incombe la prescrizione del reato, l’esito di svariate inchieste simili.
Morti sospette in carcere: mancano diagnosi e cure
Stefano Borriello, 29 anni, il 7 agosto 2015 venne stroncato da una infezione polmonare durante il tardivo trasporto dal carcere di Pordenone all’ospedale. Secondo la madre, stava male da giorni ma non era stato curato. Antigone, opponendosi alle richiesta di archiviazione, è riuscita a far portare in aula la vicenda. A giudizio è stato mandato il medico curante del carcere.
«Gli viene contestato  di non aver diagnosticato l’infezione polmonare letale. Non fece alcun rilevamento dei parametri vitali, non dispose un esame clinico-toracico». La mancata diagnosi portò a non «somministrare  antibiotici, quelli  che avrebbe evitato il peggiorare delle condizioni di salute e portato alla guarigione». Il processo è in corso, prossima udienza a settembre 2021.
Il ragazzo che non doveva essere in prigione
Valerio Guerrieri aveva 21  anni e problemi conclamati. Il 24 febbraio 2017 si tolse la vita a Regina Coeli. Non avrebbe dovuto essere in carcere. Un giudice, 10 giorni prima, aveva revocato la custodia cautelare in cella e disposto il ricovero in Rems, una delle strutture che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari.
Dopo un doppio giro di richieste di archiviazione, e di opposizione, è stata disposta l’imputazione coatta per l’allora direttrice del penitenziario romano e un’altra dipendente ministeriale. Si ipotizzano i reati di rifiuto di atti di ufficio, indebita limitazione della libertà personale e morte o lesioni come conseguenza di un altro reato.
Jhonny il rapper, impiccato nel carcere di Salerno
Il 26 luglio 2020, a 23 anni, il giovane rapper Jhonny Cirillo si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo alla finestra del bagno di una cella della casa circondariale di Salerno. Avrebbe dovuto esser sottoposto ad un livello di sorveglianza elevatissimo, perché si era fatto dei tagli a un braccio.
Non solo. Era in condizioni mentali preoccupanti, manifestava scoramento, minacciava lo sciopero della fame e della sete, aveva chiesto il trasferimento in una struttura esterna specializzata. Il 22 aprile 2021 Antigone ha depositato un esposto-denuncia, chiedendo verità e giustizia anche per lui.
Torture, percosse, abusi e altri decessi da chiarire
Video, esposti e denunce di torture e pestaggi hanno riportato l’attenzione investigativa, e ministeriale, su altri casi che interrogano e inquietano: un detenuto morto nel carcere della mattanza di Santa Maria Capua Vetere (Lamine Hakimi di 27 anni, inizialmente considerato un sucida ) e i tre trovati senza vita a Rieti, dopo la sommossa di marzo 2020 (Marco Boattini di 40 anni, Carlo Samir Perez Alvarez di 28 e Ante Culic di 41, per cui si ipotizzò l’overdose).
«Ad oggi – asserisce l’ufficio stampa di via Arenula – non risultano episodi di decessi di detenuti all’interno degli istituti riconducibili a personale penitenziario».
Lorenza Pleuteri
da Osservatorio Diritti
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lamilanomagazine · 2 years
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Bologna, minaccia con un forcone gli ex vicini di casa: arrestato
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Bologna, minaccia con un forcone gli ex vicini di casa: arrestato. E’ stata soccorsa dai Carabinieri della Compagnia di Molinella, una famiglia di marocchini residente in Italia da 22 anni, i cui componenti sono stati tutti minacciati con un forcone da un loro ex vicino di casa. E’ successo alle ore 17.00 del 26 settembre quando i Carabinieri della Centrale Operativa hanno ricevuto una richiesta di intervento da parte di alcuni stranieri perché aggrediti da una persona presso il loro appartamento di Altedo. Appresa la notizia, i Carabinieri sono giunti sul posto, dove hanno identificato e arrestato per atti persecutori un 29enne italiano, residente a San Pietro in Casale, nonché recuperato, nascosto dietro una siepe, un forcone utilizzato poco prima per minacciare le sue vittime: un’intera famiglia composta dal padre 41enne, madre 37enne e i tre figli, di anni 14, 13 e 10. Alla vista dei militari l’esagitato proferiva le seguenti parole minacciose: “Arrestatemi adesso!...quando torno stanotte vi brucio tutti!”. I fatti Secondo quanto riferito dalle parti offese, il 29enne, loro ex vicino di casa e con il quale vi erano vecchie ruggini, si era presentato ed era rimasto ad attenderli con un forcone in mano. All’arrivo del capo famiglia, di ritorno dal supermercato, dove si era recato unitamente a uno dei figli per fare la spesa, il 29enne lo aveva “accolto” gridandogli contro: “Adesso la facciamo finita!”. Spaventati, dopo essersi chiusi in garage, sono entrati in casa e hanno chiesto aiuto ai Carabinieri tempestivamente accorsi. Il 29enne, già in passato aveva più volte, anche dopo essersi trasferito in un altro comune, minacciato i suoi ex vicini di casa: il 21 agosto scorso, sotto casa loro li aveva apostrofati con epiteti razzisti: “…vi mandiamo via tutti, magari anche morti!”. Qualche tempo prima, dopo averli pedinati sino al supermercato, aveva brandito contro di loro una bottiglia mentre stavano facendo la spesa. Nel mese di luglio, in piena notte, aveva ripetutamente suonato il campanello della loro abitazione, urlando e minacciandoli a squarciagola. La donna 37enne, che lavorava in un ristorante, aveva deciso di lasciare il lavoro per paura di incontrarlo di ritorno a casa. A seguito del suo arresto, il 29enne è stato associato alla Dozza su disposizione della Procura della Repubblica di Bologna. Read the full article
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perfettamentechic · 3 years
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26 luglio … ricordiamo …
26 luglio … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic #felicementechic #lynda
2020: Olivia de Havilland, nata Olivia Mary de Havilland, è stata un’attrice britannica naturalizzata statunitense. Sorella maggiore dell’attrice Joan Fontaine. (n. 1916) 2020: Claudia Giannotti, attrice e doppiatrice italiana. Dopo aver esordito da bambina nel 1943 con una piccola parte, si diplomò presso l’Accademia nazionale d’arte drammatica, debuttando in palcoscenico nel 1961. Fu anche…
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