L'appartamento dove sono in affitto è in una palazzina relativamente nuova, quindi rispetto ad altre case-di-studenti è un po' più moderno, e devo dire che questo è un sollievo, perché una delle cose che temevo quando ancora cercavo la stanza, era di finire in una casa vecchia e decadente.
Poi, il fatto che sia moderno non vuol dire che tutto sia perfetto, anzi, certe cose si rompono più da noi che in certi palazzi più antichi, soprattutto nei bagni e in cucina, e ne sa qualcosa il padrone di casa perché piuttosto spesso io e le ragazze lo chiamiamo nella disperazione più totale per chiedergli di far riparare qualcosa che si è rotto (io e le mie coinquiline entriamo facilmente in panico per queste cose).
Però, di aspetto, è una bella casa, dove in quattro stiamo più che comodamente (prima che arrivassi io, quando erano solo ragazze, sono state anche in cinque, e mi dicono che allora erano un po' più strette).
Magari, per rendere più facile capire come è fatta la casa, metto una piantina, è fatta da me, in modo approssimativo, quindi è un po' imprecisa, ma dovrebbe rendre l'idea.
Praticamente, come si entra c'è un salone-soggiorno grande, con angolo cottura e tavolo dove mangiamo. La caratteristica più importante è però il divano rosso, che è un po' il centro di tutta la vita in casa. È davanti alla TV, e larga parte del tempo lo trascorriamo lì. Avrebbe tre posti, ma se alla TV c'è qualcosa che piace a tutti noi, riusciamo a starci anche in quattro, stringendoci bene (e si tratta dei momenti in cui raggiungo la massima vicinanza "corporea" con le ragazze).
Il soggiorno ha una vetrata scorrevole che da su un piccolo terrazzino, dove, un po' stretta, c'è una sedia-sdraio nella quale d'estate le mie compagne di casa a volte prendono il sole.
Dal soggiorno si va direttamente in una delle camere, e in un corridoio che porta ai bagni e alle altre due camere.
La camera che dà direttamente sul soggiorno è quella di Veronica e Violetta, l'unica attualmente doppia.
Invece, per il resto della casa si passa dal corridoio, che porta prima di tutto alla camera di Annarita, che è singola come la mia ma più grande, infatti c'è un secondo letto e sarebbe potenzialmente una doppia, ci sono anche due scrivanie, e per questo Annarita paga un po' più di me di affitto. La mia camera è di fronte alla sua ed è una singola "vera e propria", cioè più piccola. In realtà anche in camera mia c'è un secondo letto, ma non ho mai capito perché: a quanto ne so è mai stata doppia, e due persone ci starebbero davvero troppo strette. Quello della mia camera sembrerebbe solo un secondo letto messo in più perché il proprietario non sapeva dove sistemarlo.
Però per almeno un motivo il secondo letto è comodo, perché quando viene una delle coinquiline a studiare in camera da me, tipo a farsi interrogare prima di un esame, ci sediamo nei due letti e stiamo più comodi che seduti sulla scrivania.
Poi, infine, ci sono i due bagni: quello grande, con la vasca-doccia, e quello piccolo, che non ha la doccia, ma è utilissimo, perché ci permette di non aspettare se la doccia è occupata e ci scappa da fare la pipì. Che, diciamolo, per me è una benedizione, perché fra le nove e le undici di mattina, di solito, la doccia è tutta delle ragazze (io la faccio presto prima di colazione), e posso lasciarla a loro senza dovermi trattenere per due ore in caso di emergenza.
Questi sono tutti piccoli equilibri che, vivendo in casa insieme, soprattuto in un appartamento misto maschio+femmine, si imparano e si raffinano sempre di più con il tempo.
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Team Voltron Heroes. Capitolo 2: Matt
Gotham city, anno 2134
Il suono della sveglia lo fece alzare di colpo, riportandolo nel mondo reale. Rimase un po’ a letto, guardando il vecchio soffitto in mattoni e sospirando, sentendo che sarà un’altra giornata uguale a tutte le altre. Mattew Holt sapeva che la quotidianità era il suo forte tanto quanto lo erano i computer e la tecnologia, quindi per lui ripetere le stesse azioni ogni giorno e nello stesso preciso ordine e tempo era rilassante. Per quanto potesse essere sempre curioso e affascinato da molte cose, era anche un uomo preciso e ordinato, soprattutto durante la sua routine.
Alzandosi e dirigendosi verso il vecchio bagno, zoppicando lentamente sulle gambe indebolite dalla notte, aprendo un mobiletto in acciaio con alcuni foglietti verdi dove si appuntava le cose, prendendo oggetti per la piccola barbetta che aveva e che tagliava senza pietà ogni fine settimana. Sbadigliando aprì un prodotto per capelli e massaggiò il cuoio capelluto, seguendo rigorosamente ciò che scrivevano sul foglietto della confezione.
Passato poi dal piccolo ma comodo angolo cottura, si fece del caffè amaro e lo bevve con calma alla vista della luna avvicinarsi sempre di più all’orizzonte, e alla grande piazza di Gotham che si svuotava man mano della gente notturna. Matt ridacchiò tra sé e sé, nonostante vivesse letteralmente al centro della città con il tasso di criminalità più alto del mondo, non aveva per nulla paura dei criminali, e anche se avesse i giusti poteri, non voleva diventare un supereroe.
Solo la classica e tranquilla normalità, ecco cosa gli piaceva.
Si mise una felpa verde e dei jeans marroni, scese poi le traballanti e scricchiolanti scale in acciaio che conducevano dalla sua piccola abitazione al secondo piano al negozietto di elettronica e riparazioni al piano terra.
“Buongiorno BaeBae, nessuno è venuto a derubarci stanotte, vero?”: sorrise Matt, vedendo la cagnolina scodinzolare alla sua entrata, accogliendolo cercando gi leccargli le scarpe. Lui l’accarezzò sorridendo, buttando via il giornale del giorno prima sbuffando leggendo nuovamente il titolo della prima pagina. Aperte le saracinesche, si sedette alla scrivania lavorando su un computer rotto preso a pochi dollari a un’asta. Buco sullo schermo che aveva danneggiato completamente i circuiti interni, irriparabile anche secondo i migliori. Matt sogghignò. Toccandolo, emettendo una lieve luce verdasta, il buco si chiuse senza lasciare una minima traccia o graffio. Le zampe anteriori appoggiate alla scrivania mentre scodinzolava vedendo l’intero processo.
“Shh… Non lo dirai a nessuno, vero vecchiona?”: lui le fece l’occhiolino, scrivendo su un foglietto il prezzo del computer ora riparato e posizionandolo in mostra su uno scaffale e mettendosi fieramente le mani sulla vita. Eppure, proprio in quel momento, sentì un forte tondo che fece vibrare leggermente il pavimento, affacciandosi alla porta in vetro del negozio, vide tutti i supereroi riuniti nella piazza, insieme a quella che sembrava un’astronave aliena sconosciuta. Dal centro di quella astronave, si poteva vedere una sfera di potenza crescere gradualmente, e la mente tecnologica e intelligente di Matt sapeva che stava preparando un attacco imminente, che avrebbe probabilmente distrutto la piazza e il suo negozio. Eppure c’erano i super, potevano proteggerli, dovevano proteggerli.
Poteva sentire BaeBae piagnucolare spaventata vicino alla porta che conduceva alla cantina, un luogo protetto che aveva costruito come se fosse un bunker sotterraneo.
“BaeBae, vai dento”: ordinò lui, e il cane non se lo fece ripetere due volte, correndo con la coda tra le gambe, aprendo la porta con la zampa e scendendo le scale.
Rimase lì alla porta, stupidamente, ma curioso di vedere per la prima volta gli eroi in azione dal vivo e durante il giorno, perché proprio dietro l’astronave si vedeva il sole crescere sempre di più e alzarsi in cielo. L’astronave nemica attaccò, lanciando un raggio laser e distruggendo una buona parte della piazza, i corpi di quelli che erano lì carbonizzati.
“Merda…”: dopo quella visione, Matt si precipitò verso la porta, ma un colpo vicino lo fece cadere, rompendo molte mensole. Si rialzò, sentendo la testa pulsare e vedendo la porta davanti a lui bloccata da pezzi di acciaio caduti dalle mensole. Tirò con tutte le sue forze, ignorando i continui tremolii e colpi che pian piano distruggevano quasi tutto, meno che la sua piccola palazzina. Forse era fortuna, o forse i supereroi stavano combattendo, ma non importava adesso. Voleva solo mettersi in salvo e sopravvivere. Da dietro la porta poteva sentire i piagnucolii di BaeBae mentre raschiava il legno, cercando di aiutare il più possibile.
“BaeBae, torna dentro!”: Sibilò, provando a tirare o spingere con tutte le sue forze o cercando addirittura di sfondarla. E poi, sentì un forte dolore al fianco quando venne violentemente spinto nella strada insieme alle macerie di quello che prima era la sua casa e il suo negozio. Mentre la sua visione era soggetta a flash bianchi e neri, poteva vedere la piazza e le strade distrutte, il suo corpo dal fianco in giù completamente immerso da detriti pesanti e cavi d’acciaio. Il sole aveva già preso posto nel cielo, dicendo a Gotham che era mattina e mentre Matt stava lentamente svenendo, vide una figura in un’armatura nera e rossa, un mantello viola e capelli neri.
Un supereroe. Forse l’unico supereroe a essere sopravvissuto. E lo conosceva. Zarkon. Non era mai stato molto altruista nei confronti dei cittadini, conosciuto per la sua sete di vendetta verso Sendak, ma forse…
Allungò il braccio, cercando di urlare nonostante la debolezza, viaggiando tra la coscienza e l’incoscienza. Solo quando lo vide girarsi e correre verso di lui, finalmente, chiuse gli occhi.
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Quando Matt aprì gli occhi, non era più circondato di macerie o in mezzo alla strada. Sbattendo gli occhi un paio di volte, aveva pensato fosse solo un incubo, ma poi, guardando meglio il soffitto, verdastro e oro con un lussuoso lampadario, diverso dal puzzolente mattone vecchio, si ritrovò parecchio confuso.
“Non pensavo lo avessi salvato…”: due voci maschili stavano dialogando, l’annebbiamento alla testa gli impediva di capire chi erano o dov’era.
“Non avevo altra scelta…”: rispose un’altra voce, abbastanza più giovane:” Mentre tu e Kosmo eravate a fare l’ispezione con Sanda e Iverson, io l’ho portato qui ma… è strano… non ho avuto bisogno di curarlo…”
“Keith?”: L’uomo più grande disse con voce di rimprovero.
“E’ stato ferito con un spesso filo di acciaio, quando lo portavo sanguinava ma appena sono arrivato qui… la ferita si era già ricucita da sola…”: si giustificò l’altro:” Era… verde…”
Matt strizzò nuovamente gli occhi, strofinandoseli e gemendo, facendo rimbalzare i due uomini.
“Sei sveglio”: disse il primo, avvicinandosi al letto comodo della stanza degli ospiti e guardandolo:” Ti ricordi come ti chiami o cosa è successo?”
“Mi chiamo Matt…”: rispose lui, sedendosi senza troppa difficoltà e strofinandosi gli occhi:” Ricordo che un’astronave ha attaccato la piazza e i super”
“Oh… wow… non male…”: disse sorpreso l’altro, che se stava a braccia incrociate vicino al letto, ma più distante rispetto al primo. Matt lo guardò sgranando gli occhi. Capelli lunghi e neri. Occhi viola.
“Tu sei Zarkon”: disse guardandolo dalla testa ai piedi, con una giacca rossa, leggins e maglietta nera.
“Sì, sono io. Keith Kogane”: lui allungò il braccio, con un debole sorriso.
“Beh, grazie per avermi salvato… immagino…”: balbettò, stringendo saldamente la mano:” Sei l’unico sopravvissuto?”
L’uomo annuì, mordendosi il labbro, guardando l’altro uomo. Aveva accenni giapponesi, inoltre i suoi vestiti curati ed eleganti dicevano che probabilmente lui viveva in quella casa lussuosa. Guardandosi intorno poteva vedere le pareti dello stesso colore del soffitto, mobili e oggetti abbastanza rustici e costosi e la villa della città all’orizzonte.
“Come hai fatto?”: chiese improvvisamente Keith, guardandolo con uno sguardo leggermente curioso e intimidatorio.
“A fare cosa?”: lui alzò un sopracciglio, scuotendo la testa confuso, mentre l’altro faceva uno scatto in avanti, alzandogli la maglietta per vedere dei piccoli addominali e una cicatrice che stava lentamente guarendo da sola nel fianco.
“Keith-“: l’uomo più anziano si lasciò sfuggire uno sbuffo.
“Non ora Takashi!”: ringhiò Keith:” Come puoi farlo? Sei stato trafitto da un filo d’acciaio, diavolo, e non ho nemmeno dovuto disinfettare niente!”
“Lo posso fare?”: Le sue sopracciglia si alzarono sorpreso, la bocca in un leggero sorriso, solo fissando i due uomini spaventati scosse la testa e si scusò.
“L’importante è che ti sei ripreso…”: Takashi sorrise gentilmente, trasmettendo una calma confortante. Quell’uomo lo incuriosiva molto, dandogli un’aura di calma e tranquillità, ma soprattutto mistero, sentendo nella sua mente acuta e logica che lo aveva già visto da qualche parte.
“Kosmo! Che cavolo!”: esclamò Keith, mettendo le mani alla testa quando un enorme lupo corse nella stanza, interrompendo entrambi da quell’attimo di contatto visivo confortante. L’animale, che sembrava più una gigante palla di pelo, sbatté contro un piccolo comodino, facendolo traballare e cadere, rompendo l’elegante vaso in vetro che c’era sopra, seguito da niente meno che BaeBae.
“Vecchiona!”: esclamò Matt, tendendo le braccia aperte e, quando lei lo vide, si fermò scodinzolando allegramente dal gioco, saltando con molta fatica sul letto e leccandogli tutta la faccia.
“Io e Kosmo l’abbiamo trovata chiusa dentro una cantina-bunker mentre facevamo un giro di pattuglia con Iverson e Sanda, avevamo intenzione di portarla in canile oggi pomeriggio se non trovavamo il preopetario…”: Spiegò Takashi calmamente:” Beh… li chiamerò che non ci sarà più bisogno…”
Lui annuì, accarezzandola e facendole le coccole, contento e felice di vederla di nuovo con sé e viva, la paura di perderla un’altra volta.
“Grazie… Grazie davvero…”: sorrise, abbracciando la cagnolina e guardando nuovamente l’uomo seduto ai piedi del letto.
“Un supereroe deve aiutare…”: sorrise, mentre Keith brontolò un’altra volta alzando gli occhi al cielo, Matt annuì, asciugandosi delle lacrime salate che erano scese dalle sue guance, accarezzò nuovamente le orecchie di BaeBae.
“Va bene… Ti ho salvato, ma voglio lo stesso sapere comunque come hai fatto”: l’altro si avvicinò, alzando un sopracciglio con aria impaziente e autoritaria:” A curarti, intendo”
“Ecco… io non sapevo potessi farlo…”: rispose, sorridendo nuovamente guardando la cagnolina:” Ho un… ehm… chiamiamolo superpotere? Posso modificare e manipolare le tecnologie a mio piacimento… ma non pensavo potessi curarmi…”
“Le tecnologie, eh?”: Keith alzò un sopracciglio, muovendo la testa agitato:” E non hai mai pensato che forse avresti potuto diventare un supereroe e salvare vite? Avevi paura?”
“Non avevo paura, se questo intendi!”: ringhiò Matt, cercando di sembrare minaccioso:” Ho solo preferito la normalità, cosa c’è di male?”
“Cosa c’è di male? Hai aperto un negozio di elettronica, egoista!”: strinse i denti, avvicinandosi cercando di sembrare minaccioso, tuttavia la mente acuta dell’uomo più grande vide come stranamente zoppicava cercando di camminare normalmente per acquisire una forma minacciosa.
“Non voglio combattere”: disse semplicemente, senza sembrare troppo arrabbiato o infastidire:” Ed essere supereroi non è un obbligo, e io non sono di certo egoista!”
“Pensala come vuoi”: Keith strinse nuovamente i denti, sistemandosi la giacca e uscendo dalla stanza zoppicando. L’uomo scosse la testa quando BaeBae gli leccò nuovamente la guancia, riportandolo alla realtà.
Matt aveva sempre saputo, come lo sapevano tutti a Gotham, che Zarkon era un po’ scorbutico, e chi si nascondeva dietro la maschera non poteva essere da mano, tuttavia notava che allo stesso tempo, il ragazzo che si definiva come Keith Kogane, sotto la sua natura antipatica e crudele, si celava un segreto delicato e fragile; una debolezza che era la causa di tutto. E lui sapeva come ci sentiva, lui lo sapeva perché tutti gli uomini, anche quelli più potenti la hanno.
“Quanto tempo sono stato fuori?”: chiese infine, guardando nuovamente Takashi.
“Tre giorni… La città è un po’ nel caos, e anche tutto il mondo… Servono dei supereroi”: lui rispose, parlando con quella calma confortante nel tono, che faceva rilassare ogni muscolo.
“Tu conosci Zarkon, perché non combatti?”: Alzò un sopracciglio, notando la cicatrice sul naso e il ciuffo di capelli bianchi, e il braccio protesico in metallo.
“Io ho perso troppo, il mio supereroe non esiste più…”: raccontò con un sospiro, la voce leggermente tremante, mentre tirava fuori dalla mente un ricordo tutt’altro che piacevole.
“Capisco…”: Matt riflettè, guardando nuovamente l’uomo:” Tu eri Shiro, giusto?”
L’uomo giapponese annuì, guardandosi nuovamente il braccio in metallo scomodo e freddo, per poi spostare nuovamente l’occhio sulla persona seduta davanti a lui. Capelli corti castani, occhi oro, intelligente e intuitivo, gli ricordava molto qualcuno.
“Io e te ci siamo mai conosciuti?”: chiese semplicemente, un pizzico di curiosità nella voce:” Puoi ripetermi un attimo il tuo nome?”
“Matthew Holt”: rispose, lui sgranava gli occhi cercando nelle parti più remote del cervello qualcosa… e poi all’udire il suo cognome, come se so fosse accesa una lampadina, ricordò.
“Holt?”: ripetè come se fosse una domanda per accertarsi:” Come dottoressa Holt?”
“Era mia madre…”: rispose Matt, mentre anche lui iniziò a ricordare:” Tu sei… Taki? Dell’orfanotrofio?”
“Mattie”: esclamò lui, finalmente mettendo tutti i pezzi insieme, ricordando felicemente il suo amico d’infanzia. I due si scambiarono un caloroso abbraccio, ritrovati.
“Takashi… Ero rimasto che dovevi essere adottato da Bruce Wayne”: Esclamò, facendo sbattere le mani, sentendo di esservi ovviamente, e per un motivo altrettanto triste e delicato.
“Infatti”: Annuì, alzandosi dal letto e allargando le braccia, indicando tutta la stanza:” Adesso è tutto mio questo, ma non parliamo di me, amico. Eri scomparso! Per tutto l’Ohio c’erano volantini con la tua faccia sopra!”
“E’ una storia molto lunga, e non la dirò qui”: Matt sorrise quando quella temuta domanda arrivò, ma dopotutto le sue erano false speranze.
“Vedo che c’è molto da raccontare allora”: ridacchiò:” Iniziamo da me”
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Keith camminava a testa china, mani in tasca mentre passeggiava tra le strade principali, la gente dopo tre giorni si era, per fortuna, un po’ tranquillizzata, così come il misterioso nemico che aveva attaccato Gotham. Il sole si nascondeva dietro dei nuvoloni, mentre l’aria fresca gli colpiva la pelle scoperta sul collo. Il viaggio dalla villa alla città è stato piuttosto ventoso, tuttavia ha sempre trovato l’aria costante sul corpo mentre guidava la moto piuttosto piacevole.
Le strade e il marciapiede erano ovviamente affollati, e schivare tutte quelle persone, soprattutto quando era in una crisi di nervi, era piuttosto snervante. Il fatto che nessuno lo avesse ancora urtato lo stava tenendo sotto controllo, evitando che la bomba dentro di lui esplodesse.
…
Appena detto. Stava camminando vicino ad un incrocio mentre lo pensava, e in quel momento, un castano dalla pelle abbronzata gli è andato addosso mentre parlava con la ragazza bionda dietro di lui.
“Che cavolo!”: esclamò l’altro, mentre entrambi cadevano a terra sull’asfalto caldo e scomodo del marciapiede. Un attimo per guardarsi, solo per vedere chi avessero colpito, mentre la donna dai codini bassi biondi restava ferma in piedi accanto, le mani sulla bocca.
“Io ti conosco!”: esclamarono entrambi allo stesso tempo.
“Lance! Riconoscerei quegli occhi di merda ovunque!”/”Keith! Riconoscerei quella triglia orrenda ovunque!”
Ancora una volta, pronunciarono le frasi nello stesso momento, mentre Keith lo levava da dosso dandogli uno spintone. Lance perse nuovamente l’equilibrio, ma stavolta la donna di prima lo prese e lo rialzò prima di farlo cadere a terra.
“Lui è Keith?!”: esclamò lei, mettendosi di fianco a lui con un’espressione sorpresa, cambiando cercando di essere minacciosa:” Lasciaci andare, mostro!”
“E il mostro sarei io?!”: esclamò, avvicinandosi a loro, mentre lei si nascondeva dietro Lance:” Parla l’atlantideo!”
“Lascia stare, Romelle. Sono cose da uomini!”: ringhiò lui, avvicinandosi a sua volta mentre lei alzava gli occhi cielo:” Perché, cosa c’è di strano? Odi i turisti? Gotham ne è piena!”
“No, odio solo voi!”: rispose incrociando le braccia:” Tornate negli abissi!”
Riuscì a finire la frase, per poi essere colpito alla mascella. Il colpo lo fece cadere nuovamente a terra, il labbro sanguinante. Si guardò intorno, vedendo numerose persone che li circondavano, curiosi del casino che si era appena creato e Keith, che non era dell’umore giusto per una scenata, si alzò e se ne andò.
“Bastardi”: sputò del sangue per terra, tornando alla villa.
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Quando Keith tornò alla villa, l’abitazione era piena di risate provenienti dai piani superiori. Entrato nella stanza degli ospiti, vide Takashi e Matt parlare e scherzare animatamente sul letto, le mani del tecnico saldamente sul braccio protesico, gli occhi chiusi e i palmi leggermente illuminati da una lucina verdastra. Entrò senza fare rumore, vedendo BaeBae sul letto e Kosmo seduto di fianco a Takashi, entrambi che scodinzolavano alla scena.
“Già migliori amici, eh?”: entrò, accarezzando il lupo, e sentendo il dolore alla mascella mentre si sforzava a parlare.
“Ow… Dovrebbe fare male…”: sibilò Matt, mentre l’altro uomo si metteva una mano sulla fronte.
“Sei già andato a immischiarti in una rissa?”: brontolò con un sospiro, non sapendo più che fare.
“Non era una rissa. Ho rivisto Lance”: rispose, mentre il castano gli prendeva il mento per vedere la ferita, accarezzandola con un dito.
“Non puoi sempre essere impulsivo, Keith”: lo rimproverò il giapponese:” Quando diventerai un leader metterai tutta la squadra in pericolo!”
“Ma non sono un leader!”: ribattè, sibilando per il dolore quando toccò un punto sensibile e delicato sul labbro. Matt annuì, chiudendo di nuovo gli occhi e facendo nuovamente la sua magia, i palmi verdastri mentre illuminavano la pelle troppo pallida di Keith, curando il taglio sul labbro.
“Stavolta sono serio, davvero non vuoi essere un supereroe?”: stavolta la voce era molto più dolce e gentile, ma allo stesso tempo assumeva un tono più ansioso e supplicante e non si sarebbe mai aspettato di sentirla da Zarkon. Lui si morse il labbro, ripensando a tutta la sua vita, ai suoi amici, genitori, famiglia… tutto.
“Solo perché so che la gente non ti prenderebbe sul serio”: rise, dandogli un leggero pugno sul petto quando finì:” Ma prima ti guarisco la gamba, devo fare pratica!”
“Non penso ci sia tempo”: la voce fredda, seria di Takashi fece rabbrividire entrambi, interrompendo la piccola e corta sinfonia di pace che si era creata. L’uomo più vecchio era in piedi alla finestra, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso verso la città.
“L’astronave si sta muovendo…”
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