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#non anniversario però
sasdavvero · 1 year
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SIUM
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omarfor-orchestra · 5 months
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Quando uscirà Marconi you all will see
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angelap3 · 22 days
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La storia della Musica!!!!
Tre giorni di pace e musica. Tre giorni che hanno fatto la storia. Si celebra oggi il 51esimo anniversario del più grande evento di libertà, umanità e lotta pacifica: il Festival di Woodstock. Più che un concerto un pellegrinaggio, una fiera di arte e musica, una comunità, un modo di vivere che ha cambiato per sempre il concetto di libertà. Sul palco, a Bethel (una piccola città rurale nello stato di New York) si sono alternati per tre giornate alcuni tra i più grandi musicisti della storia. Musicisti che provenivano da influenze, scuole musicali e storie differenti ma che avevano in comune ciò che più contava in quei favolosi anni ’60: la controcultura.
Si passava dal rock psichedelico di Jimi Hendrix (che, pur di essere l’ultimo a esibirsi, salì sul palco alle 9 di lunedì mattina per un concerto di due ore, culminato nella provocatoria versione distorta dell’inno nazionale statunitense) e dei Grateful Dead ai suoni latini dei Santana (che regalarono un memorabile set, impreziosito dallo storico assolo di batteria del più giovane musicista in scena: Michael Shrieve) passando per il rock britannico di Joe Cocker (che regalò in scaletta le splendide cover di Just Like a Woman di Dylan e With a Little Help from my Friends dei Beatles) e degli Who all’apice della loro carriera (celebre l’invasione di palco dell’attivista Habbie Hoffman, durante il loro concerto, quasi quanto il lungo assolo di Pete Townshend durante My Generation, con lancio di chitarra finale).
C’era poi il folk, con una splendida Joan Baez su tutti, che suonò nonostante fosse al sesto mese di gravidanza, genere tipicamente statunitense che si alternava a suoni più esotici e orientali, come il sitar di Ravi Shankar. Impossibile dimenticare infine l’intensa performance della regina del soul Janis Joplin, la doppia esibizione (acustica ed elettrica) di Crosby, Stills, Nash e del “fantasma” di Neil Young, che rifiutò di farsi riprendere dalle telecamere e il divertente show dei Creedence Clearwater Revival.
1969, il ‘Moon day’ in musica..
Concerti che rimarranno nella memoria di chiunque ami la musica come simbolo di cambiamento, pace e libertà. D’impatto i presenti come pesanti furono le assenze di John Lennon, che si rifiutò di esibirsi per il mancato invito di Yoko Ono, Bob Dylan, padrone di casa (lui che all’epoca viveva proprio a Woodstock) assente per la malattia del figlio, i Rolling Stones, ancora scossi per la morte di Brian Jones e i Doors, alle prese con una serie infinita di problemi legali.
Il vero protagonista dell’evento fu però il pubblico, la “vera star” secondo l’organizzatore Michael Lang, eterogeneo quasi quanto i generi musicali. Da tutta America arrivarono studenti liceali e universitari, hippie, veterani del Vietnam, filosofi, operai e impiegati. Nessuna differenziazione di razza, etnia o colore della pelle: tutti uniti dalla voglia di stare insieme in libertà con il fango a livellare ogni diversità e i capelli lunghi come simbolo di ribellione. Un sogno che oggi sembra lontano anni luce, nelle ideologie come nell'organizzazione.
Da quel 1969 si è provato a più riprese a riproporre Woodstock, con scarsi risultati culminati nell'annullamento del concerto in programma per questo cinquantesimo anniversario, organizzato proprio da Lang e non andato in porto tra una defezione e l’altra, forse perché indigesto ai grandi organizzatori di eventi musicali mondiali. Forse, a conti fatti, meglio così: quell'atmosfera irripetibile era frutto di una spontaneità organizzativa di altri tempi, una magia fuori da ogni schema il cui risultato sensazionale, iconico e significativo fu chiaro solo anni dopo anche agli stessi partecipanti.
Vanni Paleari
PhWoodstock, 1969
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yomersapiens · 6 months
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La nonna è morta un anno fa che era quasi Pasqua, ma pasqua cambia ogni anno e io faccio fatica a ricordare le date, sono davvero negato, però me la cavo con le festività, mi piace molto la Pasqua perché a Pasqua si mangia la pastiera e la pastiera è forse il mio dolce preferito anche se quest'anno io sarei a dieta, o almeno sono partito da Vienna dicendomi "vedi di darti una calmata perché ti sei davvero lasciato andare" ma che ci posso fare io se è Pasqua e solamente a Pasqua si mangia la pastiera e poi ricorre anche il primo anniversario della morte della nonna, io non mangio la pastiera io sto commemorando la sua dolcezza, lo faccio per rendere meno salate le lacrime, mica vorrei farlo, mangio controvoglia, mi costringo, la colpa è della nonna che poteva morire in un periodo privo di dolci tipici e invece no, pure in quel momento, un anno fa, decise di andarsene compiendo una gentilezza.
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ambrenoir · 8 months
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Dopo 21 anni di matrimonio, mia moglie mi prese da parte per dirmi qualcosa di importante. Voleva che passassi del tempo con un’altra donna, la portassi al ristorante e poi al cinema. Mia moglie mi disse: “Ti amo, ma so che anche quest’altra donna ti ama, e voglio che tu trascorra del tempo con lei”.
Quest’altra donna era mia madre. Viveva da sola da 19 anni, dopo la morte di mio padre e a causa del mio lavoro e dei miei tre figli, potevo farle visita solo occasionalmente.
Così quella sera stessa ho fatto quello che mia moglie mi aveva chiesto. Ho invitato mia madre al ristorante e poi al cinema.
“Cosa sta succedendo?”, mi chiese la mamma: “Sei sicuro che vada tutto bene?”
“Ho pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere del tempo con te”, ho risposto. “Solo io e te”.
Mia madre, al telefono, restò in silenzio un momento, poi finalmente disse: “Mi piacerebbe davvero tanto”.
Poi il venerdì seguente, dopo il lavoro, sono andato a prenderla a casa. Ero un po’ nervoso, era passato tanto tempo… Si era fatta i capelli e indossava lo stesso vestito del suo ultimo anniversario di matrimonio. Il suo sorriso, raggiante di felicità, la faceva sembrare un piccolo angelo.
“Ho detto alle mie amiche che uscivo con mio figlio stasera e sono rimaste tutte molto colpite”, ha detto entrando in macchina. “Non vedono l’ora che racconti loro della nostra serata!”
Così siamo andati in un ristorante, non troppo elegante, ma abasstanza intimo e confortevole. Mia madre mi ha preso il braccio come se fosse la First Lady. Ci siamo seduti e le ho dovuto leggere il menù, dal momento che i suoi occhi riuscivano a leggere solo i caratteri più grandi. Appena finito di leggere le portate, ho girato gli occhi e ho visto che lei mi guardava con un sorriso carico di nostalgia. “Quando eri piccolo, ero io che dovevo leggerti il menù”, mi ha detto con semplicità. “Allora, è tempo che tu ti riposi un po’ e mi lasci restituire il favore”, ho risposto.
Abbiamo cenato e abbiamo parlato, niente di straordinario, abbiamo solo parlato delle novità nelle nostre rispettive vite. Alla fine, abbiamo parlato così tanto che ci siamo dimenticati del film. Ma in realtà, non ci è dispiaciuto averlo perso. Quando l’ho riaccompagnata a casa, mi ha detto che voleva uscire di nuovo, ma solo se le promettevo che l’avrei lasciata invitare me la prossima volta. Ho accettato.
“Come è andato il tuo appuntamento?”, mi chiese mia moglie quando rientrai a casa. “È andato davvero bene. Ancora meglio di come avrei mai immaginato”.
Non sono però stato in grado di mantenere la mia promessa e farmi invitare al ristorante. Pochi giorni dopo, mia madre è morta a causa di un problema cardiaco. È successo così velocemente che nessuno ha potuto fare niente per lei.
Sono passate alcune settimane e poi ho ricevuto una busta con una copia di un conto di un ristorante, lo stesso ristorante dove avevo portato mia madre. Insieme alla ricevuta, c’era una piccola nota che diceva: “Ho pagato questo conto in anticipo. Non ero sicura se avrei potuto esserci, ma in ogni caso, ho già pagato per due, per te e per tua moglie. Non sai quanto questa serata abbia significato per me. Ti amo, figlio mio”.
Quel giorno ho capito l’importanza di dire “ti amo”, e l’importanza di trascorrere del tempo con la propria famiglia e le persone che ci sono care. Niente, in verità, è più importante di quest’amore ❤️
Autore sconosciuto
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licisca-73 · 3 months
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Come passa in fretta il tempo...Guardando questa foto ci chiederete sicuramente cosa ci sia di osceno: nulla. Questa foto però calza a pennello: è il segno di inizio della nostra storia, due ginocchia sbucciate, ufficialmente per una caduta, in realtà per tutto il tempo che, esattamente un anno fa, ho trascorso prostrata ai piedi del mio Padrone. Iniziato tutto come un gioco, è trascorso un anno, a tratti faticoso data la mia indole brat, ma intenso e emozionante. Dopo un anno scopiamo ancora come ricci, come lui ironicamente ogni tanto mi dice, dopo un anno arriviamo ad ogni incontro settimanale affamati e pronti a sbranarci, dopo un anno il gioco è diventato un sentimento molto forte da entrambe le parti e sentirgli dire oggi "ti amo" mi emoziona, dopo un anno "Troia", su sua specifica richiesta, è un appellativo che usa solo a letto perché poi sono sempre la sua amata C. , dopo un anno siamo di nuovo nello studio con la moquette assassina con dei pasticcini e la voglia di sempre. Anche oggi è stato un incontro "forte": tanti baci, sì, ma la sua Troia vuole soddisfarlo in tutto e lui fare di tutto per alimentarla. A proposito di alimentazione, la mia bocca è duramente occupata: le dimensioni del suo cazzo e la veemenza con cui la scopa quasi mi soffocano. Mentre cerco di prendere fiato e vomito saliva a più non posso, penso a tutte le volte in cui, parlando di lui con la mia sister, le dico che "mi toglie il fiato". Sentirlo gemere di piacere mentre mi scopa la fica mi manda in estasi e vedere il suo cazzo appena sfilato pieno del mio miele ne è la prova ...come non poterlo leccare avidamente? Lindo e pinto entra nel culo mentre io lo provoco sgrillettandomi a gambe spalancate. Non mi basta, adoro sfidarlo e allora, notando che è sudatissimo, lo invito a riposare, certa del contrario. Sì illumina il mio Porco e inizia uno spietato martellamento: urlo per il dolore e il piacere al tempo stesso. Sicuramente gli operai che al piano di sopra lavorano si possono allarmare, quindi mi premuro a descrivere a voce alta quanto sta accadendo eccitando ancora di più il mio Padrone. Era stata perentoria la sua richiesta: tutto il palazzo deve sapere cosa lui fa alla sua Troia e io, data la mia indole esibizionista, non mi faccio pregare. Un anniversario merita un trattamento speciale e, stavolta, i colpi di cinghia sono veramente forti. Sei fiammate mi fanno piangere ma il suo abbraccio e le coccole dopo, unitamente al cazzo che mentre mi incula ravviva il bruciore mi danno il meritato premio. Mentre scrivo il mio culo vorrebbe sputare la sborra ma io provo a tenerla ancora dentro, per quanto possibile dato il mio ano meravigliosamente trasformato in un open space. Sono devastata ma soddisfatta, come sempre. Ce lo scriviamo nei nostri messaggi mentre ci scambiamo nuovamente gli auguri: "Buon anniversario, amore".
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crazy-so-na-sega · 5 months
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L'intero sistema di educazione è lasciato marcire nel degrado, materiale e spirituale. Una scuola ridotta a campo di addestramento per nullapensanti in mano a professorini e programmi rimasti fermi al 68.
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Nel mentre però i cameraddi al governo mantengono una parvenza di patriottismo (rido), con gesti estetici effimeri come l'emanazione del francobollo Gentile per l'80esimo anniversario del suo omicidio. Il maestro vi osserva e vi maledice.
Gentile non fu ucciso per il suo passato ma per quel che avrebbe potuto rappresentare nell’avvenire. Un parricidio rituale e un esempio per il codice ideologico di comportamento futuro. O gli intellettuali si redimevano passando al Pci oppure sarebbero stati emarginati e rimossi.
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L'uccisione di Gentile, la denigrazione postuma, la rimozione della memoria, fu il peccato originale su cui si fondò il sistema ideologico-mafioso italiano, fu il parametro per misurare gli ammessi e gli esclusi, in accademia e non solo.
Marcello Veneziani -Imperdonabili-
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kseenefrega · 8 months
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Lazza – 100 messaggi (testo)
Ti prego, non cominciare
Sai che per me è già difficile credere a quanto mi facevi male
Ma se me l’avessi chiesto avrei scalato l’Everest a mani nude
Anche se odio il freddo e soffro pure di vertigini, io me ne frego
Quando menti, io ti credo
So che sono più di mille quelle cose di me che non tolleravi
Parlare con te è come cercare di afferrare il vento con le mani
Se avevo un problema, mi dicevi di parlarne con chi se ne intende
Guardavo cadere tutto a pezzi come fosse l’11 settembre
Dimmi ancora una bugia, poi una bugia, poi la verità,
Era tutto una follia, però una follia per te non si fa
Non ero più a casa mia neanche a casa mia, solo mille guai
Penso a Davide e Golia, io sarò Golia, tu mi ucciderai
E te l’avrei lasciato fare, perché ero fuori di testa
Dimmi quando ci si perde a cosa serve fare festa
Fumo sti fiori del male, tutto quello che mi resta
Ora che mi sento inerme, come un verme in fondo al mezcal
Scordati che mi conosci, ora è tardi anche se piangi
È inutile che mi angosci, mi mandi cento messaggi
A cui non risponderò, oh, non ne sono più capace
Sono diventato tutto ciò che odiavo e ti assicuro non mi piace
Dimmelo se te ne accorgi, siamo diventati grandi
Anche se ho dieci orologi, non recupererò gli anni
Scusa se non tornerò, oh, non sai quanto mi dispiace
Che abbiamo fatto la guerra, ma non sapevamo come fare pace
Triste quando ci pensavo, ci mancava tutto quanto, perfino la data di un anniversario
Scrivevano “è fidanzato”, solo perché finanziavo
Ti darei da bere il sangue perché è tutto ciò che adesso mi è rimasto
Credimi, sembra impossibile accettare che oramai ti ho detto “ciao”
Sto in un bilocale che da quando ti ho cacciata sembra una penthouse
Grande tipo il doppio, ma senza la luce, come ci fosse un black out
Non sono sentimentale
Delle volte tu aprivi la porta e io nemmeno ti sentivo entrare
Ti volevo a tutti i costi, ma eravamo opposti, proprio come un polo
Stare insieme è l’arte di risolvere i problemi, che non ho da solo
Giuro, non so più chi sono, tutto ciò mi dà fastidio
Sto mondo a misura d’uomo, mi fa sentire in castigo
Scordati che mi conosci, ora è tardi anche se piangi
È inutile che mi angosci, mi mandi cento messaggi
A cui non risponderò, oh, non ne sono più capace
Sono diventato tutto ciò che odiavo e ti assicuro non mi piace
Dimmelo se te ne accorgi, siamo diventati grandi
Anche se ho dieci orologi, non recupererò gli anni
Scusa se non tornerò, oh, non sai quanto mi dispiace
Che abbiamo fatto la guerra, ma non sapevamo come fare pace.
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ilblogdellestorie · 8 months
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Sono passati sette anni dalla tragedia dell'hotel Rigopiano: era il 18 gennaio 2017 quando, alle 16.49, una valanga travolse e distrusse il lussuoso resort alle pendici del versante pescarese del Gran Sasso, provocando la morte di 29 persone. 
Tra le vittime della valanga che ha travolto l'hotel anche Valentina Cicioni, 32 anni, originaria di Mentana e infermiera al Policlinico Gemelli di Roma. Era in vacanza con il marito Giampaolo, di Monterotondo, estratto vivo da quella montagna di neve e detriti che ha sommerso tutto. Erano andati lì per festeggiare il loro anniversario di matrimonio, lasciando a casa con i nonni la figlioletta di appena cinque anni. Una breve vacanza per godersi un po’ di relax e che invece si è trasformata in tragedia.
Il 18 gennaio 2017 la regione era in piena emergenza maltempo: la neve superava anche i due metri, mentre migliaia di cittadini, su tutto il territorio, erano senza energia elettrica. A partire dalla mattina si registrarono quattro scosse di terremoto di magnitudo superiore a 5, con epicentro in provincia dell'Aquila. Gli ospiti dell'hotel erano spaventati e volevano andare via, ma la neve non consentì loro di ripartire. Ci furono diverse richieste di aiuto e soccorso, tra cui quelle di alcune delle vittime. Richieste che, però, non trovarono risposta. Nel pomeriggio, poi, la tragedia, quando il resort fu travolto da quell'inferno di ghiaccio e detriti pesante 120mila tonnellate.   
Oggi i parenti delle vittime si riuniscono e si incontrano a Rigopiano per ricordare i propri cari. Alle 15 una fiaccolata davanti all'obelisco dell'hotel, seguita dalla deposizione di fiori, da una messa e dalla lettura dei nomi dei "29 angeli". Alle 16.49, un coro intonerà "Signore delle cime", poi verranno liberati in cielo 29 palloncini bianchi. Commemorazioni sono previste anche a Chieti e a Montesilvano (Pescara).   
I parenti delle vittime pretendono ancora che sia fatta giustizia. Il processo di primo grado, a febbraio 2023, si era concluso, con rito abbreviato, con 25 assoluzioni e cinque condanne. Condannati il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, a 2 anni e 8 mesi di reclusione, il dirigente del settore viabilità della Provincia di Pescara e il responsabile del servizio viabilità dell'ente, Paolo D'Incecco e Mauro Di Blasio (3 anni e 4 mesi di reclusione), l'ex gestore dell'albergo, Bruno Di Tommaso, e Giuseppe Gatto, redattore della relazione tecnica per l'intervento sulle tettoie e verande dell'hotel (sei mesi di reclusione ciascuno). É in corso da dicembre il processo d'appello all'Aquila: la sentenza è prevista per il prossimo febbraio.
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venetianeli · 1 year
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IL CANE DEL VAJONT
Furono giorni di tragedia.
Nel Sudest asiatico, causa un terremoto, il mare venne avanti più alto del normale debordando come il latte quando esce dalla pentola e provocando forse mezzo milione di morti.
Si è sentito affermare più volte da televisioni, radio e giornali che gli animali di quelle zone disastrate, poco prima della tragedia, davano segni di nervosismo, paura, angoscia e, in certi casi, addirittura terrore.
Molti sorridono quando ascoltano discorsi sugli animali che sentono il pericolo.
Invece non c'è niente da ridere.
La notte del Vajont, qualche ora prima del cataclisma che uccise duemila persone, le vacche nelle stalle strappavano le catene dalla mangiatoia a furia di strattoni e muggivano disperate.
Alcuni superstiti, ancora viventi, lo possono testimoniare.
Se molti avessero dato retta ai lamenti disperati delle vacche, che erano grida di allarme, forse sarebbero qui a raccontarla, se non morti per altre cause.
Uno di loro, però, sopravvisse e per anni poté rievocare il suo giorno fortunato proprio perché, al contrario di altri, dette retta alle grida del cane che si chiamava Olmo.
Quella notte che il monte Toc franò nella diga del Vajont, da almeno un paio d'ore il cane Olmo abbaiava, ringhiava, dava strattoni alla catena, si buttava per terra e rotolava impazzito.
Il suo padrone, Giambattista Corona Ziano, all'inizio non ci badò, anzi tirò un paio di calci all'animale che lo disturbava. Ziano abitava nella parte bassa di Erto, nella zona della cuaga, una rampa verticale proprio al bordo del lago. Abitava così vicino all'acqua che, con la canna da pesca, cavava le trote stando in piedi sulla porta di casa. Diceva a tutti che a mezzogiorno teneva pronta la teglia sul fuoco con l'olio bollente per cacciarvi il pesce appena pescato.
Così diceva Ziano, che amava esagerare.
Ma quando raccontava la storia di Olmo non esagerava, e sul viso gli correva qualche lacrima. Oggi Giambattista Ziano è passato a miglior vita.
La notte in cui il cane strappava la catena, mugolava e si rotolava per terra, aveva quarant'anni. Oltre che pescare andava a caccia con Olmo, il suo bracco tedesco.
Verso sera di quel mercoledì 9 ottobre 1963 Ziano, dopo un paio d'ore che Olmo dava segni di paura, incominciò a pensarci su.
Si sapeva che il Toc ormai era precario e, riflettendo bene, l'agitazione del cane lo mise sul chi vive.
Gli venne una certa ansia che non voleva dichiarare nemmeno a se stesso, tanto era stramba l'idea che il cane agitato segnalasse un pericolo imminente.
Ma tant'è, per non rischiare, e in omaggio al santo precetto del "non si sa mai", decise di recarsi a Erto a bere un litro da Pilin.
Bevendo avrebbe fatto passare qualche ora, poi sarebbe tornato a casa e un buon sonno gli avrebbe tolto ogni pensiero.
A Giambattista Corona Ziano non passò nemmeno per la testa di portare con sé il cane Olmo.
Se lo avesse fatto, avrebbe rinforzato quell'idea quasi ridicola che l'animale percepisse il pericolo.
Così, per non sentirsi ridicolo, lasciò Olmo alla catena.
Ziano non aveva terminato di bere la seconda caraffa di rosso quando scoppiò l'apocalisse.
Tutto venne spazzato via in tre secondi.
Case, persone, boschi e animali non esistevano più. Anche la casa di Giambattista Ziano fu polverizzata e il povero Olmo, che aveva intuito e segnalato il pericolo, scomparve nel nulla.
Da quel giorno fino alla morte, avvenuta il 18 novembre 2003, Ziano portava i fiori al suo cane ogni anniversario del Vajont. Li posava sul pavimento della casa distrutta.
Erano quattro lastre sbilenche; tutto ciò che rimaneva.
E ogni volta, per quarant'anni, ripeteva la stessa frase: «Dei cani bisogna fidarsi, degli uomini no».
Alludeva a quei geologi che gli avevano assicurato l'assenza totale di pericolo.
Mauro Corona
[Dalla pagina FB "Cultura Veneta", post di F. Levorin Carega]
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gcorvetti · 10 months
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Nota bene.
Sono diversi mesi che su FB posto veramente poco, ogni tanto qualche canzone, qualche minchiata, tanto per restare in linea col social inutile che è diventato. Però ho notato che di quelli che ho in lista contatti se postano spesso sono cazzate 99 su 100, una magari mi piace :D, oppure se non postano spesso lo fanno quando vanno in vacanza o hanno qualcosa da mostrare, almeno la mia impressione è questa. Di discorsi seri non c'è ombra, anche perché si potrebbe cadere in sanzioni da parte della piattaforma, personalmente me ne sbatto e se devo scrivere qualcosa lo faccio qua e non di la, lo tengo giusto per postare ogni tanto qualche aggiornamento musicale, ma tanto l'interesse dei contatti non è quello di ascoltare cosa fanno gli altri, ma quello di glorificare il proprio ego, quindi io sono andato qua, mi sono comprato questo, guarda nevica (4 fiocchi in croce), ecc ecc, come se la neve non cadesse anche da altre parti, va bè.
Oggi cade il 31 anniversario della morte di Frano Franchi, beh sono siciliano e ho sempre adorato il duo Franchi-Ingrassia, da bambino li trovavo divertenti, poi crescendo e vedendo anche film o scketch diversi dal commerciale mi sono reso conto che erano proprio bravi, Franco fu anche scelto per il ruolo di Salvatore nel Nome della Rosa, purtroppo poi si ammalò e morì, peccato sarebbe stato bello vederlo accanto a Sean, ho una foto, se non erro era del primo casting.
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Che dire, certi artisti sono unici e siccome l'artista lo forma l'esperienza loro avevano lavorato tantissimo in strada per poi approdare al teatro e poi i film. Una delle loro interpretazioni che mi piace di più è della Giara di Pirandello, ve lo posto
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gregor-samsung · 2 years
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“ (D) I giornali hanno ricordato che il nazismo sognava l'uso generalizzato della t.v. e che solo la guerra distolse le energie tecniche ed economiche dal progetto. La t.v. nacque così, con una signorina tedesca impiegata delle Poste, Ursula Patschke, che [la sera del 22 marzo 1935] apparve in video e annunciò ai dieci apparecchi «ricevitori» esistenti a Berlino che tutto era pronto per «far scendere nei cuori dei camerati del popolo l'immagine del Fürher». Non le sembra un anniversario imbarazzante? Ha sottolineato che la t.v. è nata come strumento di consenso e di dominio.
(R) Nella Germania nazista, come lei diceva, la televisione non fu diffusa su larga scala. Perché la televisione, a differenza della radio, ha bisogno che i ripetitori siano a vista, ha bisogno di grandi impianti e forti investimenti. I francofortesi, quando parlano di masse e «media», non si riferiscono quasi mai alla televisione, bensì alla radio e alle adunate oceaniche. Sono fuggiti da paesi fascisti e nazisti, per cui studiano soprattutto i mezzi impiegati davvero da quelle dittature: Hitler e Mussolini avevano usato ampiamente, oltre alla radio, il cinema di fiction e il documentario. Basti pensare a film come «Scipione l'africano» o a documentari come quelli di Leni Riefenstahl. Sì, la potenza dei media è stata intuita e sfruttata anzitutto dai regimi autoritari e gerarchizzati. La prima stazione radiofonica del mondo è stata quella del Vaticano. I francofortesi, però, non sono come il Karl Popper degli ultimi anni, che ha già mangiato, digerito e rifiutato la televisione. Vengono da un'esperienza tutta radiofonica. Eppure già la radio appare loro uno spauracchio terribile, un'inedita possibilità di massificazione. D'altronde era vero: prima della radio un predicatore, poniamo il Savonarola, poteva essere ascoltato al massimo da qualche migliaio di persone. Non c'era, tecnicamente, possibilità di maggiore "audience". Ora si è passati a milioni; in alcuni casi (come le Olimpiadi o lo sbarco sulla luna) addirittura a miliardi. Tenga conto, per di più, che a metà degli anni cinquanta la radio da noi era ancora un lusso. Ricordo che sotto casa nostra abitava una vecchietta che per tutta la vita, e inutilmente, ha desiderato di possedere un apparecchio radiofonico. A metà degli anni cinquanta arriva anche la televisione, un «medium» che d'improvviso irrompe e agisce con presa inaudita. S'immagini un paese d'inverno: alle cinque è buio, i bar sono chiusi, la gente è a casa... La televisione crea veramente il villaggio globale. All'improvviso dà a tutti la possibilità di entrare dovunque: nelle case di lusso come alla Scala. E all'improvviso Agnelli e un contadino lucano vedono lo stesso telegiornale. Nella gerarchia del mezzo televisivo basta essere utenti per essere uguali agli altri. Personaggi totalmente sconosciuti, poi, diventano idoli all'improvviso. Con due o tre puntate di «Lascia o raddoppia» Mike Bongiorno diventa una star. E si conquista il saggio semiologico di un autore sofisticato come Umberto Eco. “
Domenico De Masi, Ozio creativo. Conversazione con Maria Serena Palieri, Ediesse (collana Interventi), Roma, 1997¹; pp. 49-50.
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egofab · 1 year
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Nella sala d'aspetto della psichiatra, Anthony Perkins sfogliava riviste. La dottoressa finalmente lo chiamò e lui le disse tutta la sua angoscia: non accettava di essere omosessuale. «Ma c'è un tipo di donna che la attrae fisicamente?» domandò allora lei. Perkins le mostrò la rivista che stava guardando prima, dove c'era la foto di una modella: si trattava di Berry Berenson, sorella di Marisa Berenson e nipote del grande critico d'arte. Per una fortunata coincidenza - ma lui ancora non poteva saperlo -, Berry aveva da quando era piccola una vera cotta per lui.
Si conosceranno poco tempo dopo, a una festa, e si sposeranno. Un amore grande, al di là dell'omosessualità di Perkins, delle sue storie con altri uomini. Avranno due figli e rimarranno insieme fino alla fine. Nelle ultime settimane della vita di Perkins lei dormiva in un lettino accanto al suo, e di giorno non lo lasciava mai.
Anthony scriverà questo, dell'Aids: «Ho imparato di più sull'amore e sull'altruismo dalle persone incontrate in questa grande avventura nel mondo dell'Aids, che dal mondo competitivo di tagliagole in cui ho vissuto tutta la mia vita»;.
Alle 15,30 del 12 settembre 1992, Anthony morì. Sull'invito alla commemorazione fu però stampata erroneamente la data "11 settembre".
L'11 settembre 2001, Berry si imbarcò a Boston per rientrare a Los Angeles, in modo da poter celebrare il giorno successivo il 9° anniversario della morte del marito. Ma l'aereo venne dirottato dai terroristi e lanciato contro una delle torri gemelle del World Trade Center.
Dal libro di Susanna Schimperna
“Coincidenze d’amore”
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lilsadcactus · 2 years
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La vita non gira attorno all’amore, me l’ha detto qualcuno o lo affermo io adesso così senza ragione? Prima di lavarmi i denti ho seccato bene ogni fiore del mazzo che mi ha regalato mio padre per San Valentino. Fiorellini di campo, niente di che, ma ho quasi pianto. Comunque ho seccato i fiori, spruzzato la lacca ed ora sono appesi in camera mia a testa in giù. Fra qualche settimana saranno secchi ed io mi sorprendo perché avevo dimenticato che Pasquale portava i cioccolatini anche per me quando arrivava la festa della donna (nonostante il mio non definirmi tale, che ci potevo fare) e a San Valentino qualche fiore, per il mio compleanno un regalino. La sera mi chiede sempre se voglio il the e me lo porta ovunque io sia in casa. Negli anni in cui non riuscivo a mangiare mi comprava i bastoncini di verdure che mi piacevano e me li portava a letto, certo non sapeva del mio disprezzo per il cibo e non accettavo di buon grado ma non ha mai smesso di cucinare anche per me. Ogni volta che fa la spesa mi chiede se ho voglia di quel cioccolato al caramello e anche se dico nooo, sono ingrassata! Me lo ritrovo in casa. Non l’ho mai visto dimenticare un anniversario, mai ha insultato mia madre e anche se non siamo i suoi figli biologici non riesco a pensare ad un’altra faccia quando qualcuno mi chiede di mio padre. È sempre lui, Pasquale che ho conosciuto a 11 anni. Pasqualino. Paaaaaaaaaaa, padreee. Ho sempre avuto delle basse aspettative per i partner della mia vita… sarà scontato ma probabilmente nasce dall’abbandono completo che ho vissuto da parte del donatore di sperma, l’abuso continuo di mia madre blahblahblah, ora mi mangio le mani perché avevo Pasquale. 12 anni ci ho messo, meglio tardi che mai.
Il tentativo di amare me stessa rimane in corso. Ci sono giorni buoni, mesi bui, nottate in bianco e occasionali flashback dei momenti più bassi della mia vita (pieni di odio) però mi capita sempre più spesso di immaginare una piccola me che stringe forte una mabelle adolescente, entrambe mi guardano e mi sorridono: mi perdonano.
Oggi mi sono sentita un po’ sola… e mi sono accorta che certe volte per giustificare quella sensazione mi obbligo a dire: oh, mi manca x persona. Anche se magari non è vero. Allora mi domando se non sia ora di tornare un po’ alla vita sociale che ho lasciato abbasta in pausa dal 2021: rivedere amici, visitare luoghi - in compagnia o per conto mio-, leggere di più, studiare di più, accettare nuove conoscenze.
Poi ricordo quello psichiatra che ci disse l’uomo è fatto delle relazioni che mantiene, è così dall’alba dei tempi… e torno a sentirmi sola, nuda e inosservata, perché disse relazioni toccando la fede al dito. Come se l’amore fosse il nuovo ossigeno. Tradiva la moglie e lo sapevamo tutti quelli del gruppo. Forse per questo avevo smesso di andare, forse perché avevo inconsciamente deciso di perdonare il tradimento e tornare con lui per non sentirmi sola a lungo.
È il 2023, la mia solitudine sta diventando isolamento o posso continuare ancora per un po’? Quanto mi manca a capire cos’altro c’è se non si pensa all’amore? Desidero una vita più primitiva, vorrei essere un polipo per qualche giorno, poi un crisantemo, un gatto, un gufo delle nevi, una penna nera punta fina, in fine un uomo senza tempo, sono sicura che troverei la risposta
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rideretremando · 2 years
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BENEDETTO CROCE SOTTO SPIRITO. UN RITRATTO PER ANNIVERSARIO (2015)
Esattamente un secolo fa, poche settimane prima che l’Italia entrasse nella Grande guerra, Benedetto Croce stese di getto il “Contributo alla critica di me stesso”, oggi disponibile nelle edizioni Adelphi con le note aggiunte a margine nei decenni successivi. Il “Contributo”, scritto alla soglia dei cinquant’anni, è il pezzo più autobiografico di un filosofo che, come Catullo “voleva essere totus nasus”, vorrebbe “essere giudicato tutto pensiero”. Si tratta, è vero, di una “autobiografia mentale”, o comunque di una ‘vita esemplare’; ma per sorprenderci, all’autore basta ritrarsi sdraiato su un sofà mentre rimugina sul suo sistema nascente.
Siamo davanti a un trionfo della prosa crociana: della sua musica rotonda, della sua patina antiquaria, ma soprattutto del suasivo movimento con cui il filosofo dimostra che le analisi più sottili sono traducibili in un motto di sano buon senso. Trionfa, qui, anche il più insistito leitmotiv etico di Croce: quello dell’“operosità” che sola medica le ferite della vita, come il piccolo Benedetto apprese in un collegio di preti borbonici. Ed è impossibile non sorridere, riconoscendo il puntiglio del futuro filosofo laico nel ragazzo che prima di confessarsi “distingue” i peccati e li scrive su un foglietto.
La formazione di Croce cambia segno dopo il terremoto di Casamicciola, che nel 1883 annienta la sua famiglia e lo seppellisce per ore sotto le macerie. Il superstite è accolto allora nella casa romana del politico Silvio Spaventa, cugino del padre e fratello del filosofo Bertrando. Il lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non stupisce che questa miscela abbia precipitato il giovane in una crisi d’ipocondria; e l’ostentato contegno olimpico dell’adulto deriva forse da questo periodo oscuro. “Quegli anni”, confessa l’autore del “Contributo”, furono “i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino”. Nella Roma del trasformismo, Benedetto si chiude in biblioteca. Ma a scuoterlo è Antonio Labriola, che con le lezioni sull’etica di Herbart gli offre un appiglio a cui aggrapparsi nel naufragio della fede. Croce ricorda di averne recitato più volte i capisaldi sotto le coperte, come una preghiera. È con questo bagaglio che nell’86 torna a Napoli per rifugiarsi negli studi storici; e solo il bisogno di chiarirne il metodo lo convince nel ’93 a stendere la prima memoria filosofica. Poco dopo, ad allargarne gli orizzonti interviene ancora Labriola, che lo contagia con la nuova passione marxista. Croce, però, l’affronta col suo stile di formidabile ruminante. S’immerge in un corso sistematico di economia, e quando è ormai più ferrato del maestro, espelle dalla materia appena digerita una componente essenziale, quella della militanza, per trasformarla in puro fertilizzante delle sue ricerche. Nel 1900, il socialismo che agita l’Europa gli appare nient’altro che una parte di sé già superata. Mentre lo stesso senso del dovere che lo porterà al governo con Giolitti e alla presidenza del Partito Liberale gli impone di soccorrere le istituzioni napoletane, il commissario scolastico Croce si prepara a entrare nelle scuole con ben altra efficacia attraverso l’“Estetica”, la sua opera più famosa e volgarizzata. Subito dopo la sua pubblicazione fonda con Gentile la rivista “La Critica”, braccio secolare dell’idealismo italiano, e vi applica la propria teoria dell’arte diffondendo un gusto tutto spostato sull’Ottocento. Qui Croce sente di aver raggiunto un maturo “accordo con me medesimo e con la realtà”. Inizia così un percorso che per tre lustri somiglia a una inarrestabile marcia di conquista: il patto con Laterza, il completamento del sistema, i saggi su Hegel e Vico, la polemica vittoriosa contro l’epistemologia…
Il “Contributo” segna il culmine di questa marcia, rallentata poi da guerra e fascisti. Lo spettacolo che offre è invidiabile; eppure il lettore non può non sentir salire da queste pagine compatte un involontario umorismo. Perché l’autore, malgrado le dichiarazioni di sobrietà e le ombre che già gli offuscano il panorama, sprizza soddisfazione da tutti i pori. L’insolita nudità del testo evidenzia il rapporto tra le sue compiaciute pose giovesche e la rimozione del lato notturno dell’esistenza. La soluzione genialmente semplificatrice di molte questioni sfiora la tautologia, e ogni domanda fastidiosa è liquidata come un problema mal posto (se “il pensiero vero è semplicemente il pensiero”, il pensiero falso è solo “il non-pensiero (…) il non-essere”). Anziché diventare leopardiano, il ragazzo che ha sperimentato sulla sua pelle la crudeltà della Natura cicatrizza le ferite convincendosi che la Storia consiste nel dispiegarsi di una verità ascendente “a claritate in claritatem”, ed esibendo il sublime filisteismo goethiano che sarà di Lukács e Thomas Mann.
È questo superiore equilibrio a indisporre i letterati giovani, quelli che in forme più esili hanno reagito come lui al positivismo: il romantico refoulé Cecchi, lo scettico Serra, e il teppista Papini, secondo cui il nuovo maestro d’Italia sogna una nazione “composta di tanti bravi figlioli (…) lettori assidui del Giannettino”. Dal clima ‘decadente’ e agitatorio nel quale si muovono questi giovani, il filosofo tiene presto a smarcarsi. Prende le distanze da D’Annunzio, ma anche dall’hegelismo. Eppure questi distinguo non cancellano alcune affinità cruciali. Cecchi nota che sia l’idealista sia l’imaginifico pongono l’arte sull’infimo gradino della scala intellettuale, tacendo sulle angosce che derivano all’uomo da un’esistenza sempre incompiuta e da una natura irriducibilmente estranea. Quanto a Hegel, è vero che Croce ne rigetta la mitologia; ma proprio negli anni Dieci fa a sua volta della necessità storica un mostro autorizzato a nutrirsi di corpi umani. In realtà, il culto hegeliano del fatto compiuto e l’arte pura costituiscono gli esiti logici della cultura da cui Croce proviene, perciò quando il filosofo li rifiuta appare incoerente con le sue premesse. L’estetica crociana si accorda col detestato Pascoli, non con l’amato Carducci. E sulla Storia, l’autore del “Contributo” ricorda di avere appreso dal suo Marx, sciacquato nell’Arno machiavellico, che ha tutto il diritto di “schiacciare gl'individui”. Ma solo nel ventennio diventa evidente, oltre allo iato tra ‘teoria’ e ‘pratica’, anche la marcia indietro ideale: all’assoluto lirico si affianca allora la funzione civile della letteratura, mentre lo Stato Leviatano sfuma nell’etica liberale.
A questo proposito, nelle note più tarde, Croce ammette di avere sottovalutato il valore della libertà, e di essere stato poco accorto davanti al fascismo in ascesa. Nel ‘15, però, prevale ancora la tendenza a far coincidere intuizione ed espressione, volontà e azione. Come altri pensatori contemporanei, Croce cerca così di superare i dualismi ottocenteschi tra spirito e materia, vita e scienza. Di Hegel lo attrae appunto il suo organicismo, anche se gli ripugna la sua brutale omogeneizzazione dei fenomeni. Nel proprio sistema introduce la dialettica degli opposti, ma si preoccupa che non distrugga i distinti. Vuole tenere insieme il circolo dello Spirito e lo sviluppo dialettico della Storia: Vico e Kant da una parte, Hegel dall’altra. Tuttavia, nell’idealista del primo Novecento vince la giustificazione dell’esistente. La Storia procede di bene in meglio, l’irrazionale è appena l’ombra del razionale. Di questa rimozione ha dato un’ottima parodia Paolo Vita-Finzi in un apocrifo crociano dove il pontefice di Palazzo Filomarino, con consequenzialità macabra e gioconda, spiega che il male include “germi di bene” come un cannibale “può includere un missionario”.
A un passo dalla Grande guerra, insomma, il filosofo ritiene ancora che il pensiero possa governare dall’alto la realtà. Appena licenziato il “Contributo”, fa il suo dovere di suddito in un conflitto a cui non crede, ma evita il nazionalismo culturale: all’adesione pratica corrisponde un orgoglioso rifiuto teoretico. È l’abito della distinzione col quale si opporrà sempre alle ideologie che tendono a travolgere tutti gli argini. Ma inutilmente: perché la vocazione del Novecento è appunto quella di cancellare ogni limite, bellico e sofistico. E alla fine Croce ne prenderà atto, trasformando la categoria dell’“utile” nella vitalità “selvatica” che buca le forme dello spirito. Sfiorerà così l’esistenzialismo, ma non farà il passo che l’avrebbe costretto a lasciare le sponde civili del suo Ottocento: sensibilissimo alla cronaca, resterà tuttavia convinto di poter incarnare una figura di filosofo ancora classicista.
Questa figura non va però confusa con la maschera del pensatore pompier che ci ha proposto tanto Novecento, e a cui manca completamente il gusto della concretezza che riassume la lezione più feconda dello “storicismo assoluto”. “La perfezione di un filosofare sta (…) nel pensare la filosofia dei fatti particolari, narrando la storia”, dice Croce nel “Contributo”: perciò “l'astrazione è morte”. In questo senso, molta fenomenologia si è rivelata assai più astratta dell’idealismo che intendeva superare, perché mancava di intuito ermeneutico di fronte alla vita, ed era dunque destinata a smarrirsi nel farraginoso gergo pragmatistico che predica l’andata “alle cose stesse” ma non la pratica mai. Lo stesso vale per le suggestioni insieme esoteriche e terragne criticate da Croce prima in Gentile e poi in quell’Heidegger che secondo lui disonorava la loro disciplina. Queste filosofie, finte mistiche intimidatorie e velleitarie, confermano la convinzione crociana secondo cui il purus philosophus è un purus asinus. Croce considerava una delle sue maggiori vittorie la ridicolizzazione del Filosofo tutto occupato dall'Essere: e infatti niente testimonia meglio la sua successiva sconfitta della restaurazione di questo mito, in varianti sacerdotali o pedantesche.
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amoreodiosblogsblog · 2 years
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mi piace scrivere, lo trovo come un ottimo metodo per sfogarmi. I miei amici probabilmente non ne possono più, lui era quello con cui parlavo sempre dei miei problemi ma oramai da più di un anno ha deciso che io non facessi più parte della sua vita, non allontanandomi del tutto però; il problema è quindi diventato lui. Credo che ora sia arrivato il momento di metterci un punto veramente, sono stufa di stare male, di essere tormentata, incazzata, nevrotica…e tutto questo per colpa sua. Cerco di dimostrarmi forte ma lo sanno tutti che io ho sempre avuto bisogno di lui, del suo amore e delle sue attenzioni, che in questo momento sta dando a tante altre. Devo capire che non è più lo stesso, il mio lui è cambiato e questo suo lato non mi piace. Perché ci sto male allora, so di sbagliare ma il cuore prevale sui pensieri. Spesso mi sembra quasi di averci messo una pietra sopra, ma poi mi rendo conto che non è affatto così…continuo a cercarlo tra gli altri, elimino completamente me stessa per una persona che infondo cosa mi porta tranne tristezza e frustrazione? Il nulla più totale. Dovrei essere sul letto a urlare di gioia per il viaggio che farò domani, eppure mi ritrovo qui a pensare e pensare. Questi pensieri mi stanno uccidendo. Ma dov’è finita la me spensierata e allegra che tutti amano, così tanto adorabile che chiunque voleva uscire con me. Parlo al passavo perché poi avendo tanti amici mi ritrovo con mia mamma che non sa più cosa dire e fare per aiutarmi ad affrontare questa pessima situazione. Lei dice che è una caratteristica del mio segno dimostrarmi forte ma essere sottona dentro, cerca di farmi ridere dicendo le cose seriamente come stanno. Tante volte mi capita di cercare di esprimere i miei sentimenti a lei e ai miei amici senza riuscirci, perché non mi capisco nemmeno io. Oggi a scuola il prof ci ha chiesto come sarebbe il mondo senza sentimenti e logicamente tutti dando la loro opinione hanno fatto capire che non si chiamerebbe vita…forse però io questa vita la ricomincerei un po’ a vivere. Sento il bisogno di distaccarmi, come faccio ad andare avanti con la mia vita se lui non si allontana completamente da me, se lo vedo ogni fottuto giorno e per di più mi viene a parlare. Dovrei forse iniziare a usare la cattiveria, che spesso è l’arma migliore, ma io non mi sento così. Qualcosa dentro di me si è rotto e tanti stanno facendo la loro parte cercando di aiutarmi, ma la cosa deve arrivare da me. Mi impongo anche di non pensarci più, perché non mi manca niente eppure continuo a starci male senza neanche saperne il motivo. Forse mi rode che pur avendomi spiegato le sue ragioni riguardo al non volere una relazione perché deve lavorare su se stesso ora si stia frequentando con la ragazza più bella della zona? Forse mi rode che a lui va sempre tutto bene e quella che ci rimane male in base ai suoi comportamenti sono io? Forse mi rode che non ricevo abbastanza attenzioni e ne sento il bisogno? L’altro giorno ho conosciuto un ragazzo, sembra molto carino e sano, si interessa a ciò che faccio e come sto. E indovinate…ogni cosa la paragono al mio lui. Ho 17 anni e mi sto rovinando il periodo più bello della mia vita che dovrebbe essere caratterizzato da spensieratezza per un ragazzo che non sa neanche dove si trova. Ho tanta rabbia, tanto nervoso e tanto bisogno di essere abbracciata. Mi sento così sola e ho così tante persone attorno a me. Sono in lacrime ed è ormai da un anno che non riesco ad uscire da questo labirinto. Delle volte mi chiedo se c’è un uscita, è possibile continuare a vivere così? Ho la testa tra le nuvole e non riesco più a concentrarmi, a dedicarmi ad altro che mi faccia stare bene. Non so nemmeno se sfogarmi scrivendo mi faccia bene visto che continuo ad immaginarlo dandogli importanza quando probabilmente sarà nel suo letto con un altra. L’ultima occasione nel quale ho scritto qualcosa di serio è stato per un libro regalato al nostro anniversario, eravamo così carini e innamorati; vorrei proprio rivivere certe cose.
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