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#traversata atlantica
autolesionistra · 1 year
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Caro diario, venerdì scorso sono stato a suonare ad un centro anziani (perché mi piacciono le vite spericolate, di quelle vite fatte così). Mentre smontavo armi e ritagli (cit.) mi si avvicina un vecchino di quelli modello vintage con giacca oversize, opacità corneale e la mano tesa per stringertela prima ancora di aprire bocca.
Sa, suonavo anch'io una volta. e mentre pensavo di imbarcarmi in due chiacchiere di circostanza sono finito in realtà in una traversata atlantica di emozioni.
Suonavo la chitarra, ma la musica non la conoscevo proprio e il direttore che era un clarinettista bravo ma molto severo mi prende da parte e mi dice, senti, tu basta che fai gli accordi giusti e vai a tempo e va benissimo così, e io quello facevo. Sul genere musicale suonato resta un'alone di mistero, mi ha risposto "musica da ballo" e io stavo per dirgli che nella mia testa è un genere che va dalla pizzica ai prodigy ma si faceva un po' fatica a spostare il fiume della conversazione, perché a quel punto eravamo già passati al fatto che lui suonava per arrotondare (con un clarinettista che era davvero molto severo), perché di giorno faceva il ragioniere al mulino di Cento, e sa quanto macinavamo? ottanta tonnellate al giorno [o qualcosa del genere] e le farine le so tutte, c’è la triplo zero, la doppio zero [...] la due, poi c'è quella integrale poi si va ai sottoprodotti che vengono dati agli animali, però non erano mica uguali da vendere, sa da quant'era la marca da bollo sulle fatture per le farine alimentari? duemila lire! ma quella per le farine da animali no, era più bassa. Poi mi sono perso un attimo a notare il contrabbassista e mia sorella che qualche metro dietro di lui mi guardavano con un misto di aria perculatoria e "se ti vuoi sganciare fingiamo un malore" ma tutto sommato andava bene così.
Solo che poi la storia ha preso una piega triste perché sa, mi ha portato qui mio figlio, per distrarmi, mia moglie è morta una quindicina di giorni fa, poi è tornato a parlare di Cento, poi del comodino con la foto della moglie perché sa, mia moglie non c’è più, credo da una quindicina di giorni, e per noi cristiani la croce è un bel simbolo però quando la guardo di fianco alla foto di mia moglie sto tanto male e gli era venuto l'occhio lucido, e io al di là di qualche frase di circostanza davvero non sapevo che dirgli perché sopravvivere alla persona con cui campi ⅚ della tua vita è uno di quei dolori che cosa vuoi dirgli, puoi solo toglierti il cappello in silenzio, e me l’ero già tolto. Improvvisamente si è riavuto, è tornato sereno e sì sono qui con mio figlio, mi ha portato qui per distrarmi, domani vado a pranzo dall’altro mio figlio. Con un sorriso a trentadue denti aggiunge sa, ho quattro nipoti  facendo un quattro con la mano che ondeggiava un poco.
Ci siamo salutati, poi ho incrociato il figlio che anche lui è un gran bel personaggio e ho finito di smontare cose.
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L’esperienza per le strade di Rabat, l’incontro con Rashid, il contatto con una cultura profondamente diversa... Prosegue il mio percorso alla ricerca di storie, di essenze, di vite che si incrociano e si dividono, di verità.
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fashionbooksmilano · 5 years
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Six wonderful days
Un invito al viaggio sulle grandi navi italiane
a cura di Elisa Coppola
saggi di Silvia Barisione, Francesco Calaminici e Anna Zunino, Maurizio Calvesi, Cecilia Chilosi, Elisa Coppola, Gillo Dorfles, Matteo Fochessati, Ernesto Franco, Maria Teresa Orengo, Aldo Padovano, Paolo Piccione.
Tormena Editore 1948 , Genova 2002,  256 pagine, ISBN  978-8884800633
euro 70,00 esaurito presso l’editore
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Genova, Museo dell'Accademia Ligustica di Belle Arti, 13 dicembre 2002 - 16 febbraio 2003.
Erano davvero giorni indimenticabili. Erano quei six wonderful days che accompagnavano la traversata dell'Atlantico, da Genova a New York, a bordo di navi dai mitici nomi, il Conte Biancamano o il Vulcania, il Rex o l'Andrea Doria, la Cristoforo Colombo o la Michelangelo. Ecco allora, questo "Invito al Viaggio" attraverso gli slogan della pubblicità e i bellissimi manifesti; attraverso gli ambienti fatti di confort allora impensabili, atraverso gli oggetti d'uso quotidiano che hanno segnato un'epoca.
La mostra vuole essere un invito al viaggio sui grandi transatlantici italiani del Novecento attraverso i materiali della promozione pubblicitaria e delle varie forme di comunicazione. Manifesti, bozzetti esecutivi, brochures, dépliants, cartoline, menu, fotografie, video e film testimonieranno le diverse tecniche e strategie di promozione adottate dalle compagnie di navigazione italiane e sottolineeranno la loro evoluzione in stretta connessione con i cambiamenti sociali, politici, tecnologici e estetici che hanno caratterizzato la storia italiana e internazionale dagli inizi del Novecento agli anni Settanta. Il visitatore sarà  il protagonista di un viaggio immaginifico, seguirà  l'evolversi del gusto e del costume e la costruzione del mito delle "città  galleggianti", assurte a simbolo di un'epoca e ormai entrate nell'immaginario collettivo, assisterà  al passaggio dal "viaggio" alla "vacanza" fino alla "crociera".
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giancarlopedote · 2 years
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I 5 giorni Prima della Traversata Oceanica Atlantica in Barca a Vela [co...
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Cristoforo Colombo: Breve dissertazione sull’uomo, il suo tempo ed il mito
Chi è stato Cristoforo Colombo? Qual è stato il suo ruolo nella scoperta europea e nella successiva invasione del continente che oggi chiamiamo Americhe?
Queste alcune delle domande che hanno spinto la realizzazione della seguente breve relazione, che si propone di ripercorrere i tratti salienti della vicenda del navigatore genovese, senza mai perdere di vista l’ambito più generale in cui questa prese le mosse, nonché tenendo sempre da conto che nella persona di Colombo “Storia” e “storie” dimostrano la loro inscindibilità, e che spirito critico e metodo rigoroso sono essenziali nell’indagine storica.
Il contesto
Cristoforo Colombo nacque a Genova nell’autunno del 1451. La città ligure era all’epoca uno dei principali poli commerciali del Mediterraneo e dopo la pace di Lodi del 1454 poté godere della relativa stabilità nella Penisola per dedicarsi più proficuamente ai suoi traffici marittimi. A questi partecipò lo stesso Colombo, viaggiando prima con suo padre e poi con altre grandi compagnie mercantili genovesi, cominciando così ad acquisire le prime competenze in materia di navigazione.
Se però l’Italia stava conoscendo un quarantennio di sostanziale pace, lo stesso non poteva dirsi per l’area del Mediterraneo orientale. Nella prima metà del XV secolo l’Impero Ottomano era penetrato nei Balcani e due soli anni dopo la nascita di Colombo, nel 1453, aveva conquistato Costantinopoli, decretando la fine dell’Impero Romano d’Oriente. Per Genova ciò significò la perdita definitiva di un accesso più agevole alle sue tratte d’elezione, cioè quelle che dall’Asia transitavano per il Mar Nero, mentre per l’Europa cristiana in generale costituì un ulteriore sprono a un fenomeno che già aveva preso avvio all’inizio del secolo: la ricerca di una nuova via per i mercati asiatici.
Sotto Enrico il Navigatore, infatti, il regno del Portogallo aveva intrapreso una campagna di esplorazione e costruzione di basi lungo le coste dell’Africa atlantica conquistando Ceuta nel 1415, occupando Madera, le Azzorre e Capo Verde fra il 1420 e il 1456 e arrivando nel 1487 a raggiungere l’estremità meridionale del continente con la spedizione di Bartolomeu Dias. L’idea di evitare di trattare con il mondo islamico per ottenere le merci asiatiche si accompagnava peraltro ad un’attiva lotta contro quest’ultimo che proprio nella penisola iberica aveva conosciuto il fronte più intenso con le diverse fasi della cosiddetta Reconquista. Accanto al Portogallo, dunque, avvantaggiato per posizione geografica nell’esplorazione oceanica, venne a trovarsi il regno di Castiglia, che anche prima della conquista di Grenada nel 1492 aveva cominciato a interessarsi ad una espansione marittima.
Questo interesse castigliano per l’Atlantico, frustrato dal dinamismo portoghese e dalla efficace resistenza degli arabi in Marocco, riuscì però a trovare sbocco in un altrettanto inappagato progetto: quello di Cristoforo Colombo di attraversare l’Oceano verso ovest per raggiungere l’Asia. Colombo si era infatti stabilito in Portogallo nel decennio precedente e lì aveva potuto apprendere le tecniche della navigazione oceanica e proporre la sua idea alla corte di Giovanni II, che si era però rifiutato di appoggiare l’impresa. Di altro avviso si dimostrò la regina di Castiglia, Isabella. Dopo il Trattato di Alcáçovas del 1479 con il Portogallo, infatti, alla Castiglia era stato proibito l’accesso all’Atlantico a sud delle Canarie; conseguentemente, le era stato reso impossibile raggiungere l’Asia viaggiando verso est, lasciando quindi aperta solo la via ad ovest, mai tentata prima e da molti ritenuta impercorribile. Fu così che, nel 1492, Colombo poté intraprendere quella traversata che tanto lo rese celebre e che ebbe un influsso decisivo sulla storia mondiale.
 Il progetto di Colombo
L’idea di Colombo di attraversare il Mar Oceano per raggiungere l’Asia maturò quindi in un contesto di grandi trasformazioni degli orizzonti geografici, culturali e tecnologici. La cartografia in particolare aveva fatto importanti progressi e la realizzazione di mappe più dettagliate aveva reso più concreto ciò che era a lungo vissuto soprattutto nella sola immaginazione degli studiosi. È proprio da questo ambito di studi che prese forma il pilastro dell’intero progetto del navigatore genovese, ovvero l’idea, errata, del fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli secondo cui la distanza fra l’attuale Giappone e l’Europa lungo il Mar Oceano sarebbe stata molto minore di quanto fino ad allora ritenuto. Ad oggi sappiamo che i suoi calcoli erano sbagliati, per cui la distanza considerata era circa un terzo di quella reale, ma anche all’epoca non mancarono gli scettici.
Colombo non era però, per l’appunto, fra questi, ed anzi sposò a tal punto le posizioni del Toscanelli da scommettere sulla praticabilità di una rotta che, partendo dalle coste iberiche, avrebbe raggiunto il pressoché mitico “Cipango”, descritto da Marco Polo sulla base di informazioni raccolte in Cina. La forza di questa convinzione è testimoniata anche dal fatto che, pur di fronte all’evidenza degli errori di calcolo del Toscanelli, verificati già col viaggio del ’92, Colombo finì i suoi giorni convinto di essere comunque giunto in prossimità dell’Asia. Da questa certezza, condivisa da molti almeno fino all’esplorazione delle coste settentrionali da parte di Vespucci e al ritorno di Pigafetta dalla spedizione circumglobale di Magellano, deriva l’utilizzo del termine Indias per riferirsi al nuovo continente, che ebbe lunga fortuna prima di essere soppiantato da quello di “America” anche nell’uso comune.
Prima del 1492, però, a vigere era lo scetticismo verso le idee di Toscanelli, seppur per l’altrettanto errata idea che la distanza oggetto di discussione fosse molto più grande di quella effettiva. La spedizione proposta da Colombo appariva dunque, agli occhi di molti, totalmente impraticabile. Non deve sorprendere, quindi, se il re di Portogallo Giovanni II declinò le richieste di Colombo di supportare il suo progetto; di fronte all’incertezza di un piano basato sull’azzardo, la corona portoghese preferì puntare sul consolidamento di una direttrice più sicura e da più tempo inaugurata, cioè quella verso sud-est lungo le coste africane. Come detto nel paragrafo precedente, però, quell’azzardo costituiva l’unico modo con cui la Castiglia poteva pensare di raggiungere l’Asia. Nonostante, quindi, l’avversione di una parte del mondo degli studiosi e grazie, però, anche a una cordata di banchieri italiani che decisero di finanziare il progetto insieme alla corona, venne trovato un accordo fra Colombo e Isabella di Castiglia che, formalizzato nelle Capitulaciones de Santa Fe nell’aprile del 1492, diede il via ai preparativi per la spedizione.
Con le Capitulaciones, peraltro, il navigatore genovese non otteneva solo un semplice appoggio finanziario, bensì tutta una serie di privilegi: dal semplice diritto a reclamare per sé una percentuale sulle merci che sarebbero state inviate dalle terre eventualmente conquistate, all’ottenimento del titolo di viceré delle suddette terre, nonché di quello di ammiraglio del Mar Oceano, passando per il monopolio sui futuri viaggi lungo la rotta da lui inaugurata. Colombo sarebbe così diventato, anche se solo per delega, il de facto padrone delle “islas y tierras firmes” che avrebbe scoperto. Nei fatti, però, le cose non sarebbero andate esattamente come pianificato.
 Il primo viaggio e il Contatto (1492-1493)
Forte di quanto stabilito nelle Capitulaciones, Colombo partì dal porto di Palos il 3 agosto del 1492. La piccola flotta era composta di tre sole navi, due caravelle e una caracca, le famose Niña, Pinta e Santa Maria. Erano tutti e tre tipi di legni ideati o modificati dai portoghesi nei decenni precedenti proprio al fine della navigazione oceanica, soprattutto per quanto riguardava le caravelle. Dopo una tappa di spostamento verso le Canarie al fine di sfruttare al meglio i venti alisei, la spedizione riprese la navigazione in settembre e solo dopo più di un mese, il 12 ottobre, raggiunse finalmente la terraferma; il viaggio si era rivelato molto più lungo del previsto e non erano mancate le tensioni a bordo delle imbarcazioni, ma per fortuna di Colombo non si verificarono ammutinamenti.
La terra raggiunta era quella delle attuali Bahamas, e l’isola quella di Guanhani, ribattezzata da Colombo in San Salvador. Fu così che, oltre al primo contatto con il nuovo continente, comunque scambiato per un arcipelago asiatico, avvenne anche il primo contatto con le popolazioni indigene; i Taino. Diffusa in larga parte degli attuali Caraibi, quella dei Taino era una civiltà molto diversa non solo da quella europea, ma anche da quella azteca o inca: organizzati principalmente in tribù, privi di “città” e di reti infrastrutturali, quantomeno se pensate in termini europei, l’impressione che questi popoli fecero alla spedizione colombiana fu quella che si trascinò nei secoli successivi, ovvero quella di trovarsi di fronte a cosiddetti “selvaggi”. Come tali, perciò, i Taino vennero fin da subito trattati. Piuttosto che essere riconosciuti come soggetti alla pari, essi vennero considerati come l’oggetto di una serie di azioni fondamentali, esseri plasmabili da: civilizzare, ovvero cristianizzare; sfruttare come forza lavoro, o comunque come fonte d’approvvigionamento delle risorse locali tramite tributi. Durante il primo viaggio i rapporti fra Colombo e i suoi con gli indigeni furono comunque sostanzialmente pacifici e, con l’aiuto di alcuni di essi, usati come interpreti e guide, poté esplorare la regione, venendo a raggiungere le attuali Cuba e Hispaniola, dove vennero lasciati alcuni membri della spedizione prima di ripartire alla volta della Spagna.
Nonostante le scoperte effettuate, però, il ritorno in Europa fu denso di incertezze; l’oro tanto agognato era stato trovato solo in scarse quantità, e soprattutto in forme già lavorate dagli indigeni, mentre delle spezie asiatiche non v’era alcuna traccia. Nonostante ciò, quanto trasportato alla corte di Castiglia fu sufficiente a convincere i reali a sostenere un secondo viaggio. Colombo avrebbe così potuto continuare le sue esplorazioni, avendo dimostrato che il Mar Oceano non era quella massa d’acqua impercorribile che gli contestavano e aprendo la strada alla rotta occidentale verso quelle che, pur a torto, si pensava fossero le indie.
 Apogeo e declino (1493-1504)
Il ritorno di Colombo e la sua descrizione delle nuove terre scoperte fu da subito un fatto importantissimo e carico di conseguenze su ampia scala. Innanzitutto, Spagna e Portogallo avrebbero dovuto ridefinire quegli accordi sulla spartizione del mondo extra-cristiano in zone di influenza inaugurati dal Trattato di Alcáçovas del 1479. Nel 1493, infatti, Papa Alessandro VI stabilì una nuova linea di demarcazione, posta a 100 leghe ad ovest delle isole di Cabo Verde: i territori non cristiani ad est di questa linea avrebbero potuto essere rivendicati dal Portogallo, mentre quelli ad occidente dalla corona spagnola. Il rifiuto portoghese di accettare tale divisione portò però, nell’anno successivo, a un trattato discusso direttamente fra Spagna e Portogallo e solo più tardi ratificato da un altro papa, Giulio II; il Trattato di Tordesillas. In base all’accordo, la linea sarebbe stata posta non più a sole 100 leghe dalle coste capoverdiane, bensì a 370. Questa decisione si sarebbe rivelata fortunata per i portoghesi, poiché parte della costa dell’attuale Brasile, all’epoca non ancora scoperta, sarebbe rientrata nella loro sfera d’influenza, permettendone la colonizzazione a partire dall’approdo di Cabral nel 1500.
Per quanto riguarda più direttamente Colombo, invece, il ritorno ad Hispaniola nel 1493 segnò l’apice della sua carriera, ma anche l’inizio altrettanto rapido del suo declino. Il tentativo durato tre anni di creare una colonia stabile, di trovare più oro e di proseguire l’esplorazione della regione si scontrò con le avversità climatiche ed i primi conflitti con gli indigeni, che si ribellarono a quella che, in sostanza, era una condizione di lavoro forzato. Ma non fu solo il conflitto con gli indigeni a generare problemi al Viceré; i malumori generatisi nell’aristocrazia spagnola per la gestione dei nuovi territori da parte di Colombo aumentarono infatti col tempo.
Nonostante le difficoltà, il navigatore genovese riuscì a tornare in Castiglia nel 1496 e a ripartire dopo circa due anni, nel maggio del 1498. Questa volta, però, il dissenso della nobiltà spagnola sfociò in aperta ribellione e, nel 1500, Colombo fu arrestato e condotto in Spagna, dove fu privato del titolo di viceré e del monopolio sui viaggi verso le nuove terre, ma anche liberato dalla prigionia grazie ai suoi legami con la corona. Riacquisita la libertà, Colombo riuscì ad ottenere il permesso per un quarto, ed ultimo, viaggio fra il 1502 e il 1504, che lo portò ad esplorare la costa orientale dell’America centrale.
 Colombo raccontato
Il 20 maggio 1506, all’età di 55 anni, Cristoforo Colombo morì. A non spegnersi, però, furono i contenziosi che in vita aveva aperto per vedere ripristinati i diritti a lui accordati nelle Capitulaciones del 1492, di cui si sentiva ingiustamente privato. Se, infatti, Cristoforo era uscito, almeno di persona, di scena, così non lo era il suo cognome; anche la sua famiglia era infatti entrata a far parte della nobiltà castigliana, come “Colón”, e avrebbe dimostrato di non voler rinunciare ai privilegi inizialmente accordatigli. In particolare, fu il figlio Diego a riuscire a ricoprire nuovamente, seppur in maniera non continuativa e con poteri limitati rispetto a quelli paterni, i ruoli di viceré delle Indie e di ammiraglio del Mar Oceano fra il 1509 e il 1526.
Fu così che l’immagine di Cristoforo Colombo, che come ogni uomo di potere già in vita aveva dovuto costruirsi e difendere dagli attacchi degli avversari e, quando ancora era un semplice avventuriero, dei critici, subì un processo tutt’oggi in atto di trasformazione strumentale. Colombo fu un conquistatore sanguinario o uno scopritore di spirito umanista? Fu un despota o un governatore giusto ed equilibrato? Fu un genio incompreso o un semplice folle ad azzardarsi a intraprendere la rotta verso ovest?
È difficile rispondere a tali domande, perché fin dal XVI secolo si assistette a una proliferazione di fonti che pretendevano di restituire la “vera” storia di Colombo. Da una parte i suoi detrattori, dall’altra i suoi sostenitori e in particolar modo la sua famiglia. Chi ha detto la verità? A chi dare ascolto, tenendo considerato che sostanzialmente entrambe le parti avevano dei cavalli nella corsa all’eredità, in senso più o meno figurato, del navigatore genovese? Attribuire o meno la scoperta di un determinato territorio a Colombo, per esempio, poteva stabilire chi avrebbe dovuto governarlo. Ancora; riconoscere la veridicità delle accuse di violenza che gli erano state rivolte al tempo del governatorato su Hispaniola avrebbe fatto pendere o meno i piatti della bilancia a favore dei Colón nella pretesa di riottenere il titolo di viceré. In questo modo, Colombo diventò, a seconda di chi ne parlava, un essere abietto o un “servo di Dio”, mentre posizioni più sfumate, ma non per questo necessariamente più vicine alla realtà dei fatti, hanno avuto meno risalto nel dibattito.
“Cristoforo Colombo” finì quindi per diventare più il simbolo di qualcosa, che il nome di qualcuno. In Spagna, per ridimensionare le pretese dei Colón-Colombo e per stabilire un maggior controllo della corona sulle Indias, Cristoforo passò dall’esserne il “primo scopritore” ad “uno degli scopritori”, servo leale dei reyes católicos. Quando la Spagna, a partire da Carlo V, diventò una, se non la più grande delle potenze europee, la propaganda dei suoi avversari fece buon uso della leyenda negra, e le storie sulle violenze ai danni degli indigeni di Colombo furono accostate a quanto raccontato da Bartolomé de Las Casas.
Quando, però, nacquero gli Stati Uniti d’America, le cose cambiarono di nuovo. Il neonato stato, nella ricerca di simboli esterni alla tradizione anglosassone e quindi alla madrepatria con cui aveva appena concluso una guerra d’indipendenza, trovò nel navigatore genovese un emblema della costruzione di un mondo nuovo, o meglio di un Nuovo Mondo, dando il nome di Columbia al distretto in cui venne a sorgere Washington, la capitale statunitense. Ed è sempre negli USA che venne a rafforzarsi il mito positivo di Colombo, come testimonia la World’s Columbian Exposition dedicatagli nel 1893, ovvero all’incirca nel 400° anniversario dallo sbarco a Guanhani. In questo contesto già favorevole alla figura del genovese, quindi, gli emigrati italiani colsero fin dal XIX sec. l’occasione per fare della sua figura un ponte identitario fra la Penisola e l’America, prodigandosi per l’erezione di statue celebrative e per l’istituzione, prima a livello locale e poi federale, di feste a ricordo dell’impresa colombiana, culminanti nella ormai famoso, nonché problematico, Columbus Day, il 12 ottobre.
Soprattutto durante la seconda metà del ‘900, infatti, si sono fatte sempre più forti e rilevanti le voci di chi, nel contesto della lotta per i diritti degli afroamericani e delle popolazioni precolombiane o loro discendenti, la rinnovata attenzione sulla brutalità con cui avvenne la colonizzazione delle Americhe da parte degli europei trovò ancora una volta in Colombo un simbolo contro cui scagliarsi. Grazie a queste suggestioni, però, si è anche reso possibile sottrarre la figura di Cristoforo Colombo ad una visione che è stata decisamente celebrativa e probabilmente poco storica per lunghissimo tempo. Nuove indagini e nuove sensibilità si sono quindi fatte carico, e continuano tutt’ora, di riscoprire la storia di un personaggio di cui molti pensano di sapere tutto, ma della cui persona forse sappiamo ancora poco o niente.
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algamaeditore · 4 years
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SHERLOCK HOLMES, CHARLIE CHAN E IL SALVATAGGIO DEL TITANIC - EDIZIONE SPECIALE
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Tornano I gialli di Crimen, in edicola e in ebook con Sherlock Holmes, Charlie Chan e il salvataggio del Titanic, per l’occasione in edizione speciale su Algama   Siamo giunti all'appuntamento numero 14 con gli speciali apocrifi di Sherlock Holmes, in edicola e in ebook. Per tutti gli appassionati il nuovo numero è disponibile anche in edizione speciale digitale La trama: Febbraio 1912. Sherlock Holmes e John Watson si trovano a San Francisco a un convegno internazionale di medicina legale. Affascinati dalla fama delle Isole Hawaii, decidono di prolungare il loro soggiorno con una vacanza nell’Arcipelago dei sogni. Durante la navigazione fanno conoscenza con un eccentrico personaggio di origini cino-americane, il giovane ispettore della polizia di Honolulu Charlie Chan, di ritorno dalla luna di miele con la bella moglie Elizabeth. La piacevole crociera è funestata dalla brutale aggressione a un passeggero, un riservatissimo prete protestante. Il religioso, pur colpito a morte, riesce a pronunciare un accorato quanto inspiegabile ammonimento. È l’inizio di un’avventura serrata che, a un mese e mezzo dalla tragica prima traversata atlantica del Titanic, condurrà il re degli investigatori e il suo storico aiutante, assieme al loro nuovo insolito collaboratore, dentro ai misteri che circondano il viaggio inaugurale del più lussuoso piroscafo che abbia mai solcato i mari. Read the full article
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freedomtripitaly · 4 years
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Un viaggio di sette notti tra Southampton, nel Regno Unito, e New York. E’ la traversata atlantica firmata dalla Queen Mary 2 di Cunard, rappresentata in Italia da Gioco Viaggi, per rivivere i fasti indimenticabili e la spensieratezza dell’età del jazz, in cui le serate da ballo erano accompagnate dalle note dal vivo di un’intera orchestra. [...]→ https://ift.tt/2QMonmw Queen Mary 2: ecco il programma delle crociere transatlantiche a tema Un viaggio di sette notti tra Southampton, nel Regno Unito, e New York. E’ la traversata atlantica firmata dalla Queen Mary 2 di Cunard, rappresentata in Italia da Gioco Viaggi, per rivivere i fasti indimenticabili e la spensieratezza dell’età del jazz, in cui le serate da ballo erano accompagnate dalle note dal vivo di un’intera orchestra. [...]→ Un viaggio di sette notti tra Southampton e New York. E' la traversata atlantica Cunard, per rivivere i fasti indimenticabili dell’età del jazz
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corallorosso · 7 years
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La costruzione del dirigibile Hindenburg 1932 L'LZ 129 Hindenburg è stato uno zeppelin tedesco. Portava il nome del Presidente della Germania, Paul von Hindenburg, ed è stato il più grande oggetto volante mai costruito. Aveva una struttura innovativa, interamente in alluminio: 245 m di lunghezza e 46,8 m di diametro, conteneva 211.890 m³ di gas divisi in 16 scomparti, ed era spinto da quattro motori da 1200 CV, che gli consentivano una velocità massima di 135 km/h. Poteva portare 72 passeggeri e aveva un equipaggio di 61 uomini. Per motivi aerodinamici, i passeggeri erano alloggiati all'interno del corpo del dirigibile. Costruito 1935 fece il suo primo volo nel marzo del 1936 e completò una doppia traversata atlantica nel tempo record di 5 giorni, 19 ore e 51 minuti. L'Hindenburg era stato pensato per essere riempito con elio, ma un embargo militare statunitense su questa sostanza costrinse i tedeschi a utilizzare l'altamente infiammabile idrogeno. (Wiki)
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sauolasa · 4 years
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Cop25, Greta Thunberg arriva a Madrid dopo la traversata atlantica
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enzograssi · 7 years
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Aaahhhh l'oceano pacifico, vaaaa dopo la velAtlantica ...... e sia, dopo la traversata atlantica mi aspettano altri momenti di gloria 😜 domani partenza per terre sconosciute e il 1' marzo al via la traversata del Pacifico 😱
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Arrivato ai miei quarant’anni mi sono accorto che il vento girava. Dovevo capire con quali vele procedere e a quanti gradi al vento dovevo mettere la mia prua, per giungere dove dio Eolo ha deciso di farmi arrivare prima delle calme piatte, nel tramonto della mia esistenza.
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pangeanews · 5 years
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300 anni dopo, ecco la verità su Robinson Crusoe, l’uomo che preferì la vita selvaggia ai piaceri occidentali. Un racconto di Gianluca Barbera
Le notizie sono due. La prima è nota. Il libro che inaugura un genere letterario, il primo romanzo moderno, “La vita e le strane e sorprendenti avventure di Robinson Crusoe”, scritto dall’affarista, imprenditore fallito, politicante, ex galeotto, spia, giornalista, saggista Daniel Defoe – insomma, uno che per scrivere la vita vi si è impaniato – è pubblico nel 1719, trecento anni fa. Applausi. La seconda è legata alla prima. Gianluca Barbera ha fatto risorgere lo spirito originario del romanzo, che è quello, appunto, di narrare “la vita” e un ciclo di “strane e sorprendenti avventure”. Il suo “Magellano” (Castelvecchi, 2018), libro dal sorprendente successo e pedana per altre avventatezze romanzesche (il mese prossimo è prevista l’uscita di “Marco Polo”, sempre per Castelvecchi), è stato tradotto in Portogallo come “Magalhães” dal gruppo editoriale più importante di laggiù, “Presença”. Per capirci, in questi giorni il romanzo di Barbera è presentato come la più ghiotta novità insieme alla ristampa dei libri di Harry Potter – e sta vendendo benissimo, col rischio di fare di Barbera uno degli autori italiani più noti a Lisbona e dintorni – e il nostro scrittore condivide l’onore di stare in un club di autori che conta Giorgio Agamben e Henning Mankell, Umberto Eco e Bret Easton Ellis, Neil Gaiman, Harper Lee, Doris Lessing, Claude Lévi-Strauss, C.S. Lewis, Paolo Sorrentino e Saint-Exupéry, per dirne solo alcuni. Se uniamo i due eventi, vien fuori un racconto, “L’isola di Robinson”, in cui Barbera racconta la vera storia – trafugata da Defoe – di Robinson Crusoe. Eccolo nella versione originale.
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Lo ammetto, sono sempre stato un poco di buono, un attaccabrighe. Privo di un’educazione com’ero, a quattordici anni finii davanti al consiglio ecclesiastico per essermi presentato alla funzione domenicale ubriaco. A sedici presi a bastonate mio padre e mio fratello maggiore, accorso in suo aiuto. Un anno dopo lasciai Lower Largo, sulla costa orientale scozzese, e raggiunsi Kinsale, in Irlanda, per trovare un ingaggio su un bastimento diretto verso i mari del Sud. Non un mercantile, ma una nave che praticava la guerra di corsa. Avendo esperienza di mare, non fu difficile trovare chi mi arruolasse come marinaio. Salpammo il 17 settembre 1703. Il comandante era il famoso William Dampier. Per la verità non viaggiavo sul St. George ma ero stato destinato alla Cinque Ports, alle dipendenze del capitano Thomas Stradling, che aveva l’ordine di seguire l’ammiraglia come un’ombra. Recavamo a bordo lettere di corsa del Lord Grand’Ammiraglio che ci autorizzavano a dare l’assalto alle navi spagnole e francesi.
Non mi dilungherò sulla traversata atlantica, che si svolse senza episodi degni di essere raccontati. Vi basti sapere che, raggiunte le coste patagoniche, ebbe inizio la caccia ai galeoni spagnoli. Ma in almeno un paio di circostanze non fummo fortunati. A febbraio, dopo aver doppiato Capo Horn, sostenemmo uno scontro in mare aperto con il St. Joseph, un vascello francese ben armato, e avemmo la peggio. Qualche settimana dopo, leccate le ferite, piombammo di notte sulla città mineraria di Santa María, nel territorio un tempo chiamato Castilla de Oro. Ma non riuscimmo a impossessarci di un solo grammo d’oro. Il presidio militare spagnolo doveva essere stato allertato dal St. Joseph perché i loro cannoni erano pronti a riceverci. Lasciammo sul campo sei uomini e dovemmo battere in ritirata. Finalmente ad aprile riuscimmo a catturare una nave mercantile spagnola, la Asunción. Ma il bottino fu misero. Fui incaricato di procedere alla spartizione ma oltre a vino, brandy, zucchero e farina, non vi era altro nelle stive.
Tra Dampier e quell’imbecille di Stradling scoppiò una lite. Visto il magro bottino il primo voleva lasciar ripartire la Asunción, mentre il secondo non era di quell’avviso. Per poco non vennero alle mani. Stradling, aveva solo ventun anni, un brutto carattere e nessuna pratica di comando. Sapeva farsi obbedire solo con le maniere forti, sprovvisto com’era di autorevolezza. Non si può dire che la vita a bordo fosse confortevole. Dormivamo su pagliericci ammuffiti e il cibo era spesso guasto e carente. L’igiene un disastro. Topi e scarafaggi dappertutto. Ma dopotutto era la vita che mi ero scelto. Mille volte meglio che seguire le orme di mio padre, fedele alla sua povertà.
*
I primi tempi presi la dissenteria, ma non è nulla se pensate che a molti toccava di peggio: tifo, colera, scorbuto. Per allontanare quelle terribili piaghe a maggio ci separammo dal St. George e dirigemmo verso il Pacifico. A settembre calammo l’ancora in una rada presso l’isola di Más a Tierra, la maggiore del minuscolo arcipelago di Juan Fernández, a centoventi leghe dalla costa. Speravamo di procacciarci cibi freschi e acqua sorgiva. Vi restammo un mese cacciando capre selvatiche, pescando gamberi, raccogliendo rape e approvvigionandoci di acqua fresca.
Quando il capitano manifestò l’intenzione di riprendere il mare gli feci presente che la Cinque Ports imbarcava acqua e avrebbe avuto bisogno di riparazioni. Era già un miracolo essere arrivati fin lì. Non mi diede ascolto. Non perdevo occasione per ripetergli quel ritornello e lui ogni volta mi rideva in faccia. Cercai di portare dalla mia gli altri membri dell’equipaggio e, quando dichiarai che avrei preferito restare sull’isola piuttosto che affrontare il mare in quelle condizioni, egli scoppiò in una sinistra risata.
“Vuoi restare? Ti accontento subito. Signor Cole, fate preparare la scialuppa, fornite quest’uomo del necessario per la sopravvivenza e conducetelo a riva. Poi fate ritorno all’istante. Leveremo l’ancora entro un’ora”.
Compresi che non avrei trovato un solo alleato in tutta la nave e che stavo per essere abbandonato su un’isola deserta. Mi prese il terrore e – ancora me ne vergogno – mi buttai ai suoi piedi e lo supplicai di tenermi a bordo con sé, magari in catene, pronto a sbarcarmi nel primo porto. Ma sul suo volto era comparso un ghigno che non lasciava scampo.
Mentre gli uomini remavano, dalla scialuppa non smettevo di rivolgere le mie preghiere a quell’odioso Stradling, che mi fissava tronfio dal pavese della nave. Fui deposto a forza sulla spiaggia e lì abbandonato con a mala pena il necessario per riuscire a cavarmela per qualche giorno: un moschetto, una pistola, una quantità vergognosamente scarsa di polvere da sparo, qualche strumento di navigazione, arnesi da falegnameria, un’accetta, una pentola, un piatto da cucina, del tabacco, una forma di cacio, una fiaschetta di rum, una bibbia, un materasso e alcuni vestiti.
Mentre il galeone si allontanava sentii un groppo in gola e qualche lacrima mi rigò le gote.
*
I primi giorni fui preso dallo sconforto. Non osavo addentrarmi nell’isola, da cui provenivano, specie di notte, strani gridi di animali. Caddi in una così profonda melanconia da accarezzare l’idea di togliermi la vita. Mi cibavo di pesce crudo – aragoste, gamberi, granchi –, dormivo sulla spiaggia sotto una tenda di frasche, o talvolta in un’angusta caverna, che però con la marea si allagava. Spesso mi svegliavo investito da un vento di burrasca che sconquassava la tenda quasi spazzandola via. Quando era bel tempo mi concedevo lunghe nuotate, benché temessi la presenza di pescicani, e mi rosolavo al sole. Cominciai a leggere la Bibbia e con sorpresa mi accorsi che quella lettura mi era di conforto.
Una mattina fui svegliato da un baccano d’inferno. Uscii dalla tenda e vidi centinaia di elefanti marini che occupavano la spiaggia. Se provavo ad avvicinarmi, quelle bestiacce, forti del loro numero, si facevano minacciose. Come appresi in seguito, era la stagione degli accoppiamenti, per questo erano approdate sulla spiaggia tanto numerose.
Trascorsi la mattinata meditando sul da farsi. Finalmente presi una decisione. Imbracciai il fucile, mi misi a tracolla una fiaschetta d’acqua e m’incamminai verso l’interno dell’isola.
Superate alcune colline boscose avvistai una valletta piena di capre che brucavano, la attraversai e in un paio d’ore raggiunsi una della cime più alte e adatte a impiantarvi un campo. Vi trasferii tutta la mia roba. Nei giorni seguenti eressi due capanne con il legno degli alberi di pimento. Dai cerchi di alcuni barili abbandonati sul litorale da precedenti sbarchi ricavai un coltello. Da quel momento le cose migliorarono. L’isola era popolata di carpe selvatiche e, una volta terminata la polvere da sparo, divenni abile nell’inseguirle e catturarle. Mi cibavo di carne, latte, cavoli conditi col pepe e rape. Le capre si rivelarono particolarmente utili: con esse non solo mi sfamavo ma, scuoiandole con il coltello e usando un chiodo a mo’ di ago, fabbricai una giubba e un copricapo di pelliccia. Il fatto che mio padre fosse conciatore risvegliò in me un piccolo patrimonio di conoscenze acquisite che non sapevo di possedere. Le mie calzature si erano fatte inservibili ma dopo un paio di mesi di quella vita sulle piante dei piedi si erano formati calli così duri che potevo correre scalzo senza difficoltà.
Dall’alto del monte su cui mi ero stabilito potevo dominare con lo sguardo l’intera isola e il mare circostante, in modo da avvistare all’istante una vela, se si fosse avvicinata alla costa. Ero sicuro che presto qualcuno si sarebbe fatto vivo. Per il resto cacciavo, mi nutrivo, dormivo, mi masturbavo e trascorrevo il tempo a leggere la Bibbia, a riflettere su me stesso, sull’esistenza; cosa che non avevo mai fatto prima. Talora pregavo, cantavo inni, per sentirmi vivo e conservare quel barlume di umanità che tendeva col tempo ad affievolirsi.
*
Una volta, dopo aver inseguito una capra tra le rocce, mi lanciai su di essa. Ma appena la ebbi agguantata quella scalciò al punto che avvinghiati l’uno all’altra precipitammo da un dirupo. Il fatto di atterrare sul suo corpo attutì la caduta, senza la qual cosa mi sarei senz’altro rotto l’osso del collo. Perdetti i sensi e mi riebbi che era notte. Tornai alla capanna orientandomi a fatica nell’oscurità, ma per fortuna vi era luna piena. Le cose non sarebbero andate così male se durante il sonno non fossi stato tormentato dai topi che entravano nella capanna affamati al punto da mordermi. Per settimane non seppi come difendermi, a parte coprirmi il più possibile, specie il volto. Ma, quando scoprii l’esistenza nell’isola di gatti selvatici, mi venne l’idea di provare ad addomesticarli. Una volta che li ebbi attorno fu impossibile ai topi avvicinarsi e i miei tormenti ebbero fine.
Le settimane passavano, segnavo i giorni sul tronco di un albero. Nessuna vela all’orizzonte. Ma non ero più depresso; un’inattesa serenità si era impossessata di me. Tanto che, quando una mattina vidi all’orizzonte un veliero, esultai in modo contenuto. Veniva avanti puntando verso l’approdo meridionale dell’isola. Corsi in quella direzione ma quando giunsi in vista del litorale la delusione fu grande. Batteva bandiera spagnola! Se mi avessero scoperto mi avrebbero catturato, probabilmente torturato, di certo imprigionato. Mi tenni perciò nascosto in attesa che se ne andassero, cosa che avvenne la mattina seguente.
Due mesi dopo ecco un altro veliero all’orizzonte. Sbarcò nello stesso punto, ma anch’esso era spagnolo. Questa volta però qualcosa li mise sull’avviso. Dovevano essersi accorti da vari segnali che qualcuno viveva nell’isola e si misero sulle mie tracce. Mi nascosi su un albero dalla folta chioma e attesi che rinunciassero. Attraverso i rami ogni tanto ne intravedevo alcuni: si erano sparpagliati per l’isola e parevano decisi a non mollare. A un certo punto sentii delle voci conversare in spagnolo proprio sotto l’albero su cui mi ero arrampicato. Uno di loro si mise a orinare contro il tronco mentre gli altri due ridevano e scagliavano maledizioni all’indirizzo del sottoscritto. Trattenni il fiato più che potevo. Finalmente si allontanarono e due ore dopo la nave riprese il largo.
Mi ero abituato ormai a quella vita, e a furia di leggere la Bibbia non solo ero diventato ferrato in questioni teologiche ma sentivo che anche la mia proprietà di linguaggio e i miei pensieri ne avevano beneficiato. Avevo preso l’abitudine di parlare a voce alta, imbastendo veri e propri ragionamenti con tanto di contradditorio.
*
I mesi passarono, e poi gli anni, e alla fine persi il conto del tempo. Quando un pomeriggio avvistai una vela, come seppi in seguito erano trascorsi quattro anni e quattro mesi da che ero stato abbandonato sull’isola. Era il 2 febbraio 1709. E questa volta si trattava di un veliero inglese. A pilotarlo nientemeno che Dampier e a comandarlo un corsaro di nome Woodes Rogers. Iniziai a fare segnali col fumo e presto scorsi una scialuppa staccarsi dalla nave. Mi fiondai sulla riva, e per l’agitazione corsi loro incontro fino a che l’acqua non mi salì al torace. Quelli della scialuppa, capitanata da un tale di nome Thomas Dover, fecero una faccia sbigottiva vedendomi. Sulle prime non capii. Avevo del tutto scordato come dovessi apparire così conciato, vestito di pelli di capra, a piedi scalzi e la barba fin sul petto.
Le prime parole che rivolsi loro furono così inappropriate che dovettero credere di avere a che fare con un mentecatto. Non ricordo esattamente cosa farfugliai ma so quello che intesero, poiché per giorni i marinai del Duke – così si chiamava la nave – non fecero che divertirsi alle mie spalle chiamandomi “re dell’isola” e “signore degli uccelli e dei pesci”. La solitudine mi aveva allontanato dal modo di ragionare comune, perciò stentavo a esprimermi in maniera comprensibile. Per fortuna il capitano Rogers si rivelò paziente. Ogni sera mi invitava alla sua tavola, disposto a concedermi tutto il tempo di cui avevo bisogno per recuperare modi civili e riordinare le idee. Si disse felice di avermi salvato e promise di ricondurmi in patria quanto prima. Per prendersi gioco di me imbastì una piccola cerimonia durante la quale mi nominò governatore dell’isola. Fu da lui che seppi che la Cinque Ports, come previsto, aveva fatto naufragio poco dopo aver lasciato l’isola e che erano tutti morti meno quel farabutto di Stradling e una mezza dozzina di uomini. Ma la fortuna li aveva abbandonati quasi subito, dal momento che erano finiti in mano spagnola e, condotti a Lima in catene, sarebbero marciti in una prigione.
Il capitano mi fece sapere che, immagazzinate le provviste, saremmo ripartiti entro una settimana. I marinai avevano bisogno di riposare e nutrirsi di cibi freschi. Mostrai loro come catturare le capre selvatiche e il capitano, vedendomi tanto pronto di mente e agile nell’inseguirle, fu così sorpreso che sul diario di bordo – come mi riferì lui stesso – scrisse: “Ho potuto constare personalmente che la solitudine e l’isolamento dal mondo  non sono poi uno stato di vita così insopportabile, come la maggior parte degli uomini immagina, specialmente quando le persone vi ci sono chiamate o gettate dentro in maniera inevitabile, come è accaduto al signor Alexander Selkirk”.
Li aiutai a procurarsi il cibo a l’acqua di cui avevano bisogno. Poi, secondo quanto stabilito, levammo le ancore. Ma non puntammo subito verso l’Inghilterra. Trascorremmo alcuni mesi a piratare al largo delle terre magellaniche spingendoci sempre più a nord.
*
Ero entrato a far parte degli effettivi del Duke col grado di secondo ufficiale. A Guayaquil, guidai una spedizione lungo il fiume Guayas per dare la caccia a dei nobili castigliani che derubammo di tutto ciò che nascondevano nei vestiti: soprattutto gioielli e oro. Catturammo due galeoni spagnoli di grossa stazza e li spogliammo di ogni ricchezza. Per restituirli alla Corona di Spagna pretendemmo un cospicuo riscatto. Fu in quel periodo che, tra una razzia e l’altra, compii il mio primo giro intorno al mondo doppiando il Capo di Buona Speranza e riguadagnando le coste inglesi il primo ottobre 1711, nei pressi dei Downs. In un paio d’anni agli ordini di Rogers mi ero arricchito a sufficienza per vivere a lungo di rendita. Dopo otto anni di lontananza, rimisi piede a Lower Largo, anche se solo per poche settimane. Nessuno mi riconosceva più. Mio padre era morto, mio fratello emigrato chissà dove. Sul finire dell’anno mi trasferii a Bristol. Qui incontrai una giovane lattaia di nome Sophia, che convinsi a seguirmi a Londra. Ma tra noi non funzionò. Mi stabilii a Plymouth, dove sposai la ricca vedova di un locandiere, una certa Frances Candis. Non proprio una bellezza, ma pur sempre un porto sicuro. Potevo dirmi sistemato; eppure non ci misi molto ad accorgermi che la vecchia vita mi mancava. Trascorrevo parte delle giornate al pub, a ubriacarmi. A marzo del 1713 ricevetti la visita di un giornalista di “The Englishman”, settimanale londinese tra i più popolari, disposto a pagarmi lautamente per un’intervista. Si chiamava Richard Steele e aveva letto la mia storia tra le pagine del memoriale che il capitano Woodes Rogers, mio salvatore, si era affrettato a redigere una volta appeso il sestante al chiodo. Mi resi conto che ero diventato una celebrità e che la mia storia valeva oro. Cominciai perciò a farmi pagare da chiunque volesse ascoltarla. Tutto sembrava filare per il verso giusto, ma la verità è che le cose con la mia mogliettina andavano di male in peggio. Un giorno, mezzo ubriaco, malmenai un maestro d’ascia che sospettavo di aver avuto una tresca con Frances. Per evitare la prigione mi rifugiai a Lower Largo, dove rimasi nascosto per un paio di mesi. Passata la buriana, feci ritorno a Londra, ma mia moglie rifiutò di riprendermi con sé e ottenne il divorzio. Quando qualche anno dopo ebbi occasione di incontrare nuovamente Mr Steele, mi riconobbe a stento. Non ero più la persona allegra e saggia che gli ero parso un tempo: così mi disse. A malincuore, riconobbi che aveva ragione. Il ritorno alla civiltà e pochi anni di matrimonio erano stati sufficienti a produrre quel mutamento. Mi raccontò che a Londra ero una celebrità e che un certo Daniel Defoe aveva appena pubblicato un romanzo ispirato alla mia vicenda che stava spopolando.
“Dovreste reclamare una parte dei guadagni” disse, tirando dalla sua pipa.
“Lo credo anch’io” feci, annuendo.
Un attimo dopo aggiunse: “Sa, hanno composto una canzoncina su di lei. La vuole sentire?”.
“Perché no” risposi, anche se in realtà non me ne importava un accidente.
Così egli prese a canticchiare, con voce baritonale: “Io sono il monarca di quanto contemplo. / Nessuno contesta questo diritto. / Intorno a me dal centro del mare / io sono il signore degli uccelli e dei pesci”.
“Anche per questa dovrebbero corrispondermi la mia parte” osservai con un sorrisetto, quando ebbe finito.
“Come dice?” fece lui.
“Niente” mormorai. Poi aggiunsi, con voce pacata: “Senta, tutte queste cose dovrebbero lusingarmi… ma invece sa cosa penso?”.
Mi sputò una nuvola di fumo in faccia e annuì lievemente, con un sorriso a fior di labbra.
“Sappia che ora valgo ottocento sterline – a tanto ammonta il mio patrimonio – ma non sarò mai più felice come sono stato quando non valevo un soldo”.
“Mi permetta di dubitarne” fece lui, divertito. “Si disprezza sempre ciò che si possiede quando si ha la pancia piena”.
Mi limitai a sorridergli. Si sbagliava di grosso. Avrei voluto vedere la sua faccia quando un anno dopo ripresi il mare imbarcandomi su una nave da guerra diretta in Africa occidentale, questa volta a caccia di pirati. Ero passato, come se nulla fosse, dall’altra parte della barricata. E non sarebbe stata l’ultima giravolta, se la morte non si fosse messa di mezzo.
Gianluca Barbera
*In copertina: Robinson Crusoe nell’interpretazione pittorica dell’illustratore ceco Adolf Born
L'articolo 300 anni dopo, ecco la verità su Robinson Crusoe, l’uomo che preferì la vita selvaggia ai piaceri occidentali. Un racconto di Gianluca Barbera proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2GDY6la
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retegenova · 6 years
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Dopo la circumnavigazione in solitaria, Marco Rossato punta all’Atlantico.
Quali sviluppi per il progetto TRI sail4all
Marco Rossato, il primo velista paraplegico a circumnavigare il periplo italiano in barca a vela in solitaria, non si è risparmiato nemmeno alla fine del lungo viaggio che lo ha visto in mare per ben 5 mesi (Marco era partito il 22 aprile dall’Arsenale di Venezia): “Questo viaggio mi ha dato grande fiducia e voglia di fare – ha raccontato al suo arrivo al 58° Salone Nautico – è stato tutto di bolina che non è l’andatura migliore per un trimarano, ma in barca mi muovo bene e adesso mi sento pronto per affrontare l’Atlantico in solitaria, anzi credo partendo nel periodo dell’anno giusto sarà anche più facile”.
Dal 21 al 24 settembre, il velista vicentino ed il suo inseparabile cane Muttley sono stati, infatti, i protagonisti di quattro bellissimi eventi tutti incentrati sui macro obiettivi del progetto TRI sail4all, supportato tra gli altri da realtà importanti come B. Braun, e promosso dall’ASD “I Timonieri Sbandati”:
rilevare e verificare l’accessibilità dei porti italiani;
diffondere i principi della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità;
lottare per una patente nautica uguale per tutti dove non ci siano restrizioni e limiti;
sensibilizzare – soprattutto gli alunni delle scuole – sul tema dell’inquinamento del mare, in particolar modo sulla plastica sommersa, problema serio che sta affliggendo mari e oceani creando delle vere e proprie emergenze e devastazioni.
Il 21 sera Marco, ospite di Chioggiavela, ha intrattenuto il pubblico all’Auditorium San Nicolò di Chioggia dove insieme a Dario Malgarise, Enrico Zennaro, Andrea Mura, Berti Bruss, Alberto Bolzan, Silvia Zennaro e Matteo Miceli non ha parlato soltanto di avventura e ambiente, ma di disabilità, sostenibilità e di adeguatezza delle strutture portuali anticipando anche qualche emozionante aneddoto riservato agli eventi interni al Salone nautico.
Tra gli sponsor di grande supporto al progetto anche la Johnson srl, la più antica fabbrica di medaglie italiana (attiva dal 1836), che da subito ha creduto in Marco e in TRI sail4all. Al Teatro del Mare, a Genova, Giovanna Saleri ha consegnato il Trofeo Johnson “Usque ad finem” per questa impresa portata a termine insieme.
L’ingresso del 22 a Genova è stato davvero un momento storico. Accolto con molto calore, da più parti sono arrivati i complimenti per l’impresa compiuta e molte domande relative sia a questa parte del viaggio in solitaria che al prosieguo del progetto TRI che, come Marco ed il suo staff hanno sottolineano, si svilupperà nell’arco di tre anni. Infatti dopo questi primi mesi sul mare, Marco visiterà, spostandosi con un camper attrezzato in base alle sue esigenze, quelle sezioni della Lega Navale Italiana che non hanno una sede nautica. Ma non solo: con il suo team raggiungerà anche le scuole elementari, medie e superiori, i centri di riabilitazione, le Istituzioni e i Circoli velici, insomma tutte quelle realtà presenti sul territorio ma che non si affacciano sull’acqua.
“Siamo tutti molto emozionati” ha commentato Mauro Rossi Espagnet, Direttore della Divisione OPM di B. Braun. “Abbiamo seguito Marco sin dall’inizio e l’arrivo finale a Genova ci ha reso orgogliosi di aver partecipato a questa impresa davvero grande. Siamo convinti che il suo messaggio sia forte e dimostri ciò in cui crediamo: che uno sport come la vela sia un aiuto concreto per superare barriere fisiche ed emozionali per chi è disabile ed è un’attività da sostenere”.
Nel 2019 è poi prevista una seconda parte del progetto via mare: a bordo di una nuova barca “accessibile, veloce, leggera e modulabile con uno spirito Green” (Magma 42 di cui ha parlato al Salone di Genova), Marco percorrerà tutta la costa ovest Italiana da Genova a Reggio Calabria e farà la circumnavigazione di Sardegna e Sicilia. In questo caso, però, l’equipaggio sarà formato da persone con disabilità motorie, sensoriale e/o cognitive. L’idea è di dimostrare al mondo che, in barca, i disabili possono essere parte attiva di un equipaggio e non semplici “trasportati”.
Dal bisogno di regalare una speranza e tanti sorrisi soprattutto ai più piccoli è nato l’incontro, unico nel suo genere, tra Marco e Muttley e le bambine ed i bambini ricoverati all’Ospedale Gaslini (Istituto che sta organizzando un approccio “Pet Therapy”). Il 24 settembre è stata una mattina carica di emozioni commoventi per il nostro skipper già proiettato al nuovo grande sogno: la traversata atlantica. Marco, accolto dal dott. Stefano Castagnola responsabile relazioni e comunicazione, dalla dott.ssa Maura Maccio ufficio stampa Gaslini, dalla sig.ra Trucco Daniela caposala ospedale di giorno, dalla dott.ssa Beatrice Chiozza medico della direzione sanitaria, ha infatti voluto raccontare la sua storia ricca di momenti di gioia ma anche di situazioni difficili, di esempi concreti da seguire e di parole forti sul perché non bisogna mai arrendersi.
“Non esiste muro che non si possa abbattere – ha raccontato con un sorriso – Bisogna lavorare sodo specie nei momenti difficili perché le cose migliorano e anche tanto. Nulla vi vieta di poter fare quello che amate magari imparando a usare degli escamotage. Ma non bisogna mai smettere di lottare. Volere è potere”. Un invito, quello di “prendere a morsi la vita” che Marco rivolge anche ai genitori di chi ha subito un forte trauma: “I genitori – ha concluso – è naturale che si preoccupino e che siano di conseguenza protettivi, ma bisogna far uscire i ragazzi di casa, farli vivere e far tornare loro il sorriso. Perché costruirsi un bagaglio di esperienze li renderà più forti e aumenterà la loro autostima, la loro autonomia e ovviamente la qualità della loro vita”.
Nelle foto _1, Marco Rossato al Gaslini con il dott. Stefano Castagnola responsabile relazioni e comunicazione e con l’artista Piero Orlando.
Ufficio Stampa progetto TRI Sail4All
Simona Merlo
TRI Sail4All è un progetto promosso da:
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Dopo la circumnavigazione in solitaria, Marco Rossato punta all’Atlantico. Ecco le novità. Dopo la circumnavigazione in solitaria, Marco Rossato punta all’Atlantico. Quali sviluppi per il progetto TRI sail4all…
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SAIL 2018 - Vele d’epoca: torna a Venezia il VI Trofeo Principato di Monaco - 2018
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Sabato 23 e domenica 24 giugno 2018 una flotta di barche d’epoca darà spettacolo a Venezia con il VI Trofeo Principato di Monaco le Vele d'Epoca in Laguna - Coppa BNL-BNP PARIBAS Private Banking. L’evento è promosso da Anna Licia Balzan, Console Onorario del Principato di Monaco a Venezia. Nella cornice della laguna più famosa del mondo magnifiche imbarcazioni classiche si sfideranno sotto la direzione sportiva di Mirko Sguario, fondatore dello Yacht Club Venezia e promotore di molte celebri regate della Serenissima come la Venice Hospitality Challenge. Anche Serenity e Strale alla Coppa AIVE dell’AdriaticoCi saranno anche le campionesse Serenity (1936) e Strale (1967) il 23 e 24 giugno al Santelena Marina di Venezia in occasione della VI edizione del Trofeo Principato di Monaco le Vele d'Epoca in Laguna - Coppa BNL-BNP PARIBAS Private Banking. Il Trofeo, dedicato per il quarto anno consecutivo alle barche d’epoca, intende celebrare la passione per queste affascinanti imbarcazioni che testimoniano il patrimonio storico e le capacità dei progettisti e dei maestri d’ascia italiani e internazionali. La manifestazione è organizzata in collaborazione con la Direzione del Turismo e dei Congressi del Principato di Monaco a Milano, dello Yacht Club Venezia, del Circolo Velico PortodiMare, del Marina Santelena e gode del patrocinio di A.I.V.E. Associazione Italiana Vele d'Epoca. Il Trofeo Principato di Monaco rappresenta la seconda di cinque tappe della Coppa AIVE dell’Adriatico, che comprende la “Portopiccolo Classic” (9-10 giugno) di Sistiana (TS), il “Trofeo Principato di Monaco” a Venezia (23-24 giugno), la “International Hannibal Classic” (7-9 settembre) di Monfalcone, il “XXI Raduno Città di Trieste” (6-7 ottobre) e la “Barcolana Classic” di Trieste (13 ottobre). La corsa al titolo stagionale 2018Serenity e Strale tenteranno di vincere per la terza volta consecutiva il Trofeo stagionale ‘Coppa AIVE dell’Adriatico 2018’ rispettivamente nelle categorie Yachts Epoca e Yachts Classici. Serenity, un progetto dello yacht designer di origini danesi Knud Reimers, era stata trasferita in Mediterraneo dagli USA dopo una traversata atlantica compiuta negli anni Ottanta dalla famiglia croata che ne era proprietaria. Tra il 2005 e il 2007 l’imprenditore veneto Roberto Dal Tio, nuovo proprietario dal 2001, l’ha sottoposta a un restauro eseguito a Jesolo (VE) dal maestro d’ascia Memo Ruggiero. Strale è invece una delle più vittoriose imbarcazioni di tutto il Mediterraneo, salita sul podio decine di volte in occasione di innumerevoli regate alle quali ha partecipato sia in Adriatico che in Tirreno. Oggi appartiene a un consorzio di armatori ravennati, Enzo Bruni e i fratelli Antonio e Gianluca Bandini, già membri di equipaggio di questa barca dalla fine degli anni Sessanta. Recentemente è stata oggetto di un restauro compiuto presso il cantiere De Cesari di Cervia. Tra le altre imbarcazioni iscritte all’appuntamento di Venezia anche Bina II, Al Na’Ir IV, Angelica IV (2000) in rappresentanza dello Yacht Club Hannibal di Monfalcone, Gilla (1951), Agos, Al Na’Ir II e Silvica.
FROM http://www.navigamus.info/2018/06/vele-depoca-torna-venezia-il-vi-trofeo.html
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cristina-sassola · 6 years
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Il presidente Wilson al servizio degli Illuminati ... Ma la Germania, sapendo che a bordo di quelle navi ci sarebbero potuti essere cittadini americani e non volendo che gli Stati Uniti entrassero in guerra alleandosi con l'Inghilterra, fece pubblicare un avviso sulla stampa internazionale, il 22 aprile 1915, di cui riporto la traduzione italiana: <<~Ai signori viaggiatori che intendano intraprendere la traversata atlantica si ricorda che tra Germania e Gran Bretagna vi è uno stato di guerra. Si rammenta che la zona di guerra comprende le acque adiacenti alla Gran Bretagna e che, in conformità di un preavviso formale da parte del Governo Tedesco, le imbarcazioni battenti la bandiera della Gran Bretagna o di uno qualsiasi dei suoi alleati sono passibili di distruzione una volta entrate in quelle stesse acque~>>. L'avvertimento non venne ascoltato. Inspiegabilmente centinaia di cittadini statunitensi vennero fatti salire proprio sul Lusitania la cui partenza era stata fissata per il 1° maggio con destinazione Londra. Si noti che il primo maggio è la data in cui Adam Weishaupt fondò gli Illuminati di Baviera che all'epoca ancora si chiamava l'Ordine dei Perfettibili. E si rammenti che l'Inghilterra era sotto il controllo dei potentissimi Rothschild da un punto di vista economico e di conseguenza anche politico e militare. La monarchia, secondo le teorie della cospirazione, obbedirebbe ai Rothschild di cui sono debitori dai tempi delle guerre napoleoniche, così come del resto la maggior parte di altri Stati. Si noti quindi che anche la data di partenza e le decisioni politiche erano di fatto, se la teoria cospirativa fosse corretta, sotto il controllo degli Illuminati i quali volevano fornire a Wilson, loro burattino alla Casa Bianca, il pretesto per coinvolgere gli Americani nel conflitto mondiale. Così il Lusitania fu caricato di ben 1638 lingotti di rame e frammenti metallici finalizzati a realizzare granate con deflagrazioni a scheggia multipla. FINE SECONDA PARTE (Pag 195/196 Tratto da <<Lux Tenebrae Illuminati Il volto occulto del Nuovo Ordine Mondiale>> di Adam Kadmon Priuli & Verlucca Editori) https://www.instagram.com/p/BndmQ1TgNSg/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=dl1h2q2c6yqk
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freedomtripitaly · 4 years
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Cunard, rappresentata in Italia da Gioco Viaggi, tour & cruise operator, propone un’imperdibile opportunità per gli amanti della Grande mela: si parte dall’Italia in aereo il 30 dicembre 2019 per un soggiorno di quattro notti a New York durante il quale ci sarà spazio per un tour guidato della città. Dopo aver celebrato l’arrivo del [...]→ https://ift.tt/2RIc0IQ Cunard: il miglior modo per dare il benvenuto al 2020? Capodanno a New York e traversata atlantica Cunard, rappresentata in Italia da Gioco Viaggi, tour & cruise operator, propone un’imperdibile opportunità per gli amanti della Grande mela: si parte dall’Italia in aereo il 30 dicembre 2019 per un soggiorno di quattro notti a New York durante il quale ci sarà spazio per un tour guidato della città. Dopo aver celebrato l’arrivo del [...]→ La proposta comprende Capodanno New York + Traversata Atlantica a bordo della Queen Mary : 13 giorni/11 notti (4 a New York)
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