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#non attaccamento
sophiaepsiche · 2 years
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Il peccato mortale
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L’idea che ci facciamo delle nozioni spirituali o religiose, prima di incamminarci davvero nella vita spirituale, è solitamente un totale fraintendimento personale. Spesso quando si vive la pratica, la comprensione di quella data nozione viene completamente ribaltata. Ai nostri tempi, nessuno ritiene  più utile né tanto meno allettante il concetto di ‘peccato’. Sappiamo anche che non è presente in tutte le tradizioni o gli insegnamenti e questo ci consola molto, soprattutto se siamo ‘peccatori’ incalliti. Quest’ultima parte però non è molto accurata. Direi piuttosto che, nelle altre tradizioni, si tende solo ad usare un linguaggio  diverso. Oggi ci dedichiamo al ‘peccato mortale’ per sfatare qualche mito, comprenderne il vero significato e fare chiarezza su un aspetto molto sottile.
Partiamo da questa sottigliezza. A volte mi domandate se una particolare abitudine o tendenza naturale che avete possa essere o meno un ostacolo alla spiritualità. La mia risposta è invariabilmente ‘no’ ma dobbiamo capire bene perché è no. Potreste pensare, e all’inizio è quasi naturale farlo, che il no significhi che potrete tenere la vostra abitudine anche dopo. Non è così scontato. Per essere più precisi, il ‘no’ è dovuto più al fatto che, se praticate, qualsiasi tendenza contraria alla spiritualità sarà trascesa. Dunque non importa affatto come cominciate, perché è la pratica a trascendere le tendenze. Non dobbiamo diventare santi prima di iniziare un percorso spirituale ma è piuttosto la spiritualità che ci renderà man mano più puri. Se avete intenzione di iniziare, vuol dire che avete quanto basta in termini di distacco e di discernimento per incamminarvi e il resto lo farà il percorso stesso.
Gli unici ostacoli possibili al conosci te stesso sono la mancanza d’onestà e di perseveranza. All’inizio, quasi tutti noi siamo inclini a ‘lavorare’ solo su quello che vogliamo togliere e siamo invece molto indulgenti sui vizi a cui siamo ‘attaccati’ ma, se siamo onesti, pian piano ci renderemo conto che quell’attaccamento ci causa dolore e, volendo togliere il dolore, ci occuperemo anche di quell’attaccamento.
Se non ci fermiamo, capiremo inoltre che non è la particolare ‘abitudine’ di per sé a causarci  problemi ma è l’attaccamento in generale a qualsiasi abitudine e tendenza, a qualsiasi cosa o persona a ricreare il dolore e, conseguentemente, l’indulgenza sarà sempre meno presente.
Il conosci te stesso è un metodo nel quale parlare di peccato non ha quasi senso, perché nulla può impedirvi di conoscervi ma, ragioniamo su questo, l’aspetto più sottolineato riguarda la nostra stessa identificazione. Leggiamo sin da subito che questo percorso ha a che fare con una sorta di cambio d’identificazione o perdita d’identificazione psicologica ma, non capendo cosa implica e quant’è profonda questa trasformazione, ci preoccupiamo di particolari secondari. Avendo capito che il punto centrale è l’attaccamento e non le particolari tendenze, riformuliamo il concetto di ‘peccato’ con quello di ‘attaccamento alla materia’ e vedrete che, ahimè, non fa una piega, anche in termini d’identificazione.
Ogni indole di attaccamento verso l’esterno, a cose e persone, è sia sintomo che causa del ‘sentirci una cosa’, ossia della nostra identificazione con la materia. Quando  cominciamo a distaccarci dai desideri esterni è perché cominciamo a sospettare che la felicità non si trovi da quelle parti. Ci è sempre più chiaro che qualcosa non va a livello basilare nella ricerca del piacere. È lì che, solitamente, sentiamo la prima ‘chiamata’ o la prima fascinazione per la filosofia spirituale. Quando poi si inizia finalmente a praticare, ci si distacca dal desiderio interiore. Avendo sviluppato sufficiente distacco dalla materia esterna e grossolana, passiamo ad occuparci della materia sottile. Che la chiamiamo meditazione, ‘conosci te stesso’, osservazione passiva, testimoniare o esame di coscienza, quello che attuiamo è un primo distacco dalla materia sottile, così da conoscerla e comprenderla, esattamente come abbiamo fatto precedentemente con quella esterna. Se questo processo non viene interrotto e arriva a maturazione, scatta la contemplazione, il silenzio o il samadhi. Qui scopriamo che la nostra vera natura non è materiale. 
Più stiamo qui, più l’identificazione materiale e mentale si perde.
Il succo quindi è che più abbiamo attaccamento alla materia più ci sentiremo materia. Ovviamente questo equivale a sentirci mortali. Dunque tutto il concetto di peccato mortale si rivela vero e, non tanto come condanna da scontare, ma come stato effettivo e presente della nostra condizione umana. Solo attraverso la pratica spirituale costante perdiamo il vizio di attaccarci alla materia e smettiamo allora di sentirci ‘materia’, di sentirci ‘mortali’, il che cambia notevolmente anche il nostro approccio agli altri, che non tratteremo mai più come oggetti.
Mi raccomando allora, non ci fasciamo la testa prima di iniziare e non ci dedichiamo troppo al controllo delle azioni esterne. Il punto focale è l’attaccamento. Quando la comprensione delle dinamiche interiori aumenterà, il distacco sarà più forte e le azioni subiranno un cambiamento naturale e spontaneo. 
Tenete solo presente che non vi si promette che quello a cui siete attaccati rimarrà, perché questo è il meraviglioso effetto naturale della trascendenza.  
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deathshallbenomore · 1 year
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argomentazione debolissima soprattutto nella parte finale che, al contrario, dovrebbe essere la più convincente - perché amico, le mie fotocopie dureranno almeno quanto il libro, se non di più, considerando che ogni anno esce una versione aggiornata e quindi, seguendo il tuo ragionamento, dovrei ogni volta spendere ~50€. e allora perché vivere sotto la schiavitù di una spesa ingente quando la fotocopia dura uguale, costa meno, e quindi può essere rinnovata con maggiore facilità?
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2022 in books
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Last one of the books read in November!
This is another collection of detective stories - I liked four out of eight and I feel overall that I had a better time reading Una settimana in giallo, but I guess I have to expect to have different experiences of these collections considering the authors listes and how much fun they had with the theme.
Story-wise, a week-long mystery/investigation is bound to have more points of interest and to engender more satisfaction when the solution is found, rather than a night-long one! That said, my favorite stories of the bunch were:
Un regalo che solo io posso farti: set in Tuscany, with same main investigator (vicequestore, really) as the story in Una settimana in giallo, now with a three-month-old baby! I really liked the mystery plot - quick and streamlined as it had to be, cinsidering the time constraint - as well as all the little snippets of everyday life, both hers and her partner’s and the one sketched for the secondary characters; also, lots and lots of irony, always appreciated
Piano B: YAAAAAYY!! (ノ´ヮ´)ノ*:・゚✧ the Milan killers are back and they’re as fun as the first time I’ve seen them - they appear in the Monterossi TV series (Amazon Prime) and now I’m reading the novel that the first thee episodes adapt (Questa non è una canzone d’amore) and they’re just so much fun! I loved the reference to real-life commuters’ reaction whenever there is ‘an obstacle’ that impedes the usual running of the subway - we’re always such tactful people!
Fino a che la realtà non ci separi: I loved the fact that the clues were all in books and the reason for the main death - so unlike anything you usually see in stories like these
Quota 2.050 s.l.m.: I don’t much like that Schiavone seems stuck in the character that he was at the beginning of the series (I haven’t started the books and I don’t plan to, but I watched a few episodes of the first season of the adaptation on RaiPlay/Amazon Prime) and he seems to have learnt no practicl lessons on living on the mountains - I hope that there is internal development, at least, but he seems unvaried in the two stories I’ve read; the culprits were pretty easy to guess, but there’s alwayt a final little twist that slightly changes things that I cannot help but appreciate
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susieporta · 27 days
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L’amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un’attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mondo, non verso un «oggetto» d’amore.
Se una persona ama solo un’altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico o un egotismo portato all’eccesso.
Eppure la maggior parte della gente crede che l’amore sia costituito dall’oggetto, non dalla facoltà d’amare. Infatti, essi credono perfino che sia prova della intensità del loro amore il fatto di non amare nessuno tranne la persona «amata».
Questo è un errore. Poiché non si vede che l’amore è un’attività, un potere dell’anima, si ritiene che basti trovare l’oggetto necessario e che, dopo ciò, tutto vada da sé.
Questa teoria può essere paragonata a quella dell’uomo che vuole dipingere ma che, anziché imparare l’arte, sostiene che deve solo aspettare l’oggetto adatto e che dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato.
Se amassi veramente una persona, amerei il mondo, amerei la vita. Se posso dire a un altro «ti amo», devo essere in grado di dire «amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso».
Erich Fromm
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sognidicarta · 6 days
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A volte mi chiedo se il problema sia questo mio attaccamento disperato o semplicemente le persone. Mi logoro nell'attesa di un messaggio che non arriva, e cerco di convincermi che qualcuno possa essere così impegnato da non avere un solo istante, un solo respiro per dire "Non posso adesso, ci sentiamo dopo." Ma poi mi chiedo: davvero ci vuole così tanto? O è che, in fondo, non importa?
Viviamo immersi in una rete di connessioni che ci lega senza mai toccarci davvero. Siamo tutti iperconnessi, eppure così distanti, così distratti. Forse non è che mancano i secondi per rispondere, forse manca semplicemente la voglia. E questo non fa che alimentare le mie insicurezze, perché dovrei scriverti, se non rispondi? Mi passa la voglia.
Forse occupo davvero così poco spazio nella tua vita, sono solo un puntino insignificante, invisibile, mentre tu sei il mio primo pensiero, mentre tu appari ovunque,anche dove non ci sei. Forse è così che funziona: io mi perdo nell'attesa di te, e tu, semplicemente, non mi vedi. E alla fine, mi chiedo se tutto questo sia solo il riflesso della mia fragilità, o la dimostrazione che, in fondo, non siamo mai stati così vicini come pensavo.
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der-papero · 15 days
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A quanto pare il nostro CTO è stato cacciato a calci perché ad un evento pubblico non ha nascosto il suo morboso attaccamento alla ciaccarella. Che volete fa', è ancora la stagione degli amori.
Ma la mia domanda è un'altra: visto il suo licenziamento, credete sia stato di pessimo gusto e molto indelicato arrivare al parcheggio dell'azienda con i finestrini aperti, lo stereo a palla e questo pezzo su?
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ombranelvento · 4 months
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quando una persona è abituata in un modo e c’è un certo attaccamento con una persona e poi quella persona d’improvviso cambia e si allontana, non è sempre facile ritornare sui propri passi
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angelap3 · 6 months
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Una volta Gandhi, mentre tentava di salire su un treno, perse una scarpa sui i binari, tra il treno e la banchina.
Tentò di prenderla, ma era impossibile, e il treno stava per partire.
Così, si tolse l'altra scarpa e la buttò vicino all'altra.
Chi era con lui, stupefatto gli chiese perché mai avesso deciso di buttare anche la scarpa che gli era rimasta, e lui rispose sorridendo: " Un povero che trova una sola scarpa non sa cosa farsene. Buttando anche la mia seconda scarpa, almeno lui potrà gioire del mio paio di scarpe".
A cosa serve tenere per sè una scarpa sola?
Quante cose, per attaccamento, non lasciamo andare?
E, se invece, impariamo a lasciarle andare potrebbero alleggerire noi stessi e dar beneficio anche a qualcun altro...
Gandhi 🌻💓
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Lascia andare le persone che non sono pronte ad amarti.
Questa è la cosa più difficile che dovrai fare nella tua vita e sarà anche la cosa più importante.
Smetti di avere conversazioni difficili con persone che non vogliono cambiare.
Smettila di presentarti alle persone che non hanno interesse per la tua presenza.
So che il tuo istinto è quello di fare del tuo meglio per essere apprezzato/a da chi ti circonda, ma è un impulso che ti ruba
tempo, energia, salute mentale e fisica.
Quando inizi a lottare per una vita con gioia, interesse e impegno, non tutti saranno pronti
a seguirti in quel luogo.
Ciò non significa che devi cambiare chi sei, significa che devi lasciare andare le persone che non sono pronte ad accompagnarti.
Se sei escluso/a insultato/a dimenticato/a o ignorato/a dalle persone a cui dedichi il tuo tempo, non ti stai facendo un favore continuando a offrire loro la tua energia e la tua vita.
La verità è che non sei per tutti e non tutti sono per te.
Questo è ciò che rende così speciale gli incontri con persone con cui hai amicizia o amore reciproci.
Saprai quanto è prezioso perché hai sperimentato ciò che non è.
Più tempo passi cercando di farti amare da qualcuno che non ne è capace,
più tempo sprechi privandoti della possibilità di quella connessione con qualcun altro.
Ci sono miliardi di persone su questo pianeta e molte di loro ti incontreranno, al tuo livello
di interesse e impegno.
Più rimani coinvolto/a con persone che ti usano come cuscino, opzione di sfondo o terapista per la loro guarigione emotiva, più a lungo ti allontani dalla comunità che desideri.
Forse se smetti di presentarti, non ti cercheranno. Forse se smetti di provare, la relazione finirà. Forse se smetti di inviare messaggi, il tuo telefono rimarrà scuro per settimane.
Ciò non significa che tu abbia rovinato la relazione, significa che l'unica cosa che l'ha sostenuta è stata l'energia che solo tu hai dato per mantenerla. Questo non è amore, è attaccamento. è voler dare una possibilità a chi non se lo merita!
La cosa più preziosa che hai nella tua vita è il tuo tempo e la tua energia, poiché entrambi sono limitati. Ciò a cui dedichi tempo ed energia definirà la tua esistenza.
Quando ti rendi conto di questo, inizi a capire perché sei così ansioso/a quando passi del tempo con le persone, in attività, luoghi o situazioni che non ti si addicono.
Inizierai a realizzare che la cosa più importante che puoi fare per te stesso/a e per tutti quelli intorno a te è proteggere la tua energia più ferocemente di qualsiasi altra cosa.
Rendi la tua vita un rifugio sicuro, dove solo le persone “compatibili” con te sono ammesse.
Non sei responsabile del salvataggio di nessuno. Non sei responsabile di convincerli a migliorare. Non è il tuo lavoro esistere per le persone e dare loro la tua vita!
Perché se ti senti male, se ti senti obbligato/a, sarai la radice di tutti i tuoi problemi a causa della tua insistenza, temendo che non ti restituiscano i favori che hai concesso. è il tuo unico obbligo realizzare che sei padrone/a del tuo destino e accettare l'amore che pensi di meritare.
Decidi che meriti una vera amicizia, un vero impegno e un amore completo con persone sane e prospere.
Quindi aspetta e vedi quanto tutto inizia a cambiare.
Anthony Hopkins
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lunamagicablu · 9 days
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Non resistere, non giudicare e non avere attaccamento sono i tre aspetti della vera libertà e di un vivere illuminato. Eckart Tolle by Cinderella Tran ************************ Non-resistance, non-judgment, and non-attachment are the three aspects of true freedom and enlightened living. Eckart Tolle by Cinderella Tran 
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deathshallbenomore · 2 years
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gesù cristo signore iddio non un professore che ebbi in triennale che alle volte pubblica sui social le mail dei suoi (ex) studenti [per fortuna escludendo i nomi e le informazioni sensibili] come parte del suo Alquanto Normale Commentario alla Vita. cringe cringe cringe sopratutto perché a questo giro si tratta della mail di una ex studentessa che lo ringrazia per il suo bel corso, che ancora ricorda con piacere, e lo aggiorna sulle sue più recenti peregrinazioni accademiche. dio ti prego fa’ che i miei relatori e altri professori a cui posso aver rivolto parole gentili via mail non vengano mai presi da questa foga di condivisione perché altrimenti sarei capace di riunirli solo per uccidermi in diretta davanti a loro per cambiare il corso delle loro esistenze
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a-dreamer95 · 2 months
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Non tutti quelli che desideri nella tua vita desiderano averti nella loro. Perciò, non sprecare il tuo tempo cercando di impressionarli o facendo loro favori, quando in realtà non gli importa minimamente della tua presenza. Dedica la tua energia a chi apprezza davvero la tua compagnia e ti valorizza per ciò che sei. La vita è troppo breve per investire tempo ed energie in persone che non ricambiano il tuo affetto. Circondati di chi ti fa sentire importante e ti supporta in ogni momento. Lascia andare le persone che non sono pronte ad amarti. Questa è la cosa più difficile che dovrai fare nella tua vita e sarà anche la più importante. Smetti di avere conversazioni difficili con persone che non vogliono cambiare. Smetti di presentarti a persone che non hanno interesse per la tua presenza. So che il tuo istinto è quello di fare tutto il possibile per conquistare l'apprezzamento di chi ti circonda, ma è una spinta che ti ruba tempo, energia, salute mentale e fisica. Quando inizi a lottare per una vita con gioia, interesse e impegno, non tutti saranno pronti a seguirti in quel luogo.
Ciò non significa che devi cambiare chi sei, significa che devi lasciar andare le persone che non sono pronte a unirsi a te. Se sei escluso, insultato, dimenticato o ignorato dalle persone a cui dedichi il tuo tempo, non ti stai facendo un favore continuando a offrire loro la tua energia e la tua vita. La verità è che non sei per tutti e non tutti sono per te. Questo è ciò che rende così speciale quando trovi persone con cui hai amicizia o amore ricambiato. Saprai quanto è prezioso perché hai sperimentato ciò che non lo è. Ci sono miliardi di persone su questo pianeta e molte di esse troverai al tuo livello di interesse e impegno. Forse se smetti di farti vedere, non ti cercheranno. Forse se smetti di provarci, la relazione finirà. Forse se smetti di inviare messaggi, il tuo telefono rimarrà spento per settimane.
Ciò non significa che hai rovinato la relazione, significa che l'unica cosa che l'ha sostenuta è stata l'energia che solo tu hai dato per mantenerla. Questo non è amore, è attaccamento. È dare una possibilità a chi non se la merita! Ti meriti molto di più.
La cosa più preziosa che hai nella tua vita è il tuo tempo e la tua energia, poiché entrambi sono limitati. Le persone e le cose a cui dai il tuo tempo e la tua energia definiranno la tua esistenza. Quando te ne rendi conto, inizi a capire perché sei così ansioso quando trascorri del tempo con persone, attività o spazi che non ti si addicono e non dovrebbero essere intorno a te. Inizierai a renderti conto che la cosa più importante che puoi fare per te stesso e per tutti coloro che ti circondano è proteggere ferocemente la tua energia.
Rendi la tua vita un rifugio sicuro, dove sono ammesse solo le persone "compatibili" con te. Non sei responsabile del salvataggio di nessuno. Non sei responsabile di convincerli a migliorare. Non è compito tuo esistere per le persone e dare loro la tua vita! Ti meriti vere amicizie, veri impegni e amore completo con persone sane e prospere.
La decisione di prendere le distanze dalle persone dannose ti darà l'amore, la stima, la felicità e la protezione che meriti...
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susieporta · 8 months
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[Lei s’innamorò come s’ innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’ idiota]
La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest’uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l’immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perché c’era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell’uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un’intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d’artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com’era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l’intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l’insonnia, una vecchiaia di secoli, l’inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d’acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l’intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell’inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All’inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr’ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E’ morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all’altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com’era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All’ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d’amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell’anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l’errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perché non la uccidessero, perché la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Passando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l’infaticabile voce di Elidé parlare dell’argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l’attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L’aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull’erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l’uva», disse l’ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d’uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com’era… sai di che cosa parlo», disse l’amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l’ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La zia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevano ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l’altra le centoventimila sciocchezze che l’avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa di lucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell’uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell’uomo che ti ha fatto innamorare come un’imbecille e poi se n’è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l’India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l’Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E’ arrivato ieri», le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L’ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Gli assenti si sbagliano sempre».
Ángeles Mastretta
[racconto tratto dal libro “Donne dagli occhi grandi”]
*traduzione di Gina Maneri
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L’amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un’attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mondo, non verso un «oggetto» d’amore.
Se una persona ama solo un’altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico o un egotismo portato all’eccesso.
Eppure la maggior parte della gente crede che l’amore sia costituito dall’oggetto, non dalla facoltà d’amare. Infatti, essi credono perfino che sia prova della intensità del loro amore il fatto di non amare nessuno tranne la persona «amata».
Questo è un errore. Poiché non si vede che l’amore è un’attività, un potere dell’anima, si ritiene che basti trovare l’oggetto necessario e che, dopo ciò, tutto vada da sé.
Questa teoria può essere paragonata a quella dell’uomo che vuole dipingere ma che, anziché imparare l’arte, sostiene che deve solo aspettare l’oggetto adatto e che dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato.
Se amassi veramente una persona, amerei il mondo, amerei la vita. Se posso dire a un altro «ti amo», devo essere in grado di dire «amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso».
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Erich Fromm
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unfilodaria · 6 months
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Non amo il mio posto di lavoro. Non credo di averlo mai amato. Eppure ci sono indissolubilmente legato. Ho 58 anni quasi 59, e frequento il mio ufficio da quanto ne avevo 3 di anni. Mio padre lavorava lì ed è morto lì. E per un macabro scherzo del destino vi ci sono stato catapultato dentro all’età di 19 anni, perché una legge regionale consentiva ad un figlio di subentrare al proprio genitore, dipendente morto sul luogo di lavoro. Ci lavoro ormai da 38 anni e a volte mi domando perché. Odio il luogo di lavoro, odio a volte anche le persone che ci lavorano. Rubano ed occupano le mie giornate, la mia vita. Eppure, da folle, gli dedico tutto il mio tempo nel nome del “senso del dovere”, un’altra macabra eredità da parte di mio padre, oltre al lavoro. Nessuno può capire quello che provo, a volte neanche io lo capisco. É come il senso di attaccamento alla maglia. Quelle quattro mura le sento mie più di qualunque altro. Ed odio chi ha reso quel luogo di lavoro, uno spazio chiuso e claustrofobico, peggio di un acquario. Odio e amo, ma più odio. Eppure difficilmente tradisco. E più passano gli anni e più l’attaccamento alla maglia ed il senso del dovere, mi attanagliano, mi soffocano. Odio e amo. E non vedo più speranza di salvarmi. Odio e amo.
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amoilnero · 3 months
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Tumblr media
"Il sesso senza amore è una forma di violenza sul nostro corpo.
Il corpo non è fatto per unirsi sessualmente a qualcuno da cui si separerà senza amore. Possiede l'innocenza della nostra parte animale e naturale.
Quando facciamo sesso con qualcuno il nostro corpo sviluppa ormoni e sostanze neuro-chimiche che producono l'attaccamento verso l'altra persona.
I due corpi di riconoscono e si legano come un cane al proprio padrone.
Questo attaccamento, se esprime l'intenzione dell'Anima di vivere con l'altra persona e sceglierla come compagna, suggella con un legame terreno e carnale il sentimento spirituale dell'amore. È l'incarnazione di una connessione energetica d'amore, ecco perché si chiama "fare l'amore".
Se questa connessione non c'è, e non c'è in noi un amore profondo che ci porti a voler vivere con quella persona, a stare con lei, è come se il corpo venisse illuso.
Come un animale si affeziona anche al cattivo padrone che poi lo abbandonerà, così il corpo nella sua innocente naturalità, non sa che la nostra mente è in conflitto con il cuore, non capisce che vogliamo solo un appagamento mentale senza sentimento: il nostro corpo si lascerà usare fidandosi del suo padrone e nel rapporto sessuale creerà un attaccamento con il corpo dell'altro; proverà affetto, crederà di essere lì per restare in quella calda e affettuosa vicinanza.
Quando poi, visto che non c'era amore, smetteremo di vedere l'altra persona, il corpo non capirà.
Soffrirà.
Sentirà il distacco e l'abbandono senza saperne il perché.
Anche se, arroccati nella nostra mente scollegata, penseremo di esserci divertiti, nelle nostre viscere proveremo lutto e tristezza.
Queste emozioni, se non riconosciute, diventeranno energia bloccata e produrranno tossine. Non subito, ma nel tempo contribuiranno all'indebolimento del sistema immunitario o di qualche organo.
Ci verrà forse un'influenza o un piccolo acciacco e non sapremo il perché.
"Non commettere atti impuri" significa non obbligare il corpo a fare cose in contrasto con il cuore. Non è un dettame morale ma un principio per la cura della nostra integrità e salute fisico-energetica."
(Alessandro Baccaglini)
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