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#François Fonty
guycourtheoux · 2 months
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FRERES de Clément Marchand, c'est actuellement à Avignon au Théâtre des Corps Saints
La cuisine est devenue hautement télégénique. Les émissions avec des chefs, des apprentis, des amateurs éclairés ou pas. La gastronomie est un miroir aux alouettes. Beaucoup d’appelés mais peu d’élus. L’apprentissage est dur. Screenshot   Maxime et Emile se heurtent en préparant le CAP de cuisine. L’ambiance est militaire. Ils sont aux antipodes l’un de l’autre. Tout les sépare, le milieu social,…
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lecodellariviera · 2 months
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Picasso a Sanremo: Ceramiche Solari e Mediterranee alla Galleria Palla Blu
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Dal 14 luglio al 15 settembre, la Galleria Palla Blu di Sanremo è lieta di presentare la mostra "Picasso: La Gioia della Ceramica", che lega l'artista alle sue radici mediterranee. Questa selezione di ceramiche colorate e solari sarà completata da opere di Yves Klein (1928-1962), l'iconico artista francese nato a Nizza, e dalle opere d'inchiostro di T'ang Haywen (1927-1991).
La Galleria Palla Blu di Sanremo apre le sue porte a un'estate ricca di arte e colore con la mostra "Picasso: La Gioia della Ceramica", in programma dal 14 luglio al 15 settembre 2024. Un'occasione unica per immergersi nel genio creativo di Pablo Picasso e ammirare la sua prolifica produzione di ceramiche, espressione di una profonda connessione con le sue radici mediterranee.
Accanto alle opere di Picasso, la mostra espone anche lavori di Yves Klein (1928-1962), l'iconico artista francese nato a Nizza, conosciuto per il suo blu oltremare e la sua ricerca sull'immateriale. Completano la rassegna le opere d'inchiostro di T'ang Haywen (1927-1991), artista cinese che ha rivoluzionato la calligrafia tradizionale.
La mostra è realizzata in collaborazione con la Galerie Jean-François Cazeau di Parigi, specializzata in maestri impressionisti e moderni.
Picasso
Il Mediterraneo di Picasso è molteplice, sia vissuto che sognato, dal paesaggio dei suoi porti spagnoli nativi agli studi degli ultimi anni della sua vita, passando per le località della Costa Azzurra e culminando nel Midi di Antibes, Vallauris e Cannes. Nonostante viaggiasse poco, Picasso si spostava sulla costa settentrionale del bacino del Mediterraneo potendo scoprire le culture di questa regione. Fu anche attraverso libri e musei, come il Prado o il Louvre, e grazie alle numerose cartoline e riproduzioni ricevute, che si nutrì della cultura mediterranea. Fin dagli esordi, queste molteplici fonti alimentarono il suo lavoro.
L'opera di Picasso è radicata in una ricca cultura ispanica, che spazia dall'antica arte iberica - come testimoniato dalla serie di piccoli bronzi antichi collezionati dall'artista - ai grandi maestri della pittura spagnola scoperti al Prado, fino al folklore dei costumi tradizionali, del flamenco e della corrida. In questo periodo particolarmente fecondo per Picasso, la ceramica svolge un ruolo fondamentale. Attraverso questa tecnica, l'artista riscopre anche la gioia fanciullesca della creazione stessa. Egli sposa forma e funzione con infinita inventiva.
Nel 1948 Picasso si trasferisce a Vallauris, un villaggio di ceramisti. Aveva già conosciuto Suzanne e Georges Ramié, proprietari dello studio Madoura, nel 1946. Fino alla sua morte, lavorerà solo con loro, creando sia pezzi unici che edizioni originali. Questo segna l'inizio di un intenso periodo creativo, incentrato sulla produzione di ceramiche. Picasso modella e disegna nell'argilla fauni e ninfe, pesci e tori, capre e gufi, utilizzando i supporti più inaspettati - frammenti di pignatte, gazette di fornace usate per cuocere i pezzi d'argilla o mattoni rotti. In particolare, i gufi compaiono frequentemente nelle sue opere, e rimangono uno dei soggetti più ricercati del suo lavoro.
Yves Klein
A completare questa selezione, sarà presentata una scultura di Yves Klein, "L'Esclave mourant d'après Michel-Ange", un'interpretazione post-moderna del soggetto rinascimentale nel suo emblematico blu Klein. Proprio come Picasso, Yves Klein amava giocare con i codici della storia dell'arte e sovvertirli. Le sue opere, che fanno parte del gruppo del Nouveau Réalisme, rappresentano una risposta europea al movimento americano della Pop Art.
T'ang Haywen
Saranno inoltre esposte opere d'inchiostro di T'ang Haywen, artista cinese della scuola post-bellica di Parigi che ha appena avuto una mostra retrospettiva al Musée National des Arts Asiatiques - Guimet. L'artista, della stessa generazione di Zao Wou-Ki e Chu Teh-Chun, ha dedicato la sua pratica alla pittura a inchiostro, nella grande tradizione cinese, rinnovandola con i precetti dell'astrazione occidentale.
Forte di un vero e proprio riconoscimento istituzionale, T'ang Haywen ha avuto diverse retrospettive in musei internazionali, a Monaco, Taipei, Parigi e Budapest. Le sue opere sono oggi conservate nelle collezioni del Museo Guimet, dell'Art Institute of Chicago, dell'M+ Museum di Hong Kong e della Menil Collection di Huston.
Un dialogo affascinante tra tre grandi maestri che, attraverso tecniche e linguaggi espressivi diversi, esplorano temi universali come la natura, la spiritualità e la condizione umana. Un'occasione imperdibile per gli amanti dell'arte e per tutti coloro che desiderano scoprire nuove sfaccettature del genio creativo di Picasso e dei suoi contemporanei.
Un'occasione imperdibile per ammirare capolavori di maestri moderni e contemporanei e per celebrare l'arte mediterranea in tutte le sue sfumature.
Informazioni sulla mostra:
Galleria Palla Blu
Indirizzo: Via Matteotti, 11, 18037 Sanremo IM, Italia
Date: 14 luglio - 15 settembre 2024
Sito web: https://www.galleriapallablu.com/
Contatto:  +39 389 990 65 87
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La Galleria Palla Blu di Sanremo apre le sue porte a un'estate ricca di arte e colore con la mostra "Picasso: La Gioia della Ceramica", in programma dal 14 luglio al 15 settembre 2024. Accanto alle opere di Picasso, la mostra espone anche lavori di Yves Klein (1928-1962) e le opere d'inchiostro di T'ang Haywen (1927-1991).
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notiziariofinanziario · 10 months
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L'idrogeno verde è considerato il coltellino svizzero della decarbonizzazione
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L'idrogeno può produrre, trasportare o immagazzinare energia ed è un'alternativa ecologica ai carburanti fossili. Steven Schenk, ricercatore al Politecnico federale di Losanna sta lavorando allo sviluppo di un elettrolizzatore, cioè di un dispositivo che utilizza l'elettricità per produrre idrogeno dall'acqua, più efficiente e meno costoso dei sistemi in circolazione. Questo è uno dei molteplici progetti svizzeri nel campo dell'idrogeno rinnovabile. A inizio ottobre, l'azienda energetica Groupe E ha affermato di aver effettuato un "passo da gigante nella transizione energetica in Svizzera" con l'inaugurazione di un sito di produzione di idrogeno verde presso la centrale idroelettrica di Schiffenen, nella Svizzera francese. È il quarto impianto di questo genereLink esterno operativo nel Paese. Altre aziende elvetiche si stanno profilando all'estero. In Svezia, il gruppo elettrotecnico ABB partecipa a uno dei progetti di idrogeno rinnovabile più ambiziosi d'Europa, mentre il costruttore ferroviario Stadler Rail ha appena firmato un contratto per fornire treni a idrogeno alla California, negli Stati Uniti, oltre a quelli previsti per le regioni italiane di Calabria e SardegnaLink esterno. Un treno a idrogeno che proprio la Svizzera rischia però… di perdere. La Svizzera, malgrado il suo spirito innovativo e imprenditoriale, non dispone di una strategia nazionale per l'idrogeno. Il Paese potrebbe anche essere escluso dallo sviluppo delle infrastrutture per il trasporto dell'idrogeno sul continente siccome non esiste ancora un accordo sull'energia tra la Svizzera e l'Unione Europea. Il "coltellino svizzero" della transizione energetica L'idrogeno è l'elemento più abbondante dell'universo e nella sua forma molecolare (H2) è utilizzato per produrre sostanze chimiche, ad esempio l'ammoniaca, oppure come carburante. La sua combustione libera energia senza emettere CO2. Il modo in cui viene prodotto ha al contrario impatti negativi sul clima. Oltre il 90% dell'idrogeno utilizzato nel mondo (circa 100 milioni di tonnellate all'anno) è ricavato da fonti fossili, prevalentemente metano e carbone. Si parla in questo caso di idrogeno grigio perché la sua produzione emette carbonio. L'idrogeno può però anche essere ottenuto in maniera rinnovabile tramite l'elettrolisi dell'acqua. È considerato verdequando l'elettricità utilizzata per scindere la molecola di acqua in idrogeno e ossigeno proviene dal solare, dall'eolico o dall'idroelettrico. Questo procedimento è stato a lungo molto costoso e soltanto l'1% dell'idrogeno utilizzato nel mondo è di origine rinnovabile. Tuttavia, negli ultimi anni il costo dell'idrogeno verde è diminuito e ora è di un ordine di grandezza ritenuto accettabile, afferma a SWI swissinfo.ch Alessandra Motz, ricercatrice dell'Osservatorio Finanze pubbliche ed Energia dell'Università della Svizzera italiana. "È per questo che se ne sta parlando ovunque", sottolinea. Il costo di produzione dell'idrogeno verde in Europa è attualmente di 3-8 euro al chilogrammoLink esterno, contro gli 1-2 €/kg per l'idrogeno proveniente da fonti fossili. L'idrogeno verde è fondamentale per decarbonizzare quei settori per i quali l'elettrificazione, cioè la sostituzione del carbone o del petrolio con l'elettricità rinnovabile, non fornirebbe abbastanza potenza o calore, spiega Motz. L'esperta si riferisce, ad esempio, alla siderurgia e al trasporto pesante su lunghe distanze. L'idrogeno svolge anche un ruolo nello stoccaggio e nel trasporto dell'energiagenerata dalle fonti rinnovabili. Altri sviluppi Svizzera, Paese pioniere nell'idrogeno L'idrogeno è stato scoperto oltre due secoli fa e la storia del suo utilizzo affonda le sue origini in Svizzera. L'inventore franco-svizzero François Isaac de Rivaz ha concepito il primo veicolo alimentato a idrogenoLink esterno, un carretto di legno equipaggiato con un motore a combustione interna testato per la prima volta nel 1813 a Vevey, nel Canton Vaud. Qualche anno dopo, nel 1838, il chimico e fisico svizzero Christian Friedrich Schönbein ha pubblicato il principio della pila a combustibile, oggi utilizzata per ottenere energia elettrica dall'idrogeno e dall'ossigeno. Più di recente, in Svizzera è stata creata su iniziativa del settore privato la prima filiera dell'idrogeno verde. Si tratta di un consorzio formato da un sito di produzione, da una rete di stazioni di rifornimento e da una flotta di una cinquantina di camion a idrogeno. La Svizzera è tra i Paesi europei con il maggior numero di stazioni di rifornimento a idrogenoLink esterno (attualmente 15). Soltanto in Germania, Francia, Regno Unito e Paesi Bassi ce ne sono di più. Corsa all'idrogeno verde nel mondo Gli sviluppi industriali, però, non si riflettono a livello politico e altri Paesi sono molto più avanti della Svizzera. Sulla scia del Giappone, il primo a formulare un'apposita strategia nazionale nel 2017, i Governi di Cina, India e Stati Uniti hanno annunciato piani dettagliati per investire decine di miliardi di dollari nell'industria emergente dell'idrogeno rinnovabile. Anche la Corea del Sud sta puntando molto sull'idrogeno, osserva Eric Plan, esperto di tecnologie pulite e segretario generale di CleantechAlps. Lo Stato asiatico dispone già di tutta l'infrastruttura per l'idrogeno grigio e appena ci sarà idrogeno rinnovabile a sufficienza potrà decarbonizzare la sua economia praticamente dall'oggi al domani, spiega Plan. L'Unione Europea e diversi suoi Stati membri non sono da meno: la tabella di marciaLink esterno presentata da Bruxelles nel 2020 prevede di decuplicare la produzione di idrogeno rinnovabile a 10 milioni di tonnellate entro il 2030. Germania e Italia hanno deciso di stanziare rispettivamente 9 e 3,6 miliardi di euro per progetti sull'idrogeno. La Svizzera vuole l'idrogeno, ma non sa da dove e quanto Anche il Governo svizzero considera l'idrogeno rinnovabile un tassello importante per raggiungere il suo obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050. Tuttavia, non ha ancora una visione chiara e dettagliata. Non si sa da dove proverrà l'idrogeno e in quali quantità. "Sembra che la Svizzera stia semplicemente a guardare mentre i suoi vicini dell'UE agiscono", ha criticato la Conferenza dei direttori e delle direttrici cantonali dell'energia in un comunicato pubblicato a fine agosto, invitando il Consiglio federale ad agire. Anche una recente analisi evidenzia la necessità di definire una chiara strategia il più rapidamente possibile. "Dobbiamo gettare le basi in Svizzera adesso se non vogliamo perdere le opportunità che l'idrogeno può offrire per l'approvvigionamento energetico futuro", sostiene Daniela Decurtins, direttrice dell'Associazione svizzera dell'industria del gas. L'importanza dell'idrogeno per il raggiungimento degli obiettivi climatici deve essere resa chiara, soprattutto a livello politico, afferma anche Bernhard Wüest, direttore dell'associazione Mobilità H2 Svizzera. "Senza una strategia non c'è sicurezza negli investimenti, il che blocca un'ulteriore espansione ", scrive in una mail a SWI swissinfo.ch. Una strategia nazionale per l'idrogeno sarà presentata nella seconda metà del 2024, indica l'Ufficio federale dell'energia (UFE). Verranno esaminate le condizioni quadro per favorire la creazione di un mercato dell'idrogeno in Svizzera e per garantire un collegamento del Paese alla futura rete europea dell'idrogeno, secondo l'UFE. Questo dovrebbe fornire una certa sicurezza agli investitori e alle aziende energetiche e creare i presupposti per importare idrogeno. Una rete per l'idrogeno che aggira la Svizzera? Una trentina di aziende che gestiscono i gasdotti nell'UE stanno riflettendo a una rete per il trasporto dell'idrogeno sul continente da realizzare entro il 2040. L'iniziativa European Hydrogen BackboneLink esterno si basa in gran parte sull'infrastruttura del gas naturale già esistente. I corridoi dovrebbero collegare il Nord Africa alla Germania via l'Italia e l'Austria. C'è quindi il rischio che la futura rete aggiri la Svizzera, avverte Matthias Sulzer, esperto di energia e coautore di uno studioLink esterno sul futuro energetico della Confederazione. Transitgas, l'azienda che gestisce il gasdotto situato in Svizzera, essenziale per il transito nord-sud del metano, vorrebbe aderire all'iniziativa europea al fine di "rafforzare la posizione della Confederazione", secondo il suo amministratore delegato, Ennio Sinigaglia. Tuttavia, a causa dello stallo delle relazioni tra la Confederazione e l'UE in seguito al ritiro elvetico dai negoziati sull'accordo istituzionale, una partecipazione della Svizzera al mercato europeo dell'idrogeno non è affatto scontata. La Svizzera sta già incontrando difficoltà nel settore dell'elettricità, per il quale non è ancora stata raggiunta un'intesa con Bruxelles. La Svizzera è già esclusa dal mercato interno UE dell'energia e "adesso rischia di perdere anche il treno dell'idrogeno", afferma Alessandra Motz. Nell'attesa di sviluppi e di eventuali negoziati, sottolinea, è importante "tenere gli occhi aperti" su quanto succede nel mondo dell'idrogeno e continuare a investire nella ricerca e nell'innovazione. Read the full article
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personal-reporter · 1 year
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Adam Smith: economista e filosofo
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L’economista che segnò una svolta nel Settecento europeo… Adam Smith nacque a Kirkcaldy, in Scozia,  il 5 giugno 1723 e compì gli studi nelle università di Glasgow e Oxford e, diventato professore, tenne lezioni di retorica e letteratura a Edimburgo dal 1748 al 1751. In quegli anni Smith strinse una stretta collaborazione con il filosofo David Hume, che durò fino alla sua morte, avvenuta nel 1776,  e contribuì in modo importante allo sviluppo delle teorie etiche ed economiche di Smith. Adam fu nominato nel 1751 professore di Logica e l'anno seguente professore di Filosofia morale, presso l'Università di Glasgow, poi raccolse le sue lezioni di etica nella sua prima grande opera, Teoria dei sentimenti morali (1759). Il filosofo conobbe Voltaire a Ginevra nel 1765, poi, come molti dei principali esponenti della scuola dei fisiocratici del continente, fu influenzato in modo particolare da François Quesnay e Anne-Robert-Jacques Turgot, da cui trasse alcuni elementi che confluiranno nella sua teoria. Dal 1766 lavorò alla Ricchezza delle nazioni, pubblicata nel 1776, che in qualche modo segnò simbolicamente l'inizio della storia dell'Economia come scienza autonoma. La Ricchezza delle nazioni era il primo serio tentativo di separare l'economia politica dalle discipline connesse della teoria della politica, dell'etica e del diritto, oltre ad essere un analisi dei processi di produzione e distribuzione della ricchezza economica; Smith dimostrò che le fonti principali di ogni reddito risiedono nel lavoro, nella quota dei lavoratori produttivi sul totale della popolazione,  e nel livello di produttività di questo. La tesi principale era che il lavoro,  e quindi il capitale che ne aumenta la produttività.  viene impiegato nel migliore dei modi in condizioni di non interferenza pubblica e di libero scambio. Per spiegare questa tesi Smith si servì della metafora della mano invisibile, dato che ciascun individuo, nel perseguire il proprio tornaconto, viene spinto , come da una mano invisibile,  a operare per il bene di tutta la collettività, mentre ogni interferenza nella libera concorrenza da parte del governo è pertanto quasi sicuramente dannosa. Nel 1778 Smith fu nominato commissario delle dogane e si trasferì ad Edinburgo, dove ebbe il tempo per dedicarsi alla riedizione della Ricchezza delle nazioni ed alla revisione della Teoria dei sentimenti morali. Adam Smith morì il 17 luglio 1790, lasciando agli amici una serie di istruzioni per bruciare gran parte dei suoi scritti. Read the full article
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padrebaldo · 2 years
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👇🏻🇮🇹🇫🇷🇪🇸🇺🇸👇🏻 🇮🇹 « Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati » - san Francesco (da Fonti francescane 221) 🇫🇷 « Regardez, frères, l'humilité de Dieu, et ouvrez vos cœurs devant lui ; humiliez-vous aussi, afin que vous soyez exaltés par lui » - Saint François (des Sources Franciscaines 221) 🇪🇸 « Mirad, hermanos, la humildad de Dios, y abrid ante él vuestros corazones; humíllense ustedes también, para que sean exaltados por él » - San Francisco (de Fuentes Franciscanas 221) 🇺🇸 « Look, brothers, at God's humility, and open your hearts before him; humble yourselves too, so that you may be exalted by him » - St. Francis (from Franciscan Sources 221) #bible #dieu #jesus #jesuschrist #evangile #seigneur #chretienlifestyle #saintesprit #paix #pensée #pensiero #sagesse #penséeincomplète #mindfulness #frasifamose #vie #motivation #peace #leadership #life #lifestyle #trainingtime #training #vita #bibbia https://www.instagram.com/p/Ci-XHyfqWr4/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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shakespearenews · 2 years
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Barbara Schultz, left, as Rosalind and Ariane Mourier as Celia in “As You Like It” at the Théâtre de la Pépinière. Credit: François Fonty
“As You Like It” is rarely performed in France, in part because its brand of pastoral fantasy isn’t easy to transpose, but the translator Pierre-Alain Leleu has provided this production with a brilliantly witty French rendition. Bréban, for her part, has a gift for instilling an exhilarating sense of collective rhythm in her actors. There isn’t a dull moment in her Forest of Arden; the relationship between the cousins Rosalind (Barbara Schulz) and Celia (Ariane Mourier) is especially loving and zany.
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diceriadelluntore · 3 years
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L’ordine degli assassini di Marshall G.S. Hodgson (Adelphi) è uno dei libri più affascinanti e difficili da leggere che abbia mai tenuto tra le mani. Le due cose coincidono nei motivi. Hodgson, uno dei più grandi islamisti del mondo occidentale, pubblicò i suoi studi con estrema parsimonia, e la loro diffusione avvenne dopo la sua morte, avvenuta prematuramente verso la fine degli anni ‘60: quello pubblicato da Adelphi è la sua tesi di dottorato presso il Dipartimento di Studi Islamici dell’Università di Chicago, e senza revisioni nè accorgimenti fu data alla stampe per la precisione storica e filosofica che il lavoro di Hodgson possiede, rendendolo un classico dell’islamistica contemporanea.
Questo saggio monumentale tratta della setta islamica dei Nizariti, dissidente musulmana, diffusasi intorno al XI secolo d.C: gli Hašīšiyyūn (da cui deriva il nostro termine assassini), divennero noti come dei fanatici sicari, dediti a precisi ed efferati omicidi contro i nemici, ma anche di azioni suicide, che compivano nella convinzione di guadagnarsi così il Paradiso. Il lavoro di Hodgson, portentoso, cerca con successo invece di rivalutare, attraverso un memorabile gioco di triangolazioni delle fonti, il pensiero e l’ideologia nizarita.
L’aura di sanguinari senza scrupoli si deve agli studi di un islamista francese dell’800, Antoine-Isaac Silvestre, barone de Sacy, che fu esimio orientalista e maestro di Jean-François Champollion: scrisse in una delle sue opera di questa setta, attiva in quello che è l’odierno Iran: trasse l’etimologia di assassino da hasisiyya, vale a dire consumatore di hashish, la canapa inebriante. Egli dimostrò che non solo gli autori cristiani ed ebrei, ma anche alcuni musulmani chiamavano così i Nizariti. Quella che da qui prese piede, anche tramite la diffusione di altri autori prussiani e inglese è che l’hashish fosse l’ingrediente segreto per questi infallibili sicari per compiere le loro azioni omicide. Hodgson, con meticolosa precisione, smonta l’aura diabolica e sanguinaria dei Nizariti rendendo chiaro, attraverso un sontuoso e precisissimo lavoro di ricerca (il libro è corredato da mappe, alberi genealogici, una bibliografia monumentale, note di traduzione dal persiano e dall’arabo) che non solo l’etimologia, ma persino l’aura sanguinaria della setta fu dovuta ad un’opera quasi sistematica di false attribuzioni, di reinterpretazioni capziose, scritti millantatori e ingiuriosi. Perchè è nella loro ideologia che c’era un grande vulnus nella predominante dottrina sunnita, allora come oggi predominante nell’Islam:
Nati nel 1094 da uno scisma interno all’Ismailismo, a sua volta un ramo dello sciismo, i Nizariti conquistarono in breve tempo una serie di fortezze tra la Siria, l’Iraq e l’Iran e vi si asserragliarono. Da lì lanciarono una sfida all’intero mondo islamico, che li considerava temibili eretici, e per quasi due secoli seppero tenergli testa sia militarmente sia culturalmente, elaborando una versione dell’assetto sociale, politico e religioso dell’Islam radicalmente alternativa a quella sunnita che si andava allora affermando. E il coronamento di questa visione fu, nel 1164, la proclamazione della Qiyāma o «Resurrezione», cioè l’abrogazione dei vincoli della šarī’a, la legge religiosa, e l’istituzione del Paradiso in terra con la rinascita dei fedeli nizariti a una vita spirituale immortale (Prefazione - L’ismailismo come proposta di sintesi alternativa).
Dalla loro capitale, Alamut, una fortezza invalicabile costruita a 2000 metri sul livello del mare, a 100 km dall’odierna Teheran, i Nizariti svilupparono, non senza contraddizioni, una dottrina che di fatto metteva al centro un nuovo pensiero filosofico, il Tanzih, dove venivano ribaltati il ruolo del Profeta e dell’Imam, in una nuova concezione che metteva in discussione i riti dell’ortodossia (addirittura il ramadan) con importanti avvicinamenti alla filosofia sufi e persino al cristianesimo primigenio.
Fu questa secondo Hodgson la causa di così cattiva fama, passata nei secoli anche attraverso leggende letterarie, la più famosa portata avanti da Marco Polo (che va detto storicamente non poté mai incontrare i Nizariti, sterminati dal re mongolo Hulagu un decennio prima del viaggio verso oriente del veneziano)
La leggenda, piuttosto famosa, racconta:
Isma’il, ai tempi del sovrano Zahir, arrivò a Tripoli carco di gioielli rubati e circondato da suoi fida’i. Si recò a Masyaf e fece costruire uno splendido giardino con al centro un padiglione decorato di ogni magnificenza. Lo popolò di seducenti schiave e schiavi, di gazzelle, uccelli rari, piante meravigliose e profumate, insomma ogni sorta di delizie. Poi unì con un tunnel sotterraneo il giardino delle meraviglie al suo palazzo in città dove invitava molti ospiti. Qui, li intratteneva sulla magnificenza di Alì, l’unico vero visir, l’unico vero discendente di Mohamed; quindi drogava i suoi ospiti e li trasportava segretamente nel giardino delle meraviglie. Questi, dopo essersi dilettati in ogni sorta di piaceri, venivano drogati nuovamente e riportati a palazzo. Quando si riprendevano Isma’il diceva loro che non si era trattato di un sogno, ma che quello era un miracolo di Alì; e che se avessero mantenuto il segreto e servito Isma’il nella sua Guerra Santa, avrebbero ricevuto quel posto in Paradiso per l’eternità; se invece avessero rivelato il segreto, avrebbero sofferto orribili pene.
Marshall G.S. Hodgson tenta, non senza difficoltà e punti che egli stesso dichiara di rivedere con futuri studi, di ridare dignità all’identità degli Ismailiti, che ebbero la sfortuna anche di depredare i Crociati in molte occasioni, cosa che non fece altro che aumentare la loro cattiva fama non solo tra le altre fedi, ma anche nelle altre dottrine islamiche, in cui ancora oggi la parola richiama sinistri accadimenti. Rimane invece un’ideologia che non solo fu vincente in determinati luoghi (in Egitto fu la dinastia sovrana per secoli) ma fu una delle più raffinate e intriganti dottrine religiose del tempo, con momenti e sistemi di notevole complessità e, visti con gli occhi odierni, di accattivante modernità: più che gli assassinii, perpetrati senz’altro dai sicari nizariti ma pratica comune a tutte le dottrine dell’Islam, furono i loro nemici ortodossi a farne una specie di incubo culturale.
In tempi difficili come quelli odierni, e di gestione delle informazioni così fondamentali, una lezione che invita ancora una volta a farci riflettere sui percorsi della Storia.
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andyfi03 · 4 years
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Si inaugura oggi 24 luglio negli spazi di Santa Maria della Scala a Siena la mostra : Il sogno di Lady Florence Phillips – La Collezione della Johannesburg Art Gallery.
La mostra, di Opera – Civita, promossa dal Comune di Siena, a cura di Simona Bartolena, è la prima mostra che si tiene a Siena dopo il lockdown dovuto al Corona virus, presenta la collezione di capolavori conservata permanentemente alla Galleria d’Arte di Johannesburg.
Una selezione di circa sessanta opere, tra olii, acquerelli e grafiche, ripercorre oltre un secolo di storia dell’arte internazionale, dalla metà del XIX secolo fino al secondo Novecento, attraverso i suoi maggiori interpreti: Degas, Monet, Cézanne, Van Gogh, Matisse, Modigliani, Turner, Rodin, Moore, Lichtenstein, Derain, Pissarro, Corot, Sargent, Sisley, Bacon, Rossetti, Warhol, Signac, Picasso e molti altri.
Aperta al pubblico nel 1910, la Johannesburg Art Gallery è il principale museo d’arte del continente africano. La mostra presenta una selezione di 64 opere scelte dalle sue vastissime collezioni, spaziando dai grandi artisti europei dell’Ottocento ai maestri (ben meno noti e per questo ancor più sorprendenti) della scena sudafricana del XX secolo: da Degas a Rossetti, da Corot a Boudin, da Courbet a Monet, da Signac a Van Gogh, da Picasso a Bacon, Lichtenstein e Warhol, fino a William Kentridge. Una serie inaspettata di capolavori che permettono di percorrere un vero e proprio viaggio nella storia dell’arte del XIX e XX secolo, spaziando dall’Europa agli Stati Uniti, fino al Sudafrica.
Ma la vera protagonista dell’esposizione è Lady Florence Phillips, la fondatrice del museo, figura straordinaria, tutta da scoprire. Lady Phillips era nata il 14 giugno 1863 a Cape Town. Suo padre, Albert Frederick Ortlepp, è un naturalista, ispettore dei territori di Colesberg. Nel 1885 Florence aveva sposato Lionel Phillips, figlio di mercanti della lower middle-class londinese, e con lui si era trasferita a Johannesburg. Nel 1892 Lionel era stato eletto presidente della Chamber of Mines, acquistando sempre più potere e perseguendo interessi politici che sfoceranno nel coinvolgimento personale nel “Jameson Raid”, il fallimentare tentativo britannico di sovvertire il governo sudafricano, allora ancora in mano ai boeri. Consegnatosi alla giustizia per chiedere la grazia, Phillips venne invece condannato a morte, ma dopo sei mesi di prigionia venne liberato e costretto all’esilio in Inghilterra. Florence, che fino ad allora aveva viaggiato molto, torna in quell’occasione accanto al marito e lo segue a Londra. È in questo periodo che Florence comincia ad appassionarsi all’arte, prima timidamente, poi con sempre maggior convinzione, cominciando a maturare la convinzione che l’arte possa essere utile, farsi strumento di aiuto sociale, in particolare per le fasce di popolazione più bisognose. Tornata a Johannesburg nel 1906, comincia a dare corpo al suo sogno di realizzare qualcosa di importante per il Sudafrica. Guidata da uno straordinario filantropismo, oltre che dalla volontà di dare visibilità e credibilità culturale al proprio paese d’origine, Lady Phillips immagina una galleria pubblica di livello internazionale, con sede a Johannesburg. Ma il contributo di Florence per il proprio paese non si ferma alla creazione del museo. Collezionista di manufatti africani, Lady Phillips si prodiga nella divulgazione e protezione delle tradizioni dei nativi. Florence morì il 23 agosto del 1940, nella tenuta di famiglia nel West Somerset. Le sembianze di questa donna straordinaria sopravvivono in alcune immagini fotografiche e, soprattutto, in alcuni splendidi dipinti. Uno di questi è la tela di Antonio Mancini, che ritrae Florence a 46 anni, da cui prenderà avvio il percorso della mostra.
Nei propositi espressi in occasione della fondazione del Museo, Lady Phillips sottolinea un importante scopo del suo progetto: “Noi possiamo sperare che in futuro cresca una Scuola d’Arte Sudafricana e che lo studio dei capolavori che siamo riusciti ad assicurare a questa galleria aiuti anche a incentivare gli artisti locali”. La valorizzazione dell’arte e della cultura sudafricane ha quindi un ruolo importante nelle finalità dell’Art Gallery.
Dopo un’introduzione alla figura di Lady Phillips, la mostra comincia il proprio percorso espositivo con la sezione dedicata all’Ottocento inglese, con opere del grande protagonista del romanticismo britannico Joseph Mallord William Turner, dei Preraffaelliti Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais e di Sir Lawrence Alma-Tadema.
Un nucleo di opere francesi della seconda metà dell’Ottocento sono le protagoniste della sezione successiva: in esposizione la veduta delle falesie normanne di Étretat di Gustave Courbet e opere di François Millet e Henri-Joseph Harpignie.
Il percorso prosegue con la straordinaria novità del linguaggio impressionista delle opere di Monet, Sisley, Degas e Guillaumin e con alcuni protagonisti della scena postimpressionista. Notevole  spazio ha in mostra il pointillisme grazie alla presenza di due capolavori di Paul Signac, un paesaggio di Lucien Pissarro e un importante lavoro di Henri Le Sidaner.
  Segnano, invece, il passaggio al XX secolo i disegni di due grandi scultori: Auguste Rodin e Aristide Maillol. In mostra, al rigore di André Derain fanno da contrappunto l’approccio già avanguardista di Ossip Zadkine e l’inconfondibile eleganza del segno di Amedeo Modigliani e dello sguardo di Henri Matisse. Quattro grafiche e una significativa Testa di Arlecchino a pastello raccontano la ricerca di Pablo Picasso.
La collezione storica dedicata al secondo Novecento è testimoniata da un tormentato ritratto maschile di Francis Bacon, un intenso carboncino di Henry Moore, e due capolavori pop di Roy Lichtenstein e Andy Warhol.
L’ultima sezione della mostra è dedicata all’arte africana e si chiude con tre splendide opere di William Kentridge, il più noto rappresentante dell’arte sudafricana nel mondo contemporaneo.
 Le informazioni, le prevendite e le prenotazioni sono aperte al numero +39 0577 286300 o scrivendo una mail a [email protected]
fino al 10 gennaio 2021
Tutti i giorni dalle 10:30 alle 18:00 (ultimo ingresso 17:15)
TICKET: € 5,00 Intero – Gratuito fino a 11 anni di età
fonti : comunicato stampa
immagini : Andrea Paoletti © 2020
Il sogno di Lady Florence Phillips a Siena Si inaugura oggi 24 luglio negli spazi di Santa Maria della Scala a Siena la mostra : …
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italianaradio · 5 years
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Quasi amici: 10 cose che non sai sul film
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/quasi-amici-10-cose-che-non-sai-sul-film/
Quasi amici: 10 cose che non sai sul film
Quasi amici: 10 cose che non sai sul film
Quasi amici: 10 cose che non sai sul film
Quasi amici è un film brillante che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo, negli ultimi anni, con la sua leggerenza e, allo stesso tempo, profondità di analisi di un rapporto inaspettato e delle sue conseguenze.
Il film, tratto da una storia vera, incoraggia a non abbattersi mai per nessuna ragione al mondo e di proseguire nel cammino della vita imparando a vivere in maniera positiva.
Ecco, allora, dieci cose da sapere su Quasi amici.
Quasi amici film
1. È stata cambiata la nazionalità di uno dei due protagonisti. Quasi amici è un film che si basa su una storia vera, con Driss che in realtà di chiama Abdel ed è di origine algerina. Per realizzare il film, i registi Èric Toledano e Olivier Nakache hanno deciso di cambiare la nazionalità del personaggio per poter ingaggiare Omar Sy, con cui avevano già lavorato in Troppo amici (2009).
2. Si è dato risalto ad un contrasto specifico. In Quasi amici, il nervosismo e il leggero movimento di Driss nella prima scena in cui incontra Philippe era intenzionale. Ciò è stato voluto per mostrare il contrasto tra la mobilità di Driss con l’immobilità di Philippe.
3. È stato onorato da una famosa associazione. Quasi amici, oltre a riscuotere consensi in tutti il mondo, è ricevuto anche gli onori dalla Christopher & Dana Reeve Foundation, un’organizzazione no-profit americana con l’obiettivo di aiutare le persone che soffrono di paralisi, sostenendo la ricerca avanzata. Il 28 novembre del 2012 i registi hanno ricevuto il premio HOPE dalla fondazione.
Quasi amici streaming
4. Il film è disponibile in streaming digitale. Chi volesse rivedere o vedere per la prima volta Quasi amici, è possibile farlo grazie alla sua presenza sulle diverse piattaforme digitali in streaming di Rakuten Tv, Chili, Infinity e Netflix.
Quasi amici storia vera
5. Il film si basa su una storia vera. Quasi amici è il racconto una storia vera che ha visto coinvolti Philippe Pozzo di Borgo ed il suo aiutante Abdel Sellou. Sembra che i registi abbiano scoperto la storia della loro amicizia grazie al film documentario À la vie, à la mort (2003).
6. Dalla storia vera sono nati due libri. La storia vera che ha avvolto i due protagonisti non poteva che dare vita a due libri e a due punti di vista differenti. Borgo Philippe Pozzo ha realizzato il libro Il diavolo custode (Quasi amici) nel qualche racconta l’uscita dalla depressione grazie all’amicizia con Abdel e la volontà di ricostruirsi una nuova vita, mentre Abdel Sellou ha dato alle stampe Mi hai cambiato la vita.
Quasi amici: colonna sonora
7. Ludovico Einaudi ha lavorato per questo film. Sebbene la colonna sonora di Quasi amici sia composta da diverse musiche, la maggior parte di queste sono state realizzate da Ludovido Einaudi. Le sue tracce si intitolano Fly, Writing Poems, L’origine nascosta, Cache-Cache e Una mattina.
Quasi amici cast
8. François Cluzet ha incontrato il vero Philippe. Per potersi immedesimare nel suo personaggio, François Cluzet ha deciso di incontrare Philippe Pozzo di Borgo, imparando da lui la gioia della vita che lo tiene vivo e il fatto di interagire con le persone. Tra le altre cose, Cluzet ha imparato anche delle specifiche posizioni della testa per rappresentare il suo personaggio tetraplegico.
9. La realizzaione del film è dipesa da Omar Sy. L’attore francese aveva già lavorato in tre film dei registi di questo film e, quando questi avevano intenzione di realizzarlo, sapevano già chi chiamare. Tuttavia, Sy è stato praticamente l’ago della bilancia perché se lui non fosse salito sulla barca la sceneggiatura non si sarebbe mai fatta.
Quasi amici finale
10. Ognuno prende la propria strada. Un film come Quasi amici raccoglie il significato di come da un rapporto inaspettato possano nascere profondi legami, di come si possa ritrovare la forza di vivere la vita e di combattere tutti gli ostacoli che si presentano sul proprio percorso. Ma anche di come, inevitabilmente, prima o poi ognuno deve seguire la sua strada, sapendo che il legame esistente non si spezzerà mai.
Fonti: IMDb, Comingsoon
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Quasi amici: 10 cose che non sai sul film
Quasi amici è un film brillante che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo, negli ultimi anni, con la sua leggerenza e, allo stesso tempo, profondità di analisi di un rapporto inaspettato e delle sue conseguenze. Il film, tratto da una storia vera, incoraggia a non abbattersi mai per nessuna ragione al mondo e […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Mara Siviero
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guycourtheoux · 5 years
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INTRA MUROS d'Alexis MICHALIK à la Pépinière Théâtre, entretien avec un des comédiens : Arnaud Pfeiffer
INTRA MUROS d’Alexis MICHALIK à la Pépinière Théâtre, entretien avec un des comédiens : Arnaud Pfeiffer
Monsieur Alexis Michalik est un  des auteurs actuels les plus en vogue, avec pluseiurs pièces à l’affiche, toutes avec un succès non démenti. Voici la reprise en continuation de INTRA MUROS au Théâtre La Pépinière, pour sa troisième saison.
Richard, un metteur en scène sur le retour, vient dispenser son premier cours de théâtre en centrale, donc en univers carcéral! . Il espère une forte…
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tmnotizie · 6 years
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PESARO – Dopo il successo di Loving Vincent, che ha ormai portato nelle sale un totale di 240 mila spettatori, arriva al cinema il film evento che offre un nuovo sguardo su Van Gogh (1853-1890), attraverso il lascito della più grande collezionista privata di opere del pittore olandese: Helene Kröller–Müller (1869-1939), la donna che ai primi del Novecento, ammaliata da un viaggio tra Milano, Roma e Firenze, e sull’esempio del mecenatismo dei Medici, giunse ad acquistare quasi 300 suoi lavori, tra dipinti e disegni.
Così, proprio a partire dall’Italia tanto amata da Helene e da una mostra che sta raccogliendo un’affluenza eccezionale (sono già quasi 350.000 i visitatori a oggi, a un mese dalla chiusura), nasce Van Gogh. Tra il grano e il cielo. Il film evento, diretto da Giovanni Piscaglia e scritto da Matteo Moneta con la consulenza scientifica e la partecipazione di Marco Goldin, è prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital e sarà nelle sale solo il 9, 10 e 11 aprile (elenco a breve su www.nexodigital.it), per raccontare l’unione spirituale di due persone che non si incontrarono mai durante la loro vita (Helene Kröller–Müller aveva 11 anni quando Van Gogh morì nel 1890), ma che condivisero la stessa tensione verso l’assoluto, la stessa ricerca di una dimensione religiosa e artistica pura, senza compromessi. Due universi interiori dominati dall’inquietudine e dal tormento, che entrambi hanno espresso attraverso una vera e propria mole di lettere: fonti storiche insostituibili ed elemento suggestivo che punteggia la narrazione del documentario. La colonna sonora originale del film è firmata dal compositore e pianista Remo Anzovino.
Ad accompagnare l’intero racconto è l’attrice Valeria Bruni Tedeschi, ripresa nella chiesa di Auvers-sur-Oise che Van Gogh dipinse qualche settimana prima di suicidarsi. L’occasione per raccontare l’intera parabola artistica di Van Gogh, e la collezione di Helene Kröller–Müller, è una mostra di eccezionale rilievo, Van Gogh. Tra il grano e il cielo, nella Basilica Palladiana di Vicenza, curata dallo storico dell’arte Marco Goldin, che raccoglie 40 dipinti e 85 disegni proventi dal Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda, dove oggi è custodita l’eredità di Helene.
Al viaggio dentro la mostra, si affianca quello in alcuni dei luoghi più importanti per l’arte di Van Gogh: la chiesa di Nuenen (soggetto dei quadri e dei disegni degli anni olandesi che fanno da sfondo al capitolo dedicato all’ansia religiosa di Van Gogh, che trova un parallelo in quella di Helene), l’Accademia Reale di Belle arti di Bruxelles (nelle cui aule Vincent trascorse pochi mesi), le strade di Parigi (da Rue Lepic 54, dove Vincent visse per due anni a partire dal marzo 1886 con il fratello Theo, sino al Moulin de la Galette e alla vigna di Montmartre) e Auvers-sur-Oise (dove l’artista si recò negli ultimi settanta giorni della sua vita e fu accompagnato in questo percorso dal Dottor Gachet). Una serie di preziose riprese sono state realizzate a Otterlo nelle sale e nel parco del Kröller-Müller Museum, progettato da Henry van de Velde a poco più di un’ora di auto da Amsterdam.
 Il documentario propone inoltre gli interventi di alcuni autorevoli esperti: la storica dell’arte Lisette Pelsers, direttrice del Kröller–Müller Museum di Otterlo in Olanda; Leo Jansen, studioso che ha curato l’edizione critica delle lettere di Van Gogh; Sjraar van Heugten, storico dell’arte tra le maggiori autorità mondiali sul lavoro di Vincent van Gogh; la scrittrice e storica della cultura, Eva Rovers, autrice della biografia di Helene; Georges Mayer, professore onorario di Storia dell’arte all’Accademia Reale di Belle Arti di Bruxelles; lo scrittore e docente di Storia dell’arte all’Università Paris 8 Pascal Bonafoux.
 Helene Müller fu nel suo tempo una delle donne più ricche d’Olanda. Figlia di industriali tedeschi, sposò Anton Kröller, con il quale si trasferì in Olanda e con cui ebbe 4 figli. Si avvicinò all’arte durante le lezioni di Henk Bremmer, pittore e divulgatore culturale, dal quale era solita accompagnare la figlia. Fu Bremmer a consigliarle i primi acquisti e a farle conoscere l’arte di Van Gogh. E nel 1909 Helene acquistò il primo quadro del pittore olandese. Negli anni della maturità, quando la sua collezione sarà la più importante dopo quella degli eredi di Van Gogh, Helene deciderà di fondare un museo per condividere con gli altri la serenità e il conforto che traeva dai quadri.
L’ispirazione le verrà proprio da un viaggio in Italia, tra Milano, Roma e Firenze, dove l’esempio dei Medici e del loro mecenatismo fece su di lei una profonda impressione. Helene si ispirò a Van Gogh a tal punto da andare al fronte a curare i feriti durante la Prima guerra mondiale, spinta da quello stesso amore verso i sofferenti e gli umili che aveva portato Vincent a farsi predicatore laico tra i minatori della regione belga del Borinage, qualche tempo prima di decidere di diventare artista.
Curata da Marco Goldin, la mostra Van Gogh. Tra il grano e il cielo (aperta sino all’8 aprile nella Basilica Palladiana di Vicenza) racconta l’arte e il genio di Van Gogh attraverso i principali periodi della sua attività: gli anni olandesi, dominati da scene di vita contadina e da colori terrosi, debitori della pittura di Jean-François Millet e della scuola realista francese di Barbizon, oltre che della scuola dell’Aia; il periodo parigino, quando Van Gogh trova la sua strada nell’esplosione del colore e nella pittura a piccoli tocchi degli impressionisti e soprattutto dei post impressionisti come Seurat.
Arles, il momento più felice, quando il pittore si perde nella luce e nell’estasi della pittura en plein air, ma anche quando la tensione emotiva e il fallito tentativo di dare vita a una comunità artistica insieme all’amico Gauguin lo portano alla prima grave crisi, che lo conduce a recidersi parte dell’orecchio; il ricovero nella casa di cura per malattie mentali a Saint-Rémy e l’elaborazione di un segno stilizzato e vorticoso, forse il suo più caratteristico; infine le ultime dieci settimane a Auvers-sur-Oise, quando la sua pittura si fa un poco più distesa. Particolare rilievo la mostra dedica al disegno nella pratica dell’artista olandese.
Le sue tele apparentemente istintive e realizzate in presa diretta si avvalevano talvolta di lunghi studi preparatori, non schizzi ma opere in sé compiute, dove già si trova la presenza della linea spezzata che caratterizza lo stile dei dipinti. Lavori delicati, i disegni, che soffrono la luce e che pertanto è molto raro vedere esposti.
il , scritto da Matteo Moneta, è di Giovanni Piscaglia, pesarese, classe 1984, diplomato al Liceo Classico, laureato in Scienze della Comunicazione e Semiotica all’Università di Bologna nel 2008, si avvia alla carriera di filmmaker allo IED di Milano diplomandosi nel 2010. Tra il 2008 e il 2011 realizza videoclip, cortometraggi, installazioni e lavori di videoarte che gli valgono premi al Festival Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro – I° Premio nel 2009 e III° nel 2010.
Nel 2011 realizza “ODISSEA_KOMA_NOSTOS”, videoinstallazione a 4 schermi basata su un adattamento originale dell’Odissea di Omero, che ottiene una menzione speciale alle selezioni della Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo e pubblicata nel saggio “Felici coincidenze. L’antico nello sguardo dell’arte contemporanea” di Lucia Cataldo. Nel 2010 il primo documentario, realizzato per il Piccolo Teatro di Milano: “La compagnia alla prima” presentato al Chiostro del Teatro Grassi.
Dal 2011 è nell’organico 3D Produzioni come regista e autore. Dal 2013 a oggi ha firmato con 3D Produzioni e per Sky Arte HD numerosi titoli, occupandosi in maniera preferenziale di arte antica e teatro. Tra i più importanti: Gli Ulissi: In viaggio con Bob Wilson (2013); Maria Callas Remastered (con Dario Fo), (2014); Divina Bellezza – Il Duomo di Siena (con Alessandro Haber), (2016); Culture Chanel, la donna che legge (con Kasia Smutniak), (2016); Galleria Nazionale dell’Umbria. Il Cuore della Perfezione, (2016); Viae Crucis – Le 40 ore di Taranto (2017).
I media partner Radio Capital, Sky Arte HD, ARTE.it e MYmovies.it. Si ringrazia Guanda, editore italiano di Lettere a Theo di Vincent van Gogh, per aver messo a disposizione del documentario le sue traduzioni a cura di Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia.
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jamariyanews · 7 years
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Il nuovo Ordine Mediatico Mondiale
In pochi mesi, il contenuto dei media nazionali e internazionali è profondamente cambiato in Occidente. Stiamo assistendo alla nascita di un Patto di cui non conosciamo i veri iniziatori né gli obiettivi reali, ma di cui da subito osserviamo le conseguenze dirette contro la democrazia.
Rete Voltaire| Damasco (Siria) | 7 marzo 2017 
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L’Occidente sta vivendo una crisi sistemica senza precedenti: forze potenti guidano progressivamente tutti i media in una sola direzione. Allo stesso tempo, i contenuti dei media si trasformano: sino appena all’anno scorso, erano logici e tendevano all’obiettività. Si procuravano un reciproco contradditorio dentro una sana competizione. Ora invece agiscono per bande, fondano la loro coerenza sulle emozioni e diventano feroci di fronte agli individui che denunciano.
L’idea di un Patto dei media è un’estensione dell’esperienza dell’International Consortium for Investigative Journalism (ICIJ) ("Consorzio Internazionale per il giornalismo investigativo"), che non aggrega dei media, bensì unicamente singoli giornalisti a titolo individuale. Si è reso famoso nel pubblicare informazioni trafugate dalla contabilità di due studi legali nelle Isole Vergini Britanniche, PricewaterhouseCoopers (PwC), HSBC Bank, e lo studio panamense Mossack Fonseca. Queste rivelazioni sono state utilizzate principalmente per screditare dirigenti cinesi e russi, ma anche a volte per mettere in luce veri delitti commessi dagli occidentali. Soprattutto, con il pretesto lodevole della lotta contro la corruzione, la violazione della riservatezza degli avvocati e delle banche ha inflitto un danno molto pesante a migliaia di loro clienti onesti senza alcuna reazione dell’opinione pubblica. Da quarant’anni in qua, assistiamo a una progressiva concentrazione in seno ai trust internazionali. Attualmente, 14 gruppi si spartiscono oltre due terzi della stampa occidentale (21st Century Fox, Bertelsmann, CBS Corporation, Comcast, Hearst Corporation, Lagardère Group, News Corp, Organizações Globo, Sony, Televisa, The Walt Disney Company, Time Warner, Viacom, Vivendi). Ormai, l’alleanza operata da Google Media Lab e First Draft intreccia dei legami tra quei gruppi che già detenevano una posizione dominante. La presenza in questo Patto delle tre principali agenzie di stampa del pianeta (Associated Press, Agence France-Presse, Reuters) gli garantisce una forza d’urto egemonica. Si tratta senza alcun dubbio di un "cartello" illecito, non tanto stabilito per un obiettivo di fissazione dei prezzi, quanto per fissare lo spirito, e imporre un pensiero già dominante. Si può osservare che tutti i membri – senza eccezione –del Patto di Google hanno già dato, nel corso degli ultimi sei anni, una visione univoca degli avvenimenti nel Medio Oriente allargato. Eppure non vi era alcun accordo preventivo tra di loro, o perlomeno non lo si conosceva. È una cosa intrigante che in questo Patto siano presenti ben cinque delle sei televisioni internazionali che hanno partecipato alla cellula di propaganda della NATO (Al-Jazeera, BBC, CNN, France24, Sky, ma apparentemente non Al-Arabiya). Negli Stati Uniti, in Francia e in Germania, Google e First Draft ("prima bozza") hanno riunito media presenti sia a livello locale in questi paesi e altri presenti a livello internazionale per verificare la veridicità di determinati argomenti. Oltre a ignorare chi ci sia dietro First Draft e quali interessi politici abbiano spinto una società commerciale specializzata in informatica a finanziare questa iniziativa, il suo risultato atteso ha poco a che fare con il ritorno all’obiettività. In primo luogo, perché le imputazioni verificate non sono scelte per la posizione che ricoprono nel dibattito pubblico, ma perché sono state citate da individui che questo Patto dei media intende denunciare. Possiamo credere che queste verifiche permetteranno di avvicinarci alla verità, ma non del tutto: confortano il cittadino nell’impressione che i media siano onesti mentre le persone che denunciano non lo sono affatto. Questo approccio non mira a capire meglio il mondo, ma a buttare a terra le persone da abbattere. Per di più, una regola non scritta di questo Patto dei media pretende che si verifichino solo le imputazioni a carico di fonti esterne al Patto. I membri si trattengono dall’esercitare lo spirito critico fra di loro. Si tratta di rafforzare l’idea che il mondo sia diviso in due: "noi" che diciamo la verità e "gli altri" che sono dei bugiardi. Questo approccio mina il principio del pluralismo, propedeutico alla democrazia, e apre la strada a una società totalitaria. Non è una novità, poiché l’abbiamo visto all’opera nella copertura informativa della primavera araba e delle guerre contro la Libia e la Siria. Ma, per la prima volta, incolpa una scuola di pensiero occidentale. Infine, le imputazioni che saranno descritte come "false" non saranno mai considerate errori, ma sempre come menzogne. Si tratta, a priori, di attribuire agli "altri" delle intenzioni machiavelliche per screditarli. Questo approccio attenta alla presunzione di innocenza. Questo è il motivo per cui il funzionamento della ICIJ e quello del Patto creato da Google e First Draft violano la Carta di Monaco adottata dall’Organizzazione internazionale dei giornalisti (titolo II, articoli 2, 4, 5 e 9). Non è irrilevante il fatto che delle azioni legali aberranti si siano sviluppate a carico degli stessi bersagli contro cui mira il Patto dei media. Negli Stati Uniti, è stata riesumata la legge Hogan contro la squadra di Trump, laddove questo testo non è stato mai, assolutamente mai, applicato sin dalla sua entrata in vigore, due secoli fa. In Francia, è stata riesumata la legge Jolibois contro i tweet politici di Marine Le Pen, laddove la giurisprudenza limitava la sua applicazione alla distribuzione senza blister di alcune riviste ultra-pornografiche. Poiché il principio della presunzione di innocenza delle persone da abbattere è stato sradicato, è possibile metterle sotto accusa con qualsiasi pretesto legale. Inoltre, le azioni intentate contro la squadra Trump e contro Marine Le Pen, sulla base delle leggi sollevate dovrebbero esserlo contro molti altri, ma non lo sono affatto. Peraltro, i cittadini non reagiscono più laddove il Patto fra i media diffonde esso stesso false imputazioni. Così, negli Stati Uniti ha immaginato che i servizi segreti russi avessero un dossier compromettente su Donald Trump con cui comandarlo a piacimento. O, in Francia, questo Patto ha inventato che si possa assumere fittiziamente un assistente parlamentare e di ciò ha accusato François Fillon. Negli Stati Uniti, i grandi e piccoli media che sono membri di questo Patto hanno dato addosso al presidente. Estraggono le proprie informazioni dalle intercettazioni telefoniche della squadra di Trump abusivamente ordinate dall’amministrazione Obama. Si sono coordinati con dei magistrati che le usano per bloccare l’attuale azione del governo. Si tratta senza dubbio di un sistema mafioso. Gli stessi media statunitensi e francesi stanno attaccando due dei candidati alle elezioni presidenziali francesi: François Fillon e Marine Le Pen. Al problema generale del Patto dei media s’aggiunge l’impressione errata che questi bersagli siano vittime di una cricca franco-francese, mentre il mandante è statunitense. I francesi scoprono che i loro media sono truccati, interpretano erroneamente che questa campagna sia rivolta contro la destra, e a torto cercano ancora i manipolatori nel loro paese. In Germania, il Patto non è ancora effettivo e dovrebbe essere esserlo solo in occasione delle elezioni parlamentari. Durante il Watergate, i media hanno rivendicato l’idea di costituire un "quarto potere", dopo l’Esecutivo, il Legislativo e il Giudiziario. Hanno sostenuto che la stampa esercitasse una funzione di controllo del governo in nome del popolo. Lasciamo stare il fatto che ciò di cui fu accusato il presidente Nixon era paragonabile a quel che ha fatto il presidente Obama: ossia mettere la sua opposizione sotto intercettazione. Oggi sappiamo che la fonte del Watergate, "Gola Profonda", lungi dall’essere un "informatore", era in realtà il direttore dell’FBI Mark Felt. Il trattamento di questo caso è stata una battaglia tra una parte dell’amministrazione e la Casa Bianca nella quale gli elettori sono stati manipolati da entrambi i lati contemporaneamente. L’idea del "Quarto potere" implica che si riconosca la medesima legittimità sia ai 14 trust che detengono la stragrande maggioranza dei media occidentali sia ai cittadini. Questo equivale ad affermare la sostituzione di un’oligarchia alla democrazia. Rimane un punto da chiarire: come vengono scelti i bersagli del Patto? L’unico legame chiaro tra Donald Trump, François Fillon e Marine Le Pen è che vogliono ristabilire dei contatti con la Russia e lottare assieme ad essa contro la matrice del jihadismo: i Fratelli Musulmani. Benché François Fillon sia stato primo ministro di un governo coinvolto in questi eventi, tutti e tre incarnano la corrente di pensiero che sfida la visione dominante delle primavere arabe e delle guerre contro la Libia e contro la Siria.
Thierry Meyssan
Traduzione Matzu Yagi
Fonte Megachip-Globalist (Italia) 
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paoloxl · 7 years
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Il comportamento delle forze che tutelano “l’ordine minnitiano”, ieri particolarmente ignobile, costituisce un ulteriore passo avanti nel processo di sottrazione sempre più palese e sfrontata degli spazi di libertà e dei diritti e di repressione violenta di ogni protesta. C’é quindi da sperare in una grande risposta popolare già domani che costituisca un significativo momento di unità e di lotta contro chi non ha perso la capacità di indignarsi e non é disposto a rassegnarsi. Il prodigarsi di volontari e militanti anche ieri in Piazza Indipendenza lascia ben sperare. Molto interessante e tempestivo il comunicato di ieri del Movimento per il Diritto all’Abitare, di cui  riporto la parte iniziale, rimandando al sito per il testo integrale (qui), dal titolo significativo: NON CI FAREMO DIVIDERE: INSIEME IN CORTEO DA PIAZZA ESQUILINO SABATO 26 AGOSTO ORE 16.00 “In un clima di tensione innalzato alle stelle dai gravi fatti di Barcellona, Prefettura e Campidoglio sotto l’egida del Ministero dell’Interno, scelgono di gettare altra benzina sul fuoco. Inseguendo la pancia del paese (almeno per come viene rappresentata dai più “potenti” mezzi di informazione), si vuole mostrare all’opinione pubblica il pugno duro del governo. Peccato che lo si faccia contro il nemico sbagliato: poveri, migranti e rifugiati. Il risultato, dopo gli sgomberi di via Quintavalle e di via Curtatone, sono centinaia di persone accampate in zone nevralgiche della città, decine di donne, uomini e bambini costretti a vivere all’addiaccio in piazza Indipendenza e in piazza SS Apostoli. Un’operazione ancora più odiosa se si considera che i nuclei familiari di queste due realtà erano inseriti all’interno di quella Delibera Regionale per l’Emergenza Abitativa che il Campidoglio ancora oggi rifiuta di attuare, nonostante i fondi messi a disposizione dalla Regione Lazio. Nelle scorse ore appreso la notizia dell’apertura di un tavolo permanente fra una rappresentanza degli sgomberati di via Curtatone e l’assessore alle Politiche Sociali Laura Baldassarre…..” Può essere interessante, alla luce di quanto accaduto in Piazza Indipendenza, riportare un passaggio della dichiarazione rilasciata dalla sindaca Raggi a Il Sole 24 Ore il 28 luglio a proposito dell’emergenza siccità: “Sono preoccupata soprattutto per la fornitura di acqua ad ospedali e per l’approvvigionamento ai Vigili del Fuoco che in un periodo come questo risulta di fondamentale importanza“. Non cita però le forze dell’ordine: dimenticanza? Oltre ai mass media di regime, di cui é doveroso diffidare sempre, molti media indipendenti hanno documentato quanto accaduto in Piazza Indipendenza. Ne segnalo tre, con un criterio assolutamente personale e libero che non pretende certo di essere esaustivo. L’emittente romana Radio Ondarossa, attiva dal 1977, ha seguito i fatti in diretta con i suoi giornalisti e con le immagini attraverso il sito. “Qui” la testimonianza di una donna eritrea e qui una ricostruzione della vicenda, a partire dal 13 agosto. Qui invece trovate i servizi di DinamoPress, nata nel novembre del 2012, dalla presentazione stralcio un passaggio significativo: “La Dinamo, come sappiamo tutti, è un trasduttore: si trattava, con la sua invenzione, di trasformare il lavoro meccanico in energia elettrica. Oggi, nell’epoca del web 2.0 e della crisi del capitalismo globalizzato, si tratta di combinare (o tradurre) lotte eterogenee e di trasformare la potenza delle parole e della cooperazione produttiva in atti e istituzioni sovversivi.”. Un’altra lettura consigliata é quella di Osservatorio Repressione che, in una pagina titolata L’estate di Minniti e della sindaca Raggi: Idranti e manganellate sul presidio dei rifugiati in Piazza Indipendenza propone testi e brani audio di particolare interesse anche per la varietà delle fonti (qui). Assolto il “dovere di cronaca”, per quanto può fare un piccolo blog artigianale come questo, provo a mettere insieme due riflessioni.  Alex Zanotelli  – missionario in Kenia e direttore di Mosaico di Pace dopo essere stato direttore di Nigrizia dal 1978 fino al 1987, quando fu rimosso su richiesta di esponenti politici e vaticani – é ormai da decenni impegnato a cercare di scuotere un po’ le coscienze con le sue analisi, documentate e precise. Nello scorso mese di luglio Zanotelli é tornato alla carica  lanciando un appello ai mass media che inizia così: ” “Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo come missionario uso la penna (anch’io appartengo alla vostra categoria) per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che vorrebbe. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo.” L’appello era rivolto anche al sindacato dei giornalisti, FNSI, che l’ha rilanciato sul suo sito (qui) senza che questo abbia prodotto però significativi riscontri sui media “main stream”, o comunque a me così é sembrato. Dopo l’introduzione, Zanotelli elenca una nutrita serie di cose inaccettabili che ripropongono quell’inferno che é l’Africa, cioé a cui l’abbiamo ridotta noi occidentali. E ne trae la sua conclusione con queste parole: “Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.  Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).” Il 20 ottobre 2010 fece clamore in Francia, e subito dopo anche nel nostro paese, “Indignatevi”, un pamphlet di Stephan Hessel – nato nel 1917 a Berlino ma naturalizzato francese – che fu partigiano riuscendo a sfuggire più volte ai nazifascisti, nominato “Ambasciatore di Francia” da François Mitterrand nel 1981, per il suo impegno politico a tutto campo, dalla militanza in favore dei sans-papiers alla causa palestinese. “93 anni. È un po’ l’ultima tappa. La fine non è più lontana. Quale fortuna potere approfittare per ricordare ciò che ha servito di zoccolo al mio impegno politico: gli anni della resistenza ed il programma elaborato sessantasei anni fa per il Consiglio Nazionale della Resistenza!“. Purtroppo la sua previsione si rivelò esatta, morì infatti nel febbraio del 2013. “Indignatevi” (qui il pdf) suscitò un’entusiastica accoglienza per la lucidità e la capacità di coniugare l’esperienza vissuta con l’attenzione al presente: ” “Constato con piacere che nel corso degli ultimi decenni si sono moltiplicate le organizzazioni non governative, i movimenti sociali come Attac (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie), il FIDH (Federazione internazionale dei Diritti dell’uomo), Amnesty. che sono attive e ad alto rendimento. È evidente che per essere efficaci oggi, bisogna agire in rete, approfittare di tutti i mezzi moderni di comunicazione. Ai giovani, dico: guardate intorno a voi, voi ci troverete i temi che giustificano la vostra indignazione – il trattamento riservato agli immigrati, agli illegali, ai Roms. Troverete delle situazioni concrete che vi portano a dare corso ad un’azione civica forte. Cercate e troverete! “ Fortemente impegnato a favore della causa palestinese, Hessel è stato strenue sostenitore della campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) nei confronti di Israele. (Il testo nella foto dice: “La campagna BDS in tutto il mondo propone il modo più promettente per superare il fallimento dei governi del mondo nel far fronte all’intransigenza di Israele e al suo comportamento fuori dalla legge”. Qui un passaggio, tratto da “Indignatevi”. La mia indignazione a proposito della Palestina “Oggi, la mia principale indignazione riguarda la Palestina, la striscia di Gaza, la Cisgiordania. Questo conflitto è causa per me di grande indignazione. Occorre assolutamente leggere il rapporto Goldstone del settembrc 2009 su Gaza, nel quale questo giudice sud-africano, ebreo che si dice anche sionista, accusa l’esercito israeliano di avere commesso, durante l’operazione “Piombo fuso” durata tre settimane, “atti assimilabili a crimini di guerra e forse, in certe circostanze, a crimini contro l’umanità“. Io stesso sono tornato a Gaza, nel 2009, dove sono potuto entrare con la mia donna grazie ai nostri passaporti diplomatici, per valutare de visu ciò che questo rapporto sosteneva. Le persone che ci accompagnavano non sono state autorizzate ad addentrarsi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Abbiamo visitato anche i campi di profughi palestinesi assegnati fin da 1948 dall’Agenzia delle Nazioni unite, l’UNRWA, dove più di tre milioni di Palestinesi, cacciati dalle loro terre da parte d’Israele, aspettano un rientro sempre più problematico. In quanto a Gaza, è una prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di Palestinesi. Una prigione dove si organizzano per sopravvivere. Più delle distruzioni materiali come quella dell’ospedale della Mezzaluna rossa da parte di “Piombo fuso”, è il comportamento degli abitanti di Gaza, il loro patriottismo, il loro amore del mare e delle spiagge, la loro costante preoccupazione del benessere dei loro bambini, innumerevoli e ridenti, che persiste nella nostra memoria. Siamo stati impressionati dal loro ingegnoso modo di fare fronte a tutte le penurie che devono sopportare. Li abbiamo visti preparare dei mattoni senza cemento per ricostruire le migliaia di case distrutte dai carri. Ci è stato confermato che durante l’operazione “Piombo fuso” condotta dall’esercito israeliano, ci sono stati millequattrocento morti – donne, bambini, vecchi confinati nel campo palestinese – contro solamente cinquanta feriti israeliani. Condivido le conclusioni del giudice sud-africano. Che gli Ebrei possano perpetrare, proprio loro, dei crimini di guerra, è insopportabile. Ahimè, la storia offre pochi esempi di popoli che traggano insegnamento dalla propria storia.” da Becco di ferro
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