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#sarà dipingere
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Da: SARA' DIPINGERE - di Gianpiero Menniti
LA RICERCA
[...] Ancora una domanda: perché proprio la pittura dovrebbe possedere una capacità così straordinaria di conferire statuto ontologico alla propria espressione materiale? Perché non può esserlo un’opera plastica, un’installazione, un’opera di “Land Art” o una Performance? La risposta è già nella domanda: la pittura non possiede un primato. Ma agisce entro la stessa matrice. È ancora, alla pari degli altri modelli espressivi, in grado di suscitare l’emozione della ricerca. Si pensi a Marc Rothko, soprattutto alla Rothko Chapel di Huston e ai grandi dipinti neri che contiene. Quale altra forma di espressione può rivelarsi con quella forza? E attingere a immagini così cariche di un’allusione visibile all’invisibile? Su queste basi nasce il mio viaggio nella creatività pittorica contemporanea. Un viaggio che, inevitabilmente, deve possedere gli occhi di ogni singolo artista, di un singolo artista capace di rivelare la natura inconscia dell’opera. Il critico, in questo senso, è un muto spettatore dell’atto creativo drammatico che si compie sul più antico dei supporti, con il più estremo degli obiettivi: trascendersi per rivelarsi. E nel rivelarsi, rivelare. E quel “rivelarsi” altro non è che lo svelarsi di una sensibilità-realtà vissuta e incarnata dal medium della tela: l’artista stesso, in quanto epigono di una voce muta che lo trascende imprimendosi tra le mille corse del pennello. Per farmi “spettatore”, ho scelto una pittrice ingiustamente lasciata ai margini dalla critica, nonostante presenze numerose, sempre premiate, a vari concorsi e due personali che ne hanno posto in luce il valore, nel 1994 e più recentemente nel 2015. Mi riferisco all’italiana Maria Casalanguida, forse una delle più sublimi nella ricerca, inconsciamente agostiniana, di quella traccia di trascendenza interna che rivela il volto dell’anima e il colore dell’abisso. Il viaggio, a questo punto, può cominciare.
- Maria Casalanguida: "Palazzo Ducale, Venezia", 1975, collezione privata - In copertina: Maria Casalanguida, "Nulla dies sine linea", 2010, collezione privata
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sofysta · 1 month
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Gala.
Elena Ivanovna Diakonova (1894-1982), moglie del poeta Paul Eluard, conosciuta nel 1929, fu la prima amante e poi moglie di Salvador Dalí 1904-1989, il pittore spagnolo degli "orologi molli"e delle "giraffe in fiamme".
L'incontro con la moglie di Eluard, Gala, sarà folgorante tanto che, nell'estate dello stesso anno la conduce nella sua terra natale per dichiararle il suo amore.
L’irruzione di Gala nella vita di Dalí segna profondamente l’opera e l’esistenza del grande artista spagnolo divenendo la sua modella e la sua musa ispiratrice, una musa ambigua, una figura assai discussa per la nefasta influenza esercitata sul giovane Dalí, oggetto di feroci critiche da parte degli amici di Lui.
Nelle opere di Dalí, essa si guadagnò una posizione centrale nel pantheon delle più grandi e paradossali passioni d'amore che il mondo abbia mai visto.
Salvador Dalí smise di dipingere nel 1982, subito dopo la morte della moglie, la russa Gala, musa e modella, e poi compagna della sua vita e delle sue alterne fortune, la cui scomparsa nel 1982, provocò il declino fisico e spirituale del pittore catalano.
Muore Gala, Dalí si trasferisce a Púbol, dove viene nominato marchese dal Re Juan Carlo I; dopo la scomparsa di Gala, le sue condizioni di salute si aggravano, d'ora in poi condurrà una vita di isolamento.
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canesenzafissadimora · 11 months
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Leggetela tutta con calma
“Ricordatevi che uno strato di polvere protegge i mobili...
Una casa è più bella se si può scrivere "ti amo" sulla polvere sul mobilio.
Io lavoravo 8 ore ogni fine settimana per rendere tutto perfetto, "nel caso venisse qualcuno".
Alla fine ho capito che "non veniva nessuno",
perché tutti vivevano la loro vita passandosela bene !!
Ora, se viene qualcuno, non ho bisogno di spiegare in che condizione è la casa: sono più interessati ad ascoltare le cose interessanti che ho fatto per vivere la mia vita.
Caso mai non te ne fossi accorta... la vita è breve, goditela!
Fa pulizia, se è necessario...
Ma sarebbe meglio dipingere un quadro, scrivere una lettera, preparare un dolce, seminare una pianta, oppure pensare alla differenza tra i verbi "volere" e "dovere".
Fa pulizia, se è necessario, ma il tempo è poco...
Ci sono tante spiagge e mari per nuotare, monti da scalare, fiumi da navigare, una birretta da bere, musica da ascoltare, libri da leggere, amici da amare e la vita da vivere.
Fa' pulizia, se è necessario, ma...
C'è il mondo là fuori: il sole sulla faccia, il vento nei capelli, la neve che cade, uno scroscio di pioggia...
Questo giorno non torna indietro...
Fa pulizia, se è necessario, ma...
Ricorda che la vecchiaia arriverà e non sarà più come adesso...
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mynameis-gloria · 2 months
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It's good to retreat into your own world if that's what you need
Sta sera, camminando nel chiarore della giornata oramai finita. Un lunedì concluso, passato tra pensieri malinconici e pensieri che sembrano miele. E li sento correre sulla pelle. Ispirata per dipingere ancora, così ho trascorso metà del pomeriggio. Un nuovo quadretto, la musica che riempiva la stanza e la mente che si liberava. La mia voce sta tornando pian piano, in questi giorni mi sento strana. Carica di sentimenti ed emozioni che non so se son capace di gestire. Sarà la primavera, sarà questo caldo scoppiato o sarà che grazie a questa chiusura forzata, stia ritrovando parti di me che avevo messo da parte da tempo per la solita routine giornaliera. Il mio corpo sente così tanto.
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chouncazzodicasino · 4 months
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Ciao CUCDS, secondo te è possibile verniciare un armadio? Mi spiego, ho in camera un armadio enorme che era dei miei nonni, struttura solida, prende tutta una parete, comodissimo, però è davvero imponente, di 1legno scurissimo non so dirti che legno. Io e la mia compagna vorremmo rimodernarlo noi (manualità zero) per una questione economica. È una mission impossible e devo sentire dei professionisti? Si potrebbe fare?
Ciao, partendo dal presupposto che "manualità zero" non è un buon punto di partenza per fare lavori manuali, in teoria sì, ce la potete fare. Direi anche tranquillamente, ma non è vero perché se hai manualità zero non è una cosa tranquilla. Armatevi di pazienza e tempo. Gli armadi di un tempo erano molto più resistenti di quelli che abitualmente utilizziamo oggi quindi se avete la possibilità di rimodernare quello, soprattutto se come dici è comodo e grande (magari un su misura), io mi impegnerei per ricolorarlo di un colore chiaro e luminoso. Di base, non conoscendo la struttura (se vuoi puoi mandarmi delle foto), il procedimento per ripitturarlo è: - Sgrassare tutte le superfici che dovete pitturare: parliamo ovviamente delle superfici esterne perché se potete evitatevi l'interno, altrimenti anche l'interno, con sgrassatore, acqua e pezza. - Se ad ante chiuse sono visibili i montanti io vi consiglierei di smontare le ante e pitturarle separatamente, in modo da essere più precisi, sennò ciccia. - Una volta sgrassate le superfici date una leggera carteggiata con della carta vetrata sottile su tutte le superfici che volete dipingere. Può non sembrare un procedimento importante ma lo è. Poi con una pezza pulita pulite e togliete la polverina che si è creata. - Ora che è scartavetrato e pulito con lo scotch di carta coprite eventuali pomelli, cerniere, clip, bordi interni (così viene ben rifinito dove volete pitturare e dove no), maniglie, insomma tutte le cose che non vanno pitturate. - Prima mano: PRIMER. Soprattutto se non sapete cosa c'è sotto. Primer all'acqua su tutte le superfici che volete pitturare, dato con pennello sui bordi e il resto con un rullo piccolo, molto più comodo e veloce del pennello e non restano le pennellate, oppure andate di pennello se preferite. - Una volta asciugato il primer (aspettare sempre religiosamente i tempi di asciugatura) mano di smalto ad acqua del colore e della finitura che preferite. Anche qui pennello bordi e rullo o pennello, o solo pennello, insomma come vi pare. - NB. Lavare sempre i rulli e i pennelli appena avete fatto ogni mano di pittura altrimenti li buttate. - Poi di nuovo mano di smalto dopo che ha asciugato. - Poi nuovamente mano di smalto. - E se serve una mano ulteriore di smalto*. - Quando le mani di smalto vi hanno soddisfatti, togliete delicatamente lo scotch di carta aiutandovi con un taglierino dove ci avete fatto finire sopra la pittura, perché di sicuro ci sarà finita sopra e dopo il culo che vi siete fatti ci manca che tirate lo scotch male e viene via un pezzo di pittura. - Se serve pennellino piccolo da pittura per ritoccare varie sbeccature. - Et voilà, avete un armadio "nuovo"
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*Le mani di smalto le dovete decidere in base a quanto copre il prodotto che date, ma minimo 2. No, non è vero facciamo minimo 3.
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diceriadelluntore · 10 months
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Storia Di Musica #291 - Deacon Blue, Raintown, 1987
Lo spunto per le storie settembrine me lo ha dato un aneddoto simpatico sugli Steely Dan, protagonisti dell'ultima storia di Agosto. Una delle loro canzoni più famose, Deacon Blues, da Aja (il loro capolavoro del 1977) fece un viaggio emozionale fino in Scozia, dove un giovane ragazzo si appassionava alla musica, soprattutto a quel pop così sofisticato, pieno di stratificazioni sonore, piccoli gioielli musicali incastonati nelle melodie, e immensa classe esecutiva. Ricky Ross si chiama quel giovane ragazzo, che dopo che a Dundee viene licenziato da professore precario delle scuole secondarie, si trasferisce a Glasgow, dove decidere di mettere su un gruppo. Prima trova il batterista, Dougie Vipond, poi un bravissimo pianista, James Prime, un chitarrista, Graeme Kelling, e una corista, Carol Moore. Le prime esibizioni sono incoraggianti, ma la Moore decide di mettersi da parte. Ross si ricorda che aveva sentito ad un provino, improvvisato in Bath Street, una ragazza che lascia il suo indirizzo, ma non il suo numero di telefono. E la storia vuole che fu lo stesso Ross ad arrivare sulla Great Western Road di Glasgow per chiedere a Lorraine McIntosh di unirsi al gruppo. E c'è la ciliegina sulla torna: durante uno delle prime serata acclamati dal pubblico, Dougie Vipond leggermente brillo incontrò Ewen Vernal, bassista, nel bagno di un locale e gli chiese di unirsi al gruppo. Il nome per la band è quello che Ross ha in testa da anni: Deacon Blue, e siamo nel 1985. Glasgow in quegli anni è una città in piena trasformazione sociale, anche con profonde fratture socio economiche (per farsi un'idea, suggerisco i romanzi di Douglas Stuart) ma dal punto di vista musicale sarà la capitale scozzese della musica. Tanto che un giornalista del Glasgow Herald, John Williamson, decise di produrre una cassetta in allegato alle pagine culturali del giornale con tutte le promesse della musica cittadina di quel periodo: ci sono futuri gruppi e artisti molto famosi come i Wet Wet Wet, Kevin McDermott, Hue and Cry e i Deacon Blue, che contribuiscono con Take The Saints Away.
Dopo questa esperienza, sono pronti ad andare in studio, insieme a Jon Kelly, capo ingegnere del suono agli Air Studios di Londra. Ross ha in mente una sorta di concept album su Glasgow, che ne racconti le sfumature più varie. Raintown, pubblicato nel 1987, si presenta con una meravigliosa foto in bianco e nero di Oscar Marziaroli, italo scozzese futuro acclamato fotografo, che ferma una città avvolta nella perenne pioggerellina con sullo sfondo uno dei simboli della città, la Finnieston Crane, una gigantesca gru portuale, ormai non operativa, simbolo dell'industriosità degli abitanti, proprio all'imbocco del porto cittadino. Dal punto di vista musicale, seppur si parte dall'idea di pop sofisticato del mitico duo da cui prendono il nome, i Deacon Blue mischiano il lirismo vocale e le atmosfere uniche di Van Morrison, un canto-racconto degno del primo Springsteen e un'eleganza che ha una sua totale particolarità. Il disco ha un andamento ondeggiante tra brani calmi e riflessivi e quelli più incalzanti: l'inizio è davvero suggestivo, con Born In The Storm che come una nebbia si dirada e sfuma in Raintown, canzone che è profondamente legata all'esperienza di Ross, con versi che dicono "Waiting for the phone to ring to make me all I am.\You're in the suburbs waiting for somewhere to go\I'm down here working on some dumb show\In a raintown" che raccontano l'inizio di tutta la storia. Ross scrive del rapporto con il business musicale nella bella Ragman e nell'altrettanto suggestiva Loaded, scritta di getto come un flusso di coscienza su una base improvvisata dagli altri componenti della band su una cassetta super 8, ed è capace di dipingere affreschi musicali persino drammatici in abiti delicati e affascinanti. He Looks Like Spencer Tracy Now è ispirata ad un pensiero, a che vita avesse fatto l'uomo che sganciò la bomba atomica su Hiroshima: tra incontri particolari ("he may have been with Oppenheimer, shaken Einstein's hand\Did we have to drop the bomb? You bet, to save this land\He was only taking pictures around the critical mass\While the troops on Tinian island sang 'Follow the bouncing ball') e cosa potrebbe essere oggi (He may have been a nationalist, a physicist or a pacifist (...) Well, I have seen that movie of Dr. Jeckyll and Mr. Hyde\And I know he looks like Spencer Tracy Now). When Will You (Make My Telephone Ring) ha ai cori il famoso gruppo R&B londinese dei Londonbeat. Alto livello è anche Chocolate Girl, che racconta di un tipo anaffettivo, un certo Alan, ricco e spendaccione, "He calls her the chocolate girl\Cause he thinks she melts when he touches her\She knows she's the chocolate girl\Cause she's broken up and swallowed\And wrapped in bits of silver". Ma il capoavoro è Dignity: ritratto di quello spirito scozzese della dignità del lavoro, racconta la storia di un impiegato comunale, probabilmente uno che lavora sulle strade, e che non perde il sorriso nemmeno quando è preso in giro dal ragazzini e che ha un sogno, comprare un gommone, un dinghy, che vuole chiamare Dignity, con cui "I'll sail her up the west coast\Through villages and towns\I'll be on my holidays\They'll be doing their rounds\They'll ask me how I got her I'll say, "I saved my money"\They'll say, "Isn't she pretty? That ship called Dignity". In Love's Great Fears, liricissima e tutta giocata sul duetto Ross - McIntosh, che diventeranno marito e moglie poco tempo dopo, c'è Chris Rea alla chitarra.
Il disco, per le qualità musicali, per la scelta azzeccata dei singoli e per la sua atmosfera sofisticata, che quasi inventerà un genere, ha un successo clamoroso: arriva fino al numero 14 nella classifica dei dischi più venduti, rimane in classifica un anno e mezzo e vende oltre un milione di copie. La band continuerà a scrivere belle cose, e il successivo When The World Knows Your Name del 1989 arriva persino al numero 1 in UK e contiene la loro canzone più famosa, Real Gone Kid, facendo divenire sogno il successo che un ragazzo scozzese aveva immaginato sentendo una canzone, Deacon Blues, che parla di nerds and losers, secondo le famose parole di commento di Donald Fagen. Dedicherò il mese di settembre a gruppi scozzese degli anni '80, che è un periodo storico e una zona geografica che ha regalato cosine niente affatto male alla storia della musica.
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occhietti · 2 years
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Finché ci sarà l'autunno,
non avrò abbastanza mani,
tele e colori
per dipingere
la bellezza che vedo.
- Vincent Van Gogh
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casual-nonbinary · 7 months
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sugli altri social mi sono espressa molto di più a livello politico ultimamente, dalla palestina all'omicidio di giulia. inutile dire che a parte l'impotenza che qualcunə può provare, quello che faccio ora come ora e ricondividere voci più autorevoli in materia.
la mia unica "opinione" è stato riportare lo schifo letto sui giornali, dalla romanticizzazione di quel coglione di filippo al dipingere chi ha occupato Palazzo Nuovo come antisemita (e solo per essere entrata dentro durante l'occupazione una mia foto alla Digos ci sarà sicuro).
questa rabbia, questo desiderio di rovesciare una narrazione così assetata di spostare l'attenzione sui dettagli più assurdi per non mettere in discussione il sistema, questa voglia di prendere uno a uno giornalisti e personalità dubbie chiamate in tv. si sta tutto incanalando verso, io spero, un nuovo sessantotto.
perché serve davvero una rivoluzione culturale. che sia transfemminista, antifascista e comprenda la intersezionalità delle lotte. i "compagni" che non riconosco questo e poi nelle storie fanno mansplaining possono anche stare zitti.
io mi sono quasi alterata col marito di mia madre per questa narrazione del bravo ragazzo (di sto cazzo). mi altero ogni giorno a difendere la Palestina. mi altero a voler provare ragionare con gente incapace di vedere il marcio nel sistema.
ma forse sono solo troppo impregnata di ideologia, in fondo nella seconda repubblica l'ideologia è morta. "ma forse".
per citare i notav: a sarà düra.
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teredo-navalis · 8 months
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Postando alla luce del sole amoled perché non sarà un capolavoro di tecnica ma è comunque carino e sono contenta di aver finalmente avuto il coraggio per mettermi di nuovo a, se non lo vogliamo chiamare proprio dipingere (ma perché non dovremmo, scusate?), giocare coi colori.
Alla fine c'è tanta di quell'arte contemporanea meh nei musei per cui devi pagare pure il biglietto, posso pubblicare io il mio dipintino sul mio blog personale gratuito, anche se non è un capolavoro (è solo l'inizio!!!! datti tempo!!)
Alla faccia di mia sorella3 che dice "ogni volta che ti vedo sfogarti con cose artistiche mi viene da ridere", e vai a ridere un po' a fanculo, ecco.
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der-papero · 1 year
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Preferisco risponderti con un post, @morbyta, perché per me è importante.
I complimenti (opinabilmente meritati) me li prendo, ovviamente, mica son scemo, e ti ringrazio, ma non è il punto.
Faccio matematica perché è bello, mi diverte, tutto qua. È come per un'altra persona dipingere, cantare, ballare, cucinare, suonare. Quando fai una cosa del genere, e lo fai perché lo senti, non esiste la competizione, esiste solo quella con sé stessi, che per me è più una voglia di giocare che una gara vera e propria, capire di cosa si è capaci, conoscere i propri limiti e metterli in discussione, accettare anche il fatto di non riuscirci, perché potrai sempre riprovarci. Alla fine di qualsiasi esercizio non c'è qualcuno a darmi una pacca sulla spalla (ecco perché approfitto del tuo messaggio 😅), non lo sa nessuno (a parte voi, per via della mia infantile goliardia), però ci sono io, e tanto mi basta. Non esistono gli altri, a meno che non decidano di sedersi accanto a me e giocare insieme, della quale cosa io non potrei che essere più felice.
(Premetto che non mi riferisco al tuo commento) non mi ha mai convinto l'alibi di coloro che mi dicono "eh, ma io non sono bravo come te" (il più delle volte intendono in realtà secchione in modo dispregiativo, ma diciamo che la prendo dal lato buono). E' un po' come se le persone smettessero di correre perché non saranno mai veloci come Bolt. Tu corri perché hai voglia di farlo, lo fai col tuo passo, col tuo tempo, a volte corri, a volte cammini, a volte ti fermi per prendere fiato, e se qualcuno ti supera, lo ignori, nemmeno esiste per te, perché sei concentrata su quello che fai, ci sei solo tu e la strada da percorrere. Ieri non ho fatto altro che mettermi un paio di scarpe di ginnastica e farmi una corsa fuori, senza darmi aspettative, se fossi arrivato in fondo alla strada, avessi fatto il giro del quartiere o avessi ultimato la maratona cittadina, avrei provato esattamente la stessa sensazione di quando torni a casa e ti infili sotto la doccia, ovvero di aver fatto qualcosa per te, da sola.
Non dire che non sei in grado di farlo, perché non ci credo, anche se non ti conosco, ma ne sono convinto. Ci sono persone che non sanno farlo, e quelle che hanno scelto di non saperlo fare, e il limite risiede solo nelle seconde.
Se ti va, fammi una promessa. Quando ti capiterà la prossima volta (non necessariamente in ordine di tempo) di avere davanti un problema, se non sei presa da cose davvero urgenti, prendi una sedia, un foglio di carta, una penna, metti un po' di musica, se la cosa ti piace, pure un bel bicchiere di quello che vuoi, e regalati questo momento, dove sei da sola, con le tue capacità e le tue conoscenze, usa quello che sai, sperimenta, se sbagli ricomincia. Se lo farai, e ti andrà, raccontami anche di come è andata a finire, qualsiasi sarà l'esito, sarebbe la prima volta che accade in vita mia, e diventerebbe un bel ricordo.
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benzedrina · 1 year
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Maggio è volato e sono 6 mesi che sono disoccupato, tipo condizione d'esistenza. Mi sono detto a Gennaio "finisce il dottorato, ti pagheranno 870 di disoccupazione al mese, a maggio ti dottori, sai che c'è? Mi prendo quel famoso periodo sabatico". Sarà che non ci penso ma effettivamente non ho mai avuto un periodo vuoto, libero, senza lavoro. A 12 anni mio padre ha pensato bene di portarmi sul cantiere perché vedermi dormire le mattine d'estate gli dava fastidio. Così fino ai 19. Poi l'università, poi lui che mi chiedeva di fare dalle 6 alle 10 con lui e poi alle 12 prendere il treno per andare a lezione e io che ho sempre avuto problemi ad addormentarmi, vedevo quel periodo come un abisso, la fortuna è che non studiavo e ogni tanto scappavo a casa di altri inventando lezioni che finivano alle 11 di sera. Tanto i miei non ci capiscono molto di scuola. A 21 una litigata storica, scappo dalla mia ex e finisco per conviverci. Finisco triennale e magistrale d'un fiato e per un anno faccio sto tirocinio sottopagato nel lab della tesi. Inizio il dottorato ed eccomi qui. Eppure se mi vedi o se mi ascolti, sembro uno di quelli che cazzeggia pesantemente dalla mattina alla sera.
A fine maggio ho preso il dottorato. Tutti festeggiavano, io sentivo sto peso venir meno. Tutti con parenti, compagni e genitori, io outsider completo in jeans e camicia e 20 minuti di domande stronze su articoli già pubblicati. Boh veramente io al mondo dei ricercatori vorrei dargli tante di quelle pizze in faccia per farli riprendere. Ogni volta vi credete stocazzo. Ogni volta usate la scusa della ricerca per nascondere pessime qualità sociali. Su più di un centinaio di persone conosciute, viste, sentite, si e no sono 3 quelli che vedrei ogni sera. A fine proclamazione ho ricevuto un abbraccio random, era la tizia che aveva il panico nel volto dopo aver sentito le domande rivolte a me. Le ho detto quello che è il mantra "la vergogna passa, l'utile resta". Tra il pubblico c'era quell'ex con cui convivevo. Mi ha detto di trovarmi bene e ha chiesto se ci fossero i miei, è andata via al mio no. La vecchia versione di lei avrebbe commentato l'assenza dei miei affetti cari e avrebbe detto che sono talmente egoista da non voler condividere manco sto momento. Probabile.
Forse tra poco ricomincio a lavorare, di bioinformatici ne è vuoto il mondo, ma la sensazione è quella del lavoro per guadagnare un po' di soldi e vivere più comodo di quei 870 euro. Si ok mi piace, mi applico quando capita, ma non è che sia proprio motivato. Un po' come tutte le cose che faccio. Le faccio ma non ardo per loro, che sia la scrittura, il dipingere, il fare foto. Un po' per quello e un po' per un ristagno che vivo qui, in una città più frenetica forse qualcosa la farei, in qualche progetto mi butterei.
Pensandoci, ho materiale fotografico per almeno 2 mostre personali, o comunque un libro, ho quadri per riempire una galleria, e tutto sta pesantezza malmostosa che ristagna dentro. Manca la voglia ma quello è il waluigi che mi sta in testa e mi rema contro.
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti 
TRACCE DI MONDO
Egon Schiele (1890 - 1918) è uno dei molti artisti banalmente interpretati da una critica “patografica” che riduce la libertà d’espressione a riflesso della psiche. Così, quest’originale e geniale pittore è stato inteso alla luce delle sue presunte turbe di uomo irrisolto, ossessionato dalle pulsioni, immerso in una soggettività patologica. Ha ragione Massimo Recalcati: letta in quest’ottica, l’arte diventa misera cosa. Ma qui, la sua critica a un forzato psicologismo e la sua visione dell’inconscio dell’opera, proposta d’origine lacaniana, non è sufficiente: conduce fino a una soglia e non l’attraversa. Non può varcarla. Scrive Lacan: 
«Il reale è ciò che resiste al potere dell’interpretazione. Il reale non coincide con la realtà poiché la realtà tende a essere il velo che ricopre l’asperità scabrosa – «inemendabile» – del reale.» 
La sensibilità, estrema, di un artista, corrisponde alla sua capacità di scorgere oltre la realtà delle cose: la sua personalità altro non è che l’espressione di un’epoca intrecciata con una storia personale, crogiolo vivente di molteplici fonti, variamente assorbite, costitutive di una dimensione culturale e sentimentale, infine stagliate su una tela. Anche se l’interpretazione artistica fosse cosciente, questo non implica l’emergere di stati profondi nei quali fonti misteriose abbiano messo radici. Scrivo nel mio “Sarà dipingere!”:  
«L’urto lacaniano è un risveglio che tende ad annullare lo scenario artificioso dell’io: questo risveglio non è più una forma che riflette il soggetto ma un apparire concreto e insormontabile che in un tratto di colore o in un oggetto o in un luogo, rifondano la percezione, la svuotano per fare spazio all’imprevedibile.»
Proseguendo, nello stesso testo aggiungo:  
«La parola manca. Ma non all’arte. Che possiede il fragore di un fulmine muto. Non risponde alla domanda. Ma rende “visibile” il “pensabile”. Un pensabile vagheggiato nel processo creativo e che, poi, all’improvviso, appare. Ed ecco la ragione di un inconscio dell’opera che trascende l’autore. Di qui, il motivo per il quale un’opera d’arte, un dipinto, una poesia, è un enigma che non si lascia mai spiegare fino in fondo, ma può solo essere compreso, solo interpretato. Entro un limite invalicabile. Come il punto ombelicale di un sogno che lo stesso Freud volle risarcire di una muta barriera che nessun acume può violare.»
Se tutto questo è vero, allora neanche Schiele, pur conducendo l’osservatore sul culmine della soglia, può accompagnarlo oltre.  Ma lo lascia attonito al cospetto di una visione sostenibile per tracce: “Il cieco”, tela del 1913 (collezione privata) recupera una rappresentazione simbolica di straordinaria inventiva: la figura di un essere umano senza la vista intorno al quale sorge l’immaginario infinito della sua mente, la proiezione di forme create dal tatto, dall’odorato, dal gusto, dall’udito.  Immagini interpretate, vissute come analogia di memorie conservate, intrise di una sensualità più acuta, di una percezione più complessa. Tracce di mondo. Di un mondo nascosto.  Impetuose e tragiche per l’anelito a una visione impossibile. “Il cieco” reclina il capo.  Come ciascuno di noi di fronte alla soglia che ci separa dal mistero.
- In copertina: Maria Casalanguida, “Nulla dies sine linea”, 2010, collezione privata
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canesenzafissadimora · 8 months
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Finché ci sarà l’autunno,
non avrò abbastanza mani,
tele e colori per dipingere
la bellezza che vedo.
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Vincent van Gogh
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be-appy-71 · 7 months
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🔥Vieni...
Dove mi porti?
Ancora non lo so...
Sei buffo...
È così, io non lo so dove ti sto portando,
però so benissimo una cosa:
voglio che tu mi stia accanto.
Voglio camminare sapendo che la tua voce
è qui, e se mi volto ti vedo, e se ti chiamo per nome mi rispondi, e se prendo il tuo volto tra le mani sento il tuo calore e, se mi avvicino, il tuo respiro, le tue emozioni, le sento.
E se chiudi gli occhi io continuo a vederli.
Voglio condividere il tempo,
e se piove ci bagniamo insieme,
e se c'è il sole cerchiamo un posto dove magari sentire meno calore.
E se ci perdiamo,
insieme ritroviamo la strada.
E se discutiamo,
insieme parliamo per fare pace.
Voglio che tu sia qui,
perché se non ci sei...
cavoli mi manchi da impazzire!
Se non ci sei tu non puoi capire quanto pesi questo tempo.
Se non ci sei, che senso ha averti conosciuto?
E poi... e poi tu potresti insegnarmi...
Insegnarti? Insegnarti a fare cosa?
Non lo so, qualunque cosa.
Insomma ci sarà una cosa che non riesco a fare, ci sarà qualcosa che non ho mai pensato di fare.
Pensaci...mi hai insegnato cosa sia il desiderio di volere qualcuno affianco, mi hai insegnato a non poter fare a meno di te.
Cavoli, mi hai insegnato a rincorrere i giorni
pur di vederti.
Mi hai insegnato a gestire la mancanza.
Mi hai insegnato che non esistono limiti.
Mi hai insegnato a credere in quella strada difficile che si era aperta davanti a noi.
Ed ora che ci sei, resta...
Resta qui!
Ecco, insegnami a dipingere.
Dipingere la nostra vita.
Colorarla. Raccontarla.
Cavoli, pensaci...
Già adesso la nostra è una storia bellissima che le favole si metterebbero in fila per accaparrarsi un pezzetto.
Senti com'è bello stringersi...
Un giorno mi scrivesti:
"Ci vediamo a quell'ora di quel giorno".
Dentro di me ho sempre creduto a questo appuntamento nell'aria.
Questo è il giorno dove la mia vita aveva preso appuntamento con la tua.
Nel frattempo mi hai insegnato a non poter fare a meno di te, a cercarti in un sogno, nelle parole.
Mi hai insegnato che l'attesa può rendere i momenti indimenticabili.
E poi?
Shhh... camminiamo insieme.
Vieni...♠️
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Autore sconosciuto
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lunamarish · 8 months
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Finché ci sarà l’autunno, non avrò abbastanza mani, tele e colori per dipingere la bellezza che vedo.
Vincent van Gogh
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thesoulmustbebreath · 8 months
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Domenica 15 ottobre 🍁🍂🌞
Serena giornata a voi 🤗
Lucia💓
Luli ❤️ Lu 💖🌞🌊♾️
Finché ci sarà l’autunno,
non avrò abbastanza mani, tele e colori
per dipingere la bellezza che vedo.
(Vincent Van Gogh)
Foto: https://pin.it/3Axh0xE
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