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#viandante senza casa
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"quando tu, in una parola, vivrai senza la vita,
penserai senza un pensiero,
sentirai senza cuore
allora tu non saprai che fare:
sarai un viandante senza casa,
un uccello senza nido.
Io sono così."
~ Luigi Pirandello
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ilmiocentimetro · 1 year
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A 11'200 chilometri di distanza
Sento l'aria muoversi verso la mia direzione
Come le onde d'urto d'uno tsunami
Il mio ego se ne nutre e le abbraccia tutte
"Venite!" urlo, come una madre scellerata ad uno sciame di vespe furibonde
E come un giovane Dorian, sento la colpa entrarmi dentro
Mantenendo una parvenza di bellezza
Spalmando sul mio corpo l'amore che hai voluto dedicarmi come una costosissima crema da notte
E' un unguento prodigioso
Che rinvigorisce l'animo
Che ricorda alle mie membra
Che la vecchia Sirena d'un tempo non ha perso il suo smalto
Che ancora lambisco prede fingendomi agnello
Che segretamente bramo lo struggente suono dei lamenti d'amore
Dei sogni irrequieti
Dei singhiozzi interrotti
Delle notti insonni
Dei pensieri sporchi
Perennemente impostora del mio stesso fascino
Vivo ogni conquista smembrando in due il mio corpo e la mia mente
"Lusingata", col cappello a veletta calato sul viso angelico, gli occhi socchiusi e imbarazzati
"Spavalda", col sorriso beffardo e affamato di chi vuol sapere a tutti i costi quanto vorrai avvicinarti al baratro
Memore delle ossa degli amanti che giacciono sul fondo
Come preziose reliquie o trofei dimenticati
Buoni solo a voluttuose chiacchiere marine
Una parte di me vorrebbe accarezzarti la barba bruna
Guardarti negli occhi e dirti, dolcemente, "in che guaio di sei cacciato"
Ed un'altra, meschina ed oscura, chiederti fin dove il tuo amore potrebbe arrivare
Come una maledetta incantatrice
Tentarti nelle prove più stupide
Sedotta io stessa dall'onnipotenza dell'amor donato
"Non sono perfetta"
Lo trovi scritto in piccolo su ogni angolo della mia pelle
Intorno a ogni piccolo neo o imperfezione
Tra le pieghe del mio encefalo
E nel fondo dei miei occhi
Sono solo una bambina con le forme di donna
Una Sirena reietta senza regno né sudditi
Un'anima solitaria che non ha altro da dare se non la propria spontaneità
Nessun futuro
Nessun accordo
Sono perennemente in balia delle onde, verso "altro"
Altri lidi
Altri amori
Altri stimoli
Saresti l'amore di una notte?
L'amico di una vita?
Entrambi
O nessuno
Saresti la metà della mie mela (o della mia banana)
O forse solo un piccolo spicchio dentro il mio essere?
Non vedo distinzioni
Non contemplo barriere
Se il tuo é amore, io non lo so
Amore, curiosità, infatuazione, desiderio,
Tutto, oppure niente
Ma poco importa ai miei occhi
Provo anch'io curiosità per il tuo odore
Per il tuo modo di leggere
Per l'odore della tua casa
E mentre scrivo tutto ciò sento un peso allo stomaco
Ed é paura: paura di illudere
Paura di soggiogare
Paura di nutrire i tuoi desideri
Quando io stessa non conosco i miei la maggior parte del tempo
Come il vento non sa assicurare una buona pesca o un buon raccolto
Un tramonto luminoso o un'alba tempestosa
All'innamorato viandante sotto al cielo
Cosa posso offrirti?
Una scatola vuota?
Svuotata, o da riempire?
Io questo non lo so.
Forse la tua non è nemmeno una domanda, o una richiesta
Forse la tua è una cartolina che non attende risposta
E io ne sto cercando una che nemmeno conosco
Ma ho sentito muoversi dentro qualcosa
Un piccolo fuoco
La luce di una candela
Su una piccola barchetta di carta
Lasciata al dolce cullare del fiume
E sono curiosa di vedere dove arriverà
Se si accascerà su se stessa tra qualche chilometro
(11'200 sono tanti)
Se troverà una baia tranquilla, con delle piccole oche selvatiche
Se dopo aver superato impetuose rapide
Raggiungerà vittoriosa l'oceano
Per poi sparire in una bocca di balena
O giungere a me dalla corrente del Golfo
Con un piccolo fiore viola appoggiato sulla prua.
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Turismo esperienziale: i cammini lenti
Il turismo esperienziale come può essere definito? Lo scrittore statunitense John Steinbeck diceva che “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” a dimostrare che il viaggio di per sé rappresenta una straordinaria occasione di crescita, di cambiamento. Non a caso il viaggio all'estero è stato considerato per decenni un classico della formazione giovanile. Il turismo del terzo millennio ha cambiato il proprio sguardo cercando la meraviglia non più in luoghi mitologici o in culture diverse ma in angoli nascosti a pochi passi da casa. Fare turismo esperienziale vuol dire fuggire dai flussi di massa per scoprire piccole realtà; sostituire un'uscita in motoscafo con una gita in kayak; preferire a una motorata un cammino lento. I cammini sono una tendenza in costante ascesa soprattutto dopo la pandemia. Un modo per riconnettersi con se stessi, la natura, la storia. Turismo esperienziale: cosa sono i cammini Luca Dei Cas Lungo lo stivale ci sono circa 70 cammini (un numero orientativo) che corrono lungo le antiche vie dei pellegrinaggi religiosi. Percorrerle dona ancora quella sensazione di purificazione che precede l'arrivo alla meta. Perché un cammino possa essere definito tale deve essere percorribile senza pericolo e da chiunque a piedi, in bicicletta o al massimo in groppa a un animale; deve essere accessibile anche a chi ha mobilità ridotta e adeguatamente segnalato; a distanze uniformi tra loro deve esserci un posto tappa: un punto di accoglienza per il viandante. Il percorso svolto dovrebbe essere in qualche modo certificato con delle credenziali: timbri che tengano traccia delle tappe raggiunte o anche un attestato di fine viaggio. Durante un cammino non mancano momenti di introspezione, intimità e condivisione con gli altri. Di questa straordinaria opportunità abbiamo parlato con Luca Dei Cas, editor della collana Percorsi di Terre di mezzo editore. La casa editrice milanese è l'organizzatore della fiera Fa la cosa giusta! e quest'anno ha dato ampio spazio ai cammini soprattutto quelli declinati al femminile. Buon ascolto. Cinque Colonne Magazine · Intervista a Luca Dei Cas, editor della collana Percorsi di Terre di mezzo editore In copertina foto di Hermann Traub da Pixabay Read the full article
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punti-disutura · 5 years
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Noi siamo come i poveri ragni, che per vivere hanno bisogno d’intessersi in un cantuccio la loro tela sottile, noi siamo come le povere lumache che per vivere han bisogno di portare a dosso il loro guscio fragile, e come i poveri molluschi che vogliono tutti la loro conchiglia in fondo al mare. Siamo ragni, lumache e molluschi di una razza più nobile – passi pure – non vorremmo una ragnatela, un guscio, una conchiglia – passi pure – ma un piccolo mondo sì, e per vivere in esso e per vivere di esso. Un ideale, un sentimento, una abitudine, una occupazione – ecco il mondo, ecco il guscio di questo lumacone, o uomo – come lo chiamano. Senza questo è impossibile la vita. Quando tu riesci a non aver più un ideale, perché osservando la vita sembra un’enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai (…) allora tu non saprai che fare; sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così. (…)
Luigi Pirandello, da una lettera alla sorella Lina, ottobre 1886.
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mucillo · 2 years
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Io sono così
(Luigi Pirandello)
Quando tu riesci a non aver più un ideale,
perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata,
senza nesso, senza spiegazione mai;
quando tu non hai più un sentimento,
perché sei riuscito a non stimare,
a non curare più gli uomini e le cose,
e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi,
e l’occupazione, che sdegni
– quando tu, in una parola, vivrai senza la vita,
penserai senza un pensiero,
sentirai senza cuore –
allora tu non saprai che fare:
sarai un viandante senza casa,
un uccello senza nido.
Io sono così.
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tura13 · 3 years
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Quando tu riesci a non aver più un ideale,
perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai;
quando tu non hai più un sentimento,
perché sei riuscito a non stimare,
a non curare più gli uomini e le cose,
e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi,
e l’occupazione, che sdegni
– quando tu, in una parola, vivrai senza la vita,
penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore –
allora tu non saprai che fare:
sarai un viandante senza casa,
un uccello senza nido.
Io sono così.
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divina-la-divi · 3 years
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“Quando tu riesci a non aver più un ideale, perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai; quando tu non hai più un sentimento, perché sei riuscito a non stimare, a non curare più gli uomini e le cose, e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi, e l’occupazione, che sdegni – quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore – allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido.
(Luigi Pirandello; lettera alla sorella Lina)
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black-flame-ak · 4 years
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"All’uomo solo,
ancora più amica,
la Luna"
Yosa Buson
 -Il coniglio nella Luna (leggenda giapponese/cinese)
La nascita di questa credenza nell'Estremo Oriente nasce dal fatto che, soltanto in Asia, nelle notti di Luna piena, negli avvallamenti della faccia illuminata,è possibile vedere la sagoma di un coniglio seduto sulle zampe posteriori che, con strumenti tradizionali giapponesi, pesta dolci di riso, ovvero, prepara i mochi.
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La storia di questo dolce coniglietto è narrata nel Śaśajâtaka, un'antica favola buddista con una morale:
Vi erano quattro amici animali, una scimmia, una lontra, uno sciacallo e un coniglio. Queste creature, durante il giorno sacro buddista di Uposatha (dedicato alla carità e alla meditazione) decisero di cimentarsi in opere di bene. Incontrarono un anziano viandante, stanco e affamato, allora gli animali si diedero subito da fare per procurargli del cibo. La scimmia, con la sua agilità si arrampicò sugl'alberi e raccolse la frutta. La lontra invece pescò il pesce nel fiume, e lo sciacallo rubò cibo in una casa incustodita. Il coniglio però senza particolari doti, riuscì soltanto a procurare dell'erba. Il coniglio era pieno di cuore, e volendo aiutare il vecchio viandante, l'animaletto si gettò sul fuoco, donando le sue carni. Il vagabondo tuttavia, si rilevò essere un Dio induista Śakra, e commosso dall'eroica virtù del coniglio disegnò la sua immagine sulla superficie della Luna, perché fosse ricordata da tutti, e magari, imparare da lui. La leggenda, il cui intento è celebrare le qualità buddiste del sacrificio e della carità portata avanti a ogni costo, è ben nota in Cina e in Giappone.
@sydmorrisonblog 💕💕💕
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armeliastrife · 4 years
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Il pianeta della felicità. Lassù in alto, nel vasto universo.. 
viveva una bambina, in un pianeta disperso. 
La sua casa era arida e assai scura
anche ai più audaci avrebbe fatto paura. In un buio perenne, in un perpetuo supplizio la bambina decise in quel momento che il suo viaggio avrebbe avuto inizio. Le malelingue provò a lasciare dietro al suo cammino, pronunciate proprio da chi avrebbe dovuto amarla, almeno un pochino. Atterrò su un pianeta piccolo e angusto ma che per lei sembrava il posto giusto.  Lì trovò un solo abitante che la salutò con fare esuberante. <<Viaggiatrice dei mondi, da dove arrivi? Pensavo che voi turisti foste più selettivi! In questa grande sobrietà mai avrei sperato in un poco di notorietà!>> <<Signore, a lungo ho vagato  e forse quel che cercavo ho trovato. Il pianeta della felicità io bramo, quello delle leggende che tanto amo.>> <<Oh, viandante, non me ne volere ma temo che ti dovrò dare un dispiacere. Questo piccolo pianeta è condannato. Fra pochi mesi verrà bruciato.>> <<Oh no, per carità! Non è questo che intendo io per felicità. Però messere, sono stanca per il viaggio. Pensate che sostare qui per un po’ sarebbe saggio?>> Per tre mesi l’abitante e la bambina condivisero il pianeta. Il loro rifugio sconosciuto, la loro zona segreta. E commossa del suo nuovo amico solidarietà la bambina si ritrovò a pensare “Dovrebbe essere proprio così, la felicità”. Ma quando il tempo stava per scadere l’abitante insistette affinché la bambina col pianeta non dovesse cadere. <<Io son nato con esso ed il mio fato sarà lo stesso. Ma i tuoi occhi hanno ancora tanto da esplorare, il tuo pianeta devi ancora cercare.>> Col cuore pieno di dolore, ed un pizzico di rancore, la bambina continuò il suo viaggio, voltandosi solo per un momento; quando ormai l’abitante ed il pianeta erano arsi, e pian piano tutto si era spento. Dopo un tempo che sembrò infinito, e con la paura di star inseguendo un mito, un altro pianeta trovò, pieno di luci e festoni. Di colori, danze, e rumorosi suoni.  Ad accoglierla fu un uomo-faina  con un sorriso che rendeva la sua faccia birichina. <<Piccola, che ci fai qui? Non è posto per te. Abbiamo già una dea nella nostra corte.>> <<Signor Faina, perdonate l’intrusione.. Sono in viaggio da molto, devo compiere una missione. Sto cercando il pianeta della felicità, da lungo tempo. Con tutte queste meraviglie, questa vivacità,
 vorrei provare a restare, se non interrompo.>> La Faina col cappello ghignò, mentre la bambina faceva entrare. Lei non si aspettava che la volesse imprigionare. Per anni attese da sola, in quella corte che qualcuno la salvasse da quella sorte. Ma dopo aver subito indicibili atrocità dovette fuggire da sola da quella realtà. Con astuzia e con ingegno riuscì a riprendere il viaggio, non senza impegno. Ma la corte qualcosa le aveva rubato. Dell’amore verso se stessa, glielo avevano strappato.  Così, indebolita e delirante riprese il viaggio, con il cuore ancora sperante. Proprio quella speranza attirò un altro viaggiatore che si avvicinò alla bambina, e parlaron per ore. Sperando in un’anima pia, che le dimostrasse un po’ di calore la bambina abbassò la guardia, anche davanti a quel malfattore. Durante la notte la speranza le soffiò di mano e in men che non si dica fuggì lontano. La poverina, ormai alla deriva, fiutò una scia “Sembra qualcosa di buono, da dover fare mia” Così seguendola trovò un viaggiatore che riparava la sua navicella, da onesto lavoratore. Appresa la lezione del malfattore, attirò la preda con le migliori parole. Ma ecco che l’istinto del cacciatore iniziava a predominare nella sua indole. Attese finché la speranza non gli poté rubare e, con il favore del buio, incolume scappare. Ma il rimorso la tormentò giorno e notte. E la sua immagine non riuscì a scacciare, anche se di gente ne incontrò a frotte.  Così decise che quella speranza doveva donare a chi nemmeno la riusciva ad agognare. Molte volte fu ferita da persone che credeva oneste e meritevoli che la pugnalarono, quando prima si mostrarono caritatevoli.  Altre provaron ad avvicinarsi ma quella che ormai non era più una bambina faceva fatica a fidarsi. E ancora, se guardate, la Viandante viaggia per terra, fiume o cengia. E ogni notte, prima di dormire un insistente pensiero si fa sentire. “Esisterà mai questo fantomatico pianeta e la felicità, che dovrebbe essere la mia meta?”
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rastravel · 4 years
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Prima ancora di iniziare a rompere (come sempre direte voi) , cerca di capire il fatto che voi non siete obbligati a fare o essere qualsiasi cosa che il vostro cuore non vuole fare o essere, quindi se non volete leggere siete liberi di farlo.
Oggi sabato 10 ottobre 2020 non è una buona giornata per me e questo sicuramente influenzerà, infatti sono qui per parlare della società di oggi, del mondo corrotto in cui siamo costretti a vivere, io non sono nessuno, sono solo un ragazzo che si considera un pensatore libero che ha viaggiato un pochino l'Italia.
Il mondo si sta devastando. La società è riuscita a creare un punto di riferimento che in qualche modo definisce (sbagliando) il successo, motivo per cui la maggior parte di noi soccombe allo stress e dipendenze, causando morti ogni giorno!*
Chi è una persona di successo? Io chiamerei una persona di successo qualcuno che ha raggiunto qualcosa che vuole davvero. Se una persona vuole soldi e diventa ricca, ha successo. Se una persona trova la felicità nell'agricoltura invece di lavorare in ufficio, ha successo. Se una persona vuole vivere come un viandante e viaggiare tutta la sua vita senza scegliere di costruire una casa, ha ancora molto successo come gli altri due.
Non esiste un percorso che definisca il successo. Sapete perché? Perché siamo tutti diversi! Questa e una frase che continuiamo a ripeterci eppure, la società di oggi a me dice chiaramente
*Per essere felice bisogna essere ricchi!*
Non rinunciate a ciò che volete veramente solo perché la tua famiglia, i tuoi amici o qualsiasi altra persona che incontri lungo la tua vita si aspetta che tu viva in un certo modo.
Purtroppo è così, ma le persone devono prendere schiaffi in faccia, anche fino a 64 anni (un incontro con un'uomo mentre giravo la Sardegna che aveva appena cominciato a viaggiare)! Ma prima o poi capirà e dirà tra se e se "ma che vita sto facendo?" E li, proprio in quel momento vi sveglierete e capirete tutto, perché i sordi giudicarono pazzi coloro che ballavano la musica, perché siamo tutti matti agli occhi di un matto e perché qualcuno o qualcosa continua a sussultarcelo dentro, ma noi no, non ne vogliamo sapere, non vogliamo ascoltarlo...
apriamoci al mondo, apriamoci alle persone, scopriamo cosa veramente ci rende felici e troveremo tutto quello che ci serve
Grazie a tutti
2pan nel ❤️
*
*SOLO IN ITALIA*
*OGNI ANNO*
40mila persone muoiono di alcool, quindi circa 109 persone ogni 24h
75mila persone muoiono per motivi legati al tabacco, quindi ben 205 persone ogni 24h
56mila persone muoiono per obesità o problemi cardiaci, 156 ogni 24h
45mila persone muoiono per polveri sottili, l'Italia in cima alla classifica europea, 123 ogni 24h
Oltre 330 persone muoiono per droghe ogni anno
Ripeto, solo in Italia!!
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clacclo · 4 years
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"Cars.
This is my 19th album and I'm still writing about cars. Writing about the people in 'em, anyway. Why? I don't know. I guess the car remains a powerful metaphor for me. We still live a lot of our lives here in America in cars... just trying to get from one place to another, from one place to another. Now, I suppose 40 years ago, they were a potent metaphor for open roads, freedom. Today, not so much. At best, they're a metaphor for movement. When we're in a car, we can feel like we're always moving forward, over the rise, around the bend, into the future. It can settle the spirit sometimes. But are we moving forward? A lot of the time, we're just moving." (From Western Stars movie)
THE WAYFARER
Same sad story, love and glory goin' 'round and 'round
Same old cliché, a wanderer on his way,
Slippin' from town to town
Some find peace here on the sweet streets,
The sweet streets of home
Where kindness falls and your heart calls
For a permanent place of your own
I'm a wayfarer, baby,
I drift from town to town
When everyone's asleep and the midnight bells sound
My wheels are hissin' up the highway,
Spinning 'round and 'round
You start out slow in a sweet little bungalow,
Something two can call home
Then rain comes fallin', the blues come calling,
And you're left with a heart of stone
Some folks are inspired sitting by the fire,
Slippers lucked under the bed
But when I go to sleep I can't count sheep
For the white lines in my head
I'm a wayfarer, baby, I roam from town to town
When everyone's asleep and the midnight bells sound
My wheels are hissin' up the highway,
Spinning 'round and 'round
Where are you now, where are you now
Where are you now...
I'm a wayfarer, baby, I roam from town to town
When everyone's asleep and the midnight bells sound
My wheels are hissin' up the highway,
Spinning 'round and 'round
I'm a wayfarer, baby, I'm a wayfarer, baby
I'm a wayfarer, baby, I'm a wayfarer, baby
I'm a wayfarer, baby, I'm a wayfarer, baby
I'm a wayfarer, baby, I'm a wayfarer, baby
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"Automobili.
Sono al mio 19° album e scrivo ancora di automobili o chi ci viaggia, almeno…
Perché? Non lo so… Immagino che per me l’auto sia una forte metafora.
Qui in America trascorriamo ancora buona parte della nostra vita in auto, nel tentativo di passare da un posto all’altro e poi ad un altro ancora. Suppongo che 40 anni fa l’auto fosse una potente metafora della strada senza fine, della libertà… Oggi non direi... A dir tanto è una metafora del movimento: quando siamo in auto abbiamo la sensazione di andare sempre avanti, oltre la salita e al di là delle curva, verso il futuro. A volte serve a calmare lo spirito. Ma andiamo davvero avanti? Il più delle volte ci spostiamo e basta…" (Dal film Western Stars)
IL VIANDANTE
La stessa triste storia, l'amore e la gloria vanno e vengono
Lo stesso vecchio cliché, un viandante sulla strada,
Che scivola via di città in città
Alcuni trovano pace qui sulle dolci strade,
Le dolci strade di casa
Dove dimora la gentilezza e il cuore chiede
Un suo proprio luogo permanente
Sono un viandante, piccola,
Vado alla deriva da una città all'altra
Quando tutti dormono e suonano le campane di mezzanotte
Le mie ruote sibilano sull'autostrada,
Girando senza mai fermarsi
Si comincia lentamente in un dolce e piccolo bungalow,
Qualcosa che due persone possono chiamare casa
Poi arriva la pioggia, la malinconia viene a trovarti
E ciò che rimane di te è un cuore di pietra
Qualcuno trova ispirazione seduto vicino al fuoco,
Con le ciabatte sotto il letto
Ma quando io vado a dormire, non riesco a contare le pecore
Per le linee bianche nella testa
Sono un viandante, piccola, vago da una città all'altra
Quando tutti dormono e suonano le campane di mezzanotte
Le mie ruote sibilano sull'autostrada,
Girando senza mai fermarsi
Dove sei ora, dove sei ora
Dove sei ora...
Sono un viandante, piccola, vago da una città all'altra
Quando tutti dormono e suonano le campane di mezzanotte
Le mie ruote sibilano sull'autostrada,
Girando senza mai fermarsi
Sono un viandante, piccola, sono un viandante, piccola
Sono un viandante, piccola, sono un viandante, piccola
Sono un viandante, piccola, sono un viandante, piccola
Sono un viandante, piccola, sono un viandante, piccola
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the-mortal-silence · 4 years
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Io sono così (Luigi Pirandello)
Quando tu riesci a non aver più un ideale, perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai; quando tu non hai più un sentimento, perché sei riuscito a non stimare, a non curare più gli uomini e le cose, e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi, e l’occupazione, che sdegni – quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore – allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così.
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sofficefioccodineve · 5 years
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Io sono così
Quando tu riesci a non aver più un ideale,
perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata,
senza nesso, senza spiegazione mai;
quando tu non hai più un sentimento,
perché sei riuscito a non stimare,
a non curare più gli uomini e le cose,
e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi,
e l’occupazione, che sdegni
quando tu, in una parola, vivrai senza la vita,
penserai senza un pensiero,
sentirai senza cuore 
allora tu non saprai che fare:
sarai un viandante senza casa,
un uccello senza nido.
Io sono così.
Luigi Pirandello
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"Ricorda chi eravamo". L'ordine più semplice che un re possa dare. "Ricorda perché siamo morti". Lui non desiderava tributi, o canzoni, o monumenti, o poemi di guerra e coraggio. Il suo desiderio era semplice: "Ricorda chi eravamo", così mi ha detto. Era la sua speranza, se un'anima libera dovesse arrivare in questo luogo, negli innumerevoli secoli di là da venire, possano tutte le nostre voci sussurrarti dalle pietre senza età, "va' a dire agli spartani, viandante, che qui, secondo la legge di Sparta, noi giacciamo". E così il mio re è morto. E i miei fratelli sono morti. Appena un anno fa. A lungo ho pensato alle parole del mio re, criptiche parole di vittoria.
Il tempo gli ha dato ragione, perché da greco libero a greco libero si è tramandata la notizia che il prode Leonida e i suoi 300 soldati, così lontani da casa, hanno dato la vita, non solo per Sparta, ma per tutta la Grecia e per la speranza difesa da questa nazione. Ora, qui su questo aspro frammento di terra chiamato Platea, le orde di Serse affrontano la loro disfatta! Lì davanti i barbari si raccolgono, è nero il terrore che afferra saldo i loro cuori, con dita di ghiaccio; conoscono molto bene gli impietosi orrori che hanno sofferto per le lance e le spade dei 300 spartani, e ora fissano lo sguardo su questa pianura dove ci sono 10.000 Spartani alla testa di 30.000 liberi Greci! Le forze del nemico ci superano di sole 3 volte! Buon segno per tutti i Greci. Quest'oggi noi riscattiamo il mondo dal misticismo e dalla tirannia e lo accompagniamo in un futuro più radioso di quanto si possa immaginare. Dite grazie soldati, a Re Leonida e ai prodi 300! Alla vittoria! 
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foxpapa · 5 years
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Il diario di Chiara Nocchetti, 24enne napoletana, lungo il "Camino"
Verso Santiago, capitolo 6: "Tutti in branda" 
Oggi mi sono svegliata alle quattro e mezza e mezz'ora dopo, nel gelo e nel buio più totale, ho cominciato a camminare. Mi aspettava la tappa più difficile di tutte, trenta infiniti chilometri tutti in salita tra le montagne. Sono arrivata in ostello alle due e mezza, senza neanche la forza di arrampicarmi sul letto a castello per riposare. Uno dei riti del cammino è proprio l'arrivo in ostello. L'ostello costa poco, tra i cinque e i sette euro come media. Esistono persino gli ostelli donativi, dove si entra gratis e si lascia quel che si vuole. Dopo la consegna della credenziale e dopo aver ricevuto il timbro mi dirigo stanca verso il mio letto. Le camere possono avere dai quattro ai cento posti, oggi per esempio dormo in una camerata enorme, saremo più di sessanta persone, tutte vicine, in una lunga serie di letti a castello in processione. Sul letto metto le lenzuola usa e getta che talvolta mi danno, poi il mio sacco a pelo. La parte più difficile è sempre quella dello zaino. Pesco miracolosamente una maglietta pulita e l'ascigamano e corro a fare la doccia. Il bagno di oggi ha sei o sette docce, senza tenda o separatore, sembra lo spogliatoio di una palestra. Prendo i  vestiti sporchi, li infilo in una busta, saltello fino alla doccia, mi lavo con una saponetta sempre più piccola e sempre più sciolta, mi asciugo, prendo i vestiti pulti e lavo quelli sporchi. E qui, come si suol dire, casca l'asino. Dopo una giornata a camminare tra i boschi in salita l'ultima cosa che hai voglia di fare è strofinare le tue mutande con la saponetta di Marsiglia che hai comprato sentendoti ecologico e organizzato. Però non hai neanche voglia di puzzare come una capra il giorno dopo, quindi lo fai. E poi stendi i panni. E, fondamentalmente, li perdi. o sono partita con tre mutande, tre magliette, due pantaloni corti e uno lungo, tre paia di calzini, una felpa e un asciugamano in microfibra. Prima di partire però non avevo calcolato che come me fa acquisti da Decathlon la metà della popolazione mondiale, Per cui, il viola del mio asciugamano, che a me sembrava un must dell'estate, è il colore dell'asciugamano della metà dei pellegrini. Va da sé che qualcuno ha rubato il mio e io ho rubato per contrappasso quello di un altro, ho perso una delle tre mutande, un calzino su sei e un reggiseno su due. Quando ritiro i panni dai fili fuori l'ostello, mi prende una irrefrenabile voglia di ridere e scegliere fondamentalmente quello che mi piace di più. Dopo questo infinito via vai si mangia. Alcuni in ostello, altri al ristorante, il menù del pellegrino costa poco, non è un granché ma tu hai talmente fame che mangeresti anche un pandoro scaduto nel 2006. Se sei fortunato, prima della nanna, ti tocca curare i tuoi poveri piedi. I miei, nello specifico, sembrano quelli di un viandante scalzo impegnato in una via crucis. Due sere fa alcuni praticanti di medicina hanno messo su in ostello un piccolo pronto soccorso e io sono finita sulla barella con i piedi fasciati. Sono gli angeli del cammino, li amo. Verso le 21ecco l'ultimo rito della giornata: la preparazione per la nanna. Si dorme presto, siamo esausti e la sveglia suona così presto che sembra ancora tardi. Ed io, che a casa mi sveglio anche se mamma ascolta la televisione a volume alto, qui dormo.Dormo con sessanta cristiani che russano, venti che inciampano nello zaino, due che ridono, uno che parla al telefono, cinque che accendono la luce e sei che parlano da soli. Dormo e prima di dormire penso che mi fa ridere tutto, anche il dolore. Perché mi fa sentire dannatamente viva.
Buen camino
Foto di Luigi Elmo
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pangeanews · 5 years
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Capri, mito infinito: dalle Sirene di Ulisse a Curzio Malaparte, da Pablo Neruda a Lenin, Churchill e Marinetti. Viaggio con scorta di libri (e molteplici occhi)
Quel genio futurista di Filippo Tommaso Marinetti voleva metterci un ascensore, sui faraglioni. E poi un bar lì, in cima. Il 14 luglio del 1914, su «Lacerba», aveva pubblicato il Manifesto dell’architettura futurista: “gli ascensori devono inerpicarsi, come serpenti di ferro e di vetro”. Forse non sarebbe stata una cattiva idea, mi suggerisce Luca, un mio amico architetto, in fuga anche lui, come me, sull’isola di Capri. Arrivare qui è già un miracolo, visto che persino il Frecciarossa fa ritardo, e l’ultimo aliscafo in partenza per l’isola è alle 20. Ma se c’è vento forte e il mare grosso, l’isola torna ad essere irraggiungibile. Un miraggio. Con i suoi faraglioni, privi di ascensore. Arrivarci resta un’avventura, come un tempo. E come racconta Jamie James nel libro, appena uscito in America, Pagan Light. Dreams of Freedom and Beauty in Capri (Farrar, Straus and Giroux, ancora inedito in Italia) che un amico mi suggerisce di leggere. Goethe tentò di visitarla nel 1787. “La promessa della libertà ha portato con sé la fantasia del piacere senza limiti” si legge. Ma certo, l’isola è ancora un simbolo di libertà, di amori sregolati (pure il marchese de Sade è passato di qui), ma anche di turismo di massa e lusso sfrenato. Basta allontanarsi dalla pazza folla e si aprono squarci di bellezza da togliere il fiato. Anzi, da uccidere.
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Nel libro di Jamie James, si parla di Norman Douglas e ancora prima, soprattutto, degli imperatori romani, da Giulio Cesare a Tiberio, passando per Ottaviano Augusto (l’ombra della sua morte che si allunga sui suoi ultimi giorni di villeggiatura sull’isola). Dalla residenza di Tiberio (che costruì diverse ville imperiali), Villa Jovis, costruita intorno al I secolo, si può gettare un ultimo sguardo al “salto di Tiberio”. Una bellezza che corteggia istinti da cupio dissolvi. Un salto di oltre duecentonovanta metri, a strapiombo sul mare: l’imperatore romano, secondo la leggenda, da qui gettava ospiti indesiderati e, forse, amanti non più graditi. Il vento sferza potente su questo punto roccioso che scorge il mare da tutte le parti, sembra difficile resistere al fascino dell’altezza. Guardare giù è già precipitare. Mentre osservi, da sopra, incerto, il volo dei gabbiani, il loro grido. Questa bellezza, così rischiosa da essere temeraria. Ma, primo in ordine cronologico, Omero parlò di Capri, quando scrisse delle sirene di Odisseo. Il canto di queste magnifiche assassine, donne-uccello dal verso che affascina, forse vivevano qui, sugli scogli di Marina Piccola, da dove puoi guardare quegli scogli da cartolina: Stella, Saetta e Scopolo. I nomi dei faraglioni. Quanti sguardi si saranno posati su di loro? “Vi sbarcai in inverno. La veste di zaffiro l’isola custodiva ai suoi piedi, e nuda sorgeva nel suo vapore di cattedrale marina”, scrive Pablo Neruda nella Chioma di Capri: era sbarcato anche lui qui, nell’inverno del 1952. Col basco in testa e in bocca la pipa, accanto a Matilde, la sua amante dai capelli rossi, sorridente e silenziosa (lui era sposato da sedici anni con Delia del Carril, la seconda moglie) e, insieme a loro, il cagnolino Nyon (Teresa Cirillo Sirri li descrive in Neruda a Capri. Sogno di un’isola, La Conchiglia). Mano nella mano, si vedevano i due amanti passeggiare per il mare o camminare verso il monte Solaro. Ospiti dell’ingegnere e naturalista Edwin Cerio, vivevano nella “Casa di Arturo”. Lei era cantante, Matilde Urrutia e lui, dal 1949, in esilio dal Cile, si vedevano bere il caffè in Piazzetta. Pare che un’anziana sarta dell’isola avesse cucito, con fili dorati, appositamente per Matilde, un abito a righe verdi e nere. Lei, la musa di Neruda, cucinava piatti cileni di pesce, con cipolle e olive e l’anatra all’arancia. Per lei, il poeta cileno scrisse Los versos del Capitán e Las uvas y el viento. Sembra che scrivesse con inchiostri diversi, a tutte le ore del giorno e della notte, su foglietti diversi che Matilde collezionava. La casa decorata con fiori di campo e rami di ginestre. Lui, nonostante fosse già impegnato, voleva sposarla. Aveva fatto incidere un anello con questa scritta: “Capri, 3 maggio 1952. El tuo Capitán”.
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In questo quadro idillico che ispirò Troisi per Il postino, c’era anche una domestica, da Neruda chiamata Olivito (perché assomigliava ad una piccola oliva) che si lamentava dei due ospiti disordinati e selvaggi. Imboccando la via Tragara, restano i suoi versi incisi sulla roccia: “Capri – reina de roca/en tu vestido/ de color amaranto y azucena/ vivi desarrollando/ la dicha y el dolor . la vin allena/ de radiantes racimos/ que conquisté en la tierra” (“Capri, regina di roccia/ nella tua veste/color giglio e amaranto/ vissi sviluppando/ la fortuna e il dolore, la vigna piena/ di grappoli radiosi/ che conquistai sulla terra”). Innamorato. Ma non solo Neruda. Gli scrittori sull’isola di Capri non si contano. E non solo scrittori. Alle spalle della Piazzetta, lungo il percorso che porta alla Villa Jovis, c’è una casa rossa, di un rosso pompeiano con un’epigrafe che ricorda: qui visse e lavorò dal marzo 1909 al febbraio 1911 lo scrittore russo Maksim Gor’kij e, nel 1910, “dimorò Vladimir Lenin fondatore dello Stato Sovietico”. Sull’isola del dolce far niente, “Apragopoli” come veniva chiamata, qualcuno riesce a lavorare. La figlia del duce, Edda Ciano, e suo marito erano venuti a Capri in luna di miele, nell’albergo più esclusivo dell’isola. Italo Balbo atterrava con l’idrovolante e passava di qui anche Bruno Bottai. Oltre a Moravia e alla moglie Elsa Morante (che a Procida, l’isola sorella di Capri, aveva ambientato appunto L’isola di Arturo), viveva appartato nella sua villa Alberto Albertini, il cofondatore del «Corriere della Sera». Giovanni Amendola e molti ebrei tedeschi e austriaci in fuga dalle leggi razziali trovarono riparo qui, gli scrittori Franz Werfel e Stefan Zweig. Ma l’isola piaceva anche ai gerarchi nazisti, come Goering e Rudolf Hess appassionato di un famoso cantante caprese, Scarola. Proseguendo per la via Tragara si arriva al Belvedere e all’hotel omonimo, secondo quanto riporta l’iscrizione incisa sulla facciata, progettato dall’architetto Le Corbusier, secondo le mie fonti capresi, progettato e costruito dall’imprenditore Vismara originario di Induno Olona, in provincia di Varese. In questo edificio color ruggine, sede del Comando Americano, durante la Seconda Guerra Mondiale soggiornò il generale Eisenhower, futuro presidente USA e Winston Churchill. Ma più poeticamente ne scrisse la grande poetessa Ada Negri, nel 1923: “Viandante, se vai fino a Punta Tragara,/ argentea d’ulivi,/ prendi a sinistra un viottolo a scaglioni nel sasso./ Aspro; ma verso il mare tutto oro di folli/ranuncoli./ Verso il monte tutto ombre di mirti, e pensoso amaranto di cardi./ Ti condurrà alla casa che risponde, marmoreo/ silenzio ai silenzi dell’aria”.
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Proseguendo lungo questo sentiero, la visione dei faraglioni è potente, immediata, sono così vicini da togliere il fiato. Il sentiero conduce quindi alla casa più affascinante dell’isola, Villa Malaparte, concepita e costruita da Curzio Malaparte, su Punta Massullo. Lo stesso Malaparte (pseudonimo di Kurt Erich Suckert) che aveva dato di Napoli, un potente affresco ai limiti della putrefazione, nel viaggio allucinato e infernale di La pelle, il romanzo scandalo, pubblicato nel 1949, aveva scelto l’isola più bella del golfo di Napoli. E la casa, progettata interamente da lui, non aperta ai visitatori, è un sogno di bellezza, costruita sul promontorio roccioso, come un enorme mattone, che ride delle tempeste e resiste negli occhi con quel suo sguardo che saluta i marinai. Il camino ha per fondo un vetro: quando era in casa, lo scrittore accendeva le fiamme, che si vedevano dal mare. Quando il mare è in tempesta, le onde lambiscono la casa, “La casa come me”. Quando parto dall’isola, l’isola torna ad essere un’isola: hanno cancellato gli aliscafi. Il mare è grosso. Non resta che prendere l’ultima corsa per Sorrento, costeggiando la terraferma. Villa Malaparte diventa un puntino rosso scuro in mezzo al mare, negli occhi lo sguardo dell’isola si allontana, come un miraggio, “una meringa”, qualcosa che non esiste più, se solo esce dagli occhi. Senti soltanto le onde. I faraglioni sono scomparsi. Ti chiedi se non sia solo un sogno. E ti torna alla mente l’ultima pagina dell’isola di Arturo, anche se l’isola che scompare è Capri: “Preferisco fingere che non sia esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio che non guardi là. Tu avvisami, a quel momento. (…) Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L’isola non si vedeva più”.
Linda Terziroli
*In copertina: Pablo Neruda, tra gli illustri ospiti di Capri
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