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#anna maria ortese
a--piedi--nudi · 8 months
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C’è un mondo vecchio, fondato sullo sfruttamento della natura madre, sul disordine della natura umana, sulla certezza che di sacro non vi sia nulla. Io rispondo che tutto è divino e intoccabile: e più sacri di ogni cosa sono le sorgenti, le nubi, i boschi e i loro piccoli abitanti. E l’uomo non può trasformare questo splendore in scatolame e merce, ma deve vivere e essere felice con altri sistemi, d’intelligenza e di pace, accanto a queste forze celesti. Che queste sono le guerre perdute per pura cupidigia: i paesi senza più boschi e torrenti, e le città senza più bambini amati e vecchi sereni, e donne al disopra dell’utile. Io auspico un mondo innocente. So che è impossibile, perché una volta, in tempi senza tempo e fuori dalla nostra possibilità di storicizzare e ricordare, l’anima dell’uomo perse una guerra. Qui mi aiuta Milton, e tutto ciò che ho appreso dalla letteratura della visione e della severità. Vivere non significa consumare, e il corpo umano non è un luogo di privilegi. Tutto è corpo, e ogni corpo deve assolvere un dovere, se non vuole essere nullificato; deve avere una finalità, che si manifesta nell’obbedienza alle grandi leggi del respiro personale, e del respiro di tutti gli altri viventi. E queste leggi, che sono la solidarietà con tutta la vita vivente, non possono essere trascurate. Noi, oggi, temiamo la guerra e l’atomica. Ma chi perde ogni giorno il suo respiro e la sua felicità, per consentire alle grandi maggioranze umane un estremo abuso di respiro e di felicità fondati sulla distruzione planetaria dei muti e dei deboli – che sono tutte le altre specie -, può forse temere la fine di tutto? Quando la pace e il diritto non saranno solo per una parte dei viventi, e non vorranno dire solo la felicità e il diritto di una parte, e il consumo spietato di tutto il resto, solo allora, quando anche la pace del fiume e dell’uccello sarà possibile, saranno possibili, facili come un sorriso, anche la pace e la vera sicurezza dell’uomo.
Anna Maria Ortese, "Corpo celeste", Adelphi, Milano 1997
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lunamarish · 11 months
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Noi camminiamo in vie di fango, tutti indistintamente. Se alcuni sono felici è perché non guardano dove sono costretti a marciare, ma in alto.
Anna Maria Ortese, Vera gioia è vestita di dolore
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ma-pi-ma · 3 months
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In una città, come nel mare, bisogna identificarsi, per vedere realmente.
Anna Maria Ortese, La lente scura
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Che risplenda il Sole
sopra le mani mie voglio, e penètri
fino nell’ossa, e le consoli e prema.
- Anna Maria Ortese
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valentina-lauricella · 10 months
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Origine del titolo "Il giovane favoloso"
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(Anna Maria Ortese)
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kachoobu · 5 months
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"Non ho sete che di gioia, di luce, d'amore. E tutto questo non c'è, fra le carte. Scrivere, è uguale al canto raccolto e disperato del mare, nelle insenature segrete. È il rifugio triste, non è la vita. Vorrei essere dove voi tutti siete."
Anna Maria Ortese, Vera gioia è vestita di dolore: Lettere a Mattia
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faelivrini · 8 months
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Mattia, sentivo il desiderio assillante di trasformarmi improvvisamente in onda, in musica, in armonia; abbandonare questo corpo monotono e insignificante, raggiungere e sparire nell' Immenso. Essere "figlia del sole", quante volte l'ho desiderato anch'io. Ma questo presuppone tutto uno stile, una sicurezza, una forza che io non ho. Debole e incerta come una schiava, sono; come una fontana, che, solo quando passa il vento, si agita e scintilla; e poi mormora umile a terra.
Anna Maria Ortese, Vera gioia è vestita di dolore
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solochiacchiere · 1 year
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Esser vorrei tutto quanto delira,
tutto quanto sommossa
è dal dolore, quanto scoppia d’ira,
quanto s’agita brama infuria accende
e pazzo piange.
Anna Maria Ortese 
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winckler · 1 year
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Oggi si dà alla parola diverso una dimensione fisica o psichica limitata alla sfera affettiva, personale. I veri diversi per mia esperienza sono altri, e sono di sempre: sono i cercatori di identità, propria e collettiva, e nazionale, e d'anima. Coloro che videro il cielo e che mai lo dimenticarono, che parlarono al di sopra dell'emozione, dove l'anima è calma. Che non credono, o credono poco, ai partiti, le classi, i confini, le barriere, le fazioni, le armi, le guerre. Che nel denaro non hanno posto alcuna parte dell'anima, e quindi sono incomparabili. Quelli che vedono il dolore, l'abuso; vedono la bontà o l'iniquità, dovunque siano, e sentono come dovere il parlarne. I cercatori di silenzio, di spazio, di notte, che è intorno al mondo, di luce, che è intorno al cuore. [...]
Ora, io vorrei chiedere a chiunque mi ascolti — aspettando risposta, naturalmente, solo nel cuore: credete davvero che la vita umana sia sempre e solo trionfo sull'altro? Che per essere contenti della propria vita bisogna aver posato il piede sul capo dell'altro? Credete che i deboli —paesi o individui —debbano essere eliminati anche se in modo indolore? Credete che zingari, poveri, pastori di greggi; che poeti, scrittori, preti e maestri non di parte o isolati, che attraversano questa vita lieti come fanciulli e vigili come madri non servano proprio a nulla, e la vita, la società, lo Stato possano fare a meno di essi?
— Anna Maria Ortese, Corpo Celeste
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mayolfederico · 2 years
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Ischia ~ Raffaele La Capria
Ischia ~ Raffaele La Capria
Luigi De Angelis Questi luoghi dai nomi numinosi, pur appartenendo tutti alla Campania antichissima e varia, sono anche dei microcosmi diversi l’uno dall’altro, che danno forma a stati d’animo, modi e stili di vita, predisposizioni e inclinazioni, gusti e abitudini talmente differenti, che scegliere l’uno o l’altro come luogo d’elezione, significò anche farsi un abito mentale…
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a--piedi--nudi · 8 months
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Corpo celeste - Anna Maria Ortese
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lastregadeilibri · 3 months
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Altro
E la pioggia è caduta sul cappello del lume che sta all’angolo del vico! Come sempre! Ma il vico muto splende di straniera bellezza. Altre le case, altro il vento, altra l’alba che riluce tra le nubi del mondo. E il mondo un altro.
ஐ Anna Maria Ortese ஐ
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Anna Maria Ortese, Mistero doloroso, Adelphi, 2010
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winckler · 2 years
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Ma quanto vissi? E sempre
Sono tant’anni, forse sono secoli ormai che la dolcezza di risvegliarmi provo, di vedere intorno a me le cose conosciute, spente, e le vive. Sono forse secoli. Ma quanto vissi? E sempre mi sveglierò a toccare i mali miei, le amate cose d’intorno? Come calmo è il sole sulla mia faccia, sopra le mie mani, eppure un giorno finirà.                                               Non voglio, pensare a questo. Chi raccoglie al mio posto le voci che raccolsi? Il mesto saper di vita chi raccoglie, mio? Ma quanto tempo vissi! Ora mi pare la vita sfumi, e non vorrei: ché buono ha sapore, di pane. Scaldami, Sole, vieni qui. Ho timore freddo che il Sole ora si stanchi, e guai se questo avviene, se si fredda il Sole. Come svegliarsi una mattina, e piove nero sui vetri, e gridano campane funeste. Male. Che risplenda il Sole sopra le mani mie voglio, e penètri fino nell’ossa, e le consoli e prema.
— Anna Maria Ortese
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ortodelmondo · 1 year
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a--piedi--nudi · 10 months
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Ritratto
Ortese: chi sono io?
Amica, ma delle vittime
di Anna Maria Ortese
("La Stampa", 19 giugno 1990, a pag. 17)
Bisognerebbe essere grati – nel secolo dell’immagine, e della divorante ansia di essere guardati, o comunque ammirati – a una rivista come Leggere, e a una firma elegante e avveduta come quella di Ginevra Bompiani, per le sei pagine dedicate alla Ortese. Voglio dire: la Ortese dovrebbe essere grata. Ma chissà se lo è. Dico proprio così: «la Ortese», come se questo nome non mi riguardasse, e io fossi un semplice lettore della rivista. E, in realtà, nella mansueta figura qui rappresentata, divisa tra grigie preoccupazioni familiari, lodi ripetitive (che mi ricordano tanto un celebre personaggio della Austen) per la piccola città in cui vive, e trepidazione per trappole lontane («il Topo di Siena»), senza dire di assurde affermazioni di timore (in una città di «buonissimi»!), io non mi riconosco. Nè mi riconosco, se non in minima parte, in quel bellissimo titolo: «Amica al vivente». No, Ginevra s’inganna. Io non sono, se non qualche volta, e per stretto dovere, amica al vivente.
Se Ginevra avesse rintracciato (e guardato) qualcuno dei miei libri più perduti alla memoria dei lettori, o anche uno solo di essi, Toledo, avrebbe compreso che io non sono amica al vivente, altro che nel comune sentimento dell’orrore per l’inferno in cui apparentemente salvi o meno – viviamo tutti: e un istante solo. Non amica al vivente, dunque, se per vivente, o viventi, devono intendersi anche tutti gli esseri umani nella loro stagione del trionfo, della vanità, del cinismo, e infine della crudeltà e il disprezzo per i loro «inferiori» (in potere), e comunque per i vinti. Non in questo senso. Amica agli uccelli, e a tutti i figli della Natura, sempre; non amica – e non sempre, o quasi mai – alla natura umana.
Mi avesse interrogata, Ginevra, prima di scrivere (ma nessuno lo fa), avrei dato risposte precise, e mi sentirei, guardando il bel ritratto, meno tradita. Persona di pace avrei voluto essere (come Ginevra mi vede), ma vivendo sono diventata persona di guerra. E la mia guerra, ora in fine, è stata guerra silenziosa, il grido silenzioso di chi è oppresso dall’Universo intero, e dai suoi sicari: bellezza, tempo, primavera, fortuna; e poi giustizia ridotta ad esecuzioni continue, e sommarie, del più inerme, e sicuramente «prigioniero».
Non amica al vivente in genere, allora, ma al vivente che piange da ogni parte: nei boschi, all’alba, prima del massacro; nelle città perdute ad ogni ora del giorno; nei continenti desertificati (e derubati di quel che resta) eternamente. Viventi come orfani di giustizia, predati senza tregua dalle forze vincenti, cacciati come lupi, e – se lupi – accusati di non essere l’Uomo! Amica di tutto il vivente non è quindi possibile, senza tradimento della propria ragione. E io non voglio tradirla.
Ma non mi sento nemmeno di vivere in una illusione, o di vivere di una intelligenza senza speranza, come suggerisce una nota di redazione. Il disprezzo e l’ira contro il Male (riconoscibile nella perfetta definizione filosofica di Nulla Attivo) che domina tutto questo secolo, e tutto il pianeta (cosa mai accaduta prima), questo disprezzo e quest’ira non sono inutili, aprono invece la guerra inevitabile, se deve esservi una riconquista degli alti Territori perduti. Ed è forse vero che non vi è molta speranza di approdare a un futuro, di ottenere salvezza per questo pianeta e questa vita. Ma se (con l’eccezione degli Uccelli) tutto il pianeta ne fosse indegno? E solo qui, ora in questa condizione di terrore e malinconia, si effettuasse il carcere, la pena cui siamo (si può arguire dal grande silenzio) destinati? Non sarebbe già salvezza accettarla come «giustizia», come tale patirla?
Ecco, io oso sperare che oltre il carcere del tempo, e di questo pianeta, e anche di questo Universo bruciato dal tempo, vi sia qualcosa: di solido, di fermo, di purissimo, di senza fine calmo e bello. Il porto dov’è disceso finalmente Keats, la notte del 23 febbraio 1821, a Roma – vero Cristo della Bellezza – e dove forse è scampato Shelley, dalla improvvisa tempesta, con la sua «aziola»: «Oh come fui felice quando seppi / che non era per nulla cosa umana, nè un essere / simile a me da temere e da odiare!»
I Poeti inglesi, come un gruppo di arcangeli precipitati in questi deserti (nel medesimo periodo «apparvero» anche, come meteoriti, Pushkin in Russia e l’uomo delle Ricordanze in Italia), mi assicurano che da qualche luogo di gioia cadono qui, per essere crocifissi e illuminare il mondo, gli uomini della luce. Testimoni di una terra inimmaginabile, di cui solo l’alta matematica racchiude l’ipotesi. Terra imperitura, dove tornano con dolcezza tutti gli uccisi e i sacrificati dell’Essere. Non – credo – illusione, nè rifugio estremo alla assoluta desolazione. Ma calcolo eseguito nella notte della vita, nell’assedio della ragione, contabilità scintillante delle isole, i mari, i nomi, le navi di luce, di cui l’Essere – non il Nulla – ha scoperto una volta il passaggio, qui e ne ha fissato sulle mappe tormentate della memoria le orme indelebili, e la non vanificabile direzione.
…e poi questa lettera all’amico Giorgio Di Costanzo
Rapallo - 22 - 6 - 90
Caro Giorgio - se hai visto una mia "lettera" sulla Stampa - cancella - con la mente - il titolo perché non è mio - e mi è dispiaciuto vederlo. Avevo scritto solo: "Non a tutto il vivente." - E' andata così.
- Stai bene. Aff.te - Anna Maria
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