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#E il tempo scivola via
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"Invece tu hai lo sguardo di chi crede di non meritarla, la felicità."
E il tempo scivola via - Akira D.
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torinofinestre-blog · 2 years
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susieporta · 3 months
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OGNI TANTO...
Ogni tanto, smetti di volere sempre tutto sotto il tuo controllo e permetti alle cose di crollare e di seguire il loro corso...
E rimani semplicemente presente a te stesso a osservare senza giudicare.
Proviamo a considerare il fatto che tutto ciò che facciamo non è che un tentativo per fuggire la paura.
Arrabbiarsi è sinonimo di paura;
Attaccarsi e identificarsi con le cose esterne è sinonimo di paura;
Attaccarsi agli altri nasce dalla paura;
Attaccarsi al cibo, alla televisione, ai divertimenti, al alcol, al sesso, e a qualsiasi altra cosa...è segno che non stiamo vivendo nel momento presente con ciò che è, ma che stiamo tentando di fuggire la paura del presente.
Irritarsi è paura.
Aggredire è paura.
Mentire è paura.
Indifferenza è paura.
Giudicare gli altri è paura.
Giudicare se stessi è paura.
Gelosia ed invidia nascono dalla paura.
Egocentrismo ed arroganza nascono dalla paura.
Orgoglio e vanità nascono dalla paura.
Pretendere è segno di paura.
Vivere sempre nelle aspettative è paura.
Sentirsi superiori o inferiori è segno di paura.
Ogni forma di esagerazione nasce dalla paura.
Anche rifiutare le cose, le persone e le situazioni, magari combattendole, anche questo è paura.
La paura del momento presente: l’ignoto.
Paura dell’impermanenza, paura del vuoto, paura della verità, paura di non avere il controllo, paura di perdere il controllo, paura dei cambiamenti, paura della vita che scivola via attimo dopo attimo, paura della morte, paura di non essere.
Ciò che chiamiamo vivere, si risolve per la maggior parte del nostro tempo nel tentativo di parare i colpi dell’impermanenza a son di illusioni, di mascheramenti e di compensazioni per non confrontarci con la realtà, per non confrontarci con l‘insostanzialità delle nostre idee, credenze e fissazioni.
O meglio: per non confrontarci con l’insostanzialita‘ di noi stessi, la falsa idea che abbiamo di noi stessi che crolla inesorabilmente davanti alla paura.
Abbiamo paura di avere paura, perché la paura ha il potere di smascherare le nostre menzogne e ci dimostra che non abbiamo tutto questo controllo sulle cose, sulle persone e sulla nostra vita che siamo convinti di avere.
La vita segue le sue leggi e non le nostre...
E questo fa paura...
E continuerà a spaventarci finché non accetteremo tutte le nostre paure con coraggio e compassione, accettando di far crollare la falsa immagine di noi stessi.
Quella che abbiamo creato e nutrito negli anni, tanto per darci un tono: l’immagine del finto guerriero che spacca il mondo, ma che si nasconde sotto un armatura di cartone e combatte la vita con uno scudo di plastica e una spada di legno.
Cominciamo a famigliarizzarci con noi stessi...
Cominciamo a fare amicizia con noi stessi invece di preoccuparci di combattere il mondo...
Cominciamo a prendere le nostre bugie e ipocrisie con amore e compassione...
Siamo stati colti dalla vita con le mani nel vasetto della marmellata... E va bene così.
Mi osservo e mi accetto, qui e ora e smetto di creare continue costruzioni mentali per difendermi dal presente.
Mi apro a ciò che è...e accolgo me stesso in relazione a tutto ciò che mi circonda, accetto cosa sono e dove sono, e poi comprendo.
E incomincio allora a provare amore e gratitudine per il mio piccolo essere impaurito che sta imparando a conoscere i misteri della vita.
Vivi coscientemente la vita dissolvendo te stesso nella paura.
Fa che la paura diventi tua amica e compagna di viaggio.
Accetta di avere paura e ti farà meno paura l’aver paura.
Finché non troveremo il coraggio di confrontarci con la paura, allora, tutto ciò che faremo della nostra vita non sarà altro che un vano tentativo di evitare la paura.
PRENDI LA VITA NELLE TUE MANI
Roberto Potocniak
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yomersapiens · 6 months
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Ciao yomo, ti volevo chiedere che programmi usi per scrivere e in generale quali pratiche hai per mettere giù quello che vuoi scrivere, a me piacerebbe molto potermi dedicare ma mi sento bloccato, aiutami per favore :(
Vediamo se posso esserti utile, cioè, almeno lo spero. Posso solo parlare della mia esperienza, di uno che è diventato scrittore perché non hai mai smesso di scrivere. Il mio unico talento è la perseveranza. Ma se mi leggi quassù da un po' di tempo probabilmente lo sai già e dato che mi chiami yomo credo sia così.
Una cosa è scrivere d'impulso, un'altra è farlo diventare un mestiere. Io ho semplicemente voluto far accadere questa esperienza e sono stato privilegiato dalla nazione in cui vivo che mi ha permesso di farlo. Ok muoio di fame, la disoccupazione che prendo a malapena copre la casa, qualche risparmio mi sta aiutando con la spesa ma tutto questo discorso serve per dire: ci vuole tempo.
Mi avevano appena licenziato, non proprio licenziato, ok, mi avevano spinto a licenziarmi ed era stato un lavoro piuttosto stressante in una start-up il cui unico obbiettivo era il successo di un prodotto quantomeno discutibile. Questa orribile esperienza mi ha formato in una direzione: svegliarmi e diventare operativo. Loro lo pretendevano come devozione verso il brand. Che schifo quanto mi sento sporco a ripensarci. Ma questa routine di svegliarsi, accendere il computer, mettersi subito a lavorare, non alzarsi dalla sedia fino a che qualcosa di buono nasceva, l'ho trasferita nel libro.
Mi alzavo seguendo i ritmi dell'ufficio e uscivo di casa ma, invece di recarmi in un edificio con luci a neon e colleghi frustrati, andavo in un bar. L'atteggiamento era il medesimo, copiavo lo stile di vita di qualche settimana prima e lo convertivo in una nuova missione.
Ci vuole regolarità e solo tuoi puoi essere in grado di dartela. Ci sono giornate dove nemmeno un'idea decente uscirà dalla tua testa e altre giornate dove scriverai dieci pagine e ti sentirai un treno. Si tratta di bilanciare i momenti pieni con quelli vuoti e non mollare mai. Non lo dico come un manager del cavolo che vuole spingerti a essere stacanovista, deve essere anche la storia a parlarti, devi capire pure tu se scrivere fa per te. Non c'è nulla di sbagliato nel mollare e di prenderla in maniera più leggera e discontinua. Ci vorrà solo più tempo.
Trova la tua voce e falla diventare la voce della storia. Lascia che siano i personaggi a trovare te e falli vivere nella tua testa a tempo pieno. Una volta che entri nel loop e sei circondato dal luogo che stai creando e i personaggi si stanno delineando, non uscirne. Sarà come vivere due esistenze. Una reale, che si deve ricordare di mangiare di bere e di lavarsi, e una mentale che vive nella tua immaginazione e può andare dove vuole.
Spesso, la maggior parte del lavoro, consiste nel guardare nel vuoto e immaginare cosa succederà. Lo scrivere è la parte finale e può capitare anche dopo settimane che stai pensando a una scena. Scrivere è una goccia di condensa che scivola giù dal vetro. Tu sei il vapore. Il calore. L'umidità. Tieni sempre alta la temperatura e credici, anche quando non ti sembra sufficiente. Rileggi, cancella, butta via, non affezionarti a niente perché più sentimenti leghi a una parte della storia più sarà difficile disfarsene e fidati, dovrai buttare via un sacco di idee.
Sii crudele, sii reale, specialmente con i personaggi che inventi. Sii assurdo, sii sbagliato, io immagino situazioni estreme e passo il tempo a cercare di risolverle insieme ai personaggi e mi sento nella merda fino al collo come loro. Una merda che io ho creato. A me gli eroi non piacciono, mi piacciono i sofferenti, quelli che nonostante tutto il dolore vanno avanti. Gli invincibili mi annoiano. La perfezione mi annoia. Crea un vaso che ti piace poi spaccalo e riattacca i cocci usando una colla dorata.
Apriti. Scrivere vuol dire passare un sacco di tempo da soli. Io non capisco come lo si possa fare per più di tre/quattro ore al giorno. Io vado in apnea da realtà. Per questo scrivo nei bar, così sento di essere ancora sul pianeta terra altrimenti sprofondo nei pensieri. Apriti e condividi quello che stai scrivendo con qualcuno di cui ti fidi. Io sono stato davvero fortunato. Su tumblr ho conosciuto persone che mi hanno aiutato a credere in me stesso e che hanno letto la storia che stavo scrivendo. Senza Alessio e S.A.C. non sarei riuscito a sentire dove stavo andando. Devo tantissimo a loro.
Non ti preoccupare di eventuali errori o altro. Tu scrivi. Butta fuori tutto e poi prenditene cura in un secondo momento. Io ho usato Pages il programma di scrittura del Mac, ma Word va benissimo. Tanto alla fine devi mandare un file word. Quindi è indifferente su cosa scrivi, trova un programma che converte i file in word ecco. Prendi appunti ovunque. Ho note vocali nel telefono dove mi raccontavo colpi di scena. Ho appunti nelle agende scritti a penna rossa per ricordarmi di usarli. Ho post-it attaccati in giro per il bagno. Ogni tanto al telefono dico "ah poi voglio scrivere questo me lo puoi ricordare" e spero poi l'altra persona si ricordi perché la mia memoria ogni tanto perde colpi.
Tante cose non sarai tu a farle. Ci sono gli editor che si nutrono dei tuoi errori e non vedono l'ora di trovare un'incongruenza o un congiuntivo sbagliato per fartelo notare. Sono piccole gioie nella vita delle persone, queste sono le loro. Ricordo quando mi è arrivato il file corretto per la prima volta: 963 errori da controllare. Ora tu pensa, era già la quarta stesura, il testo era già cambiato un sacco di volte e ancora, nonostante tutto, c'erano mille errori. Tieni duro, prendi una pausa, prenditi una settimana in montagna o dormi per tre giorni di fila e poi affronta il tutto. Non metterti mai fretta. Anche se ci sono scadenze, tipo pagare l'affitto.
Scrivere è un'ossessione, una bellissima e dolorosa ossessione. In pochi ti crederanno se decidi di intraprenderla come carriera. "Tanto non fai niente, cioè, stai lì davanti al computer e basta, vai tu a occuparti di questa cosa". Io in questo sono scarso, vado sotto subito se qualcuno mi critica e mi dice che non sto lavorando, perché scrivere mi rende felice e viviamo in una società dove se facciamo quello che ci rende felici dobbiamo sentirci sporchi. Tu cerca di essere migliore di me e ostenta sicurezza.
Poi arriva l'autocritica. Cerca di essere onesto con te stesso. Perché stai scrivendo? Per chi? Cosa vuoi dire con la tua storia? Non devi buttare giù una pagina al giorno, non tutti siamo industrie produttive alla Stephen King. Anche una frase, se scritta bene, può risolvere un'intera settimana di lavoro.
Attento a non scrivere per compiacerti. È una cosa che noti quando leggi, se l'autore scrive per creare piacere nelle proprie zone intime. Mi vengono in mente un sacco di nomi di autori che senti che si stanno leccando da soli, parola dopo parola. Ecco, cerca di non leccarti troppo da solo. Pensa che devi procurare piacere anche a qualcun altro. Non so se ti è mai capitato di fare l'amore, più o meno è così. Un po' a te e un po' all'altro. Bilancia. Poi trattieniti, non dare tutto, fallo a piccoli passi, fai venire fame, desiderio di andare avanti e non mollare la storia, capitolo dopo capitolo, mini-orgasmo dopo mini-orgasmo.
Scrivi tutti i giorni. Visita la storia che stai scrivendo ogni volta che puoi. Lascia sempre un orecchio rivolto verso i dialoghi che avvengono quando non sei lì. Come un genitore che lascia accesa la babycam mentre il figlio dorme e finge di non prestare attenzione quando in realtà non vede l'ora che la sua piccola creatura faccia un minimo movimento per fiondarsi e prendersi cura di essa.
Confrontati. Sappi difendere le tue idee fino alla fine. Sostieni le tue decisioni, anche quelle che ti sembrano più inutili. La casa editrice avrà sempre da ridire, non temere. Tu trova il modo di mediare ma rimani coerente con te stesso e con la storia.
Divertiti. Incazzati. Non dormirci la notte. Ah questa un'altra cosa, trova il tuo ritmo. Sei diurno o notturno? Questo lo puoi sapere solo tu. Io scrivo bene solo al mattino molto presto e per le 11/12 sono già esausto. Ma ci sono anche i vampiri che si attivano alle due di notte eh. Chi sono io per giudicare quelle strane creature.
Boh penso di aver scritto abbastanza e ora rileggendomi anche io mi sono leccato parecchio da solo mentre scrivevo. Spero di essere stato in grado di comunicarti un po' il fervore che si impossessa di me quando scrivo. Non è così sempre. Dei giorni sto attaccato a Zelda e neanche la masturbazione mi tira su. Ma quando butta bene mi spremo fino al midollo.
Sii gentile con te stesso. Le buone idee arrivano solo se ti tratti bene. Viziati. Crea un terreno fertile e qualcosa fiorirà e se ci vogliono anni non preoccuparti, tu continua a innaffiare.
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ma-pi-ma · 1 year
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E improvvisamente ti rendi conto quanto sia importante sbrigarsi ad abbracciare, a baciare, sorridere, accarezzare. Che il tempo scivola via come sabbia tra le dita e non concede proroghe.
cristianik1
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scorcidipoesia · 3 months
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Sentire un tic tac che sovrasta il silenzio nella confusione intorno, un vociare assordante in cui nessuno si rivolge a me, un continuo transito attraverso ciechi che non mi vedono passare, mi osservano. Una stanza di specchi in cui io mi rifletto sola e mi guardo. Non mi arriva la luce degli occhi ma il corpo in cambiamento di una donna che sta per varcare una soglia tra giovinezza e vecchiaia, me lo dicono i segni intorno agli occhi che tanto hanno guardato. Potrei scrivere un haiku e con poche parole descrivere il nulla, ma il nulla è pieno, morbido al tatto e adattabile a tutte le frasi. Il nulla circonda questo spazio che sono io, lo rende chiaro ma opaco , vuoto ma pieno, come una condensa che mi accompagna, fuliggine sopra al mio vetro che non osa brillare. Ho lanciato un grido ma non sono riuscita a emettere suoni. La bocca asciutta, assaggio cibi ma non arriva il gusto, scivola via il sapore, un rigagnolo di abitudini.
Intorpidita, ho provato a rilassarmi muovendomi in questa realtà ovattata e senza suoni dove scorrono le parole scritte o arrivano i vocali di persone che non ti telefonano più.
Pronto
Chi sei
Dove sei
Cosa posso dirti di me ?
Una garza per ogni giorno di dolore
Un sorriso per ogni occasione perduta
Apro il cuore, lo dono, sono sempre stata generosa amando più gli altri di me stessa ma con la potente formula dell’autocritica in cui so perfettamente quando sto sbagliando , e con chi.
Attratta dagli inganni colleziono vuoti a perdere , ho una collezione di bottiglie vuote che non ho neanche bevuto. Il liquido si è cristallizzato nel tempo trascorso durante il mio tic tac tic tac e la vita intanto va, scorre, porta via i crampi alle mani, la schiena costretta alle fatiche, le lacrime nascoste.
E questo tic tac porta via anche me, mi allontana dallo specchio per non vedere più cosa o chi sono diventata, senza le mie farfalle zingare nei cieli distanti non so più riconoscere in cosa mi sono trasformata.
Tatiana Andena
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Sei stata la mia seconda pelle per tutto il tempo in cui ci siamo scelti,
che poi, quando sei andata via, il freddo mi è piovuto dentro.
E non mi ammalo più di solitudine mentre cerco di dimenticarti,
senza mai riuscire a farlo fino in fondo.
Resta sempre un seme di te da qualche parte,
a cui tolgo linfa, terreno,
ma lui lo stesso rinasce.
Ti ho lasciata entrare perché solo così sono capace di amare, abbassando ogni difesa.
La vita scivola via,
a volte senza lasciare segni,
ma l’amore macchia.
L’amore ti resta addosso.
Sei stata la persona che ho preso per mano e ho portato laggiù,
dove spesso finisco quando la vita mi cerca, e adesso sai dove tengo nascosti i miei sogni.
La tua assenza mi è chiara ad ogni istante,
non ti confondo per rabbia o per capriccio, so che non ci sei.
Eppure manchi...
quando vedo un posto nuovo e ancora penso che vorrei tornarci
insieme a te.
Quando vorrei raccontarti come mai ho paura di essere felice,
e poi mi accorgo che non riesco più a raggiungerti,
né con le mani, né con i ricordi.
Mi accorgo che sei finita più in là dei miei pensieri.
So bene perché non sei qui.
Dico soltanto che non dovrebbero esistere due persone che si pensano
e che non possono abbracciarsi quando il desiderio diventa bisogno.
Non dovrebbero esistere due persone che si vogliono
e che non possono aversi.
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Andrew Faber
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diceriadelluntore · 11 months
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Storia Di Musica #278 - Charles Mingus, Mingus Ah Um, 1959
Le storie di giugno nascono dalla lettura di uno dei libri più belli sulla musica scritto da un non esperto musicale, Natura Morta Con Custodia Di Sax, che Geoff Dyer, sublime scrittore britannico, dedica a storie di jazz. In questo bellissimo saggio, che pesca da fonti storiche, un po’ inventa, un po’ sogna, Dyer scrive storie di alcuni tra i più grandi interpreti di questa musica particolare, creativa, magmatica, pilastro della cultura mondiale da cent’anni. Per mia indiretta colpa, in tutte queste storie di musica non mi era mai capitato di raccontare del personaggio che ho scelto, e uno dei protagonisti del libro, per un mese monografico anche piuttosto particolare: Charles Mingus. Contrabbassista, genio e sregolatezza, uno dei musicisti più importanti del jazz. Arrabbiato, per via di una infanzia passata a cercare di combattere quel sentirsi minoranza di una minoranza (pur essendo di famiglia piccolo borghese, soffriva terribilmente le sue origini meticce, tra genitori con discendenze afroamericane, asiatiche e nativo americane), nato In Arizona nel ’22 ma cresciuto poco prima della Seconda Guerra Mondiale nel tristemente famoso sobborgo di Watts a Los Angeles. Mingus si avvicina da giovanissimo al violoncello, ma poi si appassiona al contrabbasso, che studia con i migliori insegnanti, tra cui Herman Reischagen, primo contrabbasso dell’Orchestra Filarmonica di New York. Nel 1947 entra nell'Orchestra di Lionel Hampton, è già leader di propri gruppi e ha già fatto i primi tentativi di composizione. Mingus si approccia alla musica grazie ai canti gospel delle congregazioni religiose che frequentava regolarmente a Watts e a Los Angeles, realtà con cui venne a contatto durante gli anni dell'infanzia. Ascolta il blues e il jazz ma ha una varietà di conoscenze e di curiosità che compariranno qua e là nel corso della sua leggendaria carriera musicale: si dice ascoltasse Bach ogni giorno, studia Richard Strauss e Arnold Schönberg, non nasconde una passione per Claude Debussy e Maurice Ravel. Suona con il Mito Charlie Parker, ma il suo idolo è la big band di Sir Duke Ellington. E nel 1953 ha l’occasione della vita: viene chiamato da Ellington a suonare con lui. Leggenda vuole che Juan Tizol, portoricano, bianco, trombonista, che in quel momento scrive dei pezzi per l’Orchestra, gli scrive un assolo da suonare con l’archetto. Lui lo traspone di un’ottava per renderlo cantabile, e lo esegue come se lo strumento fosse un violoncello. Tizol lo apostrofa dicendogli che «come tutti i neri della band non sai leggere bene la musica»; Mingus, che è un gigante di mole (tra i suoi demoni, un’ingordigia da romanzo) lo prende a calci nel sedere. Tizol, sempre secondo la leggenda, nella custodia del trombone aveva un coltello, che prontamente afferra per scagliarsi contro Mingus mentre Duke dà l’attacco del brano. Questi, agilmente nonostante la sua mole, con il contrabbasso preso in braccio, salta e scivola sul pianoforte, correndo e dileguandosi fra le quinte. Rientra in un lampo sul palco con in mano una scure da pompiere e sfascia la sedia dell’esterrefatto Tizol. Ellington, che si dice non licenziò mai un suo musicista, lo “spinse” a dimettersi, e nella sua autobiografia (dal titolo già profetico, Beneath The Underdog, tradotta in italiano con il titolo magnifico di Peggio Di Un Bastardo) Mingus racconta: “Duke mi disse <<Se avessi saputo che scatenavi un simile putiferio avrei scritto un’introduzione>>, gli risposi che aveva perfettamente ragione”. Il suo era uno stile libero, che in pratica rimarrà unico. Esempio perfetto è il noto Pithecanthropus Erectus (1956), primo grande disco da solista, che dà un’idea generale della sua musica: bruschi cambi di atmosfera, di tempo e ritmo, un tocco “espressionista” che, di fatto, lo rendono quasi precursore del free jazz, considerazione tra l’altro che lo faceva andare su tutte le furie. Mingus si appassiona alla musica di New Orleans, seguendo l’idea di big band di Ellington, e da questo punto in poi viene fuori tutta la sua incontenibile vitalità, spesso oltremodo eccessiva e davvero fuori le righe: altro caso leggendario fu la “maratona” intrapresa con il fido Dannie Richmond, il suo batterista per quasi tutta la carriera, a chi consumava più amplessi e tequila nei bordelli di Tijuana; da questa esperienza nacque quel capolavoro assoluto che è Tijuana Moods, registrato nel 1957 ma uscito solo nel 1962. Miles Davis disse di lui: “Era sicuramente pazzo, ma è stato uno dei più grandi contrabbassisti che abbia mai sentito. Mingus suonava qualcosa di diverso, era diverso da tutti gli altri, era genio puro”. La prova è il disco di oggi, uno dei capolavori assoluti del jazz, che esce nel 1959, il suo primo per la Columbia. Il titolo Mingus Ah Um è una parodia di una declinazione latina (gli aggettivi latini della I classe sono solitamente ordinati enunciando prima il nominativo maschile singolare che finisce con "us", poi il femminile "a" e infine il neutro "um"). In copertina un dipinto di S. Neil Fujita, che già aveva creato un disegno per un altro disco leggendario, Take Five di Dave Brubeck. Il disco è una sorta di enciclopedia del jazz, sia per la varietà dei brani proposti, sia per il futuro successo di alcuni, diventati standard tra i più famosi di tutti i tempi. Better Git It In Your Soul è un omaggio alla musica ritmica dei gospel e dei sermoni di chiesa, pezzo già leggendario, che fa da apripista al primo immenso capolavoro. Goodbye Porky Pie Hat è un omaggio al Pres, Lester Young, immenso sassofonista, scomparso poche settimana prima che l’album venisse registrato (per la cronaca in due leggendarie sessioni di registrazioni agli studi Columbia, il 5 e il 12 Maggio, sotto le cure mitiche di Teo Macero, il grande produttore di Miles Davis). Il porky pie hat è un cappello che ricorda nella forma il famoso pasticcio di carne inglese, e per dare un’idea di come è quello che indossa sempre Buster Keaton nei suoi film, ma era anche un cappello dal valore simbolico interraziale per i musicisti jazz, e Young lo teneva sempre in testa durante le esibizioni: il brano è divenuto uno standard da migliaia di interpretazioni, uno dei brani più famosi della storia del jazz. Self-Portrait In Three Colors era stata originariamente scritta per il film Ombre, opera prima di John Cassavetes, ma la canzone non appare né nel film né nel disco colonna sonora. Open Letter To Duke è un chiaro omaggio alla figura di Duke Ellington, composto riunendo insieme alcuni pezzi da tre precedenti brani di Mingus (Nouroog, Duke's Choice e Slippers). Jelly Roll è un riferimento al pianista pioniere del jazz Jelly Roll Morton, che si autoproclamò l’inventore del jazz nella prima decade del 1900; Bird Calls passò in un primo momento per un omaggio alla leggenda del bebop Charlie "Bird" Parker, con cui Mingus suonò molte volte, ma fu lo stesso Mingus a chiarire: «Non era stata intesa per suonare come qualcosa di Charlie Parker. Doveva piuttosto assomigliare al cinguettio degli uccelli - almeno la prima parte». Completano il capolavoro Pussy Cat Dues, Boogie Stop Shuffle dal ritmo irresistibile ma soprattutto Fables Of Faubus, primo dei grandi brani politici di Mingus: fu “dedicato” al governatore (democratico!) dell’Arkansas, Orval Eugene Faubus, convinto segregazionista, che nel 1957 tentò di impedire l'ingresso a scuola di nove ragazzi neri in un liceo di Little Rock, in deroga ad una decisione della Corte suprema che aveva reso illegale la segregazione nelle scuole. L'episodio ebbe un punto di svolta quando il presidente Dwight Eisenhower federalizzò la Guarda nazionale dell'Arkansas e permise agli studenti di colore di entrare nell'istituto sotto scorta. Faubus decise allora di chiudere tutte le scuole superiori di Little Rock fino al 1958. Mingus scrisse anche un testo, molto sarcastico, sul Governatore, e si dice che la Columbia lo censurò. In realtà però il testo fu aggiunto dopo da Mingus, quando il brano era stato già registrato, ma non si perse d’animo e lo pubblicò cantato nel suo disco del 1960 Charles Mingus Presents Charles Mingus, con il titolo di Original Faubus Fables. Il disco è uno dei capisaldi del jazz, uno dei cinquanta dischi selezionati dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti per essere inclusi nel National Recording Registry in conservazione per i posteri e la prestigiosa Penguin Guide, la bibbia della critica jazz, lo inserì nella Core Section con il loghino della corona, la massima valutazione per un disco. Con Mingus suonano il fido Richmond alla batteria, John Handy, Booker Ervin e Shafi Hadi ai sax (alto e tenore), Willie Dennis al trombone, Horace Parlan al piano (che suona pure Mingus) e Jimmy Knepper, leggendario trombonista, personaggio da cui si partirà per la seconda tappa di questo mese Mingusiano.
Che vi dico già verrà pubblicata Martedi 13 Giugno.
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melaecrit · 7 months
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Davanti gli armadietti, giù nel magazzino, Sanji si sbottona la camicia. Per farlo non aspetta che l'altra recuperi le sue cose ed esca nel corridoio, non aspetta mai, e lei commenta sempre in qualche modo.
ㅤㅤ« Da meno di un anno », aveva confermato Nami ad una signora in cassa. Così lui l'aveva guardata e lei, di nascosto dall'interlocutrice, aveva riso sventolando la mancia. Stavano insieme – perché la domanda era stata quella – a quanto pareva, per venti dollari. « Sìì signora, è un ragazzo d'oro— ». Aveva questo modus sul lavoro, ammiccava al cliente coi tempi giusti, nei modi giusti e con disarmante complicità... faceva parte della mansione di cameriera ingraziarsi la gente, a sentir lei.
« Sei silenziosa. »
« — sì, sto andando. » È tranquilla, lo suona almeno. Lui freme, e si domanda se si percepisca il tormento in cui giace, la tensione con cui esegue i consueti movimenti. 
La segue con la coda dell'occhio, prima che inforchi definitivamente la via delle scale, decide di piazzarglisi davanti. Solo un minuto- o due, il tempo di capire se ci ha visto bene.
« È strano. »
A fermarsi per rispondere la vincola esclusivamente l'educazione, 'ché Sanji non le ha ostruito il passaggio. « Che vada via? Non direi » piega appena di lato la testa, smaliziata; è decisa insomma, continuerà su quella linea di finta tontaggine.
Il cuore a lui non accenna a rallentare.
« È strano, il tuo silenzio » si appoggia alla parete piastrellata con un fianco, braccia conserte; dunque la soppesa, dilata i tempi.
« C'è qualcosa che vorresti dicessi? » arcua le sopracciglia.
Non ho niente da dire, è piuttosto sicuro significhi questo. Eppure negli occhi accesi lui vi legge il contrario, risposte a domande che non osa porre. Quanto può esser saggio risvegliare speranze sepolte? « Domani sono di riposo. »
« Io no » si poggia al muro anche lei, a specchio.
« Lo so » lui scivola più avanti.
« Mhh » non si ritrae.
« mh-mh. »
« E sai anche come mi stai guardando già da prima? »
Mira a inibirlo, lo sa, e comunque non lo modifica lo sguardo, semmai lo infittisce. « No... come? »
Lei socchiude gli occhi, lo scruta. Dovrebbe essere un passetto ciascuno, in amore e nel corteggiamento. Con Nami quando uno va avanti l'altra gioca a soffiargli in faccia, l'altra gli ricorda con una sola occhiata quante volte gli ha dovuto dire di no, da ragazzino in preda agli ormoni. Quindi occorre ascoltare il colore della voce, cogliere la piega in cui rimangono le labbra, se fremono leggermente là dove s'affanna a nascondere l'euforia tipica dei sentimenti.
« Da adolescente alla prima cotta » si è rimessa dritta, mento sollevato in un'innocente pungolatura.
« E ti sembro alla mia prima cotta? » gli esce roco, risultato di una gola che non vuol collaborare, però in qualche modo provocatorio se detto a quei pochi centimetri. Aleggia un 'ancora ', sottinteso lì da qualche parte.
« Non lo so... » vaneggia, bugiarda. Gliela fa piacere di più quella ritrosia, il tentativo d'invalidazione protratto fino all'ultimo. Quante volte lo ha fregato con questo atteggiamento, quante volte lo ha scoraggiato? Rabbia, quella sana, quella che nutre per il sé che per tanto tempo ha rinunciato, diventa ardore. « ... sembrerebbe di sì. »
Ormai ribolle, fuori non sa se il sangue abbia deciso di fargli prendere totalmente un altro colore. Non si permette di quietare nulla, non serve più, ora è lei che lo sta guardando da innamorata, dritto in faccia. La bacia. Non c'è assaggio; lei contraccambia con la stessa voracità, è quasi un dispetto.
Gli tremano le mani nel tenerle il viso. Le sue, più sottili, gli scavano l'addome, la schiena; gelide, avide... senza incertezza. Ondeggia, vacillano, non c'è equilibrio. La percepisce ridere, non si offende finché col resto del corpo s'impegna a rimanergli incollata.
 « Ba-umh-basta » è lei, n
aturalmente; esce dal bacio con un po' d'affanno, « a dopodomani abbiamo detto? » Scherza, nel liquidarlo così.
« Non vuoi venire da me? » troppo veloce, troppo disarmato.
Ci sta pensando. È seria quando parla, dolce, « un'altra volta Sanji, sono stanca sul serio ».
Sguinzaglia un « dormiremo », disperato. « Dormiamo— » lo ripete mormorando, ma non è credibile se incombe sul suo collo, se si abbassa con cautela, con paura celata, fretta di toccare, sentire finché può; se continua attirandola a sé, saggiando le labbra, lentamente, se le bacia, lambisce con la lingua e intrappola gentile con le dita, quando lei fa per replicare. « — da me » ammonisce gentile, guardandola negli occhi. Lei li rotea veloce, sconfitta. « Va bene » cantilena dolce, ed è il più bel suono che lui le abbia mai sentito emettere. « A casa mia però, preferisco. »
« Come comanda. »
       ( ... )
L'aveva messa tra le storie in evidenza, dove le faceva gli auguri di compleanno.
La rimuove che son trascorsi cinque mesi dalla rottura.
 Armeggia su instagram sdraiato sul divano, una coperta stropicciata disordinatamente a contrastare un principio di fresco. La foto nel profilo invece, l'unica sopravvissuta di quelle che li ritraevano insieme, risale a quando erano ancora colleghi. Sta in mezzo ad una serie di altre cinque, ciascuna con altri del lavoro; qualcuno si ripete, Nami figura solo nella terza. La didascalia cita 'What a blessing to have spent this year with you all and your beautiful soul'.
Non archivia.
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"Io non sono forte, sono solo bravo a mentire."
E il tempo scivola via - Akira D.
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messaggioinbottiglia · 8 months
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In questo piccolo parco, che pigramente mi sta dando il buongiorno, ci sono un sacco di persone che portano a spasso i propri cani. I miei sensi si confondono nella calma del loro camminare e forse anche questa soffocante atmosfera di solitudine svanisce un po'. Il tempo intanto, manipolatore della psiche con le sue scadenze e responsabilità, scivola via leggero senza sembrare perso.
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noodl0s · 1 year
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“Anaïs, I don't know how to tell you what I feel. I live in perpetual expectancy. You come and the time slips away in a dream. It is only when you go that I realize completely your presence. And then it is too late. You numb me. [...] This is a little drunken, Anaïs. I am saying to myself "here is the first woman with whom I can be absolutely sincere." I remember your saying - "you could fool me, I wouldn't know it." When I walk along the boulevards and think of that. I can't fool you - and yet I would like to. I mean that I can never be absolutely loyal - it's not in me. I love women, or life, too much - which it is, I don't know. But laugh, Anaïs, I love to hear you laugh. You are the only woman who has a sense of gaiety, a wise tolerance - no more, you seem to urge me to betray you. I love you for that. [...]I don't know what to expect of you, but it is something in the way of a miracle. I am going to demand everything of you - even the impossible, because you encourage it. You are really strong. I even like your deceit, your treachery. It seems aristocratic to me”.
“Anaïs, non so come dirti cosa provo. Vivo nell'attesa perpetua. Tu vieni e il tempo scivola via in un sogno. È solo quando te ne vai che mi accorgo completamente della tua presenza. E poi è troppo tardi. Mi hai intorpidito. [...] Questo è un po' ubriaco, Anaïs. Mi sto dicendo "ecco la prima donna con cui posso essere assolutamente sincero". Ricordo che hai detto: "potresti prendermi in giro, non lo saprei". Quando cammino lungo i viali e ci penso. Non posso ingannarti, eppure mi piacerebbe. Voglio dire che non posso mai essere assolutamente leale - non è in me. Amo troppo le donne, o la vita, che sia, non lo so. Ma ridi, Anaïs, mi piace sentirti ridere. Sei l'unica donna che abbia un senso di allegria, una saggia tolleranza - non più, sembri spingermi a tradirti. Ti amo per quello. [...] Non so cosa aspettarmi da te, ma è una specie di miracolo. Ti chiederò tutto, anche l'impossibile, perché tu lo incoraggi. Sei davvero forte. Mi piace anche il tuo inganno, il tuo tradimento. Mi sembra aristocratico”.
Anaïs Nin- “A literate passion”
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scorcidipoesia · 1 year
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Sentire un tic tac che sovrasta il silenzio nella confusione intorno, un vociare assordante in cui nessuno si rivolge a me, un continuo transito attraverso ciechi che non mi vedono passare, mi osservano. Una stanza di specchi in cui io mi rifletto sola e mi guardo. Non mi arriva la luce degli occhi ma il corpo in cambiamento di una donna che sta per varcare una soglia tra giovinezza e vecchiaia, me lo dicono i segni intorno agli occhi che tanto hanno guardato. Potrei scrivere un haiku e con poche parole descrivere il nulla, ma il nulla è pieno, morbido al tasto e adattabile a tutte le frasi. Il nulla circonda questo spazio che sono io, lo rende chiaro ma opaco , vuoto ma pieno, come una condensa che mi accompagna, fuliggine sopra al mio vetro che non osa brillare. Ho lanciato un grido ma non sono riuscita a emettere suoni. La bocca asciutta, assaggio cibi ma non arriva il gusto, scivola via il sapore, un rigagnolo di abitudini.
Intorpidita, ho provato a rilassarmi muovendomi in questa realtà ovattata e senza suoni dove scorrono le parole scritte o arrivano i vocali di persone che non ti telefonano più.
Pronto
Chi sei
Dove sei
Cosa posso dirti di me ?
Una garza per ogni giorno di dolore
Un sorriso per ogni occasione perduta
Apro il cuore, lo dono, sono sempre stata generosa amando più gli altri di me stessa ma con la potente formula dell’autocritica in cui so perfettamente quando sto sbagliando , e con chi.
Attratta dagli inganni colleziono vuoti a perdere , ho una collezione di bottiglie vuote che non ho neanche bevuto. Il liquido si è cristallizzato nel tempo trascorso durante il mio tic tac tic tac e la vita intanto va, scorre, porta via i crampi alle mani, la schiena costretta alle fatiche, le lacrime ingoiate.
E questo tic tac porta via anche me, mi allontana dallo specchio per non vedere più cosa o chi sono diventata, senza le mie farfalle zingare nei cieli distanti non so più riconoscere in cosa mi sono trasformata. Tatiana Andena
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Una volta ho letto un libro camminando. Era piccolo e stava dentro la passeggiata di un’ora. L’avevo preso in prestito senza chiedere permesso. Sarebbe appropriazione indebita se non l’avessi riportato in giornata al suo posto.
Era di Agota Kristov e mi sono appuntato, per non dimenticarla, questa frase: ”È diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore”.
A proposito del prelievo da uno scaffale di altro proprietario, credo che ogni lettura sia un’appropriazione di parole altrui, durata quanto il tempo impiegato a leggere. Dopo la dimentico facilmente, titolo e nome del titolare della storia.
Non per questo è spreco di tempo. Me lo ha fatto capire il prete anziano di un piccolo centro, raccontandomi di un suo parrocchiano. Ritornato a casa dalla funzione domenicale diceva alla moglie che il prete aveva parlato tanto bene. Alla domanda di lei su cosa avesse detto, non aveva saputo ricordare nulla. Lei gli aveva rimproverato di avere perso tempo se già si era dimenticato.
Lui si era giustificato all’incirca così: ”Quando il prete parla per me è come l’acqua che lava l’insalata. L’acqua scorre via, non la trovi più, ma dopo l’insalata è pulita”.
Così è per me per i libri che leggo. Lo scorrere delle pagine scivola via, ma la testa, come l’insalata, è stata rinfrescata.
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Erri De Luca
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Il suono dei pensieri
Per mitigare il silenzio
risuona
l’eco digitale
di una risata,
avamposto di un sorriso
senza volto,
distillato tra parole
e pensieri soffusi.
Un dialogo terminato
nella fantasia di un istante
sedimentato
nella tecnologia.
Una voce impressa
nelle striature del suono.
Sottili venature cromatiche
irrorano di luce
quel buio avvolgente
che oscura
la materia del tempo
e dello spazio,
rilasciate su
architetture friabili
di parole.
Alcuni momenti
valgono come giorni,
e poi anni
alcuni momenti
sono la libertà
e ne senti la privazione,
il vuoto continuo,
più della realtà
che scivola via
senza attenzione
senza curarsi della scia
residua,
ancorata alla memoria.
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