Tumgik
#ovatta
vaerjs · 21 days
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in questi giorni mi sento molto stanca, mentalmente fisicamente emotivamente. il mio corpo è pesante e lento, la mia testa sempre dentro una bolla che ovatta il mondo intorno.
sono fiera della persona che sto diventando, la veronica quindicenne lo sarebbe e sicuramente glielo devo, ma è faticoso e fa paura.
denunciare il proprio nido, per quanto fosse un nido di spine, è doloroso, un fallimento personale, come se avessi dovuto e non fossi riuscita a salvare tutti - perché d'altronde ho sempre saputo di non essere abbastanza forte, oppure perché mi sto facendo carico di pesi che non sono i miei?
sono fiera anche delle persone con cui ho scelto di crescere, orgogliosa di averle accanto, di averle nella mia vita. persone che combattono battaglie pesanti come le mie e che si fanno carico di pesi che forse non dovrebbero appartenergli. sono pesi e preoccupazioni che finiscono per appesantirci a vicenda, chiodi fissi di cui non è facile liberarsi.
in questi giorni mi sento molto stanca, mentalmente fisicamente emotivamente. il mio corpo è pesante e lento, la mia testa dentro una bolla che ovatta il mondo intorno, ma sto combattendo con una forza che non ho mai avuto, con l'aiuto di cui ho sempre avuto bisogno da parte di persone che mi amano e so che non potrà peggiorare per sempre.
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fridagentileschi · 1 year
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Bella risposta ai gretini
Alla cassa di un supermercato una signora anziana sceglie un sacchetto di plastica per metterci i suoi acquisti.
La cassiera le rimprovera di non adeguarsi all’ecologia e gli dice:
“La tua generazione non comprende semplicemente il movimento ecologico. Noi giovani stiamo pagando per la vecchia generazione che ha sprecato tutte le risorse! “
La vecchietta si scusa con la cassiera e spiega:
“Mi dispiace, non c’era nessun movimento ecologista al mio tempo.”
Mentre lei lascia la cassa, affranta, la cassiera aggiunge:
” Sono persone come voi che hanno rovinato tutte le risorse a nostre spese. E ‘ vero, non si faceva assolutamente caso alla protezione dell’ambiente nel tuo tempo.”
Allora, un pò arrabbiata, la vecchia signora fa osservare che all’epoca restituivamo le bottiglie di vetro registrate al negozio. Il negozio le rimandava in fabbrica per essere lavate, sterilizzate e utilizzate nuovamente: le bottiglie erano riciclate. La carta e i sacchetti di carta si usavano più volte e quando erano ormai inutilizzabili si usavano per accendere il fuoco. Non c’era il “residuo” e l’umido si dava da mangiare agli animali.
Ma noi non conoscevamo il movimento ecologista.
E poi aggiunge:
“Ai miei tempi salivamo le scale a piedi: non avevamo le scale mobili e pochi ascensori.
Non si usava l’auto ogni volta che bisognava muoversi di due strade: camminavamo fino al negozio all’angolo.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Non si conoscevano i pannolini usa e getta: si lavavano i pannolini dei neonati.
Facevamo asciugare i vestiti fuori su una corda.
Avevamo una sveglia che caricavamo la sera.
In cucina, ci si attivava per preparare i pasti; non si disponeva di tutti questi aggeggi elettrici specializzati per preparare tutto senza sforzi e che mangiano tutti i watt che Enel produce.
Quando si imballavano degli elementi fragili da inviare per posta, si usava come imbottitura della carta da giornale o dalla ovatta, in scatole già usate, non bolle di polistirolo o di plastica.
Non avevamo i tosaerba a benzina o trattori: si usava l’olio di gomito per falciare il prato.
Lavoravamo fisicamente; non avevamo bisogno di andare in una palestra per correre sul tapis roulant che funzionano con l’elettricità.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Bevevamo l’acqua alla fontana quando avevamo sete.
Non avevamo tazze o bottiglie di plastica da gettare.
Si riempivano le penne in una bottiglia d’inchiostro invece di comprare una nuova penna ogni volta.
Rimpiazzavamo le lame di rasoio invece di gettare il rasoio intero dopo alcuni usi.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Le persone prendevano il bus, la metro, il treno e i bambini si recavano a scuola in bicicletta o a piedi invece di usare la macchina di famiglia con la mamma come un servizio di taxi 24 h su 24. Bambini tenevano lo stesso astuccio per diversi anni, i quaderni continuavano da un anno all’altro, le matite, gomme temperamatite e altri accessori duravano fintanto che potevano, non un astuccio tutti gli anni e dei quaderni gettati a fine giugno, nuovi: matite e gomme con un nuovo slogan ad ogni occasione.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ecologista!
C’era solo una presa di corrente per stanza, e non una serie multipresa per alimentare tutta la panoplia degli accessori elettrici indispensabili ai giovani di oggi.
Allora non farmi arrabbiare col tuo movimento ecologista!
Tutto quello che si lamenta, è di non aver avuto abbastanza presto la pillola, per evitare di generare la generazione di giovani idioti come voi, che si immagina di aver inventato tutto, a cominciare dal lavoro, che non sanno scrivere 10 linee senza fare 20 errori di ortografia, che non hanno mai aperto un libro oltre che dei fumetti, che non sanno chi ha scritto il bolero di Ravel…( che pensano sia un grande sarto), che non sanno dove passa il Danubio quando proponi loro la scelta tra Vienna o Atene, ecc.
Ma che credono comunque poter dare lezioni agli altri, dall’alto della loro ignoranza!
Fonte: blog decideilpopolo.it
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messaggioinbottiglia · 3 months
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Mi sono svegliato e la casa è vuota. Milano sembra un luogo estraneo e questo cielo grigio ovatta ogni cosa. Mi chiedo quando tornerò ad accettare la solitudine.
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mynameis-gloria · 4 months
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Crollata in un sonno profondo nel giro di tre minuti ieri sera, poco prima di mezzanotte, svegliata con quella sensazione di voler baci su tutto il corpo e rimanere a letto per tutta la mattina e la pioggia ovatta i rumori. Ci penso mentre sgranocchio cereali nel caffè!
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dinonfissatoaffetto · 8 months
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Croci
Ogni anno la sera del Ringraziamento seguivamo come un gregge papà che trascinava il vestito da Babbo Natale in giardino e lo sistemava su una specie di crocefisso che aveva costruito con un palo di metallo. La settimana del Super Bowl la croce portava una maglia da football e il casco di Rod, e Rod doveva chiedere il permesso a papà se voleva riprendersi il casco. Il Quattro Luglio la croce diventava lo Zio Sam, il giorno dei caduti un soldato, ad Halloween un fantasma. La croce era l'unica concessione di papà all'entusiasmo. Potevamo prendere solo un pastello per volta dalla scatola. Una volta la notte di Natale papà sgridò Kimmie perché aveva sprecato uno spicchio di mela. Quando versavamo il ketchup ci ronzava intorno dicendo: Basta, basta, basta. Le feste di compleanno erano a base di merendine, niente gelato. La prima volta che ho portato a casa una ragazza lei mi ha detto: Perché tuo padre ha messo quei due pali in croce?, e io non sapevo dove guardare.
Siamo andati via di casa, ci siamo sposati, siamo diventati genitori, abbiamo scoperto che il seme della grettezza fioriva anche dentro di noi. Papà ha cominciato a decorare la croce con più complessità e con una logica più ermetica. Il Giorno della Marmotta l'ha coperta con una specie di pelliccia e ha trascinato fuori un riflettore per creare un effetto ombra. Quando c'è stato un terremoto in Cile ha abbattuto la croce e dipinto una crepa per terra con lo spray. E' morta mamma e ha mascherato la croce da Morte e sul braccio orizzontale ha appeso le foto di mamma da piccola. Passavamo a salutarlo e trovavamo strani talismani della sua gioventù disposti ai piedi della croce; medaglie dell'esercito, biglietti del teatro, vecchie felpe, cosmetici di mamma. Un autunno ha pitturato la croce di giallo vivo. E in inverno l'ha coperta di ovatta per tenerla al caldo e fornita di prole piantando col martello sei mini croci in giardino. Ha passato pezzi di spago tra la croce e le mini croci e ha attaccato lettere di scusa, ammissioni d'errore, richieste di comprensione, tutto su cartellini scritti con mano affannosa. ha dipinto e appeso alla croce un cartello con la scritta AMORE, poi un altro che diceva PERDONARE? e poi è morto con la radio accesa e abbiamo venduto la casa a una giovane coppia che ha sradicato la croce e l'ha lasciata sul ciglio della strada perché la portasse via il camion dell'immondizia.    
- George Saunders, Dieci dicembre
(Uno dei racconti più belli degli ultimi anni)
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gregor-samsung · 2 years
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La guerra delle campane
C'era una volta una guerra, una grande e terribile guerra, che faceva morire molti soldati da una parte e dall'altra. Noi stavamo di qua e i nostri nemici stavano di là, e ci sparavamo addosso giorno e notte, ma la guerra era tanto lunga che a un certo punto ci venne a mancare il bronzo per i cannoni, non avevamo più ferro per le baionette, eccetera. Il nostro comandante, lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone, ordinò di tirar giù tutte le campane dai campanili e di fonderle tutte insieme per fabbricare un grossissimo cannone: uno solo, ma grosso abbastanza da vincere tutta la guerra con un sol colpo. A sollevare quel cannone ci vollero centomila gru; per trasportarlo al fronte ci vollero novantasette treni. Lo Stragenerale si fregava le mani per la contentezza e diceva: - Quando il mio cannone sparerà i nemici scapperanno fin sulla luna. Ecco il gran momento. Il cannonissimo era puntato sui nemici. Noi ci eravamo riempiti le orecchie di ovatta, perché il frastuono poteva romperci i timpani e la tromba di Eustachio. Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone ordinò: - Fuoco! Un artigliere premette un pulsante. E d'improvviso, da un capo all'altro del fronte, si udì un gigantesco scampanio: - Din! Don! Dan! Noi ci levammo l'ovatta dalle orecchie per sentir meglio. - Din! Don! Dan! - tuonava il cannonissimo. E centomila echi ripetevano per monti e per valli: - Din! Don! Dan! - Fuoco! - gridò lo Stragenerale per la seconda volta: - Fuoco, perbacco! L'artigliere premette nuovamente il pulsante e di nuovo un festoso concerto di campane si diffuse di trincea in trincea. Pareva che suonassero insieme tutte le campane della nostra patria. Lo Stragenerale si strappava i capelli per la rabbia e continuò a strapparseli fin che gliene rimase uno solo. Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall'altra parte del fronte, come per un segnale, rispose un allegro, assordante: - Din! Don! Dan! Perché dovete sapere che anche il comandante dei nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestafrakasson, aveva avuto l'idea di fabbricare un cannonissimo con le campane del suo paese. - Din! Dan! - tuonava adesso il nostro cannone. - Don! - rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: - Le campane, le campane! È festa! È scoppiata la pace! Lo Stragenerale e il Mortesciallo salirono sulle loro automobili e corsero lontano, e consumarono tutta la benzina, ma il suono delle campane li inseguiva ancora.
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Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi (collana Gli struzzi n°14), 1973⁷; pp. 43-44. [Prima edizione: 1962]
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turuin · 3 months
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E' possibile che queste fitte al fianco sinistro non abbiano tanto a che vedere con l'intestino infiammato, ma con una specie di strappo muscolare o indolenzimento dovuto al fatto che ero convinto di poter fare workout così, dal nulla, esagerando un po'. Se così fosse, bene. Ma allora perché tutto questo sonno, questo gonfiore? Perché quando dormo (e dormo un sacco) almeno una volta per sonno soffro di paralisi ipnagogica? Che è, peraltro, un fenomeno che odio con tutto me stesso, e che ho imparato a riconoscere immediatamente quando mi accade.
La prima volta, in questi giorni, è avvenuta lunedì mattina: a letto, mentre dormivo di un sonno sopraggiunto all'improvviso, mi sono svegliato (nel sogno) con un oggetto sul ventre, come una grossa impalcatura di una casa di bambole, o carillon. Una voce di ragazza mi aveva rivolto la parola. Ho capito subito che non poteva essere: non ero nel mio letto, ma in un sogno. Ho ricordato, nel sogno, che avrei dovuto toccare la lingua col palato, ma nulla: pur facendolo, non riuscivo a venire fuori dall'illusione. La mia testa sprofondava sempre più tra i cuscini, che arrivavano a chiudermi la visuale. Non so con quale sforzo di volontà ho pensato di darmi uno schiaffo in testa, e mi sono svegliato, col respiro accelerato e la testa che girava.
La seconda volta è avvenuta la scorsa notte. D'improvviso, ero nel mio salotto, ed era buio. Chiedevo all'assistente vocale di accendere la luce, ma non funzionava, ed il buio era nero come l'inchiostro, e si espandeva ai confini del mio campo visivo. Alzandomi dal divano, mi dicevo: rieccomi, sono di nuovo in un sogno da paralisi ipnagogica. E ricominciavo a leccarmi il palato, a mordermi le labbra, ma nulla. Mi ha assalito un gran senso di disperazione: e se restassi così, bloccato all'interno del mio cervello, per sempre? Insopportabile, opprimente senso di oscurità, assenza di suoni - non puoi gridare, non puoi parlare, la luce stessa ha una qualità diversa dal mondo reale, tutto è ovatta. Ho iniziato a saltare sul posto, nel sogno, e ad agitarmi le mani davanti agli occhi. Non le vedevo. Chi ha letto Castaneda (e non solo) sa che vedersi le mani in sogno è difficilissimo, se non impossibile; e questa consapevolezza mi ha dissociato mentalmente: so che sto agitando le mani, ma non le vedo, quindi sono al di fuori di questa situazione. Quindi possono colpirmi. E così, mi sono svegliato di nuovo.
Chissà se ricapiterà stanotte, chissà se le mie scappatoie funzioneranno ancora.
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gcorvetti · 8 months
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Sembra talco...
... ah no quella è un'altra cosa, mi chiedevo se ad oggi quelli che di solito sono solidali e inquadrati con il sistema sappiano scegliere quale bandiera mettere nel loro profilo, ucraina o israele? Poi ci sono quelli che mettono la bandiera palestinese e vengono bannati da 'amici' e parenti, perché si deve stare sempre dalla parte dei buoni, ma da un pò di tempo a questa parte nelle guerre non ci sono più buoni, non ci sono più ideologie, non c'è mai una motivazione giusta per fare la guerra, ma si sa che i capoccia dell'occidente riescono sempre a convincere la massa che attaccare il cattivo è buono, ma se il cattivo ti attacca è brutto e deve essere punito, come se quando attaccano i 'buoni' lo fanno con i proiettili di ovatta e i fuochi d'artificio, ma sappiamo bene che la propaganda vince in anticipo ogni guerra. Ho visto questo video e non conoscevo questa signora affascinante e che dice cose dritte e vere senza filtri, è una diplomatica italiana quindi ne sa più di Severgnini che fino a qualche anno fa stimavo come giornalista ma si vede che la paghetta gli fa più gola della verità, che come sappiamo oramai non paga più, nota e sembra che era solo nei giornali del primo giorno dopo l'attacco i ragazzi/e erano ad un Rave party, ma si sa che in Italia quando si sente questa parola si va in tilt, quindi si passa a festa, festino di giovani a base di coca-cola e fanta, senza scienza.
youtube
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spinedivetro · 1 year
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Genova, giornata nuvolosa, di ovatta. Mi sentivo in un nido morbido pieno di pensieri belli. Sto guarendo, finalmente.
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instabileatrofia · 1 year
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Mattino
di scura ovatta;
prendo la medicina
e scivolo giù dal nero,
con un sorriso.
I.S.A.
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contro-futuro · 1 year
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Di libri, cultura, turismo di massa e letture nel “Bel Paese”
Per quel che ci riguarda, siamo cresciuti con dei genitori che hanno tentato invano di spegnerci la Playstation e metterci in mano qualche libro di Calvino o di Jules Verne. Volevano che leggessimo, quei pazzi. A quei tempi eravamo ancora sani di mente e ci facevano schifo i libri, perché ci ricordavano la scuola, le istituzioni, le regole, la pazienza, e credevamo che ci arricchissero, che avessero una qualche utilità morale, che ci rendessero persone migliori: questa è l’impalcatura retorica che ha costruito l’industria culturale per venderti la sua paccottiglia letteraria. Ma in piena pubertà tutto ciò che ti fa bene ti ripugna, la scuola è una prigione e tu vorresti soltanto dilapidarti invece di arricchirti, fare del tuo corpo una macchina da scontro. Scontrarti con qualsiasi cosa, sentire che suono fa la vita quanto ti sbatte addosso e sei indifeso. E quando non si poteva uscire in strada, Call of duty era meglio dei libri come simulazione. Almeno era quello che credevamo, fortunatamente. Perché poi, più tardi, i libri li abbiamo scoperti sul serio. La pubertà era finita e ormai ci inoltravamo nell’età adulta schivando parecchie letture scolastiche. Ma è stato durante un Natale qualunque, in una di quelle giornate di pioggia dove l’ottundimento che segue alle feste ti ovatta il cervello e le ore sembrano non passare più e non hai voglia di uscire né di guardare un film. È stato allora che abbiamo preso in mano un libro in totale autonomia, disinteressatamente, per la prima volta. Che ci sarà poi di speciale in questi libri? Ci sediamo e cominciamo a sfogliare, poi a leggere, poi ci finiamo dentro, come storditi. Ma che roba è questa? Si apre una porta dentro di noi. Il nostro orizzonte interiore scala di qualche centimetro. C’è più spazio adesso, ci sono più parole, ci sono più mondi, c’è più vita della vita e non si torna più indietro. Se quella porta si apre, se una frase scritta bene è la chiave per la tua serratura, allora è finita. I confini della nostra coscienza cominciano ad espandersi. Sensazione strana, assurda, mai provata prima, quando eravamo costretti nel nostro monolocale, arredato solo da ciò che era immediatamente visibile. Tra gli slogan di Feltrinelli ce n’è uno ispirato a una frase di Umberto Eco: chi non legge vive solo la propria vita, chi legge invece ne vive mille. Quelli di Feltrinelli pensano sia uno slogan carino, lo mettono sui segnalibri, sulle shopper. Gli psichiatri, invece, la chiamano schizofrenia. Nonostante gli operatori del settore culturale, editori, giornalisti, direttori di fiere e festival, caporedattori, critici, editor e via discorrendo, (e i nostri genitori a fare da eco) incentivino i giovani a leggere - convinti che la lettura sia edificante - in realtà non hanno capito che questa attività può degenerare in patologia, portare a disforie mentali, indurre ad allucinazioni, come una droga. Oltre a essere una condotta anti-sociale al massimo (se la Playstation è un’attività che si può svolgere al plurale, leggere si fa sempre al singolare), la lettura è anche pericolosa, la cultura in generale è pericolosa, e oltre ad aver prodotto capolavori assoluti e grandi e lodevoli imprese, ha generato spesso conflitti e catastrofi. È in nome dei libri sacri, come la Torah, la Bibbia o il Corano, che si sono innalzate le chiese più belle ma anche indetti i peggiori massacri della storia. H1tler aveva 16.000 volumi nella sua biblioteca - chissà che l’Istat non lo consideri un lettore forte. Il Manifesto di Marx e Engels, per citare l’esempio più celebre, ha causato rivolte e rivoluzioni. La lettura è una roba da spostati, da deviati mentali. La letteratura stessa ne dà prova. Il Don Chisciotte, infatti, impazzisce per le troppe ore passate sui libri, l’amore folle nutrito dal giovane Werther è alimentato dalle letture dei Canti di Ossian, Madame Bovary viene colpita dal male dell’immaginazione dopo aver passato l’adolescenza tra romanzi dozzinali. Eppure, gli operatori editoriali mettono cuscini, gattine e tisane tra noi e la lettura, conferiscono una qualche utilità morale all’oggetto libro, disinnescando tutto il potenziale eversivo della parola e della cultura in generale. Il Ministero del Turismo con la sua nuova e raccapricciante campagna ideata dal team della Santanché, “Open to meraviglia” è la massima apologia di questa retorica quando apparecchia questa festa di vuoti cliché, riducendo l’Italia all’idea che ne ha un americano medio, banalizzando una storia millenaria. Con quale disinvoltura invitiamo milioni di persone a visitare Chiese dove venivano battezzati uomini pronti a partire per le Crociate in Terra Santa a perpetuare uno sterminio, o a fotografare anfiteatri dove migliaia di schiavi sono stati sbranati da leoni per il puro divertimento della folla? Tutta l’iconografia medievale e rinascimentale che decantiamo e di cui il MT fa il suo core business, ha come temi principali la morte del Cristo, i dolori della Madonna addolorata, la vita degli apostoli e dei santi, spesso morti atrocemente - scuoiati, messi al rogo, sgozzati - e noi scattiamo selfie sullo sfondo di affreschi che immortalano omicidi di tutti i tipi, fratricidi, matricidi, parricidi, convinti che tutto ciò sia in qualche modo educativo. Confondendo la cultura con la bellezza, limitando ogni opera a muta testimonianza del passato, facendo della lettura solo un’attività ricreativa, annientiamo tutta la potenza sovversiva di queste dimensioni. Se diventano edificanti, vuol dire che non ci parlano più, se non riusciamo a inginocchiarci e a piangere di fronte a un cristo di Mantegna, se finito di leggere Dostojevskij non vorremo anche noi uccidere una vecchia ma invece lasciamo una recensione su Amazon, uscendone migliorati, compiaciuti, come se avessimo spuntato in agenda anche questa esperienza fatta, allora la cultura è già villeggiatura, una passeggiata domenicale da fare in ciabatte, un passatempo rilassante, consigliato dal medico o dallo psicologo, puro intrattenimento, riduzione a quello spettacolo che per Debord rappresenta “il brutto sogno della società moderna incatenata, che infine non esprime altro che il suo desiderio di dormire”. Leggere, invece, è un'attività che radicalizza, leggere può far diventare pazzi, leggere porta a compiere anche azioni riprovevoli, leggere non fa bene, non ci migliora, non ci edifica ma ci annienta, può mandare all’aria un’esistenza, può farci innamorare o disamorare, con tutte le sofferenze che questo comporta, può farci partire o restare, creare mondi e distruggerne di altri, può farci vivere da santi o peccatori, e sopprimere una di queste alternative vuol dire mutilare il nostro modo di essere nel mondo, privandoci di vedere il male che c’è nel bene e il bene che c’è nel male. Tutto questo siluro per dire che il potere, così come è sempre accaduto nella storia, dovrebbe temere la cultura e aver paura di chi legge. Mentre noi abbiamo uno Stato, con tutto il suo apparato culturale, che incentiva la lettura. Se lo fa, vuol dire che la parola non ha più peso, che le ideologie sono morte, che non si può più agire sulla realtà e che tutto è già deciso altrove, da una megamacchina tecno-burocratica a cui abbiamo appaltato ogni scelta, e che ha come unico scopo quello di riprodurre se stessa. Noi vorremmo che la parola tornasse ad avere quel peso, quel potere afrodisiaco su individui e collettività, la capacità di modificare destini, di far sollevare i popoli, inaugurare rivoluzioni - senza cui il mondo diventerà uno spazio piatto e indistinto, igienizzato e bonificato dalla dimensione tragica dell’esistenza, dove leggeremo libri scritti da ChatGPT, cercando di capire perché non proviamo più niente.
GOG edizioni https://www.gogedizioni.it/
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danilacobain · 1 year
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Selvatica - 26. Troppo tardi
A Milanello era esplosa la primavera. L'aria era dolce e gli alberi iniziavano a colorarsi di fiori. Ante entrò negli spogliatoi col cuore carico come i rami pronti a sbocciare da un momento all'altro.
Ci aveva provato a non pensare a lei tutta la notte, a cercare di dormire. Corinna gli era piaciuta fin dal primo momento, ma le cose cominciano a farsi serie e complicate, e ormai quello che avevano fatto segnava un punto di non ritorno. Si erano mischiati la pelle, gli umori. Si era perso tra le gambe e nel calore profumato del corpo di Corinna, così vulnerabile e vera mentre raggiungeva l'orgasmo abbandonata tra le sue braccia.
Corinna era un enigma che non voleva lasciare irrisolto. Cosa le stava succedendo? Perché aveva sentito il bisogno di raccontargli quella stronzata? E quel taglio sul viso, gli occhi spenti... l'aveva sentita tremare quando in strada gli si era accoccolata tra le braccia.
«Che hai? Non hai dormito?»
Ante sollevò la testa che aveva accasciato tra le mani. Rade si era seduto accanto a lui, rilassato e sorridente. «Non molto.»
«Come mai?»
«Ragazzi, forza» Zlatan Ibrahimovic batté le mani per richiamare l'attenzione del gruppo. «Vi voglio belli carichi. Domani è una partita importantissima e non ammetto distrazioni.»
I pensieri lo avevano talmente assorbito che non si era accorto che erano arrivati tutti i suoi compagni. Ante scosse la testa in direzione dell'amico. Zlatan aveva ragione, non potevano permettersi distrazioni e lui doveva lasciare tutti i pensieri su Corinna fuori da quello spogliatoio, fuori dalla squadra.
Ma era difficile, soprattutto quella mattina, con le immagini di quello che avevano fatto che non volevano lasciare la sua testa e più si immergeva nel lavoro fisico, più il sangue pompava forte e i muscoli gli dolevano, più si sentiva eccitato. Svolse tutto l'allenamento a intensità massima e alla fine si fiondò esausto nelle docce. Sui volti dei compagni leggeva determinazione e concentrazione, voglia di stare insieme e di realizzare qualcosa di bello. Si lasciò andare, immergendosi in quell'atmosfera serena e felice, richiudendo buona parte del suo cervello in uno spesso strato di ovatta.
«Dov'eri ieri sera? Ti ho chiamato e non mi hai risposto.» Mario Mandzukic si avvicinò e prese posto accanto a lui in mensa. In quei giorni stava svolgendo un lavoro differenziato rispetto al resto del gruppo ed era la prima volta che si incrociavano.
«Ero a casa di Corinna.»
«Da quando ti stai vedendo con questa ragazza ti sei dimenticato degli amici» scherzò Mario, dandogli una piccola spinta con la spalla.
«Non mi sono dimenticato degli amici, si è fatto tardi.» In realtà aveva ignorato diverse chiamate la sera prima.
«Ho capito, non ti preoccupare, stavate facendo sesso. Fate sul serio, quindi? Ormai è qualche settimana che vi vedete, in genere tu non resisti più di due o tre giorni.»
Ante deviò lo sguardo. Corinna lo eccitava e lo faceva incazzare in egual misura. Lo attirava con il suo corpo, con il suo sorriso, con la sua naturalezza e lo respingeva con i suoi segreti e il muro che ergeva quando provava a capire di più. Non potevano fare le cose sul serio. Non potevano andare da nessuna parte. Strinse la forchetta, sentendo l'acciaio premere sulla pelle. Non poteva nemmeno considerarla una storiella da quattro soldi. Ante era troppo coinvolto, provava emozioni che non aveva mai provato prima.
«C'è qualcosa che non va?» chiese Mario, dopo aver osservato la sua reazione. Forse era la persona che lo conosceva meglio di tutti ed era anche quello che meno si faceva gli affari propri.
«L'ho vista con un altro.» sbottò. Lanciò un rapido sguardo intorno ma tanto nessuno li capiva quando parlavano nella loro lingua.
Mario si bloccò con la mano sulla bottiglia dell'acqua, le sopracciglia schizzarono in alto. «Però... sembrava così carina e dolce. Soprattutto sembrava presa da te. Quindi avete rotto?»
Ante scosse la testa. «No, non si tratta di questo. Mi ha detto che è l'ex della sua amica e io le credo. Tra l'altro lui l'ha accompagnata sotto casa ma non l'ha abbracciata né baciata e si è tenuto sempre a distanza. Però lei mi nasconde qualcosa. Aveva una ferita sul viso e ha detto che se l'era fatta al lavoro. Allora perché non l'ha medicata lì, perché se ne è andata in giro con quella macchia di sangue sul viso?»
«Ok, fermati un attimo. Che vuol dire che aveva una ferita?»
Ante si toccò sul punto dove aveva medicato Corinna la sera prima «Un taglietto, niente di serio.»
«E tu credi che se lo sia fatto da qualche altra parte?»
«Sicuro! Ma non mi dice niente... Non voglio intromettermi nella sua vita se lei non vuole aprirsi con me. Il fatto è che mi piace parecchio, mi fa stare bene averla vicino.»
«È come se ti tenesse fuori da una parte della sua vita.»
«Proprio così.»
«Magari le serve solo un po' di tempo, magari in passato ha sofferto e ora non si fida... lo sai come sono le ragazze. Però secondo me dovresti dirglielo, soprattutto se non ti fa vivere bene questa relazione.»
«Questa ragazza porta guai. Tiratene fuori prima che sia troppo tardi.» Ante si voltò verso Rade, che nel frattempo aveva ascoltato tutta la conversazione in silenzio.
«È già troppo tardi.» sussurrò.
L'idea di lasciarla andare, di non rivederla più non gli piaceva affatto. Ora che l'aveva assaggiata ne voleva di più, voleva scoprirla tutta. Si alzò, lasciando il piatto intonso sul tavolo.
«Vado a chiamarla.»
La mattina si erano scambiati solo dei messaggi di buongiorno e tutto quel parlare di lei gli aveva fatto venire voglia di abbracciarla forte e restare così per un tempo indefinito. Corinna aveva appena finito di lavorare e dalla voce sembrava felice, sembrava stare meglio.
«Ante, ma dove posso vedere la partita? Io non ne ho idea» chiese lei, dopo le solite, stupide chiacchiere.
Lui sorrise e si appoggiò con la schiena al muro dell'edificio «Chiedilo al fidanzato della tua amica.»
Corinna ridacchiò nervosamente. «Dai Ante! Se non me lo dici non potrò vederti.»
«Sai che forse non gioco nemmeno?»
«No, ma come... io ero già pronta a farmi dedicare qualche gol. Davvero non giochi?»
«Stavo scherzando. Però sappi che non ti dedico un bel niente.»
Ci fu un attimo di pausa. Ante non voleva che ci rimanesse male, voleva solo che sapesse che per lui non era tutto risolto.
«Non fa niente, ti guarderò lo stesso» rispose poi.
«Ehi, stellina...»
«Dimmi.»
«Ho ancora negli occhi quello che abbiamo fatto ieri sera.»
Un altro silenzio, questa volta meno lungo del precedente. «Anche io.»
«Appena torno sarai di nuovo mia.»
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nonlodireanessuno · 17 days
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A volte anche se sono felice vorrei solo scomparire per far andare via quest’ansia che ovatta ogni sorriso qualunque bacio o giorno bello
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lamilanomagazine · 2 months
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Napoli, un macabro album fotografico per ricordare i colpi ricevuti dal suo ex: donna picchiata, vomita e sviene. I Carabinieri arrestano il suo aggressore
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Napoli, un macabro album fotografico per ricordare i colpi ricevuti dal suo ex: donna picchiata, vomita e sviene. I Carabinieri arrestano il suo aggressore. Sono le pareti domestiche le prime testimoni dei tormenti di una famiglia, ovatta che assorbe grida, timori, recriminazioni. E' nel calore della casa che le violenze assumono il loro alibi migliore, come se quel cemento potesse contenerle e in qualche modo attutirle. Spesso l'impermeabilità di quelle pareti basta e avanza, è sufficiente a lasciare le vessazioni un affare di famiglia. Un disagio da nascondere davanti agli altri, una faccenda "personale" in cui non bisogna immischiarsi. Lo dimostra la riluttanza nelle denunce, quel riserbo che solo la prevaricazione può trasformare in quel pudore ingiustificato contro cui i Carabinieri lottano ogni giorno. Le pareti di questa storia sono quelle di un appartamento dei Colli Aminei, un quartiere bene e vitale della città di Napoli. E se potessero parlare racconterebbero di una donna vittima di violenza e di un uomo troppo legato alla gelosia per lasciar parlare le labbra piuttosto che le mani. Racconterebbero di un catalogo dell'orrore lungo 365 giorni, un campionario di violenze raccolte in un cd. Foto dei colpi, dei lividi indelebili anche quando riassorbiti dal corpo. Uno scatto per ogni reazione del compagno, macabro album dei ricordi del 2023. A raccogliere anche questa testimonianza digitale i carabinieri della stazione di Capodimonte, nella "stanza tutta per sé". E' notte e il 112 registra l'ennesima richiesta di aiuto. Una donna è stata vittima del suo ex, picchiata selvaggiamente. Non un episodio sporadico ma il culmine di una relazione contaminata dalla gelosia, fatta di alti e bassi, di addii e di ritorni. I carabinieri hanno raggiunto la vittima in casa. Era pesta. Sanguinante. Il suo ex ha tentato un nuovo avvicinamento, convinto che quella relazione avesse ancora molto da esprimere. Di parere contrario la donna. La volontà di riallacciare il rapporto non era altro che un nuovo prologo a violenze sempre crescenti. Erano andati a cena insieme, lei certa di poter essere una buona amica, lui di poter essere qualcosa in più ancora una volta. Poi la preghiera di tornare insieme e il no. Poi la violenza. L'uomo l'ha seguita fino a casa, lei lo ha lasciato entrare per evitare scenate in pubblico. Al rumore della porta chiusa si è sovrapposto quelle delle botte. Calci, pugni senza pietà. La donna ha vomitato ed è svenuta. Testimone sua madre, in casa nell'istante in cui la figlia è stata picchiata. Ha provato a scollarla dalle mani del suo ex ma non ci è riuscita. I carabinieri arriveranno poco dopo e accompagneranno la vittima in ospedale. 40 i giorni di prognosi prescritti. L'aggressore è stato arrestato per maltrattamenti e atti persecutori ed è ora in carcere, in attesa di giudizio. Nel fascicolo confluiranno anche le terribili immagini scattate dalla vittima dopo ogni pestaggio.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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mynameis-gloria · 1 year
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Cade scrosciante la pioggia, che sembra non volersi fermare. A letto mi piace, ovatta i pensieri che realizzo, creo, immagino; un corpo al mio fianco, che mi scaldi e faccia fremere la pelle, che lasci scorrere le dita tra i capelli ed i miei occhi si chiudano lentamente.
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mariaceciliacamozzi · 3 months
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Indossare un kimono, se non si è giapponesi, è appropriazione culturale?
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Una delle esperienze che spesso viene proposta ad un turista in Giappone, è quella di sottoporsi alla vestizione con i kimono per poi girare per le città a fare foto ricordo. In questo caso generalmente la cosa non è considerata un’appropriazione culturale, dato che è un servizio offerto dai giapponesi agli stranieri. I kimono usati sono sempre originali e fatti indossare nella maniera corretta da persone esperte nel farlo. Quindi il fatto che la cosa sia giusta o sbagliata dipende dalle circostanze in cui avviene e come. C’è una linea sottile che divide l’appropriazione culturale e l’apprezzamento culturale.
In molti luoghi di tutto il mondo, puoi vedere dei kimono venduti o affittati con l’intenzione sbagliata. Ad esempio come vestiti di Carnevale, Halloween o cosplay in generale. Non solo questo può essere considerato irrispettoso nei confronti della cultura giapponese tradizionale, ma suggerisce anche che il kimono per qualcuno che ignora la cultura nipponica è considerato una pagliacciata.
Altro modo offensivo di indossare un kimono è farlo in modo sessualizzato. Metterlo troppo corto, troppo stretto, troppo aperto sul davanti o sulla schiena per le donne, con conseguente atteggiamento sbagliato nel portarlo, lo fa associare inevitabilmente alla professione della Geisha. Che però in realtà non ha nulla a che vedere con il sesso. La Geisha è un’artista dell’intrattenimento, della conversazione, una musicista e una danzatrice. Ma non una prostituta.
La diffusione del kimono fuori dal Giappone
Il kimono è storicamente considerato un indumento quotidiano in Giappone. Non ha un particolare significato religioso o cerimoniale. Fu introdotto nel resto del mondo dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, i primi occidentali in assoluto che visitarono il Giappone nel 1609. Come dono di benvenuto, venne regalato loro un > kimono di seta dai colori vivaci e splendidamente decorato. Suscitando scalpore e meraviglia in patria quando gli olandesi lo portarono a casa dal primo viaggio.
In seguito la Compagnia delle Indie, facendo avanti e indietro nel paese, iniziò a commissionare varie versioni di kimono agli artigiani giapponesi. Questi aggiungevano a volte della spessa ovatta e maniche adattate ai gusti olandesi del tempo. Ben presto, lo stile innovativo di questi kimono fu replicato anche dai sarti europei in quanto erano uno status symbol per il periodo. Le persone che li indossavano manifestavano una prestigiosa connessione internazionale. Questa ‘moda‘ ha fatto scaturire una vera e propria mania anche per altri beni artistici giapponesi come porcellane, stampe e oggettistica varia. Tutto questo rappresentava la nascita del gusto per l’esotismo, la novità dell’epoca. Da quel momento in poi i kimono in particolare, divennero un importante capo di abbigliamento per le donne europee.
Negli ultimi due secoli poi, gli stilisti di tutto il mondo si sono ispirati al kimono giapponese. Da Christian Dior ad Alexander McQueen, in molti hanno attinto al suo stile con l’idea di esaltarlo, non di appropriarsene. Tuttavia, nel corso degli anni, ci sono stati molti designer e marchi che non hanno fatto lo stesso. La moda occidentale ha iniziato ad incorporare il kimono nelle collezioni. Questo interesse ha anche fatto rifiorire l’industria giapponese del kimono che, dopo l’arrivo dell’abbigliamento occidentale, si sta tutt’ora perdendo. Al giorno d’oggi è difficile vedere dei giapponesi in kimono nella vita di tutti i giorni. Lo usano solo gli anziani e in occasione di ricorrenze nazionali e cerimonie. Oltre alle Geishe, che però si possono scorgere ormai solo a tarda sera nella città di Kyoto.
Come capire quando il kimono è appropriazione culturale
Storicamente, il kimono faceva parte dell’abbigliamento quotidiano in Giappone, non era un capo ‘alla moda’. Tutti lo indossavano, maschi e femmine, ricchi e poveri. Cambiava solo la ricchezza dei decori e dei tessuti. I giapponesi ovviamente sono entusiasti che la loro cultura sia apprezzata in tutto il mondo. Ma prima di indossare un kimono a caso, si dovrebbe considerare il motivo per cui si vuole farlo. E’ perché siamo interessati al Giappone e alle sue tradizioni? Se la risposta è affermativa e siamo incuriositi da questo paese, dalla sua storia e cultura, allora questo è apprezzamento culturale ed indossare un kimono è una cosa positiva.
Se al contrario si indossa un kimono per divertimento o per scherzo ignorando tutto, allora si sta potenzialmente prendendo parte ad una appropriazione culturale. Anche se si acquista un kimono da aziende che ne traggono profitto senza riconoscere o accreditare la cultura giapponese, è lo stesso. I veri kimono sono opere d’arte pregiate e costose. Molti marchi di abbigliamento vendono capi definiti ‘kimono‘ ma che sono in realtà delle vestagliette che non si avvicinano nemmeno agli yukata, ovvero la versione di cotone estiva di un kimono.
I giapponesi quando vedono un occidentale in kimono, solitamente gli fanno dei gran complimenti. Se si è in Giappone e si esprime il desiderio di indossarne uno, saranno disposti ad aiutarci a farlo. E’ molto improbabile che si offendano o si preoccupino per la cosa. Finché c’è rispetto e curiosità, indossare un kimono non è considerato appropriazione culturale. Se invece viene fatto con spregio, come una buffonata e senza interesse per la cultura che c’è dietro, allora è appropriazione culturale. Quindi niente maschere da Geisha a Carnevale se non sapete la differenza tra questa e una Oiran, per fare un esempio.
ENRICA BILLI
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