Tumgik
#triste là fuori
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If you ever see me sad, just know that is rarely because of something that happens to me.. I never believed in feeling sorry for yourself. That is weakness. Why would you feel sorry for yourself? Don't you know that out there, in this big wide world there is always someone who is having a worse life than you?..If you ever see me sad, know that I am sad for someone I love and that someone is living hard and ugly moments 😔That's why I am sad.
إذا رأيتني حزينا ، فاعلم أن هذا نادرا ما يكون بسبب شيء يحدث لي .. لم أؤمن أبدا بالشعور بالأسف على نفسك. هذا هو الضعف. لماذا تشعر بالأسف على نفسك؟ ألا تعلم أنه في هذا العالم الواسع الكبير هناك دائما شخص يعيش حياة أسوأ منك?.. إذا رأيتني حزينا في أي وقت ، فاعلم أنني حزين لشخص أحبه وأن شخصا ما يعيش لحظات 😔صعبة وقبيحة لهذا السبب أنا حزين.
Si alguna vez me ves triste, debes saber que rara vez se debe a algo que me sucede. Nunca creí en sentir lástima por uno mismo. Eso es debilidad. ¿Por qué sentirías lástima de ti mismo? ¿No sabes que allá afuera, en este gran mundo, siempre hay alguien que está teniendo una vida peor que la tuya?.. Si alguna vez me ves triste, debes saber que estoy triste por alguien a quien amo y ese alguien está viviendo momentos 😔duros y feos, por eso estoy triste.
Se mai mi vedi triste, sappi che raramente è a causa di qualcosa che mi succede. Non ho mai creduto nel piangersi addosso. Questa è debolezza. Perché dovresti sentirti dispiaciuto per te stesso? Non sapete che là fuori, in questo grande mondo c'è sempre qualcuno che sta avendo una vita peggiore della vostra?.. Se mai mi vedi triste, sappi che sono triste per qualcuno che amo e che qualcuno sta vivendo momenti 😔duri e brutti Ecco perché sono triste.
Beni üzgün görürsen, bunun nadiren başıma gelen bir şey yüzünden olduğunu bil. Kendin için üzülmeye asla inanmadım. Bu zayıflıktır. Neden kendin için üzülesin ki? Bilmiyor musun ki, bu koca koca dünyada, her zaman senden daha kötü bir hayat yaşayan biri var?.. Beni üzgün görürseniz, sevdiğim biri için üzüldüğümü ve birinin zor ve çirkin anlar 😔yaşadığını bilin Bu yüzden üzgünüm.
Dacă mă vedeți vreodată trista, să știți că rareori se întâmplă din cauza a ceva ce mi se întâmplă. Nu am crezut niciodată în a avea milă de tine. Aceasta este slăbiciune. De ce ți-ar părea rău pentru tine? Nu știi că acolo, în această lume mare, există întotdeauna cineva care are o viață mai proastă decât tine?.. Dacă mă vedeți vreodată trista, să știți că sunt trista pentru cineva pe care îl iubesc și care trăiește momente grele și urâte De aceea sunt trista. 😔
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lamiaprigione · 6 months
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Non avrei mai pensato di trovarmi nella situazione di colui che non comprende e non empatizza con un depresso, e quindi eccomi: confesso a dio onnipotente che ho peccato. C'è un'età per tutto, penso, e arrivati oltre i trenta non tollero più chi smette di vivere e si blinda in casa pur di non affrontare un problema e conservare quel briciolo di apparenza. Adesso mi interessa unicamente circondarmi di persone che hanno il potere di far accadere le cose per il solo fatto di pensarle. C’è del misticismo in questo, il mio bisogno di consolazione.
Quando torno da te penso alla strada che percorrevo per andare a casa di Valentina 13 anni fa, avevo da poco la patente, correvo come un pazzo, i cd masterizzati alla radio. Allora il giro di compagnie era diverso, il marzo più caldo che io ricordi, ogni weekend una grigliata. Mi ero preso una pausa, poi tre anni di scuse, e poi di nuovo una pausa. Gli altri andavano avanti e io non accettavo che le cose potessero cambiare. Ero così pazzo che nemmeno tenevo alla vita. Scopro ora che anche Vale è diventata madre, ne veste i panni con grande naturalezza, del resto fu lei che mi rimase accanto la notte della mia sbronza più forte.
Poi passarono otto anni, nel mezzo scoprii me stesso. Ero felice di avere un impiego ma allo stesso tempo alimentavo la mia tristezza convincendomi di essere triste, temendo altrimenti di non riuscire a scrivere. Per uscirne bastò scoprire che là fuori c'era il sole e se non lo vedevo sapevo comunque che c'era, e sapere che c'era il sole era già tutta una vita. Come chi smette di fumare odia chi fuma, confesso a dio onnipotente di odiare un depresso. Quando cercano di propinarmi quei libri motivazionali per diventare veri leader sorrido e penso che non hanno avuto la fortuna di leggere tutto Hemingway e Dostoevskij.
Dio Onnipotente, voglio essere onesto. Ti farò una proposta. Fai di me un grande scrittore e io tornerò alla Chiesa.
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susieporta · 11 months
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- Maestro.
- Stanno succedendo cose orribili nel mondo e non so cosa fare.
Divento triste. Non so come aiutare. Non voglio chiudere un occhio e forse mi sento in colpa per stare bene quando gli altri stanno molto male.
- Il Maestro rispose:
- Quando vai a dormire spegni tutte le luci.
Ma accendi quella nella tua stanza.
Non sei più in cucina.
Non sei più nel cortile con i cani.
Sei nella tua stanza.
Dove devi essere in quel momento.
E lì accendi la luce per non stare al buio.
Così è nel mondo.
Se c'è la guerra
Ma tu non ci sei, è perché non devi stare lì.
E nel posto in cui ti trovi, accendi la tua luce.
Se hai da condividere condividi.
Se hai qualcosa di prezioso da portare al mondo, fallo.
Se sei saggio e sai dare consigli, daglielo.
Se sei carina e ci sono molte cose brutte là fuori, sii più bella.
Sii parte della bellezza della vita.
La Luce si accende perché sulla terra ci sono deserti e mari.
Se hai dovuto far parte dell'acqua,
Perché ti affligge il deserto?
Se ti è toccato essere deserto,
Perché quelli delle acque ti affliggono?
Ognuno è dove gli spetta.
Chiamalo karma,
Destino. Scopo.
Se qualcosa non ha l'universo è ingiustizia.
Non esiste.
Tutto è perfetto.
Se non ci sei.
E' solo che non devi essere lì.
In guerra non tutti muoiono.
E dove non c'è guerra la gente muore.
Chi deve morire muore.
Vive chi deve vivere.
Perché sentirsi in colpa?
O forse decidi tu chi vive o chi muore?
Qual è la tua responsabilità?
Fai solo quello che devi fare.
Che è per questo che sei venuto.
Ed è per questo che sei dove sei.
Accendi la tua luce.
Sii parte della luce, non del problema.
- Disse il maestro.
Il mondo, quando è buio, ha bisogno di più luci accese ✨
SONO LA LUCE CHE ILLUMINA IL MONDO ✨
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Non so bene come iniziare questo post.
Vorrei trovare le parole per esprimere come mi sento, ma in queste giornate sto avendo delle difficoltà a farlo.
Mi sento come un grafico a torta:
• una parte di me è triste e si sente sola perché con convivo più
• una parte di me è felice perché la lontananza ci fa vivere meglio i momenti insieme, e ci sta aiutando nel percorso interiore che stiamo affrontando come singoli individui.
• una parte di me è preoccupata, perché dove convivevo non ci sono le stesse “opportunità” rispetto alla provincia in cui sto io, e io voglio tornare a convivere e trovare lavoro là; vorrei solo fosse più semplice.
• una parte di me è arrabbiata: “voglio più soldi, tr**a tu non mi conosci, sono il futuro ma senza un futuro, sul tuo mutuo del ca**o ci sputo” cit. - a me sta bene fare la commessa, a me piace mettere in ordine le cose, il senso estetico del negozio illuminato, bellissimo, non chiedo tanto, solo un full time e magari non in un centro commerciale senza finestre che pare di stare nei casinò di Las Vegas. Voglio più soldi e un mutuo del cazzo su cui sputare, li voglio per noi, mica per fare la vita da nababbi.
• una parte di me è annoiata: vorrei cambiare di nuovo il mio aspetto - il dentro non risuona col fuori, ma il dentro risuona di troppe cose diverse, resto stagnante in un’estetica piatta.
• una parte di me si sente persa, un po’ alla deriva, la consapevolezza della neuro divergenza mi ha fatto comprendere diverse parti della mia personalità. Non sono una persona orribile, ma non sono totalmente la persona che volevo diventare, certo, la personalità si forma come a “difendere” le debolezze della neuro divergenza, ma anche se non vado in giro con un’ascia c’è la parte paranoide, quella evitante, e quella aggressiva - ed io dove sono?
Riflessione stupida - mi viene da piangere perché la parte dominante della mia personalità è quella aggressiva, io mi sono data il cognome Onrush, dall’inglese: un attacco fisico o verbale. È stata una cosa inconscia? E di quante cose ancora non mi rendo conto?
• una parte di me si sente spaventata.
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gregor-samsung · 8 months
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“ Immaginatevi un vasto cortile, di un duecento passi di lunghezza e centocinquanta circa di larghezza, tutto recinto all'intorno, in forma di esagono irregolare, da un'alta palizzata, cioè da uno steccato di alti pali, profondamente piantati ritti nel suolo, saldamente appoggiati l'uno all'altro coi fianchi, rafforzati da sbarre trasverse e aguzzati in cima: ecco la cinta esterna del reclusorio. In uno dei lati della cinta è incastrato un robusto portone, sempre chiuso, sempre sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle; lo si apriva a richiesta, per mandarci fuori al lavoro. Di là da questo portone c'era un luminoso, libero mondo e vivevano degli uomini come tutti. Ma da questa parte del recinto ci si immaginava quel mondo come una qualche impossibile fiaba. Qui c'era un particolare mondo a sé, che non rassomigliava a nessun altro; qui c'erano delle leggi particolari, a sé, fogge di vestire a sé, usi e costumi a sé, e una casa morta, pur essendo viva, una vita come in nessun altro luogo, e uomini speciali. Ed ecco, è appunto questo speciale cantuccio che io mi accingo a descrivere.
Appena entrate nel recinto, vedete lì dentro alcune costruzioni. Dai due lati del largo cortile interno si stendono due lunghi baraccamenti di legno a un piano. Sono le camerate. Qui vivono i detenuti, distribuiti per categorie. Poi, in fondo al recinto, un'altra baracca consimile: è la cucina, divisa in due corpi; più oltre ancora una costruzione dove, sotto un sol tetto, sono allogate le cantine, i magazzini, le rimesse. Il mezzo del cortile è vuoto e costituisce uno spiazzo piano, abbastanza vasto. Qui si schierano i reclusi, si fanno la verifica e l'appello al mattino, a mezzogiorno e a sera, e talora anche più volte durante il giorno, secondo la diffidenza delle guardie e la loro capacità di contare rapidamente. All'interno, tra le costruzioni e lo steccato, rimane ancora uno spazio abbastanza grande. Qui, dietro le costruzioni, taluni dei reclusi, più insocievoli e di carattere più tetro, amano camminare nelle ore libere dal lavoro, sottratti a tutti gli sguardi, e pensare a loro agio. Incontrandomi con essi durante queste passeggiate, mi piaceva osservare le loro facce arcigne, marchiate, e indovinare a che cosa pensassero. C'era un deportato la cui occupazione preferita, nelle ore libere, era contare i pali. Ce n'erano millecinquecento e per lui erano tutti contati e numerati. Ogni palo rappresentava per lui un giorno; ogni giorno egli conteggiava un palo di più e in tal modo, dal numero dei pali che gli rimanevano da contare, poteva vedere intuitivamente quanti giorni ancora gli restasse da passare nel reclusorio fino al termine dei lavori forzati. Era sinceramente lieto, quando arrivava alla fine di un lato dell'esagono. Gli toccava attendere ancora molti anni; ma nel reclusorio c'era il tempo di imparare la pazienza. Io vidi una volta come si congedò dai compagni un detenuto che aveva trascorso in galera venti anni e finalmente usciva in libertà. C'erano di quelli che ricordavano come egli fosse entrato nel reclusorio la prima volta, giovane, spensierato, senza pensare né al suo delitto, né alla sua punizione. Usciva vecchio canuto, con un viso arcigno e triste. In silenzio fece il giro di tutte le nostre sei camerate. Entrando in ciascuna di esse, pregava dinanzi all'immagine e poi si inchinava ai compagni profondamente, fino a terra, chiedendo che lo si ricordasse senza malanimo. Rammento pure come un giorno, verso sera, un detenuto, prima agiato contadino siberiano, fu chiamato al portone. Sei mesi avanti aveva ricevuto notizia che la sua ex-moglie aveva ripreso marito, e se ne era fortemente rattristato. Ora lei stessa era venuta in vettura al reclusorio, lo aveva fatto chiamare e gli aveva messo in mano un obolo. Essi parlarono un paio di minuti, piansero un poco tutti e due e si salutarono per sempre. Io vidi il suo volto, mentre tornava nella camerata... Sì, in questo luogo si poteva imparare la pazienza. “
Fëdor Dostoevskij, Memorie dalla casa dei morti [Testo completo]
 NOTA:  Questo romanzo, pubblicato negli anni 1861-62 a puntate sulla rivista Vremja, pur non essendo un resoconto è fedelmente autobiografico. Nel 1849 l'autore era stato condannato a morte per motivi politici e, dopo un'orribile messa in scena che tra l'altro peggiorò la sua epilessia, la sentenza di morte fu commutata in condanna ai lavori forzati a tempo indefinito; ottenne la liberazione per buona condotta nel 1854 ma le sue condizioni di salute erano ormai irrimediabilmente compromesse.
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ross-nekochan · 2 years
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Pensieri random e sintetici che sennò non li scrivo più:
I giovani d'oggi sono troppo schizzinosi: è sporco di qua, è sporco di là, che schifo di qua, che schifo di là. Trovano un capellino nel piatto e pare ci abbia cacato dentro un uccello. Ma avete mai cucinato?? E non vi è mai capitato che vi sia finito un capello dentro il vostro stesso piatto e manco sapete come?? Ovviamente no, che cazzo dico. Poi, pure lo schifo a lavare i piatti sporchi... Boh, vabbè.
Sorvolo sul quanto mi rende triste quanto cibo viene buttato ogni giorno. Gente che si fa il piatto da sola e poi ne mangia metà. Io invece che mangio pure se sto scoppiando perché mi dispiace troppo buttare. Ok.
So di star per bestemmiare ma, a me la gente che dice "lavatevi" la schifo più di chiunque altro. Abbiamo sdoganato la salute mentale, il porno, l'omosessualità ma se si parla di puzzare, oh allora sei una merda fai schifo. Non importa se non ti lavi perché sei depresso, magari. E non importa se magari hai fatto lo sforzo di uscire dal letto per andare fuori e non ti sei lavato, potevi restare a casa a non rompere il cazzo alla gente. Lo trovo quasi al pari del razzismo. So strana? Sì, ok, me ne sbatte il cazzo.
Siamo di mezza Europa, eppure tutti concordano sui punti sopra. Tutti fanno le stesse storie di Instagram perché ormai i social hanno creato una sorta di gusto estetico internazionale. Non saprei dire se l'origine è americana ma così è. In fondo una sorta di gusto internazionale/occidentale/industrializzato esiste da qualche centinaio di anni. Quindi che cazzo dico?
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eyesonthe-sun · 2 years
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È triste ed allo stesso tempo sollevate dire che "non sei piu nessuno". Non che tu sia mai stata qualcuno per me, sei sempre stata sbiadita, annebbiata nei miei ricordi. Credo ora a mente lucida di aver amato un fantoccio, nient'altro che una proiezione della mia testa. Ho provato con tutte le mie forze a conoscerti fino a perdere la ragione, mi hai sempre battuto sul tempo, eri sempre più impenetrabile, ed ora basta, non fraintendere non sono stanco, sono solo più forte. Solo che ora senza la tua costante presenza là fuori fa freddo ed ho paura, paura di non trovare qualcuno che ti sostituisca o che ti superi , ma una cosa mi conforta: tu sei lontana anni luce, e non fa più male.
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popolodipekino · 1 year
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dare
L'estinzione della nostra specie è certo una prospettiva triste, ma piangervi sopra non è che una ben vana consolazione, come recriminare una morte individuale. [...] Cosa sarà il genere umano al momento dell'estinzione? Una certa quantità di informazione su se stesso e sul mondo, una quantità finita, dato che non potrà più rinnovarsi e aumentare. Per un certo tempo, l'universo ha avuto una particolare occasione di raccogliere ed elaborare informazione; e di crearla, di far saltar fuori informazione là dove non ci sarebbe stato niente da informare di niente: questo è stata la vita sulla Terra e soprattutto il genere umano, la sua memoria, le sue invenzioni per comunicare e ricordare. La nostra organizzazione garantisce che questa quantità di informazione non si disperda [...] E nello stesso tempo sarà suo scrupolo fare come se non ci fosse mai stato tutto ciò che finirebbe per impasticciare o mettere in ombra altre cose più essenziali, cioè tutto quello che anziché aumentare l'informazione creerebbe un inutile disordine e frastuono. L'importante è il modello generale costituito dall'insieme delle informazioni, dal quale potranno essere ricavate altre informazioni che noi non diamo e che magari non abbiamo. Insomma non dando certe informazioni se ne danno di più di quante non se ne darebbe dandole. da I. Calvino, La memoria del mondo, in Altre storie cosmicomiche
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Ho sempre usato questo blog fin dall’età di 15 anni.
In cui potevo esprimere ciò che di solito mi tenevo dentro.
Ed e triste che talvolta ci sentiamo più noi stessi attraverso uno schermo che nella vita là fuori.
❤️‍🩹
Diario di una ragazza delusa dalla vita
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danilacobain · 2 years
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Selvatica - 55. Ultime parole
Come era vuota la sua casa senza Corinna. E gli sembrava un luogo estraneo, come se non gli appartenesse più, come se in tutto quel tempo fosse stata un'altra persona a viverci, non lui.
Si alzò dal letto che troppe volte nell'ultimo periodo aveva condiviso con lei. Le lenzuola stropicciate durante l'ennesima nottata insonne giacevano in un angolo, a occupare il posto di Corinna ormai freddo.
Era trascorsa più di una settimana dal loro ultimo incontro e Ante continuava a svegliarsi nel cuore della notte con una morsa che gli stringeva il petto e le ultime parole che la ragazza gli aveva rivolto che premevano sulle tempie.
Ti odio.
Non ho mai voluto niente da te, volevo solo te.
Addio.
Un'altra giornata di allenamento, a lavorare, correre, sudare. Un'altra giornata trascorsa tra gli amici, ad attendere notizie da parte di Dolokov e inventare scuse con se stesso per non averla ancora chiamata. Lei e solo lei nella sua testa stanca. Lei e solo lei nel suo cuore triste.
Insieme avevano tutto, una complicità da fare invidia, tutta la felicità del mondo. Corinna con le sue menzogne aveva gettato su di loro una densa nube scura dalla quale Ante non riusciva a uscire. Non vedeva al di là di essa, non riusciva più a scorgere la luce.
Attraversò le stanze silenziose buttandovi uno sguardo vacuo. Quella maledetta casa lo rendeva malinconico, non voleva più starci. Avrebbe cambiato appartamento il prima possibile.
***
Un pomeriggio intero in giro per Milano alla ricerca di una casa nuova, con Rade e Mario che si erano dimostrati molto più pazienti di lui. La giornata era stata calda e nel venticello si avvertiva l'arrivo della sera, l'orario dell'aperitivo. Ante fece un sorso dal bicchiere che aveva in mano, osservando un tizio che sorrideva e si avvicinava nella loro direzione.
Rade sembrava conoscerlo, si alzò in piedi e lo salutò stringendogli la mano. Era italiano ma parlava benissimo la loro lingua, un uomo molto elegante, i capelli corti e gli occhiali da vista.
«Dai, siedi con noi. Prendi qualcosa.» Rade gli fece spazio sul divanetto.
Qualche tavolo più in là, delle ragazze stavano guardando nella loro direzione, ridacchiavano e parlavano a bassa voce. Ante si spostò, dando loro le spalle.
«Vi ringrazio, ma sono solo di passaggio», rispose l'uomo, sorridendo. «Salutami tanto Isotta e dille di non dimenticarsi della mostra.»
«Mostra?» chiese Ante, improvvisamente interessato alla conversazione.
«Ah sì, voi non vi conoscete» Rade indicò sia lui che Mario. «Loro sono i miei compagni di squadra Ante e Mario.»
Mario alzò una mano e sorrise, Ante continuò a fissare l'uomo in attesa di una risposta.
«Molto piacere, sono Massimo Lamantini.»
«È un gallerista» aggiunse Rade.
«Un gallerista?» Forse doveva sembrare ritardato perché il tizio lo fissò per un secondo prima di rispondere.
«Sì, sì. Ho una galleria qui vicino. Siete invitati anche voi alla mia prossima mostra, venite insieme a Rade e Isotta.»
Ante si alzò in piedi. «Massimo, la mia...» Frenò la lingua prima di pronunciare la parola "ragazza" solo perché cominciò a sentire delle fortissime fitte al petto. «Una mia amica sta studiando per diventare una gallerista. Posso mandarla da te? Le fai un colloquio e magari la prendi a lavorare con te. È molto preparata e soprattutto ha tanta passione.»
«Ma certo.» Massimo tirò fuori dalla tasca un bigliettino da visita che porse a Ante. «Può venire quando vuole.»
Ante annuì e sorrise, gli strinse la mano in segno di ringraziamento. Poi si sedette di nuovo, guardando Mario e Rade che lo fissavano. Tornò serio. «Che c'è?»
Massimo si congedò e Ante passò il bigliettino a Rade. «Dallo a Corinna.»
Rade strabuzzò gli occhi. «Io?»
«Puoi farglielo dare da Isotta.»
«Ante, hai rotto il cazzo con questa storia» sbottò Mario, fulminandolo con lo sguardo. «Perché l'hai lasciata se continui a pensare a lei, a fare le cose per lei, a preoccuparti per lei? Non potete stare insieme? Sareste sicuramente più felici.»
Ante buttò fuori l'aria dal naso. «Mario, per favore. Non capisci che...»
«Ma per favore, cosa? Le stronzate si fanno nella vita, ok? E lei ne ha fatta una bella grossa, ma chiaramente tu sei ancora innamorato di lei e quindi perché non la perdoni?»
Lo fissò con sguardo di ghiaccio. «Non la voglio vedere, ok?»
Mario allargò le braccia, facendo una smorfia con la bocca. «Ok. Ma questo non è affar nostro.» Tolse il bigliettino da visita dalle mani di Rade e lo piazzò davanti a Ante. «Se tanto ci tieni, glielo porti tu.»
Rade si alzò in piedi, cercando di stemperare la tensione. «Va bene, ragazzi, va bene. Andiamo a casa?»
Ante e Mario si osservarono per un altro paio di secondi. «Sì.»
Aveva ragione, Ante la amava ancora tanto e non era riuscito a trattenersi quando aveva sentito che quell'uomo era un gallerista. Era un sogno di Corinna. Ante voleva solo vederla felice. Afferrò il bigliettino e lo ripose in tasca.
«Ante?»
Una ragazza lo stava chiamando. Ante si mosse verso l'uscita, senza neanche guardare.
«Chi è quella, la conosci?» Mario si accostò la lui.
Scosse la testa, «No, non guardarla. Fai finta di non aver sentito.»
«Ante? Ehi, non mi riconosci?»
Merda, ma chi diavolo era? Sollevò lo sguardo al cielo.
«Ante, mi sa che questa ti conosce piuttosto bene.» Rade sorrise.
Ante si voltò a guardare. Capelli neri e lisci, sguardo provocante e intenso. Ma certo, la conosceva eccome, era la coinquilina di Corinna.
«Ciao.»
Lei si avvicinò. «Ciao! Sono l'amica di Corinna, ti ricordi?»
Ante annuì. «Come sta?» Di nuovo non era riuscito a trattenersi dal chiedere di lei.
La ragazza sorrise. «Bene. Ora ha iniziato a lavorare al museo del Novecento, hai presente? Quello in Piazza Duomo. Non è proprio un lavoro, sta facendo il tirocinio per l'università. È tutta presa e sempre piena di cose da fare. Però... le manchi.»
Ante fissava Monica ma immaginava Corinna e come potesse essere felice in quel momento. Sapeva quanto adorava essere circondata dall'arte, sapeva quanto potesse essere importante per lei. Avrebbe tanto voluto che lo chiamasse, per condividere con lui quel momento. Invece il telefono era sempre rimasto silenzioso.
«Dove andate, ragazzi? Perché non vi unite a noi?» La voce della ragazza lo riportò nel locale. Lei gli fece l'occhiolino. «Tranquillo, non c'è Corinna.» Le riservò un'occhiata gelida, credeva che così lo avrebbe convinto a restare?
Mario fece un passo verso Monica. «Perché no.»
Ante si voltò di scatto verso Mario, aggrottando impercettibilmente la fronte. «Ce ne stavamo andando.»
Monica spostò lo sguardo tra i due, lasciandolo un po' di più su Mario. «Vabbè, se decidete di restare raggiungeteci.»
Ante aspettò che la ragazza si allontanasse, poi si rivolse a Mario. «Sei matto? Vuoi scoparti l'amica di Corinna?»
Rade ridacchiò e Mario alzò le spalle. «È attraente, no?»
Ante sorrise e scosse la testa. «Guarda che quella poi la devi pagare.»
Mario spalancò gli occhi e la bocca. «No... davvero?»
I tre risero insieme, Ante infilò le mani in tasca in cerca delle chiavi della macchina e le dita sfiorarono il cartoncino ruvido del bigliettino da visita. Tornò subito serio e sospirò.
«Io me ne vado, ci vediamo domani.»
Che doveva fare se non voleva vederla? Strinse il cartoncino nella mano mentre si dirigeva verso l'auto. Fu tentato di buttarlo, tanto sarebbe rimasto in quella tasca per sempre. Non sarebbe mai arrivato nelle mani di Corinna. Lei probabilmente stava ritrovando la sua felicità, non c'era bisogno di andare a disturbarla.
Non sarebbe andato da lei per sentirsi dire ancora quelle ultime parole che lo tormentavano.
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rilucevo · 2 years
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AUTORITRATTO
«Oggi la mia anima è triste fino al corpo.
Tutto me stesso mi duole: la memoria,
gli occhi e le braccia. In tutto ciò che io
sono c'è come una specie di reumatismo.
Sul mio essere non ha nessun influsso la
luce limpida del giorno, il cielo di un grande
azzurro puro, l'alta marea immobile di luce
diffusa. Non mi lenisce affatto il lieve soffio
fresco autunnale, come se l'estate non passasse,
che dà tono all'aria. Nulla è nulla per me.
Sono triste, ma non con una tristezza definita,
e nemmeno con una tristezza indefinita.
Sono triste là fuori, nella strada dove si accumulano
le casse. Questa descrizione non traduce esattamente
ciò che sento, perché nulla può tradurre esattamente
ciò che qualcuno sente».
(Fernando Pessoa)
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firewalksbymyside · 2 years
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Era il 30 novembre. Ed io ho davvero scoperto di aver un cuore, il giorno dell'infarto.
Il tuo.
È passato un anno, ed io oggi potrei raccontarti di quella volta che il vento ha spinto contro il mio viso un foglietto, dove c'era scritto "un abbraccio che ti scalda" o di quella volta che ho trovato, incastrata in un tergicristallo, la pagina di un libro di citazioni che diceva "il tuo sorriso fa alla vita ciò che il sole fa ai fiori" o ancora di quella volta che alzando gli occhi al cielo, in segno di sconforto, ho trovato una nuvola, enorme, a forma di cuore, proprio lì sopra al mio naso.
Potrei raccontarti di tutti quei sogni, in cui mi dici che stai bene, che mangi, che sei felice.
E di un sogno in particolare, proprio nel giorno dell'equinozio, così vicino al tuo compleanno, nel quale mi hai detto "Non essere triste, guarda che bella primavera".
Potrei raccontarti di queste e di tutte le innumerevoli volte in cui ho sentito la tua carezza nel vento, in cui ti ho sentito vicino anche da così lontano.
Oggi ho riempito la mia giornata di cose che amo, il calcio, il cinema, per ricordarmi che questa vita può darci ancora tanto, può sorprenderci, risollevarsi, abbracciarci, e anche quando pensiamo che un dolore sia troppo grande da sopportare, c'è ancora tanta vita là fuori, tanta vita da vivere.
Con te sempre al mio fianco.
Ciao papà.
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sfiorisce · 2 years
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alert: nota scritta male
Recentemente la mia università ha avviato un concorso: scrivere un tema su quando hai capito che l’infanzia era finita.
Involontariamente ci ho pensato parecchio, oggi poi ho realizzato che avevo l’età di Viola quando ho scoperto che mio padre tradiva mia madre.
D’impulso mi verrebbe da dire che la mia infanzia è finita quando ho capito che dovevo tenermi tutto per me e proteggere i miei fratelli, a qualsiasi costo e soprattutto che dovevo trovare il coraggio di mettere il loro bene  davanti al mio, non importavano le conseguenze che ci sarebbero state su di me. 
In quel momento ho imparato che la mia felicità doveva passare in secondo piano.
Però a pensarci bene non è stato proprio quello, c’era un mio lato infantile che quasi ne godeva, ogni tanto pensavo “beh guarda un po’ questa situazione, sicuramente un giorno verrò premiata”
Ma del resto come altro potevo viverla a quell’età se non convincendomi di un pensiero simile, sono cresciuta con la piena sicurezza che sarebbe arrivata, un giorno, una valanga di felicità, da chissà dove poi, che mi avrebbe ricompensato.
Poco dopo mi sono ricreduta.
Non saprei da quale giorno partire per raccontare quella storia là.
Ho semplicemente sempre saputo, fin da piccola, che mia zia aveva qualcosa che non andava: a 40 anni ancora a casa con i genitori e senza lavoro, nella mia testolina mi rendevo conto che la vita di mia zia era parecchio fuori dal comune.
Quella storia là si trova in una parte della mia memoria che faccio molta fatica a ricostruire, nonostante io in generi mi ricordi qualsiasi cosa per filo e per segno.
Mi ricordo le cose a pezzi. Mi ricordo di aver capito che mia zia era parecchio triste, ma davvero di brutto, per questo motivo non lavorava e non riusciva ad andare a vivere da sola, non era solo questo: non le piaceva lavarsi e indossava solo il pigiama, piangeva spesso, fissava il vuoto.
Poi all’improvviso è diventata sempre più arrabbiata, era venuto fuori che avesse fatto del male a mia nonna senza alcun motivo.  
Mi ricordo poi un giorno in cui mia nonna aveva chiamato al telefono di casa, io avevo risposto e lei mi aveva detto “tua zia si vuole suicidare” e nel frattempo piangeva, poi aveva detto “si sta per buttare dalla finestra”. Credo che la mia mente non fosse in grado di processare una cosa simile, non mi ricordo assolutamente cosa risposi, però da lì in poi le cose sono degenerate.
Non si è buttata, grazie a dio, ma era sempre più arrabbiata. Ha cominciato a chiamare casa nostra centinaia di volte al giorno, chiamava e riattaccava, chiamava e riattaccava. Ci chiamava pure la notte.
Ha iniziato poi a scrivere messaggi a mia madre in cui minacciava di farle del male e di ucciderla soprattutto, le diceva che la odiava. Questa parte la ricordo meglio perché dentro di me è esplosa una rabbia incontrollabile, avevo penato così tanto per la mia famiglia, non poteva lasciarci in pace?
Ero arrabbiatissima e nessuno mi poteva gestire, talmente arrabbiata da urlare pure contro mia zia che per tutta risposta aveva capito una cosa molto bene: 
aveva capito che la odiavo, che la odiavo io e non gli altri membri della mia famiglia e che la colpa era mia e non degli altri, poi chissà colpa di cosa.
Un giorno, sotto casa di mia nonna, mia zia aveva provato a colpire mia mamma, l’unica cosa che mi ricordo bene era la frase che ripetevo dentro di me “nessuno può toccare la mia famiglia, io devo difenderla”.
Mia madre stava bene, mi ricordo solo questo, e che io invece ero stata buttata a terra.
Ho probabilmente sbattuto la testa per questo non mi ricordo tutto, però ho molto bene impresse  le minacce di morte contro di me.
Poi di notte ho cominciato a fare incubi, sognavo mia zia che mi trovava e mi uccideva, non riuscivo più a dormire e non volevo più uscire.
Non ero andata a scuola per settimane perché avevo il terrore di trovarla per strada, ero convinta che lei avesse le chiavi di casa nostra anche se tutti mi dicevano di no.
Quel giorno in cui mi sono ritrovata a terra ho capito che l’infanzia era finita? O sono state tutte le mattine in cui mi alzavo dal letto dopo aver dormito pochissime ore a causa degli incubi?
Anche in quella fase pensavo:  “beh guarda un po’ questa situazione, sicuramente un giorno verrò premiata”  
Più gli anni passavano più accumulavo delusione e forse la mia infanzia è davvero finita quando ho capito che non è vero che se fai qualcosa di buono, come mi sembrava proteggere la mia famiglia in quelle circostanze, poi ti ritorna indietro qualcosa di altrettanto buono. 
Tutta quella gioia che pensavo di meritare non è mai arrivata, però pensavo che almeno sarei stata più forte davanti alle piccolezze.
Una parte di me ogni tanto mi dice “hai vissuto questo questo e questo, i problemi più piccoli saranno una sciocchezza in confronto”
Ma poi anche questa è una cazzata.
In questi giorni mi ripeto “è solo uno stupido esame, uno stupido tirocinio e sono solo un po’ di giorni in cui sono da sola, niente in confronto a quello che ho vissuto” ma non solo infallibile come pensavo, non solo non c’è quella grande felicità nella mia vita che pensavo di meritarmi, non sono nemmeno invincibile. 
L’ho capito dai piatti che si accumulano dentro al lavandino, dalla fatica che faccio per scrivere un’email e per buttare l’immondizia, dalle mie ansie spropositate per ogni cosa stupida. 
Magari non ho proprio imparato un cazzo e la mia infanzia non è ancora finita?
In realtà sto male come tutti, non sono più forte, mi rattristo e mi demoralizzo moltissimo anche per le situazioni più banali. Quindi a che è servito tutto il mio passato? Non sono ancora riuscita a capirlo.
So che a volte sto peggio del dovuto perché c’è quella componente che spera,  in ogni circostanza, che arrivi la felicità che merito ma poi rimango delusa e la tristezza aumenta.
Mi piace tantissimo ascoltare le persone e provare ad aiutarle, però mi domando
Il mio ruolo è mettermi al servizio della felicità degli altri come faccio fin da piccola? è vero quindi  che la mia felicità deve passare in secondo piano? perché? quando potrò ottenere la mia priorità?
domande banali e infantili, scrittura banale e infantile di qualcuno che non  è ancora abbastanza maturo, nonostante tutto.
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smilingaurora · 4 months
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La Bella e l'asino!
Ieri dopo che te ne sei andato, confesso che ero triste come sempre.
Ma, per la prima volta, triste per te. Mi chiedo quale altra donna ascolterebbe le più grandi assurdità come me, eppure non smetterebbe di guardarti e di vedere un uomo meraviglioso.
Quale altra donna ti vedrebbe oltre il tuo guscio? Non capisci che stai perdendo il gusto per ciò che è vero e buono nella vita? C’è così tanto cibo avariato, plastificato e senza sale che per donne come me stai perdendo il senso del gusto. E non sai quanto vale la pena piacere a qualcuno e svegliarsi accanto a lui, sentendolo respirare piano mentre dorme, bellissimo. E quando dormi così tranquillo, so che, anche se non cambio in alcun modo la tua vita, hai bisogno di me.
Non sai quanto sia infinitamente meglio che svegliarsi con questi postumi di cose sbagliate e vuote. O da solo e alla disperata ricerca di un amico che ti riaffermi che ne varrà la pena. O con qualche sciocca ragazzina che uscirà con il suo guscio. La conchiglia che anche tu detesti e che usi proprio per mettere alla prova le persone “chi piaccio a me non va bene per me”.
E voglio tenerti la faccia e ordinarti di essere intelligente, di non perdermi mai e di essere felice. E capire che abbiamo tutto ciò di cui due persone hanno bisogno per essere felici. Ridiamo molto insieme. Ci ammiriamo l'un l'altro dai nostri piccoli piedi fino a dove ognuno è arrivato da solo. Pensiamo che il mondo sia pazzo e sogniamo di non svegliarci mai prima di mezzogiorno. Siamo sicuri che nessun profumo al mondo sia migliore della nuca di qualcun altro, alla fine della giornata. Ci siamo riconosciuti da molto tempo quando ci siamo incontrati per la prima volta nella nostra vita.
E tu mi guardi con questa banale faccia da "aspettami ancora un po'". Voglia di congelarmi mentre controlli per la centesima volta se davvero non esiste una donna migliore di me. E ritorna sempre. Torna perché potresti avere anche una coscia più dura. Potresti anche avere un conto bancario più ricco. Potrebbe esserci qualcosa di interessante che ti istiga. Non c'è nessuno migliore di me. Non ha. Perché quando hai bisogno di sentirti speciale e amato, sono io quello che chiami. E, quando pensi a qualcuno in un momento di solitudine, sia per piangere che per avere qualche pensiero birichino, è a me che pensi. Io so tutto. E ho passato gli ultimi mesi a scrivere di quanto eri speciale e di quanto ti amavo e di questo e quello. Ma basta.
Alla fine mi sono reso conto di quanto tu sia un ragazzo stupido. E quanto non troverai mai una donna come me in quei posti deprimenti in cui guardi. E quanto piccola deve essere la tua felicità senza di me perché tu possa vivere ribadendo quanto sei felice senza di me e soprattutto vivere ribadendomi questo. Sai cosa? Vado a letto ogni giorno con 5 libri e una grande nostalgia per te. Invece di stare là fuori a dare la caccia a qualche idiota per strada per dimenticarti o dimenticarmi. Perché gioco da solo e gioco con il cuore. E non mi sento debole o stupida o spreco il mio tempo per questo. E vado in palestra tutti i giorni come quei tuoi amichetti che ami tanto, ma ho qualcosa che di certo non trovi in ​​loro: la materia.
Un bel argomento. Non faccio una sfilata di moda ogni secondo della mia giornata perché penso di essere bella senza bisogno di piastra, tacchi alti e petto tortora.
Mi dispiace per le donne che corrono in continuazione per diventare il frutto più buono di una fiera. Per poi essere palpeggiati e farsi sputare la bagassa. Sono anche invitato a queste piccole feste con le persone "Wanna be" che adori. Ma sono già qualcuno e non ho più bisogno di volerlo essere. E alla fine ho smesso di dispiacermi per me stesso per essere senza di te e ho iniziato a dispiacermi per te per essere senza di me. Perdente.
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luigifurone · 7 months
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18. (Maggie)
"Maggie".
Appena entrato in casa: "Maggie". Forse era un pensiero sussurrato, o forse erano le labbra che s'erano mosse. Le stanze erano in penombra, con le tende tirate a metà. Era una bella giornata di sole. Gli stivali erano sporchi di terriccio e nella destra stringeva la pianta che aveva strappato. L'avrebbe messa a dimora più tardi. Era stato fortunato, quel pomeriggio, a trovarla. Prima di interrarne le radici, due o tre rose, le più fresche, sarebbero andate sul camino.
Margaret Swanson era la quinta di sette figli. A parte i capelli ramati e la tinta degli occhi, non aveva granché in comune con gli altri fratelli. Era nata nel Cheshire e si era trasferita lì, col resto della famiglia, quando aveva dodici anni. Era diventata amica di Anne, con cui condivideva aspettative irrequiete e lo stesso modo di guardare le cose. Anne era la cugina di George e così si erano conosciuti.
Era come un serpente, ciò che li aveva uniti. Una stretta difficile da districare, specie quando la loro carne era diventata quell'abbraccio.
Si sedette a guardare le rose. Le osservava inebetito, come fossero qualcosa di più che un'erba. Maggie non c'era nella sala. No, non c'era. Dov'era? Forse stava facendo la toeletta, di sopra. O magari era fuori. Qualcosa di triste s'era infilato sotto la sua pelle, dalle mani fino alla testa e là era diventata una piena. Non poteva reggerla. Si alzò, cominciò a girare nelle stanze a piano terra, mentre i suoi pensieri giravano ancor di più e infine uscì, sconfitto. Il sole era calato, l'aria era buia e fredda e sperava che gli facesse male.
Maggie aveva uno strano modo di sedere. Teneva le gambe aperte, la schiena puntata in avanti e le braccia, poggiate sulle ginocchia, che si riunivano ai polsi. Poi si ciondolava e guardava il mondo dall'alto in basso. E quegli occhi sembravano così lontani, così lontani che la gente di solito non pensava nemmeno di esserci, lì dove guardava lei. Lui invece sì.
Maggie aveva fili di rame, gli stessi dei capelli, che s'affacciavano sottili nel grigio dell'iride, come se fossero stati acconciati proprio per quello. Si spegnevano solo quando aveva goduto. George era pazzo di lei.
Rientrò in casa che per le vie non girava più nessuno. Potevano essere le tre. S'avanzò nel pallore permesso dalla luna, riuscì a distinguere le tre rose bianche sul cornicione di legno. No, non era successo in questa stanza.
"Maggie."
Ebbe l'impressione che lei gli fosse dietro … eccola. La gonna verde scuro, le pieghe che fasciavano le gambe, il petto che premeva sulle falde grigie della camicia. Le avrebbe stretto la vita. Sentiva il profumo del fiato di lei formarsi appena sopra le sue labbra.
Margaret non aveva chiesto mai nulla. Lei prendeva, lo prendeva, come si prende una cosa che ci appartenga, senza riserve, senza particolari preoccupazioni. Sapeva, Maggie, sapeva tutto di lui. Sapeva dove abitavano i sogni, ad esempio. Dove cercare i segreti, sapeva, e conosceva gli angoli dei cassetti e le pietre del giardino da rivoltare. E quando lo portava in fondo a quella strada che lui non aveva ancora percorso, George scopriva stupito solo in quel momento quanto avesse desiderato esserci, in quel punto.
Sapeva quasi tutto, maledizione.
Fece le scale. Perché non c'era, Maggie? Il profumo di prima era un'illusione, come le pieghe della gonna. Una tremenda illusione, come quella dell'amputato che crede di avere ancora l'arto, il resto del corpo proteso a disegnare armonie impossibili, la mano assente a danzare nell'aria. Un taglio che non ha tagliato, ecco cos'era. La mano era rimasta, ecco cos'era, sinistra, intoccabile, vuota, eppure ancora piena.
Sì, era stato proprio qui.
Che l'aveva uccisa.
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È davvero così che apparirebbe la mia vita là fuori,nel mondo del lavoro?Una triste pagina bianca?
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