Tumgik
#scatoloni
mermaidemilystuff · 8 months
Text
Parte di cervello: mmh queste cose iniziano ad essere un po', servirebbe uno scatolone per farle stare tutte.. ah! quello nelle scale è perfetto!
Altra parte di cervello: se fai entrare anche solo un'altra scatola in questa casa io ci ammazzo. io ci ammazzo senza pensarci cinque secondi, la vai a prendere e io ci butto giù per le scale porcoddio
12 notes · View notes
phjlavtia · 1 year
Text
genitori ti diranno devi studiare perché non voglio che tu finisca a fare il lavoro fisicamente massacrante che faccio io e poi si incazzeranno con te e ti insulteranno perché non hai l'efficienza e la forza fisica e la resistenza di una ditta di traslochi e hai bisogno di stenderti ogni tanto e mangiare qualcosa per recuperare le forze
2 notes · View notes
diceriadelluntore · 4 months
Text
Tumblr media
Storia Di Musica #328 - Francesco De Gregori, Titanic, 1982
I dischi che ho scelto il mese di Giugno hanno un valore ancora più personale, e sono legati da un fatto. A metà Maggio per aggiustare due tegole lesionate salendo in soffitta per fare spazio ho ritrovato degli scatoloni, e in uno di questi, catalogati in buste di carta, come quelle del pane, vi erano dei dischi. Ne ho scelti 5 per le domeniche di questo Giugno. Il primo era nella busta Dischi di Angela, il nome di mia madre. Interrogata, e felicemente sorpresa di aver ritrovato quello scatolone pensato perso dopo un temporaneo trasloco da casa, mi ha raccontato che non comprò il disco appena uscito, ma dopo qualche anno, dopo aver visto un concerto dell'artista di oggi, uno dei più grandi autori della canzone italiana.
Francesco De Gregori era stato lontano dagli studi di registrazione per tre anni: il 1979 era stato l'anno straordinario di Banana Republic con Lucio Dalla e di Viva L'Italia, disco fondamentale e che contiene una storia particolare. Fu infatti il tentativo della RCA, la sua casa discografica, di promuovere l'artista a livello internazionale. Fu ingaggiato Andrew Loog Oldham, leggendario scopritore e primo produttore dei Rolling Stones, che portò con sé una schiera di tecnici e turnisti britannici, e lo stesso De Gregori registrò delle versioni in inglese di alcune delle sue canzoni più note (Piccola Mela, Rimmel, Generale, una versione di Buffalo Bill con Lucio Dalla) con i testi tradotti da Susan Duncan Smith e Marva Jan Marrow, poetessa statunitense che rimase in Italia per un decennio, collaborando con numerosi artisti (Ivan Graziani adatta un suo brano, Sometimes Man, per Patti Pravo, che diviene una dedica per lei, intitolata Marva).
Decide quindi di concentrarsi su un disco che da un lato riprende progetti giovanili sul recupero delle musiche tradizionali, e dall'altro sia una sorta di concept album. Su questo ultimo punto, fu decisiva la lettura nei mesi precedenti le registrazioni di un libro, L'Affondamento Del Titanic di Hans Magnus Enzensberger. Prodotto da De Gregori con Luciano Torani, Titanic esce nel giugno del 1982. È un disco dove De Gregori lascia da parte la canzone d'amore (solo un brano è riconducibile ad una canzone romantica), musicalmente molto vario e che sembra, attraverso il racconto della mitica nave e del suo tragico destino, una riflessione faccia faccia, personale e spirituale, con il mare, i suoi messaggi potenti e profondi. Si apre con Belli Capelli, l'unica canzone d'amore, che lascia lo spazio a Caterina, emozionate omaggio a Caterina Bueno, cantautrice fiorentina che fu la prima a credere nel giovane De Gregori, chiamato come chitarrista nel 1971: i versi «e cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo» sono un omaggio ad un brano di Bueno, «e cinquecento catenelle d'oro/hanno legato lo tuo cuore al mio/e l'hanno fatto tanto stretto il nodo/che non si scioglierà né te né io». La Leva Calcistica Del '68 è uno dei classici degregoriani, toccante racconto di un provino calcistico di un dodicenne nel 1980, con uno dei testi più belli del Principe (E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai\Di giocatori tristi che non hanno vinto mai\Ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro\E adesso ridono dentro al bar\E sono innamorati da dieci anni\Con una donna che non hanno amato mai\Chissà quanti ne hai veduti\Chissà quanti ne vedrai). La parte centrale del disco, musicale ed emozionale, è la cosiddetta trilogia del Titanic. L'Abbigliamento Di Un Fuochista, cantata con Giovanna Marini (grande custode della musica tradizionale italiana, recentemente scomparsa) racconta una storia di emigrazione attraverso il doloroso dialogo madre-figlio sullo sfondo della tragedia, e De Gregori in un disco successivo, altrettanto famoso, La Donna Cannone (1983), inserirà un brano, La Ragazza E La Miniera, che è la prosecuzione narrativa di questo brano. Titanic, dal meraviglioso ritmo sudamericano, è il brano metafora della questione sociale: la divisione in classi, prima, seconda e terza, che accomuna la nave alla società. I Muscoli Del Capitano inizia come Il Tragico Naufragio Della Nave Sirio, canzone popolare resa celebra da Caterina Bueno, e molti notarono lo stile particolare del testo, un riferimento alla narrazione futurista del progresso, della potenza meccanica, al mito dell'acciaio e dell'industria. La canzone, meravigliosa, sarà oggetto anche di numerose riletture, e ricordo quella convincente di Fiorella Mannoia in Certe Piccole Voci (1999). Il disco si chiude con il riff, spiazzante, di 150 Stelle, sulle bombe e i bombardamenti, con il simpatico rock'n'roll di Rollo & His Jets, che nel testo cita due dei suoi migliori collaboratori, Peppe Caporello (bassista mezzo messicano soprannominato chicco di caffè) e Marco Manusso (chitarrista con quel nome strano) che insieme con Mimmo Locasciulli suonarono nel disco. Leggenda vuole che per gli arrangiamenti dei fiati Caporello volle un paio di scarpe di tela Superga bianche. Chiude il disco il pianoforte, dolcissimo e malinconico, di San Lorenzo, in ricordo dei bombardamenti del 19 luglio 1943 sul quartiere romano di San Lorenzo ad opera degli alleati. Canzone stupenda, è anch'essa ricchissima di riferimenti: i versi su Pio XII che incontra la gente si rifà ad una famosissima fotografia (scattata però, ma si seppe anni dopo, davanti alla Chiesa di San Giovanni In Laterano, nell'agosto del '43 dopo la seconda sequenza di bombardamenti), il verso Oggi pietà l'è morta, ma un bel giorno rinascerà è presa dal famoso canto partigiano di Nuto Revelli.
Il disco, con in copertina il merluzzo su un piatto in un frigorifero accanto a un limone tagliato fotografato da De Gregori e colorata da Peter Quell, fu anche un successo di critica e di vendite: nonostante non ebbe traino da nessun singolo, vendette 100000 copie nel primo mese, regalando le sue canzoni stupende, con De Gregori che fu il primo a ripercorrere le orme del Battiato de La Voce Del Padrone, unendo nel modo più convincente la tradizione cantautorale, in questo lui un Maestro insuperato, con il grande pubblico.
33 notes · View notes
kyda · 1 month
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
ieri ci siamo sedute sulla spiaggia e abbiamo parlato di come sarà; oggi sto continuando con il trasloco, ho messo negli scatoloni tutto, persino il mio gatto compagno senza il quale dormo male il 100% delle volte. sarò felice quando lo ritroverò 💔
35 notes · View notes
francesca-70 · 4 months
Text
Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
“Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
Tumblr media
Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
48 notes · View notes
inadeguata · 5 months
Text
ed è strano perché la cosa che ha fatto più male non è stata dormire in un altro letto, portare le mie robe qui, ma uscirle dagli scatoloni e far diventare questa stanza mia.
ho pianto tantissimo e piango tuttora a vedere com’è carina con i miei manga ma non riesco a non vedere me felice quando li compravo e te che mi guardavi compiaciuto quando invece eri tu a regalarmeli.
pensavo fosse una cosa solo mia, invece è inevitabile che qualsiasi cosa sia mia mentre c’eri tu è anche un po’ tua, nostra.
36 notes · View notes
occhietti · 5 months
Text
Questo curioso vizio di etichettare ogni cosa, di perimetrare tutto in anguste definizioni, come fossero dei mattoncini lego da riporre ordinatamente negli scatoloni.
La realtà è che tu
puoi definire il dolore di un femore rotto, ma non quello di un'anima dilaniata,
puoi descrivere l'euforia di un attimo, ma non la felicità di una vita,
puoi delineare i contorni dell'affetto, ma non tratteggiare i limiti dell'amore,
puoi rappresentare un ricordo, ma non il tormento che scatena,
puoi ingabbiare un puma, ma non il suo desiderio di libertà.
- Michelangelo Da Pisa
19 notes · View notes
volumesilenzioso · 9 days
Text
piano piano mi sto aggiustando a casa dei miei nonni e la sto facendo un po’ mia, ho reso la camera quasi decente e sistemato un pochino la credenza in sala: ho tolto quanta più roba possibile dei miei nonni, tutta roba inutile che ho riposto in degli scatoloni, in questo modo ho ricavato un bel po’ di spazio per mettere i miei libri e la credenza è diventata molto più piacevole da guardare, senza libri mi sembrava spoglia, non era mia. vorrei fare ancora molti cambiamenti, ma ci penserò poco a poco, non ho bisogno di fare le cose di fretta, per il momento mi sto limitando a progettare, poi, nei giusti tempi, apporterò tutte le modifiche che voglio. qui sto tranquilla e ho il cane che mi tiene compagnia e si assicura che io non mi senta mai sola. tutto questo non è niente di meraviglioso, ma è qualcosa, una piccola cosa che sono grata di avere. si inizia così, dalle piccole cose
8 notes · View notes
abr · 4 months
Text
L'Italia si forma nel 1859-60 con l'aiuto esplicito dei francesi (Solferino) e nascosto di quelle che oggi chiamerebbero centrali finanziare globaliste (massoneria inglese).
In precedenza la pre-italia piemontese con tutte le gioventù universitarie mobilitate (pure un mio avo) le aveva prese nel 1848 e '49, fondamentalmente perché era sola: evabbé, dice che era disunita al suo interno.
L'Italia le riprende sul campo nel 1866 (Custoza, Lissa), ma si riprende grazie all'alleanza con la Prussia.
Il 1870 non fa testo, contro le guardie svizzere e il mondo distratto da Parigi: Roma sticazzi.
Stendiamo un pietoso velo sul coloniale italiano, ovviamente fatto da soli: Adua, gli scatoloni di sabbia somali e libici.
Entriamo nella I Guerra Mondiale alleati coi Cattivi ma aspettiamo un annetto, ci guardiamo attorno, alla fine ci schieriamo coi Buoni peraltro senza soverchi dubbi, e la vinciamo. A legger bene la storia della Guerra risultiamo pure decisivi (assieme all'arrivo degli americani, già allora) ma questo resta uno dei segreti meglio nascosti dagli anglo francesi e dal nostro provincialismo. Comunque ci espandiamo il giusto, anche se ai molti gnegne non basta.
La Seconda Guerra Mondiale inizia uguale: hesitation (dicono che non siamo pronti per non dire che da soli non possiamo stare), ma per tener la schiena diritta ci si allea col Peggiore. E le prendiamo di brutto, fin da subito; alla fine perdiamo territori per la prima volta (manco Radetzky c'era riuscito).
In sintesi:
da soli è sconfitta certa (netbet 25:1, bet365 34:1, Sisal 24:1);
in compagnia: dipende con chi. Abbiamo 100% prob. di vittoria con Atlantici, 100% di sconfitta coi Continentali. Si ok il campione non è statisticamente significativo, anche se resta che così è andata.
C'è una terza alternativa: starne fuori. Neutralità: percorribile? Purtroppo credo di no: nonostante quel che ci diciamo, da mille anni siamo molto appetibili desiderabili da tutti, non una Spagna o Svezia periferiche irrilevanti e neppure in mezzo ai monti tipo Svizzera.
Conclusione: meglio identitari che sovranisti (constatazione che da soli non ce la si fa), quindi si deve scegliere per forza con chi stare ed é preferibile l'Atlantico.
Avanti il prossimo caso.
9 notes · View notes
allecram-me · 2 months
Text
Dopo un anno al civico 418
Non so dire che stagione sia, mi sembra che si siano riunite tutte qui in un pic-nic sul mio collo, portando ciascuna il carico della propria inconfondibile nostalgia. Sono all’incrocio dei venti, il soffio vitale di moltissime e imprevedibili possibilità, carne ancora di carta, ma comunque la storia della carne. Il tempo non muore, il tempo semplicemente si estingue: è diverso. Penso allo sgomento col quale sono stata costretta ad accettare il fatto che, se non lo mangi, il cibo si guasta anche se è nel frigo. Quella sensazione di tradimento, di impermanenza, mi fa orrore. Eppure non credo sia metafora della mia morte, credo che sia lo spaesamento della dipendenza - è la morte degli altri. Questo mese faccio scatoloni, mi impoversico di qualche migliaia di euro, e mi impoverisco di questo ultimo status quo, uno dei primi che mi sia piaciuto dopo la baita di montagna sul mare di Valerio. Parallelamente scolpisco come una artigiana piuttosto incerta l’ultimo colpo grosso della mia carriera nel mondo della ricerca, promessa d’incrocio, incrocio che conduce da molte parti lontanissime tra loro. Berlino potrebbe non piacermi. È probabile che Berlino mi ammazzi, ma sono già sopravvissuta a qualche inferno e una trentina di inverni, e contro ogni previsione sono qui adulta con un sacco di vite alle spalle e pochissimi privilegi - tantissimi privilegi - ma meno privilegi di quelli che mi erano stati promessi. Li ho rifiutati. Se Berlino mi ammazza vorrà dire che sono scaduta, ma qualcosa mi ha comunque già mangiata: sono solo gli avanzi di me, sono quello che potrei ancora diventare. Peggio: se Berlino mi ammazza è perché l’ho lasciata guastarsi nel frigo, non l’ho assaggiata, nessun pic-nic all’aperto.
Questa vita, la mia vita, il mio unico vero amico di sempre: mi mancheranno e non so che sto facendo, li sto lasciando scivolare così, come è giusto anche se non lo voglio. In frigo nevica, fuori dal frigo ci si scioglie nel sudore. Sulla porta di casa nostra ci sarà ancora per un po’ la ghirlanda di Halloween, sopra al microonde la gallina di cioccolato di Pasqua.
Se Berlino non mi ammazza lo faranno il lavoro, la tesi, il trasloco verso un appartamento che pago ed in cui è probabile che non vivrò. Sulla mia faccia piove poco, tra le mie dita della terra da cui inevitabilmente qualcosa in primavera germoglierà.
8 notes · View notes
mermaidemilystuff · 4 months
Text
Durante e in preciclo tra le cose che probabilmente provo di più c'è l'invidia.
L'invidia è una più o meno contenuta costante che in questo periodo raggiunge picchi molto alti. I giorni scorsi per lavoro ho avuto a che fare con un'associazione che promuove gli artisti di vario genere e tipo nella mia città, dedica tre post ad artista: chi è, cosa fa, il laboratorio. Tra questi una ragazza della mia età, viso conosciuto, che nemmeno sapevo fosse artista. Scopro che ha questo laboratorio stupendo da diverso tempo dove più o meno dipinge, crea, copia. Ogni volta che ci penso mi si forma un nodo alla gola grosso forse più di un pugno. Si definisce artista e quello che fa è molto banale, visto e rivisto e forse anche un po' bruttino. Di questo ci vive a quanto pare. Ma di questo ci vive, anche nel senso che lo vive. Crea, si trasforma, è libera, si diverte, è fiera, si nutre, gioca. Questa mattina la conferma di quello che già un po' sapevo: sempre per lavoro faccio vedere alla boss questo tipo di post e al suo laboratorio "oeh ma che posto bellissimo questo!" ... "aaaah ma è lei, la figlia di x, ci credo che si può permettere un posto così".
A volte penso che la mia vita sarebbe nettamente migliore, decisamente più felice per un non nulla di diverso. Certo, una barca di soldi farebbe comodo, ma non per forza quello. A volte, ad esempio, penso che se solo mio padre fosse stato una persona lievemente più stabile probabilmente sarebbe ancora qui in Italia con una sua piccola casetta, anche in affitto, con una qualche stanza utile trasformato in laboratorio, tipo la camera da letto o la cucina. E adesso anziché essere qui a fermare di forza un film tanto questi pensieri sono invadenti da non farmi concentrare, forse sarei a casa sua con le mani sporche di pittura, mentre utilizzo i suoi attrezzi e i suoi colori spensierata. O ancora, starei provando a spezzettare chissà che materiale perché va bene il modo tradizionale che mi hai insegnato per creare mosaici, ma adesso voglio sperimentare.
Invece sono qui, con tutti i miei materiali ancora chiusi in scatoloni
vi chiedo scusa
Che aspettano il momento in cui finalmente c'è dello spazio anche per loro.
Sono qui, a provare invidia.
14 notes · View notes
crocodilesareboring · 11 months
Text
Un grazie soprattutto alla meravigliosa @mermaidemilystuff che ha deciso di dare alloggio alla combo me+scatoloni
Tumblr media Tumblr media
25 notes · View notes
kyda · 1 month
Text
ieri sera ho attivato il mio student account sul sito dell'università di limerick e oggi sto mettendo tutte le mie cose della stanza a palermo negli scatoloni. inutile dire che tremo di paura, che sono molto triste di lasciare questo posto che non avevo previsto di dover lasciare così presto e che sono confusissima e stressatissima
24 notes · View notes
io-rimango · 1 year
Text
“Fra tutti quegli scatoloni che aprirai in un luogo che mai vedrò, chissà quante cose la tua nuova casa ti nasconderà, forse anche i nostri ricordi, forse anche l'atmosfera romantica che ho sempre cercato di mantenere, provando a dare un senso a quella sicurezza che tu chiami "abitudine", rendendola sempre nuova. Consapevole che, per quanti sforzi avessi fatto, non avrei avuto alcuna certezza sulla durata della nostra storia, e che la nostra storia avrebbe potuto essere benissimo un parcheggio temporaneo in attesa di altro.
Perché dunque? Perché mi piacerebbe che tu fossi felice ovunque sarai, e che sapessi che la nostra storia mi ha lasciato comunque qualcosa, e che non è vero che chi è stato vittima non possa a sua volta ferire.
Abbi cura di te.”
(Massimo Bisotti, La luna blu)
23 notes · View notes
inadeguata · 5 months
Text
domani devo iniziare a fare gli scatoloni ahaha mi sento male voglio piangere aiuto come si faaaa
4 anni e mezzo di scatoloni!! a i u t o
17 notes · View notes
grlbts · 4 days
Text
Mentre i commentatori e i giornalisti si concentrano su una narrazione dell'intelligence che sembra copiata da vecchi romanzi di Tom Clancy chi ha un minimo di empatia non può non pensare che non c'era nessun modo di sapere esattamente dove come e da chi venissero usati cercapersone e walkie talkie spediti in alcuni scatoloni mesi fa.
In certi paesi sono ancora molto usati negli ospedali, per fare un esempio. Mia madre ieri al telefono mi ricordava che tantissimi anni fa (prima dell'esistenza dei cellulari quindi parliamo del cetaceo eh) ne avevano dato uno a mio padre appena assunto nel nuovo reparto.
Poi per vari motivi burocratici e pratici non erano mai stati veramente usati per il loro scopo e l'aggeggio era finito in un cestino svuotatasche di casa nostra da dove io bambino imberbe nei momenti di peggiore noia lo recuperavo e iniziavo a premere tutti i pulsanti cercando invano di fargli fare qualcosa di interessante.
2 notes · View notes