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#universitaria fuori sede
kyda · 2 months
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08:59 di domenica mattina, vado a lavarmi i denti in bagno, dove avevo la finestra aperta, e sento LA PUZZA della frittura che stava già penetrando e si attaccava ai muri e ora io dico o mi metto a urlare in terrazza che mi sono rotta e faccio uno spettacolo che sia degno di essere chiamato tale in cui io faccio la parte della gran maleducata o lascio questa maledetta casa perché a quanto pare l'educazione con la signora sotto non ha funzionato e la mia richiesta gentile di avvisarmi quando deve friggersi l'anima non l'ha sentita o ha voluto ignorarla perché dai come può essere diventato un problema così grave!!! lei mi ha dato tre risposte da sbellicarsi dalle risate l'altro giorno: 1 per me non è puzza, è profumo; 2 mai nessuno in trentadue anni mi ha fatto problemi; 3 pensa se abitassi in un palazzo con gli indiani. ma io povera universitaria fuori sede che non riesce sempre a lavare durante le sere della settimana (che comunque tipo il martedì mattina non è garanzia del fatto che lei non friggerà) che cosa devo fare? faccio la cattiva e mi metto a fumare e le butto la cenere di sotto dicendole che il profumo della sigaretta mi inebria o semplicemente mi lamento con la proprietaria? accetto suggerimenti (seriamente)
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lamilanomagazine · 2 months
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Elezioni Europee, il voto per studentesse e studenti fuori sede
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Elezioni Europee, il voto per studentesse e studenti fuori sede In occasione delle prossime elezioni dei membri del Parlamento europeo dell'8 (dalle 15 alle 23) e 9 giugno (dalle 7 alle 23), studentesse e studenti che per motivi di studio si trovano in un comune di una regione diversa da quella del comune di residenza sono ammessi a votare fuori sede. Le modalità previste per l'esercizio del voto fuori sede sono due: se il comune di domicilio temporaneo appartiene alla medesima circoscrizione elettorale del comune di residenza (I – Nord Occidentale, che comprende Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria) gli studenti fuori sede potranno votare direttamente nelle sezioni ordinarie del comune di temporaneo domicilio; se il comune di temporaneo domicilio appartiene a una circoscrizione elettorale diversa da quella a cui appartiene il comune di residenza, gli studenti fuori sede voteranno presso il comune capoluogo della regione alla quale appartiene il comune di temporaneo domicilio, recandosi presso sezioni elettorali speciali. Nel caso della Lombardia il capoluogo è Milano e i seggi speciali saranno comunicati tramite propri canali ufficiali entro 15 gg dal voto. La domanda per esercitare il diritto di voto fuori sede deve essere presentata al proprio comune di residenza entro il 5 maggio 2024, usando il seguente modello predisposto dal Ministero dell'Interno: Alla domanda occorre allegare copia di un documento di riconoscimento in corso di validità, copia della tessera elettorale personale, copia della certificazione o di altra documentazione attestante l'iscrizione presso un'istituzione scolastica, universitaria o formativa. Studentesse e studenti aventi residenza a Milano, che vogliono votare fuori sede, devono inviare una mail all'indirizzo [email protected] sempre entro il 5 maggio 2024. Il Comune di domicilio o il Comune capoluogo di Regione trasmetterà agli elettori e alle elettrici richiedenti l'attestazione di ammissione al voto fuori sede con l'indicazione del numero e della sezione presso cui votare (comprensiva dell'ubicazione spaziale del seggio). Il Comune di domicilio o il Comune capoluogo di Regione trasmetterà agli elettori e alle elettrici richiedenti, entro il 4 giugno 2024, l'attestazione di ammissione al voto fuori sede con l'indicazione del numero e della sezione presso cui votare, da esibire al Presidente del seggio insieme alla tessera elettorale e a un documento di identità. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito del Comune di Milano.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Laurea online: la nuova frontiera della formazione è tutta digitale 
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L'Università Telematica in Italia è nata negli anni '90 e, da allora, ha diffuso un nuovo modo di condividere il sapere e renderlo universale. Grazie all’avanzata tecnologia, infatti, l’intera società globale ha maturato la consapevolezza di come, grazie al web, sia possibile fare innumerevoli cose e, tra queste, vi è l’insegnamento a distanza.  Forse ci si è resi conto del reale e benefico impatto di tali tecnologie solo negli ultimi anni perché, per cause di forza maggiore, il web ha costituito l’unica alternativa praticabile per continuare a lavorare, studiare o fare acquisti.  In realtà, però, questa consapevolezza esiste già da molti anni, almeno per alcuni, e, finalmente, ha trovato la sua massima espressione offrendo, tra le tante comodità, anche quella di poter frequentare corsi universitari online, in tutto e per tutto equivalenti a quelli tradizionali.  Il sistema universitario online: caratteristiche e informazioni  La normativa che regola le università telematiche in Italia è il Decreto Interministeriale 17 aprile 2003 recante "Criteri e procedure di accreditamento dei corsi di studio a distanza delle università statali e non statali e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici".  Questo decreto stabilisce le regole per la creazione e il funzionamento delle università telematiche, nonché i requisiti per il loro accreditamento e riconoscimento da parte del MIUR. Inoltre ha dato vita a un apposito Comitato di esperti per la valutazione delle istanze di accreditamento dei corsi di studio universitari a distanza che, come per le università tradizionali, devono garantire agli studenti i migliori standard di qualità.  Le università online, quindi, consentono di perseguire la laurea dei propri sogni attraverso percorsi di studio regolamentari, in quanto avallati esplicitamente dal Ministero. Questo avviene anche grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, con le quali gli studenti sono seguiti e supportati a distanza.  I vantaggi di perseguire la laurea online sono molteplici I corsi di studio universitari telematici hanno permesso a tantissime persone di accedere, finalmente, al sapere o alla carriera che hanno sempre desiderato. In passato, purtroppo, poter frequentare l’università fuori sede non era possibile per tantissime persone, legate per varie ragioni alla propria città o paese di nascita.  Vanno considerati anche gli impegni lavorativi e quelli familiari che, talvolta, hanno scoraggiato o fatto desistere persone volenterose di ricevere una formazione universitaria di alto valore e, magari, di potersi collocare meglio sul mercato del lavoro.  Oggi questo ostacolo non esiste più grazie alla possibilità di poter studiare online e accedere a una grande varietà di strumenti didattici estremamente evoluti. Le università online, infatti, permettono di conciliare vita privata, lavoro e famiglia con le lezioni e con gli esami. Inoltre offrono agli iscritti tutti i servizi tipici delle università tradizionali, dalla possibilità di partecipare all’Erasmus a quella di svolgere un tirocinio formativo, nonché di essere supportati da un tutor.  Infine. i contenuti formativi, sempre disponibili online, permettono di seguire le lezioni con i propri tempi e, quindi, di vivere finalmente i propri sogni di realizzazione a distanza, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo ci si trovi.  Read the full article
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lifefactorymagazine · 2 years
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UNIVERSITY NETWORK _ il più grande network universitario
UNIVERSITY NETWORK _ il più grande network universitario
University Network, la più grande organizzazione universitaria in Italia con oltre 1 milione di studenti coinvolti e con una presenza capillare in oltre 30 università italiane, con il patrocinio del Comune di Milano, ha deciso di lanciare il progetto “Welcome Kit Universitario 2022”, uno speciale Kit di benvenuto per aiutare concretamente gli studenti e le studentesse fuori sede in arrivo a…
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liveunict · 2 years
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Studenti fuori sede e bagagli: come spedire la valigia si può spedire
Partire senza l’ansia dei bagagli? Da oggi si può. Per tutti i viaggiatori l’argomento valigia è molto spesso fonte di preoccupazione, soprattutto a causa dei limiti di peso e dimensioni imposti dalle compagnie aeree. Il problema è riscontrato soprattutto dagli studenti fuori sede che, per il ritorno a casa in occasione delle vacanze o per il rientro nella propria città universitaria, sono spesso…
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coronedilaurea · 3 years
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"Non considerare mai lo studio come un dovere, ma come un'invidiabile opportunità." A.E
www.coronedilaurea.com #summersale
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Vita di uno studente fuori sede 🏠
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ninna--nanna · 2 years
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La parte più emozionante della mia vita universitaria penso sia leggere in continuazione: spotto ragazza castana, jeans scuri, maglione bianco alla sede di chimica, spotto ragazzo incontrato alle macchinette al campus (penso studi scienza politiche), cerco ragazza che mi ha chiesto oggi fuori da Palazzo Nuovo una sigaretta ecc.
-Lullaby
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paoloxl · 3 years
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Bologna 11 marzo 1977 - L'omicidio di Francesco Lorusso - Osservatorio Repressione
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Alle 10, assemblea di Comunione e Liberazione: circa 400 persone. Cinque compagni di Medicina, presentatisi all’entrata, vengono malmenati e scaraventati fuori dall’aula. La notizia si sparge nell’università e accorrono una trentina di compagni che vengono dapprima fronteggiati da un centinaio di squadristi ciellini. L’aggressione da parte dei cosiddetti “autonomi” consiste nel lancio di slogans e scambi verbali (ad esempio: “Barabba libero”, “Seveso, Seveso”). Scatta la provocazione preordinata: i ciellini si barricano all’interno dell’aula; uno di loro, d’accordo con il prof. Cattaneo, che intanto aveva interpellato il rettore Rizzoli, chiede l’intervento della polizia e dell’ambulanza, prima ancora che succedesse qualcosa.
Nel frattempo, fuori dall’Istituto di Anatomia, si raggruppa un centinaio di compagni; quelli rimasti dentro, dopo aver cercato di sfondare la porta dell’aula, chiedono l’individuazione dei responsabili dell’aggressione, invitando gli estranei al fatto ad uscire. Vista l’inutilità di questi tentativi, i compagni si ricongiungono agli altri che fuori dall’istituto di Anatomia lanciavano slogans contro CL. Dopo appena mezz’ora, arrivano polizia e carabinieri con cellulari, gipponi e camion, in numero certamente spropositato. I compagni escono allora dal giardino antistante l’istituto e si raccolgono sul marciapiede nei pressi del cancello; un primo gruppo di carabinieri entra e si schiera nel giardino, un secondo gruppo esegue la stessa manovra: sta per entrare, si scaraventa contro i compagni, manganellandoli senza alcuna motivazione.
I compagni scappano verso Porta Zamboni; parte la prima scarica di candelotti. Ritornando verso via Irnerio, i compagni vengono bloccati da una autocolonna di PS e carabinieri ed é a questo punto che un carabiniere spara ripetutamente. Per difendersi, viene lanciata una molotov contro la jeep, causando un principio d’incendio. Poi, in Via Mascarella, un gruppo di compagni che ritornava verso l’università incontra una colonna di carabinieri proveniente da Via Irnerio: a questo punto il compagno Francesco Lorusso (militante di Lotta Continua) viene freddamente ucciso. Era rimasto a studiare fino alle 12,30 e solo allora era sceso in strada. I carabinieri caricano il gruppo in cui si trova Francesco e partono le prime raffiche di mitra: alcuni compagni scappano verso l’università, risalendo Via Mascarella. Una pistola calibro 9 si punta sui compagni ed esplode 6 – 7 colpi in rapida successione: lo sparatore (come testimoniano i lavoratori della Zanichelli) indossa una divisa, senza bandoliera, e un elmetto con visiera; prende la mira con precisione, poggiando il braccio su di una macchina. Francesco, sentendo i primi colpi, si volta mentre corre con gli altri e viene colpito trasversalmente. Sulla spinta della corsa percorre altri 10 metri e cade sul selciato, sotto il portico di Via Mascarella. Quattro compagni lo raccolgono e lo trasportano fino alla libreria Il Picchio, da dove un’autoambulanza lo porta all’ospedale. Francesco vi giunge morto.
Nel frattempo, la polizia dopo aver disperso i compagni in Via Irnerio, si ritira in questura. La voce che un compagno é stato ucciso si sparge rapidamente. Radio Alice ne dà la notizia verso le 13,30. Da allora in poi nella zona universitaria é un continuo fluire di compagni. Tutti gli strumenti di informazione che il movimento possiede sono in funzione, dalle parole alla radio. All’incredulità e al disorientamento si sovrappongono il dolore e la rabbia. L’università si organizza per evitare nuove provocazioni della polizia, vengono chiuse tutte le vie d’accesso, ogni facoltà si riunisce e dalle assemblee improvvisate (tutte le aule, la mensa, ogni spazio é riempito dai compagni che si organizzano) emerge con chiarezza che l’assassinio di Francesco é tutto tranne un “incidente”. Vengono fatte telefonate ai vari CdF e si manda una delegazione alla Camera del Lavoro per chiedere l’adesione al corteo. La rabbia e il dolore si fanno crescenti e la maggioranza dei compagni individua gli obiettivi e le risposte che il movimento vuole dare. La libreria di CL, Terra Promessa, ridiventa per la terza volta “terra bruciata”.
Finite le assemblee si organizzano i servizi d’ordine allo scopo di garantire l’autodifesa del corteo e da tutte le parti si grida che l’obiettivo politico da colpire é la DC. Si parte con un’imponente manifestazione di 8.000 compagni. Sono le 17,30. Il corteo é in Via Rizzoli: alcuni compagni se ne staccano e infrangono le vetrine della via centrale. In Piazza Maggiore il corteo sfila, raccogliendo i compagni rimasti, mentre un gruppo di aderenti al PCI si raccoglie attorno al Sacrario dei Caduti; l’attesa partecipazione dei consigli di fabbrica veniva meno. Il corteo si dirige in Via Ugo Bassi, dove altre vetrine vengono infrante.
Nei pressi della sede della DC, la polizia si scontra con la testa del corteo che riesce ad evitarne l’irruzione nel corteo stesso. Intanto, la coda si scioglie e si disperde nelle stradine laterali. Un primo troncone si ricompone in Via Indipendenza e si dirige alla stazione FS, occupando i primi binari. L’altra parte si ricompone in Piazza Maggiore e si immette in Via Indipendenza dove apprende la notizia dell’occupazione della stazione. Qui intanto iniziano gli scontri, la polizia entra nell’atrio principale, sparando candelotti; i compagni rispondono, riuscendo così ad allontanarsi da un’uscita laterale. Il resto del corteo é nel frattempo arrivato nella zona universitaria, dove ci si riunisce in assemblea, per una valutazione della giornata e per organizzare il viaggio a Roma dell’indomani; nel frattempo viene “aperto” il ristorante di lusso il Cantunzein e centinaia di compagni possono sfamarsi. L’assemblea, iniziata nell’aula magna di Lettere, per l’enorme afflusso di gente viene trasferita al cinema Odeon. Nei pressi del cinema, un compagno viene sequestrato da agenti in borghese, armi in pugno e trasportato via su un’auto con targa civile. Nella notte vengono effettuati numerosi arresti e perquisizioni domiciliari.
Nel tardo pomeriggio le federazioni bolognesi del Pci e della Fgci distribuiscono un volantino: “… Una nuova grave provocazione é stata messa in atto oggi a Bologna. Essa ha preso il via da un’inammissibiie decisione di un gruppo della cosiddetta Autonomia di impedire l’assemblea di CL e da gravi interventi da parte delle forze di polizia. Di fronte a una situazione di tensione nella quale ancora una volta é emerso il ruolo di intimidazione e di provocazione dei gruppi neosquadristici, si é intervenuto con l’uso di armi da fuoco da parte di agenti di PS e dei carabinieri… dev’essere isolata e battuta la logica della provocazione e della violenza che piú che mai é al servizio della reazione. Da tempo nella nostra cittá ristretti gruppi di provocatori, ben individuati, hanno agito all’interno di questa precisa logica“.
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corallorosso · 3 years
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Studenti e studentesse ventenni fanno sex working per potersi pagare l’Università In un’intervista al Corriere della sera, una giovane studentessa ventenne, universitaria fuori sede iscritta alla facoltà di Economia ha raccontato la sua storia: “Io, studentessa, escort per pagarmi l’università da due anni: guadagno fino a 6 mila euro al mese, 5 anni e poi smetto. Non è prostituzione ma sex working”. La giovane con “una storia comune e per niente ai margini” - dice il Corriere - racconta: “In strada ci sono le vittime della tratta, noi facciamo tutta un’altra cosa. Ci iscriviamo sui siti di incontri e ci proponiamo come sugar baby. Vendiamo esperienze e non c’è disparità di potere perché noi abbiamo la giovinezza, loro il denaro”. Non appuntamenti in web cam, ma incontri reali che possono durare uno o più giorni e che, a volte, prevedono anche trasferte: ecco cosa fanno la studentessa di Economia, la sua coinquilina che frequenta il Conservatorio e un amico di Scienze politiche. “Ma cosa c’è di diverso dal subire una violenza, nell’offrire il proprio corpo?”, chiede il Corriere. I tre giovani rispondono: “Ci assumiamo un rischio quasi imprenditoriale, liberi di smettere in qualunque momento. Mai accetteremmo di farci controllare da altri, anche se a volte capita che qualcuno si faccia avanti dicendo di volerci proteggere”. La studentessa di Economia afferma che continuerà questo lavoro ancora per quattro o cinque anni, non di più. L’obiettivo non è solo pagarsi gli studi e l’abitazione a Milano, ma anche mettere da parte soldi per il futuro: “Mi serviranno per fondare una start up o aprire un negozio tutto mio, invece che restare disoccupata”. Non mancano le difficoltà (“Non ti puoi innamorare di nessun ragazzo, o questo lavoro non lo riesci più a fare”) e le paure. “Raccontano di esperienze anche terribili: “Una volta sono stata legata e gettata nella vasca da bagno a lungo, credevo di morire. Volevo denunciare, ma a chi, e cosa avrei potuto dire?”. globalist
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diceriadelluntore · 4 years
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Storia Di Musica #142 - Midnight Oil, Diesel And Dust, 1987
Il viaggio che più ho nel mio cuore fu quello quando me ne sono andato in Australia, da solo. Non potevo non sottrarmi dal cercare qualche band australiana che non fossero gli AC\DC, e il tipo del negozio di dischi di Darlinghurst, un quartiere molto bello di Sydney, non ebbe dubbi a dare un consiglio ad un “dutchman” (non ci credeva che fossi italiano): i Midnight Oil sono il più grande gruppo del rock australiano. Mi consigliò il disco di oggi, ma ci arriviamo tra poco. I Midnight Oil prendono il nome da un verso di una canzone della Jimi Hendrix Experience, Burning Of The Midnight Lamp, e nascono a metà anni ’70 quando Peter Garrett risponde ad un annuncio messo dal batterista Rob Hirst, dal bassista Andrew James e dal tastierista/chitarrista Jim Moginie, che formavano i The Farm: cercavano un nuovo cantante. Garrett si trasferì da Canberra a Sydney, dove completò una brillante carriera universitaria di studi in legge, e iniziò a cantare con gli altri 3. In breve tempo, grazie alla solidità delle loro esibizioni dal vivo, i Midnight Oil iniziarono a farsi un nome nei locali della Baia di Sydney. Lo stile era un ruvido punk rock senza compromessi, proprio in linea con la scena internazionale. Nel 1977 si aggiunge un’altra chitarra, quella di Martin Rotsey e una figura fondamentale, Gary Morris, manager del gruppo. Morris è un grande mago delle collaborazioni, dei contratti e delle “sponsorizzazioni” tanto che grazie all’aiuto della stazione radio di Sydney Triple J, registrano il primo disco, Midnight Oil nel 1978: la critica è piuttosto delusa perché il disco non cattura la forza della band dal vivo, ma diviene un piccolo successo ed entra in classifica australiana. Morris fonda la Powderworks, la casa discografica della band, e nel 1979 esce Head Injuries, prodotto dall'ex membro dei Supercharge Laszek Karski: già meglio in qualità, con vene di progressive, nel 1980 raggiunse la 36ª posizione della classifica e vinse un disco d'oro. La band è una piccola realtà, e va in Inghilterra per registrare nuove cose: Andrew James lascia per motivi di salute, sostituito da Peter Gifford, e Place Without A Postcard, pubblicato nel novembre 1981 dalla CBS Records, fu registrato nel Sussex con l'aiuto del mitico produttore inglese Glyn Johns. Tuttavia la band non fu soddisfatta del lavoro di Johns, e nonostante un contratto per un altro disco in Inghilterra ritorna in Australia. Dove inizia un percorso di profonda immersione nella realtà locale, e nelle sue contraddizioni. Nel 1982 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1 è il disco che li fa sfondare in Australia, con i primi classici come Power And The Passion e Read About It. Iniziano i concerti e l’impegno per l’ecologia, il rispetto dell’ambiente e le minoranze. Red Sails In The Sunset del 1984 rende i Midnight Oil delle superstar autentiche in Australia, l’unica e autentica pub band dell’isola oceanica. Tra il 1985 e il 1986 intraprendono un lungo tour nell’outback australiano presso le riserve aborigene, insieme a due gruppi rock aborigeni, Warumpi Band e Gondwanaland, constatando le condizioni di miseria e di emarginazione in cui vivono quelle comunità. Ne esce fuori una riflessione in musica che prende vita nel 1987, quando esce Diesel And Dust. C'è meno in termini di potenza sonora, di hard rock, favorendo la melodia, il songwriting della band (che, a dire il vero, era sempre lì) e smuove alcuni dei bordi più aspri del gruppo per arrivare a più persone possibili. Di conseguenza, Diesel and Dust non è un album per i fan più accaniti degli Oils (come vengono chiamati dai tanti fans) e per molti è il “naturale” svendersi al mercato (critica abitudinaria che travalica ogni latitudine, è proprio il caso di dirlo), con un risvolto davvero imprevisto: è stato il primo vero successo mondiale del gruppo, diventando disco di platino in America e riscuotendo successo in tutto il mondo. Un singolo di grande successo entra nelle classifiche dovunque, Beds Are Burning, che parla della condizione degli aborigeni (How can we dance when our earth is turning?\How do we sleep while our beds are burning?), perle come Artic World (sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi delle zone artiche, nel 1987 una causa pioneristica), l’esoterica Sell My Soul, l’ossessionante The Dead Heart,  la bella e epica Dreamworld: sin dai titoli c’è come la voglia di far vedere e far capire cosa davvero ci sia da fare per rispettare la Terra con un occhio alla situazione degli indigeni australiani (come in Warakurna e nella storica Bullroarer, che prende il nome dall’antico strumento del rombo, tipico come il didgeridoo nelle tribù australiane). E come sempre, non c'è stato alcun compromesso nella forte posizione politica della band: trattando apertamente le questioni dei diritti degli aborigeni i Midnight Oil chiedevano esplicitamente riparazioni per i popoli indigeni portando con Beds Are Burning la questione in cima alle classifiche di tutto il mondo. Una canzone, Sometimes, ne diviene l’inno sostenendo che:"A volte sei picchiato fino in fondo / A volte sei messo al muro / Ma non ti arrendi”. Garrett e soci continueranno a scrivere musica, in tutto 11 dischi fino al 2002, quando accadde questo: Garrett, che ci aveva provato già anni prima ricevendo 200 mila preferenze, viene eletto nella fila del Partito Laburista Australiano nella Camera dei rappresentanti per la sede di Kingsford Smith dall'ottobre 2004 all'agosto 2013. Nel 2007, dopo che il suo partito ha vinto le elezioni, è stato nominato ministro dell'ambiente da Kevin Rudd. Ha proseguito in questo incarico nel 2010 con la presidenza di Julia Gillard diventando ministro poi dell'infanzia e dell'educazione scolastica, ruolo che ha ricoperto fino al giugno 2013. Non si è ricandidato alle elezioni del 2013. Diesel And Dust vinse ben 3 ARIA, i Grammy Australiani ed è stato nominato miglior disco di sempre dal libro 100 Best Australian Albums: rimane un grande esempio della forza politica che la musica può avere e il negoziante di Darlinghurst non mi disse una fesseria.
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lamilanomagazine · 3 months
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Modena. Via libera all'approvazione del protocollo con Unimore che ridisegna l'area con attenzione ai servizi, al verde e alla mobilità sostenibile
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Modena. Via libera all'approvazione del protocollo con Unimore che ridisegna l'area con attenzione ai servizi, al verde e alla mobilità sostenibile. La realizzazione di nuovi edifici universitari e per la ricerca scientifica, tramite demolizione e ricostruzione o adeguamento di strutture esistenti, ma anche l'aumento delle residenze universitarie, la valorizzazione della Biblioteca scientifica interdipartimentale, lo sviluppo del Centro sportivo e dei servizi rivolti a studenti e personale con spazi integrativi per lo studio e la socializzazione, per la ristorazione e lo svago. E, ancora, l'individuazione di un'area verde pedonale e attrezzata con la desigillazione di 12.500 metri quadrati di suolo e la messa a dimora di 80 nuove alberature. Un nuovo sistema di accesso con il potenziamento dei percorsi ciclabili e pedonali, l'incremento di stalli per biciclette e l'inserimento di una velostazione per la manutenzione; oltre a un riassetto volto a ridurre la motorizzazione, con la separazione e qualificazione dei percorsi carrabili, la limitazione dell'accesso alle auto private, l'attuazione delle zone 30 previste e l'adeguamento dell'offerta di sosta. È quanto prevede il masterplan sul Progetto urbano "Modena città universitaria – Campus universitario di via Campi" rispetto al quale il Consiglio comunale di Modena, nella seduta di giovedì 21 marzo, ha dato il via libera all'approvazione del relativo protocollo di intesa tra Comune e Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. La delibera, illustrata dall'assessora all'Urbanistica Anna Maria Vandelli, è stata approvata con il voto a favore di Pd, Sinistra per Modena e Modena Civica e il voto contrario di Lega Modena, Movimento 5 stelle e Fratelli d'Italia; astensione per Europa Verde-Verdi. "Attraverso un lavoro congiunto di Comune e Università durato mesi – ha affermato Vandelli – con il Protocollo d'intesa e il Masterplan è stato definito e condiviso un nuovo assetto finalizzato a qualificare e disciplinare il campus universitario delimitato dalle vie Campi, Vignolese, Araldi e Braghiroli, individuando le modalità per arrivare a un complessivo processo di razionalizzazione e riorganizzazione dell'area con un impatto importante anche sul contesto esterno all'università e sulla città stessa". "Il via libera al protocollo – spiega il sindaco Gian Carlo Muzzarelli – si inserisce nell'ambito dello sviluppo più complessivo della "Città universitaria", indirizzo strategico che vede da tempo Comune e Università impegnati su vari fronti (alloggi per studenti, spazi didattici e di ricerca, trasporti, offerta formativa e didattica, integrazione degli studenti anche fuori sede, iniziative ed eventi, comunicazione e informazione) per far diventare quello di Modena sempre più un Polo universitario di eccellenza a livello nazionale, in grado di richiamare un consistente numero di studenti qualificando in questa prospettiva anche la città". L'assessora Vandelli ha spiegato che "il precedente Piano particolareggiato, ormai datato, aveva bisogno di essere allineato alle nuove strategie del Pug, con azioni di miglioramento ecologico-ambientale, dell'accessibilità carrabile e della sicurezza, delle attrezzature universitarie e dei servizi, oltre che per la mobilità sostenibile". Nel Masterplan, infatti, viene posta una maggiore attenzione alla qualità della vita degli studenti e del personale, prevedendo interventi di ampliamento e riqualificazione degli spazi aperti, residenziali, didattici e per attività sportive anche al fine di migliorare il livello di sostenibilità ambientale ed energetica dell'ateneo. In particolare, vengono qualificati e incrementati le aree e i percorsi verdi, implementati con arredi e attrezzature, desigillate le zone a parcheggio, previste coperture verdi in corrispondenza dei nuovi edifici con l'obiettivo, tra l'altro, di mitigare l'effetto isola di calore all'interno dell'area universitaria. Si rafforzano le connessioni pedonali, ciclabili e del trasporto pubblico tra il Campus, il centro, le stazioni e gli altri Poli universitari ed è previsto l'impegno a costruire una piattaforma comune anche con l'Ausl per individuare insieme nuove misure per la mobilità pubblica con il coinvolgimento dei Mobility manager dei vari enti. Il Masterplan va quindi a disegnare una cornice di riferimento per individuare i singoli progetti da portare a finanziamento e da realizzare nel tempo: "Si parte con un primo stralcio attuativo finanziato per 25 milioni di euro dal Miur per la realizzazione del nuovo edificio del Dipartimento di Scienze biomediche – ha concluso Vandelli – ma Comune e Università collaboreranno per l'attuazione dell'intero Masterplan impegnandosi a individuare ogni possibile fonte di finanziamento".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Tanti giramenti di ehm...ruote 🙄👩🏻‍🦼
Oggi ho dovuto fare una delle cose che non ho mai potuto tollerare, farmi spalleggiare dalle mie conoscenze affinché mi venisse assicurato un mio diritto. Provo un disgusto profondo verso le raccomandazioni, ma purtroppo viviamo in un Paese in cui, se non hai i giusti agganci, pur avendo ragione da vendere, difficilmente riuscirai a smuovere certi poteri.
Nella mia città, il Centro Accreditato di ordine religioso a cui ho fatto tempo addietro domanda e che fornisce fisioterapia domiciliare tramite il SSN, ha solo due fisioterapisti, un uomo ed una donna. Purtroppo quest’ultima - quella assegnata a me - non è il massimo della professionalità, non è assolutamente preparata nel trattamento dei giovani affetti da patologie neuromuscolari e degenerative come la sottoscritta ed io, erano quasi due anni e mezzo che attendevo di essere passata all’altro fisioterapista.
In queste circostanze funziona molto bene il passaparola e, in una città come la mia, giocando io a calcio in carrozzina - un’alcova per disabili con le contro ehm...ruote 🙄 - certe notizie volano, proprio come è successo a me quando, quasi tre settimane fa un mio compagno di squadra mi avvisò che il suo fisioterapista da me tanto anelato, a causa del decesso di un suo paziente, si era liberato dei tempi.
Mentre attendevo pazientemente il cambio, approfittando di incontrare la Fisiatra mandata dal Centro a fine mese per la visita mensile programmata, ho continuato la fisioterapia con la mia solita senza che nessuna delle due facesse alcun riferimento (lei lo sapeva eccome). Tutto questo fino a lunedì quando, durante il trattamento la suddetta fisioterapista, mi ha candidamente confessato che la mattina era stata in casa di un paziente la cui sorella, studentessa universitaria fuori sede a Milano, era stata messa in quarantena dal medico curante.
Se non avessi avuto un’insufficienza respiratoria abbastanza importante, probabilmente non avrei reagito con tanto allarmismo; ma siccome ho una patologia abbastanza stronzetta, non ho voluto rischiare e le ho chiesto di non venire più, di denunciare l’accaduto alla Struttura e che comunque dovendo venire mercoledì la Dottoressa, ne avrei parlato con lei. Con mia somma sorpresa e stupore, mercoledì parlando con la Dottoressa ho scoperto che la fisioterapista non aveva denunciato nulla, ma che comunque la stessa le avrebbe parlato per capire sul da farsi. In sede di visita inoltre, ho rimembrato alla Dottoressa la mia richiesta del cambio fisioterapista (facendole capire che sapevo del buco) ricevendo dalla stessa una risposta abbasta vaga.
Il bello però è arrivato ieri sera, quando ho ricevuto un messaggio dalla fisioterapista che mi chiedeva se volessi riprendere il trattamento e che in tal caso, per farmi stare più serena - un cazzo (ops forse non avrei dovuto dirlo 🙊) - avrebbe usato la mascherina. A quel punto non ci ho visto più, le ho detto di non venire e che me la sarei gestita io col centro e che non dovevano, considerando il rapporto che hanno con gente fragile, essere così leggeri e superficiali.
Stamattina armata di una rabbia assurda, essendo io un tantinello raffreddata, ho mandato mio padre direttamente al Centro chiedendogli la cortesia di chiamarmi una volta trovata la Dottoressa (chiamarli sarebbe stato inutile) e di passarmela. E così ha fatto, dopo una serie di discussioni sul mio inutile a dir loro allarmismo - un cazzo pt. 2 - sono ritornata all’attacco, ma questa volta un po’ più strong esigendo il cambio immediato del fisioterapista, richiesta mia spenta asserendo esserci dei problemi aziendali.
A quel punto per non perdere completamente la lucidità, ho annunciato che non mi sarei fermata lì e che sarei arrivata con altri mezzi al nocciolo del problema. E così ho fatto, mi è bastata una telefonata al Vicepresidente della nostra ASD che con il supporto del Presidente, un Medico Fisiatra Ortopedico Pediatrico, in una mattinata mi hanno risolto tutto dandomi la notizia che entro una settimana avverrà il cambio.
Guarda caso mi è bastata una sola telefonata, per risolvere dei “problemi aziendali”.
Non avrei mai voluto scendere ad un simile compromesso, non avrei mai voluto farmi “raccomandare”, eppure in certe circostanze solo se hai delle conoscenze vai avanti.
Questo episodio mi ha lasciata disgustata, amareggiata, incazzata, ma proprio per questo ho deciso di non arrendermi e di continuare a lottare affinché i diritti miei, come quelli di tutti coloro i quali affrontano simili angherie, vengano sempre garantiti e difesi.
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sciocchezza · 5 years
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o mi dicono che sembra io faccia la terza superiore o mi dicono che sembro una universitaria fuori sede, niente in mezzo
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paoloxl · 5 years
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Movida. E' più forte di me. Movida. Non mi so controllare. Movida. Basta poco e ci ricasco io… E' più forte di me." Così recitava una canzone del 2004 degli ATPC, gruppo rap torinese, celebrando un'epoca spensierata e piena di speranze della città, ma di cui già iniziava ad intuirsi la crisi.
Sono passati quindici anni e molta acqua del Po è passata sotto i ponti tra la Gran Madre e Corso Vittorio. Quindici anni fa in quelle acque, da metà primavera ad inizio autunno, si riflettevano le luci dei Murazzi che si riempivano di vita tra locali più o meno alternativi e sottoculture diverse che si incrociavano. I giovani torinesi appesi tra la sperimentazione della precarietà e la visione di un futuro fuori dalla fabbrica dove erano stati tumulati i padri si affollavano ad ascoltare musica, discutere e fare esperienze nuove. Oggi, dal 2012, le arcate dei Murazzi sono deserte se non per qualche presidio di resistenza che continua a tenere accesa la luce.
Nel frattempo il termine Movida ha assunto altri significati nella percezione comune. Il fenomeno della movida è diventato un pomo della discordia in una città che invecchia e si spopola, ma al contempo si riempie di giovani fuori sede con le loro esigenze. Per altri, i soliti noti, ha significato un bel po' di quattrini.
Tutto sommato si può dire che la movida è una delle fabbriche che hanno progressivamente sostituito la vocazione industriale di Torino e che hanno permesso di continuare a fare profitti ai padroni della città o a quei pochi che hanno intuito dove stava girando il vento giusto in tempo. Certo non l'unica fabbrica e non quella più redditizia, ma una tra le altre. Una industria, quella del divertimento, che impiega migliaia di giovani sottopagati e precari, ma su questo ci torneremo più avanti.
Per adesso ci concentriamo su un paio di domande centrali per comprendere cosa è successo: come si è generata questa fabbrica? Come è stato recuperato il bisogno di socialità che migliaia di giovani spaesati dal futuro esprimevano?
Per quanto la narrazione dei giornali e delle tv voglia indicare la movida come un fenomeno "fuori controllo" la verità è che specifici investimenti, piani urbanistici, facilitazioni nella vendita delle licenze, tentativi di "normalizzazione" e dispositivi di controllo e disciplinamento hanno permesso, anzi sponsorizzato, l'attecchire di questa fabbrica in contesti territoriali circoscritti e scelti ad hoc.
Il processo di una movida spontanea, dal basso si è consumato ormai molti anni fa, con il recupero delle esperienze alternative che avevano fatto gridare alla "Torino nuova Berlino", ma rispunta ogni tanto in esperienze di autorganizzazione subito represse e attaccate dai giornali come fu il caso del Botellon in Piazza Valdo Fusi.
Dunque come si è sviluppato questo processo di messa a valore della movida?
Il primo tentativo di convogliare i bisogni giovanili di aggregazione e socialità in un territorio specifico è proprio quello che ha coinvolto i Murazzi tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Le arcate prima di questo progetto erano le rimesse, per lo più abbandonate, delle barche dei pescatori. L'amministrazione comunale intuisce le potenzialità di quel luogo sotto il profilo economico e di recupero delle rivendicazioni giovanili di quegli anni che volevano rompere con la visione padronale di Agnelli della città che è ben riassunta in queste sue parole: "Torino ricorda le antiche città di guarnigione, i doveri stanno prima dei diritti, il cattolicesimo conserva venature gianseniste, l’aria è fredda e la gente si sveglia presto e va a letto presto, l’antifascismo è una cosa seria, il lavoro anche e anche il profitto." Una città dove non c'era spazio per il divertimento e la socialità, ma che doveva essere impostata sul sacrificio, sulla sobrietà e sull'austerità… ma solo per gli operai, che dovevano tornare a casa presto per svegliarsi al mattino e fare il turno, mentre l'Avvocato magari faceva ancora bisboccia.
I murazzi, dunque, vengono designati come il luogo dove sperimentare un processo che tenga insieme il tentativo di recupero dei bisogni giovanili e la messa a valore di un'area della città sostanzialmente abbandonata. Gli strumenti che vengono scelti per mettere in moto questo processo sono principalmente tre: la concessione di licenze per l'apertura dei locali, la creazione di un servizio di navigazione sul fiume Po e l'istituzione di una ronda notturna di polizia operante fino all'alba.
Questi tre strumenti sembrano abbastanza elementari, ma pongono le basi per lo sviluppo di una vera e propria governance della movida. In primo luogo la concessione delle licenze come facilitazione dell'impresa capitalistica con questo genere di vocazione. In secondo luogo la predisposizione del territorio con la fornitura di nuove attrattive, di trasporti più facili, di infrastrutture e servizi (salati) per convogliare gli utenti e gestirne la permanenza. Infine la forza di polizia come strumento di controllo e disciplinamento dei comportamenti e in certi casi di vera e propria repressione.
Vedremo questi tre elementi ripresentarsi e affinarsi nelle altre zone predisposte negli anni alla movida, ma la differenza profonda è che mentre i murazzi erano tutto sommato una zona abbandonata e in disuso, in una posizione centrale della città, affianco al salotto buono, nel caso di San Salvario, del Quadrilatero e di Vanchiglia la vicenda assume nuove sfaccettature. Queste zone sono state tutte quartieri proletari ed operai dentro al centro o a pochi passi da esso, delle anomalie. Zone con delle potenzialità di rendita molto alte per le loro posizioni strategiche, ma occupate da settori popolari con un basso reddito e altre priorità. L'uso combinato della movida per mettere a valore questi territori e espellere i loro abitanti tradizionali è stata una scelta strategica delle amministrazioni che si sono susseguite e che oggi vediamo in azione anche con i 5 stelle su numeri più grandi e in maniera più cruenta a Porta Palazzo.
Molto spesso accompagnata da una campagna giornalistica martellante sul degrado e la necessità di un recupero, la riqualificazione di queste zone è stata accolta in maniera contraddittoria dalla popolazione che le abitava tra una effettiva necessità di delle migliori condizioni di esistenza e l'intravedere un'opportunità economica. Giusto per capirsi citiamo un pezzo di Repubblica del 2017 che celebra i vent'anni della riqualificazione al quadrilatero con queste parole: "Oggi e domani si celebrano i vent’anni di quella intuizione che cambiò pelle non solo ad un angolo di Torino, rifugio per prostitute e tossici, ma diede una patina nuova alla città. Lo slogan dei festeggiamenti è “Come è bello avere vent’anni”. "Un esempio di collaborazione pubblico-privata - dice il presidente di Confesercenti Giancarlo Banchieri - vent’anni dopo possiamo dire che quella scommessa è stata vinta e che il Quadrilatero costituisce un esempio di movida sostenibile e di buone pratiche che, con gli opportuni adeguamenti, potrebbero essere applicate in altre zone".
Al quadrilatero il rilancio iniziò con la cessione di 40 licenze gratuite per aprire locali, una vera e propria liberalizzazione ante-litteram. Oggi le strade del quartiere sono per lo più deserte durante il giorno e spesso anche nelle serate intra-settimanali per poi vedere qualche passaggio in più nel weekend, ma con una affluenza che neanche lontanamente ricorda i bei tempi. Il quartiere è stato spopolato e valorizzato, ma la valorizzazione in questo gioco non dura mai in eterno e la movida cambia gusti e mode, sceglie altre zone, abbandona quelle precedenti lasciando spesso simulacri vuoti e ristoranti e locali oziosi. Questo genere di messa a valore è vorace e consuma in breve tempo i territori lasciando ben poco dopo il suo passaggio. Persino i valori delle case che in un primo momento salgono vertiginosamente, consigliando ai residenti di spostarsi altrove per affittare le vecchie abitazioni, successivamente crollano a causa degli effetti non graditi della fabbrica divertimento: il rumore, il traffico, la percezione di insicurezza ecc… ecc… come ad esempio si può notare a San Salvario dove i cartelli affittasi e vendesi affollano i portoni di molti palazzi, via via scolorendosi.
Man mano che la movida viene sperimentata e si fa sistema le esperienze di questo tipo aumentano e gli strumenti si raffinano. Vanchiglia in questo senso è paradigmatica: la mutazione del quartiere è stata pensata dall'inizio alla fine. Qui la potenzialità è quella di avere una zona sostanzialmente vergine a pochi passi dalla sede universitaria di Palazzo Nuovo: il quartiere è una vera e propria zona di confine tra il centro e zone più residenziali. Oltre a ciò è un luogo con un suo fascino per le storie che qui sono nate e i personaggi che hanno percorso le sue strade. Dunque è il luogo perfetto per dar vita a un Campus urbano in maniera da, in un colpo solo, mettere a valore il territorio e il consumo degli studenti universitari che in Vanchiglia passano ormai la gran parte del loro tempo. La trasformazione è impressionante: in pochi mesi dalla nascita del Campus Luigi Einaudi bar storici, piccole botteghe, negozietti lasciano il posto a locali pettinati, ristoranti, atelier artistici con qualche presidio di resistenza che dà un tocco di autenticità alla situazione.
Le licenze anche qui vengono quasi regalate e la promozione del quartiere passa anche attraverso una serie di feste in strada ed eventi. Vanchiglia nel giro di pochissimi anni cambia completamente volto.
Il processo parte molto prima però, già nel 2002 si parla di trasformare l'ex Italgas in corso Regina Margherita in una residenza universitaria. Questa area sarebbe stata riqualificata per utilizzarla come villaggio olimpico per ospitare una parte dei giornalisti nel 2006 e poi sarebbe diventata un collegio universitario all'interno del futuro campus. La residenza ancora non è stata costruita, ma nel frattempo atterra nella zona l'astronave Campus che viene inaugurata nel 2012. Nell'estate del 2015 poi sono partiti i bandi per trasformare l'area degli ex gasometri (simbolo del quartiere) nel collegio che sarebbe costruito e gestito in una combinazione pubblico-privato e che dovrebbe ospitare 500 studenti. Come leggiamo in un altro articolo di Repubblica: "L'area dei gazometri diventerà residenza e avrà anche una parte di servizi per gli studenti, come palestre e aree di ristoro. Ma non è previsto in questa trasformazione l'inserimento di centri commerciali. In Comune spiegano che le piastre commerciali verranno comunque realizzate a poca distanza: nel medio periodo dovrebbe infatti partire la ristrutturazione dello scalo Vanchiglia, parte della variante urbanistica 200, legata alla nuova linea 2 della metropolitana." Dunque un'ulteriore riqualificazione di una parte di territorio che si dovrebbe combinare con un'altra zona destinata alla movida come leggiamo ancora nello stesso articolo:
"Quando il progetto di intervento sull'area Italigas sarà completato, la vocazione universitaria dovrebbe trasformare tutta la zona oltre la Dora in una nuova meta per la movida torinese. Un fenomeno che è già in parte iniziato dopo l'entrata in funzione del Centro Einaudi. L'obiettivo è di distribuire sulla carta geografica della città una decina di nuove residenze universitarie in grado di trasformare gli atenei torinesi in un vero e proprio motore di sviluppo economico." Chiara la dinamica, no?
Ma di chi sono le responsabilità di queste scelte?
Sicuramente, come abbiamo visto è determinante il ruolo dell'amministrazione pubblica, ma non solo. A giocare un ruolo centrale sono le banche come Intesa San Paolo, vere e proprie registe della trasformazione urbana e della valorizzazione, i consorzi di commercianti e imprenditori e nel caso di Vanchiglia, naturalmente, l'università.
La movida come fabbrica e i suoi lavoratori
Il quartiere Vanchiglia incrocia qualche parallela e qualche perpendicolare delimitata da fiumi e da grandi corsi urbani che, facendo da collante tra alcuni poli universitari, ha subito nel tempo una profonda trasformazione, caratterizzandosi come una costellazione di bar, locali, ristoranti, air bnb. Il pullulare di formule attrattive per uno specifico target di soggetti ha determinato le modalità di vivere il quartiere e le relazioni al suo interno secondo precise direttrici. Il consumo, non solo in termini di cosa si compra ma anche in termini di tempi e di spazi, è la forma principale di sfruttamento, da un lato del territorio stesso e dall’altro di coloro che lo vivono. I giovani studenti e studentesse, i giovani e le giovani lavoratrici, che frequentano questo luogo non solo vi consumano, ma vengono consumati nel momento stesso in cui il loro lavoro, condizione sine qua non per poter sopravvivere tra affitti, tasse universitarie, libri, socialità, fa gola al profitto di molti. A titolo di esempio, qualche mese fa fu reso noto il caso di un locale, il Bouyabes, in cui il cuoco non veniva pagato per ciò che gli spettava. Durante alcune serate un gruppo di solidali si è riunito per occupare lo spazio antistante il locale per denunciarne la situazione di sfruttamento. Sicuramente non è questo l’unico caso.
In un contesto di sovraffollamento di locali che hanno un’offerta sostanzialmente simile e una domanda che rientra in un target specifico chi ci vuole guadagnare deve pur tirare la coperta, che già è abbastanza corta. Come ottenere profitto dunque in un contesto in cui la concorrenza è spietata e la richiesta rimane molto alta? Soprassedendo sulle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici. Facendo qualche chiacchiera durante l’iniziativa in solidarietà al cuoco del Bouyabes, sentendo i racconti dei compagni di corso o di colleghi di lavoro (perché di lavori se ne hanno almeno due o tre), diventa immediato notare come le esperienze simili si moltiplicano : contratti in nero, mal pagati, orari inumani, straordinari non pagati, flessibilità obbligata e, non da ultimi, maltrattamenti, molestie, obbligo di ringraziare perchè si occupa un posto di lavoro. Le condizioni di vivibilità e accettabilità diventano clausola non scritta nei contratti, quando ci sono, portando con sé il peso della ricattabilità e dell’impossibilità di rifiuto. Al contempo, quando si ha la fortuna di trovare un posto in cui si possa lavorare in un contesto sereno e “sicuro” non si ha la garanzia che possa durare per un tempo utile.
Insomma, una catena di profitti che per non incepparsi utilizza il tempo, i corpi, la disponibilità e l’impossibilità di scelta di tutti e tutte coloro che hanno bisogno di lavorare per poter vivere, facendo leva su un tessuto sociale logorato e disgregato che si tiene insieme sulle dinamiche di consumo, di sfruttamento e di precarietà.
Territorio, utenti e socialità asservita al consumo
Qual’è la trasformazione territoriale provocata dalla dimensione della movida? Su che territorio impianta la sua estrazione di valore?
Al di là della composizione assai variegata, di persone che vivono questo fenomeno di socialità del consumo, un ruolo importante lo gioca il territorio su cui si impianta questo tipo di fenomeno, inteso come rapporto fra elementi architettonici e spaziali e relazioni sociali preesistenti. Il Quartiere di Vanchiglia è un quadrante cittadino ed un quartiere tutto sommato limitato come dimensioni, caratterizzato dalle classiche vie perpendicolari alla torinese, condomini di metà - fine 800, non molto alti, anch’essi caratterizzati dal torinesissimmo sistema a ballatoi su cui poi si sviluppano gli appartamenti. Il quartiere ospita un mercato in piazza Santa Giulia che insieme a Largo Montebello rappresentano i due maggiori spazi aperti del quartiere. Fino a qualche anno fa, all'incirca fino al 2010-2012, la composizione sociale del quartiere era popolare tipica dei quartieri adiacenti il centro cittadino. Semplificando, si può definire di ceto medio-basso e proletaria, con però la quasi assenza in termini numerici significativi di quello che classicamente può essere ascritta alla parte più bassa del proletariato metropolitano spesso ai confini del sottoproletariato. La mancanza di agglomerati significativi di case popolari in Vanchiglia è abbastanza emblematica in questo senso.
È sempre stata presente una componente di studenti fuori sede abbastanza numerosa ma minore rispetto a quella attuale. Anche se questa è sicuramente un’analisi superficiale, serve a capire quali sono stati i cambiamenti negli ultimi 8 anni.
La costruzione del Campus Luigi Einaudi e il masterplan che lo ha accompagnato hanno cambiato le carte i tavola. È aumentata la presenza di studenti agevolata dai prezzi inizialmente bassi degli affitti, aumentati a dismisura negli ultimi due anni, questo meccanismo è stato frutto di un disegno preordinato da Intesa San Paolo, Comune e dinamiche immobiliari private, fra cui quella di numerosi piccoli e medi allocatori che hanno sfruttato l’onda di profitti crescenti.
Questo meccanismo ha scatenato un progressivo aumento della popolazione di studenti, e mescolato alla liberalizzazione delle licenze per l’apertura dei locali ha innescato, insieme ai fattori trattati sopra, uno stravolgimento delle attività commerciali del quartiere e dello spazio comune. L’estensione dei parcheggi a pagamento e un certo intervento sull’arredo urbano hanno facilitato questo meccanismo. All’oggi però va specificato come questo sia ancora un processo in divenire e lungi dall’essere compiuto, e vive ancora molte contraddizioni e stratificazioni sociali fra chi abita il quartiere. Non va dimenticata infatti l’alta percentuale di mono-proprietari che storicamente abitano in zona e che non hanno materialmente la possibilità o la volontà di cambiare casa.
Tutto sommato, si riscontra una presenza di attivismo di quartiere e attenzione alla vivibilità abbastanza sostanziale e capace di interagire con queste dinamiche, non soltanto in funzione delle periodiche attenzioni mediatiche. Il problema della crescita della frequentazione notturna del vanchigliese ha creato una massa di utenti della movida che non interagiscono in maniera organica con il tessuto sociale del territorio e di fatto ne logorano gli equilibri. Una specifica va fatta per i giovani, studenti e non, che vivono entrambi i lati della vita del quartiere.
Il fatto che non ci sia in generale interazione fra la dimensione di utenza della movida e la vita sociale del quartiere, esasperano quelle dinamiche di isolamento sociale e individualismo che già di per sé caratterizzano i rapporti sociali di questa società.
La socialità notturna inasprisce la dinamica di delega al consumo dell’interazione sociale, creando solitudine e rapporti umani tendenzialmente deboli poiché mediati dalla possibilità di avere del denaro o delle capacità da consumare per ottenerli.
Tutto ciò avviene a fronte di un bisogno umano inestinguibile e irriducibile di socializzare, che soprattutto nei giovani rappresenta di per sé una possibilità di alterità e di antagonismo al sistema capitalista. Il rifiuto di estinguere i propri rapporti alla dimensione produttiva e lavorativa (che sia lavoro salariato o studio), è un terreno di contesa e di possibilità per il capitale collettivo nella sua spinta a rendere totale la messa a profitto di ogni aspetto della vita delle persone. Proprio l’origine di questi comportamenti rappresenta un’ambivalenza, che potenzialmente può cambiare di segno.
Ritmi produttivi alti, affitti esosi e accesso sempre più difficile ai consumi, portano ad una socialità (che spesso viene definita come tipica della movida), che viene percepita da chi la vive come dovuta e nel concentrare migliaia di ragazzi e ragazze insieme, è difficilmente governabile solo attraverso l’uso delle forze dell’ordine (i fatti di Piazza Santa Giulia del 2016 lo simboleggiano abbastanza chiaramente), ma necessita di meccanismi di cooptazione molto più raffinati che non sempre sono possibili nei piani di ristrutturazione cittadini.
Nota sull'impatto territoriale dello spaccio
Una breve nota va fatta sul cosiddetto spaccio, che rappresenta una delle tante sfaccettature del meccanismo di messa a profitto che abbiamo provato a descrivere poco sopra. La prima importante differenza è la particolarità e varietà di prodotto che viene commerciato, sembrerà banale ma questa crea dinamiche uniche nel loro genere. È difficile qui affrontare la tematica del consumo di “droghe” e delle sue ambivalenze e contraddizioni e ci soffermeremo brevemente invece sull’impatto territoriale e sociale che questo tipo di narco-industria genera in questo particolare angolo della nostra città.
Premettiamo necessariamente che rifiutiamo qualsiasi interpretazione semplicistica e moralista del problema dei consumi, sia in senso proibizionista che antiproibizionista, e che siamo abbastanza coscienti dei danni provocati da questo tipo di approcci nel corso dei decenni passati.
In Vanchiglia, lo spaccio è cresciuto insieme alle dinamiche speculative immobiliari e di modificazione del territorio dall’alto. Lo spaccio è sempre stato presente in quartiere sia nei fasti della motorcity che nella sua fase di decadenza degli anni 80 e 90; tanto sull’uso padronale dell’eroina è stato scritto, detto e documentato, ma all’oggi crediamo di trovarci davanti ad un fenomeno per certi versi differente.
Il volume di spaccio è cresciuto gradualmente a partire dal 2012, è ha coinvolto principalmente piazza Santa Giulia e le vie adiacenti, inizialmente preponderante era la vendita di erba, hashish, cocaina; ora si estende a crack e ed eroina. Inutile negare che fra la grande presenza di giovani e l’aumento di spaccio ci sia una correlazione, ma non è la sola. Infatti le dinamiche di fornitura e lotta per l’egemonia nel controllo delle “piazze” spaccio in città fra le “mafie” della droga al dettaglio, come quella nigeriana, ne hanno favorito l’organizzazione e la crescita. Negli ultimi anni si sono visti progressivamente diminuire i piccoli spacciatori “indipendenti”, e sono aumentati i veri e propri salariati dello spaccio.
Se il grosso traffico è gestito dalle ‘ndrine calabresi, la gerarchia di quest’industria si diversifica ai vari livelli, ed è ingenuo pensare che con essi non interagiscano in vario modo le istituzioni cittadine, compresa la Questura. L’intensificarsi di retate ad uso e consumo giornalistico di questi mesi, la dice abbastanza lunga.
Il grosso impatto sul territorio di questo odioso raket, va ben aldilà delle percezioni di insicurezza di madamine e ultras del decoro urbano, e ha effetto concreto sulla vita sociale del quartiere. La tendenza di chi pratica questi affari è quella di controllare il territorio per poter massimizzare i profitti e l’irrompere nella scena di crack ed eroina peggiora la situazione. Questo aspetto, al di là delle narrazioni dei media, è abbastanza in marginale e in nuce, ma non è detto che rimanga sempre così. Ovviamente la percezione del fenomeno varia da il tipo di composizione che abita il quartiere e ci sembra che venga percepito da chi vive il solo aspetto della movida, perlopiù come un servizio clienti.
Come in altre situazioni analoghe lo spaccio si lega alla dimensione della movida e assume un carattere predatorio, gli esempi di San Salvario a Torino o di San Lorenzo a Roma sono abbastanza simili, anche se in Vanchiglia non sono dinamiche consolidate.
Questa vera e propria industria viene usata dalle istituzioni per aumentare il controllo poliziesco e disciplinare quegli aspetti della socialità che rappresentano un anomalia o che banalmente mostrano un’indisponibilità a piegarsi al solo consumo. Non vengono colpiti i fornitori di materia prima che spesso sono collusi con le forze dell’ordine e parti dello Stato, ma vengono colpiti occasionalmente i reparti bassi della forza lavoro impiegata, per poi stringere il controllo su di un territorio storicamente riottoso al sopportare una manifesta militarizzazione.
In questo senso l’industria dello spaccio aiuta il meccanismo di trasformazione del territorio ed è parte integrante dei piani istituzionali, anche se da essi venduto come effetto collaterale da controllare. Al saldo finale fa parte di un meccanismo di disciplinamento dei giovani che attraversano la socialità notturna, fa il gioco di palazzinari e banche. Inoltre il fatto che gran parte dei lavoratori impiegati nella vendita al dettaglio siano di origine africana o nord africana, aiuta a costruire retoriche razziste capaci di aumentare la coltre di fumo che occulta i veri responsabili e chi trae profitto dalla movida.
Vivendo il quartiere tutti i giorni crediamo, e da sempre ci siamo battuti per questo, che vada eliminata la presenza di spacciatori dagli spazi autogestiti, e nelle nostre possibilità anche dal quartiere dialogando e interagendo con chi in zona riconosce il pericolo di un attacco alle proprie condizioni di vita materiali, fuori da retoriche razziste e fasciste e al contempo battendoci contro la militarizzazione del quartiere anche a costo di denunce e arresti, perché crediamo che palazzinari e imprenditori della droga abbiano molto più in comune di quanto di solito non si pensi.
Ipotesi per orientarsi
Se, come crediamo, il punto di vista dal quale guardare al “fenomeno della movida” sia evidenziarne le dinamiche da fabbrica predatoria, diffusa su un territorio e che coinvolge numerosi soggetti, è fondamentale capire come lottare in questo campo. Certo è che il processo di trasformazione di Vanchiglia è ormai avviato ma questo non significa che dovremmo accettarne le conseguenze o apprestarci a raccogliere i cocci quando la tempesta sarà passata lasciando il quartiere che viviamo spolpato fino all’osso. Combattere in una fabbrica sociale come quella della movida vuol dire necessariamente frapporsi con la tendenza alla mercificazione della socialità e del territorio, vuol dire richiedere più diritti sul lavoro, consapevoli di non essere singoli dipendenti di un locale, ma parte di una forza lavoro che complessivamente produce su un territorio determinato, vuol dire trovare delle alleanze tra chi subisce gli effetti di questo processo facendo delle specifiche ricadute una forza comune da ribaltare verso l’alto, vuol dire mettere in discussione la valorizzazione come unica possibilità di trovare spazio in un’ottica meramente individualistica.
Significa cercare una prospettiva comune tanto tra gli abitanti del quartiere che affrontano l'invasività e il peggioramento delle condizioni di vita, quanto tra i giovani che si consumano consumando, al fine di rifiutare l’espropriazione di risorse, di ricchezza, di tempo che implica un costo sociale troppo alto per la socializzazione oggi.
Non si tratta tanto, né semplicemente di chiedere una regolamentazione della movida, quanto di pretendere che il quartiere e le forme di relazione che in esso si riproducono non siano un’impresa di profitti per pochi che rapina tutti gli altri. Oggi questo può avvenire solo individuando chiaramente chi sono i responsabili della situazione e chi ci guadagna a discapito di tutti gli altri.
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andre83us · 4 years
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