Tumgik
#Entità Coperte
megachirottera · 1 year
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I media coprono il monitoraggio delle persone non vaccinate
Mentre i fact checker stanno bruciando l’olio di mezzanotte per nascondere queste verità, ecco perché tu … Source: April 18, 2023; Analysis by Dr. Joseph Mercola [>Fact Checked<] (more…) “”
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𝙝𝙤 𝙡𝙖𝙨𝙘𝙞𝙖𝙩𝙤 𝙦𝙪𝙖𝙡𝙘𝙝𝙚 𝙨𝙚𝙜𝙣𝙤?
𝙉𝙤𝙬 𝙥𝙡𝙖𝙮𝙞𝙣𝙜:
♫ No surprises - Radiohead ♫
Heilà! Ciao a tutt* e oggi vi scrive una ragazza che, ormai, non capisce più chi è. Anzi, forse, sin da piccola, non lo ha mai capito. Le persone che le stavano attorno le dicevano:
"Ma si, sei una grande artista!" "Sei una studente bravissima, in gamba!" "Un giorno tu farai carriera!" "Avrai tanto successo nella vita!"
Hm. Era effettivamente la ragazza, oppure la descrizione di qualcun altra? Sembrava stessero facendo la descrizione della ragazza perfetta delle storie di wattpad.
Perfezione. È solamente quello a cui la ragazza aspirava crescendo. Nessuno gliel'aveva imposto. È stata lei che vedendo i bellissimi risultati e udendo i mille complimenti, ha cominciato a puntare solamente a quello nella vita, non concedendosi nemmeno uno svago. Sopprimendo tutto quel senso di stanchezza che la parola perfezione si trascina dietro. Soffocata dalla sua stessa forza di volontà. Che bestia.
"Ha così tanta pazienza" "È così gentile ed umile!" "Grazie di sopportarmi, senza di te non so come farei!"
Eccola la, nel suo un metro e sessantadue scarso che si accollava tutti i cattivi pensieri del mondo. Cancellando piano piano tutto ciò che gli piaceva o che pensava solo per stare simpatica a tutti.
A lei tutto questo non dispiaceva, però.
Aveva fatto un patto con qualche entità di non so che tipo, forse un demone che viveva nella sua mente: udire tutti quei complimenti e avere successo nella vita in cambio della vera lei e diventare, così, un foglio totalmente bianco su cui, per qualche ragione non si riusciva proprio a scrivere. Che ci abbiano messo troppo bianchetto a nastro? Oppure la penna aveva finito inchiostro? Mah.
Più gli anni passavano e più la ragazza cancellava parti di sé.
Provava qualsiasi cosa pur di ritrovarsi: attività, nuova musica...ma piacevano veramente a lei oppure solo perché piacevano a qualcun altro allora anche per lei era così? Ma poi, c'era proprio bisogno di seguire qualcun altro? Lei non sapeva proprio decidere cosa voleva nella sua cristo di vita? Perché gli altri le stavano facendo i complimenti su un futuro che nemmeno lei sapeva se sarebbe riuscita a raggiungere?
Alla fine, la ragazza andava a dormire ogni sera e si ritrovava con la solita lacrima che scendeva dall'occhio destro. Soffocando un pianto con le coperte che ha da una vita per non svegliare nessuno. Chiedendosi dove fossero finite quelle parti di lei che non vedeva da tanto, chi fosse lei in realtà, cosa avesse fatto per lasciare un segno ed essere ricordata dalla gente?
Ci sono certe cose che ti ricordano una persona...che so, una canzone, un profumo, una serie TV, un disegno, un frase iconica pronunciata da una persona... boh. Cosa aveva fatto la ragazza per essere ricordata dalle persone ora che stava diventando un foglio bianco? Forse in passato c'era qualcosa, ma adesso?
È così triste (ma non da farti pena) pensare che una ragazzina pensi a queste cose invece che a crearsi dei ricordi indimenticabili che si porterà dietro come una valigia nel lunghissimo viaggio in treno che ti porterà in qualche città. È così brutto vedere che non vive la sua stessa vita per colpa sua.
Basta parlare di me, so che ne avete fin troppo. Allora...
Avete mangiato? 
È successo qualcosa di bello? 
Qualcosa di brutto? 
Spero che tutt* riescano a vivere una vita più tranquilla, non ponendosi tutte queste aspettative così alte su sé stessi.
Comunque qualsiasi cosa facciate continuate così, siete fantastic*! C'è la vostra sorellona che vi supporta. Tutto passerà, non preoccupatevi.
(Si, lo so, queste possono sembrare frasi dette e stradette, ma fidatevi, chiedere e dire queste piccole cose a qualcuno può veramente migliorargli la giornata!)
A presto bellissim*, io intanto sarò qui, stavolta ad aspettare che mi arrivi un segno dall'universo che mi faccia capire chi sono!
Lots of love from this overthinker!  ♡♡♡
10/01/2023 (Ah, buon anno in ritardissimo!)
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october24th · 4 years
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Resoconto Giorno 74
Mal di testa. Oggi però ho dormito un’ora in più. Zero incubi.
Alle nove babbo ha portato i cornetti per la colazione. È ritornato alle undici, per stare un po’ insieme. A mezzogiorno mamma e mia sorella sono andate al nuovo supermercato di mio cognato situato a Casoria, per guardarlo e congratularsi con lui. All’una faccio per preparare il pranzo e ricevo una chiamata da mio cognato che mi dice “non cucinare, andiamo a mangiare a Bacoli”. Ho subito spento il fuoco e sono corsa a lavarmi e a vestirmi. Quando mi sono vestita e mi sono guardata allo specchio ho sorriso parecchio... mi sono piaciuta! In questa settimana sono anche dimagrita e allo specchio ho visto una figura nuova.
A Bacoli, alla villa, non ho parlato molto. Avevo lo sguardo fisso sul Lago Lucrino alla sinistra e il golfo alla destra. Mi sono persa tra le mille sfumature di blu dell’acqua e del cielo e il verde e il marroncino delle montagne.
Siamo tornati a casa alle cinque, avevo freddo e mi sono messa sotto le coperte. Mi sono messa ad ascoltare le canzoni consigliatemi da alcune persone qui su Tumblr, ho editato foto, familiarizzato con i sentimenti e giocato con Lola. Ora Suburra con Vitto. Abbiamo visto due puntata. Abbastanza tranquille e lente, aggiungerei. Ce ne mancano tre per concludere la prima stagione.
Più passano i giorni e più penso all’eventuale trasferimento da papà e più mi sale ansia. Dirlo a mamma, che ancora non lo sa, assistere e affrontare una sua reazione... non mi piace per niente. Avrò così tanto stress aggiuntivo in quel periodo... Lei sarebbe capace anche di non parlarmi per un po’ o di trattarmi freddamente per il cambiamento. Non è ancora il momento e per ora non voglio pensarci, o almeno ci voglio provare.
Domani finalmente ricomincio a lavorare, ma da casa, tramite videochiamata.
Pronoia: È la sensazione che tutto, nell'universo, giochi a nostro favore, la sensazione di essere protetti da entità esterne a noi.
08 Novembre
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finizen · 5 years
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non riesco più a camminare come una volta. non parlo dell’incapacità di mettere un piede davanti all’altro, ma di ciò che comporta l’azione in sé. il mio corpo mi sembra scomposto, tante parti sconnesse che mi appartengono e al tempo spesso mi sono estranee. non riesco a non concentrarmi sulle mie caviglie, sul piede nella scarpa, sono dolorosamente cosciente di ogni centimetro di pelle, ogni frammento di questa entità più grande che è il mio corpo. un corpo che non avverto più mio. prima provavo un certo piacere a guardarmi allo specchio, ora non ce la faccio. ho iniziato a dormire vestito dopo anni per cercare di dimenticare come sono fatto. a che cosa serve il mio corpo se nessuno lo guarda? se non viene toccato? a volte provo quasi ribrezzo. sono disgustato perché mi riconosco solo nella carezza dell’altro, nell’amore altrui e ora non so più chi sono, mi sembra che nulla abbia più senso. e quindi camminare, sollevare un oggetto, fare qualsiasi cosa diventa un’azione insostenibile. perché è un continuo rimando al mio stato di corpo solitario, malato e abbandonato. vorrei non esistere più.
il terapista che pago 35 sterline l’ora perché ascolti i miei continui sfoghi senza interruzioni e senza giudicare non offre nessuna nuova prospettiva. vorrei qualcuno che mi dicesse cosa devo fare, cosa dire. eppure continuo a vederlo. i collegamenti che lui traccia tra le cose che faccio, che penso, che ho detto in precedenza sono legami che riesco a trovare già io. sono già pienamente cosciente di tutti modi in cui sono sbagliato. il problema è l’impossibilità di fare qualcosa a riguardo. mi vergogno di questo mio bisogno malato, del mio comportamento da bambino costantemente traumatizzato. mi vergogno della mia tendenza a mettere alla prova chi mi ama. prenditi cura di me, se non ti parlo continua a cercarmi, cercami fino allo sfinimento, parlami finché non devi supplicarmi, dimmi che mi ami finché non stai piangendo per l’intensità dei tuoi sentimenti, continua a distruggere i miei muri mentre io ne costruisco altri, mentre a volte non mi mostro riconoscente per lo sforzo perché voglio di più. più dimostrazioni che non te ne vuoi andare. che non puoi. inseguimi quando scappo via.
non ho più nulla da offrire. solo tanto dolore e una totale rassegnazione all’infelicità della mia condizione. ogni conversazione è più pesante, più difficile; ogni interazione più stancante. ogni giorno più orribile. eppure continuo a vivere. vado a letto presto perché non voglio essere sveglio e cosciente, mi alzo la mattina e cerco di restare a letto quanto più possibile, a lavoro mi sento morire dentro, ogni volta che mi muovo. calcolo ogni giorno quante volte posso permettermi di non andare e riuscire comunque a pagare l’affitto, fisso l’orologio e guardo i minuti passare. uno, due, tre... sessanta. e poi da capo. mi sento completamente isolato, sono solo: lo ero prima e ora lo sono ancora di più. prima ero triste ma almeno mi sentivo parte di qualcosa. sapevo di poter contare su qualcuno quando tornavo a casa. sono un impostore che finge di fare quello che gli viene chiesto, che si distrae per due minuti per poi essere colpito, ancora una volta, dall’intensità del dolore che mi porto dietro. e quando rimango a casa sono invece un fascio di nervi: piango, urlo, parlo da solo, cammino avanti e indietro. sono queste le uniche due scelte? è questo quello che ho davanti? ho ventidue anni cristo santo. ho paura.
ho paura di cosa provo, di come sono. ho paura di cosa penso in questo momento, e ho paura di cosa penserò se la situazione continua così. ho voglia di fare cose che non volevo farmi da quando ero adolescente. mi sento in colpa per questa mia malattia. a volte penso: c’è gente che sta male per anni per uno schiaffo, per delle frasi infelici. perché non ho il diritto di stare così, di sentirmi così indesiderato, così spaventato, così inadatto alla vita se non all’amore? perché non mi concedo queste cose? anche io ho passato dei momenti orribili, e subito parte la lista, un elenco di cose che hanno probabilmente contribuito pienamente al mio continuo bisogno di amore e alla mia insicurezza. perché certe persone sono autorizzate a sentirsi così e io no, quando vivevo con il terrore addosso? quando ho passato anni interi rinchiuso e isolato completamente dal mondo e da ogni altra persona? e cioè quando ho imparato cos’è la solitudine come sensazione esistenziale, quando mi prendevo in giro e dicevo che mi stava bene, che mi piaceva. quando ho imparato a vedere la tristezza che sentivo ogni giorno come parte essenziale di me e ora non riesco più a separare le due cose. solo ora dopo anni sto capendo quanto i miei anni spesi in completa solitudine mi abbiano cambiato completamente. però no, non basta, ci sono altre persone che stanno peggio, che hanno subito le stesse cose, o hanno vissuto eventi più traumatici, e riescono a stare al mondo meglio di me. e anche fosse, cosa mi dà il diritto di usare questo passato per trattare male chi amo? cosa ha giustificato il mio continuo bisogno di mettere il mio fidanzato continuamente alla prova? sia quando chiedevo “quanto mi vuoi bene da 1 a 10” come un bambino stupido, fino all’estremo opposto, quando non riuscivo a parlare, mi isolavo perché era più facile, perché sono più abituato alla solitudine; quando non facevo nulla anche se sapevo di essere nel torto, perché volevo essere inseguito, volevo che venisse lui da me, sempre... come un bambino stupido. voglio chiedere scusa fino a perdere la voce. perché ho così bisogno che qualcuno si prenda cura di me? il mio unico desiderio è stato, ed è ancora, amare. amare di un amore che prende il sopravvento su tutto, che è così forte che vorresti morire, che include tutto e allo stesso tempo lo annulla. e allora perché non riuscivo a dire queste cose? perché non dimostravo nulla di quello che provavo? e soprattutto, che senso ha dire che ho tanto amore da dare se il mio amore è macchiato, infetto? mi faccio queste domande e vorrei solo farmi piccolissimo e marcire sotto le coperte per sempre.
sono pieno di rimorsi. ogni cosa che faccio, ogni cosa che dico mi sembra una richiesta d’aiuto. ma in realtà è sempre stato così, ho sempre voluto essere aiutato. e invece quando chiedo aiuto esplicitamente mi sento un peso morto, sono stanco anche di sentirmi parlare. però anche in questo momento in cui mi sento morire, in cui mi sento ferito e arrabbiato, sento di non farcela da solo. non riesco a credere che una settimana dopo aver fatto sesso con me per l’ultima volta c’è già stato qualcun altro. mi fa schifo lui, mi fa schifo l’idea di lui e un’altra persona, è disgustoso. ma soprattutto mi sento disgustoso io, quasi come per riflesso. una sensazione fisica che si estende anche a me, mi sento inadatto, rifiutato per un’altra volta, rifiutato come mi sono sentito rifiutato per tutta la mia vita. mi sento preso in giro, come se fosse stato tutto una grande bugia. non riesco più a toccarmi. ma soprattutto disgustato perché non riesco ad andare oltre ciò, perché so che nonostante fuori io sia arrabbiato in realtà so che perdonerei tutto, so che mi basta pochissimo e ritorno in ginocchio, mi annullo completamente perché è quello che voglio, perché l’amore è così grande che farei qualsiasi cosa. mi sento come se mi fosse stato strappato un arto. non riesco a sopportare la mia rabbia, il disgusto, la mia debolezza, questa solitudine, questa separazione. ho voglia di prendere il treno e stare fuori ad osservare casa sua e poi tornare a letto. immaginarmi lì e immaginare che lui esca fuori. sono stanco della gente che mi dice che sono melodrammatico. non me ne importa niente che “ci passano tutti”. sono stanco della gente che dice che passerà, e anche di chi mi dice che non passerà. sono stanco di parlare con le persone. voglio essere lasciato in pace.
non mi è rimasto nulla, nemmeno quella poca privacy di poter scrivere qui senza alcuna conseguenza nella vita reale. domani è san valentino (e stasera... è stasera), e vorrei solo stare a letto a pensarlo ed autocommiserarmi. mi sento così solo. mi sento così solo che vorrei strapparmi la pelle a morsi. vorrei piangere così tanto fino a bruciarmi le guance. mi sento così solo che vorrei passare il resto dei miei giorni a dormire fino a far atrofizzare tutti i muscoli e poi correre fino a farmi esplodere i polmoni. perché mi sento così non amato?
#k
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Baci
Baci rivestiti di coperte e piumoni
Baci rivestiti di sabbia calda dolce
Baci che sanno di cuori gelosi
Baci di istinti che si mutano e fondono i corpi
Baci, simbolo, entità
Io tocco il bacio e lo percepisco
Sento la natura pura o falsa
Labbra che solleticano la mia cute
Labbra che si sanno muoversi senza amore
Sono natura morta
Un fiore sfiorito
Un leopardino solo
#baci #amore
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kon-igi · 6 years
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LA PEGGIORE CLASSIFICA
Dunque, a dispetto delle apparenze (ahahaha... LOL) sono sempre stato una persona con problemi di autocontrollo immaginifico e terrorgenico, ragion per cui se all’inizio del mio viaggio di 5 minuti per andare a lavoro penso alla morte di una delle mie due figlie, quando parcheggio la macchina ho già passato emotivamente tutte e cinque le fasi del lutto e cammino ingobbito e frastornato per tutta la mattinata.
Per la maggior parte delle persone è vero il detto ‘Attenzione a cosa si desidera’ ma per me invece vale quello ‘Attenzione a cosa immagini’ e non c’è dubbio che quando Stephen King parla al suo Fedele Lettore del potere dell’immaginazione e della paura, senza saperlo egli sta puntando la sua penna proprio nella mia direzione.
Per carità, non pensate che io mi stia lamentando perché è molto bello e divertente evocare un Sigillo di Confinamento Demoniaco quando si passa in un corridoio con delle zone d’ombra o pensare che tutti i clienti di un negozio siano sicari pagati dal tuo peggiore nemico e immaginare chi devi abbattere per primo e con cosa.
Però la cosa presenta dei lati negativi.
Da piccolo e fino alla tarda adolescenza sono stato perseguitato da tre entità oniriche che mi hanno reso la vita un inferno (letteralmente) e quindi sarà mio grande piacere andare a condividerne il ricordo con voi, con la gradita anticipazione che tutte e tre sono state sconfitte nel più soddisfacente e migliore dei modi.
IL BABAU (dai 3 ai 6 anni)
Oooohhhh... ma che fervida immaginazione! Mi sto già cagando in mano -- mi direte sarcasticamente voi e invece il mio Babau era una roba atroce e angosciante perché non si presentava affatto come una roba gigante, ringhiante, artigliante o divorante ma come una statuetta africana di 30 o 40 cm di altezza e di forma cilindrica, più o meno così
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In qualsiasi sogno che io facessi, se mi trovavo all’interno di un edificio, a un certo punto le luci cominciavano a scemare e lui compariva stagliato contro una fioca fonte di luce e prendeva a inseguirmi inesorabilmente con aria vorace ma in maniera silenziosa e implacabile. Scappavo disperato ma quando mi voltavo a controllare dove fosse, era scomparso, nascostosi in qualche angolo buio pronto a recidermi a morsi il tendine di achille e poi azzannarmi al collo.
Un giorno, nella mia fuga senza una meta, finii in una strana stanza circolare anch’essa immersa nel buio più completo ma lì c’era qualcun’altro, anzi, un qualcosa d’altro, indefinito e insondabile ma non minaccioso.
Venni sollevato dal pavimento, in un modo forte e deciso ma in maniera opposta a quando si sogna di precipitare sul materasso e, con una sensazione decisamente molto sword&sorcery, sentii fluire dentro di me La Luce.
Fatto scendere nuovamente a terra, mi resi conto che non avevo più il minimo timore del Babau e anzi, ero tanto furioso con lui che presi io a braccarlo finché non vidi che si era rifugiato sotto al letto della mia camera. Fu un attimo strappare via il materasso, rivoltare il letto e strangolarlo con le mie mani finché non smise di agitarsi. Per sicurezza andai pure in bagno e lo tenni con mani premuto nella vasca piena d’acqua fino a che non mi svegliai, sereno come non lo ero stato da anni.
IL NERO (dai 7 ai 10 anni)
Qua la cosa era più intellettuale perché non esisteva una creatura specifica da cui fuggire ma ogni volta che andavo a letto a dormire sapevo che se avessi sognato, c’era una probabilità molto alta che comparisse La Porta.
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(sì, l'analogia con la porta nel secondo capitolo de La Torre Nera non mi sfugge)
Il sogno poteva essere un sogno qualsiasi, avventuroso, divertente o banale nella sua quotidianità ma a un certo punto sarebbe comparsa una porta (non saprei descriverla in maniera più dettagliata di così), appoggiata al nulla in mezzo a una strada, a un prato o dentro a un corridoio, e in quel momento sarebbe cominciata un’angoscia lacerante che sentivo fisicamente proprio in mezzo al petto. Dopo pochi secondi la porta si sarebbe spalancata di colpo e dietro Il Nero, un vortice risucchiante e invicibile, dal fondo innominabile del quale tutte le volte mi salvavo facendo partire un grido disperato che dal sogno mi avrebbe trasferito urlante nel mondo reale.
La Porta comparve per l’ultima volta, nel lungo corridoio di ingresso del vecchio ospedale Tabarracci di Viareggio e quando si spalancò, prima di prendere me, risucchiò con calma le decine di cadaveri che giacevano a terra e che prima di scomparire ballarono scompostamente volteggiando come marionette rotte ai comandi di non so quale nera volontà.
Anche quella volta sentii una rabbia e un furore incredibili, immensi come lo possono solo essere nei sogni, e decisi che mi sarei fatto risucchiare senza opporre resistenza.
Viaggiai allora a faccia in avanti in un tunnel di nera oscurità, finché alla fine di questo non mi ritrovai in una sala metallica e piena di luce, circondato da decine di persone con faccia e corpo coperte da strani abiti bianchi.
Eccolo! -- disse a braccia tese la più vicina a me e quando compresi che sotto il pezzo di stoffa che portava sulla bocca stava sorridendo, mi svegliai. 
Quella fu l’ultima volta che sognai La Porta e Il Nero dietro essa.
IL GETEIT CHEMOSIT (dai 16 ai 21 anni)
Qua, dopo qualche anno di relativa tranquillità, la situazione si complicò con una Risalita, il termine che allora incosciamente presi a usare per definire il tentativo di un’Entità Onirica di lacerare la barriera del sogno e di penetrare dalle Dreamland nel mondo fisico.
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I romanzi di fantascienza e di horror che divoravo, uniti alla passione per il gioco di ruolo (soprattutto Call of Cthulhu) di sicuro facilitarono questa mia terribile presa di coscienza e allora il Geteit Chemosit, che solo saltuariamente cercava di scoperchiarmi la scatola cranica coi suoi artigli ma solo nei pochi minuti di fase REM, prese forza dal mio animo inquieto per La Risalita e cominciò a presentarsi anche durante la fase ipnagogica, cioè quando i pensieri reali e coscienti di una persona che sta per addormentarsi si scompongono e diventano materiale per il sogno.
Una sera ero sdraiato nel letto e improvviamente ebbi la certezza che la creatura stesse arrivando. Prima comparvero gli artigli che si appoggiarono allo stipite della porta come in un assurdo tentativo di allargarla e poi contro la luce del corrodoio si stagliò la sagoma del demone, sottile e tremolante come per una febbre aliena, così alto che si dovette abbassare per far passare testa e spalle e muoversi a braccia tese verso di me.
Ero agghiacciato di terrore ma non così tanto da lasciare che mi aprisse la testa.
Aspettai che si chinasse su di me, sussurrando più e più volte il mio nome, e quando mi appoggiò un mano scheletrica sulla spalla, piegai entrambe le ginocchia sul petto e gli sparai una micidiale doppia pedata in faccia.
La creatura venne sbalzata dall’altro lato della stanza contro l’armadio, con un gorgoglio e un gridolino così poco demoniaci che quasi avrei definito femminili e allora capii che la Risalita era stata portata a termine ma nel mondo fisico lui era ancora troppo debole.
Era il momento giusto per relegarlo nel suo mondo. Forse l’unico.
La mano corse alla Katana appesa insieme a Shuriken e Nunchaku sopra al mio letto, un inaspettato ma graditissimo regalo di Natale da parte dei miei pacifistissimi genitori, e senza sguinarla (per fortuna ma capirete fra poco) mi buttai sulla creatura, artigliata nuovamente agli stipiti della porta per tirarsi su.
Poi per fortuna la luce venne accesa e allora capii che in caso contrario avrei avuto davvero dei problemi nel tentare di spiegare la cosa ai carabinieri.
Il primo pensiero è stato ‘Il Geteit Chemosit ha cercato di prendere possesso del suo corpo!’ ma poi la razionalità e il mio affetto filiare mi fece vedere che lì per terra, in camicia da notte e con l’impronta dei miei piedi in faccia, c’era solo mia mamma, con gli occhi esterrefatti che saettavano dalla mia faccia da guerra alla katana, per fortuna inguinata, nella mia mano destra.
Dal quel giorno il Geteit Chemosit continuò a cercare di risalire dalle Dreamland ma tentava l’incursione non più di una volta la mese, forse spaventato dalla mia reazione o forse dagli strilli d’aquila che ogni volta mia madre lanciava dal corridoio quando sentiva che mi agitavo, ben guardandosi, però, dall’entrare in camera mia o nel raggio della mia katana.
L’ultima volta che nell’estate del 1997 si presentò, dopo una lunga assenza durata anni, mi alzai dal letto, indicai mia figlia che dormiva nella culla e gli dissi ‘Prima avevo paura per me stesso, adesso vedi di temere il motivo per cui non ne ho più’.
Scomparve nelle Dreamland e mai, mai più si avvicinò al Velo del Sogno.
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dil3tta · 3 years
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Cara Frida,
Il tuo ultimo post mi ha fatta pensare tanto, innanzitutto mi chiedo come sia possibile che S si sia sborrato i pantaloni aiuto, però vabbe facciamo finta sia stato l'olio.
Per quanto riguarda N e i suoi amici ho poco da dire, perché si vedono ogni settimana e giocano sempre, e per questo sono felice perché non volevo che i miei screzi con loro inficiassero la loro amicizia, ma allo stesso tempo mi fa tanto male e fastidio vedere come N stia continuando a coltivare un rapporto con persone che mi hanno ferita, anche se penso che sia un sentimento passeggero, o perlomeno lo spero. La cosa che più mi ha fatto pensare però di quello che hai scritto è il fatto che se non dovessimo riuscire a trovare un equilibrio tra le nostre amicizie, il nostro rapporto potrebbe risentirne. Ecco, con il tempo ho capito che l'amore che arde nel mio cuore e nel suo, non può e non sarà mai contenuto da situazioni sociali di diverso tipo, per questo in occasioni di feste o simili preferisco ritirarmi nella nostra piccola bolla, perché forse siamo ancora piccoli dentro e non riusciamo a stare mezz'ora l'uno distante dall'altra, e preferisco la solitudine ad una schiera di sguardi che giudicano le nostre piccole e stupide smancerie. Allo stesso tempo, riconosco come io e lui saremo per sempre persone estremamente diverse: io sono perlopiù riservata, mi apro a trecentosessanta gradi solo con le mie conoscenze più strette, preferisco stare sotto le coperte a leggere un libro che uscire con tanta gente e preferisco una giornata intera ad un museo che una serata in discoteca. N invece è il classico ragazzo della porta accanto, che conosce tutto il vicinato, tutta la scuola, tutta la città e i paesi limitrofi, ed è socievole con tutti e ha una rubrica del telefono estesa tanto quanto quella di una celebrità e riceve costantemente messaggi e chiamate e richieste di uscire e, cosa che mi sorprende sempre, accetta ogni proposta e ogni iniziativa di qualsiasi tipo o entità. A me piacciono le persone che ascoltano buona musica e alle quali piace fare le foto mentre lui preferisce ragazzi che conoscono i meme e fanno un costante utilizzo della Playstation. Non credo che riusciremo mai a star bene entrambi nello stesso gruppo di persone senza che uno dei due si senta in imbarazzo, a disagio o annoiato, o perlomeno so che io in qualsiasi caso mi sentirei sovrastata dalla sua indole espansiva e amichevole che io non avrò mai né in questa né in un'altra vita. Per il momento so solo che io ho i miei amici, lui i suoi e insieme stiamo bene. Le cose mi piacciono così, è un equilibrio fragile ma stabile, una legge non scritta che sappiamo comunque a memoria e che recita "io non avrò mai niente a che fare con i tuoi amici tossichelli e tu non avrai mai niente a che fare con le mie amiche che parlano usando citazioni di poesie sconosciute". Nel caso in cui però, ci si presentasse l'occasione di condividere un'amicizia, sarà sicuramente ben accetta da entrambi, anche se, per adesso, sto bene così.
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justashapeshifter · 3 years
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Thoughts
Q continua a pensarti. Continua a ricordare tutte quelle cuddles mattutine, pomeridiane, serali o notturne.
Continua a pensare alla tua pelle, al suo odore, al tuo corso e ai tuoi seni, il suo cuscino preferito.
Q continua a pensarti e la cosa gli fa rabbia. So che è difficile vivere e soprattutto convivere con diverse entità. So che è estenuante, a tratti delirante. E so che non è una passeggiata.
Ma Q si è “svegliato” che i giochi oramai erano fatti, si era in piena guerra e ogni volta che cercava di esprimersi veniva mitragliato di cattiverie.
Q vorrebbe solo poter stendersi di nuovo sotto quelle coperte, chiudere gli occhi e ispirare a fondo.
Q vorrebbe solo poter chiudere gli occhi, ispirare a fondo e sentire quel tuo caratteristico battito cardiaco, insieme al tuo respiro.
Q vorrebbe solo poter rilassarsi e ricaricarsi così, senza fare nient’altro.
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virginialunare · 5 years
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Il territorio come strumento di marketing per la sfida elettorale
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Tra una settimana, l’appuntamento con le urne non coinvolgerà solo i candidati per le europee, ma anche tante piccole o grandi realtà comunali che si troveranno a decidere che li governerà per i prossimi i cinque anni.
Alcune città hanno vissuto in questi anni periodi di grande sviluppo e altre si sono ritrovate con un progressivo spopolamento e una caduta irrefrenabile dei propri valori immobiliari. Se questo è vero per i centri più importanti è ancora più vero per quella miriade di piccoli centri che si trovano a vivere con una costante minaccia di abbandono. Lo scenario non sembra molto cambiato dagli anni del boom economico quando le campagne del nord e i centri del sud venivano progressivamente abbandonati a favore delle grandi città industriali. Quello che è cambiato è forse una maggiore consapevolezza da parte di molti amministratori che ogni paese, piccola o media città ha delle potenzialità che possono essere d’appeal per un gruppo più o meno ampio di soggetti che decidono di lavorare su un patrimonio che altrimenti rischia l’oblio e l’abbandono. Alcuni centri hanno fatto notizia promuovendo azioni di promozione immobiliare a prezzi stracciati come ratio estrema per evitare che quelle realtà locali diventino paesi fantasmi come certe frazioni abbandonate nelle tante campagne del nostro paese.
Il paese da cui sono partita tanti anni fa e dove torno sempre con tanto amore, non è poi così diverso nei muri da come l’ho visto da bambina: la piazza è sempre la solita, il sagrato della chiesa è quello dove tutti noi abbiamo immortalato momenti di felicità infantile, delle feste patronali che con molta fatica qualcuno cerca di recuperare e di portare agli antichi splendori, ma ricordo anche una vitalità che adesso faccio fatica a ritrovare.
Ho avuto la fortuna di girare almeno una parte di mondo sia città più grandi che centri più piccoli, e ciò mi ha fatto rendere conto che “il mondo […] è fatto di tanti piccoli paesi” che si assomigliano.
Quello che è vero è che il territorio nasconde una serie infinita di potenzialità che potrebbero essere riscoperte e interpretate: il potenziale di patrimonio architettonico storico e culturale può essere un dei driver per far emergere tante bellissime realtà che altrimenti rimarranno coperte dell’edera. E’ anche vero che il gap infrastrutturale che inesorabilmente rende difficile certe forme di pendolarismo tipiche di alcune regioni meglio strutturate, come ad esempio la Lombardia o l’Emilia Romagna, impongono di ripensare a diverse forme di sviluppo e di valorizzazione del territorio, che se la valorizzazione del territorio può sembrare un’attività relativamente semplice per centri di maggiore entità o per località di villeggiatura, per altre realtà diventa più arduo ma sicuramente non meno stimolante.
L’evoluzione sempre più rapida dei sistemi di comunicazione e della tecnologia rendono più vicini mondi apparentemente molto lontani e gli strumenti come ad esempio i fondi strutturali dedicati alla valorizzazione del territorio possono essere uno strumento efficace per la promozione, ma la vera ricetta sta nell’andare ad esplorare tutte quelle potenzialità nascoste e trascurate che altrimenti rimarrebbero coperte dall’edera, prendendo spunto dal proliferare di iniziative legate al territorio e alle sue ricchezze. Un programma politico che voglia essere in grado di parlare ai propri elettori non può, quindi, fare a meno di mettere al centro del proprio percorso il territorio letto a tutto tondo che porta ad una progressiva valorizzazione del patrimonio immobiliare che altrimenti perde sempre più valore.
Come scritto in uno dei primi articoli del blog, esistono nel nostro “bel paese” delle aree che hanno sperimentato una versione micro di internazionalizzazione e di attrazione degli investimenti: se il Settecento si è caratterizzato per avere nel nostro paese la meta di molti viaggi del Grand Tour che, i giovani benestanti europei affrontavano per arricchire il loro bagaglio culturale, dall’inizio degli anni novanta del secolo scorso alcune zone italiane sono state oggetto dell’interesse di stranieri che hanno scelto l’Italia come location per una seconda casa o per uno sliding doors della propria vita.
E’ mia modesta e personalissima opinione che proprio da questi fenomeni spontanei è necessario prendere spunto per ripartire e cercare di ridare un nuovo volto a luoghi che sembrano cristallizzati nel tempo. A tutti i candidati i migliori auguri per la sfida che sia sempre all’insegna del bene collettivo, nel rispetto di quel concetto tipicamente anglosassone di civil servant, ovvero di colui che pone la sua competenza professionale e il suo senso civico al servizio della collettività.
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forextutor-blog · 8 years
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Dax Analisi Settimanale dal 16 al 20 Gennaio
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Buongiorno Traders,
Come visto nella precedente analisi, sul Dax, siamo in attesa dei minimi per la chiusura del ciclo di 80, 40 e 20 giorni.
I minimi di chiusura sono previsti all’incirca tra il 17 e il 20 Gennaio.
Chiaramente essendo cicli di una certa entità ci vuole anche un po’ di tolleranza.
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Cicli 40 e 80 Giorni
Vediamo inoltre dal grafico Volume Profile come il giorno 2 Gennaio il mercato sia salito molto velocemente lasciando aree di prezzo coperte da pochissimi volumi.
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Volume Profile
Nei giorni successivi il POC (pointo of control) e la distribuzione giornaliera dei volumi sono rimasti in un box range contenuto.
Se i minimi a livello ciclico dovessero confermarsi potremo rivedere l’indice tedesco in area 11480 dove ho segnato un area di prezzo interessante.
Grazie per la gentile attenzione, ci vediamo la settimana prossima con la consueta analisi.
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calabriawebtvcom · 5 years
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La Presila trema, le misure del Comune di Sellia
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La Presila trema, le misure del Comune di Sellia
La terra nella Presila continua a tremare, con grande preoccupazione dei residenti e dei rappresentanti istituzionali che hanno a cuore le loro comunità. Solo domenica si sono registrate 17 scosse.
Il sindaco di Sellia, e consigliere provinciale. Davide Zicchinella ha scritto ai responsabili all’Istituto di geofisica e vulcanologia per chiedere approfondimenti in merito, ricevendo la risposta del direttore generale, il professore Stramondo, che arriverà giovedì 6 febbraio.
In attesa del confronto con il massimo esponente dell’INGV, il sindaco Zicchinella ha messo in atto attività amministrative importanti.
“Prima di tutto ho chiuso un accordo con i volontari della Protezione civile di Catanzaro, che, nel caso dovesse succedere qualcosa, sono autorizzati a intervenire con uomini e  mezzi.
E’ un fatto che mi tranquillizza perché colma una lacuna, quella delle risorse umane e tecniche per le priorità d’intervento che non è di poco conto – afferma Zicchinella -.
Ho dato mandato, mettendo a copertura finanziaria la mia indennità di sindaco, di procedere con l’acquisto di presidi medici o presidi per affrontare le prime eventuali emergenze come coperte termiche e thermos questo perché, nel caso dovesse registrarsi qualche scossa di entità più forte che provochi lesioni alle abitazioni e particolare apprensione, soprattutto nel centro storico, abitato da molti anziani, possiamo ospitare delle persone in uno stabile comunale. Non sottovalutiamo nulla – conclude il sindaco Zicchinella -.
Anche se ovviamente auspichiamo che non ci sia bisogno di interventi il nostro obiettivo è quello di farci trovare pronti con queste misure”.
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snarkive · 15 years
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Modello Snark: network, creatività, progetto, territorio
di Gaspare Caliri e Sonia Fanoni - pubblicato su Ticonzero, n° 3/2010
Non c’è nulla di nuovo, oggi, nel parlare di interdisciplinarità, o di multidisciplinarità, specie nel mondo della progettazione per lo spazio pubblico. In questa sede si vogliono esporre le peculiarità di “Snark – Space making”, network multidisciplinare orientato alla collaborazione, ma de facto azienda di progettazione urbanistica e territoriale, dedita alla messa a punto di servizi per la governance e di policy design dello spazio condiviso, fortemente caratterizzata da un flusso organizzazionale “creativo”, dove i know-how delle varie discipline implicate (architettura, management, geografia, semiotica) trovano cittadinanza in istanze operative, più che teoriche, e operano una performance creativa e progettuale in un terreno neutro generato proprio dall’occasione di progetto. -- Non è una novità sentire parlare di interdisciplinarità nella progettazione per lo spazio pubblico, o in studi professionali che, in generale, si occupano di territorio o di progettazione territoriale. Da quando è parsa chiara l’insufficienza degli approcci della vecchia pianificazione territoriale, la cui crisi oggi è al centro di un dibattito a scala internazionale che travalica ormai le sue singole manifestazioni nazionali, è emersa l’importanza di approcciarsi a modelli di complessità. Di conseguenza, ad architetti, urbanisti e pianificatori si sono affiancati, per le questioni di progetto relativo al territorio, figure provenienti dall’economia, dal management, dal marketing, dalle scienze sociali.  
1 – Progettazione territoriale, nuove interdisciplinarità
  Sono le stesse municipalità[1] ad avere recentemente iniziato a creare la domanda per approcci interdisciplinari, per far fronte alla necessità complessa di abbattere le barriere tra ricercatori, progettisti, clienti e city-user, e per riflettere in modo più sinergico su processi di governamentalità (o governance, per usare un termine più adeguato per la progettazione territoriale odierna), su strategie basate su network di attori, su sistemi bottom up di manifestazione delle esigenze delle città e dei territori.   L’obiettivo della pianificazione del futuro è insomma di coinvolgere, nei processi decisionali, strumenti di planning di diversa derivazione, che provengano dall’architettura, dall’urbanistica, ma anche dall’ubiquitous computing, dall’analisi sociale, dal mondo dei social media.   Per far fronte a queste esigenze, esistono già esempi – anche italiani - interdisciplinari o multidisciplinari impegnati in approcci simili. Ne riportiamo un paio. Uno dei casi più interessanti e famosi deriva dall’esperienza di Avventura Urbana di Torino[2], associazione di progettazione urbana partecipata con un ampio ed eterogeneo ventaglio di attività (dall'elaborazione di programmi di riqualificazione urbana, piani strategici e azioni di sviluppo di spazi pubblici a quella di eventi di democrazia deliberativa per le politiche pubbliche) che mirano alla gestione creativa sia delle politiche pubbliche che delle iniziative di intervento private in atto nel territorio.   Il metodo di lavoro impiegato, vista anche la varietà dei progetti seguiti, non è strettamente proceduralizzato, bensì in progress e contingente, caratterizzato da un continuo e parallelo arricchimento di conoscenza ma soprattutto dal coinvolgimento diretto ed effettivo dei destinatari delle iniziative progettuali, che vengono a ragione inclusi nella polifonia decisionale per lo sviluppo di prodotti e il raggiungimento di soluzioni efficaci e condivise.   Esiste anche, su un versante più accademico-progettuale, e a una scala più ampia, il caso dello studio di architettura Carlo Ratti Associati[3], organizzazione interessante, oltre che per le aree progettuali coperte o per le singole soluzioni proposte, per la scelta di appoggiarsi, nelle attività di ricerca e sviluppo, alle ricerche accademiche condotte dal SENSEable City Laboratory, diretto dallo stesso Carlo Ratti, del Massachussets Institute of Technology (MIT) di Boston[4]. I progetti di ricerca in questione, benché svolti in ambito universitario, si articolano in proposte estremamente operative, che lo studio utilizza in chiave progettuale e di filosofia aziendale[5].   Di nuovo, quindi si nota come l'ampliamento degli attori e dei punti di vista coinvolti sia funzionale alla buona riuscita di organizzazioni che fanno della sinergia di attività e di pensieri il loro vantaggio competitivo[6]. Il caso di Snark, che qui vorremmo presentare, è un esempio di piattaforma progettuale, di nascita molto recente, che in qualche modo si distacca dai modelli già presenti di interdisciplinarità, per sviluppare un approccio multi-operativo, snello e flessibile, e in qualche modo “creativo”, riferendoci con questa espressione a quanto affermato in letteratura a proposito di modelli di creatività organizzazionale. Vorremmo cioè proporre un caso-studio che potrebbe diventare un modello di studio professionale di progettazione territoriale, che, a fronte di una volontà di darsi uno statuto e un riconoscimento come entità quasi-fissa, nei fatti sia dipendente da modelli organizzativi di network mobili di professioni e know-how diversi.   Un modello che, come vedremo, in un certo senso si avvicina a quanto analizzato nella creolizzazione e ri-territorializzazione disciplinare della microfisica da Peter Galison, nel suo Image And Logic (1997). Infine, cosa forse ancora più importante, un modello che si avvicina più a una realtà aziendale, per una serie di caratteristiche che illustreremo, piuttosto che a uno studio tradizionale, caratterizzato invece generalmente da dimensione artigianale, non replicabilità del progetto, relazione univoca tra singolo progetto e committente, così come tra progetto e fornitori - o consulenti - e tra progetto e comunicazione.  
2 – Snark – space making
  “Snark – Space Making”[7] è un network interdisciplinare che coinvolge architetti, urbanisti, geografi, semiologi, economisti ed esperti di management, giornalisti. I temi che tratta riguardano, in senso lato, la progettazione urbana, con una particolare attenzione a tecnologie di comunicazione mobile e di geolocalizzazione. Snark studia soluzioni per il reale e il virtuale a varie scale: dallo spazio pubblico di un quartiere alle macro-aree regionali, per cui è necessaria un’ottica di progettazione strategica. Gli approcci e i servizi che offre sono molteplici: spaziano dall’analisi etnografica ed etnosemiotica, al light urbanism, allo studio di fattibilità strategico-territoriale, al concept di dispositivi di partecipazione, di piattaforme informatiche, di social media.   Il gruppo di lavoro è nato per un’occasione concorsuale, e anche questo fa di Snark un caso studio interessante per il mondo del design di best practices urbane e territoriali. Nella fattispecie, si trattava di progettare una strategia di riqualificazione urbana per un’area del centro storico di Modena, per il concorso di idee ModenaCambiaFaccia, indetto dal Comune di Modena nel 2007. Fin da subito, è stato chiaro come gli obiettivi richiesti dal concorso portassero alla messa a punto di un ambiente di progettazione non limitato alla sola urbanistica tradizionale. Si è dunque messo in moto il network di contatti professionali delle persone che oggi compongono Snark; il pool di competenze non è stato costruito gerarchicamente, o scomponendo l’iter del processo di progettazione secondo per focalizzare, in maniera discreta, i vari know-how necessari. Per una sorta di chiusura “autopoietica”[8] del network, la squadra di lavoro si è attestata su quello che è poi diventato il nucleo dei fondatori di Snark: cinque persone provenienti dall’architettura, dalla semiotica, dalla geografia, dal management e dalla comunicazione.  
- Chairsharing
  Il caso di Modena è utile anche per esemplificare l’evoluzione di Snark; la proposta progettuale con cui il collettivo di professionisti si è presentato al concorso, a seguito di un’analisi sul campo e di uno studio di fattibilità, consisteva nello sviluppo del progetto SlowMOde, un’idea di intervento urbanistico “leggero” (detto light urbanism), basato su un concept di lentezza virtuosa, di indugio e fruizione meditata degli spazi e delle possibilità già presenti in nuce nel quartiere, da sviluppare poi con i mezzi della progettazione effettiva.   A questa prima fase di progetto ne è seguita un’altra, commissionata direttamente dal Comune di Modena, per sviluppare, tra tutti gli aspetti della prima proposta, quelli più “connaturati” all’arredo urbano, cioè il progetto di “sedute pubbliche”. Anche in questo caso, non si è trattato di un movimento di estrazione e sviluppo autonomo di un elemento progettuale astratto dal contesto, ma di un’orchestrazione di servizi attorno a quello che doveva semplicemente essere una seduta urbana, una panchina “evoluta”. Seguendo un approccio stratificato – al pari e anche maggiormente della prima occasione di progetto – il risultato di questa seconda fase è stata la messa a punto di un servizio di condivisione di sedie per lo spazio pubblico, prelevabili e riconsegnabili da una rastrelliera, come in un bike-sharing, chiamato, coerentemente con le sue familiarità, è chairsharing[9]. Ogni sedia è stata progettata per essere anche un’antenna WiFi in grado di offrire connettività gratuita ai city-user; al servizio è stato affiancato un sistema di strumenti che recuperano una visione di insieme tendente alla riqualificazione del quartiere, tra cui una fidelity-card di raccolta punti legata all’uso delle sedie, un sistema di mapping, un portale web che crea prossimità virtuale, tramite mappe interattive, con le risorse sostenibili della città.   La complessità del progetto dà conto, anche solo a fronte di una veloce descrizione, dell’intreccio di know-how che ha implicato, come del risvolto “creativo” e “innovativo”, nelle accezioni che descriveremo a breve, del lavoro di Snark. Di tutto questo processo di progettazione, ci interessano soprattutto alcuni aspetti tipici del modo di lavorare che contraddistingue l’organico di Snark. La storia che porta dal primo concept alla consegna del progetto esecutivo di chairsharing non è stata senza soluzioni di continuità, sia temporali che fisiche. I progettisti, benché conoscessero tutti a fondo la realtà modenese, vivevano e vivono dislocati in diverse città nel mondo (Barcellona, Londra, Bologna, Milano, Washington); i momenti chiave delle decisioni, del processo creativo e progettuale sono avvenuti spesso tramite riunioni virtuali, condivisione file e istant messaging via VoIP (Skype) e quasi in nessuno dei casi in una stanza con presente tutta la compagine.   La vicenda di chairsharing è inoltre costellata di momentanee soste nel processo di progettazione e di avviamento in parallelo di altri progetti. Una condizione di progetto che in realtà non ha comportato una perdita di efficacia, ma anzi occasioni di crescita tramite la condivisione del progetto stesso, ancora in fieri, con altri nodi (spesso anche esterni) del network di Snark e attorno a Snark. In questo modo chairsharing si è confrontato e arricchito grazie all’accostamento con altri progetti, sviluppati parallelamente: tra gli altri, un piano strategico territoriale per un distretto culturale, un sistema di social media logistico-qualitativo per un bikesharing evoluto, un modello di coabitazione sociale, un processo di riqualificazione culturale a varie scale su un centro di aggregazione infantile, varie mappature. E, chiaramente, vale viceversa.       FIGURA 1 – Il sistema di loghi, che ripercorrono gli usi possibili, per la comunicazione coordinata di chairsharing.     L’evoluzione progettuale di chairsharing ha poi visto un momento (dilatato anch’esso, e ancora in evoluzione) di campagna promozionale, tramite social media e media tradizionali.  
– Network e azienda
  L’assenza di una “sede” dove raccogliere fisicamente le presenze dei progettisti è compensata da uno “sforzo” (in termini economici) quasi naturale per massimizzare, a causa della distanza, le comunicazioni e l’efficienza della condivisione. Non solo: se parliamo di network è proprio perché ogni componente del gruppo di lavoro non è un singolo elemento, è un nodo della rete che raccoglie e sfrutta il suo sotto-network per favorire la creatività e l’innovatività delle proposte di Snark. La distanza si tramuta dunque in moltiplicazione di ambienti di riferimento e di stimoli che ognuno di questi milieux può produrre. Una delle conseguenze dell’approccio al lavoro di Snark è la moltiplicazione procedurale; avere molte possibilità di input e di output, e la potenzialità di una rete non gerarchica, crea una notevole flessibilità, e quindi la possibilità di Snark di inserirsi, a seconda dei casi, nei vari momenti del processo di progettazione territoriale. In questo sta una delle principali differenze – professionali – rispetto ad altri casi di gruppi di progettazione interdisciplinare: esempi come Avventura Urbana o Carlo Ratti Associati, infatti, si concentrano comunque su fasi abbastanza precise del percorso che un progetto di urbanistica deve compiere; il primo sulla fase preparatoria, per così dire (e dei momenti di emersione partecipata delle esigenze della popolazione), il secondo – riassumendo - sulla ricerca e sullo sviluppo di strumenti tecnologici utili a una fase più avanzata.   La flessibilità di Snark posiziona invece il suo intervento indifferentemente sui vari momenti di quel percorso. In questo, Snark si avvicina allo spirito con cui l’azienda spagnola Santa&Cole, partner di progetto e fornitore per chairsharing (nonché leader per la fornitura dell’arredo urbano di Barcellona), si presenta: un’idea di curatela del progetto, non legata necessariamente a impianti di produzione di prodotti o servizi, ma capace di aggregare a sé quella rete di esecutori e di competenze di volta in volta necessaria al progetto.   Quanto alle dinamiche aziendali, anche in questo caso chairsharing è un esempio utile. Il modo in cui Snark pensa ai suoi progetti non è come eventi unici e isolati, ma come pacchetto di prodotti e servizi. Chairsharing è un progetto per Modena, ma è un prodotto che, ora, fa parte dell’offerta di Snark; e ciò avviene anche per altri progetti, sviluppati ancora per occasioni concorsuali o per altre spinte. In uno studio, generalmente, se la partecipazione a un concorso di progettazione non ha esito positivo, il progetto in questione viene accantonato. La visione aziendale di Snark pensa invece ai concorsi come momenti utili per sviluppare servizi e prodotti da mettere nel proprio sistema di offerta.   Anche in questo caso, ci sembra interessante – e, ancora una volta, sintomatico di un modello nascente – l’accostamento tra il network flessibile (visione orientata al progetto) e l’azienda (discorso orientato al management e al marketing). È centrale, per leggere un incastro di questo tipo, ancora uno sguardo all’interdisciplinarità e alle teorie sulla creatività.  
3 – Interdisciplinarità e complessità territoriale
  È sicuramente difficile tracciare una teoria dell’interdisciplinarità aziendale. Prendendo ad esempio la proposta sviluppata da Newell nel suo articolo “A Theory of Interdisciplinary Studies”, e il dibattito che questa ha generato[10], si nota subito come il discorso sull’interdisciplinarità sia principalmente focalizzato su questioni accademiche, più che operative. Newell segnala questioni terminologiche, epistemologiche, “barriere” tra paradigmi. Considera l’interdisciplinarità come un punto di arrivo piuttosto che di partenza, una missione da perseguire con fatica. C’è chi, come Bailis (2001), sottolinea come l’interdisciplinarità sia un “risultato” solo perché ne è possibile estrarre gli elementi discreti con il senno di poi. Con riferimento a Modena, l’interdisciplinarietà non è stata stabilita secondo una segmentazione dell’a priori teorico, ma è emersa nei risultati fattuali di un lavoro di ricerca sopra un oggetto di analisi complesso come il quartiere di una città. Del resto, se un’interdisciplinarietà è possibile solo a partire dai risultati, lo stesso vale per le fasi del suo agire, che possono solo essere ricostruite, non costruite.   Nel caso di Snark, le questioni dei confini tra le discipline non sono materia progettuale, ma delle attività di ricerca dei componenti del network, in ambienti diversi rispetto quello operativo, per così dire. Eppure, la validità interdisciplinare è senza dubbio una conditio sine qua non per il progetto urbanistico e territoriale, specie in un mondo come quello delle “best practices” di governance. Newell riconosce che l’approccio pluridisciplinare diventa necessario nel momento in cui si trattano problemi complessi, quindi anche in questo caso, parlando di città e di nuovi modi di affrontare la questione progettuale nelle complesse dinamiche territoriali. Eppure, il passo successivo affrontato in letteratura - da Newell, ma anche da Meek (2001) - è la messa a fuoco di un “protocollo” che sistematizzi e renda replicabile una procedura interdisciplinare. La proposta che qui avanziamo è che il protocollo non si possa posizionare, nel caso di Snark, cioè di un network “curatoriale”, come si diceva sopra, nella fase di concept e progettazione vera e propria, quanto nella gestione aziendale (e di project management) della messa a frutto (come prodotti e servizi) dell’offerta.  
– Governance e Trading Zone interdisciplinare
  L’approccio alla “trans-disciplinarietà” di Snark è più simile a quello di Pier Carlo Palermo, che di fatto lavora su qualcosa che è a tutti gli effetti multidisciplinare. Palermo (2009) parte da problemi che riguardano più direttamente l’urbanistica e sposta l’interesse verso un ambito “laterale” dalla teoria che la riguarda, cioè le urban policies e i government tools. Di fatto egli compie un’operazione interdisciplinare, ma solo alla luce di una necessità operativa, non eminentemente teorica. Palermo inquadra problemi che non riesce a risolvere con l’urbanistica tradizionale e quindi cerca altrove strumenti alternativi. Per fare urbanistica oggi, sostiene Palermo, non basta più dotarsi di strumenti quali lo zoning urbanistico, ma bisogna occuparsi di government tools in grado di essere operatori attivi nelle città.   Il processo che ha portato al tipo di interdisciplinarietà che vorremmo qui esporre è stato molto simile. In un certo senso, abbiamo messo tra parentesi il “problema” dell’interdisciplinarietà; per Snark è un “taken for granted”, una macro-questione, che non è stato necessario affrontare in prima istanza, ma che semmai emerge dal processo, dal prodotto, o meglio, dall’”assemblaggio”, per usare un termine caro alla Actor Network Theory (ANT) proposta da Buno Latour (2005).   Le discipline “di partenza”, autonome, rimangono tali (visione dall’esterno); o meglio, non vengono direttamente spese nell’interdisciplinarietà. I loro rapporti, le loro intersezioni, la loro segmentazione reciproca emergono solo “in vitro”, una volta raggiunto il risultato operativo.   Realtà come Snark trovano cioè un terreno “terzo” dove le differenze disciplinari non sono pertinenti, e dove si crea un modo di lavorare, una “procedura”, che non ha a che fare con i paradigmi di partenza. Per parlare dell’approccio di Snark, che mette insieme – nel processo – analisi e progetto, appare più utile rifarsi a Peter Galison. Galison, in Image And Logic, analizza la difficoltà, specificamente nella microfisica, di trovare un’unione ottimale e fruttuosa tra comunità scientifica sperimentale e comunità scientifica teorica. Il dato di partenza è l’impossibilità di condivisione delle due comunità, se considerate per dinamiche interne ed esterne. Un microfisico “sperimentale” fa i suoi esperimenti, legge libri di sperimentali e va ai convegni degli sperimentali. Può non incontrare mai un teorico. Stesso dicasi per i “teorici”. Eppure esistono casi (come quello dei fisici e degli ingegneri della Room 4-133, una stanza del Rad Lab dell’MIT creata nel 1940) in cui le barriere appena elencate vengono meno, e si crea una terza comunità che fa da “ponte” tra le prime. Non esiste, secondo Galison, una “soglia” di traduzione tra le prime due comunità, ma un “territorio di attrito”, una Trading Zone, in cui la compresenza, la prossemica spaziale, le pratiche implicate consentono la nascita di una zona neutra, di una comunità “creola”, di un “pidgin”.   “I fisici e gli ingegneri della Room 4-133, quando montano insieme un nuovo circuito, non sono impegnati in processi di traduzione, né producono commenti “neutrali”: stanno semplicemente lavorando a un nuovo, potente linguaggio, valido localmente, che possa coordinare le loro azioni.” [Galison 1997: 833, trad. nostra]   L’importanza di un terreno terzo e del “luogo” mediatore ci fa pensare alle pratiche di Snark – le call conference, la condivisione in remoto, e soprattutto la necessità di affrontare nuovi problemi alla progettazione territoriale – come a un esempio di border-crossing Trading Zone. Si tratta di una de-territorializzazione disciplinare e di una ri-territorializzazione operativa, che oltre distinzioni come tra “teorici e sperimentali”. Semmai si dirige verso un terreno di “innovatività” e “creatività” nuovo.   4 – Creatività   Si è finora sottolineato come la risoluzione di problemi, in particolare grazie a nuovi approcci alla progettazione territoriale, sia la principale missione di Snark. Lo svolgimento stesso di questo ampio “problem solving” è, più che le singole proposte progettuali elaborate, l'area di applicazione in cui si concentra maggiormente l'attività creativa del gruppo Snark.   Se l'ormai consolidato abuso del termine “creatività”, sommato alla dinamicità dello stesso, può creare incomprensioni, un riferimento alla letteratura è senza dubbio utile per ridefinire l'area di indagine; in particolare l'evoluzione del concetto tra XIX e XX secolo, tracciata da Walter Santagata, sembra un ottimo punto di partenza. Santagata (2004) mostra, infatti, il passaggio da una caratterizzazione intellettuale e psicoanalitica della creatività, rappresentabile con l'immagine del “genio romantico” all'idea di creatività come atto del cervello umano, che prende la forma di un processo.   La tesi sostenuta è il progressivo collasso dei due modelli fino al raggiungimento, nel XXI secolo, di una sorta di sintesi che vede l'aspetto processuale evolvere in procedurale, evidenziando inoltre le dimensioni emozionale, fisica e contestuale.   “La creatività è considerata come un processo caratterizzato da una doppia natura: socio-estetica e organizzativa.” [Santagata 2004: 5]   Nell'epoca dell'economia della conoscenza, in cui per le aziende la differenziazione dell'offerta non ha più nulla o quasi a che vedere con la qualità dei prodotti, è proprio la creatività, intesa quindi nel suo aspetto procedurale, a costituire il vantaggio competitivo. Organizzazioni “creative” possono dunque lavorare in modo più produttivo ed efficace di altre. Ma ciò che rende un’organizzazione creativa è la presenza contestuale di numerose caratteristiche e contingenze idiosincratiche, tanto complesse che sistematizzarle in un modello che le comprenda tutte sembra essere estremamente arduo, se non impossibile.   Uno di tali aspetti, oltre alla creatività individuale dei soggetti coinvolti, è la citata dimensione contestuale, la cui importanza implica inoltre la rilevanza di quella sociale. Amabile (1988) e Woodman, Sawyer & Griffin (1993) sostengono che i fattori correlati all'ambiente di lavoro siano importanti antecedenti alla nascita di attività creative. Speculazioni sui network sociali sembrano mostrare come legami “deboli” siano a tal fine più efficaci di legami “forti”, cioè come posizioni periferiche con numerose e frequenti connessioni esterne al network conducono più probabilmente ad output creativi e potenziali innovazioni, in quanto facilitano l'accesso a un'ampia varietà di alternative:   “An individual working within diverse contexts more likely will be exposed to different and unusual ideas.” [J.E. Perry-Smith, e C.E. Shalley 2003: 92]   Le caratteristiche dell'organizzazione di riferimento creano il contesto di influenza che opera sia sui singoli individui che sui gruppi da essi composti, e influenza la creatività dei loro output. L'organizzazione di Snark, per definizione non gerarchica e decentrata, sembra corrispondere al modello dei legami deboli e minimizza, grazie all'eterogeneità non solo delle competenze presenti, ma anche dei network di appartenenza (e quindi delle sfere di influenza a cui i singoli membri sono soggetti) le possibilità di stagnazione delle idee e cosiddetto “groupthink” (Janis 1972).   Infine, la creatività è per definizione[11] considerata un bene di natura pubblica, il cui effetto, secondo Thompson (2003), è la produzione di idee “nuove e utili”. Quale può essere dunque il rapporto tra l'utilizzo di un bene pubblico come leva per un attività che coinvolge la progettazione di uno spazio anch'esso pubblico? E ancora: esiste un ideale di utilità condivisa da tutti i fruitori di un sistema complesso quale lo spazio pubblico?   Certamente un'organizzazione che intenda affrontare tali problematiche necessita di un altissimo grado di flessibilità e di ampiezza delle prospettive contemplate. Ciò è necessario al fine di trovare soluzioni creative che sintetizzino, nel modo più originale e funzionale, le numerose e variabili esigenze dei portatori di interesse coinvolti, ma soprattutto per innovare realmente rispetto alle soluzioni precedentemente proposte. E l'innovazione avviene solo con l'implementazione delle idee.   5 – Conclusione   Si accennava sopra alle best practises, in riferimento alla produzione di strumenti per la governance e per la progettazione strategica territoriale. Abbiamo elencato alcuni elementi – tra cui la flessibilità del network, l’interdisciplinarità, la creatività – da cui osservare il modo in cui un’azienda come Snark affronta la questione della complessità territoriale.   Sintetizzando per punti le dinamiche organizzative tipiche del Modello Snark, sottolineiamo:
progettazione interdisciplinare costante
relazioni che sfruttano la dinamica del network aperto
modalità di lavoro non per fasi ma per progetto
concorso come momento per il confronto interno oltre che esterno ed esercizio di crescita del team
replicabilità del progetto, che diventa prodotto e/o servizio
management e marketing aziendale
  Si è quindi segmentato il punto di vista in due prospettive utili: quello della progettazione vera e propria, e quello del management aziendale. A questa divaricazione vorremmo tornare per concludere.   Non esiste solo il piano progettuale, quello del territorio, dove si crea la necessità di pensiero laterale, della costruzione di una Trading Zone, di una sufficiente flessibilità in grado di affrontare variabilità di scala, di problemi, di approcci. Esiste anche un altro piano, quello del management, che è in grado di operare, sul territorio, una valutazione di comparazione in grado di trasformare l’episodio isolato (a misura di studio) in offerta di servizio o di prodotto. Anche in questo si basa l’idea di best practice: sulla possibilità di fare di un’esperienza un modello.     BIBLIOGRAFIA Amabile, T.M. 1988. A Model of Creativity and Innovation in Organizations. In Research in Organizational Behavior, 10: 123-167. Bailis, S. 2001. Contending with Complexity: A Response to William H. Newell’s “A Theory of Interdisciplinary Studies”. In Issues in Integrative Studies, 19: 27-42. Evans, R. e Marvin, S. 2006. Researching the sustainable city: three models of interdisciplinary. Environment and Planning A, 38: 1009-1028. Galison, P. 1997. Image & Logic: A Material Culture of Microphysics. The University of Chicago Press, Chicago, IL. Janis, I. 1972. Victims of groupthink. A psychological study of foreign-policy decisions and fiascoes. HMH, Boston, MA. Latour, B. 2005. Reassembling the social: an introduction to actor-network-theory. Oxford Uiversity Press, Oxford. Maturana, H.R. e Varela, F.J. 1984. El árbol del conocimiento: las bases biológicas del entendimiento humano. OEA, Santiago, Chile. Meek, J. 2001. The Practice of Interdisciplinarity: Complex Conditions and the Potential of Interdisciplinary Theory. In Issues in Integrative Studies, 19: 123-136. Newell, J. 2001. A Theory of Interdisciplinary Studies. In Issues in Integrative Studies, 19: 1-25. Palermo, P.C. 2009. I limiti del possibile: governo del territorio e qualità dello sviluppo, Donzelli, Roma. Perry-Smith, J.E. e Shalley, C.E. 2003, The social side of creativity: a static and dynamic social network perspective. In The Academy of Management Review, 28 (1): 89-106. Santagata, W. 2004. I beni della creatività tra arte contemporanea e moda. In Working paper series, 2/2004, EBLA, Torino. Thompson, L. 2003. Improving the creativity of organizational work groups. In Academy of Management Executive, 17 (1): 96-109. Woodman, R.W., Sawyer, J.E., Griffin, R.W. 1993. Toward a Theory of Organizational Creativity. In The Academy of Management Review, 18 (2): 293-321. [1] Si veda, riguardo ai progetti delle municipalità inglesi, R. Evans e S. Marvin, “Researching the sustainable city: three models of interdisciplinary”, in Environment and Planning A, 38, 2006. [2] http://www.avventuraurbana.it/ [3] http://www.carloratti.com/ [4] http://senseable.mit.edu/ [5] Si veda la pagina “Presentation” del sito: http://www.carloratti.com/presentation/index.htm [6] Segnaliamo a questo proposito anche il “design dei servizi” di Ezio Manzini, la sua attività presso il Politecnico di Milano e il suo blog (http://www.sustainable-everyday.net/) [7] http://www.snarkive.eu/ [8] Si veda il testo seminale per il concetto dell’autopoiesi, poi diventato fondamentale per le teorie della complessità: El árbol del conocimiento, dei biologi H.R. Maturana e F.J. Varela. [9] Chairsharing è un progetto di “Snark – space making”, sviluppato da Emanuele Bompan, Gaspare Caliri, Marco Lampugnani, Beatrice Manzoni. Si veda www.snarkive.eu e www.chairsharing.it. [10] Si veda il numero 19 di Issues in Integrative Studies. [11] Si veda ancora W. Santagata, “I beni della creatività tra arte contemporanea e moda”, in Working paper series, 2/2004, EBLA, Torino.
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jazzluca · 5 years
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REFRAKTOR ( Deluxe ) War for Cybertron - Siege
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Graditissimo ritorno in questa linea Generations War for Cybertron Siege è stato quello del caro vecchio REFLECTOR, robot particolarissimo della prima ora nel cartone animato, e per questo rimasto nel cuore di molti ex bambini dei tempi che furono. Particolarissimo perchè, più che di UN solo robot, qui parliamo di un gruppo di 3 gemelli che si uniscono a formare una fotocamera di quasi 40 anni fa, e nello show, con la scusa dell'aspetto comune, faceva spesso da sfondo come soldato generico multiplo dei Decepticon, un po' come i Seeker di Starscream, solo che qui manco ci si disturbava a colorarli diversamente da quel viola / lilla caratteristico...
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... ed infatti pare che nelle intenzioni iniziali Reflector dovesse essere un solo robot col potere di moltiplicarsi ( un po' come il mutante Uomo Multiplo della Marvel ), da qui la sua peculiarità dei 3 basilari a parlare all'unisono.
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Dopo la prima stagione, il personaggio / trio iniziò a vedersi sempre più sporadicamente, limitandone le apparizioni dato che il GIOCATTOLO non venne mai venduto nei negozi, ma era acquistabile in Usa spedendo dei punti tramite posta solo dal 1986 ( in Giappone invece era disponibile nei negozi nel 1985, mentre da noi in Italia era noto per via di una sua edizione Knock Off della Ceppiratti dal 1984 circa ); fra le eventuali cause per la non commercializzazione del giocattolo, probabilmente una va ricercata nella differenza fra questo e la versione tv, che vedeva i 3 robot che formavano la fotocamera avere un aspetto, trasformazione e colorazione diverse l'uno dall'altro.
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Originariamente quindi erano pensati come tre entità separate, ognuno col proprio nome, ovvero Spectro, Spyglass, e Viewfinder, interessanti e giocabili, ma diversi dall'altrettanto interessante versione dei 3 robot gemelli dei cartoni, pure più verosimile nel dover formare insieme un solo oggetto come modalità alternativa.
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A causa della particolarità di queste premesse, è sempre stato difficile pensare di vedere una versione moderna giocattolo di Reflector ( a parte una sorta di citazione nel piccolo Targetmaster del Generations Shrapnel Legends di qualche anno fa ), sia per l'anacronistica modalità alternativa che per il dover presentare 3 robot uguali ( vedi come hanno commercializzato i Cloni  del 1987 per Titans Return.... ) ...finora!
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L'espediente usato per proporre nei Generations Viewfinder e soci l'avevo pensato immodestamente pure io, qualche tempo fa, ovvero presentare un solo robot con una sua trasformazione dedicata in un veicolo generico, ma che grazie ad un'ulteriore trasformazione e con l'aiuto di accessori se comprato in triplice copia potesse formare la classica fotocamera... e infatti coincidenzialmente così hanno fatto per il Siege!
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Il nostro REFRAKTOR ( nuovo nome a causa dei soliti diritti persi sull'originale ), quindi, si presenta splendidamente come ROBOT singolo, perfetta trasposizione del settei dei cartoni, con il viola principale che qui però tende al lilla, braccia e cosce grige/argento, dettagli in rosso e argento su ginocchia, polsi e piedi, più pure dell'effettivo viola chiaro / sempre lilla ? / quel-che-è sulle tibie, così come ottimo il pettorale in plastica trasparente incorniciato nell'argento, il tutto con i minuziosi dettagli scolpiti tipici della linea, mentre invece mancano i dettagli dipinti di "sporco e vissuto" anche questi di solito rappresentativi dei Siege.
Come altezza è leggermente più basso dell'Autobot Siege Deluxe medio, solo mezza testa, mentre le articolazioni sono quelle basi della linea, comprese quindi rotazione del bacino e inclinazione laterale delle caviglie, e manca l'eventuale rotazione dei polsi per via della trasformazione, ma grazie a questa i gomiti si piegano completamente grazie al doppio snodo e la testa può alzarsi per guardare verso l'alto.
Visto da dietro presenta un po' di parti vuote dietro i polpacci ( coperte in parte da dei pattini ripiegati ), gli avambracci e sotto la testa, e in generale a rigor di fedeltà al settei dietro la schiena manca la sorta di zaino sporgente verso l'alto che richiamava le spallone del giocattolo originale del solo Viewfinder, mentre nel cartone era comune per tutti, e nel Siege è simulato da delle protuberanze che spuntano fra testa e spalle.
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A differenziare almeno uno fra i 3 gemelli, nel cartone ci pensava il modulo circolare sullo stomaco, richiamo dell'obiettivo del Viewfinder giocattolo, e nel Siege è appunto un accessorio che si può togliere e sistemare nascosto dietro il bacino, così da scegliere a chi dei triplici Refraktor acquistati tocca fare il corpo centrale o meno.
Altri accessori sono un fucile con caricatore che come design è una sintesi dei 3 fucili dei 3 robot giocattolo G1, ed uno scudo semi circolare che unito ad altre 2 copie di se stesso diverrà l'obiettivo della fotocamera; non fosse per il pezzo di plastica trasparente interno, volendo si poteva mettere lo scudo dietro la schiena del robot, in modo da simulare il succitato zaino dei Reflector visti in tv, e volendo si può appunto svitando e togliendo quel pezzo, magari. ^^
Ma prima di parlare della fotocamera combinata, passiamo alla TRASFORMAZIONE singola, con la testa che ruota e si ribalta all'indietro, i pugni pure si nascondono e le braccia ruotano verso la schiena, così come il bacino di 180°, e ari-idem le gambe inferiore verso l'esterno di 90°, facendo uscire i succitati pattini ed unendosi, mentre il fucile diventa parte del mezzo unendosi ai piedi allungati nella parte anteriore; infine gli altri 2 accessori finiscono nella parte posteriore, con il disco che era nello stomaco a fare da propulsore e lo scudo a coprire il torso ora apertosi per far diventare il panello del petto, ribaltatosi in avanti, il cockpit.
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Il nostro Refraktor come sorta di NAVICELLA CYBERTRONIANA è abbastanza abbozzato, onestamente, anche se presenta particolare carini come il muso e la cabina di pilotaggio, che però poggianosi sulle cosce risulta pure troppo finta, ma, ancora, si apprezza lo sforzo di tirar fuori qualcosa di abbastanza plausibile, con pure lo scudo che ricorda un propulsore.
La navicella ha però svariati fori per le armi, un paio subito davanti al cockpit, ben 6 nella parte inferiore, due sui moduli grigi bassi / ex braccia e pure due spine laterali, che lo rendono quindi assai versatile se lo si vuole unire ad un Weaponizer come Brunt.
O anche, con un po’ di fantasia e usando una delle braccia come sorta di impugnatura, potrebbe passare come una pistola per un bot di stazza Titan. ^^
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Ma ovviamente la TRASFORMAZIONE maggiormente ambita da effettuare è quella in terza parte della fotocamera composita, e si può partire pure dalla navicella, ruotando ancora le gambe ed unendole con le parti vuote verso il basso, mentre si richiude il pannello del petto e gli avambracci si ripiegano verso il basso, per entrare dentro i vani delle gambe che vanno a chiudersi su quella che era la schiena del robot. In questo semi cubo formatosi, in quello centrale, si sistema il disco nel foro inferiore, che diventerà tramite per i 3 fucili uniti a diventare il piedistallo, così come i 3 scudi diventano l'obiettivo che si piazza sul torso, mentre gli altri due Refraktor si uniscono al centrale ai suoi lati, ma ribaltati con le gambe verso avanti. I due dischi di quest'ultimi avanzati possono piazzarsi o dov'era la testa o sullo stomaco di uno dei due a scelta, a simulare il taso dello scatto e la rotella di focalizzazione.
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La FOTOCAMERA risultante ricorda discretamente quella del settei nel cartone, amche se si sente la mancanza sopratutto del modulo grigio superiore, che si può mimare almeno drizzando i piedi del bot centrale; magari bastava un altro accessorino ciascuno in modo che due di questi formassero quella parte lì, ma direi che ci si può accontentare anche così.
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E per i fan più esigenti, è già pronto un pack commemorativo del giocattolo originale, con non solo pezzi aggiuntivi come il suddetto cupolotto o il flash, ma con i 3 robot dipinti per somigliare ai 3 bot distinti, anche se manca lo sforzo finale, ovvero le teste sempre simili e non diverse com'era nel modellino degli '80.
Ma infine, tornando al nostro Refraktor da negozio, è davvero un'ottima resa moderna della versione a cartoni del personaggio, assai giocabile, con una modalità alternativa abbastanza decente e col potenziale di quella combinata ben eseguito. Consigliatissimo X 3! ^^
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missmelancholya · 5 years
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Il cielo brillava come se una fata avesse sparso polvere di glitter nel cielo.
Erano le sei del mattino, ma il sole non era ancora visibile. Fuori dalla finestra c'era così tanta nebbia che sembrava fumo: come se tutto il mondo stesse prendendo fuoco... ma a me, piaceva pensare solo che qualche entità superiore avesse accesso un gigantesco incenso.
Ero ancora in dormi veglia, e mi sedetti, attendendo il sorgere della luce, lentamente.
Pensavo a quanto il destino, vestito di bianco con la faccia truccata come un mimo o una personaggio da circo, mi prendesse in giro. Vedevo il suo volto ridacchiare. Con una lacrima dipinta di nero sotto l'occhio destro è uno strano cappello, anch'esso bianco.
Con un sospiro, come afflitta da una tremenda stanchezza e pesantezza, mi alzai troppo pigra per aspettare il sorgere del sole.
Odiavo sentire quei legami con gli altri, che mi stringevano il collo fino a farmi perdere il respiro. Una corda, con un nodo in gola, pronto a impiccarmi al primo lampadario abbastanza resistente da non crollare con me.
Volevo aria fresca, e libertà, ma la vera prigione era nella mia testa. Era l'aspettare qualcosa, che mi teneva ferma. Come un influenza leggera ma immobilizzante. Come una malattia invisibile dal mantello argentato. E via... la luce era entrata in casa, e con un altro piccolo sospiro mi buttai nuovamente sotto le coperte.
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Sei vivo. Senti il freddo delle coperte appena ti infili a letto? Senti il respiro affannarsi mentre fai le scale? Senti quella zanzara che non ti da pace stanotte? Senti le lacrime fluire dopo un taglio? Lo senti anche il dolore? Quella sensazione di tepore, brivido e assenza. Senti il caldo dopo la pioggia estiva? Senti la sensazione di fastidio? Lo vedi il cielo e i palazzi che cercano di raggiungerlo? Vedi questo schermo e delle lettere nere? Il sapore del profiterole ti piace? Senti il profumo di pentole ribollire di cibo la domenica mattina mescolato a profumo di pulito? Senti quella mano che ti sfiora? Percepisci il tutto che ti circonda in questa semplice ed assoluta totalità? Ecco, sei vivo. Un’ovvietà così palese. È stato un incontro, una cellula, poi tante, poi tu. Prima ovattato e protetto, poi libero e vulnerabile, hai imparato ad essere vivo, lo stai ancora facendo. Crescendo muti, i passi incerti diventano falcate, il pianto diventa voce e i capelli esperienza. Siamo nel nostro ciclo, da infanti ad adulti, da pargoli a uomini, da vivi a.. be, cosa? L’avanzare nel tempo implica perdita: niente mamma con le sue braccia grandi, niente papà che ci spinge sull’altalena, niente ginocchia sbucciate e una ciambella fumante a casa, niente macchinine, niente pongo e filastrocche. Ci accresciamo, le sinapsi si potenziano, il pensiero critico si espande e sopravviviamo, ci ingabbiamo. Eri quello scricciolo pronto a rotolare nel fango pur di guadagnare un passo, ora sei un uomo che rimane in silenzio pur di non dire la cosa sbagliata. Sei vivo, ricordalo: prendi ciò che ti spetta, ciò che desideri, piangi davanti ad un film o per le troppe risate, urla mentre sei in macchina e ascolti la tua canzone preferita, bacia quegli occhi che ti bramano, pieni di ciò che può completarti, non temere, sfida, non rinunciare, combatti. Sei vivo cazzo. Amati, ama, percepisci, interiorizza le parole, ascolta, fallo sempre, ricorda, tieni stretto a te chi desideri, non lasciare MAI andare la bellezza, non rinunciare alla passione, non dare per scontata l’attenzione. Sii gentile, leale, mai superbo, non egoista, sii centro del tuo microcosmo ma non respingere entità aliene, la diversità arricchisce, la solitudine deteriora, inaridisce. Non sei un deserto, sei costellazione, sei galassia in espansione. Non temere i “no”, non gradire troppi si, senti il tuo cuore battere e il respiro affannarsi? Emozione. Senti la mano tremare e il sudore? Preoccupazione, ansia. Ti vedi sorridere, credi che tutto sia positivo, pensi positivo, senti formicolii strani ma piacevoli, hai la sua immagine presente e il calore, sapore, odore della sua pelle ti sazia, ma ti manca. Amore. Lascia che scorra, lasciati trapassare, lascia che vada, lascia che fluisca su di te. Abbandonati alla vita. Sei tu, sei vivo.
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killianmusic · 5 years
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Zen Circus, Paladozza 12/04/19
Lo scorrere del tempo crea malinconia, lo scorrere del tempo si misura in idee che se ne vanno, in entità che restano, in amici che vengono e in amici che si dissolvono, in quanta gente di merda sei riuscito a mandare a fanculo, perché scrivere mi riesce bene ma non voglio farmi leggere e allora poco conta di quello che fai.
Talvolta ti alzi e ti perdi, talvolta ti siedi e non ti ritrovi, qui le piazze sono mute e le arene vuote, ma i ricordi sono vivi e ti cingono il cuore, ne esce una luce, un ticchettio ritmato, il rumore delle cose, e ti lascia una cicatrice, che è l’unica cosa che voglio mostrare. Una cicatrice lunga che abbraccia i generi e le persone, fatta per i santi, i froci e i campioni, una cicatrice da 7 punti, una cicatrice a forma di tendone.
Non eri forse te quello che prendeva solo schiaffi nel ‘93?
Nel tuo posto, che affitti ad ore, si leva un fulmine che ti attraversa sereno, la pioggia ti sta picchiettando sopra la testa mentre si affolla il mondo che ti circonda, i tuoi amici se ne sono andati e sono rimasti solo quelli che sembrano parenti affamati, locuste fresche, estranei. Forse sono come te ma nel paese giusto.
Lo scorrere del tempo non esiste in periferia, esiste solo lo scorrere delle stagioni, le stagioni che passano e che le persone ti cuciono addosso, come medaglie, come madonne mai santifate, come le immagini vuote dalla memoria ancestrale. La provincia crea dipendenza, di retorica, dalla retorica, nella retorica. Il tempo però è andato e non ritorna e l’unica cosa che resta è tornare lì, lì dove ho scoperto il rock’n’roll, lì dove uno zio ubriacone e un fratello triste hanno detto che vi avremmo ritrovato.
E lì è dove la provincia mangia le ragioni che vi trovate, lì dove si ritrovano gli amici e i ricordi, perché il tempo che è passato non è mai andato ha solo scordato come si torna.
Gli eroi sono fatti per dare l’esempio, i pesci per remare e le lacrime per restare, che tanto il sole sorge solo se lo stai a guardare anche lui alla ricerca del suo decoro. Ma ci sono amici che sono fuori dalla loro umanità, sono piante, fiori o parole, sono la condivisione della tua infanzia senza averla vista, sono una famiglia alienata e vicina, sono lo scoglio sopra il mare.
Forse l’anima non conta, forse siete venuti in treno o in motorino, forse siamo tutti un po’ scappati dalla provincia, siamo stati tutti il pensiero lontano di qualche padre stanco e preoccupato, ma Dio non esiste, la provincia ci ha lasciato il suo vuoto rancore e il suo proverbiale fetore.
Che forse ci smarriamo perché il tempo si misura in coperte, lunghe, corte, lanose o finite, mangiate dai cani o smembrate dalle tempeste, coperte vere o presunte, coperte per chi a casa pagava le bollette ma sentiva freddo, coperte elettriche o strumentali, coperte per Andare a Fanculo, perché tra bere ribere e vomitare è bello anche sapere dove tornare
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