Tumgik
#trasalire
ragazzoarcano · 6 months
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“Fino a quando uno squillo sul telefono ti farà trasalire, una somiglianza per la strada ti sbatterà il cuore in gola, un profumo ti farà voltare, non potrai affermare di aver dimenticato.”
— Paola Felice
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poesiablog60 · 1 month
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Così vorrei questa sera
con un gesto sfiorarti
e al tuo trasalire
finire la mia giornata.
Basilio Reale
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ilguardianodelfaro · 3 months
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Ti cerco all’alba,
nell’intervallo in cui sbiadisce il buio
e tuttavia la luce non è luce,
nel limbo che ti ha vista trasalire,
cadere al suolo silenziosamente
e che si è preso tutto il tuo calore,
il tuo respiro e bianca la tua pelle
che profumava sotto la vestaglia
di seta blu.
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bru111271 · 7 months
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Fino a quando uno squillo sul telefono ti farà trasalire, una somiglianza per la strada ti sbatterà il cuore in gola, un profumo ti farà voltare, non potrai affermare di aver dimenticato.
Paola Felice
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soggetto-smarrito · 1 month
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L'impalpabile trasalire interiore..
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dei desideri nascosti.
soggetto smarrito
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dolcementefemmia · 1 month
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Custodire
Le sensazioni.
Le emozioni.
I profumi che ci fanno trasalire ogni volta.
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soleberlandieri · 2 days
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La pazienza dell'acqua
Cos’è che ti tiene sveglio la notte, Obito? Non è l’incessante ticchettio della pioggia di questo maledetto posto, lo trovi quasi superfluo mentre s’insinua attraverso il sottile velo del sonno per fondersi con l’affanno dei sogni, ne sei talmente assuefatto da non sentirlo neanche più; finisce per essere familiare, combinato con le cellule di chi vive lì. Fa da costante sottofondo agli occhi di Rin, spalancati, sempre uguali. Lei ti guarda, non sono cambiati, ancora così grandi e con l'invitante colore nocciola. Cosa c’è di diverso, allora? Cosa manca nell’attimo che precede l’innaturale dilatarsi delle pupille? Hai sempre creduto nell’anima, un giorno la ritroverai e la riconoscerai tra mille.
Le lacrime di Kakashi che si dispera sulla tua falsa tomba hanno il suono di quelle gocce insistenti, scavano il tuo nome sotto un perenne cielo grigio. La bugia che sta lentamente uccidendo il tuo amico ha scheggiato la lapide, la persistente acqua del dolore la erode.
No, non sono le magagne del passato a farti sobbalzare nel cuore delle tue notti tormentate, vero, Obito? Non puoi neanche scaricare la responsabilità sui tuoni, in questo dannato villaggio finiscono tutti per farci l’abitudine.
È un dito che spinge e gratta dentro il tuo stomaco. Un’immagine che resta indefinita dietro gli occhi di Rin e sotto le lacrime di Kakashi. Non affiora mai in superficie, non la decifri, ma sai che è lì.
Un tuono più forte, neanche troppo eccessivo come intensità sonora, è solo diverso. Non romba, nessuna bassa frequenza fa vibrare le finestre, a far trasalire Obito è una scudisciata simile a una frusta.
Non capisce se era già sveglio, è arduo pescare proprio la risposta che serve nella matassa di incubi e rimorsi. Obito si preme le mani sulla faccia, la metà destra adesso è insensibile, come sempre quando non impegnata a infliggergli fitte a caso e senza motivo. Ansima con il cuore a mille e il petto compresso in una morsa, si arrotola tra le lenzuola intrise di sgradevole sudore freddo. Merita la sferzata appena sentita, ne prenderebbe altre mille dritte nel cervello se servisse a cancellare i suoi sbagli, se potesse restituire vita e sorrisi a tutte le persone che non può più vedere e a quelle a cui sta rovinando l’esistenza.
Senza togliersi le mani dal viso, si rigira a pancia sotto, affonda la testa che scoppia nel cuscino nel vano tentativo di placare quel tarlo che adesso lo tormenta anche di giorno. Quel baco che gli succhia il rispetto verso se stesso senza neanche avere la decenza di farsi vedere in faccia. Da quando ha iniziato a farsi scrupoli nei confronti della feccia che ha deciso di sfruttare?
Il dubbio lo rode, gli irrompe in testa senza permesso togliendo valore a Rin, mina i piani per cui è sempre vissuto, fa impallidire il vuoto a cui è stato condannato. Tenta di riempirlo, di farglielo accettare per andare avanti in una vita differente. Scava come quella dannata acqua, gli sfila il terreno da sotto i piedi un granello per volta in un sadico stillicidio. Gli si introduce subdolo nella mente bisbigliando che per camminare a testa alta è sempre necessario calpestare e perdere qualcuno. Ma è un inganno. Obito non ha più nessuno, è solo al mondo, ogni affetto in cui credeva è stato tradito e strappato.
Un genjutsu lanciatogli da Itachi? Probabile. Deve stare allerta, il suo sharingan menomato potrebbe non riuscire a competere con quello di Itachi.
La sua sofferenza non può essere invalidata da una stupida remora senza fondamento. Mantenere inamovibile l’astio verso chi lo ha reso un vegetale emotivo, e l’ostinato egoismo nel perseguire i suoi obiettivi sono le uniche vie per continuare ad avere riguardo del dolore patito.
Obito sa di non essere nato così, che quel bambino sorridente e fiducioso è rimasto sepolto da una valanga di tormento e ripudio. Ecco, i responsabili dovranno pagare. Senza sconti.
Impedendosi di cadere in ulteriori indugi, Obito si alza, iniziare la giornata è un dovere verso se stesso. Un altro passo verso la meta.
Si avvicina alla finestra, nonostante sia sveglio da circa un quarto d’ora, il tetro bagliore al di là del vetro non è cambiato. Grigio, stessa intensità, non si scorge niente attraverso i fiacchi rivoli di pioggia che tracciano contorti ghirigori sulla superficie. Impossibile intuire che ore sono dall’inclinazione della luce, ad Amegakure non sale mai oltre quel livello di fiochezza. Obito è nudo, il calore emanato del suo corpo appanna gli angoli. Sospira lasciando perdere la finestra, non ci sarebbe comunque niente da vedere a parte strade deserte e quei maledetti tubi, le curve a cui sono costretti per assecondare qualunque struttura li rendono ancora più brutti.
I tubi sono un materiale.
Tutto è costituito di tubi. Le pareti, i tetti, le strade, le scalinate, persino quelle che pretendono di essere statue o decorazioni.
Non si sfugge dalle gocce che sussurrano: ti vedo, so dove sei.
Il gocciolare del lavandino è discorde da quello proveniente dal tetto. La pioggia rotola nei tubi con un vago suono di pietruzze, attraversa le profondità dei muri per andare a dissolversi sottoterra.
Obito ignora entrambi mentre si occupa dell'orbita vuota. È essenziale una scrupolosa pulizia due volte al giorno: la sera per rimuovere i detriti della giornata inaspriti dall’uso perenne della maschera, la mattina per eliminare le lacrime rapprese. Le mani tremano, il sudore gli stilla dal mento seguendo i binari delle cicatrici ormai indurite.
Inutile procedere. Obito sbuffa, scaraventa con rabbia spugna e sapone nel lavandino, desidera solo ficcarsi sotto una doccia fredda.
L’acqua gelida gli mozza il respiro, le ombre di Rin e Kakashi gli scivolano lungo la pelle, la ragnatela di incubi allenta un poco le maglie. Ma qualcosa rimane lì, ostinato come una macchia di sangue. Non va via, è senza forma, non ha nome.
Obito soffoca, sbatte più volte la fronte sulle piastrelle, poi la lascia lì. Vorrebbe gridare di essere lasciato in pace. Prega, chiunque sia, di smetterla di guastargli gli obiettivi, di comprendere la sua sete di giustizia per il troppo male ingiustamente subito. Però, non riesce a spiccicare niente di assennato a parte un informe verso gutturale.
Sta a Obito non lasciarsi abbindolare dal venefico serpente che vorrebbe nutrirsi della sua anima, che andasse a pasteggiare con uno qualsiasi dei pusillanime che infestano il mondo.
Risoluto, balza fuori dalla doccia e si asciuga.
Non serve guardasi allo specchio per infagottarsi nella condanna quotidiana, ormai Obito conosce ogni pezzo a memoria e ha anche imparato a indossare tutto velocemente. Esala il primo respiro ovattato dalla maschera. Che lo spettacolo abbia inizio.
Tu conosci il motivo per cui oggi eviti accuratamente il corridoio su cui si affacciano le stanze dei sottoposti? Sì che lo sai, Obito.
Il covo di Amegakure può accogliere una sola squadra per volta, e cioè due componenti. È di stanza qui il gruppo che ha bisogno di nuovi equipaggiamenti, di sostituire quelli danneggiati o per l’urgente cura di ferite o problemi di salute. Si fermano, di solito, solo una notte. Non si sono ancora svegliati o si stanno preparando per iniziare le mansioni del giorno.
Scivoli di soppiatto, arranchi furtivo nella penombra. Lo conosci, sai che soffre d’insonnia almeno quanto te. Schivare quel tratto di corridoio abusando del Kamui sarebbe inutile, finiresti intercettato, ormai individua il tuo chakra a menadito, quasi sprigionasse un cattivo odore. Lo sharingan con cui vorrebbe friggerti il cervello è opera tua, aveva solo otto anni quando lo hai costretto a guardare il corpo dilaniato del suo amico che pendeva dalla tua mano.
Ti vergogni, vero? Far sbloccare un tale potere a un bambino così piccolo equivale a rovinargli la vita e tu lo sapevi. Eppure lo hai fatto, mostro. In nome del tuo egoismo. Volevi solo che quella dannata rivolta avesse luogo e hai calpestato cadaveri senza neanche guardarli in faccia.
Che fai, sei pentito? Si sta per caso affacciando il dubbio che tu abbia sbagliato?
Vai dritto convinto che solo il tuo dolore valga, pretendi la comprensione altrui e trucidi chi non ti soddisfa o si azzarda a difendere le proprie ragioni.
Ma tu comprendi lui? Ci hai mai provato, almeno?
Vedi quanta sofferenza sta sopportando?
Quando aveva tredici anni ti ha fatto infradiciare l'interno della maschera di lacrime un paio di volte, su, ammettilo. Non lo credevi capace di spingersi così a fondo nelle tenebre. Lo hai costretto tu, lurido verme.
Tredici anni e già il dolore lo aveva slabbrato, masticato, risputato e lasciato lì come spazzatura. Già possedeva quel mangekyou sharingan da cui ami svignartela, eppure lo hai visto ammazzarsi per contrastare la follia da te fomentata.
Tu metti il tuo dolore davanti a tutto il mondo.
Lui mette tutto il mondo davanti a se stesso.
Vorresti essere come lui, confessalo. Ammiri e invidi la sua capacità di non perdere di vista il bene malgrado le offese subite. Sei geloso e adori la bontà della sua anima che sopravvive a dispetto di odio e ingiurie vomitategli addosso dal mondo intero.
E, riconoscilo, la tua viltà ti impedirà sempre di buttare nel cesso la tua vita per ideali più grandi di te come, invece, ha fatto lui.
Siete simili, ma uguali no. Non succederà mai.
Sei tu a non essere alla sua altezza.
Per fortuna la maschera cela il sospiro di sollievo una volta giunto sano e salvo nella sala delle riunioni di Pain.
Le ombre si allungano dagli angoli bui per smangiarsi tutta la stanza, l’illuminazione è affidata all’unica finestra stretta e incupita dal meteo all’esterno. Obito apprezza solo la sagoma di Pain, occupa già il suo posto, tiene le mani intrecciate sul tavolo. Non servono parole o gesti per diffondere la spessa tensione, la cappa impenetrabile fa arrestare un istante i passi di Obito. Lo sharingan attivo è solo una proforma, non ci sarà nessun combattimento o reciproco furto di informazioni carpite dritte dalla mente.
Obito oltrepassa silenzioso la soglia per posizionarsi di fronte a Pain. Appena si siede, una porta mimetizzata dalla penombra si apre sulla parete di fondo. Come se avesse percepito il lieve scricchiolio della massiccia sedia di legno, Konan fa il suo ingresso trasportando una risma di fogli. Uno sprazzo di luce, sgusciato tra una nuvola e l’altra, guizza sui capelli blu della donna. Ma è un colore freddo, perciò non smorza l’atmosfera fosca. Quando perdono tempo in questi muti giochi di chiaroscuri e smorte tonalità è in ballo qualcosa di grosso, Obito ne avverte il peso nell’aria.
Konan si accosta alle spalle di Pain scampando ancora alle tenebre che avvolgono tutto il resto, cerca rapida tra i documenti e ne estrae quello che serve con sapienti gesti delle dita. Prima di tornarsene da dove è venuta senza proferire parola, non risparmia a Obito un'occhiata torva.
Tra loro non corre buon sangue dal giorno in cui Obito ha portato Itachi ad Amegakure. Attualmente il membro più giovane di Akatsuki, allora era poco più di un bambino. Konan conosce le innumerevoli colpe di Obito, questo l’ha spinta ad adottare un atteggiamento materno nei confronti di Itachi. In fin dei conti è una donna costretta a ritrovarsi davanti il cadavere del suo amato ogni giorno, non ha potuto realizzare il desiderio di maternità, sa di essere la causa della rovina di se stessa e dei propri cari. Obito non si ritiene così disumano da non riconoscere una persona non più intera psicologicamente. È tollerante e le concede pietà. Per ora.
Pain finge di maneggiare i fogli che ha davanti, però non ne pesca nemmeno uno e lo sguardo rimane fermo su Obito.
Lo sharingan lampeggia sotto la maschera per fotografare gli sprazzi di carta casualmente emersi, per qualche attimo, dalla pila. Obito raddrizza, con la mente, i pochi scampoli di immagini registrate, applica una specie di zoom per poter leggere le parole memorizzare qua e là.
Grave scompenso cardiaco. Da usare come palliativo. Dato riservato.
Qualcuno è molto malato.
“Naruto è solo con Jiraiya lontano da Konoha” Pain esordisce senza preamboli “Non possiamo farci scappare il momento di vulnerabilità.”
“Nessuno dei due è da sottovalutare” Obito frena a stento la proposta di occuparsene personalmente, indovina l’intenzione di Pain di affidare la cattura dell’Enneacoda alla squadra migliore, ovvero Itachi e Kisame. I due sono lì, ci hanno trascorso la notte. E, poco fa, Konan ha elargito quei documenti colmi di condanne a morte. Però, la certezza che siano rientrati a causa della salute di uno dei due non c’è, i fogli potrebbero riguardare chiunque, Obito non ha letto nomi. Al rinnegan non sfugge niente, Pain si è accorto dello sbirciare di Obito nell’attimo esatto in cui lo ha fatto “Cosa li ha spinti ad allontanarsi?”
“Il Terzo Hokage è morto” Pain continua monocorde, la voce sembra uscire per magia dal suo fantoccio prediletto “È stato Orochimaru, è riuscito a infiltrarsi grazie al corpo sottratto al Quarto Kazekage. Naruto e Jiraiya sono sulle tracce di Tsunade, è lei la candidata a Quinto Hokage.”
L’acqua rotola senza sosta nei tubi di cui sono infarcite le pareti. Scava e scava.
“Orochimaru potrebbe trasformarsi in un’atroce spina nel fianco, Pain. Non scordarti cosa è successo il poco che è stato con noi, punta sempre a Itachi o a chiunque possegga lo sharingan. Potrebbe attaccare alche altri se può far fruttare il loro corpo” sebbene Obito giri intorno all’argomento, è palese dove voglia arrivare. Spedire un malato terminale contro Naruto, Jiraiya e, eventualmente, Orochimaru equivale a inviarlo al mattatoio. Forse Pain non vede l’ora di liberarsi del sottoposto difettoso per avere l'opportunità di sostituirlo. Con Sasuke, magari. Esca perfetta, Naruto lo verrebbe a cercare cadendo dritto nella trappola.
Sì, le intenzioni di Pain sono chiare. Obito ha un groppo in gola che gli mozza il respiro, il cuore gli martella fino in testa.
Tuttavia, non sa chi è nominato nei documenti, si appiglia disperato all’evanescente scappatoia per non soccombere al panico.
“Non più. Sarutobi ha usato il Sigillo del Diavolo impedendo a Orochimaru l’uso delle braccia” Pain si china leggermente in avanti, un movimento impercettibile, studiato, quanto basta per fare emergere il viso impassibile e traforato di piercing dal buio “Orochimaru ha tentato di estorcere cure alla stessa Tsunade dietro la minaccia di un nuovo attacco a Konoha, ma lei ha desistito appena saputo che diventerà Hokage.”
L’acqua erode con infinita pazienza, non importa la durezza della roccia e quanto dovrà aspettare, alla fine la spunta.
Lo stesso fa il tarlo nel cuore di Obito.
“Non preoccuparti, Itachi e Kisame se la caveranno egregiamente” dopo aver letto il pensiero di Obito come attraverso un involucro di vetro, Pain si riadagia sullo schienale rituffandosi nelle ombre. Resta lì, immobile, Obito intuisce che si muoverà solo dopo averlo visto uscire.
“Riferirò le direttive alla squadra personalmente, subito” Obito si affretta ad alzarsi, teme di sentire altro o che Pain, vedendolo indugiare, cambi idea. Potrebbe aggrapparsi al pretesto di dover proteggere l'identità farlocca, meglio scongiurare che gli salti il grillo di appellarsi alla massima priorità“Mi conoscono entrambi. Kisame ha chiara la mia faccia dal giorno del reclutamento. Mentre Itachi…”
Si sa.
Di cosa hai urgenza di sincerarti, Obito? Perché hai iniziato praticamente a correre appena uscito da quel cubo di tenebre? Eppure, tu lo hai visto il suo viso segnato dalla sofferenza. Hai toccato con mano i sogni infranti di un tredicenne che ha perso l’unico amico mai avuto; lo hai costretto, senza pensarci due volte, a cancellare il futuro del fratello minore che tanto amava. Nonostante tu ti sia straziato le dita con le schegge del suo cuore, hai voltato la testa dall’altra parte pur di non ammettere che non sei l’unico a esserti forgiato nel dolore.
Non hai l’esclusiva di niente, Obito. Molto più di quello che pensi vi accomuna.
Una volta qualcuno non ha detto che a governare la vita non sono gli eventi, ma piuttosto la reazione di chi li subisce?
“Dannazione, mai un momento di pace” Kisame borbotta agganciandosi Samehada all’enorme fascia di cuoio. La sua mole intimorirebbe chiunque persino da seduto, Obito non può esimersi dal sobbalzare ogni qualvolta lo guardi in piedi.
Ma non è l’aspetto minaccioso di Kisame a trasformargli il sangue in un fiume di ghiaccio. Un proiettile lo raggiunge al cuore appena si avvede che i due non hanno chiesto nuove forniture o sostituito quelle vecchie.
Il cinturone di Kisame è leggermente logoro, così come le scarpe di entrambi. Le divise sono intatte e pulite, però il lieve scolorimento dei materiali ne tradisce l’età.
Non hanno armi aggiuntive.
Nessuno ha ferite fasciate.
Obito cerca spasmodico i segni dei suoi timori sul corpo di Itachi. È più pallido, i segni sugli occhi più marcati. Obito ne è stregato ancora, senza rimedio.
Però non ha letto il suo nome da nessuna parte, si chiede se questa supposizione sia sufficiente nella sua disperata arrampicata di specchi.
Itachi non spiccica parola, Obito sa che tra qualche ora partirà per la missione senza fargli sentire la sua voce. I due Uchiha sono entrambi taciturni e questo non può essere che positivo. La maschera mimetizza il deglutire difficoltoso, il serrarsi dei denti, l’impaccio che Itachi genera in Obito con la sua sola presenza.
Itachi non è cambiato di una virgola. Inespressivo, diligentemente infagottato nel mantello con la faccia nascosta da colletto e capelli. Si premura che solo lo sguardo non sia dissimulato da niente. Saldo, deciso. Nonostante l’eterno grido di dolore, mette in soggezione Obito persino adesso che non è acceso dallo sharingan.
Itachi intimidisce chi sa di aver sbagliato; resta dignitoso senza mai superare il labile confine con la strafottenza.
Obito non potrebbe mai restare impassibile come il ragazzo che ha davanti. Il dualismo dei sentimenti prorompe imperioso: odio, disprezzo, invidia per quello che Obito non riesce a gestire pur essendo più anziano di lui. Ammirazione che lascia il posto a prepotente complesso di inferiorità. Rimorsi che traboccano costringendolo a ponderare il senso di responsabilità verso quel bambino che ha deliberatamente sepolto lì.
Obito grida il suo dolore.
Itachi ingolla la sofferenza mettendo al primo posto il suo dovere di shinobi senza mai concedersi il minimo cedimento.
A Obito manca il respiro quando realizza che deve essersi ammalato per questo. Il corpo magro di Itachi è squassato da emozioni annichilite, schiacciato da quell'indicibile dolore che ha deciso di trasportare da solo. Come è possibile sopravvivere senza mai condividere sofferenza e lacrime? In che modo si può andare avanti privi di abbracci, carezze e amore? Quanto si può durare non potendo cedere qualche fetta della grossa torta dei rincrescimenti?
È inammissibile. E infatti Itachi sta morendo, basta mentire.
Il mento della maschera sta per tracimare, non è la stessa acqua che scroscia dal cielo, questa è amara, salata e impaziente. Obito è fortunato, Itachi e Kisame gli fanno la grazia di andarsene prima che l’acqua traditrice faccia capolino prendendosi, impellente, il suo posto nel mondo.
Certo che ricordi quando lo hai portato qui, Obito. Non camminava neanche con le sue gambe. Quel giorno il rammarico per averlo costretto a morire troppo presto ti ustionava ogni cellula, ma la tua sciocca paura di mancare di rispetto a te stesso ti ha messo i paraocchi per farti procedere come un toro furioso e senza cervello.
Ora ti nascondi dietro il senso di responsabilità che senti nei suoi confronti, giusto? Lo stai usando come pretesto per mascherare altro? Qualcosa che, temi, possa farti apparire debole?
In fondo sei un campione di maschere, identità rubate, pseudonimi e mero apparire.
Cosa ne pensa il vero Obito, invece?
Fissi il suo corpo agile e perfetto protetto vigliaccamente dalla maschera, le sue gambe slanciate i fianchi stretti ti irretiscono, non è mai stato robusto e dotato di una forza fisica prorompente. Allontani dalla tua coscienza, con ogni mezzo possibile, gli sforzi che fai per non sfiorargli i lucidi capelli di seta. Lo immagini elegante persino nella danza letale dei suoi innumerevoli delitti.
Ma non sei attratto solo da questo, vero?
È il marciume che divora le vostre anime. Lo schifo che avete in comune, l'orrore e il sangue innocente che insudicia le vostre mani. Proprio questo ti lascia di stucco, Obito. Potreste comprendevi a vicenda se non foste separati da un muro di orgoglio.
Tu lo innalzi, Obito.
Tu ti barrichi dietro il pretesto dell'incompatibilità. Non siete differenti, Obito. Dillo che ti senti da meno e basta.
Lui, con il disprezzo verso la vita, ci è nato. Però, al contrario di te, sa metterlo a frutto per non perdere il controllo, trasforma il dolore in determinazione per realizzare i suoi obiettivi.
E ci riesce, Obito.
L’autentico te già bussava frenetico per farsi ascoltare quando lo hai recuperato a pezzi da quel tetto, una massa informe arrotolata su se stessa, si era annidato lassù a piangere ancora imbrattato del sangue dei suoi cari.
Così si piange, Obito, quando nessuno sente o vede. Non gridandolo ai quattro venti sotto la luna.
Hai pensato di essere sull’orlo dell’infarto mentre sbrogliavi le sue membra, sembrava un pezzo di carta appena pescato dalla spazzatura, talmente anestetizzato dal dolore che non gliene fregava niente d’essere stato scoperto.
Hai notato il cambiamento, da quella notte Itachi ha imparato a non emettere suoni, a vivere senza esistere. Lo hai tenuto d’occhio mentre gli scaldavi il sakè nel lurido covo muffoso in cui ti rimpiattavi dopo i tuoi loschi incontri con Danzo. Verificavi, ogni pochi secondi, che fosse sempre accasciato al tavolo corroso dai tarli e che respirasse ancora.
Ti sei premurato di lenirgli la sofferenza come potevi. Neghi ancora l’evidenza, Obito?
Hai scelto di non parlare e non guardarlo imboccando la strada verso Amegakure, sarebbe stato letale per te il viso di uno zombie condannato a respirare, mangiare, avere il cuore che batte nonostante fosse già morto. Hai trattenuto il fiato pur di continuare a captare i suoi lievi passi dietro di te, intanto la faccia ti marciva sotto la maschera fradicia di lacrime.
Quando quella lunga notte è terminata, lui ha avuto un cedimento, l’unico che abbia mai esternato. Un nuovo giorno era sorto ma voi sareste rimasti per sempre a dibattervi nella vostra ragnatela di oscurità. È stata dura per lui rendersi conto che nuovi giorni e futuro non gli appartenevano più.
Gli hai sostenuto busto e testa mentre vomitava il poco che aveva nello stomaco, l’ultimo pasto consumato insieme a i genitori, gli hai impedito di stramazzare per terra. Hai ripulito il suo viso svenuto dal sangue rappreso usando un brandello strappato alla tua veste, in quel momento ti sei sentito libero.
Libero di non mettere una maschera anche sui sentimenti dal momento che lui era gelido e privo di sensi. Niente idee sconvenienti, la sua bellezza non ti ha incantato subito in modo inopportuno. Non avresti permesso che un tredicenne affogasse nel suo vomito senza intervenire, tutto lì. E, sì, una morsa ha stritolato il tuo cuore perché hai contribuito a spezzargli la vita.
La fredda acqua della borraccia sul viso non è bastata a farlo riprendere, è rimasto immobile e bianco come uno straccio. Una bambola fatta a pezzi, lo specchio del deserto che aveva dentro. Un mondo morto, incenerito senza rimedio.
Ti sei alzato in piedi, issandoti in braccio il suo corpo inerme. Hai percorso il paio di chilometri che restavano più velocemente possibile; capendo il suo bisogno di cure, non ti sei mai concesso il lusso di rallentare il passo nonostante il suo corpo pesasse tra le tue braccia.
Non puoi aver dimenticato il freddo che ti ha morso le ossa, non è arrivato dal cielo fumoso e dalla pioggia incessante, bensì dal corpo che stringevi tra le braccia. Gli ultimi metri sono stati i più ardui, hai intuito che stavi seppellendo un ragazzo all'inferno.
Bugiardo con te stesso fino in fondo, non hai mai confessato la pugnalata che ti ha trafitto scorgendo la fumata della fornace in cui Pain forgia gli anelli. Per fare quello di Itachi, ha bruciato tutti i suoi effetti personali, compresa l’uniforme con cui è arrivato lì indossata con tante speranze.
E, diamine, riconosci lo strazio che hai provato vendendo gli ultimi brandelli dei suoi sogni andare in fumo.
Chissà per quale astruso motivo l’ingresso di quel maledetto covo è modellato a forma di faccia, forse perché finisce per inghiottire le anime di chiunque si inabissi nella sua bocca. Obito lo nota dal giorno in cui ha portato lì Itachi. Ricalca proprio la loro realtà.
Preferisce infradiciarsi fino al midollo seduto sulla punta della lingua con una gamba penzoloni, piuttosto che stare dentro e rischiare di incrociare Konan e Pain. Gli occhi gialli di quella donna lo squadrano con disprezzo a ogni casuale incontro, Obito è urtato dal suo affettato atteggiamento materno, non è necessario ricordargli la sua disumanità ogni istante. È stufo di essere paziente e mandare giù rospi.
Lui non è uguale a Itachi.
Kisame va a nozze con l’acqua, ci scivola fluido attraverso quasi fuso con essa. È a suo agio nell’umido, può muoversi rapido, le sue possenti ossa da mezzo squalo non scricchiolano e non rischia malanni. Itachi, accanto a lui, è l’immagine di un misero fagotto.
Transitano ora sotto Obito sospeso nell’aria grigia, sa che non guarderanno su e neanche si volteranno indietro.
Nonostante Itachi sia ermetico nello stringere legami e, dopo Sasuke e Shisui non abbia più aperto il cuore a nessuno, a Obito non sfugge l’affinità che ha con Kisame. È l’unica squadra affiatata, Kisame è disposto a smussare il suo rude carattere solo per Itachi. Indulge sull’atteggiamento da automa di Itachi indispensabile per poter sopravvivere al dolore. Kisame capisce la macchina in cui Itachi si è trasformato per portare a termine gli obiettivi. D’altronde, a Itachi non resta altro. Ha solo diciannove anni e già aspetta la morte considerandola una liberazione, Kisame lo rispetta senza bisogno che Itachi chieda niente.
Una stilettata di acredine lacera, improvvisa, la pelle di Obito.
Perché Itachi non vede? Per quale motivo non gli è chiaro il prodigarsi di Obito in seguito alla responsabilità nata dopo quella notte?
Obito non ha mai avuto intenzione di abbandonarlo, è sempre lì, disponibile ad ascoltare eventuali suoi sfoghi. Pronto ad alleviargli, come può, sofferenza e malanni.
Ma Obito riceve in cambio solo disprezzo.
Sotto la freddezza, Itachi è ancora vivo, il rapporto con Kisame ne è la prova.
Lo sharingan si attiva senza volerlo, spesso basta una forte emozione per metterlo in allerta. L’acqua ha scavato la sua roccia fino in fondo, ora Obito è pronto a guardare in faccia il putrido tarlo che disseppellisce le sue zone più oscure.
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fogliodicarta · 2 months
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Fino a quando uno squillo sul telefono ti farà trasalire, una somiglianza per la strada ti sbatterà il cuore in gola, un profumo ti farà voltare, non potrai affermare di aver dimenticato.
Paola Felice,
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canesenzafissadimora · 10 months
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Fino a quando uno squillo sul telefono ti farà trasalire, una somiglianza per la strada ti sbatterà il cuore in gola, un profumo ti farà voltare, non potrai affermare di aver dimenticato.
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la-novellista · 11 months
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Il passeggero
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Il treno mi avrebbe portata alla destinazione scelta per una prima a teatro. In mano le figaro' ed incantata al finestrino a seguire i fiocchi di neve cadere. "Una fermata e la prossima stazione sarà la mia" pensai. Attesi la ripartenza con ansia, mentre i passeggeri appena saliti si accomodavano negli scompartimenti.
Ad un tratto mi fece trasalire una voce : " Posso? È libero?" Chiese un uomo facendo un cenno di saluto portando la mano al borsalino chiaro che indossava e che gli conferiva un'aria da gran Signore. "Certo si accomodi pure" risposi.
Sistemò la valigia e si sedette. Indossava un abito elegante corredato di gilet, un cappotto lungo scuro ed una sciarpa di seta che gli impreziosiva Ii collo.
Prese il giornale ed infilò gli occhiali, aveva delle mani bellissime, curate, le notai fare capolino dai fogli della rivista. Dopo poco il treno riprese la corsa e qualche attimo dopo abbassando il giornale e guardandomi da sotto gli occhiali disse: " Madame, posso dirle che ha un profumo delizioso?" Rimasi interdetta da quella affermazione: " Messieur, mi imbarazza, grazie. È il mio profumo da sempre. Il mio preferito. Un must have direi"
" Direi che ha ottimi gusti chapeau!" E riprese a leggere, ma non passarono nemmeno cinque minuti che disse: " Potrei sembrare inopportuno, forse anche un pò villano ma vorrei avere l' ardire di sapere dove si sta recando..." " Messieur, sto andando ad un concerto a Vienna e all'apertura invernale dei valzer..." L' uomo allora la interruppe: "Le sembrerà strano ma io sono un musicista e stasera suonerò lì. " " Meraviglioso" risposi " Adesso che l ho conosciuta sarà meraviglioso, ogni singola nota sarà la mia poesia per lei, vorrei vederla arrossire sentendosi sfiorare dalla mia musica e che sentendola pensi a me come io farò con lei. La prego non conceda alcun ballo, voglio essere io l' unico a tenerla vicino, tenere le sue graziose mani e sentirle battere il cuore. Mi concederà questa emozione Madame?"
" Ma Messieur come mi ritrovera' tra tutte quelle persone?"
" Semplice ogni musicista ha la propria Musa ed io anche tra milioni di persone la ricinoscerei perche' la sua anima questa sera vibrera' solo per me. Io sarò il Maestro delle sue emozioni e lei la mia poesia."
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greenbor · 5 months
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1 Meriggio arreso il mio, stanco e sognante, aspiro un profumo di femmina ad inebriarmi un respiro d'intenso desiderio, che sale, sale, sale sempre più, fino a farmi trasalire il cuore, dentro una virilità traboccante ed inaspettata, quel gonfiore turgido sul tuo fiore appena sbocciato all'amore, sulle tue labbra umide pronte a schiudersi in un bacio immortale.
2 Or dell'amore sovrasta in me l'impero dei suoi occhi e timido li abbasso appena con uno sguardo di finta indifferenza, quel rossore che tradisce le mie guance, quell'impeto tuo che mi corre incontro e mi abbraccia, e diventa un solo un corpo col il mio e mi bacia.
3 Ella così come m'appare, beltà sua, incanto d'innamoramento, nei suoi occhi rimango muto, con il suo sorriso impresso dentro, indifeso al suo fascino verginale di primo amore per lei.
4 Arriva, oltrepassa, valica, scorre oltre ogni diga, fluttua consapevole ad ogni respiro quella gioia dell'amore per lei.
5 Oblio.. qual sensazione possente ha l'oblio, qual gioia abbandonarsi all'oblio, lasciar cadere con fragore, ogni gioco della mente e dedicarsi a quell'estasi imperdibile in cui l'oblio ti porta...
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smokingago · 2 years
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Dammi le tue mani per l’inquietudine
Dammi le tue mani di cui tanto ho sognato
Di cui tanto ho sognato nella mia solitudine
Dammi le tue mani perch’io venga salvato.
Quando le prendo nella mia povera stretta
Di palmo e di paura di turbamento e fretta
Quando le prendo come neve disfatta
Che mi sfugge dappertutto attraverso le dita.
Potrai mai sapere ciò che mi trapassa
Ciò che mi sconvolge e che m’invade
Potrai mai sapere ciò che mi trafigge
E che ho tradito col mio trasalire.
Ciò che in tal modo dice il linguaggio profondo
Questo muto parlare dei sensi animali
Senza bocca e senz’occhi specchio senza immagine
Questo fremito d’amore che non dice parole
Potrai mai sapere ciò che le dita pensano
D’una preda tra esse per un istante tenuta
Potrai mai sapere ciò che il loro silenzio
Un lampo avrà d’insaputo saputo.
Dammi le tue mani ché il mio cuore vi si conformi
Taccia il mondo per un attimo almeno
Dammi le tue mani ché la mia anima vi s’addormenti
Ché la mia anima vi s’addormenti per l’eternità.
Louis Aragon
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strichinina · 10 months
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È la seconda volta che incontro Claudio in giro. Claudio, sì, magari funziona come con Voldemort per cui la paura di un nome non fa altro che incrementare la paura della cosa stessa e se lo dico ad alta voce, posso finalmente eliminarlo. Fa un sacco ridere il fatto che non provi neppure a salutarmi, che non rimanga di ghiaccio neppure un po' dopo aver incrociato il mio sguardo, ma continui serenamente a sghignazzare con i suoi amici dopo avermi vista, come se non esistessi, non fossi mai esistita, come se non avesse rovinato l'unico arco di tempo in cui valeva la pena vivere della mia esistenza. Non pretendo certo provi senso di colpa, non lo ha fatto mentre mi strappava via tutto, figuriamoci adesso. Ma lo scorpione che è in me avrebbe voluto vederlo reagire in qualche modo, trasalire almeno un po', che ne so, farlo riflettere su quanto schifo abbia fatto nei miei confronti.
E invece no. Le vite di tutti vanno avanti ridenti e baldanzose, mentre io rimango immobile a guardare lo schema che avevamo disegnato l'ultima estate felice del mondo, poco prima che nonna si ammalasse, con tutti i nomi dei personaggi di Dark, ormai sbiaditi, e le dediche ai margini.
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anja-anja · 1 year
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Un sabato di ottobre, ore 12:30
Ieri sera sono uscita dal lavoro e sono tornata a casa, volevo passare una serata tranquilla, ma ero agitata al pensiero della sera dopo, così per calmarmi sono stata costretta a masturbarmi un paio di volte con il vibratore che le mie amiche mi hanno regalato quando sono andata a vivere da sola.
Stamattina mi sono dedicata alla ricerca di quello che mi serve, in modo da aver tempo di prepararmi.
Ieri sera, mentre rincasavo avevo pensato a cosa mettermi. Dovevo andare in un club privé, quindi non era necessario che l’abbigliamento nascondesse quello che c’era sotto, era fin troppo evidente cosa andavamo a fare. Lungo la strada mi era venuto in mente che da qualche parte dovevo avere un paio di stivali che arrivavano subito sopra al ginocchio e con un vertiginoso tacco, che non avevo mai messo perché non li trovo adatti a me. Dopo colazione sono scesa in cantina e in effetti li ho trovati. Sono perfetti.
Poi sono uscita e sono passata in un negozio di intimo che conosco, dove ho trovato quello che cercavo: avendo già un’idea di quello che voglio indossare sopra ho scelto un completo bianco, con reggiseno e perizoma; ho preso anche due paia di calze autoreggenti anch’esse chiare, ma con una bellissima balza di pizzo nero in contrasto.
Un sabato di ottobre, ore 20:30
Ho passato il pomeriggio a rilassarmi sul divano, finché non è venuto il momento di prepararmi. Ho già scelto come vestirmi. Ho pensato che non mi interessa molto se avrò un aspetto da troia, anzi, forse è meglio così. Ho optato per una camicia bianca piuttosto stretta (sono abbastanza minuta nella parte superiore del corpo, seno piccolo e ventre piatto) e una gonna nera che evidenzia le mie curve.
Ho finito di preparami, mi sono truccata, mi sono sistemata e ho aspettato Filippo, che è arrivato dopo poco. Gli ho mostrato il mio abbigliamento e l’ho visto trasalire e ho capito di aver fatto centro.
Un sabato di ottobre, ore 22:30
Siamo partiti subito, anche se Bologna da Firenze si raggiunge in meno di un’ora, mi ha detto che saremmo andati a cena prima e comunque il posto è in provincia e quindi serve un po’ di tempo per raggiungerlo.
Abbiamo girato attorno alla città e ce la siamo lasciata alle spalle, inoltrandoci nella pianura a nord. Abbiamo mangiato qualcosa in un locale carino ma senza troppe pretese e ne ho approfittato per mandare giù un po’ di alcool. Ho detto che mi fido di Filippo ed è vero, ma la situazione mi sta comunque innervosendo. E’ tutto nuovo per me e sono agitata. A casa mi sono preparata un paio di spinelli, sapevo che mi sarei agitata e avrei avuto bisogno di calmarmi.
Siamo usciti nel freddo della sera autunnale, la campagna piatta inizia da essere avvolta dalle prime nebbie dell’autunno. Ho tirato fuori uno spinello e me lo sono acceso, dopo essermelo fumato stavo decisamente bene. Ho guardato Filippo e gli ho detto che ero pronta, potevamo andare.
Un sabato di ottobre, ore 23:00
Siamo arrivati. Da fuori non si capisce molto, ma dentro è chiaro di che genere di locale si tratta. Moltissimi uomini da soli, diverse coppie, nessuna donna non accompagnata. Beviamo qualcosa, intanto mi guardo attorno. In diversi mi hanno messo gli occhi addosso. Mi si nota. Non sono molto alta (con i tacchi arriverò si e no a 1,73), e non c’è molta luce, ma il mio abbigliamento, adesso che ho tolto la giacca e sono rimasta solo con la camicetta bianca aderente e la gonna, fa un certo effetto. Ho lasciato i capelli sciolti che mi cadono sulle spalle, ho messo un rossetto rosso acceso, un trucco piuttosto leggero e mi sono messa lo smalto nero sulle unghie. Ho adocchiato uno sgabello davanti al banco del bar che potrei usare per mettermi in vista, non ho ancora deciso cosa voglio fare, ma credo che non me ne andrò senza fare nulla. Mi alzo e vado a sedermi, accavallo le gambe in modo che si vedano le calze. Filippo mi raggiunge e mi chiede se ho deciso cosa fare. Avvicino la bocca al suo orecchio e gli dico che vorrei scopare con lui e altri due uomini. Mi dice di rimanere lì e farmi vedere, mentre lui fa un giro per vedere se trova qualcuno di adatto.
Una domenica di ottobre, ore 00:00
Uno l’ho trovato. E’ alto, forse oltre 1,90, bel fisico, capelli castani chiari tagliati corti. Gli ho fatto segno di avvicinarsi e lui mi ha raggiunto. Si chiama Paolo. ha 30 anni e un accento stranissimo. Nel frattempo è tornato Filippo. Il suo ospite è un uomo di circa 60 anni, con una pancia piuttosto prominente e i capelli radi. Mi fa un po’ schifo da vedere, ma decido di fidarmi di lui. Andiamo al piano di sopra dove ci sono le stanze. Filippo ne sceglie una con delle finestre che danno sul corridoio e mi chiede se mi va di farmi vedere. Accetto ed entriamo.
Una domenica d’ottobre ore 00:15
Siamo tutti e tre nella stanza. Filippo mi fa inginocchiare e lentamente inizio a slacciargli i pantaloni. Gli altri due guardano, ma vedo che si stanno nervosamente toccando il pacco. Inizio a succhiarlo, mentre con le mani li tocco. I due si spogliano in fretta e in breve tempo, per la prima volta in vita mia mi trovo con tre membri maschili a mia disposizione. Sinceramente non so come muovermi. Tenendo in bocca quello di Filippo, inizio a masturbare gli altri due. L’anziano (che nel frattempo ho scoperto chiamarsi Maurizio) si toglie i vestiti e poi si sposta alle mie spalle, presto imitato da Filippo; davanti a me rimane solo il gigante che mi porge il suo membro da succhiare. Sento quattro mani che mi abbassano la zip della gonna e me la sfilano, scoprendo il mio sedere. Poi Maurizio inizia a toccarmi la figa, mentre Filippo si dedica alla mia camicetta che dopo poco vola via. Mi hanno lasciata con solo l’intimo addosso. Filippo si avvicina al mio orecchio e mi chiede se va tutto bene. Rispondo di si e lui mi slaccia il reggiseno, mentre Maurizio mi sfila il perizoma. Ora sono sono in una stanza con tre uomini, quasi completamente nuda, con indosso solo le calze e gli stivali. La situazione si sta decisamente scaldando. Filippo guida il gioco e questo mi fa sentire sicura. Mi dice di sdraiarmi supina su una specie di pouf. Lancia a Paolo, il gigante, un preservativo; lui lo indossa, mi apre le gambe e inizia a scoparmi. Filippo mi mette un dito in bocca, mentre le mie mani stanno masturbando altrettanti cazzi. Il dito viene rapidamente sostituito dai sessi turgidi di Maurizio e Filippo, che si infilano alternativamente nella mia bocca. Filippo si avvicina di nuovo al mio orecchio e mi dice che adesso avrebbe aperto le tende delle finestre sul corridoio. Ho un brivido. Dopo pochi secondi sono in vetrina. Paolo mi scopa e sto succhiando Maurizio, mentre tutti possono vedermi. Filippo si avvicina con un preservativo e mi dice di metterlo a Maurizio. Lo incappuccio per bene e lo perdo di vista quasi subito. Dopo pochi minuti davanti alle vetrate c’è una piccola folla di avventori che guardano l’orgia nella stanza, orgia della quale sono la protagonista assoluta.
Per un attimo penso di fermarmi, poi intravedo un uomo piuttosto grasso, sulla cinquantina che, davanti alle finestre, ha iniziato a masturbarsi. Mi sento troia più che mai. Tre uomini mi stanno prendendo e un gruppo di dimensioni imprecisate mi guarda attraverso i vetri. Filippo si avvicina e dice a Paolo di sdraiarsi a terra, poi mi guida sopra di lui. Lascio partire un sospiro di piacere e inizio a cavalcare. Filippo si avvicina e mi prende il viso tra le mani, mi guarda e non dice nulla. Poi capisco tutto quando sento il sesso di Maurizio che cerca di farsi strada nel mio culo.
A Marco il sesso anale non piaceva e lo abbiamo fatto pochissime volte. Di fatto il mio culo era vergine o quasi quando ho conosciuto Filippo, che si era rivelato fin dall’inizio un estimatore dell’articolo e se lo era preso più volte. Maurizio sputa sul mio buchetto, ci infila un dito e poi inizia a penetrarmi, prima piano, poi sempre più a fondo. Filippo è in un angolo guarda i due che mi stanno prendendo e quelli fuori che mi guardano. Il suo membro è duro ed eretto, lo tiene in mano e non so cosa voglia fare. La situazione è eccitante oltre ogni mia immaginazione. Maurizio mi ha spinto il busto in avanti e adesso si è messo alle mie spalle e sento il suo sesso che mi possiede il culo. Godo. Un forte orgasmo mi squassa, mentre i due continuano a prendermi in tandem.
Filippo bussa con la nocca contro il vetro e fa segno a due fuori di avvicinarsi e guardare. Con la coda dell’occhio vedo che il pubblico è aumentato, ora ci sono almeno 4 o 5 uomini appoggiati ai vetri con i loro membri turgidi in mano che mi guardano. Dopo pochi secondi anche la mia bocca è occupata dal membro di Filippo che succhio avidamente. Gli altri due continuano a possedermi assieme. L’occhio mi cade sulle vetrate e mi accorgo che il pubblico aumenta, ora c’è anche qualche donna.
Ora Filippo toglie il suo membro dalla mia bocca, si avvicina, mi bacia e mi chiede se sono pronta per il finale. Dico di si. Va davanti alla vetrata, guarda una donna fuori, bionda, capelli lunghi, sui 40 anni e le fa segno se vuole entrare. Solo lei, niente uomini. La bionda accetta e dopo poco è dentro la stanza con noi. Vedo Filippo sussurrarle qualcosa all’orecchio e lei fare cenno di si con il capo. E’ vestita solo con una guepiére nera, delle calze e un perizoma. Nel frattempo i due porci sono riusciti a procurarmi un nuovo orgasmo.
Filippo gli dice di fermarsi, quelli escono da me e lui mi prende per mano e mi porta davanti alla vetrata. Vedo quelli fuori che mi guardano, mi appiccico al vetro per qualche istante per farmi vedere e poi, come ordinatomi da Filippo mi metto alla pecorina davanti al vetro, in modo che tutti possano vedermi bene. Ho già goduto due volte, ma quella sensazione di essere lì, esposta alla vista di tutti mi eccita ancora. I due ospiti si sono tolti il profilattico e i loro membri sono davanti alla mia bocca, che inizia a succhiarli. Filippo va alle mie spalle e senza alcuna difficoltà me lo mette in culo. La bionda è di fianco a me e mi accarezza la schiena e il seno. Adesso sento i colpi decisi di Filippo, che mi dice di far venire nella mia bocca i due tizi. Li succhio uno alla volta, muovo la pelle avanti e indietro, mentre la penetrazione anale mi sta facendo impazzire e la bionda ogni tanto mi bacia tra una leccata e l’altra.
Maurizio è il primo a venire, gorgoglia qualche parola senza senso, mi mette una mano dietro alla testa e la sua crema calda inonda la mia bocca. La bionda raccoglie con la lingua le gocce che cadono e dopo pochi istanti è la volta di Paolo che mi afferra con decisione per i capelli e mi riempie la bocca e il viso con il suo sperma. Godo di nuovo mentre la bionda, come prima, ripulisce quello che esce dalla mia bocca, anche perché in tutto questo Filippo sta continuando a scoparmi il culo. Infine tocca a lui. Lo sento che sta per venire e improvvisamente un getto di sperma caldo riempie il mio ano, poi ancora e ancora. Si toglie e la bionda va rapidamente a raccogliere lo sperma che esce dal mio buchetto, mentre Paolo e Maurizio le toccano la figa e i seni. Lecca accuratamente il mio ano e il cazzo di Filippo e raccoglie tutto lo sperma, finché stimolata dalle mani dei due e dalla situazione anche lei non ha un orgasmo . Io mi sono accasciata con i gomiti sul pavimento, sono esausta, quando lei arriva e mi bacia. Non ho più la percezione della realtà le nostre lingue si attorcigliano scambiandosi i sapori di quei tre uomini. Poi guardo fuori e vedo che almeno tre uomini si sono masturbati guardandoci.
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mancino · 11 months
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Fino a quando uno squillo sul telefono ti farà trasalire, una somiglianza per la strada ti sbatterà il cuore in gola, un profumo ti farà voltare, non potrai affermare di aver dimenticato.
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pedrop61 · 2 years
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IL SABOTAGGIO DI NORD STREAM, CUI PRODEST?
La Russia che mina le acque di Odessa, così da non poterla raggiungere via mare. La Russia che bombarda la centrale nucleare di Zaporizhzhia, già sotto il suo controllo. E ora, la Russia che si buca da sola il condotto del Nord Stream, l’enorme gasdotto che nasce a Vyborg, attraversa i 1.200 km del mar Baltico e termina a Greifswald, in Germania. Una mostruosa struttura che porta ogni giorno nelle casse di Mosca un miliardo di Euro.
Con questa fanno tre. Una terna agognata da chi ci crede, e che per ignavia intellettuale non riesce ad abbandonare le trincee segnate dal sistema e bombardate dalla Propaganda, rimanendo intrappolato nella sua condizione di scemo di guerra in tempo di pace.
Per mesi Putin è stato dipinto come l’inverecondo ricattatore che gioca ad aprire e chiudere il gas, il sadico che gode nel prospettarci lo spettro di un gelido inverno e di un’economia in serrata. Ora il cinico calcolatore, non si capisce perché, perde la testa e si priva della sua miglior arma di ricatto. Anziché continuare ad utilizzarla modulando strategicamente il flusso del gas, se ne disfa. Torna il proverbiale masochismo dei Russi, già manifestato a Odessa e Zaporizhzhia.
Già questo basterebbe per darci un’idea delle dimensioni della bufala che vorrebbero propinarci. Ma se aggiungiamo alcune semplici considerazioni, capiamo che media e governanti ci credono incapaci di distinguere un lingotto d’oro da una mattonella.
Alcuni parlano di un quintale di tritolo piazzato da uomini rana, il doppio del quantitativo usato nella strage alla stazione di Bologna. I più temerari parlano di un sommergibile russo che ha sganciato un siluro contro la struttura, in uno specchio di mare saturo di navi da guerra. Tutto questo i Russi l’avrebbero fatto a meno di dodici miglia nautiche dall’isola di Bornholm, dunque in acque territoriali della Danimarca, che è membro della Nato.
In una porzione di mare controllatissima, su cui lo Stato costiero esercita una sovranità piena. Deve solo consentire il cosiddetto «diritto di passaggio inoffensivo» alle navi straniere, anche militari, purché si limitino soltanto a passare, su rotte concordate.
Per dare un’idea, l’art. 19 della Convenzione di Montego Bay considera offensivo, fra i tanti, il comportamento di una nave straniera che pesca senza permesso in acque territoriali. E se ogni passaggio offensivo legittima lo Stato costiero ad usare la forza, si comprende l’estrema gravità e la scarsissima credibilità del comportamento attribuito alla Russia, che avrebbe rischiato il massimo per colpire se stessa.
È poi risaputo che gli USA hanno sempre visto, fin dagli albori del progetto, il Nord Stream come il trait d’union tra Russia ed Europa, quindi come il fumo negli occhi. Tanto da far trasalire anni fa il mite sindaco tedesco della cittadina di Greifswald, quando si vide recapitare una lettera di tre senatori del Congresso USA, che gli intimavano di revocare l’autorizzazione all’attracco delle navi russe che sbarcavano materiale e forza lavoro per la costruzione dell’imbocco del gasdotto su suolo tedesco. E propinando al mondo le imbarazzanti dichiarazioni di Biden, che in una conferenza stampa minacciò di porre fine al Nord Stream se la Russia avesse invaso l’Ucraina. Dichiarazioni esplosive, ma che le nostre tv si guardano bene dal mandare in onda.
A questo punto, chissà quanto lo pagheremo lo scadente ed ammorbante gas liquido che gli americani, in un raro slancio di solidarietà, hanno assicurato di volerci consegnare in futuro a quadrilioni di tonnellate, ma al prezzo legato agli umori del listino di Amsterdam. Solo lo scemo di guerra in tempo di pace non arriva a capire cui prodest questo gravissimo atto di sabotaggio.
Che più che danneggiare la Russia, fotte noi europei, colpevoli di aver tentennato un po’ troppo nel rifiutare il buon gas di Mosca a prezzi stracciati. Come dire: se non riesci ad impiccarti, sarò io a strozzarti.
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