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#Raffaele Manica
garadinervi · 2 years
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Pier Luigi Ferro, Figure per il coro, Foreword by Raffaele Manica, Hetea Editrice, Alatri (FR), 1992
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queerographies · 9 months
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[Arbasino A-Z][Andrea Cortellessa]
Clicca qui per acquistare il libro Titolo: Arbasino A-ZA cura di: Andrea CortellessaEdito da: ElectaAnno: 2023Pagine: 328ISBN: 9788892824195 Alberto Arbasino è l’ottavo protagonista della collana “Enciclopedie” di Electa dopo Savinio, Rodari, Steinberg, Woolf, Cocteau, Scialoja e Calvino. Nella sua opera, quantitativamente sterminata, Arbasino si è posto il compito ciclopico di archiviare la…
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stilouniverse · 10 months
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Nino De Vita "Cùntura", presentazione
Prefazione di Raffaele Manica Cùntura del poeta dialettale Nino De Vita conosce una nuova edizione con Le Lettere e con l’aggiunta di sei nuovi testi che ne arricchiscono la prima per Mésogea, valsa a Nino De Vita il premio Napoli. Nell’intervista di Salvatore Picone (La Repubblica Palermo 31 ottobre 2023) si legge la particolarità di quest’opera: “Ogni sera Nino De Vita raccontava alla…
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letteratitudine · 2 years
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✨Questo è il primo gruppo di quindici titoli proposti dagli Amici della domenica per la LXXVII edizione del Premio Strega:
▪ Nicoletta Bortolotti, «Un giorno e una donna» (HarperCollins), presentato da Maria Rosa Cutrufelli.
▪ Maria Grazia Calandrone, «Dove non mi hai portata» (Einaudi), presentato da Franco Buffoni .
▪ Gaja Cenciarelli, «Domani interrogo» (Marsilio), presentato da Lorenzo Pavolini.
▪ Gianfranco Di Fiore, «L’amore inutile» (Wojtek Edizioni), presentato da Valeria Parrella.
▪ Roberto Ferrucci, «Storie che accadono» (People), presentato da Tiziano Scarpa.
▪ Patrick Fogli, «Così in terra» (Mondadori), presentato da Antonella Cilento.
▪ Daniela Gambino, «Due fuori luogo» (Jack edizioni), presentato da Fulvio Abbate.
▪ Irene Graziosi, «Il profilo dell’altra» (E/O), presentato da Simonetta Fiori.
▪ Gian Marco Griffi, «Ferrovie del Messico» (Laurana Editore), presentato da Alessandro Barbero.
▪ Sapo Matteucci, «Per futili motivi» (La Nave di Teseo), presentato da Filippo Bologna.
▪ Renato Minore e Francesca Pansa, «Ennio l’alieno. I giorni di Flaiano» (Mondadori), presentato da Raffaele Manica.
▪ Tommaso Pincio, «Diario di un’estate marziana» (Perrone), presentato da Nadia Terranova.
▪ Lodovica San Guedoro, «Sacro Amor Profano» (Les Flâneurs Edizioni), presentato da Franco Cardini.
▪ Ezio Sinigaglia, «Sillabario all’incontrario» (TerraRossa), presentato da Lorenza Foschini.
▪ Michele Zatta, «Forse un altro» (Arkadia editore), presentato da Maria Pia Ammirati.
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#PremioStrega2023
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marcogiovenale · 3 years
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una recensione a "opera", di adriano spatola
una recensione a “opera”, di adriano spatola
Su “Alias”, del “manifesto”, Raffaele Manica scrive di Adriano Spatola, OPERA (2020, diaforia & dreamBook Edizioni / [email protected]). https://ilmanifesto.it/spatola-sotto-la-catena-dei-significanti-i-sensi-si-fanno-imprendibili/
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chez-mimich · 7 years
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Prendo spunto da un post del professore Raffaele Manica che proprio su questo social network ha pubblicato un post riguardante le consuete polemiche (estive), sulla lettura dei classici. Cosa si legge d'estate? Mi imbatto spesso in persone che dicono di aver messo da parte un libro per l'estate; non so se si tratti di una variante libraria di un famoso concorso canoro che i meno giovani si ricorderanno, "Un disco per l'estate". Cos'è un libro per l'estate? Esistono libri per l'estate come ne esistono per l'inverno o la primavera? Si tratta forse dei libri di evasione? Non credo che chi legga, concentri la lettura del "Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein o "Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo" di Edmund Husserl in inverno, mentre poi in estate si dedichi al "Diario di Bridget Jones". Chi legge "libri per l'estate" legge "libri per l'estate" anche in inverno, sempre ammesso che poi legga davvero libri in estate. E quindi? Tornando ai "classici" (a parte la difficoltà nella definizione di "classico" ma questa è un'altra storia), i classici, in realtà, sono classici perché non li legge nessuno o quasi nessuno (e comunque non d'estate). Anzi qualcuno che li legge c'è. Io ho letto decine di classici in estate per punirmi, o meglio per mantenere un sano rigore, una severa disciplina intellettuale. Così ho incominciato a leggere in un giorno di Ferragosto "Delitto e Castigo" di Fëdor Dostoevskij, ho iniziato le "Commedie" di Plauto in un'assolta domenica di luglio, così come sono arrivato al termine de "La Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso in un mese di settembre di qualche anno fa e via via per tanti classici della letteratura antica e moderna. A cosa è servito? Prima di tutto la concentrazione necessaria per certe opere distrae dal caldo molto meglio di un condizionatore, poi sono costate molto meno di una vacanza alle Maldive e, dulcis in fundo, ho scoperto che leggere i classici non è affatto peggio che sprecare le sere in apericene o affogati al caffé. Direi anzi che è incommensurabilmente meglio. Certo, è necessario un certo allenamento (come per la cyclette o lo sci nautico), ma quando sarete a cena con qualcuno e citerete Goffrey Chaucer e i suoi "Canterbury Tales" farete la vostra porca figura, mentre se direte che siete andati a fare un'apericena al massimo vi chiedono quanto avete speso. Oddio, pensandoci bene dipende con chi andate a cena, perché se andate a cena con una lettrice di libri per l'estate, forse è meglio che parliate di apericene...
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botallo · 2 years
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Sull'archivio di Luciano Erba
Sull’archivio di Luciano Erba
Recensendo l’Oscar del 2002, Raffaele Manica, dalle pagine del “Manifesto”, dirà [in proposito di Luciano Erba] di una «continuità mossa dalla non appariscenza, una linearità che si avvolge senza darlo a vedere»; <15 se i processi della scrittura testimoniano uno sviluppo per variazioni su un tema cardine che resta stabile, l’immersione nell’ampia rassegna stampa collezionata e ordinata dal poeta…
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mirkoravicini · 4 years
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Dal 1° marzo 2016, in piena bufera giudiziaria, la famiglia Pozzo passa dal controllo indiretto dell'Udinese calcio attraverso il trust Calumag, a un controllo «pieno e dichiarato». A sostenerlo è il quotidiano "la Repubblica", in un servizio pubblicato martedì, sulla base di una serie di documenti, interni e riservati, che consentono di ricostruire le trasformazioni dell'assetto proprietario della società bianconera. O meglio, della «parte della sua articolata galassia rimasta coperta» agli stessi investigatori che, in Friuli e in Spagna (dove i Pozzo possiedono il Granada fino al 2016), da tempo indagano sulle operazioni finanziarie del gruppo.A spingere il patron Giampaolo e suo figlio Gino - che fino a quel momento avevano detenuto appena lo 0,57 per cento delle quote - a modificare gli assetti, secondo Repubblica, sarebbe stato proprio il faro acceso dalla Guardia di finanza di Udine e dalla Policia Nacionàl spagnola sulle loro attività. Cambiare significa «sganciare» le squadre - oltre all'Udinese e al Granata, anche il Watford - dalla Axios, società con sede in Lussemburgo «cui resta tuttavia attaccata la cassaforte con il denaro».La società che protegge i soldi - scrive il quotidiano romano - si chiama Hidden Owl: è detenuta al 50 per cento dal trust Calumag (istituito nel 2009, a Londra, dal Verifides Trust Services Ltd, e di cui sono beneficiari «tutti i figli avuti da Gino Pozzo alla data di istituzione») e ha sede a Dubai, nello schedario numero 4EA-720, in un ufficio della Dubai Airport Free Zone. Un documento interno della Hiden Owl - riferisce Repubblica -, datato 7 novembre 2016 e autenticato dal notaio londinese Kyriaki Manica, certifica che al 1° gennaio 2016, sui conti correnti della società c'è una liquidità di 66.292.959 euro. E che 61.076.250 euro sono «somme dovute a parti correlate (...) pagabili comunque a Gino Pozzo». Anche l'altro 50 per cento è dei Pozzo, attraverso il trust Well istituito nel 2014 a Dublino: fiduciaria è la Aurea Consulenti Associati di Raffaele Riva (già ad del Watford e indagato in Spagna) e beneficiai sono Gino Pozzo, la sorella Magda e i loro discendenti.A Udine, intanto, l'inchiesta per frode fiscale a carico dell'Udinese è ancora aperta. Stabilita in poco più di 11,5 milioni di euro la somma che la società deve versare all'Agenzia delle entrate per sanare il contenzioso, la Procura ha congelato il fascicolo in attesa che il debito tributario sia completamente estinto (il pagamento è stato rateizzato). Una volta definita la vertenza amministrativa, le parti riprenderanno in mano i termini del patteggiamento nel frattempo abbozzato per chiudere il procedimento penale.«Gli accordi con il Fisco italiano hanno ampiamente risolto tutti i temi fiscali - afferma in una nota l'Udinese, parlando di «allusioni prive di fondamento» -; il patrimonio della famiglia Pozzo, così come la sua legittima gestione, è da considerarsi privato come quello di qualsiasi cittadino e famiglia, e la violazione della privacy conseguente alla pubblicazione di dati bancari riservati è inaccettabile, inopportuna e ingiustificata».
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watfordraffaeleriva · 4 years
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Dal 1° marzo 2016, in piena bufera giudiziaria, la famiglia Pozzo passa dal controllo indiretto dell'Udinese calcio attraverso il trust Calumag, a un controllo «pieno e dichiarato». A sostenerlo è il quotidiano "la Repubblica", in un servizio pubblicato martedì, sulla base di una serie di documenti, interni e riservati, che consentono di ricostruire le trasformazioni dell'assetto proprietario della società bianconera. O meglio, della «parte della sua articolata galassia rimasta coperta» agli stessi investigatori che, in Friuli e in Spagna (dove i Pozzo possiedono il Granada fino al 2016), da tempo indagano sulle operazioni finanziarie del gruppo.A spingere il patron Giampaolo e suo figlio Gino - che fino a quel momento avevano detenuto appena lo 0,57 per cento delle quote - a modificare gli assetti, secondo Repubblica, sarebbe stato proprio il faro acceso dalla Guardia di finanza di Udine e dalla Policia Nacionàl spagnola sulle loro attività. Cambiare significa «sganciare» le squadre - oltre all'Udinese e al Granata, anche il Watford - dalla Axios, società con sede in Lussemburgo «cui resta tuttavia attaccata la cassaforte con il denaro».La società che protegge i soldi - scrive il quotidiano romano - si chiama Hidden Owl: è detenuta al 50 per cento dal trust Calumag (istituito nel 2009, a Londra, dal Verifides Trust Services Ltd, e di cui sono beneficiari «tutti i figli avuti da Gino Pozzo alla data di istituzione») e ha sede a Dubai, nello schedario numero 4EA-720, in un ufficio della Dubai Airport Free Zone. Un documento interno della Hiden Owl - riferisce Repubblica -, datato 7 novembre 2016 e autenticato dal notaio londinese Kyriaki Manica, certifica che al 1° gennaio 2016, sui conti correnti della società c'è una liquidità di 66.292.959 euro. E che 61.076.250 euro sono «somme dovute a parti correlate (...) pagabili comunque a Gino Pozzo». Anche l'altro 50 per cento è dei Pozzo, attraverso il trust Well istituito nel 2014 a Dublino: fiduciaria è la Aurea Consulenti Associati di Raffaele Riva (già ad del Watford e indagato in Spagna) e beneficiai sono Gino Pozzo, la sorella Magda e i loro discendenti.A Udine, intanto, l'inchiesta per frode fiscale a carico dell'Udinese è ancora aperta. Stabilita in poco più di 11,5 milioni di euro la somma che la società deve versare all'Agenzia delle entrate per sanare il contenzioso, la Procura ha congelato il fascicolo in attesa che il debito tributario sia completamente estinto (il pagamento è stato rateizzato). Una volta definita la vertenza amministrativa, le parti riprenderanno in mano i termini del patteggiamento nel frattempo abbozzato per chiudere il procedimento penale.«Gli accordi con il Fisco italiano hanno ampiamente risolto tutti i temi fiscali - afferma in una nota l'Udinese, parlando di «allusioni prive di fondamento» -; il patrimonio della famiglia Pozzo, così come la sua legittima gestione, è da considerarsi privato come quello di qualsiasi cittadino e famiglia, e la violazione della privacy conseguente alla pubblicazione di dati bancari riservati è inaccettabile, inopportuna e ingiustificata».
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tmnotizie · 5 years
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SAN BENEDETTO – Per il Ciclo “Incontri con l’Autore Autunno“, domenica 10 novembre alle ore 17,30 Renato Minore presenterà il libro “O Caro pensiero” alla Sala della Poesia Palazzo Piacentini.Evento Organizzato da I Luoghi della Scrittura a cura di Mimmo Minuto. Patrocinio e sostegno Amministrazione Comunale e Regione Marche. Conversa con l’autore Filippo Massacci. Accompagnamento musicale Claudio Infriccioli.
Renato Minore ha pubblicato in poesia “I nuovi giorni” (1965), “Non ne so più di prima” (1984), “Le bugie dei poeti”(1993) “Nella notte impenetrabile” (2002) “I profitti del cuore” (2006). “Stare a vedere quello che accade” (2011) Tra gli altri suoi libri: “Il gioco delle ombre” (1985) “Leopardi L’infanzia le città gli amori” (1987, 2014), “ Rimbaud La vita assente di un poeta dalle suole di vento”,(1991, 2019) ““Lo specchio degli inganni” (1992) Il dominio del cuore” (1996),“I moralisti del Novecento” (2001).
Le sue conversazioni con i poeti italiani del Novecento sono raccolte ne “La promessa della notte”(2012). Ha tradotto Paul Verlaine (“Poesie” 1971, 2015) e ha curato l’opera poetica di Kikuo Takano (“Il senso del cielo”, 2016). Scrive sul Messaggero ed ha insegnato presso l’Università di Roma e presso la Luiss.
Non sempre la poesia chiama il pensiero, ma in questo nuovo libro in versi di Minore il vocativo del titolo non lascia margini al dubbio (magari solo in apparenza, se i tratti di troppa evidenza in poesia alludono talvolta al loro contrario): O caro pensiero, dunque. E già ci sarebbe da chiedersi se l’aggettivo non abbia una doppia valenza: il pensiero è «caro» proprio nell’ accezione leopardiana (ricordiamo di passaggio che del recanatese Minore è stato partecipe biografo), caro come il colle, come la beltà, la luna, lo sguardo e tante altre cose, soprattutto gli inganni e l’immaginare; ma in un tempo – il nostro, e non da poco tratto – in cui le cose si definiscono per il prezzo, «caro» vorrà dire anche che il pensiero è costoso, nel senso che grava nei moti dell’anima e nei ricettacoli della memoria, diventando perfino un inciampo nello stare al mondo.
Se si guarda bene, le due accezioni finiscono col sovrapporsi, così che «caro» riguarda il manifestarsi del pensiero quando connotato dagli affetti. (…) Si affaccia almeno l’ipotesi di un futuro, di un ricordo ancora da avere, ancora da vivere prima che ricordo diventi. Si vive per ricordare la vita e per elaborare il ricordo in pensiero”. (Dalla introduzione di Raffaele Manica)
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garadinervi · 4 years
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Adriano Spatola, performance at Ça + Ça, Milano, 1987; in «La taverna di Auerbach» – Rivista internazionale di poetiche intermediali, No. 1, Directed by Giovanni Fontana, Edited by Stefano Docimo, Elmerindo Fiore, Raffaele Manica, and Tarcisio Tarquini, 1987 [re: Adriano Spatola: la vita, la teoria, la prassi, Texts by Giovanni Fontana, Maurizio Spatola, and Luciano Anceschi, Archivio Maurizio Spatola, June 5, 2009]
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queerographies · 5 years
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«Queste sono le poesie che al di fuori di qualsiasi critico io stimo più di tutte. Sarebbero insomma quello che io lascerei ai posteri se posteri esisteranno.» [Poesie][Sandro Penna] «Queste sono le poesie che al di fuori di qualsiasi critico io stimo più di tutte. Sarebbero insomma quello che io lascerei ai posteri se posteri esisteranno.» Così nel 1973 Sandro Penna introduceva la propria raccolta di poesie in uscita nei tascabili Garzanti, l’unica assemblata da lui personalmente.
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pangeanews · 5 years
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“È tutto un correre di secoli contro l’instabile motore dell’estinzione”: sulla poesia di Renato Minore
C’è una musica singolare che si può ascoltare fuori dal frastuono dei nostri giorni, dalla civiltà delle immagini, dalla metastasi della notizia lampo nella società liquida di Bauman, nella superficialità dei nuovi miti? C’è senz’altro un blues da riscoprire con la poesia (una sorta di contro-informazione mai slabbrata ma suadente, che unisce accordi e vocalità, una melodia seriosa), che permette di ricostruire la funzionalità del tempo e la promessa del futuro nel milieu di questi giorni confusionari. La poesia ha una riconoscibilità salvifica perché si lega ad una sfida contro la deperibilità e il senso di finitudine umana, essendo un manufatto dalla palpabile fattura stilistica. Un poeta è tale quando ha un’intenzionalità ben definita e sa trovare uno stile agguantando il tempo e custodendolo, o annientandolo in una sospensione, in una fermata. Ma cosa resta da fare ai poeti e ai critici, nel 2020, in una fase storica dove sembra che il pubblico della poesia stia scomparendo e le stesse case editrici dimostrano riluttanza verso la pubblicazione dell’arte in versi?
Renato Minore sembra indicare una direzione di senso da immettere nel presente, nell’adesso, in un principio di conservazione che arriva da un declinabile passato, da un immancabile e irrinunciabile ieri, nel frammento della vita recuperata, molto concreta e filtrata cerebralmente. Crea un controcanto, sia come poeta che come critico nel suo discernimento razionale, per segnalare il tempo che tenta di salvare con l’uso di una parola identificativa, conoscibile e dicibile, aggraziata. Con O caro pensiero (Aragno 2019), di evidente ispirazione leopardiana, Renato Minore (nato a Chieti, vive a Roma. È critico letterario del “Messaggero” e ha insegnato presso la Luiss) fa uso della coscienza e della ragione, di una griglia che inanella pensieri, che pretende di avere un riflesso d’infinito. Questo libro pretende una lettura su molteplici piani, in un epifenomeno delle cose che si stringono con mano nella parsimonia delle varie composizioni.
Nell’aprile 2018, in un’intervista rilasciata a Monica Cartia nel sito www.inliberta.it, Minore ha ammesso: “La poesia è spesso un alibi. Dici poesia e tocchi un livello a priori di comunicazione superiore, garantita dalla marca. Non è così perché la poesia come prova, rischio, continuo riequilibrio del peso specifico della parola anche oggi, come ieri, è sempre qualcosa che, come la lepre delle favole, puoi continuare a inseguire. Ma proprio la corsa con cui la insegui ne segna, con il battito del tuo cuore, la necessaria velocità per non perderla di vista”. In questa realtà l’esilio del poeta non è mai rigido, ma impresso da un ampio respiro, dalla passione che riempie spazi, incrinature, conflitti, come del resto nei migliori, precedenti libri: Le bugie dei poeti (1993), Nella notte impenetrabile (2002) e I profitti del cuore (2006). Minore rimanda alla storia universale e alle vicende personali tra luoghi e persone e ci ricorda, involontariamente, il discorso tenuto all’Accademia di Svezia il 12 dicembre del 1975 da parte di Eugenio Montale in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel per le Lettere: “Per fortuna la poesia non è una merce. Essa è un’entità di cui si sa assai poco, tanto che due filosofi tanto diversi tra loro come Croce storicista idealista e Gilson cattolico, sono d’accordo nel ritenere impossibile una storia della poesia”.
*
Nella prima sezione della raccolta Renato Minore si riappropria dell’infanzia con una prerogativa salvifica e in una condizione vagamente decadente: “Non c’è pioggia che valga / quella pioggia. Non c’è ricordo / che valga quel ricordo”. Esperienza e verità affiorano in quadri immaginativi con i protagonisti come la maestra con la corte dei bambini, il ragazzo con l’occhio di vetro e con la recita scolastica che divenne un incubo: “S’inceppò la voce qualcuno rise. / Il gesuita grande Superiore / benevolo sorrise / forse anche mi accarezzò / ma non sentii il suo perdono”. La fanciullezza è una fedele lezione, una comunione elementare, una “direzione a ritroso” da seguire avvalendosi di una lingua e di un ritmo transitivi e sincopati. Renato Minore ha un modo dialogico di porsi, di raccontare. I suoi propositi vanno al nocciolo della questione, come i suoi tanti perché. Il cuore emerge da una voragine, da una lacerazione, da un presagio. Le figure familiari sono sempre state un riferimento decisivo in una sorta di prolungata rivisitazione di episodi, in una condizione di perdita e di reperibilità. Il padre è avvolto da una coltre d’affetto, dal rito delle abitudini, in una quiete soave, incantatoria: “Tu sei solo quel pensiero che è anche / la sola immagine del sogno, giravi intorno / a una piazza sotto la torre dell’orologio”. Un padre guardato a debita distanza, quasi spiato, in una trasgressione infantile priva di clamore.
Tra gli affetti quasi familiari non poteva mancare Ennio Flaiano nel suo “sogno svenato di gloria e purezza”, vento e filo d’amore come titola la seconda sezione di O caro pensiero. Qui Renato Minore scivola nella “pozzanghera del sogno” come ipotesi di evasione dalla realtà, circondato da un’animula che veglia sul mondo immobile, quasi che tutto fosse deciso tra i parlanti che non vivono più. L’immersione nell’indefinito di Leopardi si fa sentire in un pensiero temuto, vagheggiato: “O caro pensiero / d’una notte senza luna / pure la luna è un pensiero / che sfugge appena è luce”. Il blues di Minore è una musica di contrasto nella nuova epoca di egotismi e di autoreferenzialità. Viene cercato un ritmo preponderante, l’uscita di sicurezza da un’eclissi esistenziale dove tutto si presenta instabile, pulsante, aderito al dramma del tempo che passa sprigionando la malinconia in epifanie quasi epigrammatiche (il verso è talvolta breve, stringato).
Il miracolo della poesia sta nella partecipazione, nel rendere conosciuta la volontà di condividere un pensiero marcato, perfino denunciato, un amore fondato sul centro motore del ricordo ri-osservato nell’immagine: “Storie veglie fatica / il consumo impercettibile del corpo / la stoffa i colori del tempo”; oppure, in una fiammeggiante sentenza: “Il presente si vede solo di profilo, / è il passato che abbiamo di fronte”.
La testimonianza di Renato Minore (rimbaudiano e leopardiano, come ben dimostrano le biografie romanzate che ha scritto, peraltro di grande successo editoriale) è scritta in un verbale che registra azioni anche tormentate, in una progressione del movimento incastonato, in un attrito che segna un’epoca nella carrellata di affermazioni schiette, di sincerità confessionale. La stessa lingua non è mai sfibrata e incontenibile, né destrutturata di un significativo orizzonte tematico. La discorsività e l’elegante presa sull’oggetto fanno pensare ad un linguaggio-ragionativo nella prova dell’esistenza (il cervello è un organo ontologico e “dopo tutto noi siamo / il nostro cervello”). Un margine estremo allinea i fatti in un’esattezza sfuggente, in una condizione riflessiva, in un’esperienza collusa, ma infine con un tono di luce, di colore. Minore seleziona brani e li rende sensibili ad una disposizione semantica. Gli avvenimenti sono spesso ininfluenti e banali, nient’altro che una veloce rappresentazione, una ricostruzione di spettri del passato, ma il battito sotterraneo del verso accende un elemento materico, come quando si affaccia il paese di Santa Maria di Collemaggio dopo il terribile sisma che lo colpì: “Disintegrata la materia: come non riconoscersi più / testimoni della propria sparizione / a portata di mani e labbra, / visibile guardando se stessi”. Appare anche lo scempio di uno tsunami del 2011: “Ma il mondo è una casa scossa / l’onda maestosa di ritorno / s’infrange schiumando / a piallare la costa / senza allerta / senza cognizione”.
*
L’evento esterno viene accumulato, introdotto nell’azione, dicevamo. Ma rimane la necessità di comunicare, di conversare, di ritagliare una conoscenza consapevole decifrando i segnali della realtà. La continuità di questi riquadri costituisce una costante nell’intera opera di Renato Minore, suffragata da una mancanza di strutture unitarie vere e proprie, ma con espressioni che erompono all’improvviso come da un vecchio almanacco. La conoscenza delle cose e l’intuizione del poeta sul piano strettamente personale, si stagliano in una lingua acuminata (sezione dopo sezione). La poesia dell’io e del noi ingabbia un sentire gestuale, ombroso, specie nella parte Stare a vedere ciò che accade. Si pensi a versi come: “Ma per essere colpevoli di ciò che facciamo / dobbiamo essere colpevoli di ciò che siamo?”. Altri versi indicativi: “Anche le città (impara) imparano / radunano lo sciame delle menti / conservano il calore della memoria / sui marciapiedi tiranni della specie”; “Chiedeva euro / l’uomo sulla via / sapeva dire / che un angelo lieve / gli passava accanto”. L’impazienza di dire coincide con l’impazienza della stessa memoria che viene a galla. Illuminando il buio della notte la decisione irrevocabile di Renato Minore sta nel modulare l’identità dell’uomo e l’alterità del mondo, ma anche nell’attribuire una paternità al quotidiano incomprensibile. Un afflato spirituale, universale, completamente fuori dalla dimensione esclusiva dell’io, si va via via delineando e l’evocare la rotta, un ritrovato senso, implica anche il bisogno di ricorrere a qualcuno nelle grandi questioni della vita umana.
Nella presentazione di Raffaele Manica viene sottolineato che “il destino arriva sotto la spinta di un nonnulla” e il caro vorrà dire anche che “il pensiero è costoso, nel senso che grava nei moti dell’anima e nei ricettacoli della memoria, inventando perfino un inciampo nello stare al mondo”. O caro pensiero mantiene una linea coerente con le precedenti pubblicazioni che avevano indotto firme eccellenti ad occuparsi della poesia di Renato Minore. Giuseppe Pontiggia annotò una voce sommessa e forte; Giovanni Raboni una lieve e tenace apprensione amorosa; Ruggeri Guarini guardò alla sorpresa, allo smarrimento e al disinganno del verso. Walter Pedullà ha rimarcato il piacere del “racconto che aspetta di essere avviato” come promessa di un evento. E ancora Cesare De Michelis che ebbe a dire di “un ordine che immediatamente ricorda l’organica struttura del racconto”. Jacques Risset sondò il tono di complicità con il femminile all’interno del complesso paesaggio dove “il tragico, il sorprendente, il numinoso sono accettati e vissuti integralmente”.
Nel testo Il moto della chioma Renato Minore scrive, a chiusura di una poetica acclarata: “È tutto un correre di secoli / contro l’instabile motore / dell’estinzione”. La sonda verso l’alto, che si inoltra nella scoperta dell’invisibile, trova una “porta chiusa” che si oppone al desiderio e alla fantasia, dove la vita è sempre oltre la soglia in uno sguardo maturo, ma non compiacente. Una volta Minore ha dichiarato pubblicamente che “conosci te stesso” è l’impresa più ardua e che scrivere è questo sforzo, vano ma necessario. Una mente viva proietta introspezioni su introspezioni nella libertà fatta di parola e di ascolto (poetare e pensare). Al centro della poetica il reale fremente fa venire alla luce il sogno e l’amore (“l’armonia dei corpi comunicanti”). Qui la visione stessa non sfuma in un altrove consolatorio, ma si allaccia ad un’epica resistente, esperita nel gancio tra presente e passato. E specie il presente è per lo più introflesso, generatore di convinzioni. In fin dei conti, il dialogo immola una sottile speranza. Renato Minore mantiene un’idea redenta di poesia: il calcolo della vita non è mai astratto, ma risulta premuroso, pacato e appassionato. La conciliazione avviene nel reciproco scambio con l’altro. È questo il vero e unico senso del possesso che un uomo può dare in prestito come “legge umana” ineludibile, esente da ogni egoismo. “Quando il cuore può parlare / non occorre prepararsi / interroga oh se interroga / non arriva a comprendere”.
Alessandro Moscè
*In copertina: Renato Minore in una fotografia di Muriel Oasi
L'articolo “È tutto un correre di secoli contro l’instabile motore dell’estinzione”: sulla poesia di Renato Minore proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2PCZpE3
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garadinervi · 5 years
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Raffaele Manica, Discorsi interminabili, Altri Termini, Napoli, 1987 [Archivio Maurizio Spatola]. Cover: Jiří Kolář
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garadinervi · 5 years
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«La taverna di Auerbach» – Rivista internazionale di poetiche intermediali, No. 5-6-7-8, Directed by Giovanni Fontana, Edited by Stefano Docimo, Elmerindo Fiore, Raffaele Manica, Luca Salvadori, and Tarcisio Tarquini, Alatri (FR), 1989-1990. Graphic Design: Giovanni Fontana
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garadinervi · 5 years
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«La taverna di Auerbach» – Rivista internazionale di poetiche intermediali, No. 1, Directed by Giovanni Fontana, Edited by Stefano Docimo, Elmerindo Fiore, Raffaele Manica, and Tarcisio Tarquini, 1987. Graphic Design: Giovanni Fontana. Corresponding editors: Fernando Aguiar, Marianne Bech, Henri Chopin, Paula Claire, Stathis Crissicopulos, Klaus Peter Dencker, César Espinosa, Bartolomé Ferrando, Dick Higgins, Katalin Ladik, Richard Martel, Peter Mayer, Shutaro Mukai, Clemente Padín, Waleri Scherstjanoi, Daniel Sotiaux, Nicholas Zurbrugg
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