Tumgik
#corso di disegno vicino a te
24hdrawinglab · 7 months
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Corsi di disegno disponibili a Roma e Milano
Corsi di disegno disponibili a Roma e Milano. Siamo entusiasti di annunciare che il nostro amato corso di disegno è ora disponibile non solo a Roma, ma anche a Milano. Questo significa che più persone avranno l’opportunità di sviluppare le proprie abilità artistiche e scoprire il piacere della creazione artistica. Presso le nostre aule di Roma e Milano, offriamo corsi che ti aiuteranno a…
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benzedrina · 2 years
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Dovrei rifare il letto, mettere un piumino che dormo ancora con lenzuola e plaid, sistemare un po' la disposizione del soppalco e forse mettere il letto centrale. Sono da due mesi in questa casa, mi ci trovo bene, è quasi tutto a misura mia e vige un bel disordine caldo e familiare. Ho fatto diverse cene, nulla di abitudinario ma comunque qualcosa di regolare. È entrata un po' di gente e bene o male i commenti sono stati un "si vede che è casa tua" con toni negativo o positivo. L'unica cosa regolare è la partita a D&D in settimana e la birra post partita di giovedì con il tipello a vedere qualche cagata in tv. Sui commenti fatti alla casa potrei scrivere un long form e tenerlo per me come saggio personale sul trattamento degli hobby altrui e sulla percezione artistica del mondo. Sarebbe un bel titolo. Qui a casa puoi trovare filati di ogni tipo, uncinetti, ferri circolari e non, macchina da cucito, jeans da tagliare e stoffe random. Anche cose per disegnare che ho accumulato negli anni, ma tanta roba perché boh le tecniche di disegno e pittura le ho iniziate tutte. Disegni miei e di altri, tanti fumetti e libri, cose per cucinare (ne vorrei di più, tipo che mi serve un mortaio), un sacco da boxe, corde per legare, roba di fotografia, libri di moda, di foto, di pubblicità, di font, boh un bordello. Casa è quello che ho accumulato nel corso degli anni, perché sono un disturbato cronico che deve fare cose e sentirsi perennemente l'ansia di non fare nulla. E questo, le persone che vivo, lo sentono. Il commento principe è "Gi sei too much" che non posso dire che sia sbagliato ma posso dire che mi faccia leggermente stare male. Lo capisco, ma avere tutta sta forza creativa, cioè energia ma a sentirla è proprio una forza interiore che ti spinge lontano, senti sto fuoco che brucia e vuoi fare e fare e se non fai ti viene rabbia perché il tempo che scorre lo senti nei timpani, e come le lontre che sono iperattive fai qualcosa. Cazzo, ho fatto un centinaio di origami in un periodo della mia vita. Ho fatto mosaici per anni con i miei. Ho scritto canzoni che non saranno mai cantanti. Ho un garage fuori città dove dipingo ad olio perché l'odore degli smalti e dell'acquaragia a casa è insostenibile. Mo mi so messo a fare le cose con la macchina da cucire. Cristo, Gi fermati a un certo punto. Ecco quello che sento, ma è una cosa mia, una lotta mia, non voglio che nessuno entri in questa lotta, mi serve per controllarmi. E quando sento quel too much, sento la presenza di sta persona che giudica quel mio fare cose, che ha varcato la linea del mio spazio personale e sta cosa mi fa male, poco poco, ma fa male. Infatti vado d'accordo con poche persone, semplicemente con quelle persone che rispettano questo mio modo d'essere, cioè di base vado d'accordo con tutti, sono una persona aperta, espansiva, curiosa, ed estremamente socievole, ma ti sento vicino se rispetti quella cosa. Sento che posso comunicare con te, dirti qualcosa di più profondo dei semplici discorsi che si possono fare, parlare di un botto di cose che tengo sopite, tipo tutto questo mega pensiero su di me.
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Pappatacio
«Pure io e Wes abbiamo tipo marcato il territorio... guarda là, sul camino» la indirizza con un sorriso, mostrandole la serie di fotografie animate che lo ritraggono appunto in compagnia di Wesley e di Meagan in quella sala stessa.
Però adocchia curiosamente le polaroid magiche che ritraggono Tris, con Wes e proprio la MacGillivray più piccola. « Oh, avete fatto bene! » e ne indica una « Mpffff, guarda qua che muso c’ha Wes! » e fa una risatina divertita nel vederne tutte quante, specie quella in cui il tassorosso sembra fare un’espressione più buffa del solito.
Si sofferma a propria volta a riguardare le fotografie, e, contagiato da Charlotte, scoppia in una risata alla vista dell`amico formato polaroid «Magari i baffi li possiamo disegnare a lui» propone dispettosamente, con tanto di spallata giocosa alla volta della Serpeverde
Effettivamente dato che si è ricordata di portare l’inchiostro in caso ci fossero altri nella sala comune, allora, possono fare un po’ di vandalismo sulle immagini che ritraggono tanto Tristran quanto gli altri, specie il Tassorosso. « Sì! Almeno una, così poi starà per un sacco a pensare a chi abbia fatto quell’oltraggioneee!! » lo pronuncia anche troppo divertita dall’idea che ancora guarda con furbizia le polaroid che ritraggono i tre compagni di scuola.
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Si torna quindi a guardare le polaroid; gli occhi di Tristran fanno lentamente la spola tra Charlotte e le fotografie esposte «... sai che c`è? Facciamolo» acconsente con un sogghigno, e recupera dal camino la prima foto che lei gli aveva indicato. La sventola per aria in un gesto vittorioso, al culmine della soddisfazione nel momento in cui riesce finalmente a svelare il mistero del passaggio per Hogsmeade.
Guarda come prende la polaroid da incriminare in un trionfo e si allunga per prendere lo zainetto e tirare fuori anche la piuma ed una bocettina di inchiostro che non è nemmeno tantissimo, ma quato basta per sistemare al meglio il Tassorosso ritratto. « Facciamogli anche un cuoricino sulla fronte! » oltre ai baffi, per renderlo più favoloso, così sicuramente capirà che c’è di mezzo lei, ma chisseneunbolide: è divertente la cosa. [...] mentre tiene per le mani la fotografia che ritrae Tristran insieme a Wes e Maegan. « Un bel barbone da Mago Merlino? » adocchiando l’altro, facendo di nuovo riferimento alla fotografia, ovviamente che agita piano.
Le lascia l`onore di scarabocchiare Wesley come più le aggrada, muovendo in ogni caso qualche obiezione quando ne ascolta la proposta finale «Maddai, ma come un cuore, così non è divertente!» sbuffa, anche se di fatto non fa nulla per impedirglielo. [...] si accomoda sul tappeto accanto a lei, tirando su le gambe e portandole più vicine al resto del corpo «... A me?» aggiunge, allungando il collo per guardare la fotografia deturpata «E scusa, ma a me niente cuoricini? Ma oh!» finge di indispettirsi, cercando di pizzicare a tradimento la vita della ragazza.
Sistema lì vicino la boccettina di inchiostro prendendo la piuma che intinge lì dentro, anche se fa una smorfietta poi col viso e con le spalle che si spostano un po’ verso la direzione opposta alla mano che gli pizzica la vita. « Daaaiii! » ridendo però. « Va bene, allora prima un cuoricino a te.. mhh, però qui accanto, va bene? » cercando di mettere in mezzo a loro la polaroid che tiene con una mano, indicando un punto accanto al viso e non sopra. « E ti faccio anche le lineette sul viso, mh? Così fanno carino col cuoricino. » ancora non poggia la piuma sulla foto, lascia dentro all’inchiostro per intingersi bene. « I baffi tristi a Wes, che è triste perché la sua bacchetta s’è rotta. » indicando un punto in cui potrebbe disegnare - stilizzare - una bacchetta rotta. « Ti piace così, Sir? » mentre prende allora la piuma aspettando il via da parte sua per poter fare quest’opera d’arte.
Stuzzicata a dovere Charlotte, se la ride a propria volta prima di restare buono e zitto ad ascoltare il progetto per questo attacco d`arte «Va beneee» acconsente in merito al proprio cuoricino, simulando un`intonazione rassegnata «Pure la bacchetta rotta?» gravissimo, considerando che la proposta arriva da una Charleston «... che cattivissima. Mi piace» tuttavia non manca di mostrarle il proprio plauso, sorridendole beffardo, salvo poi additare a sua volta la polaroid «Vabè, dài, mettici pure del magiscotch intorno alla bacchetta» che magnanimo. Le fa quindi cenno di procedere, restando lì vicino a monitorare il disegno in corso o fingendo di farlo; in effetti, tenterebbe di approfittare di quegli attimi di distrazione per alzare semmai furtivamente una mano sulla testa di Charlotte, cercando di sfilarle il cerchietto con goffa delicatezza.
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residancexl · 3 years
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Conversazione con Martina Gambardella
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Mi racconti come nasce il progetto Error?
Error nasce dal desiderio di approfondire ed espandere la ricerca coreografica che mi aveva guidata attraverso la creazione di Error#1. Il lavoro porta in scena il processo di apprendimento e il tentativo di sconfinamento di un corpo, celebrato momento per momento nel suo continuo errare ed accadere, nel suo muto ed inafferrabile con-fondersi e manifestarsi nel mezzo, nel passaggio tra il dentro e il fuori dello spazio che abita. Error#1 aveva lasciato aperte in me molte domande ed avevo sentito l’esigenza di continuare ad interrogare ed osservare da vicino quegli strumenti che avevo messo in gioco nella sua fase di creazione. Mi interessava espandere la durata della pratica che è alla base del lavoro, individuare dei principi che mi permettessero di poter leggere il corpo nel suo processo di decostruzione e di poterlo notare attraverso le sue fasi di transizione. Desideravo approfondire il tema dello sconfinamento nel corpo, comprenderne la natura, osservare il suo rapporto con la profondità, intesa non in termini di introspezione, quanto di partecipazione ad un essere senza limiti, ripercorrendone il senso che Maurice Marleau-Ponty ci offre all’interno del suo saggio L’Occhio e Lo Spirito. Mi interessava consegnare gradualmente il corpo ad uno spazio più ampio, interamente inglobato nel paesaggio, emancipandolo dalla sola relazione di frontalità che fino a quel momento aveva caratterizzato il lavoro. E ancora, desideravo fortemente portare l’intero progetto su un nuovo piano di esposizione e confronto, coinvolgendo nel processo di creazione il musicista Giuseppe Giroffi, il coreografo Daniele Ninarello in qualità di consulente al progetto e la light designer Alessia Massai.
Qual è l’immaginario che sta nutrendo il tuo percorso di ricerca?
Nel lavoro c’è un immediato richiamo alla glitch art, l’arte dell’errore. Nel mondo digitale, il glitch è un errore di sistema, uno scarto in grado di scompaginare l’unità, di decostruirla a tal punto da lasciarci scorgere un segreto, un linguaggio sotterraneo, primo ed originario che giace dietro l’intero. In Error, il corpo trova nell’errore l’infrazione, un punto di fuga e disordine che è il suo tentativo costante di agganciare l’origine, il suo sentire primo, per poter sconfinare e farsi altro da sé. Un elemento che nutre l’immaginario di Error è inoltre quello del viaggio, come processo di cambiamento del corpo e attraverso il corpo. Questo immaginario è intensificato dall’uso della videoproiezione, che inoltra lo spettatore nell’intermittenza di luci e laser catturati da vagoni di treni in movimento di passaggio tra gallerie e sotterranei. L’intero processo creativo di Error ha visto nel testo L’Occhio e lo Spirito di Maurice Marleau-Ponty, oltre che nella pratica dell’arte e nell’opera Ulls i creus en vertical di Antoni Tàpies, punti di riferimento e di snodo importanti per la sua realizzazione.
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A che punto sei del tuo percorso di ricerca e come si è sviluppato il lavoro durante le residenze di ResiDance XL?
Le tappe di residenza ResiDance XL svolte sono state estremamente significative non solo perchè mi hanno concesso il tempo necessario per avanzare nella scrittura del lavoro, ma anche perché mi hanno permesso di avvicinarmi ancora di più a quegli aspetti della ricerca che sento oggi l’urgenza e il desiderio di continuare ad interrogare nel mio percorso. L’arte come rivelazione del processo, il lavoro sulla dissezione del corpo, la ricerca di un’azione incorporata di movimento in grado di farci scrivere e ri-scrivere lo spazio che abitiamo, la possibilità di un corpo di farsi mezzo di cambiamento e risonanza dell’altro, nutrono oggi le mie visioni e prospettive. Nel corso delle prime due residenze per la realizzazione di Error mi sono dedicata rispettivamente alla ricerca e alla scrittura del lavoro. Per la prima tappa sono stata ospitata negli spazi del CID di Rovereto e qui mi sono dedicata all’osservazione della pratica e alla notazione di quei principi fisici e fasi di transizione che guidano l’intero processo.  È stato un profondo lavoro di ascolto a livello anatomico delle separazioni delle parti, oltre che dei punti d’origine del movimento e dell’intensità e pressione di ogni azione. La ricerca nello studio è stata condivisa con il musicista Giuseppe Giroffi e con lui abbiamo interrogato la possibilità del suono di rendere sempre più immersiva l’esperienza sensoriale che lo spettatore fa del corpo. La seconda tappa di residenza ha avuto luogo ad Armunia, presso la Sala Nardini. In questa fase, che ho avuto l’opportunità di condividere per alcuni giorni con il consulente al progetto Daniele Ninarello e la light designer Alessia Massai, mi sono immersa totalmente nell’esplorazione dell’aspetto drammaturgico del progetto e del disegno luci, oltre che nel recupero di materiale video che avevo raccolto nel tempo ed archiviato.
Cosa significa per te come danzatrice e autrice abitare uno spazio di residenza?
Lo spazio di residenza è ed è stato per me un tempo prezioso per abitare fino in fondo la creazione, per interrogarla a tal punto da aprire e disordinare più volte il processo, metterlo in crisi e riagganciarlo da nuove prospettive. La dimensione di silenzio dei luoghi che ho attraversato e il dono di alcuni incontri anche fortuiti, hanno fatto sì che la residenza si rivelasse un’importante esperienza di soglia, concedendomi l’opportunità per poter restare immersa nella ricerca e al tempo stesso lasciarla esistere esposta allo scambio e al confronto con chi dall’esterno ne è venuto a contatto, lasciando depositare il proprio sguardo, le proprie sensazioni e i propri pensieri.
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forgottenbones · 4 years
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Rebus
1. Definizione
Il rebus è un gioco enigmistico (➔ enigmistica) che propone un insieme di lettere e figure in una successione ordinata oppure nel contesto di un’illustrazione. Se sono correttamente combinate e interpretate secondo le regole di genere del gioco, lettere e figure si risolvono in un’espressione linguistica preordinata dall’autore.
2. Tecnica del rebus
Il rebus italiano contemporaneo si presenta come una vignetta in cui alcuni soggetti sono contrassegnati da una, due o tre lettere. Il solutore ha anche a disposizione (nell’intestazione del gioco) un diagramma numerico che riporta il numero delle lettere che compongono le parole della cosiddetta frase risolutiva (o seconda lettura). A volte il rebus viene corredato da un doppio diagramma, in cui è indicato il numero delle lettere che compongono le parole della chiave (o prima lettura). Dalla prima alla seconda lettura si passa con il procedimento di risegmentazione tipico delle ➔ sciarade e delle frasi doppie.
Un’illustrazione che riporti, da destra verso sinistra, un palmipede contrassegnato dalle lettere GI e un’insenatura contrassegnata dalle lettere MA (Rebus, 6, 1, 4) può essere risolta come segue:
(1) (prima lettura) GI oca, rada MA = (seconda lettura) Giocar a dama
Ogni elemento contrassegnato dalla vignetta deve comparire nella prima lettura del rebus, o per quel che è (un’oca, una rada) o per quello che fa. In un rebus che si risolvesse come segue:
(2) (prima lettura) G alle sei RL a N dà = (seconda lettura) Galles e Irlanda
è indifferente chi sia G, chi sia N e cosa sia RL: G può essere un postino che consegna alla casalinga N il plico RL; G può essere uno staffettista che passa al suo compagno N il testimone RL; G può essere Dio che consegna a Mosè N le Tavole della Legge RL. In ognuna di queste realizzazioni, o delle innumerevoli alternative possibili, il rebus è valido.
Fino agli anni Cinquanta del Novecento alcune oscillazioni terminologiche assegnavano a volte al rebus detto di relazione il nome di rebus crittografico o crittografia (ingenerando ambiguità con un’omonima famiglia di giochi enigmistici non illustrati). Oggi la tendenza dominante denomina come rebus ogni gioco enigmistico illustrato, in cui cioè una sequenza linguistica interpreta una scena rappresentata figurativamente (per denominazione, per relazione o nelle due modalità combinate).
3. Archeologia del rebus
Il gioco del rebus ha radici nelle antiche forme di scrittura pittografica e ideografica in cui la notazione di un concetto prevedeva la sua rappresentazione figurativa: forme che a volte sono state designate dagli storici della materia come scritture-rebus (cfr. Diringer 1969). Già in epoca antica era possibile che elementi linguistici privi di una propria raffigurazione univoca, come per es. i nomi propri, venissero scomposti in segmenti invece raffigurabili. Così la tavoletta che raffigura il faraone Narmer (III millennio a.C.) lo nomina attraverso i disegni di un pesce (nar) e di uno scalpello (mer).
Il passaggio alla scrittura alfabetica decretò l’abbandono dell’iconismo diretto della rappresentazione, ma d’altro lato rese ancora più evidenti le possibilità di scomposizione delle sequenze alfabetiche; quando Cicerone saluta un corrispondente in questo modo:
(3) Mitto tibi navem prora puppique carentem («Ti mando una nave priva di prua e di poppa»: n-ave-m)
costruisce una sorta di rebus tutto linguistico, in cui il lato figurativo è lasciato all’evocazione del tropo analogico (la prima e l’ultima lettera di navem come la prua e la poppa di una nave).
L’aspetto linguistico e l’aspetto figurativo si congiungono sulla scena del sogno. Il primo trattato sull’interpretazione dei sogni, l’Onirocritica di Artemidoro di Daldi (II sec.) riferisce il responso che Aristandro diede a un sogno di Alessandro Magno. Impegnato nell’assedio della città persiana di Tiro, Alessandro aveva sognato un satiro danzante sopra uno scudo. Aristandro ne aveva tratto un auspicio favorevole: Satyros = sa Tyros «Tiro è tua»: una perfetta sciarada, o frase doppia. L’Interpretazione dei sogni (1901) di Sigmund Freud riprenderà e approfondirà questo tema, distinguendo fra contenuto manifesto e contenuto latente, e definendo il sogno come un «indovinello figurato» (Freud 1899). Come ha poi dimostrato François Lyotard (1971), Freud stava facendo diretto riferimento al gioco delle rätselhafte Inschriften («iscrizioni enigmatiche»), una sorta di rebus epigrafico che all’epoca di Freud compariva sulla pubblicazione viennese «Fliegende Blätter». Un analogo raccostamento è stato poi operato da Jacques Lacan, che ha assimilato il sogno al gioco salottiero della sciarada, chiamata charade en action.
Il principio linguistico della sciarada (scomposizione di un’espressione in sillabe o altre unità che si scoprono dotate di senso proprio) e il principio verbo-visivo del rebus (rappresentazione iconica di unità linguistiche) si trovano combinati anche nell’immediato antecedente del rebus: l’impresa rinascimentale (per la quale si rinvia a Praz 1946). Del rebus l’impresa ha innanzitutto l’intento criptico: a differenza degli emblemi manieristi e barocchi, rivolti a un pubblico anche analfabeta (e per questo intento ripresi anche dalla catechesi gesuitica), le imprese realizzavano una comunicazione criptica. Il loro carattere non era universale, ma particolare: intendevano rappresentare in modo incomprensibile ai non adepti l’intenzione segreta, il movente intimo delle azioni di un cavaliere, il suo motto personale o familiare. Vicino al ritratto dell’amata, Orazio Capete Galeota conservava un’impresa in cui una tigre si specchia in una sfera di vetro, con il motto fallimur imagine «siamo ingannati dall’immagine»: l’impresa si spiega grazie a un racconto di sant’Ambrogio in cui i cacciatori ghermiscono un cucciolo di tigre e gettano una sfera di vetro alla madre, che scambierà la propria immagine riflessa e rimpicciolita con quella del figlio, consentendo ai cacciatori di allontanarsi. Solo l’erudizione e la conoscenza diretta dell’interessato consentiva di cogliere il contenuto criptico dell’impresa.
Oltre al meccanismo perfettamente concettuale dell’impresa era disponibile una rappresentazione per segmenti linguistici. Una prima forma, moderata, segmentava le sequenze conservando l’omofonia: è il caso dello stemma della famiglia Anguissola, realizzato con l’immagine di «un solo serpente» (anguis sola). Trattatisti come Paolo Giovio non consideravano questo caso diverso da quello della colonna che campeggia nello stemma della famiglia romana Colonna: la semplice scomposizione che mantiene l’omofonia veniva avvertita come una variante dell’omonimia. Diverso invece, e spesso censurato dai trattatisti, il genere dell’impresa-rebus o impresa cifrata, in cui la sequenza viene scomposta in segmenti che comprendono lettere isolate e in cui l’omofonia è perduta, o faticosa (una perla, una lettera T, una suola di cuoio o coramo: «Margherita, Te, sôla di coramo = Margherita, te sola di cor amo»). È questo il caso dei cosiddetti rebus di cui ➔ Leonardo da Vinci costellò il codice Windsor: la figura di due quaglie e quella di due ossa erano intervallate dalle lettere C, H, I, P. Soluzione: «qua gli è chi possa» (quaglie, C,H,I,P, ossa). È anche il caso dei Rébus de Picardie (fine XV - inizio XVI sec.), ove la figura di una monaca che sculaccia un abate (nonne abbé bat au cul), seguita dalla figura di un osso (os), va risegmentata e reinterpretata come motto latino: Nonne habebat oculos? «ma non aveva occhi?». È questa la prima apparizione del nome rebus, la cui etimologia viene comunemente ricondotta al plurale dell’ablativo strumentale di res «cosa», dunque «con le cose».
4. Il rebus enigmistico
Già dal Rinascimento la produzione italiana di rebus si è differenziata da quella in altre lingue, pur fiorente, per il fatto di accogliere solo esempi rigorosamente omografici. Nella tradizione anglosassone (come nella francese), il soggetto raffigurato può stare per una parola o per un segmento di parola anche solo in virtù dell’omofonia; così in una famosa lettera-rebus di Lewis Carroll il pronome I è rappresentato dal disegno di un occhio (eye).
Nel corso dell’Ottocento il genere del rebus era impreziosito ma anche limitato nelle sue possibilità di sviluppo dal costo della riproduzione tipografica. Rispetto alle sciarade, ai logogrifi, agli acrostici, agli anagrammi, agli enigmi e agli altri generi puramente linguistici dell’incipiente enigmistica, il rebus richiedeva procedimenti di stampa peculiari, che ne limitavano la presenza sulle riviste.
Il rebus enigmistico ottocentesco e del primo Novecento si rivolgeva a estese frasi di tipo proverbiale e gnomico, come sopravvivenza delle radici concettistiche ed emblematiche: «è vano ad amor ardente opporsi», «latte sopra vino è veleno», «senza danari non si àn rosari». Lo sviluppo decisivo del rebus italiano si è prodotto nella seconda metà del Novecento, sulle pagine della «Settimana enigmistica», dove si sono assestati i canoni di accettabilità della frase risolutiva, di chiarezza espositiva della vignetta, di innovazione e correttezza sintattica della prima lettura.
La frase risolutiva si è liberata dai vincoli della proverbialità, adottando come criterio la maggiore prossimità possibile alla dimensione semantica del paralessema e del modo di dire (famosi rebus hanno avuto frasi risolutive come: «bagarre tra vari spettatori»; «fare sberleffi giocosi»; «Sodoma e Gomorra»; «leghe superleggere»; «audace scenetta»; «melodia d’amore medioevale»; Bosio 1993).
L’illustrazione, la cui tecnica è stata codificata da Maria Ghezzi Brighenti, si è caratterizzata per nitore e neutralità del tratto e per l’estensione delle peculiari tecniche di composizione che sottolineano la pertinenza degli elementi utili per la risoluzione.
La prima lettura si è giovata innanzitutto dell’invenzione del «rebus stereoscopico», da parte di Gian Carlo Brighenti (1924-2001): distribuendo la rappresentazione del rebus su più di una vignetta è possibile raffigurare sequenze temporali o meramente logiche (un’aquila C che discende a più riprese dalle stesse montagne: «C a valle rialeggerà = Cavalleria leggera»).
Più recentemente il relativo esaurimento delle chiavi utili alla composizione di rebus si è combinato con l’elevato virtuosismo degli autori e degli illustratori, portando alla pubblicazione di difficili rebus in cui la prima lettura consiste in un’interpretazione particolarmente raffinata (e a volte al limite dell’aleatorio) della vignetta. Per es., un rebus in cui gli sposi G sembrano quasi tardare a scambiarsi gli anelli F si risolve tramite un congiuntivo esortativo e una postilla esplicativa: «G abbiano F: è rito! = Gabbiano ferito».
fonte: Treccani
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storia di una folgorazione
non ce la faccio vorrei dirle da un pezzo quanto la amo ma tutto e iniziato con me fermo e tutto e finito con lei ferma li. ascolta noa non ti vedo da un pezzo come stai bene e tu io bene me ne sono andato da taranto non tornero mai piu sarai felice credo
perche non mi cambia niente
be so che ti ho creato tanti problemi mi spiace averlo fatto non volevo disturbarti in nessun modo, tutt’altro volevo solo conoscerti tutto qui ma credo che tu non volessi mi dispiace ancora averti infastidito ti saluto ora devo andare almeno spero che le mie scuse siano servite a qualcosa ciao ciao
. Salgo piango in silenzio nascondo i singhiozzi non importa sono riuscito a parlare .
la incontro per strada vicino casa lei ,mi guarda strana, io le ricambio lo sguardo finisce. li passano 6 mesi finisce il mio percorso, torno a taranto diverso arrivo e lei sta fuori dal negozio con il suo ragazzo mi riconosce io scarico la roba e le accenno un saluto  fine . salgo a casa giornate tranquille mi alleno nello spiazzo tutto il pugilato che ho fatto mi ha fatto un fisico d’acciao corda palletta flessioni addominali sollevamento corpo
lei esce con una cliente io mi interrompo ,lei mi osserva sono abbronzato fisico d’acciaio rimane un po ferma fa caldo io sudato prendo le cose e inizio ad andarmene, lei mi chiede fai pugilato
io si e me ne vado
interrompo la conversazione di spalle sembra che si stia interessando
perche perche perche tutto questo tempo adesso e solo mia immaginazione frutto della mia illusione di quegli occhi che non voglio guardare
. altro giorno mi alleno di nuovo esce lei si fuma la sigaretta io continuo lei ogni tanto sbircia io prendo tutto me ne vado
terzo giorno di nuovo mi alleno lei esce con la cliente ora mi guarda fisso vorrebbe chiedermi qualcosa ma io sono diverso prendo tutto e sto per andarmene le
i ma ti disturbiamo io
è diverso non mi riesco a concentrare lei
mi chiede hai combattuto questi mesi io
si diverse volte lei
si vede io
ora devo andare ti lascio stare lei
guarda che puoi continuare non ti diamo fastidio sono tre volte che te ne vai, non e che ti infastidiamo io
non riesco piu a trattenermi
il fatto e che non riesco ad allenarmi mentre tu mi guardi lei
allora non ti guardo io
mi dispiace ma non basta lei
che vuol dire me ne devo andare che stronzo io
guarda che non sono stronzo e solo che i tuoi occhi.....
mi fermo lascio tutto cosi e me ne vado lei ci rimane praticamente io salgo lei continua a cercarmi con lo sguardo io me ne vado…..
non mi alleno piu giu mi alleno in terrazza lei esce e lo nota ritorno ad allenarmi giu ma stavolta lei esce con il suo ragazzo io stavolta finisco di allenarmi anzi ci do dentro come un pazzo lei ogni tanto mi guarda poi io con tutta calma mi alzo prendo tutto e me ne vado indifferente tranquillo non mi tange il giorno seguente mi sto allenando lei esce da sola mi guarda
ma il tatuaggio che ti volevi fare non te lo fai piu io
guarda se hai tempo me lo faccio adesso lei
devi prendere appuntamento io
dico aspetta qua
salgo e scendo le faccio vedere un piccolo tatuaggio che mi voglio fare e le dico lo voglio fare adesso seno niente c’hai tempo lei
 domani io
non voglio gente intorno voglio stare tranquillo se domani mi prometti che me lo fai tu senza nessuno attorno me lo faccio senno addio tatuaggio me lo faccio da un altro lei
vabbe fattelo da un altro io mi fermo un secondo sei permalosa io domani vengo a che ora lei
non lo so io
ci vediamo domani.
Domani
scendo mi alleno lei esce
ma non ti dovevi fare il tatuaggio ti stavo aspettando io
sono pronto esco i soldi dammi la mano bastano
io entro dalla porta di servizio dove mi metto qui ok
io la guardo non riesco a reggere lo sguardo mi volto lei inizia il tatuaggio sul braccio io in silenzio lei mi chiede
be che hai fatto tutto questo tempo io
ho lavorato fuori e finito agosto me ne andro per sempre lei alza un secondo lo sguardo fa finta di niente io la guardo di nuovo mi giro lei lo nota inizia a farmi domande dove sei stato io
a barcellona che lavoro hai fatto bartender e poi mi sono laureato e devo fare un corso a roma e poi metto i soldi da parte per un master lei silenziosa mi risponde bene ti sei dato da fare e io le chiedo
e tu che mi racconti senza guardarla negli occhi
lei lo nota ha un sorrisetto ha capito
non riesco a reggere lo sguardo
lei ha il coltello dalla parte del manico
entra il suo ragazzo io
fermati continiamo un’altra volta
lei aspetta mo sbaglio io
dico grazie quando vengo lei
domani ti va bene si ok ciao ciao
lei ha capito
saluta il ragazzo e lo bacia io me ne vado buonagiornata lei ciao lui niente . domani mi alleno lei esce
so dove trovarti cavolo ti alleni tutti i giorni e io
fumi sempre eh
lei sorride iniziamo lei
io va bene ritorniamo in quel moemnto non ce nessuno lei si è fatta bella io lo noto io
le chiedo da ora ti prepari per uscire stasera lei
perche
non fare la finta tonta lei
non capisco vabbe dai pensiamo al tatuaggio
 lei ok cmq ogni tanto farsi belli è carino
io non hai bisogno di farti carina lei
era tutta indaffarata ad armeggiare si ferma di spalle non vedo la sua faccia poi riprende iniziamo col tatuaggio lei e silenziosa stavolta quello che le ho detto l’ha resa pensierosa io non parlo anzi mi rilasso lei finisce io bello grazie quanto ti devo lei hai gia pagato tutto io mi fermo la guardo negli occhi lei si aspetta qualcosa
io sospiro
faccio un giro con la testa
grazie ancora lei
vuoi dirmi qualcosa io
vorrei ma non posso vorrei tanto e da tanto grazie per il tatuaggio esco lei si muove in avanti fa aspetta
io si?!
lei sei strano
io gioia lo sai che 3 nni fa ti guardai negli occhi mi sono innamorato di te lei
ci rimane glielo avevo finalmente detto le faccio
be ciao
.passa una settimana ci becchiamo diverse volte ma lei mi evita io la evito è imbarazzante .
mi stavo allenando lei esce mi guarda si blocca vuole tornare indietro io la guardo lei esce si fuma una sigaretta di spalle
io mi fermo
ora sei tu quella strana lei
niente proprio mi sto fumando una sigaretta e non ti sto pensando io
la guardo incazzato lascio perdere cè il sacco lo distruggo lei si gira e vede
lei mi chiede quando te ne andrai io
non mi stavi pensando lei
non si puo fare conversazione io
se continuo cosi non me ne vado piu
lei ci rimane
di lato mi guarda un secondo
dai quando te ne vai io
presto lei quando si puo sapere io
mi giro un attimo e le dico perche tutto questo interesse lei mi guarda getta la sigaretta e mi manda affanculo .io ci rimango busso un attimo perfavore possiamo parlare lei no dai perfavore vorrei parlarti lei apre io entro siamo io e lei io stavolta le dico
a te non te n’è mai fregato niente di me perche ti interessa sapere quando me ne vado lei
sono fatti miei
va bene partiro a inizi di settembre lei
si gira un attimo lei
ok volevo sapere solo questo ora te ne puoi andare io la guardo e faccio assurdo lei viene avanti verso di me io rimango fermo a guardarla lei abbassa la voce scusami perfavore puoi andare via io si certo me ne vado lei braccia conserte . il giorno dopo lei con il suo ragazzo proprio a fumarsi una sigaretta del cazzo pero lei e diversa stavolta seria quando mi vede io vado avanti lei mi segue con lo sguardo seria non incazzata ne triste . ill giorno dopo io mi alleno lei esce con la collega ride scherza poi si avvicina
senti scemo ma tu ti alleni e basta io
be ogni tanto vado a mare ma visto che c’ho tutti gli amici a barcellona sono un po soletto scherzo
lei se ti va domani è domenica ti vuoi aggiungere io si perche no .
domani
ecco con lo scooter li seguo lei il suo ragazzo il fratello ecc arriviamo sulla spaiaggia sta la famiglia io mi presento gentile e educato prendiamo spazio mi viene offerta una birra la rifiuto loro eddai io se bevo con sto sole mi ammazzo no grazie esco acqua ghiacciata con l’igluu dentro  questa me la bevo di gran voglia il padre mi osserva io perche mi guarda losco hofatto qualcosa di male lui sorride no assolutamente io mi giro faccio vedre il tatuaggio e dico sono uno dei vostri l’ha fatto sua figlia e brava c’ha talento lui e lo so io anche me piace il disegno dipingo un po lei sente e dice quelli che mi hai fatto vedere quella volta io ne ho fatti altri lei fammeli vedre prendo il cell sfoglio bravo ma hai strada da fare io lo faccio per diletto non ce confronto sono sconfitto a prescindere
be dopo questo io sto morendo chi c’ha la palla partita da beach volley si inizia io praticamente volo da tutte le parti inizio a scherzare con tutti soprattutto col fratello è simpatico facciamo gruppo torniamo praticamente il mio fisico e la mia abbronzatura colpisce tutte lui mi chiede ma che allenamento hai fatto e sapessi ho buttato sangue gli racconto un po di stronzate scopre che sto scrivendo un libro vuole leggere qualcosa ci rimane dice cazzo sei bravissimo assisto a un piccolo litigio tra lei e il ragazzo prendo il fratello e ci allontoniamo ci facciamo uno scambio di palleggi loro discutono lei si alza e viene da noi ci facciamo una nuotata io certo.torniamo faccio congrigula con gli amici del padre so come comportarmi faccio risposte intelligenti con disinvoltura alla fine mi sdraio sul bagnoasciuga due ragazze si fermano loro mi chiedono di dove sei io inizio con lo spagnolo il fratello rimane estereffatto poi inizio con l’inglese le ragazze non ci capiscono un cazzo sono italiano vi sto prendendo per il culo si avvicina noa che sta succedendo
loro a scusa sei fidanzato io
no lei e una amica
a lei da fastidio ma non lo fa vedere
io scherzo con le rgazze lei inizia un po a infastidirsi io faccio spalla al fratello loro alla fine mi chiedeno il numero mi dispiace sono felicemente sposato a quella risposta nessuno ci ha capito un cazzo
loro dai me io
dai su
il fratello e prenditi il numero io scusate ma sono gia innamorato
noa non se l’aspettava mi chiede ma c’hai una ragazza io
si a barcellona è marocchina lei mi guarda io con il sorriso lei gelida impietrita non sapeva se ridere o essere seria le ragazze peccato dai ciao
io ciao
il fratello allora c’hai la ragazza io
no semplicemnte l’ho avuta bella storia ma poi sono tornato e visto che devo fare un po di cose in italia ci siamo lasciati. Lui araba
si
me la fai vedere
gliela faccio vedere guarda anche noa
ines bellissima
noa carina
il fratello minchia
io eh lo so be ora e finita
. ritorniamo a prendere il sole lei e il ragazzo non si parlano io decido di andarmene saluto il padre la madre e gli amici il fratello il ragazzo e noa per ultima lei non si alza perche sta lui io la saluto con la mano lei pure qualcosa era successo . lunedi mi alleno lei esce e mi chiede possiamo parlare io si mi fermo lei ieri sono stata bene  io ma che è successo tra te e il tuo ragazzo lei gli dava fastidio la tua presenza  e io
a te invece lei
mi guarda sorride e non risponde io rido lei ti va di uscire stasera con noi
io va bene .
la sera
il fratello mi saluta come se fossimo vecchi amici passo tutto il tempo con lui ridendo e scherzando entriamo in un bar
lei è con il suo ragazzo vorrebbe divertirsi ma non puo lui e un po freddo io ci provo con una ragazza al bancone
iniziamo a parlare
il fratello mi lascia da solo stiamo parecchio a parlare
lei si avvicina io mi giro e noto che noa mi sta guardando io mi giro
cazzo mi ha baciato
io mi sposto scusami faccio sono gay
lei come
io si un richionazzo da paura
lei che cavolo
torno al tavolo lei mi guarda glaciale. il ragazzo e il fratello io spiego la storia il fratello dice ma sei matto io
cazzeggio ma sono interessato a un’altra lui mi chiede chi è
noa fa be sentiamo io
non si puo dire
mi giro cameriere offro un giro di cicchetti parte tequila sale e limone ci divertiamo da pazzi noa mi fa battute stronze il bacio non l’aveva mandato giu il fratello ride come un pazzo la serta finisce bene.
Il giorno dopo non vedo noa nemmeno il giorno dopo il terzo giorno
la vedo che entra nel negozio e da sola io mi avvicino e la saluto come stai lei bene grazie ora devo andare io ma è tutto ok lei si ora devo andare ….. passano un po di giorni lei esce con la cliente io mi stavo allenando mi fermo e vado a salutarla lei è triste io tutto bene lei si perche mi sembri triste io
nooooooo per niente la cliente ride io le faccio
ti va un caffe quando smonti e mi racconti lei meglio di no per ora io
ma è successo qualcosa lei
be si ma meglio che non ce lo prendiamo il caffe allora le faccio quando finisci hai cinque minuti almeno per farmi capire lei va bene .
entro
lei da sola mi spiega che ha rotto con il ragazzo perche era geloso di me e lei
per non so quale motivo io
silenzio
lei e meglio che non ci facciamo vedere insieme io
perche
perche non cerco rogne e io
nemmeno io è un paese libero non avere paura almeno confidati spiegami non capivo perche eri schiva lei
e poi a te che te ne frega
be io faccio mi hai invitato a uscire con voi
sto cercando di essere gentile e lei
quello scemo geloso cazzo l’hai detto pure tu sei innamorato te ne vai poi hai baciato quella di fronte a me se eri interessato a me  non l’avresti fatto io faccio
veramente mi ha baciato lei e io ho detto che sono gay
lei mi guarda si vabbe
io non sto scherzando e poi lei e di chi sei innamorato almeno si puo sapere io mi giro questo e un segreto
lei di me per caso e poi ti baci le altre  
ei faccio ti ho spiegato come è andata lei
e io ti devo credere
noa le faccio
ti ricordi quando ti ho portato la camomilla e abbiamo parlato per la prima volta mi fermo la guarda alzo il braccio le sposto icapelli non ci crede tu avevi i capelli alla cleopatra tinti di viola su un lato occhi marroni verdi non mi scordero mai quel momento da quel momemnto sei sempre stata nei miei pensieri sempre e poi mi sono ammalato e sono stato malissimo ho vissuto il periodo piu prutto della mia vita e il piu bello perche mi sono innamorato di te lei non ha parole risponde ma tu ti sei fidanzato e ora hai detto che sei innamorato di lei ines credo si c’è stato amore ma non come lo provo per te tu quando ti guardo mi fai vacillare tu non puoi capire quanto ho desiderato questo momemnto per anni e anni . lei mi guarda tu ora te ne andrai io posso rimanere per te io questo lo farei ma solo per te lei rimane ancora di piu
silvio io io ora non posso guarda non so perche ma ora sei diverso  pero tu te ne andrai poi mi sono appena lasciata guarda ora non è momento e meglio se te ne vai, io
va bene tranquilla
.è l’utima settimana di agosto stranamente non è piu uscita a fumarsi la sigaretta. Una mattina esco dal portone incontro lei e il fratello lui mi saluta saluto anche lei lei entra e non risponde. Io gli chiedo e tutto ok lui
si sta un po male mi parla anche di te chiedigli di uscire su entra e chiediglielo avanti dai forse l’aiuta
prendo coraggio ed entro lei
silvio non è il momento
io ti va di uscire  stai tranquilla svaghi un po cerchi di stare meglio
silvio no lasciami stare io va bene ci ho provato lei si ferma come se volesse che io insista io la guardo
dai
lei mi guarda mi guarda ancora
fa segno no con la testa indecisa io esco il fratello mi chiede comè andata io male lui dammi il numero glielo do la convinco io ok. Passano due giorni una chiamata sconosciuta io pronto sono noa ei come stai senti usciamo stasera io va bene dove ci vediamo sotto casa tua alle 8 .
si fa sera
esco traquillo casual solo un profumo d’incenso mi metto lei mi vede è un po felice sente il profumo cosa è io
cosa questo profumo
io un profumo
cretino
camminiamo io inizio la conversazione per rompere il ghiaccio siceramente non sapevo dove cazzo iniziare allora hai mangiato
lei no
ti va una pizza
lei si perche no ti porto alla livornese
va bene ci sediamo due birre fredde diavola e capricciosa  mentre beviamo io la guardo stai bene stasera lei grazie
un po distante
che birra preferisci
basta che sia una birra io
be ce ne sono di birre se le provi tutte troverai le differenze lei be ora mi piacerebbe un po provarle tutte io be so dove portarti io scherzavo dai ti spiego un di birre lei va bene
è e passiva si fa trascinare deve prendere un po la serata e indecisa non è convinta piano piano lei mi continua a guardare come se mi volesse dire qualcosa ma si tiene tutto dentro poi a un certo punto mi fa come era qualla marocchina raccontami di lei e le dico tutto lei era tutto l’opposto di te finisco lei l’hai amata io si e lei tu in me cosa ci trovi allora io prendo una canzone che avevo inciso e gliela faccio sentire era in inglese lei non capisce io le faccio la traduzione lei ci rimane e mi chiede quando l’hai fatta a barcellona lei mi pensavi io si e sono stato molto male quando credevo di non poterti vedere mai piu lei lascia la birra e mi afferra la mano ……….non credevo fossi cosi tu entravi eri strano mettevi paura eri diverso e allora le ho spiegato il mio disturbo e del fatto che un gruppo di hacker mi avevano fatto terrorismo psicologico per 5 mesi è che successo subito dopo  che mi sono innamorato di lei. Lei non ha detto una parola mi guardava tra il triste per me e il tenero e poi mi ha detto mi dispiace lei non lo sapevo io come potevi sapere io cercavo di dirti solo cio che provavo lei scusami mi sono comportato da stronza io non lo sapevi lei si avvicina mi abbraccia si allontana un secondo  e mi guarda negli occhi a me esce una lacrima lei perche e me l’asciuga con la mano io non sai da quanto ti ho desiderato affianco a me lei mi bacia intesamente con le sue labra carnose si lascia andare gira con la lingua con dolcezza e passione si stacca mi guarda continua a baciarmi le labbra la prendo dal mento le bacio il naso e poi i suoi occhi verdoni mi avvicino al suo orecchio i tuoi occhi mi hanno fatto innamorare lei si avvicina al mio orecchio e mi dice non avrei mai pensato che una persona mi avesse cosi tanto amato e desiderato per tanto tempo
non parliamo piu arriva la pizza
e ci teniamo la mano ci guardiamo facciamo le smorfie mentre mangiamo usciamo lei e felice contenta soddisfatta calma io la sollevo dai fianchi lei fa un passo di danza la giro a mezz’aria verso di me lei io la tengo in alto la cingo sulla vita lei mi prende il volto con entrambe le mani e mi bacia schiocca lei non voglio andare a bere voglio camminare con te parlammo per ore gli raccontai di barcellona e di quello che avevo fatto a lei sarebbe piaciuto venirci la portai a casa lei mi diede un bacio e mi disse tusei diverso e tu mi fai sentire diversa .l’andai a trovare il giorno dopo al negozio di tatuaggi lei mi venne vicino e mi bacio io le chiesi se potevo vedere mentre lavorava lei disse va benissimo. Sono stato li in silenzio a osservarla tutto il tempo lei mi guardava e sorrideva cazzo guardi io niente cosi le giornate passavano mi allenavo  e continuavo a trovarla al negozio decisi di trovarmi un lavoro a taranto trovai lavoro in un bar come bartender la mia esperienza mi permise di avere subito una grande considerazione la gente accoreva per i miei cocktail e le mie acrobazie sapevo anche gestire contabilita e il pub si affollo presi un aumento nel giro di un mese come bartendermanager e alla fine pubblicai il mio primo libro ebbe un notevole successo guadagnai un po di soldi riusci a comprai una casa e una macchina lei lesse il mio libbro e pianse alla fine e mi disse tu hai passato tutto questo
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maxdemigodpower · 5 years
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Stuck
“Ma quando inizierai a vivere la vita che hai sempre voluto e per la quale hai combattuto?”
***
“Allora restiiii?? Eddai papá, resti? Resti resti resti??” “Lo sai che non posso, honeybee. Soon, I promise, appena risolviamo le cose della scuola. But not today.” “Uffi. Però allora prima che torni a casa andiamo al parco?” “It’s quite cold today. Chiediamo a daddy e vediamo che dice, ok?”
Le chiavi giorno nella toppa della porta blindata che chiude l’appartamento di Michael Blake in New Jersey. Maximilian Lee non fa in tempo nemmeno a spingere aperta la soglia che Johnny l’ha già attraversata strillacchiando a caccia del suo altro papà, strappandogli un sorriso divertito e un po’ stanco. Con un piede tiene aperta la porta, in una mano ha il portenfant con Iris Jr, undici mesi, e nell’altra le chiavi. Scambia un’occhiata paziente e complice con la figlia minore - che non sembra particolarmente interessata - mentre varca a sua volta la porta.
“Arthur? Siamo noi.”
Con uno schiocco secco lascia che la porta gli si richiuda alle spalle, poggiando le chiavi nello svuota tasche sul mobile vicino e sgranchendo pigramente il collo con uno sbadiglio.
“Arthur?”
Gli occhi scuri vengono sollevati al cielo con un sospiro paziente mentre inizia a camminare nell’atrio, dirigendosi verso i corridoi.
“Michael, sveglia tuo fratello, i suoi figli sono venuti a trovarlo.”
Il silenzio che aleggia nell’appartamento inizia a diventare spettrale solo a questo punto. Lui aggrotta la fronte, allunga il passo, c’è un attimo di urgenza in più nella voce quando chiama di nuovo l’ex marito.
“Arthur? It’s not funny.”
Ci tiene anche a puntualizzare quanto lo scherzo non sia divertente mentre marcia verso la camera da letto del Telecineta. Ne spalanca la porta senza riguardo, pronto ad una sfuriata coi controfiocchi, solo per trovarsi davanti un letto disfatto e vuoto.
“The f- ARTHUR!”
Con ancora il portenfant in mano e la giacca addosso inizia a passare le stanze una ad una sbattendo le porte; incrocia Johnny in cucina che si sta servendo di gelato e lo guarda allarmato d’un tratto, iniziando a seguirlo quando si accorge di non essere stato sgridato.
La porta del bagno, prevedibilmente, è chiusa. Cerca di forzarla un paio di volte, poi ci sbatte un pugno con due tonfi violenti che nessuno scambierebbe per educato bussare.
“Arthur apri la maledetta porta!”
Il tono che sa di ordine preannuncia l’attimo successivo, quando con una moneta va a forzare aperta la serratura a scatto della porta, e la spalanca senza tanti complimenti.
“Daddy...?”
Johnny si è affacciato dietro di lui prima che lui possa risparmiargli la vista del ragazzo a terra, un rivolo di sangue dove la testa ha sbattuto contro il lavandino nel crollare al suolo, le pupille dilatate a fare scomparire quasi del tutto l’iride verde, il torace immobile.
Dopo un singolo istante di incredulità, l’adrenalina entra in circolo e si ritrova a mettere il cellulare in mano a Johnny con una calma esteriore che rimpiazza ogni altra emozione. Lascia il portenfant fuori e si accovaccia accanto ad Arthur, le mani che gli aprono in fretta la bocca controllandone l’interno. Come guardandosi dall’esterno, sente la propria voce rivolgersi al figlio.
“Johnny ti ricordi l’indirizzo di casa di daddy, vero?” “Si...”
Non si ferma, mentre parla. Le mani posizionano la testa del ragazzo a terra, il cervello registra che il sangue a terra è ancora caldo e liquido. Strappa aperta la camicia del Telecineta esponendo il torace, ha una vaga idea dal corso di primo soccorso di dove vadano le mani e ce le mette.
“Good boy. Chiama il 999 e di alla persona che ti risponde l’indirizzo e che ci serve un’ambulanza.” “Papà..?” “John I need you to be brave now. Do it.”
Le mani schiacciano col peso del proprio corpo su di un petto pallido e sudato. Registra la vocina di suo figlio al telefono con il numero di emergenza mentre mentalmente conta fino a trenta, poi tappa il naso del proprio ex marito e chiude la bocca attorno alla sua, respirandogli due volte nei polmoni.
“The fuck is happening here?!”
Michael Blake compare sulla soglia del bagno in quel momento, una busta di spesa in mano, l’aria allucinata nel guardarli.
“A te cosa sembra, for Gods’s sake?!”
Crack. La sensazione della cartilagine che si spezza sotto i palmi delle mani quando riprende il massaggio cardiaco gli da un brivido. Una parte del cervello ricorda ancora il corso e l’operatore che diceva che se senti spezzarsi la cartilagine allora lo stai facendo bene, e lui si aggrappa a questo pensiero.
“...What do I do?” “L’ambulanza sta arrivando. Quando arrivo a trenta dagli due respiri. Venticinque, ventisei, ventisette, ventotto...”
I minuti assieme a Michael in attesa dell’ambulanza sono interminabili ma quando arriva il team di paramedici d’un tratto sembra passato un istante. Qualcuno decisamente più abile di loro prende il loro posto sul torace di Arthur Blake, vengono sistemate piastre adesive di defibrillazione, a un certo punto vede qualcuno incastrare qualcosa con un trapano nella carne e poi nell’osso. Ci sono domande, mentre lui recupera in braccio Johnny, ma è con Michael che parlano tutti.
“...sotto che farmaco è?” “Ansiolitici, è già successo una volta.” “Il nome del farmaco?” “Non...” “Lorazepam, pasticche da un milligrammo.”
Le teste si voltano verso di lui quando snocciola il nome del farmaci che ha strappato un miliardo di volte dalle mani del ragazzo a terra. Lui scrolla le spalle.
“Are you sure?” “Positive.”
Senza dubbio. I paramedici si mettono a lavoro, lasciando i due adulti coscienti e i due bambini da parte. Michael gli si avvicina e gli sussurra a un orecchio una stilettata gelida:
“I hope you know... If he dies, if... This is on you, Maximilian.”
Lui ha gli occhi fissi sulla scena davanti, e molto poco da ribattere.
“Lo so molto bene.”
***
“This way round.”
Maximilian Lee segue il medico legale attraverso il corridoio freddo dell’obitorio senza esitare nei passi. La sostanziosa donazione fatta al conto in banca dell’uomo gli ha garantito un passaggio anonimo nonostante il mandato di arresto spiccato ormai anni or sono nei suoi confronti dalle autorità dello stato che lo vogliono colpevole di mancato innesto del chip SCA.
“Dov’era?” “Una clinica poco distante. Era in coma fino a un paio di giorni fa.” “What happened?” “We’re not sure. L’autopsia è stata inconclusiva.” “Capisco.”
All’interno della stanza il termostato del condizionatore mostra ventuno gradi. Il tavolo al centro, sotto le luci chirurgiche, ha la sagoma di un corpo drappeggiato sotto il lenzuolo bianco. Lui si sgranchisce il collo, quindi avanza, seguendo l’anatomopatologo che procede a spostare il telo, lasciando visibile il volto della donna immobile e fredda sottostante. Le mani salgono al viso un paio di istanti dopo, stropicciandolo con forza.
“Posso vedere la schiena?” “Per l’identificazione dovrebbe bastare il volto, non è sfigurato.” “Please.” “...Alright.”
Il corpo viene ruotato, lasciando visibili le linee d’inchiostro che formano la sagoma di un triskele stilizzato. Lo stesso disegno gli prude dietro la nuca per un istante, mentre il torace si tende sotto un respiro particolarmente ampio e lungo.
“That’s enough, thank you.” “È la donna che stava cercando, Vice Comandante Lee?” “Si.” “I’m sorry for your loss.” “Thanks. Posso identificarla e contattare la famiglia se ancora non avete avuto modo, suo marito è morto durante la guerra ma ho il numero del fratello. And if I can help with the funeral arrangements obviously I will.” “Eccellente.”
È dal telefono della morgue che fa partire la telefonata. L’accento britannico dall’altro capo della cornetta non lo coglie impreparato, ma i convenevoli durano poco, tagliati all’osso in favore di una conversazione asciutta e pragmatica che va dritta al punto, di una franchezza quasi brutale.
“I found her. I’m gonna text you the address.” “Viva...?” “No.” “Oh.” “Hanno condotto l’autopsia ma è stata inconclusiva.” “Well. Dopotutto lo sapevamo.” “Yeah.” “I need to get drunk on that, tho.” “So do I.” “Max, mate...” “Mh?” “I hope you know... This thing... It is not on you. Lo sai, si?”
Tra la domanda e la risposta trascorrono alcuni secondi di silenzio, durante i quali recupera le sigarette, l’accendino.
“Mh-hm.”
La risposta è un mugugno, e quando arrivano obiezioni, il “sai che lei non vorrebbe tu lo pensassi” ci vuole un istante appena prima che un “devo andare, good talk” metta un punto alla conversazione. Si lascia il corridoio della morgue alle spalle, con il filo del telefono che penzola sotto la luce asettica dei neon.
***
“Ma quando inizierai a vivere la vita che hai sempre voluto e per la quale hai combattuto?” “I don’t quit, Connor. Ho ancora del lavoro da fare.”
***
Il profumo del caffè e dei pancake appena fatti riempie la cucina del nuovo appartamento di Arthur e Michael Blake. Attraverso le veneziane, il sole del primo mattino attraversa le finestre, screziando gli occhi di Aramis il micio smorfioso che sorveglia pigramente l’impiattamento della colazione dal bancone, mentre la televisione accesa a volume basso fa scorrere le notizie del giorno sullo schermo a parete.
“You woke up early.”
Maximilian Lee solleva gli occhi dalla torre di pancake per incontrare sulla soglia la figura del proprio ex marito, braccia conserte al petto, l’aria più invecchiata di lui sul viso giovane, i segni evidenti della lunga strada verso la disintossicazione nel corpo più magro, nei muscoli sgonfi. Scrolla le spalle, portando a tavola il piatto.
“More like I didn’t sleep much.”
Arthur annuisce, avvicinandosi al tavolo con gli occhi che vanno al telegiornale. Lui lo sbircia sedersi e servirsi di pancakes con un “grazie”, poi distoglie lo sguardo, andandosi a versare una tazza di caffè.
“Il mostriciattolo?” “Dorme ancora.” “Good.”
Il suono delle labbra schioccate tra i sorsi di caffè riempie un silenzio vagamente imbarazzato, che viene poi frantumato dall’entrata piuttosto plateale di Michael che con un “ ‘giorno.” grugnito si serve di una birra dal frigo e un piatto di pancakes. Lui e Arthur si scambiano un’occhiata, Arthur si schiarisce la voce, lui solleva gli occhi al cielo.
“Quindi dov’è tua moglie, comunque?”
Tra il masticare, Mike gli gesticola dietro quella domanda. Lui si prende un altro paio di sorsi di caffè prima di rispondere, mentre il Telecineta distoglie lo sguardo.
“In Francia con i piccoli.” “She got sick of you?” “Vaffanculo.” “Figures.”
Li molla li senza commentare oltre - registrando solo vagamente il “Dude...!” “What?” tra i due fratelli Blake. In camera da letto di Arthur va a sedersi sul bordo del materasso: sotto il lenzuolo leggero spuntano i capelli biondi di Johnny, resi ancora più biondi dal sole e dal contrasto con il viso abbronzato quasi fosse un piccolo Californiano. Le dita scorrono fra le ciocche del figlio, le labbra disegnano un sorriso. Poi lo School’s Call vibra. Una, due, cinque, dieci volte di fila di notifiche che invitano a leggere precedenti notifiche che chissà come gli erano sfuggite la notte precedente.
Nemmeno trenta minuti dopo, le ruote della Lexus sfrecciano in direzione di Philadelphia.
***
“La verità è che siete soltanto dei criminali, dei criminali e dei vigliacchi che giocano con la vita degli innocenti per soddisfare le proprie sadiche perversioni. E' davanti agli occhi di tutti.
Quindi, ho appena deciso che siete morti.
Verrò a prendermi il vostro cadavere personalmente. Presto. E qui non c’entra niente la politica, questa è solo una cara, vecchia vendetta.
Io non ho paura di voi. La Scuola non ha paura di voi. Non ci piegheremo mai ad aver paura di voi.
E anzi, questo è il mio indirizzo di casa: 143 Webster Street, Bella Vista, Philadelphia.
Lascerò la porta aperta.”
Messaggio ricevuto da Brendan Scott il giorno 31 Agosto 2028 alle 12:46
Get ready. Andiamo a caccia.
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praticalarte · 4 years
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Cinzia Scarpa, pittrice
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Nome e professione Cinzia Scarpa, imprenditrice agricola: collaboro con mio fratello/gemello alla conduzione dell’azienda agricola di famiglia. Il disegno e la pittura non riesco a considerarli un lavoro, fanno semplicemente parte della mia vita. Da dove vieni? Sono nata nel 1961 e vivo in provincia di Venezia , precisamente a Cavallino-Treporti, suggestiva lingua di terra sabbiosa tra mar e laguna. Come quando e perché è iniziato il tuo amore per l’arte? Nel mio nucleo familiare nessuno possedeva capacità artistiche, ma ricordo mio nonno materno che in vecchiaia passava molto tempo seduto al tavolo in cucina, trovandosi a portata di mano fogli da disegno e pennarelli dei nipoti iniziò a copiare (interpretando) alcune stampe e cartoline di piazze italiane, scoprì di saper disegnare piuttosto bene, le sue piazze surreali e metafisiche mi piacevano moltissimo. Per me la passione nasce già nell’infanzia, ero attratta dalle illustrazioni dei libri, percepivo che le immagini non appartenevano alla realtà ordinaria, passavano attraverso l’interpretazione e l’immaginazione di chi le aveva prodotte, mi raccontavano molto più delle parole. Iniziai così a disegnare la mia realtà alternativa, mi attraeva ciò che i miei disegni riuscivano a raccontarmi. Amavo appartarmi e osservare gli alberi, mi stendevo ai loro piedi per osservare gli incroci dei rami, studiavo la luce. Le mie estati di bambina erano una totale e magica immersione nella natura, sensazioni e percezioni che nel tempo hanno costruito dentro me una consapevolezza che ora ritrovo in tutto ciò che produco. Quando è cominciata quest’avventura nell’arte? E’ stata un’insegnante delle scuole medie a farmi capire l’importanza dello studio della teoria e delle tecniche dell’arte e come i metodi di osservazione diventino strumenti necessari per dare forma alle idee. Mi innamorai della luce! Mi affascinò scoprire che, con pennini e china costruendo ombre, la luce diveniva la vera protagonista. Cosa hai studiato e dove? Non continuai con studi artistici, dedicai studi e tempo all’azienda di famiglia, con la consapevolezza che non avrei certo dimenticato il disegno. Infatti passavo parte della notte e gran parte del tempo libero a disegnare. Solo nel 2008 mi iscrissi ad un corso di ritratto e disegno dal vero, ovviamente m’innamorai di tutto ciò che imparavo, mi esercitavo con costanza, fu l’inizio di una vera “relazione” col disegno e la pittura. In seguito il mio interesse per la figura umana mi condusse ad approfondire gli studi iscrivendomi ad un corso di nudo dal vero. Nel 2018 infine mi iscrissi all’Accademia d’Arte Vittorio Marusso a S. Donà di Piave, vicino a Venezia, seguendo lezioni di “figura e nudo dal vero”.
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???????????????????????????????????? Come artista cosa vuoi condividere con il mondo? Non penso a grandi messaggi, piuttosto a impercettibili sensazioni, quelle che a parole non si spiegano. Semplicemente dipingo figure, sopratutto femminili. Spero che l’effetto finale sia quello di un buon libro che l’autore scrive e che il fruitore interpreta con le proprie personali esperienze e sensazioni. Come studente qual’è stata la lezione più importante che hai imparato? L’importanza di sperimentare e mettermi alla prova con umiltà, concedendomi il tempo di maturare. Secondo te da dove viene l’ispirazione? E’ un argomento che ho sempre tralasciato, credo di non essermelo mai chiesto veramente... Qual’è l’elemento iniziale che innesca il processo creativo? E cosa ritieni più importante? Il concetto, l’idea espressa, o il risultato estetico o percettivo dell’opera? Per quanto mi riguarda il germe del processo creativo è lo spazio bianco, un foglio, una tela, un muro, una sorta di foglio vergine per lo scrittore. Probabilmente il concetto, l’idea espressa, il risultato estetico, sono tutti importanti ma io ritengo interessante un lavoro sopratutto per il risultato percettivo, per ciò che a parole mi è difficile spiegare. Quale fase dell’arte/creazione ti colpisce di più? La fase embrionale, quando un’immagine si fonde o si confonde ad un sentimento, si trasforma, cambia senso poi, durante la lavorazione se va bene, cambia vita. Lascio che il lavoro si racconti. Amo anche il momento in cui do un titolo al mio lavoro, sempre alla fine, dopo lunga e “vissuta” osservazione, per me il titolo è parte dell’opera.
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Perché hai scelto un’arte visiva? Perché non avevo voce per cantare, grazia per ballare, mezzi per suonare, forse sono andata per esclusione, o forse si nasce con un senso estetico che indirizza a certi modi espressivi. Fin da bambina amavo “guardare/osservare a modo mio”. Sono sempre stata un appassionata osservatrice, trovo che il piacere di vedere sia di grande stimolo per cogliere immagini e fissarle alle sensazioni.. Come e perché sei arrivata alla tecnica pittorica dell’acquerello? Ho iniziato col disegno che rimane sempre il primo amore. In seguito iniziai a dipingere ad acrilico, ma la vera liberazione è arrivata con l’acquerello, Mi hanno sempre affascinato le velature e le trasparenze di questa tecnica, mi sembrava il metodo più efficace per rappresentare ciò che desideravo raccontare. Ho iniziato a dipingere ad acquerello nel 2014, da autodidatta, osservando i lavori di alcuni bravi artisti, chiedendo consigli sulle tecniche, i materiali e sperimentando sulla base di queste osservazioni e consigli. La caratteristica che più mi affascina nell’acquerello è la libertà dell’acqua, con la quale è necessario cercare una collaborazione per conservare l’estetica del proprio lavoro ma allo stesso tempo lasciare che scorra, che porti ad imprevisti e sorprendenti effetti.
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E’ difficile discorrere d’arte senza parlare di sé. Quanto c’è della tua storia, dei tuoi ricordi, della tua vita intima, nelle opere che realizzi? Sicuramente tutte le esperienze vissute, buone o cattive, le percezioni acquisite nel tempo nell’ambiente agreste e nell’infanzia vissuta come una splendida avventura, in totale contatto con la natura, hanno segnato e continuano modulare le mie percezioni, immagino possano farlo anche sul linguaggio e sul contenuto dei miei lavori, anche se le mie pitture non rappresentano esplicitamente questo. Secondo te qual’è la funzione sociale dell’arte? Quando si osservano i graffiti rupestri non si vedono solo scene di caccia ma se ne percepisce la drammaticità. L’arte in tutte le sue forme è memoria, scorre nella storia, la mantiene viva, è testimonianza attiva nella contemporaneità, dell’intimo sentire umano. Quale messaggio personale vorresti lasciarci? L’amore per l’arte ha bisogno di cura. L’amore è cura, la cura è impegno. Grazie Cinzia. Read the full article
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pangeanews · 5 years
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“Io soffro, soffro. Io sono amore, non crudeltà”: sulla grazia innaturale di Nijinsky (ovvero: a un secolo dal Diario, folle e meraviglioso)
Fu la fiammata, l’imponderabile, la teodicea risolta in un salto. Di Nijinsky incorporiamo le fotografie: quelle di Shéhérazade, di Le Spectre de la Rose, di Petrouchka. L’intensità del viso – né uomo né donna – l’ambiguità che data l’Eden a un bordello per Elohim strafatti, è disumana. Se si parla di grazia, rispetto a Nijinsky, non s’intende aggraziato: piuttosto, la concessione, la salvezza, il dono che non è suo – egli è innaturale – ma concesso a noi, gli imperfetti.
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Poster di Jean Cocteau con Nijinsky in atto in “Le Spectre de la Rose”, 1911
Guardare Nijinsky, intendo, come indulgenza plenaria. Porta carnale per gli aldilà. Il genio, tuttavia, si sviluppa in fiammata: nel 1909 il fauno arriva a Parigi, in dieci anni fa tutto, poi s’inabissa nella Scizia della mente, si perde, muore nel 1950. La storia dell’arte non procede progressivamente, ma per cime, per estasi: nel 1911 Sergej Djagilev, che ne è amante e tiranno, fonda i “Les Ballets Russes”, di cui Nijinsky è l’acme. Le coreografie sono create da Michel Fokine – alcune dallo stesso Nijinsky – i manifesti disegnati da Jean Cocteu e Léon Bakst, le scene da Picasso e Matisse, le musiche di Stravinskij – che incomparabile follia Le Sacre du printemps in scena al teatro des Champs-Élysées nel 1913, su coreografia di Nijinsky –, di Debussy, di Ravel, di Richard Strauss. Ci sono istanti, rarissimi, in cui la Storia la fai lì per lì, dal vivo e dal vero, senza interpretazione a posteriori, senza prospettiva di vincitori e vinti.
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Un secolo fa Nijinsky distilla il genio in un libro straordinario, che non ne censisce lo squilibrio ma la millimetrica sensibilità. In una lettera inviata da St. Moritz-Dorf, è il 27 febbraio 1919, il più grande danzatore di ogni tempo scrive, “Io soffro, soffro. Tutti sentiranno e capiranno, io sono un uomo, non una bestia. Io amo tutti, ho dei difetti, sono un uomo – non Dio. Voglio essere Dio e perciò cerco di migliorarmi. Voglio danzare, disegnare, suonare il pianoforte, scrivere versi, io voglio amare tutti. questo è lo scopo della mia vita… Io sono amore – non crudeltà. Non sono una belva assetata di sangue. Io sono l’uomo. Dio è in me. Io sono in Dio”. La firma: Dio e Nijinsky.
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“Dedicò tutta la sua vita, la sua anima, il suo genio al servizio dell’umanità, con l’intento di nobilitare ed elevare il suo pubblico, di recare al mondo arte, bellezza e gioia”, scrive Romola Nijinsky, introducendo il Diario. In realtà la contessa ungherese faceva de Pulszky di cognome, sposò il ballerino formidabile a Buenos Aires, nel 1913. Djaghilev, reso cruento dalla gelosia, s’imbestialì licenziando Nijinsky – per poi riprenderlo. Valslav e Romola ebbero due figli, lei fu dietro alla schizofrenia decennale di lui. Una fiammata di successo planetario, poi le catacombe del male.
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Il diario di Nijinsky fu un fenomeno editoriale, la testimonianza senza filtri alfabetici di una creatura fuori norma. Cesta di quaderni. Scritti – e nascosti – un secolo fa, nel 1919, riscoperti nel 1934, pubblicati nel 1963, in Italia, per Adelphi, arrivano quarant’anni fa, nel 1979. La violenza letteraria, la danza verbale, ricorda Artaud, un continuo sbordare dagli argini grammaticali. Si può scrivere in danza.
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Nella lista dei 100 Books That Influenced Me Most, Henry Miller pone il diario di Nijinsky tra l’opera omnia di Nietzsche e le centurie di Nostradamus, insieme alle poesie di Rimbaud, il teatro greco classico e Viaggio al termine della notte. “La tecnica, così assolutamente personale, è di quelle da cui ogni scrittore può imparare qualcosa. Se non fosse finito in manicomio, se questo diario fosse stato solo il suo battesimo con la letteratura, avremmo avuto in Nijinsky uno scrittore paragonabile al ballerino”, dice Miller. Proprio l’‘atto unico’, per così dire, questa ‘prima’ senza replica dona al diario l’odore del sangue – quello che trasuda dai grandi libri.
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Léon Bakst raffigura Nijinsky in “L’Après-midi d’un faune”, 1912
Non che occorra essere ‘fuori di testa’ per farsi scrittori – farsi fuori, piuttosto, è necessario. Il genio si esplicita nella dissipazione, nell’incapacità di calcolo, perché incalcolabile è il suo metro. Oscilla tra l’altezza ineguagliata e il tonfo, dacché questa è la maledizione del dono: prima sei un inventore di voci, poi ti cade la lingua, adagiata al palato, e non sai più chi sei. Vivi, in verità, sottratto a te stesso – preda del diabolico, del divino.
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“Io non ho mai insegnato a nessuno la mia arte, la volevo per me, ma volevo insegnare a lei la vera arte della danza, ma lei si spaventò. Non confidava più in me?”. Demoniaca lucidità: l’arte non si insegna, si trasmette, semmai; l’artista non si applica all’arte, la esegue sconfinando. Finché l’arte non si affida più a lui, sceglie un altro confidente. Insomma: Dio lo puoi – lo devi – condividere con tutti, l’arte con nessuno.
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Fu pura ispirazione, fino a espirare tutto il talento, a espiarlo. Non fu irriconoscenza – gli era ormai irrilevante la riconoscenza. “Dieci anni dopo la stesura del Diario e la crisi psichica, Diaghilev volle ricondurre Nijinsky sul palcoscenico dell’Opéra. Ma il grande ballerino non riconobbe nessuno, nemmeno la Karsavina, che era stata sua partner in Petrouchka. Poco dopo, Diaghilev sarebbe morto a Venezia”. Forse il genio si esercita per un tempo, preciso e decisivo – il patto è ammirarne la fine, dopo lo scoppio. (d.b.)
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Antologia di brani tratti da “Il diario di Nijinsky” (Adelphi, 1979)
La gente dirà che Nijinsky finge di essere pazzo a causa delle sue cattive azioni. Le cattive azioni sono tremende, e io le odio e non voglio commetterne. Prima ho fatto degli errori perché non capivo Dio. lo sentivo ma non capivo quello che facevano tutti.
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Fingerò di star per morire, o di essere malato, per poter entrare nella misera casa dei poveri. Io sento l’odore del povero come il cane fiuta la selvaggina. Lo sento benissimo. Scoverò i poveri senza bisogno dei loro avvisi. Io non ho bisogno di avvisi. Andrò a naso. Non mi sbaglierò. Non darò denaro ai poveri, darò loro la vita. La vita non è povertà, la povertà non è vita. Io voglio la vita. Io voglio l’amore.
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Non mi piacciono le università perché vi si passa il tempo a far politica. La politica è morte. La politica è un’invenzione dei governi.
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La gente va in chiesa a cercare Dio. dio non è in chiesa. Egli è nelle chiese e dovunque Lo cerchiamo e perciò andrò in chiesa anch’io. A me non piace la chiesa perché là non si parla di Dio, si parla di cultura. La cultura non è Dio. dio è saggezza e la cultura è l’Anticristo.
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Mi piace parlare in poesia, perché sono una poesia io stesso.
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Non mi piace mangiar carne perché ho visto uccidere agnelli e maiali. Ho visto e sentito la loro sofferenza. Essi sentivano l’avvicinarsi della morte, io sono fuggito per non vederli morire. Non potevo sopportarlo. Piangevo come un bambino. Sono corso su per la collina e non riuscivo a tirare il fiato. Mi sentivo soffocare. Sentivo la morte dell’agnello.
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Io voglio dormire ma Dio non lo desidera. Ho pietà di me stesso e della gente come me. Tutti diranno che sono un malvagio, ma io non voglio nuocere alla gente – sono loro che vogliono nuocermi.
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La mia anima scoppiò in pianto. Io tremo quando la gente non mi capisce. Io ho una grande sensibilità. Il fuoco dentro di me non si estingue. Io vivo con Dio. io sono venuto qui per essere d’aiuto – io voglio il paradiso in terra. Per il momento la terra è un inferno. Io voglio infiammare il mondo e la sua gente, non spegnerli. Gli scienziati spengono il fuoco della terra e l’amore reciproco della gente.
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Adesso vado nello spogliatoio – ho un mucchio di abiti costosi e indosserò quelli più belli così tutti penseranno che sono ricco. Non farò aspettare la gente, vado immediatamente.
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Ho vissuto tante cose. Oggi tutto è stato orribile. La gente mi fa paura – non mi sentono e non mi capiscono, vogliono che io viva come loro. Vogliono che faccia delle danze allegre. A me non piace l’allegria, mi piace la vita.
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A me non piace l’Amleto di Shakespeare perché ragiona. Io sono un filosofo che non ragiona – un filosofo che sente. Non mi piace scrivere cose che sono state meditate. Io non sono artificiale, io sono la vita. Il teatro diventa un’abitudine, la vita no. A me non piace il palcoscenico quadrato, me ne piacerebbe uno rotondo. Io costruirò un teatro di forma rotonda, come un occhio. Mi piace guardarmi allo specchio da vicino, mi vedo con un occhio solo sulla fronte. Io disegno spesso un occhio solo.
Vaslav Nijinsky
*In copertina: Nijinsky in “Shéhérazade”, su musiche di Rimskij-Korsakov, 1910
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trappole per gnomi;
Insomma lei continua a dondolarsi, arrivando così verso la fine di uno scaffale e poi gli occhi che si spalancano un po’ di più, frenando con le scarpe che raschiano un po’ sulle mattonelle della biblioteca. « Hhh—hhii. » è più il fiato che inspira, mentre tenta di appoggarsi all’angolino dello scaffale per non farsi vedere - per quanto visibile sia - dato che ha visto Daemon. Sbatacchia le palpebre, provando ad allungare il collo, da quella distanza, con la puerile speranza di poter capire cosa stia facendo, a parte l’ovvio studiare.
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« segui Aritmanzia anche tu? » nonostante non possa fare a meno di notare il leggero imbarazzo che Charlotte sembra manifestare proprio a causa sua, riesce lo stesso a tenere un tono tranquillo nella conversazione « siediti » un cenno svelto all`altra sedia accostata al tavolo, per quello che suona come un invito, non è che ci è costretta. « Ti faccio vedere, tanto stavo facendo una pausa. »
« Sì, la seguo anche io. » cosa che scriverà anche sul diario: io e Daemon anime gemelle perché seguiamo la stessa materia facoltativa. Vabè. Tira su col naso, provando ad allungare il collo come prima quando era dietro una pila di libri, per curiosare. Gli occhi ora si fanno davvero curiosi nel leggere quello che c’è scritto nei libri e nelle pergamene del sestino. All’invito ricevuto rimane un attimo interdetta strigendosi nelle spalle ma poi fa un cenno della testa, ringraziandolo « Ahm, grazie! » accomodandosi piano nella seggiolina libera, così tanto-troppo vicino a lui. « Sicuro? Perché non ti voglio cioè, disturbare troppo se devi continuare, ecco, sì. Tanto c’ho pure tante cose di Difesa e Incantesimi da vedere.. » si stringe nelle spalle, ma ormai tanto s’è messa lì seduta e non pensa di volersi alzare tanto presto.
« E` una trappola aritmantica » spostando lo sguardo dalla pergamena al viso della Serpeverde, prima che lei possa chiederlo. « è il campo di una trappola areale, ma ne esitono anche di altri tipo. Questa, però » punta il polpastrello dell`indice della mano destra al centro del disegno « sfrutta lo spazio, per costringere chiunque ci finisca dentro a vivere ciclicamente un`esperienza in cui ci si ritrova intrappolati all`interno di un ambiente che continua a restringersi: è come finire dentro una morsa che cerca di stritolarti, e comincia a mancarti l`ossigeno e non c`è modo di uscire » ok, detta così, con quel tono serio, sembra davvero qualcosa di orribile. Ma forse lo era davvero « abbiamo cominciato a studiarle all`inizio dell`anno, e il Professor Marshall » esita per qualche istante, come alla ricerca delle parole giuste. L`espressione che ha in volto ora mostra un cipiglio più severo e riflessivo « ...beh, lui ci ha fatto sperimentare cosa significa rimanerne vittima » li ha `chiusi nella scatola`, senza troppi giri di parole « credo volesse ci rendessimo conto di quanto può essere pericoloso riccorere a questo genere di magia, senza pensare alle conseguenze » finalmente interrompe il monologo, distogliendo lo sguardo dal foglio di pergamena per tornare a guardare Charlotte « ma se la cosa non ti spavente, te lo racconto » 
« E si può mettere, ehm, nella trappola un molliccio? Così quello che viene intrappolato se la passa male. Tanto mica lo sa. Diventerebbe una favolosa trappola.. com’è che si chiama? » domanda senza aspettare una risposta « Aerea? » non proprio. Favoloso che non sappia che è un molliccio, e si stringe nelle spalle. « Ma poi si muore? » il dubbio sul volto della Serpeverde, da come l’ha descritta lui sembra una cosa piuttosto seria. Sicuramente non sa cosa voglia dire fare questo genere di magie, anche se non sembra così ansiata, per quanto potrebbe anche morire se la facessero a lei. La risposta viene data con un po’ di leggerezza, per lo più si mostra coraggiosa solo perché è Daemon a dirglielo. « No-no, certo che non mi spaventa. » certo (…) « Raccontami, voglio sapere che è successo. Cioè, ehm, quali erano le conseguenze? »
« non può ucciderti no, anche se quando ne esci non sei proprio messo bene » tipo che un giretto in infermeria non si nega nemmeno ai cuori più forti. « E` cominciato all`improvviso, non sono neanche riuscito a raggiungere il mio banco e la trappola si è manifestata, perciò, una volta che è stata allestita, è sufficiente mettere un piede all`interno del suo campo di attivazione, questo le rende particolarmente insidiose » per capirlo non serve frequentare il corso M.A.G.O. della relativa materia, e poi, come tutte le `trappole` per definizione, anche quelle aritmantiche non fanno eccezione all loro caratteristica fondamentale. « se te lo stai chiedendo, non so se in classe sono rimasto del tutto sveglio, ma... dall`altra parte » all`interno dell`ambiente creato per effetto della Trappola Areale, intede « ero sicuramente cosciente. Ma non saprei per quanto sia andata avanti la cosa, anche perchè il tempo sembrava scorrere normalmente, il problema era lo spazio » tra parentesi, l`ultima cosa a cui ha pensato in quei momenti è stato dare un`occhiata all`orologio. Ma le ha già fatto presente che il vero elemento di disagio non era quello, bensì il luogo in cui è stato trascinato « prima di tutto, sono finito in un posto che non avevo mai visto prima, che nemmeno dovrebbe esistere, in verità » stringe lo sguardo per qualche secondo, assottigliando la fessura delle palpebre, mettendo meglio a fuoco il viso della Serpeverde « aveva qualcosa di familiare, in ogni caso » ricorda bene il colore degli arredi, così simile alla sala comune dei Grifondoro, e il corridoio del sesto piano che lui frequenta spesso, o ancora « c`erano i tavoli della Sala Grande, ma non era la Sala Grande quella che vedevo intorno a me, quindi è chiaro che la volontà della trappola sia quella di disorientare chi ne rimane vittima » a questa semplice conclusione ci è arrivato considerando che, cercare una via di fuga da un luogo che conosciamo bene, sarebbe certamente più semplice che non doverlo fare all`interno di un ambiente apparentemente sconosciuto. « Le pareti hanno iniziato a restringersi quasi subito - e ti assicuro che respirare non era facile, mi mancava davvero l`ossigeno, era... vero. Compreso il dolore, quindi la tua mente è vulnerabile sotto ogni punto di vista, mentre sei prigioniero, anche se non hai quelle ferite addosso quando il suo effetto si esaurisce » perciò non dovrebbe rivelarsi così potente e non può ucciderti, come le ha anticipato. Quella forse è l`unica nota positiva in tutto questo, se così si può definire. Lo scenario che le ha descritto fino a quel momento, ancora una volta gli conferma la sua ipotesi del perchè Marshall li abbia costretti a vivere quella situazione. « Il peggio, però » però?! Cioè, tutto questo non era già sufficiente di per sè, manca ancora il colpo di grazia, per cui si schiarisce la voce con un colpetto di tosse che graffia gutturale sulle corde vocali « è che ti priva della magia: quando sei dentro la trappola, non riesci ad utilizzare gli incantesimi » 
« Come le trappole degli gnomi. » nei gardini di casa loro c’è pieno di quelle trappole il cui meccanismo funziona proprio quando la creatura entra dentro alla trappola. Semplice. « Oh Morgana mia, non puoi.. fare incantesimi? Ma è terribile. » una mano al petto e lo sguardo angosciato. Perché avere tutto intorno che ti si chiude, non poter respirare bene è tremendo ma non poter fare magie è la cosa più brutta del mondo. Alla fine si porta una mano alla bocca, spaventata all’idea di una magia assente e di una sopravvivenza forzata. Lo guarda, lo ascolta.. prova a rilassarsi un po’ di più dopo questo racconto angoscioso. « E tu come hai fatto? Cioè.. hai avuto paura? »
Gli sfugge piuttosto un mezzo sorriso, che serve a stemperare un po` la tensione del suo volto, a sentire quel paragone con le trappole per gli gnomi « sinceramente non ci avevo pensato » trattenendo quella curva più allegra e giovale sulle labbra per qualche istante ancora « ma in un certo senso, è così » [...] « all`inizio sì, anche perchè ero abbastanza confuso e disorientato » cioè, sta praticamente dicendo che la trappola ha funzionato benissimo. 
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combatcomics-blog · 7 years
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FUN FANZINE [Combat Workshop #02]
venerdì 9 e sabato 10 giugno dalle ore 15:30 alle 18
Il secondo workshop della 5° edizione del Combat Comics è dedicato proprio alla creazione di fumetti. Nel pomeriggio di venerdì 9 e sabato 10 giugno Francesco Catelani e Marco Brucio terranno un laboratorio aperto a tutti sulla stesura e strutturazione del racconto. Il corso è gratuito, ma a numero chiuso, è altamente consigliabile la prenotazione.
Il workshop vuole introdurre i curiosi al fantastico mondo dei fumetti fai da te, dove il segreto dell'esistenza, la telepatia, le arti magiche si mescolano a cose piu pratiche come per esempio disegnare, ritagliare, incollare, usare photoshop e preparare un pdf in modo da avere una fanzine a fumetti stampata alla fine del corso. Il workshop si propone attraverso veri e propri giochi di stimolare la creatività e stuzzicare il partecipante, oltre a fornire consigli tecnici e strumenti pratici. attenzione: -NON E' NECESSARIO SAPER DISEGNARE PER PARTECIPARE AI WORKSHOP- Ogni appuntamento è indipendente ma legato al successivo in un ottica di condivisione di idee e storie, i personaggi realizzati nella prima parte potranno essere stravolti e ricomposti poi durante il corso. Ogni appuntamento durerà dalle due alle tre ore e sono così suddivisi: - Caratterizzazione dei personaggi attraverso pensieri, dialoghi, e disegno. - Creazione di una storia partendo dalle sensazioni generate da un'ambientazione. - Creazione di una storia "Grazie ai preziosi segreti del dr. Catelani". - Realizzazione fisica della fanzine: a mano (alla vecchia, tramite fotocopie colla e forbici in diversi formati (pieghevole,con spillatura)) e al computer (scansione dei disegni, pulizia dei disegni grazie all'uso di photoshop, creazione di un pdf e stampa). Come PRENOTARVI? 1) Chiama od invia un SMS (no messenger) al 3274518893 - Marco. 2) Scrivi un messaggio privato alla pagina del Combat Comics 3) invia una mail a [email protected] Il workshop è incredibilmente gratuito (l'offerta libera consigliata parte da una base di 5 euro) Chi sono!? MARCO BRUCIO (1985) Oltre alla mia personale attività artistica e musicale volta alla conquista della gloria eterna... collaboro da oltre dieci anni con l'etichetta di fumetti Lo-FiComics ( www.lo-ficomics.net ) realizzo copertine di dischi, illustrazioni per eventi e grafiche per le etichette musicali MescalerosCrew ( www.mescaleros.it ) e TypeKonnectionCrew ( https://typekonnection.bandcamp.com/ ) Sono membro dell'associazione culturale AXMO con la quale abbiamo organizzato numerosi eventi in provincia di La Spezia e del progetto espositivo "Battigia". Qui a Firenze faccio parte dell'associazione di promozione culturale Three Faces ( Three Faces.org ), partecipo come illustratore alla rivista Streetbookmagazine e organizzo le mostre a La Citè. FRANCESCO CATELANI Nasce nel gennaio del 90, a Cascina, vicino la pista ciclabile lungo l’argine dell’Arno. Fa le scuole, perde tempo, si diploma in ritardo, perde ancora tempo. Ritornato a Pisa dall’Inghilterra si dà all’apicoltura come mestiere, e studia lettere all’Università perchè gli piacciono i libri. Dal 2010 costruisce fanzine autoprodotte – prima con contenuti vari, poi unicamente dedicate a storie a fumetti – con l’etichetta fantasma VUOTOVUNQUE AUTOPRODUZIONI. Porta in giro la sua roba col banchetto durante concerti, festivals indipendenti, per strada. A volte mette su mostre e esposizioni nei cessi. Dal 2014 è uno degli organizzatori e promotori di BORDA!fest. La mattina canticchia. Il giorno fischietta. La sera dipende. https://www.ilcatedorme.blogspot.com/ https://www.facebook.com/Francesco-Catelani-568839736593310/
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silviascorcella · 8 years
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Fashion Conversation: SANDRO GAETA
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A proposito di Sandro Gaeta e della sua moda: se non tutto, di certo tutto il bello raccontato nel morbido fluire di un’intensa conversazione
Iniziamo dalla vocazione: come ti sei avvicinato alla moda, quando hai capito che sarebbe stata la tua strada? In realtà l’ho sempre saputo, ma ho nascosto questa cosa: forse per paura di un riscontro con gli altri, anche con la famiglia stessa. Ho sempre disegnato, da quando ero bambino: era il mio gioco preferito Però l’ho lasciata da parte, fino a quando ho capito che sarebbe stato quello che volevo fare. Inizialmente, dopo il diploma al liceo artistico in sezione decorazione, ho proseguito questi studi all’Accademia di Belle Arti di Palermo, ma dopo un anno sono tornato sui miei passi e mi sono iscritto al corso di fashion: qui mi sono dedicato a 360 gradi a quello che ho capito mi faceva sentire “vivo”. 
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Mi sono laureato e subito dopo mi sono trasferito a Como, dove lavoro da due anni e mezzo circa accanto al Sig. Menta, titolare di una nota azienda che produce tessuti. L’esperienza che sto facendo qui mi sta dando tanto: mi occupo del design della stampa e del tessile, ho modo di conoscere la materia in una maniera incredibile.
Sto intuendo da te che il tuo è un penchant, un piacere verso l’aspetto decorativo: il disegno delle stampe e dei motivi. Però c’è anche l’outfit, il look completo e costruito … … che poi alla fine è anche piuttosto semplice come costruzione. Mi soffermo soprattutto sui materiali e sull’idea di suscitare qualcosa in chi guarda la collezione: cerco sempre di creare un racconto, che diventa poesia, poi un po’ fiaba. Una sorta di infantilismo che mi lega a quello che ero, che mi fa tornare indietro a quando ero piccolo e disegnavo donne con abito fantastici. Poi mi sono spostato al menswear, perché penso che ci sia bisogno di raccontarlo sotto un’altra veste, in una maniera più facile. Poter quasi arrivare ad un concetto che è quello di un isolano, di un’isola. Lo sai che io vengo da Levanzo, quest’isoletta della Sicilia, che è davvero piccola: sono cresciuto lì, a piedi scalzi!
Quindi il vissuto è molto presente, è qualcosa che ti guida, che orienta l’ispirazione. Il mio mondo, quello che provo a descrivere è molto intimo: parlo di me e di quello che mi circonda. Parto quasi sempre da lì, poi riesco a mixare con elementi legati al folklore, alla tradizione, a quello che c’è attorno ad una familiarità abbastanza piccola, a quello che è il mio immaginario: l’isola per come la immagino io, per come la vedo, per come la vivo.
Eppure in termini di moda io non trovo traccia di un passato che torna, ma dettagli veramente inaspettati, che vertono al futuro. Infatti è tutto come un rebus, codici da decifrare e da mettere insieme che poi, alla fine, daranno un risultato. Io nella collezione parlo molto di ossidazione, mutazione, staticità apparente; come corpi immersi in un mare profondo. Ma contemporaneamente c’è un legame indissolubile con il territorio, con l’isola. E poi la mia è un’isola nell’isola, quindi è ancora più intima: ecco, l’ intimità è un punto di forza della collezione.
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Intimità in che senso, per chi sceglierà e indosserà questa collezione? È come un senso di protezione: come con i tessuti idrorepellenti dei capi della collezione, dove l’acqua scivola, li protegge. Sentirsi sicuri di indossare un qualcosa che non ti può tradire, che ti può cullare sempre. Uno dei miei sogni ricorrenti è proprio quello di nuotare, di stare immerso in acqua e dondolarmi: desidero trasmettere questa beatitudine, questo tepore intimo.
Parlando dell’immaginario: oltre al vissuto (ovviamente recente, il tuo è vita allo stato puro) … … è come un riallacciarmi ai ricordi, io vivo molto di ricordi: sento un profumo e mi rimanda indietro a cose che non avrei mai pensato di ricordare.
Beh, Proust sarebbe davvero fiero di te! Ed assieme a questo: che cos’altro, o chi, fa parte del tuo immaginario? Mi piace molto l’arte contemporanea. Invece, tra i grandi personaggi, uno stilista che penso sia molto vicino a me è Antonio Marras: lui mi fa sognare, con il suo saper allacciare gli stili, i tessuti, il folklore con la tradizione. Inizialmente è stato proprio lui con il suo mondo a darmi la spinta! Stessa cosa mi è successa con Armani, che ho conosciuto più approfonditamente qui a Como. Mi ha dato molto anche lui: come studio delle linee, la ripetizione del suo blu che io adoro profondamente. Entro nella magia che lui riesce a trasmettere durante le sfilate. Ecco, tutto quello che c’è di magico mi entusiasma, perché per me questo è lo scenario di moda: riuscire a creare qualcosa che si possa raccontare.
Allora ti chiederei, riformulando la domanda su di te: che cos’è la moda per te, ora? Ora come ora la moda è fatica, lavoro duro anche per riuscire ad emergere: cercare di farsi notare credo sia abbastanza difficile. Riuscire ad entrare in questo mondo, che è fatto anche di ostacoli, di conoscenze: di tante cose alle quali io non ero preparato perché ero rimasto al sogno! Per ora quello che ho raggiunto l’ho fatto tutto da solo, ma vorrei riuscire a farmi conoscere ed avere qualcuno che sappia seguirmi, supportarmi.
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A proposito della fatica di essere giovani, emergenti: e della difficoltà di definirsi davvero, dato che “giovane” non sempre ricalca l’anagrafe, “esordiente” è un limbo: tu, come ti definiresti? Ecco, io mi definirei “un tuffatore”: perché comunque ogni tanto mi butto, ci provo!
Magnifico! Tanto più che entrando nello specifico della moda che fai, sei un po’ un ponte tra tradizione e innovazione. Il made in Italy, insomma. Perciò scatta un’altra domanda: che cos’è il made in Italy per te, adesso? Sì assolutamente. Ad esempio l’anno scorso ho avuto proposte per il Giappone, per la Cina. Però mi sono rifiutato perché intanto voglio mettere le basi qui. Poi, ben venga un mercato che va verso l’Oriente. Ma per ora voglio fare made in Italy e lo voglio fare qui. Io tocco il prodotto con mano: ed è veramente l’eccellenza! Il made in Italy si sente: continua a crescere, a rinnovarsi e a migliorarsi anche con attenzioni che tentano di salvaguardare il territorio.
Quindi ora gli mancherebbe solo di aprire il dialogo con gli emergenti … Sì esatto! L’unico blocco che hanno le aziende è questa chiusura. Ed io sto lottando contro questo, perché se non si dà a noi la possibilità di richiedere metrature minori, adeguate alle nostre possibilità di partenza, non si potrà mai in seguito richiederne di più. Quindi fare ricerca di tessuti per me alle volte è come diventare pazzo. Però resta comunque stimolante! Poi, c’è Armani che apre il suo teatro ai giovani! Lo apprezzo tantissimo! … Magari esserci anch’io un giorno!
Ed io te lo auguro! Tornando alla moda uomo: mi hai incuriosito molto dicendo che manca qualcosa. Ma l’uomo a cui ti riferisci è un uomo italiano, o un uomo “qualunque”? Per me è come uno straniero che arriva sull’isola e se ne impossessa. La fa sua, riuscendo a cogliere i caratteri fondamentali, quelli che neanche un isolano stesso riesce a percepire perché sono lì, sotto gli occhi da sempre; mentre per uno straniero è più facile riuscire a cogliere colori, sensazioni ed espressioni che non aveva mai percepito prima. Poi di quell’isola ne fa la sua forza e non la vuole abbandonare.
E dal punto di vista concreto: cosa gli proponi tu? Ho visto capi molto dettagliati: le linee, i volumi, le forme, le stampe, la palette … Sì, sono i rebus che ti dicevo, come codici da decifrare per poi trovare la chiave di lettura di tutta la collezione. E di quello che per me è l’uomo. In realtà forse sono anch’io un po’ così, mi lascio trasportare dai ricordi del mio passato appunto, che però ovviamente devo mettere un po’ da parte per progettare il futuro. Mi manca la figura paterna: quindi questa ricerca della paternità, magari sotto un punto di vista figurativo, di racconto, di fiaba, di poesia, la trasporto nei disegni e poi nei capi che realizzo. Questo è il passaggio che cerco di mettere insieme. Perché non conoscendo una persona fino in fondo cerchi di cogliere quegli elementi e di trasportarli in qualcosa di definitivo. Le stampe: sono il rebus di cui parlo, come se tutto si concentrasse qui. La testa di pesce, la geometria, i fiori, il rubinetto: rappresentazione, racconto. Che non è un collage: ma è come un’illustrazione scomposta, che però in realtà è equilibrata.
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Quando qualcuno partecipa ad un racconto: trova il messaggio di chi lo fa. Intanto, però, dovrebbe trovare anche qualcosa per se stesso. Quindi, chi indossa le creazioni Sandro Gaeta, di sé cosa scopre? Può scoprire o riassaporare dei ricordi che tiene nascosti dentro e che poi si liberano. C’è come una sorta di osare, che però è molto educato. Quello che vorrei raccontare è anche questo: osare, ma con educazione. Osare rispetto alla formalità dei capi: non sono formali, ma nemmeno troppo informali. Tutto è molto educato, molto equilibrato: sognante, una forma di espressione molto libera. Però non è eccentrico, né artefatto: è composto, tranquillamente indossabile. Spiritoso: quindi può risultare anche divertente, giocoso.
Io lo trovo un ludico intelligente… Mi piace!!!
Dal ludico al bello, a modo tuo: che cos’è il bello per te? Il bello per me è pulizia, essenzialità, linearità, semplicità però ricercatezza. Tutto quello che è pulito, libero da ogni eccesso: per me è bello. Come spogliarsi di tutto quello che è di troppo.
Curiosissimo sentirlo da te, date le tue origini in un territorio in cui tutto è “barocco”, tende all’opulenza, all’eccesso, allo sfarzo. Ma questo immaginario è nuovo, in questo senso: dato che tu vai all’essenziale. Forse perché sono cresciuto su un’isola: lì ci si libera da ogni cosa. E questo rende tutto molto più facile, più semplice, più naturale. Più liberatorio. Come stare proprio a piedi scalzi: per me questa è una forma di liberazione, che mi ha un po’ influenzato. Ma anche perché io stesso sono una persona molto semplice.
Allora ti farò un’ultima domanda forse un po’ pruriginosa. La Sicilia viene spesso identificata con determinati stilisti che portano avanti un certo immaginario. Sì, proprio quel duo! Sono riusciti ad allacciare questo tipo di sicilianità ad un discorso di moda potente. Mentre quello che offri tu è diverso, ma non è un’alternativa: ha valore a sé. Io vado proprio contro quello che è l’idea di fare moda, ispirarsi alla Sicilia in un senso stereotipato, legato troppo al passato e spesso abbastanza finto in qualità di ideologia e di genere di rappresentazione. Mentre il mio immaginario è molto più intimo: legato a quell’isola nell’isola dove non c’è tutto questo sfarzo, dove non c’è nulla del genere. Dove bello è proprio un muro bianco con il sole che ci si riflette contro. Per me quello è il bello della Sicilia. Resta il fatto che amo tantissimo tutto: lo sfarzo della città, i mercati, la vivacità con cui si vive. Anche nel cibo: la frittura! Ed ora che sono qui mi manca. Per me però l’idea di Sicilia è quella che sta a casa mia, nonostante ami tutto questo eccesso. Da questo punto di vista: il duo o lo devi ringraziare, o lo devi odiare. E io li ringrazio perché mi stanno facendo prendere un’altra strada per farmi raccontare un’altra Sicilia. E quindi grazie: perché riesco a distaccarmi dal loro pensiero. E dalla prossima collezione proverò a non parlarne nemmeno, ma solo ad accennarne.
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[ENGL.]
Talking of Sandro Gaeta and his fashion. If not everything, definitely all the best told along the soft flowing of a bright conversation
Let’s start from your vocation: how did you approach fashion, when did you realize that it would have been your way? Actually I’d always known, but I kept this thing hidden: maybe because I was afraid of the confrontation with the others, even with my family. I’ve always drawn, since I was a child: it was my favorite game. But I left it apart, until I realized that it would have been what I wanted to do. Initially, after the diploma in decoration at the arts high school, I continued this kind of studies at the Fine Arts Academy in Palermo, but after one year I turned back and I enrolled at the fashion course: here I found what I knew that could make me feel alive. After the degree I moved to Como, where I’ve been working for two years and a half with Mr Menta, the holder of a renowned textile company. This experience is truly valid: I work on the print design and the fabrics, I have the chance to know the materials in an incredible way.
I gather from your words that you have a penchant, a pleasure towards the decorative aspect: the prints, the drawings and the motifs. But there’s also the outfit, the complete look… … which at last is a fairly simple construction. I linger my attention on materials and on the idea of raising something on the people looking at the collection: I always try to create a story, that becomes poetry, then a fairy tale. A sort of infantilism that bonds me to what I used to be, that makes me come back to when I was a child and I used to draw women with fabulous dresses. Then I turned to menswear, because I think that it needs to be told in a new and easier way. I mean: to nearly achieve the concept of an islander, of an island. You know that I come from Levanzo, a very small island in Sicily, that is truly tiny: I grew up there, with bare feet!
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So, the past is very present, is something guiding you, orienting your inspiration. My world, what I try to describe is very intimate: I talk about me and what surrounds me. I always start from there, then I manage to mix it with elements connected to folklore, tradition, to everything that deals with a small domestic sphere, with my imagery: the island as I imagine it, as I see it, as I live it.
But in fashion terms, I find no trace of a past coming back, but details that are very unexpected, future-oriented. Effectively, everything is like a rebus, codes to decode and to put together, that finally will give a result. In my new FW 2015-16 collection I talk a lot about oxidation, mutation, apparent stillness; like bodies immersed into the deep sea. But, at the same time, there’s an indissoluble tie with the land, the island. And, actually, mine is an island within an island, so is even more intimate. Intimacy is the strong point of the collection, lo and behold!
Intimacy in what sense, for those who’ll choose and wear this collection? You know, it’s like a sense of protection: as with the waterproof fabrics of the clothes in this collection, where water slides away, they’re protected. Feeling safe by wearing something that won’t betray you, that will always cherish you. Actually, one of my recurring dreams is to swim, staying immersed into water and swing: I wish to instill this beatitude, this intimate coziness.
Talking about your imagery: beyond your past, that obviously is very recent … … For me it’s like drawing on my memories, I live by memories: I smell a fragrance and it puts me back to things that I would never imagined I could remember!
So, Proust would be very proud of you! And together with this, what else, or who else takes part on your imagery? I like contemporary art very much. Instead, among celebrities, a fashion designer that I think is very near to me is Antonio Marras: he makes me dream, by his ability to tie styles, fabrics, folklore with tradition. Initially it was thanks to him that I felt the right push! The same happened with Mr Armani, that I’ve known better here in Como. He gave me a lot: the study of the lines, his recurring blue that I deeply love. I enter the magic he’s able to spread in his shows. Voilà, all that is magic excites me, because for me this is the very scenario of fashion: managing to create something that tells a story.
Well, now I’d ask you, rephrasing the question on you: what’s fashion for you, now? Right now fashion is a struggle, a hard work even for managing to emerge: trying to get noticed is rather difficult. Managing to enter the fashion world, that is also made of obstacles and contacts: lots of things to whom I was not ready because I was kept by the dream! For the time being, I’ve reached everything by myself, but I’d like to get noticed and have someone supporting me.
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In the matter of the struggle of being a young, emerging designer: and the difficulty to be defined in the right way, since “emerging” not always follows the age, “emerging” is like a limbo. How would you define yourself? Lo and behold, I would define me like “a diver”: because, no matter what, sometimes I jump, I try!
Great! All the more so that considering your kind of fashion design, you’re like a bridge between tradition and innovation. Made in Italy, in short. So, another question rises: what’s made in Italy for you, now? Yes, absolutely! For instance last year I received some propositions from Japan and China. But I refused because I want to put the basis here: I want to make Made in Italy here. I touch the product by my hands: it’s truly the excellence! You can feel the Made in Italy: it keeps growing, renovating and improving also by taking care of the environment.
So now it only needs to open the dialogue with the emerging designers … Exactly! Companies have only this block, a narrowness. And I’m struggling against this, because if we don’t have the chance to ask for smaller quantities of fabrics, proper to our starting possibilities, we could never ask for more in the future. Then, at the same time, there’s Armani opening his theatre to young designers! I appreciate him so much! … I wish to be there one day!
And I wish it too! Coming back to menswear: you intrigued me a lot by saying that it misses something. But the man you address to is an Italian man, or an “ordinary” one? For me he’s like a stranger arriving on the island and taking possession of it. He makes it his island, catching the essential elements that even an islander can’t perceive because they’re always under his eyes. But for a stranger it’s easier to catch the colors, sensations and expressions that he’s never felt before. Then, he never wants to  leave it.
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And by a concrete point of view: what do you propose? I saw very detailed clothes: lines, volumes, shapes, prints… Yes, they’re the rebus I was telling you, codes to decode to find the key of the whole collection. And of what menswear means to me. Actually, maybe I’m a little like this too, I let myself be carried by memories of my past, but I’ve to take them apart to conceive the future. I miss the paternal figure: so the search for fatherhood, maybe from a visual point of view, a story, a poetry, is carried in my sketches and then in my clothes. This is the passage I try to build. Because if you don’t know someone completely, you try to catch the elements and bring them into something definitive. The prints: they’re the rebus, as if everything focuses on them. The fish head, geometry, flowers, the tap: they’re a representation, a tale. That is not a collage: rather, it’s like a dismantled illustration, that actually is balanced.
When someone takes part to a story, he finds also a message for himself. So, what do people find about themselves by wearing Sandro Gaeta’s creations? They can find, or taste again, memories that are kept inside them, and then get released. There’s a sort of daring act, that actually is very polite. What I’d like to tell is also this: dare, but gently. Daring compared with the formality of clothes: they’re not formal, neither too much informal. Everything is polite, very balanced: dreamy, a free form of expression. But it’s not eccentric, neither unnatural: it’s easily wearable. Witty: so it can be funny, playful.
I think it’s a smart playful … I love it!
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From playful to beautiful: what’s beauty for you? Beauty for me is neatness, essentiality, linearity, simplicity but refinement. Everything that is polish, free from excess: that’s beautiful for me. Like undressing from everything that is too much.
It’s very bizarre to hear this from you, since your origins in a country where everything is “baroque” and tends to opulence, excess, splendour. But this imagery is new, in this sense; since you go straight to the essential. Maybe because I grew up on an island: there you get rid of everything. And this makes all easier, more simple and natural. More liberating. Like being bare foot: for me it means freedom, something that influenced me. But also because I’m a very simple person.
So, I’ll ask you a question that may be itchy. Sicily often gets identified with two specific fashion designers that have been working on a given imagery since ever. Yes, exactly that duo! They’ve been able to tie this kind of Sicilian spirit to a very powerful fashion speech. While what you offer is different, but it’s not an alternative: it has a value on itself. Actually I’m against that idea of making fashion by drawing inspiration from Sicily in a stereotyped sense, too much bonded to the past and often fake in terms of ideology and kind of representation. While my imagery is much more intimate: bonded to that island within an island where there’s no splendour, nor excess. Where a white wall with the sun reflecting on it is beautiful. This is the beauty of Sicily for me. Anyway, I love all this: the splendour of cities, the markets, the vivacity. Even the fried food! And now that I’m here in Como I miss it. But for me the idea of Sicily is the simplicity of my home, despite the fact I love all this typical opulence. From this point of view, you have to thank the duo, or to hate them. And I thank them because they’re making me take another way to narrate another Sicily. So, thank you: because I can stand out from their imagery, And from next collection on I’ll try to cease talking about it, but only to hint at it.
Silvia Scorcella
[Published on Hachi Magazine issue n°3]
[Photos via Sandro Gaeta official website]
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praticalarte · 4 years
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Marina Mian, una passione per l'arte
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Chi è Marina Mian? Credo di essere un'anima sognatrice, per me il sogno è il lusso del pensiero, è una visione e le visioni fanno parte di chi è sognatore e solo così mi sento libera. Sono curiosa e affamata del sapere, del conoscere, di nuove scoperte, sono implacabile quando faccio ricerca e non mi basta mai quello che ho scoperto. Che mestiere fai? Attualmente mi dedico totalmente alla mia grande passione ( l'arte ) fino al 2010 ero responsabile di un'attività commerciale. Da dove vieni? Vivo in un piccolo borgo ( San Gaetano ) vicino Caorle ( Ve ) dove sono nata. Nella solitudine ho capito la mia sensibilità, questo stato d'animo mi ha permesso di iniziare un cammino nella profonda ricerca interiore. Nei colori ho trovato la luce e quando dipingo sento di vivere in un arcobaleno di emozioni che si fondono in una elegante armonia. Come, quando e perché è iniziato il tuo amore per l'arte? Ho sempre avuto una passione ardente per il disegno e i colori fin da piccola, ero affascinata e attratta dal profumo della carta e dei colori, mi piaceva sentire il rumore della matita che scorreva sul mio quaderno nero con la riga rossa, che bel ricordo ( indelebile ). Quando è cominciata quest’avventura nell’arte? La vita mi ha portato a custodire il mio sogno in un cassetto per molto tempo. Un bel giorno l'ho aperto e ho cominciato ad approffondire gli studi da autodidatta, che mi hanno portato ad ampliare ed incrementare le mie conoscenze artistiche. Ho intrapreso ricerche personali così da sperimentare e affinare varie tecniche : olio-acrilico-inchiostro-pigmenti-affresco-incisione-pastello e tecnica effimera su asfalto ( madonnara ), con la frequentazione di corsi di perfezionamento. Il mio primo corso di disegno l'ho fatto con Alessandro Pedroni, conosciuto una decina di anni fa tramite web. E' stata un'esperienza emozionante e positiva, indimenticabile. Ho avuto modo di imparare tante cose grazie alla pazienza, disponibilità e professionalità di Alessandro. Cosa hai studiato e dove? Sono autodidatta, ho fatto corsi formativi, ho lavorato a bottega e continuo a studiare e far ricerca. Cosa ti ha spinto ad entrare nel mondo dell'arte e a seguire studi artistici? Dipingere per me è una necessità, per cercare di mantenere in vita idee e valori. Come studente, qual è stata la lezione più importante che hai imparato? Dipingo da diversi anni e la natura è uno degli elementi fondamentali dei miei lavori, ma ultimamente sentivo l'esigenza di esprimermi con l'arte dei Madonnari ( arte effimera ). L'anno scorso ho avuto la possibilità di fare la mia prima esperienza ( da madonnara ) su strada. Ho capito che il rapporto con la gente è importante e speciale, perchè l'artista di strada deve dimostrarsi aperto e sensibile, deve lasciare la persona che incontra in uno stato migliore di quello che aveva quando l'ha incontrata. E' stata un'esperienza che mi ha fatto riflettere e mi ha insegnato che nella vita c'è sempre da imparare qualcosa da tutti. Come artista, cosa vuoi condividere con il mondo? Esprimermi, svelarmi agli altri, occupare uno spazio in questo mondo. Secondo te, da dove viene l'ispirazione? Da tutto quello che mi circonda, la natura, un pensiero, un ricordo il tutto condito con fantasia e creatività. Anche i miei sogni sono fonte d'ispirazione. Qual è l’elemento iniziale che innesca il processo creativo? E cosa ritieni sia più importante? Il concetto, l’idea espressa, o il risultato estetico e percettivo dell’opera? Io penso sia quando il cervello è libero e va dove vuole. Il processo creativo ha bisogno di due emisferi, quello sinistro dedicato alla razionalità, alla visione dettagliata, alla logica mentre il destro alla creatività, alla visione globale, all'intuizione. Ho letto il libro di Betty Edwards ( Disegnare con la parte destra del cervello ).
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La donna con i fiori
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Pastello – Buon pastore
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San Pietro tecnica pastello su tavola 50 x 70 2020 Parfum de Venise 3 tecnica mista e olio su tela 70 x 90 2019
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Memorie veneziane 1 tecnica mista e olio su tela 75 x 75 2018
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Onde di nostalgia tecnica mista e olio su tela 75 x 90 2018
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Omaggio a Hemingway tecnica mista e olio su tela 75 x 75 2018 Al di là del fiume e tra gli alberi tecnica mista e olio su tela 100 x 80 2018 Cavana n.2
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La via dei casoni tecnica mista e olio su tela 90 x 90 2018
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LA MIA CAMPAGNA tecnica mista su tela 75 x 75 2018
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DEA DELLA NATURA tecnica mista e olio su tela 200 x 100 2017 ASSENZA DI TE tecnica mista e olio su tela 70 x 90
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PROFUMO DI DONNA tecnica mista e olio su tela 70 x 90 2017
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LA VIE EN ROSE tecnica mista e olio su tela 80 x 80 2017
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LIBELLULA CREATURA DEL VENTO tecnica mista e olio su tela 70 x 80 2016
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LA GIOVANE SPOSA tecnica mista e olio su tela 60 x 80 2016
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LA CACCIATRICE tecnica mista e olio su tela 60 x 80 2016
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LA DAMA BIANCA tecnica mista e olio su tela 45 x 35 2016 Quale fase dell'arte / creazione ti colpisce di più? Vedere la tela bianca mi demotiva, mentre mi emoziona la fase creativa iniziale e mentre la sto creando. Praticamente mi colpisce di più " il viaggio " nè la partenza nè l'arrivo. Come esplichi la tua attività artistica? Collaboro con vari studi d'arte romani e veneti ed espongo con frequenza dal 2012 in mostre personali e collettive, sia in galleria che in manifestazioni. Cito, tra le altre, le mostre e gli eventi organizzati dal Centro Artistico Culturale Il Leone, dalla Galleria Pentart di Roma e dalle note Associazioni romane Art Studio Tre (Roma Art Festival a Piazza della Repubblica), Cento Pittori Via Margutta (Mostre Storiche a Via Margutta) e Circolo Lorenzo Viani (Arte Contemporanea sul Mare ad Ostia). Perché pittura ad olio? Cosa rende speciale questo mezzo per te? Per me ogni mezzo è utile per cercare di esprimersi. L'olio è reso speciale dalla sua lucentezza e matericità e per la possibilità di eseguire minimi dettagli grazie a pennelli particolari e diversi che portano a risultati fenomenali da chi ha mano abile. È difficile discorrere d’arte senza parlare di sé. Quanto c’è della tua storia, dei tuoi ricordi, della tua vita intima, nelle opere che realizzi? Si dice che guardando i quadri di un'artista si legge la sua anima, vorrei che fosse così anche nel mio caso. Quando dipingo vivo con la tela che mi avvolge: il mio cuore come per incanto allontana i pensieri dalla mia mente e mi porta in un sogno, guidando anche la mano. Qual è l'importanza di trasmettere la conoscenza artistica alle nuove generazioni? L'arte non si può separare dalla vita, è l'espressione delle più grandi necessità della quale la vita è capace. apprezziamo l'arte non tanto per il prodotto specializzato ma per la sua rivelazione di un'esperienza di vita. Secondo te qual è la funzione sociale dell'Arte? L'arte ha la funzione di trasmettere un messaggio di qualsiasi tipo, ma deve dire qualcosa e quando riusciamo a trasmettere un'emozione ecco che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Cosa dicono le tue opere? Quali messaggi vogliono comunicare? Come ho già detto per me dipingere è una necessità per cercare di mantenere in vita idee e valori, esprimermi e svelarmi agli altri, occupando uno spazio in questo mondo. Quale messaggio personale vorresti lasciarci? Ringrazio Alessandro Pedroni per l'insegnamento e l'aiuto didattico ricevuto negli anni passati. Il suo corso online è stato illuminante, positivo e utilissimo. Ho trovato una persona schietta, paziente, disponibile e professionale. Esperienza indimenticabile. Buona arte a tutti. Grazie Marina Read the full article
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praticalarte · 5 years
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Come migliorare il tratteggio a matita
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Una delle difficoltà maggiori in chi inizia lo studio del disegno è quella di imparare ad ottenere un tono sfumato per mostrare la differenza tra i valori scuri, quelli chiari e i passaggi medi, variando i tratti. C'è anche da imparare a tratteggiare seguendo la forma dell'oggetto. Non esiste un trucco rapido per ottenere un buono stile di tratteggio a matita. Tuttavia, esistono una serie di semplici esercizi che puoi praticare per migliorare il chiaroscuro con il tratteggio a matita. 1. Prendi una matita HB e affilala in modo che sia esposto almeno 1 cm di mina.
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2. Quando una matita si accorcia, utilizza un allunga matite, è importante che la matita sia tenuta il più vicino possibile alla coda, lontano dalla punta. 3. Utilizza fogli almeno A3 - o - meglio - A2 e carta da disegno liscia o semiruvida di qualità. 4. Fissa la carta su un tavolo da disegno verticale o su una tavoletta posta in grembo. 5. Siedi o stai in piedi davanti alla tavola a distanza di un braccio o in modo che il gomito sia libero di muoversi e non appoggiare l'avambraccio al piano del disegno. Dopo un po', potresti avere un dolore al muscolo deltoide (se non sei allenato), è normale, passerà.
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6. Disegna linee in varie direzioni usando la presa mostrata nell'immagine qui sopra. 7. Le linee tracciate devono avere una lunghezza tra i 5 e i 20 cm. 8. Disegna linee parallele in varie direzioni lasciando uno spazio da 2 a 4 mm tra di loro. 9. Quando una matita si spunta, affilala di nuovo con la carta vetrata. 10. Esercitati a tracciare linee con varie pressioni sulla matita. Inizia con linee molto leggere. Aumenta leggermente la pressione circa ogni 100 tratti. 11. Sperimenta il limite che ogni gradazione di matita può dare in termini di pressione e tono. Usa al massimo con il grado HB. le variazioni di tono derivano molto di più delle tue abilità nel maneggiare le matite che dal grdo di morbidezza dell mina. 12. Disegna linee con varie curvature usando gesti fluidi e continui; evita come la peste di tracciare linee con corti tratti insistiti. 13. Disegna linee variando la pressione durante il tratto: inizia con una linea leggera, premi più forte nel mezzo e termina in leggerezza. 14. Solleva la matita dalla carta dopo ogni singolo tratto. 15. Esercitati mezz'ora al giorno per tre settimane disegnando semplicemente linee casuali. Sarebbe un buon inizio, anche se 10 ore non sono sufficienti per padroneggiare le linee. 16. Fai tratteggi incrociati con angoli da 30 a 45 gradi. 17. Disegna grandi rettangoli e riempili con più strati di tratteggio, creando sfumature. Il lato chiaro potrebbe avere uno o due strati di linee molto deboli. Il lato oscuro può avere anche più di 20-50 strati.
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18. Non fare bordi netti tra i livelli; questo darà una graduale variazione di toni. Non sporcare i segni di grafite appoggiando le nocche o un dito. 19. Quando ti abitui alla presa con la punta distante, passa a compiti più impegnativi: disegna cubi in prospettiva dal vero per almeno 40 ore. Puoi creare un cubo con un lato di 20 cm di cartoncino e usarlo come modello. 20. Usa principi costruttivi di disegno per copiare dal vero. Misura gli angoli e le proporzioni con una matita. Disegna un cubo come se fosse trasparente.
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(In questo esercizio ci sono diversi compiti da coordinare: maneggiare la matita, apprendere i principi costruttivi del disegno, imparare a misurare con una matita e, soprattutto, ottenere una buona "percezione" della prospettiva) probabilmente dovrai trovare delle lezioni adeguate in un corso come noi li proponiamo in questo sito o appoggiarti ad esempi come quelli raccolti in questa bacheca. 21. Disegna cubi semplici e visualizza valori tonali. Le linee devono essere diritte ma applicate con angoli diversi. Scopri cos'è la prospettiva aerea e come raggiungerla nel disegno. 22. Impara come sfumare una sfera, studiando e comprendendo tutti i differnti aspetti delle variazioni di valore della luce sulla sua forma.
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23. Disegna forme semplici naturali e oggetti geometrici artificiali dal vero.
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24. Scopri cosa sono i contorni e come visualizzarli e realizzarli nel disegno. 25. Disegna nature morte dal vero.
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  26. Esercitati ad applicare le linee di ombreggiatura lungo i contorni. Ci vorrà circa un anno prima di sviluppare l'abitudine di rendere i toni lungo i contorni senza pensarci. 27. Con la pratica regolare, dovresti arrivare al punto in cui una matita non è uno strumento nella tua mano ma una continuazione della tua mente. Ora sai cosa fare. Il resto dipende solo da te stesso. Liberamente tratto da https://drawingacademy.com/how-to-improve-pencil-hatching tutte le immagini appartengono a Drawing Academy Read the full article
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praticalarte · 4 years
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Nome e professione
Cinzia Scarpa, imprenditrice agricola: collaboro con mio fratello/gemello alla conduzione dell’azienda agricola di famiglia. Il disegno e la pittura non riesco a considerarli un lavoro, fanno semplicemente parte della mia vita.
Da dove vieni?
Sono nata nel 1961 e vivo in provincia di Venezia , precisamente a Cavallino-Treporti, suggestiva lingua di terra sabbiosa tra mar e laguna.
Come quando e perché è iniziato il tuo amore per l’arte?
Nel mio nucleo familiare nessuno possedeva capacità artistiche, ma ricordo mio nonno materno che in vecchiaia passava molto tempo seduto al tavolo in cucina, trovandosi a portata di mano fogli da disegno e pennarelli dei nipoti iniziò a copiare (interpretando) alcune stampe e cartoline di piazze italiane, scoprì di saper disegnare piuttosto bene, le sue piazze surreali e metafisiche mi piacevano moltissimo.
Per me la passione nasce già nell’infanzia, ero attratta dalle illustrazioni dei libri, percepivo che le immagini non appartenevano alla realtà ordinaria, passavano attraverso l’interpretazione e l’immaginazione di chi le aveva prodotte, mi raccontavano molto più delle parole. Iniziai così a disegnare la mia realtà alternativa, mi attraeva ciò che i miei disegni riuscivano a raccontarmi. Amavo appartarmi e osservare gli alberi, mi stendevo ai loro piedi per osservare gli incroci dei rami, studiavo la luce. Le mie estati di bambina erano una totale e magica immersione nella natura, sensazioni e percezioni che nel tempo hanno costruito dentro me una consapevolezza che ora ritrovo in tutto ciò che produco.
Quando è cominciata quest’avventura nell’arte?
E’ stata un’insegnante delle scuole medie a farmi capire l’importanza dello studio della teoria e delle tecniche dell’arte e come i metodi di osservazione diventino strumenti necessari per dare forma alle idee.
Mi innamorai della luce! Mi affascinò scoprire che, con pennini e china costruendo ombre, la luce diveniva la vera protagonista.
Cosa hai studiato e dove?
Non continuai con studi artistici, dedicai studi e tempo all’azienda di famiglia, con la consapevolezza che non avrei certo dimenticato il disegno. Infatti passavo parte della notte e gran parte del tempo libero a disegnare.
Solo nel 2008 mi iscrissi ad un corso di ritratto e disegno dal vero, ovviamente m’innamorai di tutto ciò che imparavo, mi esercitavo con costanza, fu l’inizio di una vera “relazione” col disegno e la pittura. In seguito il mio interesse per la figura umana mi condusse ad approfondire gli studi iscrivendomi ad un corso di nudo dal vero. Nel 2018 infine mi iscrissi all’Accademia d’Arte Vittorio Marusso a S. Donà di Piave, vicino a Venezia, seguendo lezioni di “figura e nudo dal vero”.
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Come artista cosa vuoi condividere con il mondo?
Non penso a grandi messaggi, piuttosto a impercettibili sensazioni, quelle che a parole non si spiegano. Semplicemente dipingo figure, sopratutto femminili. Spero che l’effetto finale sia quello di un buon libro che l’autore scrive e che il fruitore interpreta con le proprie personali esperienze e sensazioni.
Come studente qual’è stata la lezione più importante che hai imparato?
L’importanza di sperimentare e mettermi alla prova con umiltà, concedendomi il tempo di maturare.
Secondo te da dove viene l’ispirazione?
E’ un argomento che ho sempre tralasciato, credo di non essermelo mai chiesto veramente…
Qual’è l’elemento iniziale che innesca il processo creativo? E cosa ritieni più importante? Il concetto, l’idea espressa, o il risultato estetico o percettivo dell’opera?
Per quanto mi riguarda il germe del processo creativo è lo spazio bianco, un foglio, una tela, un muro, una sorta di foglio vergine per lo scrittore. Probabilmente il concetto, l’idea espressa, il risultato estetico, sono tutti importanti ma io ritengo interessante un lavoro sopratutto per il risultato percettivo, per ciò che a parole mi è difficile spiegare.
Quale fase dell’arte/creazione ti colpisce di più?
La fase embrionale, quando un’immagine si fonde o si confonde ad un sentimento, si trasforma, cambia senso poi, durante la lavorazione se va bene, cambia vita. Lascio che il lavoro si racconti.
Amo anche il momento in cui do un titolo al mio lavoro, sempre alla fine, dopo lunga e “vissuta” osservazione, per me il titolo è parte dell’opera.
Perché hai scelto un’arte visiva?
Perché non avevo voce per cantare, grazia per ballare, mezzi per suonare, forse sono andata per esclusione, o forse si nasce con un senso estetico che indirizza a certi modi espressivi. Fin da bambina amavo “guardare/osservare a modo mio”. Sono sempre stata un appassionata osservatrice, trovo che il piacere di vedere sia di grande stimolo per cogliere immagini e fissarle alle sensazioni..
Come e perché sei arrivata alla tecnica pittorica dell’acquerello?
Ho iniziato col disegno che rimane sempre il primo amore. In seguito iniziai a dipingere ad acrilico, ma la vera liberazione è arrivata con l’acquerello, Mi hanno sempre affascinato le velature e le trasparenze di questa tecnica, mi sembrava il metodo più efficace per rappresentare ciò che desideravo raccontare.
Ho iniziato a dipingere ad acquerello nel 2014, da autodidatta, osservando i lavori di alcuni bravi artisti, chiedendo consigli sulle tecniche, i materiali e sperimentando sulla base di queste osservazioni e consigli.
La caratteristica che più mi affascina nell’acquerello è la libertà dell’acqua, con la quale è necessario cercare una collaborazione per conservare l’estetica del proprio lavoro ma allo stesso tempo lasciare che scorra, che porti ad imprevisti e sorprendenti effetti.
E’ difficile discorrere d’arte senza parlare di sé. Quanto c’è della tua storia, dei tuoi ricordi, della tua vita intima, nelle opere che realizzi?
Sicuramente tutte le esperienze vissute, buone o cattive, le percezioni acquisite nel tempo nell’ambiente agreste e nell’infanzia vissuta come una splendida avventura, in totale contatto con la natura, hanno segnato e continuano modulare le mie percezioni, immagino possano farlo anche sul linguaggio e sul contenuto dei miei lavori, anche se le mie pitture non rappresentano esplicitamente questo.
Secondo te qual’è la funzione sociale dell’arte?
Quando si osservano i graffiti rupestri non si vedono solo scene di caccia ma se ne percepisce la drammaticità. L’arte in tutte le sue forme è memoria, scorre nella storia, la mantiene viva, è testimonianza attiva nella contemporaneità, dell’intimo sentire umano.
Quale messaggio personale vorresti lasciarci?
L’amore per l’arte ha bisogno di cura. L’amore è cura, la cura è impegno.
Grazie Cinzia.
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Cinzia Scarpa, pittrice Nome e professione Cinzia Scarpa, imprenditrice agricola: collaboro con mio fratello/gemello alla conduzione dell’azienda agricola di famiglia.
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praticalarte · 4 years
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Chi è Marina Mian?
Credo di essere un’anima sognatrice, per me il sogno è il lusso del pensiero, è una visione e le visioni fanno parte di chi è sognatore e solo così mi sento libera.
Sono curiosa e affamata del sapere, del conoscere, di nuove scoperte, sono implacabile quando faccio ricerca e non mi basta mai quello che ho scoperto.
Che mestiere fai?
Attualmente mi dedico totalmente alla mia grande passione ( l’arte ) fino al 2010 ero responsabile di un’attività commerciale.
Da dove vieni?
Vivo in un piccolo borgo ( San Gaetano ) vicino Caorle ( Ve ) dove sono nata.
Nella solitudine ho capito la mia sensibilità, questo stato d’animo mi ha permesso di iniziare un cammino nella profonda ricerca interiore.
Nei colori ho trovato la luce e quando dipingo sento di vivere in un arcobaleno di emozioni che si fondono in una elegante armonia.
Come, quando e perché è iniziato il tuo amore per l’arte?
Ho sempre avuto una passione ardente per il disegno e i colori fin da piccola, ero affascinata e attratta dal profumo della carta e dei colori, mi piaceva sentire il rumore della matita che scorreva sul mio quaderno nero con la riga rossa, che bel ricordo ( indelebile ).
Quando è cominciata quest’avventura nell’arte?
La vita mi ha portato a custodire il mio sogno in un cassetto per molto tempo.
Un bel giorno l’ho aperto e ho cominciato ad approffondire gli studi da autodidatta, che mi hanno portato ad ampliare ed incrementare le mie conoscenze artistiche.
Ho intrapreso ricerche personali così da sperimentare e affinare varie tecniche : olio-acrilico-inchiostro-pigmenti-affresco-incisione-pastello e tecnica effimera su asfalto ( madonnara ), con la frequentazione di corsi di perfezionamento.
Il mio primo corso di disegno l’ho fatto con Alessandro Pedroni, conosciuto una decina di anni fa tramite web. E’ stata un’esperienza emozionante e positiva, indimenticabile. Ho avuto modo di imparare tante cose grazie alla pazienza, disponibilità e professionalità di Alessandro.
Cosa hai studiato e dove?
Sono autodidatta, ho fatto corsi formativi, ho lavorato a bottega e continuo a studiare e far ricerca.
Cosa ti ha spinto ad entrare nel mondo dell’arte e a seguire studi artistici?
Dipingere per me è una necessità, per cercare di mantenere in vita idee e valori.
Come studente, qual è stata la lezione più importante che hai imparato?
Dipingo da diversi anni e la natura è uno degli elementi fondamentali dei miei lavori, ma ultimamente sentivo l’esigenza di esprimermi con l’arte dei Madonnari ( arte effimera ).
L’anno scorso ho avuto la possibilità di fare la mia prima esperienza ( da madonnara ) su strada.
Ho capito che il rapporto con la gente è importante e speciale, perchè l’artista di strada deve dimostrarsi aperto e sensibile, deve lasciare la persona che incontra in uno stato migliore di quello che aveva quando l’ha incontrata.
E’ stata un’esperienza che mi ha fatto riflettere e mi ha insegnato che nella vita c’è sempre da imparare qualcosa da tutti.
Come artista, cosa vuoi condividere con il mondo?
Esprimermi, svelarmi agli altri, occupare uno spazio in questo mondo.
Secondo te, da dove viene l’ispirazione?
Da tutto quello che mi circonda, la natura, un pensiero, un ricordo il tutto condito con fantasia e creatività. Anche i miei sogni sono fonte d’ispirazione.
Qual è l’elemento iniziale che innesca il processo creativo? E cosa ritieni sia più importante? Il concetto, l’idea espressa, o il risultato estetico e percettivo dell’opera?
Io penso sia quando il cervello è libero e va dove vuole. Il processo creativo ha bisogno di due emisferi, quello sinistro dedicato alla razionalità, alla visione dettagliata, alla logica mentre il destro alla creatività, alla visione globale, all’intuizione. Ho letto il libro di Betty Edwards ( Disegnare con la parte destra del cervello ).
La donna con i fiori
Pastello – Buon pastore
San Pietro tecnica pastello su tavola 50 x 70 2020
Parfum de Venise 3 tecnica mista e olio su tela 70 x 90 2019
Memorie veneziane 1 tecnica mista e olio su tela 75 x 75 2018
Onde di nostalgia tecnica mista e olio su tela 75 x 90 2018
Omaggio a Hemingway tecnica mista e olio su tela 75 x 75 2018
Al di là del fiume e tra gli alberi tecnica mista e olio su tela 100 x 80 2018
Cavana n.2
La via dei casoni tecnica mista e olio su tela 90 x 90 2018
LA MIA CAMPAGNA tecnica mista su tela 75 x 75 2018
DEA DELLA NATURA tecnica mista e olio su tela 200 x 100 2017
ASSENZA DI TE tecnica mista e olio su tela 70 x 90
PROFUMO DI DONNA tecnica mista e olio su tela 70 x 90 2017
LA VIE EN ROSE tecnica mista e olio su tela 80 x 80 2017
LIBELLULA CREATURA DEL VENTO tecnica mista e olio su tela 70 x 80 2016
LA GIOVANE SPOSA tecnica mista e olio su tela 60 x 80 2016
LA CACCIATRICE tecnica mista e olio su tela 60 x 80 2016
LA DAMA BIANCA tecnica mista e olio su tela 45 x 35 2016
Quale fase dell’arte / creazione ti colpisce di più?
Vedere la tela bianca mi demotiva, mentre mi emoziona la fase creativa iniziale e mentre la sto creando. Praticamente mi colpisce di più ” il viaggio ” nè la partenza nè l’arrivo.
Come esplichi la tua attività artistica?
Collaboro con vari studi d’arte romani e veneti ed espongo con frequenza dal 2012 in mostre personali e collettive, sia in galleria che in manifestazioni.
Cito, tra le altre, le mostre e gli eventi organizzati dal Centro Artistico Culturale Il Leone, dalla Galleria Pentart di Roma e dalle note Associazioni romane Art Studio Tre (Roma Art Festival a Piazza della Repubblica), Cento Pittori Via Margutta (Mostre Storiche a Via Margutta) e Circolo Lorenzo Viani (Arte Contemporanea sul Mare ad Ostia).
Perché pittura ad olio? Cosa rende speciale questo mezzo per te?
Per me ogni mezzo è utile per cercare di esprimersi. L’olio è reso speciale dalla sua lucentezza e matericità e per la possibilità di eseguire minimi dettagli grazie a pennelli particolari e diversi che portano a risultati fenomenali da chi ha mano abile.
È difficile discorrere d’arte senza parlare di sé. Quanto c’è della tua storia, dei tuoi ricordi, della tua vita intima, nelle opere che realizzi?
Si dice che guardando i quadri di un’artista si legge la sua anima, vorrei che fosse così anche nel mio caso.
Quando dipingo vivo con la tela che mi avvolge: il mio cuore come per incanto allontana i pensieri dalla mia mente e mi porta in un sogno, guidando anche la mano.
Qual è l’importanza di trasmettere la conoscenza artistica alle nuove generazioni?
L’arte non si può separare dalla vita, è l’espressione delle più grandi necessità della quale la vita è capace. apprezziamo l’arte non tanto per il prodotto specializzato ma per la sua rivelazione di un’esperienza di vita.
Secondo te qual è la funzione sociale dell’Arte?
L’arte ha la funzione di trasmettere un messaggio di qualsiasi tipo, ma deve dire qualcosa e quando riusciamo a trasmettere un’emozione ecco che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.
Cosa dicono le tue opere? Quali messaggi vogliono comunicare?
Come ho già detto per me dipingere è una necessità per cercare di mantenere in vita idee e valori, esprimermi e svelarmi agli altri, occupando uno spazio in questo mondo.
Quale messaggio personale vorresti lasciarci?
Ringrazio Alessandro Pedroni per l’insegnamento e l’aiuto didattico ricevuto negli anni passati. Il suo corso online è stato illuminante, positivo e utilissimo. Ho trovato una persona schietta, paziente, disponibile e professionale. Esperienza indimenticabile. Buona arte a tutti.
Grazie Marina
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Marina Mian, una passione per l’arte Chi è Marina Mian? Credo di essere un'anima sognatrice, per me il sogno è il lusso del pensiero, è una visione e le visioni fanno parte di chi è sognatore e solo così mi sento libera.
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