Tumgik
#cosa indossare per sembrare più alte
yomersapiens · 5 years
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Umani da Vienna.
1090. Pierluca è quella persona che conosci da sempre anche se in realtà sono poco più di due anni, ma quando lo vedi e ci parli è come se fosse sempre stato parte di te, della tua crescita. Non ti capaciti di come sia possibile, guardi le foto di te da bambino ed ecco Pierluca che appare nello sfondo, era lì con te. Non lo avevi notato. Pierluca è padre di famiglia e la sua famiglia è anche la mia famiglia adesso. I suoi figli sono miei e sua moglie la sento anche un po’ mia. Pierluca ha vissuto tanto in giro per il mondo eppure ti da una sensazione di casa. Forse, Pierluca più che un umano è un camper. O un circo itinerante. Lui e i suoi topi da laboratorio e i suoi nani stupendi che in realtà sono i suoi figli. Pierluca è il capostipite dei cervelli in fuga e meno male che è scappato altrimenti l’Italia me lo avrebbe reso incazzoso, arrogante, spocchioso, stanco. Invece adesso usciamo e ci raccontiamo sempre gli stessi sketch di Guzzanti. Aspettiamo sempre il momento giusto per dire “ce mettemo un pescetto?” e questo anche ha sapore di casa. 1200. Lamine è il mio amico dal Senegal ed è soprannominato la bestia. Si vanta di non avere un cuore ma in realtà penso sia più grosso del suo cazzo, altra cosa di cui si vanta tantissimo e ha ragione a farlo. Lamine ama due sole cose: la figa e la Juventus. Sulla prima andiamo d’accordo, sulla seconda gli sono vicino solo quando viene eliminata dalla Champions, per prenderlo in giro. Lamine è amareggiato perché è stanco di essere sessualizzato. Di essere quello approcciato perché nero e perché sicuro ha un cazzo enorme. E non solo dalle donne, ma anche dai mariti che gli chiedono se per favore può andare a casa loro e scopargli davanti la moglie. All’inizio non capivo la sua frustrazione, poi più passa il tempo più mi rendo conto del suo punto di vista. Vuole sposarsi. Dice di essere stanco di scopare in giro. Non appena lo dice ti manda la foto di una tipa nuda con un culo enorme e aggiunge “guarda che figa!!!” e io sento la sua risata dall’altra parte del telefono. Quella risata altisonante nonostante i chili e chili di muscoli e palestra. Quando usciamo assieme, indosso sempre la mia maglietta del Wu-Tang Clan, così posso dire “ehi, non solo amo il rap ma vedete, ho pure un amico nero!” e questo lo mette tantissimo in imbarazzo e ridiamo ma forse rido di più io, lui mi asseconda perché con me può finalmente smettere di parlare solo di calcio e figa, ma anche di quando si sente triste. Deve essere difficilissimo vivere avendo paura di buttare fuori i pensieri che ti abbattono e ossessionano. Dover sempre apparire invincibile. Lamine è il mio opposto. Io sono la notte, lui è il giorno. 1050. Francesca è la mia coinquilina ed è un ammasso di capelli e pensieri e confusione e peli superflui e cibo da discount e sigarette e risate e abbracci e furti dal frigorifero. È la più giovane adolescente di 29 anni che conosco. E meno male. Non vuole crescere e diventare un adulto disfunzionale come me, uno di quelli che la mattina si sveglia e va in ufficio. Lei vive di notte, vive di scadenze di progetti, di video e di riprese. Ed è dannatamente brava nel suo caotico modo. È un gatto da appartamento, anzi no, è più un procione. Francesca è stata inserita nella mia vita per dare un altro volto a questo nome, per non averne più paura quando lo sentivo nominare. Francesca è la ragazza con cui posso stare steso abbracciato sul divano senza avere una minima parvenza di erezione. È la colazione fatta parlando piano perché di mattina ha la meglio il lato procione e non il lato umano. Francesca ama le mie storie e gliene ho regalata una per farci un film e aspetto, credo in lei, se inizia a svegliarsi prima delle 11 secondo me può farcela a diventare meno procione e più adulta. 1050. Peyman è il mio vicino di casa e vive a Vienna da quando è scappato dall’Iran. Era giovanissimo, aveva 14 anni durante la rivoluzione. Mi racconta di quello che si provava nelle scuole, di tutte le speranze che la sua generazione aveva. È incazzato a morte con l’Iran e mi ha pure detto che spera che Trump faccia qualcosa. Pensate, è così incazzato che si augura che una testa di cazzo come Trump si impegni ad essere ancora più testa di cazzo e vada a rompere le palle alle teste di cazzo che governano il suo paese. Peyman parla molto di Gesù e mi ha chiesto se voglio fargli da compare quando deciderà di battezzarsi. Peyman preferisce dire di essere persiano, non iraniano. Gli guardo le mani, l’indice della destra è molto più piccolo, come se gli mancasse una falange. Forse è nato così o forse, ma questo accade nella mia testa, per non dover usare i fucili nella guerra post rivoluzione, si è amputato una parte del dito da grilletto. Peyman beve tanto, parla un tedesco migliore del mio e quando camminiamo per la strada nonostante lui sia qua da più di trent’anni, capita che ancora gli urlino di tornare a casa sua nel suo paese. Lui si gira e dice che grazie al cazzo, ci tornerebbe più che volentieri se non fosse andato tutto a puttane. Adesso la sua casa è Vienna, ci paga le tasse, ha il passaporto austriaco e una figlia con i suoi stessi capelli neri che ama disegnare dinosauri in giro per il palazzo. 1140. Setareh viene anche dall’Iran ed è la persona più dolce di questo pianeta. La sua esistenza equilibra l’esistenza di almeno un miliardo di umani di merda. Se il mondo unito conoscesse Setareh e Setareh spiegasse i motivi per cui è giusto che l’Iran abbia l’atomica, tutti converebbero che ha ragione e in pochi istanti le darebbero le chiavi per tutte le bombe che vuole perché di una persona così buona e dolce di sicuro ci si può fidare. Setareh è buona per bilanciare tutti gli uomini che le hanno detto cosa doveva mettere in testa o quanto lunghi dovevano essere i suoi capelli o quanto corti i suoi vestiti. Setareh ama fare shopping in Europa perché può scegliere di indossare quello che le pare. Setareh mi fa incazzare perché se lei non esistesse allora saremmo autorizzati ad eliminare quel miliardo di umani di merda e invece no, lei esiste e anche gli altri. Forse è meglio così però. 1090. Fabio è il mio amico giovane e dj che mi ha insegnato a dire “zio”. Se possibile, Fabio si fa ancora più paranoie di me. Viene benissimo in foto ma se glielo dici lui risponde “no zio guarda qua che difetti che ho”, e tu ovviamente non li vedi. Se vede una ragazza che gli piace deve trovare un particolare fuori posto per ammazzarsi le aspettative e tornare a farsi paranoie con me. Io lo vedo quando siamo assieme, che mi guarda con molto rispetto e ammirazione. Mi legge da tanto tempo. So che stai leggendo quello che sto scrivendo di te, zio non prendermi mai come esempio, non ne vale la pena. Tu ce la puoi fare e hai una barba fighissima. Fabio fa musica che spacca e la notte lo mettono a suonare ad orari indecenti ma lui è giovane e riesce a stare sveglio, se mettessero me a suonare a quelle ore manderei tutti a fanculo, carriera compresa. Fabio mi fa morire dal ridere ma non lo sopporto perché è troppo forte a Mario Kart. Avesse meno paranoie riguardo al suo aspetto e le ragazze e di più riguardo al battermi senza ritegno a Mario Kart sarebbe una persona stupenda. 1040. Leo non penso sia il suo nome vero ma quello completo sarà una di quelle cose austriache complicate che finiscono per fartelo sembrare un vecchio quando in realtà è giovanissimo. Ci vediamo tutti i giovedì oramai da anni per andare insieme al karaoke. Riuscisse mai a prendere una nota giusta. Mai. Però veste sempre elegante. Parla un tedesco gentile e ti fa piacere questa lingua così difficile quanto odiosa. Siccome lavora con i computer e fa il programmatore, ripudia la tecnologia in ogni sua forma. Il suo telefono è un modello così antiquato che fa fotografie in pellicola. Leo è sempre circondato da gruppi di ragazze bionde che lo seguono manco fosse una divinità. Forse perché oltre al modo di parlare, è gentile per davvero. Quando cucina lui anche se siamo in tre, si finisce ad avere canederli per quaranta persone. Ti manda gli sms. Ha un pianoforte in casa e uno pensa che magari così si allena e migliora al karaoke, invece no. È la dimostrazione vivente che l’Austria di musicista buono ha avuto solo Falco, che nemmeno era bravo, però col tempo impari ad accettarlo. Leo lo accetti perché tanta gentilezza va rispettata, ma mi ha rovinato il piacere di ascoltare Everybody hurts perché come la canta lui senti davvero il dolore dell’umanità condensato in 5 minuti di esibizione. 1100. Michikazu è il mio amico giapponese che non conosce nulla del Giappone. Gli chiedi qual è il suo film di Miyazaki preferito, ti risponde chi è Miyazaki. Gli chiedi cosa pensa di Ken Shiro, ti dice che non è mai stato a mangiare da lui. Fa l’artista e una volta mi ha chiesto di suonare ad un suo spettacolo. Gli ho chiesto come mai, dato che faccio tutto in italiano, perché vuoi la mia musica. Mi ha risposto che non è importante quello che faccio ma come lo faccio e io faccio le cose proprio come piace farle a lui. Ovvero senza capirci nulla. È l’unica persona che compete con i miei abbonamenti ai servizi pubblici viennesi. Il giorno del rinnovo del suo passaporto, per la foto ufficiale, si è rasato le sopracciglia e fatto crescere dei baffi con la forma delle sopracciglia tolte. Da 8 anni va in giro con quella foto sul passaporto. Mich non vuole tornare in giappone, dice che sta meglio in Austria, qua non è costretto a capire quello che succede e sta meglio così. Troppe regole laggiù, troppa facciata. Lui ha mire più alte tipo rasarsi le sopracciglia per le foto del passaporto. Quando ride non ti guarda in faccia, si vergogna e questo è un pezzo di Giappone che ancora non è riuscito a togliersi di dosso. 1160. Aldo è il mio animale guida e solo io so che il suo vero nome non è Aldo bensì Giosia. Anche lui fa l’artista e ogni volta che vedo i suoi lavori torno ad avere fiducia nell’arte. Quando lo becchi in giro sembra un giovane ubriacone invecchiato molto male, quando ci parli ti rendi conto che non è per niente giovane, tutto il resto invece è corretto. Non ho mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, ma sono molto geloso di quanto lui e Pierluca sono diventati amici. Sogno un triangolo amoroso o di fare un figlio a tre con loro, un bambino che nasca col talento artistico di Aldo, la mente scientifica e brillante di Pierluca e la mia abilità nel fare la pasta e fagioli. Eh sì, questo è quello che posso mettere sul tavolo io. Aldo è quello che quando ti parla della sua vita tu prendi romanzi come Grandi Speranze o libro Cuore e li butti via perché dici che a loro non è successo nulla di interessante. Non appena gli dici che qualcosa ti sta andando male, ecco che arriva lui con il racconto di quella volta in cui stava per morire di notte su un treno verso la Russia mentre era vestito da Carabiniere per un progetto artistico e il tassista che lo aveva portato in stazione lo aveva preso a pugni dato che era senza soldi per pagarlo perché viveva in alcuni cartoni vicino al Danubio insieme al fratello con cui qualche giorno prima aveva rubato una barca dimenticando però i remi e lui era riuscito a scendere mentre il fratello ancora galleggiava senza meta sul Danubio. Aldo ha una pancia così tonda che forse dovrebbe partorire lui il nostro figlio a tre padri. 1020. Elisabeth è il passato che ti fa piacere ricordare, il presente a cui mandi foto di opossum per farla sorridere e il futuro che sai sarà sempre lì. Con Elisabeth è finita da tanto ed è stata lunga e variegata e complessa e forse per questo ci si vuole ancora bene. Un giorno pensavo avremmo avuto figli insieme e la ammiro per aver avuto la forza di rincominciare una vita senza di me, mentre io ero terrorizzato da quello che mi circondava. Dalla solitudine, che adesso invece mi tiene compagnia e fa stare tranquillo. Profuma ancora di buono e talvolta mi manca vederla in casa. Però so che posso scriverle e in un secondo mi farà sentire che l’amore è qualcosa che si deve evolvere e a cui devi dare il permesso di cambiare forma e accettare quello che verrà. Perché se conosci qualcuno di valido, lo vuoi tenere nella tua vita anche se cambia tutto. Ora tutto è cambiato ma non il suo profumo e qualche costante devi averla. Ho sempre avuto paura che la mia malattia l’abbia tenuta legata a me più del dovuto e adesso, ogni volta che vado da solo in ospedale e parlo da solo in tedesco con i dottori, le scrivo per dirle quanto sono stato bravo e quanto ho parlato bene. Lei è orgogliosa di me. Sta dimenticando l’italiano ma non le parole sceme che avevo inventato per farla ridere. 1100. Davide è mio fratello ed è la persona che conosco meno su questo pianeta. Nonostante abbiamo il patrimonio genetico in comune e siamo cresciuti assieme e gli ho letto tutti i miei libri preferiti e abbiamo finito non so quanti videogiochi, io mio fratello lo conosco di vista. Come quella canzone di Rino Gaetano. Lui è il musicista, io sono quello che si lancia e fa concerti e dischi. Lui è quello che fa ridere, io ho solo la faccia come il culo. Lui è quello che ha comprato casa con la sua compagna con cui sta da una vita e che adesso spero inizierà a darmi nipotini. Lui è quello su cui posso contare quando faccio una cazzata e mia madre mi guarda delusa, le posso dire “mamma, hai Davide, riponi in lui le speranze, lui si è laureato, ha la testa sulle spalle, io ho scritto una canzone su quanto sono stronzo”. Lui è il fratello minore, ma è sempre stato più grande di me. 1160. Alice Yasmin è la donna più forte che conosco nonostante sia alta come un pezzo di formaggio ma adesso fa brazilian jiu jiutsu e se non la metto in questa lista sicuro mi ammazza di legnate. È tanto bella quanto capace di annoiarti non appena inizia a fare la punta al cazzo su particolari che non conoscevi del Signore degli Anelli. Grazie Alice, sono particolari così noiosi che c’è un motivo se non li conosco. Se non ci fosse stata lei, non avrei mai conosciuto il padre dei miei figli Aldo. Ma lei l’ho conosciuta grazie a Tumblr, quindi ringrazio Tumblr per avermi dato Aldo. 1070. Piotr viene dalla Polonia e gioca a calcio. Dice di avere un fratello gemello ma io non l’ho mai visto. Dice anche di fare il personal trainer ma ci vediamo solo in giro a bere. Lui beve tanto. Ma davvero tanto. Beve così tanto che magari si allena nel bere e allena altra gente a bere e forse quando usciamo lui sta allenando me a bere. Forse suo fratello è frutto dei fumi dell’alcol. Conosce tutti i peggiori bar di Vienna e quando mi ci porta un poco mi vergogno perché mi sento fuoriluogo. Io e il mio aspetto signorile. Piotr vuole sempre fare cose. Sempre andare da qualche parte. Sempre fare tardi. Sempre mangiare carne e bere. Ovunque vai, qualcuno conosce Piotr. E lo evita. Io conosco Piotr e sto pensando forse dovrei iniziare ad evitarlo pure io. Ma voglio scoprire di più sul fratello. E in che squadra gioca. E come fa un calciatore polacco alcolista a bere e allenarsi e ottenere pure risultati mangiando solo carne. Piotr forse ha mangiato suo fratello gemello e un giorno mangerà me.
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andreeateodora93 · 4 years
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HACKS-Consigli e trucchi per sembrare più ALTE!
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eliqueveronarpg · 4 years
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             ELIQUE ❙ VERONA RPG.              “    26 novembre, 2019.             —  ELIA: Se ne stavano seduti sul divano della grande Villa dei Genovesi, sepolti sotto ad una pesante coperta invernale. Dinnanzi a loro, un caminetto scoppiettava allegramente, mentre la tv stava trasmettendo qualcosa come “Lalaland”. Erano trascorsi circa quarantacinque minuti dall’inizio del film, quando Elia, approfittando dell’attenzione di lei coinvolta dallo schermo, spostò il proprio sguardo sulla donna accanto a lui. La guardò per un po’, ritrovandosi a sorridere tra se e se senza neppure rendersene conto. Poi, come fossero in un film, finse teatralmente di stiracchiarsi per poter portare un braccio dietro alle spalle di Monique. Con quel gesto teatrale, mimò un amplio sbadiglio, appunto per ridicolizzare quel gesto che proprio non gli apparteneva. Si sa, se il Ferrera desiderava qualcosa, se lo prendeva, senza ricorrere a false e a recite amatoriali. Così, accorgendosi d’esser stato ridicolo, strozzò una breve risata, distraendosi una volta per tutte dalla visione della pellicola. « Ripensavo alle parole di oggi. Per “fare qualcosa che non facciamo da tempo”, intendevi una doccia? Non è finita bene, l’ultima volta. Dovremmo rimediare. » era chiaro che le sue intenzioni fossero ben altre. Dal suo sguardo era facile leggerne le cattive intenzioni. « Dovresti vedere il bagno dei Genovesi. Hanno tutta una SPA! »             —  MONIQUE: E' scesa la sera su quel posto eppure per Monique il tempo sembra essersi fermato. Le ore continuano a scorrere lentamente ma è come se per lei, le lancette dell'orologio, si fossero fermate del tutto. Così come l'atmosfera che aleggia in quel posto, la bella Londsale è in perfetta sintonia con quel posto. Comodamente seduta su un divano, una coperta calda sulle gambe, il fuoco che scoppietta nel camino illuminando la grande sala. E poi, accanto a se c'è Elia. Cosa potrebbe chiedere di meglio? Ha una mano poggiata sulla coscia del ragazzo, è intenta a guardare il film trasmesso in televisione ma vuole comunque un piccolo contatto per lui. A tratti lo guarda di sottecchi, ed è proprio di nascosto che cerca trattenere una risata quando si accorge dei suoi gesti. Ma quella risata si espande nella stanza all'udire le parole successive. E' sempre lo stesso, non è cambiato di una virgola. «  Mi riferivo al dormire insieme, sono mesi ormai che non ne abbiamo occasione. Ma se vuoi possiamo fare la doccia prima. Anzi no, magari un bagno. » distoglie l'attenzione dal film che, ormai, non ha più in minimo d'importanza. Ricorda bene cosa è successo quel giorno a casa Ferrera ma sa altrettanto bene di essere così libera quando sta con lui di non poter fare a meno che giocare al suo stesso livello. Provocazione per provocazione. «  Provvedi a farmi vedere questa sorta di spa nel bagno dei Genovesi, no? »             —  ELIA: Abboccato. Monique aveva abboccato. Tutto ciò che adesso Elia doveva fare, era tirare la lenza e trascinarla a sé. Non attese ulteriormente, si privò della coperta e si alzò in piedi, intorpidito dal lungo soggiorno sul comodo divano. Si sentiva bene, era in forma. Dal compleanno di Assia, all'incirca, le cose per lui erano cambiate. Difficilmente ricadeva in pensieri oscuri, in quei ricordi che stava duramente lavorando per eliminare. Cercava, invece, di guardare oltre , cogliendo il bene che i suoi amici continuavano a rivolgergli, senza mai pretendere niente in cambio. Non era da solo come inizialmente aveva pensato, e la certezza di aver un continuo appoggio era per lui il più grande dei doni, la via di fuga dal lungo periodo nero. Le porse una mano, invitandola ad alzarsi. Era scontato, ormai, che avrebbero dormito insieme. Ma fare un lungo bagno caldo? Nudi? Fino ad un mese prima, avrebbe solo potuto sognare un simile scenario. « Andiamo! » esclamò afferrando la sua mano. Poi, come fosse una conclusione del tutto logica: « Il tempo di aprir l’acqua, e sappi che ti strapperò di dosso qualsiasi capo di vestiario. »                     (  ...  )             —  ELIA: Attese qualche istante, picchiettando nervosamente le mani sui bordi della comoda vasca. Cercò una soluzione a quel dilemma senza fine, fin quando, sbuffando rumorosamente, non si decise ad alzarsi. Non si fece alcuno scrupolo nel farlo, non nascose la propria intimità in fase d'erezione, né si preoccupò di bagnare, l'intero pavimento (essendo casa di Giovanni, avendo potuto, avrebbe allagato volentieri l'intero piano superiore). Raggiunse l'entrata della sauna e cerco Monique con lo sguardo. Non riusciva quasi più a scorgerla, in quanto la brina presente sui vetri di quella struttura ermetica ne nascondevano quasi totalmente la figura. Immaginò che anche lei, dall'altra parte, non riuscisse a scorgere nient'altro di lui, se non vaghe colorazioni e la sagoma. Prima di aprire l'anta della sauna, Elia s'accertò di recuperare un asciugamano bianco, asciugamano che legò saldamente in vita, in modo da nascondere fianchi e pube. Solo allora entrò all'interno della sauna, assai più calda ed afosa del resto del bagno. « Come cazzo riesci a respirare qua dentro? Si muore! » esclamò immediatamente, sbattendo più volte le palpebre per abituare gli occhi a quelle temperature aride. Poi, in punta dei piedi scalzi, si avvicinò a lei, annaspando. « Basta chiedere, sai? Se mi volevi qui con te, potevi richiedere la mia presenza sin dall'inizio. Pensavo volessi farti un bagno ... com'è che hai optato per quest'inferno, poi? » e così dicendo, fingendo innocenza, si sedette non molto lontano da lei, a solo qualche passo di distanza.             —  MONIQUE: Finirà mai quella sfida? Non ne ha idea, ma sicuramente finirà quando lui abbandonerà quell'idromassaggio per raggiungerla. Solo allora sarà soddisfatta. O qualcosa del genere. Le viene da ridere, Monique non riesce ad essere seria e fortunatamente ringrazia il cielo per essere chiusa in quella stanza, immersa nel vapore. Così non può vederla e non può notare il sorriso che aleggia sulle morbide labbra. E' stata proprio lei a mettere distanza, del tutto vero, ma solo come conseguenza a quell'azione. Dalla testa dura più di un muro, Monique è tentata di fiondarsi da lui ma non cede, è così rilassata che quasi sembra dimenticarsi del mondo intero. Se non fosse per Elia che si palesa dentro la sauna qualche minuto dopo, probabilmente lo avrebbe lasciato lì per tutto il tempo. Lancia lui un lungo sguardo, dall'alto verso il basso e poi viceversa, senza premurarsi di sembrar un po' meno sfacciata. Si è preso la briga di indossare un asciugamano, si chiede come mai non abbia osato sfidarla. «  Non sei cambiato di una virgola, sei sempre uno scorfano brontolone. »  poi lo guarda sedersi a poca distanza da lei e la domanda le viene naturale. « Cos'è, hai paura di sederti più vicino? Guarda che non ti mangio, forse. »  ma quella non è la sua ultima mossa, prima di rispondere alle parole del ragazzo, scivola accanto a lui. Tentata di sedersi sulle sue gambe, cambia idea all'ultimo minuto. Meglio non esagerare. Allora poggia solo le proprie su quelle altrui, sistemandosi comodamente senza nemmeno chiedere il permesso. «  Infatti, volevo fare il bagno. Ma darti la soddisfazione di avermi così vicina non mi andava a genio. Però potevi farmi cambiare idea, com'è che non l'hai fatto? » mormora, ironica, poggiando il mento su una sua spalla.             —  ELIA: Finse disinteresse ed insofferenza, Elia, quando ella si avvicinò a lui, rivolgendogli quelle domande. Sollevò di poco le spalle, poi, borbottando con superficialità le rispose: « Il mio l'ho fatto. Non muoverò più un dito per te. » la buttò lì, facendo spallucce, poi si appoggiò indietro, contro la parete in legno. L'aria era pesante, non era abituato a quei climi tropicali, amante com'era della montagna, della neve e delle alte quote. La presenza della donna, con le sue lunghe gambe adagiate su quelle del palermitano, erano però tutt'altro che indifferenti. Solo quel contatto provocò al Ferrera una piacevole scarica di brividi, tanto vicine al tessuto di quell'asciugamano, ancora saldamente rilegato attorno alla vita. « Finirai mai di lamentarti di questo e di quest'altro? » le domandò con un pizzico di ironia, incalzandola. In fondo, cos'aveva fatto lei, per lui, oltre a privarsi di quei vestiti? Era chiaro che entrambi si desiderassero, che ogni fibra dei loro corpi richiedesse di comare quelle distanze di soddisfare una volta per tutte i loro più profondi desideri. Perché girarci ancora intorno, allora? Elia e Monique si assomigliavano più di quanto si potesse pensare, orgogliosi e cocciuti fino all'osso, pronti a sacrificare qualsiasi cosa, pur di rimanere sui propri principi. Ma valeva ancora la pena brandire l'ascia di guerra, quando il volere dei due spingeva verso la stessa direzione? Quella era davvero una sfida? O forse si stava trasformando in un insano masochismo? « Non fosse per questo telo, il mio uccello sarebbe all'aria. C'è bisogno te lo metta in mano, per capire quanto ti desideri? »             —  MONIQUE: Le parole del ragazzo non solo aleggiano in quella stanza, spezzando l'aria calda, ma risuonano nella mente come un eco. Ci riflette su, per qualche secondo, perdendosi nell'osservare il profilo del bel ragazzo. E' poggiata a lui, sulla sua spalla, con le labbra riesce a sfiorare la pelle del collo. Ed è lì che nasconde il viso, lasciandoci poi un dolce bacio e questa volta non per provocarlo, semplicemente in silenzio sta dando lui la ragione. Finirà mai di lamentarsi? No, mai. Lo fa perché è divertente, le piace poterlo spazientire, vedere il broncio che si forma sul viso o il suo della sua voce che emette lamentele. Ma perché dirglielo se quelle cose lui le sa già? Non smetterà mai di infastidirlo e il perché non importa. Ci riflette, forse fa bene. Magari dovrebbe fare lei qualcosa per lui. In fin dei conti lei lo desidera, è palese. Ogni fibra del suo corpo vuole Elia. Lo si nota dallo sguardo, che per quanto sia ricolmo d'affetto per lui è macchiato da una sfumatura di malizia e desiderio. Lo si nota dal corpo esile ma che reagisce ad ogni contatto con l'altro. Lo si nota e basta. E potrebbe capirlo anche un cieco. Solitamente ribatterebbe a tutta quella volgarità, ma questa volta no. Questa volta agisce in modo diverso, lascia che sia il cuore a imporre la propria autorità non la mente. Alza appena il capo, l'azzurro dei suoi occhi è scintillante, talmente tanto da brillare in quella stanza dalle alte temperature. Alza il capo per potersi ritrovare all'altezza del suo, è di profilo ma Monique poggia sul volto maschile una mano ed è così che lo invita a guardarla. Con il pollice accarezza una gota, i suoi occhi si perdono in quelli decisamente più scuri e poi come attratti da una calamita si poggiano sulle labbra. Dio solo sa quanto vorrebbe baciarlo, assaporarle come ha fatto prima in un impeto di coraggio e spinta dalla provocazione. E se per un attimo esita, trattenuta dalla paura di un suo ipotetico rifiuto, la bella ragazza s'avvicina a tal punto da riuscire a baciarlo. E' un bacio delicato, timido. Non è irruento né invasivo, ma decisamente il contrario. E' dolce, di quella dolcezza che solo lei sa dimostrargli e che usa per parlargli anche quando le parole non possono spiegare nulla. Per la prima volta, in tutti gli anni condivisi, fa un piccolo passo verso di lui. Piccolo, certo, ma si comincia sempre così.             —  ELIA:  Trattenersi dal guardarla era pressoché impossibile. Gli occhi di Elia, per quanto birbanti, studiarono il volto della donna, poi il fisico avvenente. Non c'era niente in lei che non gli piacesse, così bella che sembrava venuta da un'altra dimensione. Eterea, Monique non era di certo una delle tante, ma una di quelle donne che non vengono dimenticate, che s'insinuano in ogni neurone, in quiescenza, in attesa di tornare a galla più ardenti che mai. Elia non riusciva a capire come fossero arrivati fino a quel punto, tanto vicini quanto lontani. Sembrava come se, a seguito di quella lontana intimità, si fosse sollevato un muro tra di loro. Aver superato certi confini li aveva avvicinati, ma allora perché continuavano a trattenersi? Quando Monique si alzò, il palermitano intuì volesse sfidarlo nuovamente, privandolo magari del suo telo o, peggio, sfilandosi di dosso quei suoi superflui pezzi d'intimo. Ed invece, le carte sulla tavola da gioco furono nuovamente scozzate e ridistribuite con criterio. Ecco che il muro tra di loro, quello immaginario che Elia si era immaginato poco prima, era stato colpito da un immenso martello demolitore. Ecco che ne cadeva un primo mattone, poi un successivo ed un altro ancora, scontrandosi sul terreno e provocando un immensa nube di fumo. Le labbra della donna, posate con dolcezza su quelle del Ferrera, lo fecero tremare. Sembrarono incollarsi le loro bocche, nel momento in cui presero a baciarsi con tanta indulgenza, da sembrar fatte le une per le altre. Elia si alzò, incapace di starsene a sedere quando il bisogno di stringerla a sé era fatto troppo potente. Le cinse i fianchi snelli, poi le abbracciò la vita, stringendola con forza a sé. Petto contro petto, addome contro addome, bacino contro bacino. E mentre quel bacio prendeva un'altra forma, mutandosi lentamente in una danza intricata di lingue e respiri, lui accarezzò con fare possessivo la sua schiena, il dorso inarcato, il fondo schiena sodo.             —  MONIQUE: Non ha la più pallida idea di cosa succederà dopo quel dolcissimo bacio, di come Elia reagirà, ma non è sicura di voler dare a tale dettaglio un po' di importanza. Dopo tutto quello che hanno passato, insieme e non, dopo tutti gli avvenimenti, la lontananza, le discussioni, Monique ed Elia hanno bisogno di ritrovarsi. Come poche volte nella vita non ha l'impressione di sbagliare. Quel gesto è giusto, desiderato soprattutto. Se lo sono detti quella sera alla festa di Assia, percepiscono sempre ed entrambi lo stesso bisogno per quanto magari non vogliano ammetterlo. Quante altre volte ancora dovranno dirselo? O quante altre volte ancora dovranno allontanarsi prima di tornare l'uno dall'altra? Dopotutto è proprio ciò che stanno facendo. Abbattere il muro che li divide è necessario. Quella loro armonia, ciò che li lega è ancora lì, nascosto nel profondo di entrambi. Non può svanire, sembra quasi indissolubile. È un po' come un'ombra, più vivida alla luce del giorno e nascosta durante la notte. Nascosta si, ma sempre presente. È così anche Elia per Monique. Un legame che esiste da sempre, magari a volte sembra retrocedere ed altre andare così veloce da farle girare la testa, ma è sempre lì, presente come uno dei suoi tatuaggi. Presente proprio come un'ombra. Baciarlo è stato solo il primo passo, un enorme traguardo per Monique che con lui non ha mai osato andare oltre. Forse un po' per paura, forse per poca sicurezza, perché in fondo è la sua più grande debolezza e le debolezze portano a questo. Le viene difficile controllarsi, tenere a bada la miriade di sensazioni che prova con lui, adesso o in qualsiasi altro momento. Quindi perché frenarsi ancora quando tutto ciò che desidera è esattamente davanti a sé? Il corpo si muove come attratto dall'altro, lo segue mettendosi in piedi e perdersi fra le sue braccia poi è più che naturale. Necessita del suo calore, di sentirlo contro di sé mentre le labbra si muovono contro quelle altrui in una danza tutta loro. E allo stesso modo, lentamente, schiude quelle morbide con la propria lingua. Non le basta un semplice bacio, vuole di più. Vuole giocare con la sua lingua, si schiaccia ancora più contro di lui mentre le mani salgono lungo la schiena e raggiungono la nuca, lì dove può intrecciare le sottili falangi ai ricci capelli. Non lo bacia con sfacciata avidità, piuttosto si gode il momento ma l'essere così stretta a lui, toccare ogni centimetro di quella schiena ... Sono quei dettagli a tradirla. Lo desidera e vuole che lui lo sappia, vuole che sappia che al momento appartiene a lei.                     (  ...  )             —  ELIA: La verità è che Elia non sa bene come comportarsi con lei, cosa dirle, come toccarla, come stringerla. Monique è la persona che conosce meglio, in assoluto, ma in quel momento appare a lui come un'estranea. Il suo corpo è estraneo, le sue labbra sono estranee, è estranea la sua lingua così come quel suo odore, nuovo, diverso, più intenso. E' diverso il modo cui cui ella lo guarda, è diverso il modo in cui si rivolge a lui, spesso con un ghigno maliziato, poi in modo dolce e vicino. Monique, davanti a lui, per quanto simile alla sua vecchia migliore amica, l'amica del cuore, tanto vicina alla sua anima quanto ai suoi pensieri, è adesso un'altra persona, una persona di cui Elia non sa un bel niente. Toccarla l'aiuta a ritrovarsi, a trovare l'estremità del filo che sembra aver perso, a capire come sia fatta, chi sia per davvero. Il cuore ha subito una gran impennata sin da quando si sono alzati dal divano, spinti sì dal piacere di trascorrere insieme una indimenticabile serata, quanto dalla voglia di conoscersi più a fondo, dallo spingersi oltre ogni confine. Per quanto l'abbiano negato a loro stessi, sapevano bene, entrambi, dove quel bagno li avrebbe spinti. Dell'amicizia, quella di un tempo, quella riservata alle carezze superficiali, alla voglia di divertirsi senza alcun impegno, né rimasta solo una lontana ombra. Si esplorano, si esplorano con le mani, si esplorano con la lingua, con le dita, con gli occhi avidi di saperne di più. Ma è chiaro che entrambi ne vogliono ancora, desiderano di più, hanno bisogno di colmare qualsiasi incertezza, di dare forma alle domande che da tempo si son posti, di mettere un punto fermo a quell'enorme punto interrogativo. Elia le rivolge un ultimo sguardo, mentre la voce della donna, sensuale e calda, riecheggia in loop nella sua testa, evocandone forme e colori. Abbandona il suo sguardo, forse perché intimidito da quelle pozze cristalline, forse perché troppo intenso per le sue incertezze, e porta gli occhi sulle spalline del suo reggiseno, che ha già afferrato con entrambe le mani. Guarda prima uno, poi l'altro, mentre le dita li tirano giù, in modo simmetrico, lentamente. Vuole godersi ogni istante di quel momento irripetibile, fissando tutto nella memoria a lungo termine. Le spalline cadono giù, giù dalle spalle erette della donna, mostrandone per intero le clavicole ben delineate. Poi, con la medesima cura, con quella lentezza quasi nauseante, Elia le sgancia il reggiseno, lasciando che cadesse per terra, tra di loro. Non l'osserva, non ha la forza di farlo, di sbirciare ulteriormente. Tutto d'un tratto si è fatto come timido, davanti a lei. Le bacia invece lo zigomo, poi la mascella, infine il collo. Lascia sulla sua pelle dei baci umidi, investigatrici. Solo quando s'allontana ha modo di guardare la donna, il suo seno, la forma perfetta delle mammelle di cui conosceva solo lontanamente l'aspetto. E' sul suo petto, tra i due seni, che Elia posa le labbra, inclinandosi in avanti. La bacia proprio lì, nel mezzo, mentre afferra con entrambe le mani quei due promontori sconosciuti. Li massaggia, li stringe, li stuzzica. Le labbra, invece, continuano a scendere verso il basso, sull'addome piatto, sul ventre vuoto, fino al tessuto degli slip. Vorrebbe rivolgerle un ultimo sguardo, ma non riesce, non puo' sollevare gli occhi su di lei, non puo' e basta. Lascia un bacio sul suo pube, sopra al tessuto delle mutande, poi si tira giù, in ginocchio dinnanzi a lei, sottomesso. Solo allora puo' afferrare gli slip femminili, così da poterli spingere verso il basso, liberandola da tutto, tutto quanto. Prima di alzarsi, tornando eretto dinnanzi a lei /ed "eretto", a quel punto, non era solo lui/, schiocca un languido bacio sul suo monte di Venere, respirandone il profumo. « — 'Nique, giuro che ti divoro. » sospira quasi impercettibilmente, occhi negli occhi, apparendo spaesato.             —  MONIQUE: Monique può vantare migliaia di sfumature in se, alcune colorate, scintillanti, altre tendenti ai toni scuri, sfumature spente. Sfumature di ogni colore che dipingono il suo carattere e la sua persona, la sua allegria e la sua eterna gentilezza. Colori accesi per ogni suo punto forte, per la passione che ci mette in tutto, per l'enorme cuore grande, per l'amore che cerca di dare agli altri ma che ha paura di mostrare o di donare a se stessa. E poi, come tutti, il suo carattere è macchiato anche da sfumature scure, perché anche lei è umana e soggetto di tristezza, rabbia o addirittura rancore. Una così piccola ragazza ma capace di avere tanta forza da combattere sempre. Ogni volta che cade, poi si rialza. Ma queste migliaia di sfumature sono nascoste sotto uno spesso strato di apatia, per certi versi, una maschera messa su da lei per evitare ferite e i propri punti deboli. Nessuno, nessuno /tranne Elia/ a quanto pare, la conosce veramente. Eppure anche a lui molte cose sono ancora ignote e i motivi sono infiniti. L'ha conosciuta tempo fa, sono diventati amici, poi qualcosa di più. Hanno vissuto anni credendo di essere migliori amici e forse lo sono stati davvero, lo sono stati fino a quella maledetta volta a casa Ferrera, quando ogni limite si è offuscato. E' lì che tutto è cambiato. E ora? E ora uno di fronte l'altro, varcando una nuova soglia a loro sconosciuta, ci sono due persone che hanno la possibilità di conoscersi meglio. Di superare un altro limite, di eliminare qualsiasi dubbio, di rafforzare il loro legame o distruggerlo del tutto. Elia l'ha vista sorridente, arrabbiata, alla festa di Assia anche stracolma di lacrime. Poi, durante il corso della serata, ha potuto vederla maliziosa, una vera seduttrice, ma che adesso e davanti a lui, mentre lo guarda negli occhi, si mostra per la dolcezza infinita che ha. Non lo guarda con malizia, ma con affetto. Per lei è tutto. E' il suo migliore amico, lo è ancora, è il ragazzo che le fa battere il cuore, è la stessa persona che lei protegge ad ogni costo e con cui condivide il bene e il male. Sono partner, lo sono da sempre. Nuda, /non solo di fatto/, privata di qualsiasi corazza, sicurezza o insicurezza. E' così che si mostra ad Elia. E' un privilegio che sta concedendo solo a lui, vuole sedurre, far suo, solo lui. Non si è mai spinta a tanto con nessuno, dovrebbe ritenersi fortunato. Lo osserva per tutto il tempo, con attenzione. Ma sente la pelle bruciare a quei languidi baci che lui lascia sulla pelle nuda, a partire dagli zigomi poi il collo e giù fra i seni. Le palpebre si calano e un sospiro abbandona le morbide labbra appena schiuse. Percepisce ogni bacio come una lama, i sensi sembrano amplificati come quella estenuante lentezza. Ogni centimetro del sinuoso corpo adesso gli appartiene, ed è per questo che Monique non emette resistenza. E' l'opera d'arte che finalmente Elia può contemplare. Quella scia di baci provoca in lei una scarica elettrica, percorre la spina dorsale, porta la sua pelle a rabbrividire. E poi, come per magia, anche l'ultimo indumento viene tolto. Raggiunge il resto dei loro abiti e Monique non li ha mai trovati tanto ingombranti come adesso. A quelle parole sorride, ma è un sorriso indecifrabile. Non emette suono, non risponde a quelle parole. E' evidentemente compiaciuta, si desiderano alla follia, è desiderata da lui. In realtà risponde al ragazzo, ma in modo decisamente diverso. Porta le mani sulle sue forti spalle, le lascia scendere lentamente sulle braccia. Accarezza ogni centimetro di quella pelle con i polpastrelli in un tocco leggero e così ancora sul petto. Scende, scende sempre di più. Scende fino al punto in cui è stretto l'asciugamano. " 'Nique, giuro che ti divoro " risuona nella testa quella frase. Una, due, tre volte. E alla terza volta, come risposta, scioglie quel nodo che tiene l'asciugamano ben saldo in vita. Solo allora, quando quell'inutile sorta di indumento cade, alza gli occhi sul ragazzo. Solo uno sguardo, nient'altro. Non c'è bisogno delle parole.             —  ELIA: Nudi dei loro vestiti, delle paure, delle incertezze e dei muri che entrambi nel tempo hanno eretto a protezione del mondo, Elia e Monique sono l’uno dinnanzi all’altra. La stanza è avvolta da un alone di silenzio, gli unici rumori provengono dall’ebollizione della vasca idro-massaggia, a due passi da loro. Si guardano, si studiano, sono i loro sguardi a parlare silenziosamente, a comunicarsi tutte quelle emozioni che, verbalmente, è impossibile trasmettere. Elia la guarda con sincero affetto, anche con ammirazione sì, ma soprattutto con leale felicità. Rimane così, in quella posizione stantia per qualche istante, prima di prender in mano la situazione e di indicar lei di spostarsi altrove, lì dove fin dall’inizio avrebbero dovuto entrare, insieme. Così, per primo, si allontana da lei, dimenticandosi di esser nudo dinnanzi agli occhi di una donna che mai l’ha visto così. Entra all’interno della vasca idromassaggio, poi porge una mano a Monique, come per aiutarla a compiere la stessa banale operazione. Non parla, non riesce ad esprimersi, ha paura di rovinare tutto quanto anche solo con un respiro di troppo. Poi, si siede esattamente dov’era poco prima. Tentar di non sbirciare l’intimo di Monique è pressoché impossibile per lui. Per quanto tempo ha sognato il suo corpo, così come adesso è? Per quanto ha ipotizzato quanto voluttuosi fossero i suoi seni e sodo il suo fondoschiena? Per quanto ha tentato di immaginare cosa nascondesse al di sotto degli slip femminili? Inutile negarlo, a qualsiasi ragazzo, per quanto amichevole, è capitato di chiedersi cosa si nasconda sotto all’intimo della migliore amica; è legittimo porsi certe domande, andare oltre a cio’ che gli occhi possono osservare e le mani toccare. E’ una cosa normale porsi certe domande, viaggiare con la fantasia. Rimane difficile al giovane Elia evitare con lo sguardo quelle figure che a lui per tanto suo rimaste nascoste. Ancora, nonostante tra di loro le cose siano cambiate, nonostante la passione lo stia provocando ed eccitando privandolo della sua solita lucidità, gli è difficile immaginare la fusione dei loro due corpi, per quanto egli lo desideri. E’ un pensiero troppo grande, troppo distante, surreale, un po’ come un sogno proibito, un desiderio ardito, quel genere di desideri talmente tanto lontani dalla realtà, che sembra irraggiungibili. Eppure eccola, eccola lì, davanti a lui, nella sua naturale bellezza. Eccola Monique, la protagonista di tanti suoi sogni, tante sue fantasie; nuda, solo per lui. Elia attende che la ragazza possa sedersi al suo posto, prima di farsi forza e di riprendere a parlare. Cerca il suo sguardo, ha bisogno di sentirla vicino, ha bisogno di percepire la sua presenza, proprio lì. Dischiude le labbra, cerca di dire qualcosa, ma non sa bene cosa dirle, tanto insicuro di se stesso. Insicuro, sì. Perché parlare? Perché rivolgersi a lei? Perché sprecare tante inutili parole, parole che avrebbero potuto guastare quell’atmosfera? E allora, il Ferrera si decide. Si volta verso la ragazza, le accarezza il viso, il collo, i fianchi. Ed è allora che l’afferra e l’attira a sé, sulle proprie gambe, a cavalcioni su di lui. In un secondo è di nuovo sulle sue labbra, sulle morbide, carnose calde labbra delle donna. Non c’è più spazio per la timidezza, per il timore di danneggiar il loro rapporto. La bacia con ardore, trasporto, mentre le sue mani si poggiano sui seni rotondi di lei. La vuole. La vuole subito. Con una mano si spinge oltre, decidendo di varcare un nuovo confine. La mano scivola sull’addome della donna, sulla pancia piatta, il ventre snello. Ed è allora che si insinua tra le sue gambe, la’ dove l’acqua della vasca assume una consistenza più densa, bagnata dagli umori della donna. Eli la sfiora proprio lì, tra le gambe. ( ... ) La sta solo accarezzando, sta cercando di conoscerla meglio, di conoscere i suoi punti deboli, i punti più sensibili, i segreti più intimi. Elia è un abile ed avido amante; ma per una volta, al centro del suo interesse non vi è il proprio benessere, quanto quello della sua compagna.             —  MONIQUE: Sono molte le volte in cui Monique si è ritrovata a fantasticare sulla persona che spesso e volentieri fa capolino nella sua vita. Meglio dire sempre, non spesso. Elia è una presenza costante, lo è da sempre. Molte volte si è ritrovata da sola, nella propria camera, ad immaginare di averlo proprio accanto a sé e di poterlo guardare in silenzio, averlo poggiato al petto e poter giocare con i suoi ricci o poter sentire il calore del suo corpo contro il proprio senza gli inutili indumenti di torni. Ne ha immaginati di scenari, tutti diversi. Alcuni scenari potrebbero essere definiti fin troppo romantici, ma cosa ci si può aspettare da una ragazza innamorata anche solo dell'idea dell'amore? E' così, nonostante voglia tenere proprio l'amore lontano da se perché impaurita. Altri invece diversi, più spinti, più ... carnali, ecco. In fin dei conti è umana anche lei ed Elia è fin troppo un bel ragazzo per non provocare certi pensieri in lei. Ha sempre capito le altre donne, le capisce fin troppo bene purtroppo. O quante volte si è ritrovata a parlarne con la sorella, seppur evitando di mettere a nudo i propri pensieri e i propri sentimenti. In tutto ciò, però, non ha mai pensato di potersi ritrovare, un giorno, esattamente di fronte a lui priva di vestiti. Può dire di impazzire quando lui è nelle vicinanze, Elia ha un forte ascendente su di lei. In qualsiasi possibile senso. E' la sua altra faccia, quella che possiede ogni medaglia. Sono stati sempre solo pensieri, stupide immagini senza senso. Adesso che anche l'ultimo indumento è caduto, non c'è niente che sembri sbagliato o uno stupido pensiero. Immersi in quel silenzio, Monique è estremamente a suo agio. Non ha vergogna dall'essere nuda davanti a lui, alla stessa persona che ha reputato come un migliore amico per anni, non è intimidita come magari alle volte potrebbe capitare con un uomo sconosciuto. Anche il quel rapido e secco gesto ha mostrato la sua sicurezza. Non ci ha pensato due volte a spingersi oltre ogni previsione. Mentre lo guarda attentamente cercando di capire cosa stia provando, la bella Londsale si sente finalmente e per una volta al posto giusto. Afferra la mano del ragazzo, lo segue della vasca idromassaggio e si siede accanto a lui, in silenzio. Non vuole spezzare quell'atmosfera ma non ha nemmeno paura di farlo. Non c'è più nulla nella sua mente, nessuna domanda, nessuna paura. Monique vuole godersi il momento e basta. Magari avranno modo di discuterne presto ma ora ... ora vuole lui. L'immergersi nell'acqua calda le provoca un brivido ma il suo corpo si ambienta subito alla temperatura. Monique non riesce a staccar da lui il proprio sguardo, sulle labbra aleggia sempre l'ombra di quel dolce sorriso. Ma nota come sia trattenuto, come abbia paura di compiere un gesto sbagliato. Forse per la prima volta nel corso del loro percorso, non è Elia a far prevalere il proprio carattere forte. E' Monique ad essere meno tesa, nonostante sia in una situazione sconosciuta, ai limiti di ogni confine possibile ed immaginabile. Ormai non c'è più nulla che possa riportarli indietro, non c'è niente che possa riportarli alla loro vecchia amicizia. Le cose sono cambiate, sono in continua evoluzione fra loro, ma nel bene o nel male sono sempre più vicini ad un rafforzamento del legame che alla distruzione. E si chiede, per un solo attimo, quanta probabilità ci sia di incappare nella seconda possibilità. Poter stare insieme, potersi unire in un attimo fin troppo intimo, è sempre stata un'ipotesi assurda, quasi impossibile. Eppure adesso sono così vicini a quel passo, passo che lei si sente pronta a compiere. Vorrebbe rassicurarlo, proprio come fa sempre, dirgli di star tranquillo perché è la sua Monique, quella che conosce da una vita. Vorrebbe dire qualcosa, fargli capire che quelle sue incertezze le ha notate. Ma le parole non servono, non ci sono parole giuste al momento. Allora quale via migliore se non comportarsi come fa sempre? Regala ad Elia un semplice tocco, una carezza sul viso che esprime tutto l'affetto per lui. Lo sguardo cade sulle labbra che lei stessa schiude passandoci il pollice al di sopra. Poi, in un battito di ciglia, Monique si ritrova in un nuovo turbinio di emozioni. Labbra contro labbra, la bella fanciulla si sistema a cavalcioni su di lui. Lo bacia con foga, lo blocca contro le proprie labbra tenendo ben salda la presa sul suo viso, i bacini che si scontrano e le intimità che si sfiorano per la prima volta. Monique è lì, proprio stretta a lui. Può toccarla, sentirla, percepire la sua eccitazione od ogni emozione che attraversa la sua pelle calda. E' sua, adesso ne ha l'occasione. Non ci sono più confini adesso, non ora. E' un leggero mugolio quello che si infrange contro le labbra del bel Ferrera nel momento in cui le sfiora il punto più debole. Non ha più il controllo di se stessa, travolta dal desiderio di avere finalmente Elia. Di averlo tutto per se almeno per una volta. Le sue mani scendono, abbandonano il viso perfetto per fermarsi sul petto mentre afferra tra i bianchi denti il labbro inferiore del ragazzo. Monique ci lascia un morso, ci prova gusto nel farlo senza forzare troppo però. Eccola, un'altra sfumatura della Londsale, eccola quella passione che nasconde e che ora brucia come il fuoco. Vuole dedicarsi a lui e solo a lui.             —  ELIA: Non ne vuol sapere niente del mondo circostante, di tutte quelle vicende che negli ultimi giorni l'hanno inghiottito fino a soffocarlo. Non ne vuole sapere niente della sua libertà, del passato tristo e spietato, di cio' che l'aspetta nell'imminente futuro. Con quel bacio, Elia si è dimenticato di tutto, di tutto eccetto di lei, seduta ancora sulle sue gambe. E' come se una gigantesca cupola fosse calata sulle loro teste, nascondendoli e proteggendoli dal resto del mondo. Ci son solo loro, loro e la vasca idromassaggio in cui sono immersi. Loro e i loro respiri fusi l'uno nell'altro, i battiti accelerati dei loro cuori, le carezze e le attenzioni che si stanno dedicando in religioso silenzio. Tutto pare risultare amplificato, come se quella cupola riuscisse davvero a far riecheggiare ogni dettaglio, pure quelli più insignificanti. Quel lungo bacio sa di casa, di familiare, di sicuro. Non è un bacio qualsiasi, ma una sorta di promessa, una garanzia di presenza, uno scambio implicito d'amore. Le due lingue si fondono, si inseguono, danzano l'una in coppia con l'altra, facendo di quel ballo sincronizzato un'opera d'arte. Ad un bacio, ne segue un altro, ad un sospiro un sospiro più forte, ad un'occhiata uno sguardo più emotivo del precedente. Eppure, mentre Elia si mostra apparentemente sicuro di quel che sta facendo, la sua mente continua ad andare in panne. Sa quel che sta facendo, ha sognato per anni il sopraggiungere di quel lieto evento, ma qualcosa di pesante e lancinante lo sta ferendo all'altezza del petto. La respinge, respinge la presenza oscura, la controparte di tutta la felicità che lo sta abbracciando. La respinge e basta, di qualsiasi cosa si tratti, serrando le palpebre e continuando ad accarezzare l'intimità della donna, al tatto sempre più fragile. Non è indeciso, non ha dubbi in riguardo, è Monique la donna che desidera, che desidera far sua, che desidera possedere ed amare liberamente, che desidera accompagnare fieramente anche fuori da lì, fuori da quel bagno, da quella villa, da quella Verona... ma c'è qualcosa in lui che continua a tirarlo giù. Non vacilla, nasconde le tenebre che a tratti attanagliano il suo cuore, adombrano le intenzioni amorose, ma si china invece a baciarle il collo, l'insenatura tra spalla e clavicola, la costellazione di nei che caratterizzano il suo petto.             —  MONIQUE: Succede come per magia, le loro labbra si toccano e il mondo scompare. La Terra smette di girare, ogni rumore si ferma, il tempo non scorre, ogni loro problema si dissolve come sabbia al vento che scivola via dalle falangi al passeggiar in spiaggia. Quanto potere ha un semplice sfiorarsi di labbra? Monique non se ne rende conto, sa solo che il cuore scalpita così forte nel petto da avere l'impressione di sentirlo esplodere da un momento all'altro. Sembra pura magia come con quel solo bacio tutto è sparito, lasciando al centro dell'attenzione loro due e i loro corpi avvolti dalla passione e dal desiderio di essere finalmente insieme. Solo loro due. Percepisce ogni minimo dettaglio in modo amplificato, la testa che vortica, il sangue che scorre nelle vene, il cuore che batte a ritmi fuori dal normale. Percepisce il suono del proprio cuore nelle orecchie, il calore del corpo di Elia al tatto, i muscoli delle braccia in tensione ad ogni azione che compie sulla donna. A chi importa cosa succederà nel vicino futuro o cosa invece sia successo nel passato? Personalmente, a Monique, proprio nulla. Niente ha più importanza adesso, non ora, non quando quel lungo bacio sta portando alla luce una nuova promessa. Quel bacio è il simbolo del loro tacito amore, perché è ciò che li lega. Non c'è più amicizia, non quella di un tempo almeno. Elia resterà sempre il suo migliore amico e forse sotto certi aspetti è ancora fondamentale descriverlo in tale modo, perché per lei un rapporto è completo quando non ci si trova solo un uomo ma un'amico. Qualcuno di cui fidarsi, una spalla, un supporto. Elia è tutto per lei. E' il ragazzo che le ha rubato il cuore certo, ma anche il ragazzo divenuto la sua persona. C'è qualcosa di più importante? Per Monique no. Elia è la sua famiglia, è casa. Potranno negarlo a lungo, sempre, a vita, ma nel profondo del cuore sanno entrambi che tutto ciò è spinto solo dal famoso sentimento che molti temono. Forse Elia per primo, non ne ha mai fatto un mistero però. Ma si può dire di non essere faccia a faccia con l'amore? Basterebbe guardarli per capirlo. I loro sguardi dicono tutto, il modo delicato con cui si toccano o quella passione che ci mettono nel baciarsi, privandosi del respiro. E' la promessa di chi lo supporterà in ogni decisione, che lo terrà mano per mano nel bene o nel male, che quando tutto andrà benissimo sarà al suo fianco e lo sarà anche quando le cose andranno catastroficamente male. Il respiro le manca, è affannoso, pesante per via di quel bacio difficile da troncare. Il suo corpo necessita aria, ossigeno, ma l'unica cosa che vorrebbe respirare è lui. Non può fare a meno di quelle lingue che si intrecciano, delle labbra che si incastrano come perfetti pezzi di un puzzle. Non può evitare il profondo sospiro che abbandona le sue labbra al sentire le dita del ragazzo scivolare in lei, inclina appena il capo indietro per lasciargli libero accesso al suo collo e le palpebre si chiudono per un attimo che sembra infinito. E' impossibile definire le sensazioni che sta provando, il piacere che aumenta in lei, che si espande nel basso ventre e che viene accompagnato da profondi sospiri che si infrangono sulle labbra del ragazzo o che si trasformano in languidi baci che lascia sul viso di Elia. La fronte, il perfetto naso, le gote, fino al collo. Monique cerca di concentrarsi su un lembo di pelle appena sotto l'orecchio, punto essenzialmente debole dell'essere umano. Ci lascia un bacio, poi un altro appena più sotto. Baci roventi, languidi, che lasciano poi spazio alle leggere torture che ci infligge sopra a causa della presa dei denti. Monique è sicura di se stessa, è brava in ciò che fa e lo è ancora di più se si tratta di far star bene il proprio compagno. E' brava quando lo tiene a se con decisione per evitare che si allontani anche solo per un secondo; è brava nel rendere quelle provocazioni tali e allo stesso tempo piacevoli e piene di sentimento, è brava quando lascia la presa sulla pelle stretta fra i denti e poi torturata dalle labbra ma che in un gesto assai dolce cerca di lenire lì, dove un piccolo alone rosso è comparso, passandoci la punta della lingua sopra. E' uno dei pochi momenti più belli della sua vita e Monique sta concedendo lui anima e corpo, cercando di poter prendere le stesse cose.
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hekoloptehik · 4 years
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La scelta della valigia
 tempo a disposizione per riordinare le idee non è mai abbastanza, e il rischio di riempire il  tanto da non riuscire nemmeno a chiuderlo è altissimo. Sì, viaggiare… ma restando con i piedi per terra: ecco un piccolo vademecum che aiuta tutte le donne amanti della moda a realizzare il bagaglio ottimale per una breve vacanza. Dalla scelta della valigia ai must-have senza i quali non puoi assolutamente partire, fino ai come selezionare (e piegare) i pezzi indispensabili in base alla meta: mare, montagna o città, è giunta l’ora di fare un check…
La scelta della valigia. Certo, il modo in cui la prepari è importante. Ma scegliere la valigia giusta in base alla destinazione lo è ancora di più. Considerato che starai via solo per qualche giorno, preferisci un bagaglio a mano leggero e capiente. Se raggiungerai la tua meta in macchina, in treno o in pullman, opta per un borsone dotato di tracolla: ideale per una gita fuori porta o una trasferta di lavoro. ll trolley è necessario solo se ti sposti in aereo; se hai in programma una mini vacanza zaino in spalla, punta su un modello ad alte prestazioni. Studiare nel dettaglio i possibili abbinamenti in base alle occasioni d’uso e al tempo a disposizione è un trucco salvavaligia indispensabile. Prima ancora di pensare a cosa mettere nel bagaglio a mano, è necessario progettare i look da vacanza in anticipo. Come agire per evitare di portare capi e accessori inutili? Crea i tuoi outfit a partire da alcuni pezzi basic.
Controllare il meteo. Quando si avvicina il momento di cambiare aria, tutti siamo più ottimisti e immaginiamo le nostra meta come una sorta di oasi al riparo da qualsiasi variazione atmosferica. “Siamo in estate, per una volta che parto, vuoi che piova?” Il saggio Murphy risponderebbe: “Se qualcosa può andar male, andrà male“. Quindi, anziché inserire nel bagaglio a mano 10 tra t-shirt e shorts, meglio puntare su un paio di jeans lunghi e una giacca impermeabile.
Selezione all’ingresso. Prima di fare il bagaglio a mano, disponi tutto ciò che desideri portare con te in bella vista. Questo passaggio potrebbe sembrare inutile, ma in realtà risulta cruciale per definire cosa è davvero utile. Seleziona solo l’indispensabile: se dovessero esserci spazi vuoti una volta preparata la borsa, resta valida la regola universale secondo cui aggiungere è più semplice che togliere…
I 5 essenziali che non possono mancare, ovunque tu vada. Per tante cose inutili, ci sono alcuni capi e accessori passe-partout che non possono mancare nel bagaglio a mano di una donna. Cos’hanno in comune? Si possono indossare con ogni clima, sono comodi, versatili, si prestano a molteplici combinazioni di outfit. E soprattutto… non passano mai di moda.
Ottimizzare il bagaglio in base alla destinazione. Una volta inseriti in valigia i pezzi essenziali, è bene procedere con gli abiti alla moda indispensabili in relazione alla meta. Se la tintarella ti aspetta, non puoi partire senza un bikini – da riutilizzare anche come crop top sugli shorts. Se invece viaggi in aereo destinazione capitale europea, una borsa a tracolla e un abito midi sono indispensabili per visitare la città con stile e senza stress. Trekking in vista? Non dimenticare una giacca in nylon impermeabile e un capo in lycra traspirante. E se ti tocca viaggiare per lavoro anche in estate, metti sempre nel bagaglio a mano il tuo fidato blazer e un paio di décolleté.
Il bagaglio a mano per una gita fuori porta al mare.
✓Mini abito ✓Sandali flat da gladiatore ✓Bikini ✓Borsa da spiaggia ✓Shorts
Il bagaglio a mano per un weekend in città.
✓Abito midi ✓Ciabattine flat ✓Bucket hat ✓Borsa a tracolla ✓T-shirt bianca
Il bagaglio a mano per un viaggio avventura.
✓Giacca antivento ✓Occhiali da sole sportivi ✓Un capo in lycra ✓Marsupio ✓Felpa
Il bagaglio a mano per una trasferta di lavoro.
✓Top in seta ✓Pantaloni culottes ✓Clutch ✓Blazer ✓Décolleté
Come piegare gli abiti in valigia senza rovinarli. Per aiutarti nella difficile impresa di disporre gli abiti in valigia facendo sì che non diventino inutilizzabili all’arrivo, hai due possibilità. Puoi optare per una disposizione secondo il peso, oppure per una disposizione secondo l’uso. Nel primo caso, parti dai capi più pesanti per arrivare a quelli più leggeri; in questo modo, eviterai di schiacciare e sgualcire questi ultimi. Nel secondo, inizia dai pezzi che utilizzerai in un momento successivo all’arrivo per concludere con quelli che ti serviranno subito una volta giunta a destinazione. Uno stratagemma che ti permetterà di trovare subito ciò che desideri, evitando così di far implodere il bagaglio a mano alla ricerca dell’abito da sera.
Come fare entrare nel bagaglio a mano più cose possibili. La valigia è piccola, lo spazio a disposizione è poco ma vorresti portare con te tutto il guardaroba? Il metodo infallibile per fare entrare nel bagaglio a mano più cose possibili è quello di stirare alla perfezione ciascun abito e piegarlo esattamente come se dovesse essere riposto all’interno dell’armadio anziché in valigia, esercitando una pressione finale con il ferro prima di inserirlo. Un trucco che permette non solo di ricavare centimetri di spazio preziosi, ma anche di ridurre il rischio di grinze. Ricorda: scarpe, borse, cinture e altri accessori vanno custoditi in sacchetti appositi e inseriti per ultimi, a coprire eventuali buchi.
  Cercare di capire quali sono davvero le priorità prima di fare il bagaglio a mano è necessario: pensare di poter indossare i sandali a listini tacco 12 in alta quota è un’assurdità. Senza contare che il superfluo toglie spazio in valigia ai nuovi acquisti: un assunto da tenere sempre a mente, soprattutto per chi non rinuncia allo shopping anche in vacanza.
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pangeanews · 6 years
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“Poiché non sappiamo quando moriremo, crediamo che la vita sia un pozzo inesauribile”: l’epopea de “Il tè nel deserto” – libro & film – una storia d’amore ulcerata dall’ossessione e dal tradimento
C’è un attimo, sconfinato, che separa il libro dal suo film. Quell’attimo in cui qualcuno – a questo punto, Bernardo Bertolucci, da poco scomparso – prende la strana decisione di tradurre le parole in fila di un romanzo, svolgerle, con cura e dedizione, nel grembo di una pellicola cinematografica. Per chi viene dopo è curiosa meraviglia, il gioco morboso di trovare la corrispondenza e setacciare le infedeltà. Ora, se pronuncio le parole Il tè nel deserto – The Sheltering Sky, il primo e il più celebre romanzo di Paul Bowles, nato a New York nel 1910, trasferitosi dal ’49 in Marocco – a molti verrà in mente un gioco, non tutto femminile, di seduzione e di sguardi, il mistero senza tempo del deserto del Sahara, una mosca che vola sul corpo che soccombe al tifo di John Malkovich, il vento che precipita dentro la finestra di una squallida stanza spoglia, un taxi vuoto, una musica orientale che si fa accecante e ossessiva. La colonna sonora di Ryūichi Sakamoto. L’oscurità che consuma il corpo, l’odore della brutalità e l’amore troppo consumato, tra un uomo e una donna, che si sfalda. La passione, insensata, che brucia una donna che scopre la sua sessualità, ferinamente. Un uomo che tradisce la moglie, ma a cui non sfugge – nonostante l’ebbrezza dell’eros che affiora dalle turgide carni di una ragazza esotica – che gli hanno bellamente rubato il portafoglio. Eppure, c’è stato un attimo in cui queste parole erano solo inchiostro sulle pagine stampate di un bellissimo libro (Garzanti, ora Feltrinelli) e il film non era che un’idea.
*
“Bernardo Bertolucci mi telefonava, veniva sul mio terrazzo a Sabaudia e, guardando l’acqua stagnante, mi raccontava le dune del deserto. Mi parlava di due persone che si amano, ma che non riescono a trasmettersi amore”. La voce che ricorda quell’attimo immenso, l’idea che prende fuoco prima del suo compimento, è quella composta e pacata di Vittorio Storaro, nel suo maglione rosso fuoco, tre volte premio Oscar per la fotografia, mentre, a margine del film Il tè nel deserto, confessa che non se la sentiva di fare questo film. Paradossalmente rimaneva freddo, fino a quando non ha iniziato a leggere il libro di Paul Bowles e la seduzione è diventata irresistibile. Ha rivolto lo sguardo ai due protagonisti, la scrittrice Kit, Debra Winger, e il compositore Port Moresby, John Malkovich, gli agiati coniugi americani, newyorkesi, sposati da molti anni ma in crisi di coppia e a caccia d’ispirazione. Insieme a loro, un amico, George Tunner, più giovane, “sorprendentemente bello, di una bellezza da divo cinematografico”.
I tre partono da Tangeri per un viaggio nel deserto più selvaggio, nel cuore irrazionale dell’anima berbera e, mentre vagano alla ricerca di uno spettro d’amore, cadono nella trappola del destino. Affondando senza via di scampo. “Stiamo per affondare in un enorme letto con le lenzuola tutte ammonticchiate” si legge all’inizio del romanzo Il tè nel deserto di Bowles. Port, nonostante la moglie, racconta il sogno che ha fatto: un treno in corsa che aumenta la velocità mentre lui si afferra agli incisivi e li spezza come fossero di gesso. Con i denti tra le mani, singhiozza, è squassato come un terremoto. La moglie Kit, avvilita – non voleva ascoltare il racconto del sogno – piange. I tre giovani americani sono stati vomitati da un piccolo mercantile, su un molo infuocato del nord Africa. Al tavolino, conversano “tranquillamente, col fare di chi ha davanti a sé tutto il tempo del mondo, per qualsiasi cosa”. Port, magro dall’espressione ironica, fanatica, srotola, studiando, le mappe geografiche, mentre la moglie, “piccola, con i capelli biondi e la carnagione olivastra, si salvava dal sembrare un bel cosino per l’intensità dello sguardo. Una volta visti gli occhi, era come se il resto del volto diventasse sempre più vago, e quando si tentava in seguito, di richiamare la sua immagine, restava soltanto la penetrante, inquisitiva aggressività di quei grandi occhi”.
*
Bernardo Bertolucci insieme a Paul Bowles
Bertolucci, agli occhi di Storaro, era un fratello maggiore, una guida spirituale. E Storaro ha visto il viaggio di Port e Kit come il tragitto del sole e della luna, il maschile e il femminile. La moglie Kit doveva, a suo modo di vedere, indossare i colori freddi, Port i colori caldi. Il sole e la luna, che non si incontrano nello stesso raggio. Due viaggi verso la perdizione, inconciliabili. Storaro svela che solo un timore albeggiava in loro: il confronto con Lawrence d’Arabia, del 1962, il kolossal di David Lean, una competizione perduta in partenza. Storaro, che conosceva bene Bertolucci, non ha esitato a dire che Bernardo si immedesimava in Port e vedeva la moglie in Kit. Il gioco di luci, dei colori freddi e caldi, ritorna sul treno quando Kit è in viaggio con Tunner. Ma Bertolucci aveva voluto tagliare, nel montaggio definitivo a cura di Gabriella Cristiani, la scena del treno, quando Kit percorre il treno alla ricerca di se stessa, all’interno del vagone, dove “c’è l’anima berbera”, quel “perdersi in un mondo che avrebbe poi incontrato”.
Quello che manca nel film, secondo Storaro, è dunque la profondità della ricerca di Kit, dopo la morte di Port, la violenza, e, con la violenza, “la scoperta della propria esistenza come donna”, una donna che scopre la potenza della propria sessualità, dopo aver abbandonato i propri freni inibitori. La grande identificazione, secondo Storaro, è tutta tra Bernardo Bertolucci e Port Moresby, il suo viaggio solare.
Mi riguardo un paio di volte la scena dei due protagonisti sul promontorio del deserto, ci sono arrivati in bicicletta – lei ha appena tradito il marito con il suo amico Tunner e la complice (e banale) corruzione di diverse bottiglie di Champagne – è una delle scene che Storaro ricorda nella sua intensa testimonianza. Entrambi guardano l’orizzonte, nascosti dagli occhiali da sole. Le lacrime di lei, la disperazione silenziosa, dopo aver fatto all’amore. “Qui il cielo è così strano, è quasi solido come se ci proteggesse da quello che c’è oltre. Forse abbiamo paura della stessa cosa”. Poco prima, Bowles aveva dato la chiave di tutto il significato della crisi di coppia, la lucida consapevolezza dell’irreparabile, l’amore ormai sepolto da tempo: “Erano i luoghi come quello, i momenti così ch’egli amava sopra ogni cosa nella vita; Kit lo sapeva, e sapeva anche che li amava di più se lei era presente, a sperimentarli con lui. E sebbene fosse ben consapevole che quegli stessi silenzi, quegli stessi luoghi deserti che gli toccavano il cuore la riempivano di sgomento, non sopportava di sentirselo ricordare. Era come se ogni volta gli rinascesse la speranza che anche lei potesse sentirsi affascinata nello stesso modo dalla solitudine e dalla vicinanza con l’infinito. Spesso le aveva detto: «È la tua unica speranza», e Kit non era mai ben certa di che cosa intendesse dire. A volte pensava che intendesse alludere all’unica speranza per lui, che soltanto se fosse stata in grado di diventare com’egli era, sarebbe riuscito a ritrovare la via dell’amore, dato che l’amore per Port, voleva dire amare lei: l’eventualità di un’altra donna non si poneva nemmeno. E da tanto tempo, ormai, l’amore non c’era, ne era mancata la possibilità. Ma proprio come lei era incapace di scrollar via lo sgomento che sempre l’accompagnava, Port era incapace di liberarsi dalla gabbia in cui da se stesso si era chiuso, la gabbia costruita tanto tempo prima per salvare se stesso dall’amore”.
Mentre ripercorrono la strada, tornando indietro, Kit rimugina su un’idea: crede che Port sappia che lei lo ha tradito con Tunner, ma non sa di saperlo. Dirglielo sciuperebbe definitivamente quella implicita tenerezza che si è creata. Ma quel che resta dell’amore è già andato in frantumi, granelli di sabbia e Port è tornato sulla collina, nella notte e nel desiderio di tornarci, senza di lei. La difficoltà di comunicare per Kit si traduce poi nell’ultima parte del Tè nel deserto in un dialogo puramente corporeo – le parole sono del tutto incomprensibili – nell’affondare nell’abisso della carne di chi non si conosce, per trovare il senso della vita, smarrito definitivamente con la morte di Port. La donna americana viene violata, è reclusa in una gabbia, con le pagine del suo diario crea una meravigliosa cornice, una tenda per il suo enorme letto a baldacchino, nell’accampamento di Belqassim. “Il letto era un mare in tempesta, lei giaceva alla mercé della sua violenza e del suo caos mentre pesanti onde la investivano dall’alto. Perché, nel momento culminante della tempesta, due mani annaspanti si premevano sempre più forte intorno alla sua gola? La stretta aumentava, fino a che perfino l’immensa musica grigia del mare venne coperta da un fragore più grande e più pauroso: il ruggito del nulla che lo spirito ode nell’avvicinarsi all’abisso e sporgersi”.
*
Kit è come una bambola racchiusa dentro una grande scatola, come un monile nel deserto, sotto una spessa coltre di sabbia, tra le dune. All’ombra di se stessa. Addirittura, la sua valigia straniera attrae gli sguardi delle mogli di Belqassim e seduce più della sua persona. Il gesto di passarsi il rossetto, rosso brillante, sulle labbra, prima della fuga, desta una grande meraviglia. Lei, infatti, non ha mai smesso di truccarsi. Nascondersi agli occhi degli altri è nascondersi da se stessi. A volte, essere prigionieri di qualcun altro è un alibi, che chiamiamo amore.
Nel finale del film, Kit incontra Paul Bowles, è il cortocircuito fra libro e film che si chiude con il celebre, imprescindibile, epilogo: “Poiché non sappiamo quando moriremo si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile, però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte. Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio? Un pomeriggio che è così profondamente parte di voi che, senza, neanche riuscireste a concepire la vostra vita, forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno. Quante altre volte guarderete levarsi la luna? Forse venti. Eppure, tutto sembra senza limite”. Invece, il libro si chiude nell’immagine di un tram affollato, pieno di scaricatori di porto, in tuta blu, la gente dentro che ondeggia in piedi, la metafora della vita, le luci fioche che vacillano. Gira l’angolo, il tram, scampanella, si avvia in salita oltre i Café, la musica assordante, la folla che riempie le strade, avvicina edifici squallidi, si vedono le luci del porto, arriva al margine del quartiere arabo, si ferma al capolinea. La vedova di Port, Kit Moresby, intanto, ha silenziosamente lasciato il taxi, abbandonandosi, senza scampo, all’inconsapevolezza e alla vana ricerca di un senso in questa vita.
Linda Terziroli
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PROLOGO
Teste.
Un oceano di teste ornate di piume, cappelli e acconciature estremamente elaborate ovunque. E sudore. Troppo sudore. Torrenti di profumi costosi che non bastano minimamente a nascondere il fetore di centinaia di corpi premuti l'uno contro l'altro. Quello stesso sudore che, in quel preciso istante, rotolava giù per la schiena di Cassandra, e andava a sparire tra le pieghe di velluto scuro dell'uniforme da cerimonia che era stata costretta ad indossare. Con un grugnito neanche tanto sommesso, e un fragoroso sbuffo si passò la manica sul viso accaldato, ringraziando mentalmente la propria cocciutaggine nel rifiutare qualsivoglia forma di trucco. La mandria di fedeli, nobili ficcanaso, e semplici la schiacciava da ogni lato. Il tizio di fronte a lei, probabilmente un mago dell'Impero Samuren a giudicare dall'abbigliamento sfarzoso, ma dalla stazza di un maiale da fiera, aveva una piuma rossa ricurva su quel suo strano cappello che arrivava a sfiorare il naso di Cassandra provocando alla Venator non poco fastidio. E come se questo non fosse sufficientemente fastidioso, quel corpulento e sudato mago si mosse, facendo un passo indietro, e inevitabilmente gli pestò un piede.
Era la sesta volta nell'ultima ora.
«Maledizione». Cassandra si morse la lingua abbastanza in fretta da non trasformare la sua frustrazione in blasfemia e cercò di indietreggiare contro il muro cui era già appoggiata. Le pietre lisce e fredde gli donarono un po’ di sollievo. Il suo sguardo annoiato superò la calca e si perse lontano, tra le lance di luce colorata che filtravano oltre i rosoni della Cattedrale di Albion e fino alle alte finestre che incorniciavano brandelli di cielo blu, nuvole e sprazzi di neve tra gli alberi. Una fitta di nostalgia le ricordò che in quel preciso istante avrebbe potuto essere alla Fortezza del Cigno ad addestrare i nuovi Venator come Matilda.
Purtroppo, però, lei era la Mano Sinistra del Creatore, e stare lì, era un vero e proprio dovere.  
A proposito da quanto era lì?
I Minuti le sembravano ore. E le ore gli sembravano giorni, senza niente da bere o niente da fare che non fosse aspettare e sentirsi fuori luogo.
Era una guerriera, non una dama o una politica. Quest'ultima, in effetti, era un'attività che Cassandra odiava con tutto il suo cuore. Tutta quella gente che la urtava e la prendeva a gomitate indifferenti gli dava sui nervi, ma mai quanto dover sorridere a quel branco di politici senza scrupoli.  Per fortuna gli anni spesi dalla Fratellanza per riallacciare i rapporti tra le Isole Skovos, patria delle Amazzoni e i maghi dell'Impero Samuren che abitavano il continente orientale di Nirm stavano finalmente per sancire una nuova e duratura pace.
La regina Niobe, signora delle Amazzoni era famosa per essere una donna estremamente cocciuta, e la sua scarsa diplomazia nei confronti dell'Arconte Tiberius Vyrtumis era stato il vero scoglio da superare per poter creare una pace duratura tra i due popoli.
Come biasimarla.
I maghi dell'Impero Samuren praticavano ancora lo schiavismo ai danni delle Amazzoni, e Niobe per ovvie ragioni non avrebbe mai accettato una tregua con chi stava schiavizzando il suo popolo.
Una pace tra le due fazioni dunque era un evento che ormai nessuno credeva realmente possibile. La diplomazia messa in campo dalla Fratellanza però riuscì faticosamente a generare una tregua, che ben presto si tramutò in pace. L'Impero, avrebbe abbandonato lo schiavismo entrò tre anni, in cambio le Amazzoni avrebbero cessato le incursioni e le rappresaglie nei loro confronti.
Secondo alcune indiscrezioni il merito di tale successo fu tutto della Divina Victoria in persona, che minacciò sanzioni ad entrambi se non avessero trovato un accordo al più presto. La Fratellanza, e soprattutto la Divina, era una forza che incuteva molto timore.
Bello.
Interessante.
Per loro, forse, perché Cassandra non riusciva a provare altro che inquietudine e noia. Si agitò contro la parete cercando una posizione più comoda e riuscì solo a sgualcire maggiormente la sua divisa. Non aveva avuto scelta, e non solo per quanto riguardava l'abbigliamento purtroppo.
E così eccola lì, impacchettata come un manichino, a incupirsi in mezzo alla folla. Con un sospiro di desiderio sbirciò di lato fino al portone secondrio a una dozzina di metri da lei. Se fosse riuscita a intrufolarsi dietro al posteriore della dama in blu al suo fianco si sarebbe potuta avvicinare e prendere almeno una boccata d'aria.
Il Creatore sapeva quanto ne avesse bisogno; soffiò in su verso il naso umido di sudore e nel far ciò scompigliò le ciocche sfuggite all'acconciatura, capelli troppo lisci e sottili per stare al loro posto. Si compresse il più possibile tra il muro e la dama e borbottò qualche vuota formalità mentre, con le braccia attaccate alla parete, scivolava di lato, spremuta tra i corpi ammassati.
«S... Scusate. Permesso. Grazie, eh. Scusate solo un attimo...»
Nemmeno stavano badando a lei, tutti presi dall'attività più in voga del momento: alzarsi in punta di piedi e tendere il collo come tante oche in attesa del pastone.
Anche la quantità di grasso e di piume presenti, in effetti, erano paragonabili, questo grazie alle amazzoni presenti con i loro striminziti abiti da cerimonia. Cassandra arrancò di qualche passo con le orecchie piene di un brusio sempre meno solenne mentre la noia prendeva il sopravvento, un chiacchiericcio fatto di banalità e tedio.
«Quanto pensi possa mancare, mio caro?»
«Non so dirtelo, diletta, ma non molto. Dobbiamo perdonare alla Fratellanza delle tempistiche non usuali, sta pur sempre cercando di far dialogare due fazioni che hanno passato gli ultimi anni a massacrarsi reciprocamente senza pietà. Non certo un compito facile, mmh?»
Una risatina sciocca.
«Presto comunque la luce del Creatore brillerà su di noi tramite le parole del Primo Inquisitore, e allora...»
Dal loro accento era facile intuire che erano dei nobili del Khanduras. Un conte o un marchese lui, una Duchessa o una Baronessa lei. Persone vuote, come la maggior parte dei nobili che vivevano in quella regione del Nord.
Cassandra, per l'ennesima volta, alzò gli occhi alla volta ad archi e represse il desiderio di dar voce a quel disprezzo per tutto ciò che era così dannatamente formale. Ciò che non riuscì a reprimere fu lo schiocco della lingua, che fece voltare la coppia verso di lei con palese e ben nota disapprovazione nello sguardo.
Era il momento di sfoderare l'arma perfetta per l'occasione: un ampio, vacuo sorriso e uno sbattere di ciglia che facesse sembrare i suoi occhi ancora più tondi e pallati.
Ancora più stupidi.
Funzionò. Funzionava sempre con quelle pecore vestite da nobili. I due sconosciuti si concessero il dubbio di aver frainteso e, dopo un sorriso freddo, tornarono a conversare, mentre Cassandra riprese il suo stoico tentativo di evasione. Con la punta delle dita incontrò le assi consunte e sentì la speranza sorgerle nel petto. Si aggrappò allo stipite della porta e si trascinò per l'ultimo tratto, arrivando finalmente a spingere il battente con un gomito e a socchiuderlo quanto bastava per uscire.
La prima boccata d'aria gelida e pura le strappò un mugolio di piacere. Restò un istante a occhi chiusi, a godersi quel vento tagliente d'inverno e quella quiete dopo il brusio della Cattedrale, quindi accostò la porta alle proprie spalle e vi si appoggiò con una mezza risata muta. Si stava bene lì fuori. C'era silenzio. O quasi, almeno. Qualche uccellino fuori stagione cinguettava tra le guglie, un uomo cantava in lontananza e una donna gemeva.
Cassandra spalancò gli occhi e sollevò la testa.
Una donna che gemeva?
No, quello decisamente non rientrava nella sua definizione di quiete. Il torpore annoiato di poco prima e quella nota di sollievo fisico si tinsero di cupo. Cassandra si guardò in giro nel cortile deserto e sentì il sudore gelarsi sulle tempie.
Il suono non cessava e non prometteva niente di buono.
«E adesso cosa succede?» Borbottò. Quel posto pullulava di Inquisitoria armati, pensò nel voltarsi verso la Cattedrale. Tutte persone che come lei erano addestrate a ogni tipo di emergenza.
Il verso si ripeté. Cassandra trasalì e lanciò un ennesimo sguardo disperato in giro. Certo, poteva non essere niente, ma poteva anche essere qualcosa che richiedeva il suo intervento.  L'unica cosa che poteva fare era andare a dare un'occhiata e nella peggiore delle ipotesi combattere disarmata. Certo, un Venator non è mai disarmato perché è lui stesso un’arma. Cassandra conosceva infatti più di un modo per rendere inoffensivo o addirittura uccidere un uomo comune.
Si vide staccarsi dalla porta e camminare sul lindo selciato, il suono era arrivato da quella direzione, no? Da quell'edificio secondario lì, a ridosso del muro principale, una figura sgusciò fuori dalle ombre. Era un Inquisitore che stringeva una spada insanguinata.
«Che cosa è successo...» La frase gli morì in gola.
Boato.
Orecchie che sanguinano, pietre vive che arrancano contro la pelle, si sgretolano contro la guancia.
Luce.
Rossa e irreale e troppo vivida, un alone attorno al corpo, lame di dolore negli occhi e il cranio che si spacca.
E poi passi. Innumerevoli piccoli passi frenetici.
Troppi.
Occhi rossi, e divise lucenti.
Inquisitori?
Nel buio di paura e grida mute una mano tesa, bianca e splendente. Un volto senza lineamenti, senza occhi, solo luce per un istante prima che il rosso e le tenebre ingoiassero di nuovo tutto.
Prima che tornasse a sentire il proprio corpo.
Distesa a faccia in giù con il naso pieno dell’odore del sangue, Cassandra provò a muoversi. Le palpebre, gonfie e troppo pesanti, si aprirono di uno spiraglio.
Intorno a lei un mondo di fumo e macerie. L'odore di morte le risaliva fino al cervello, anch'esso annebbiato e confuso.
Qualcosa le toccava la faccia, qualcosa di caldo e che sapeva di casa? No, anzi, quasi: di cucina. Di carne lasciata troppo a lungo sullo spiedo. Qualcosa di appiccicoso, viscido. Cassandra riuscì a voltare lo sguardo fino a quell'oggetto. Sarebbe stato meglio non farlo. La mano che la sfiorava era nera di carbone, brandelli di pelle penzolanti dalle ossa bruciate.
Non c'era un braccio attaccato.
Nessun pensiero in testa, solo caos e vuoto e l'incapacità di distogliere lo sguardo. Neppure l'orrore crudo e purissimo di quella scena riusciva a penetrare il muro dell'assurdità e dello shock.
Respirare, unico istinto.
Anche se faceva male, anche se ogni rantolo d'aria le dilatava le costole incrinate e le strappava un sibilo. Un soffio di vento le sfiorò un fianco nudo e fece danzare stracci di stoffa lacera. Nella testa imbottita e sconvolta si formarono e inseguirono frammenti di pensieri, una lacrima all'angolo dell'occhio destro; sulle labbra spaccate e livide una parola.
«M.… merda...»
Dopo i pensieri le sensazioni.
Anzi, una sola.
Dolore.
Di nuovo, troppo.
Schegge di metallo conficcate nel fianco nudo. Cassandra non riuscì a trattenere un gemito, un lungo verso continuo e inarticolato di pura sofferenza. Udì l'eco del proprio grido, o forse lo sognò solo. Voci che si chiamavano, passi sferraglianti che si inseguivano e clangore di armi prima che un velo abbagliante, di quello stesso rosso malsano che sembrava profilare ogni cosa nel nuovo mondo in rovina in cui si era svegliata, le avvolgesse i sensi e la trascinasse giù, sempre più giù in un buio senza pace mentre la consapevolezza di ciò che era accaduto la colpì come un calcio in faccia.
La Cattedrale, e la stessa città di Albion era sotto attacco. Creature mostruose scorrazzavano ovunque massacrando civili innocenti e guardie cittadine che cercavano di contrastare l’orda feroce di mostri che si stava abbattendo sulla città. La Venator si voltò verso la Cattedrale, e vide con sguardo inorridito che era saltata in aria con tutti suoi occupanti, e probabilmente lei era l'unica ad essere sopravvissuta.
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marinagalatioto · 5 years
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Come rifare il guardaroba primaverile spendendo poco? Semplici trucchi e consigli per rinnovare i nostri outfit e far sembrare tutto nuovo.
Non sempre si ha un budget consistente da spendere per rifare il guardaroba. Fare shopping può essere costoso, ma non se utilizzi semplici trucchetti. Ecco come rinnovare il guardaroba spendendo poco.
Rifare il guardaroba primaverile spendendo poco
Ogni anno la moda propone stili, colori, modelli differenti, ma i classici sono senza tempo. Vengono chiamati “evergreen“, cioè sempreverdi.
I colori e gli stili possono cambiare, ma alcuni vengono ripresi, anno dopo anno, e subiscono solamente poche variazioni.
Con l’aiuto di piccoli materiali e prodotti si può cambiare volto ai capi degli anni precedenti. Lo sforzo è minimo e il risultato garantito.
E ora addentriamoci nell’argomento.
Evergreen
Un tubino nero è sempre di moda, così come un tailleur. Sono davvero parecchi i capi che possono continuare a far parte di un guardaroba senza sembrare vecchi, ma solamente di classe.
Se poi con il passare del tempo te ne stanchi puoi sempre modificarli, per renderli più moderni e alla moda.
Capi del vecchio guardaroba
Molti capi non hanno bisogno di essere buttati, è sufficiente modificarli per renderli più attuali. I jeans un anno vanno skinny, l’anno dopo a zampa, l’anno dopo ancora sono decorati con strass, tanto per dire. Il denim però è un evergreen ed è sufficiente togliere qualcosa oppure applicare per cambiare volto ad una giacca, per esempio.
Cambia la moda, ma il tuo stile, il tuo gusto, non cambiano in modo tanto repentino. Se ami i jeans skinny puoi renderli diversi con applicazioni, oppure praticando tagli da lasciare poi sfilacciati. Puoi anche cucire, sotto ai tagli, del pizzo nero o bianco. Se non sai farlo esistono prodotti in merceria che diventano una specie di adesivo termoretraibile una volta scaldati con il ferro da stiro.
Un modo semplicissimo per rinnovare una camicetta o una giaccia è ad esempio quello di cambiare i bottoni. Sembra incredibile, ma se cambi i bottoni ad una giacca sembrerà un capo completamente nuovo.
Altro modo per rinnovare il guardaroba è acquistare una confezione di colorante per indumenti. Funziona benissimo con abiti in cotone e magliette. Se utilizzi capi tinta unita e prima di colorarli li leghi con elastici, graffette e fai nodi, otterrai delle vere e proprie t-shirt artistiche da sfoggiare.
Colori
Ogni anno vengono scelti dei colori per ogni stagione e non certo per caso. Vuoi seguire la moda e non vuoi indossare colori dell’anno precedente? Ho buone notizie. La prima è che puoi fare ricorso anche qui al colorante per tessuti.
In alternativa studia le collezioni presentate dagli stilisti. Spesso ci troverai capi in colori degli anni precedenti, quindi… puoi assolutamente tenerli! Magari la nuance è leggermente diversa, ma onestamente, solo chi è davvero una fashion victim, nel senso non proprio positivo, si fissa sui colori senza poter scegliere.
Inoltre il nero, il bianco, il blu, ma anche il marrone e il verde sono colori che vanno sempre. Lo stile militare si ripresenta ogni anno e le t-shirt bianche, più o meno decorate sono un must di primavera ed estate.
Se hai fatto caso alla New York Fashion Week, alla Milano Fashion Week, alla London Fashion Week, ti sarai accorta di quanti colori sfilino sulle passerelle. Poi, le persone come noi che parlano di moda, cercano e trovano i colori più utilizzati e ne fanno articoli.
Ci sono talmente tanti colori ogni anno che puoi decisamente trovare capi di anni precedenti, magari in fondo all’armadio, che possono andare ancora bene. Puoi renderli più attuali accorciando, tagliando, aggiungendo del pizzo, degli strass, ma anche con una cintura, dei bottoni differenti, un foulard.
Ad esempio nella primavera/estate 2018 andava di moda il rosa e sempre in anni precedenti il verde.
Rinnovare il guardaroba con gli acquisti
Come prima cosa ti consiglio di scegliere ciò che pensi di tenere. Una volta che avrai scartato capi e indumenti di cui vuoi liberarti donali a chi ne ha bisogno. Non solo è un bel gesto, ma aiuta a non sprecare risorse e ad inquinare di meno.
Mentre ti liberi delle cose vecchie fai una lista. Di cosa ti sei liberata? Una giacca? Dei pantaloni? Delle magliette?
Ebbene dovrai sostituire quei capi con altri. Quando vai a fare acquisti tieni in mente i colori degli abiti/pantaloni/gonne/maglie con dovrai abbinare le cose nuove. Se non hai un grande budget punta su colori e fantasie che possano abbinarsi con più capi, in modo da creare tanti outfit diversi.
Se puoi scegli uno o due capi con fantasie a fiori o geometriche o boho, o come ti piace, da abbinare a capi in tinta unita. Punta su qualcosa di colorato e allegro, che ringiovanisca i vecchi capi. In questo senso puoi giocare anche sugli accessori.
Per esempio un trench beige con la sua cintura è classico. Se a quel trench togli la cintura e metti al suo posto un foulard sottile che darà un tocco di colore, otterrai un capo non solo nuovo, ma molto fashion.
Con pochi soldi potrai rifare il guardaroba primaverile spendendo poco. Lo avrai solo rinnovato, ma a tutti sembrerà completamente nuovo. E anche a te!
Hai qualche altra idea su come rifare il guardaroba primaverile spendendo poco? Condividila con noi.
Per finire ti suggerisco qualche negozio di Moda donna dove puoi fare acquisti online spendendo poco. Inoltre ricorda che ancora per alcuni giorni ci sono i saldi e molti capi possono essere indossati nelle stagioni di mezzo, quindi approfittane!
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marinagalatioto · 5 years
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Quali sono le differenze tra il dolcevita donne, il lupetto e i maglioni a collo alto? Te le spiego nel post.
Parliamo di maglieria da donna che viene indossata giusto in queste stagioni, autunno e inverno, in cui il collo alto di una maglia è piacevole.
Ma il collo alto non è sempre uguale e a seconda della forma e di come “si indossa” prende un nome differente. Lo sapevi? Difatti si parla di dolcevita donne, lupetti o maglioni a collo alto.
E quali sono le differenze? Vediamole insieme così da capire qual è il modello che più ci rappresenta e che ci piacerà di più indossare.
Il dolcevita donne
Il dolcevita iniziò ad essere indossato agli inizi del Novecento dai marinai che trovavano in esso un maggior protezione. In mare e nei luoghi ventosi era impossibile indossare le sciarpe.
Diventò capo maschile verso gli anni Venti quando gli uomini cercavano di imitare lo stile del noto scrittore e drammaturgo Noël Coward. Lui li indossava per comodità, al posto di camicia e cravatta, come affermò
Solo negli anni Cinquanta, quando le donne rincorrevano e si battevano per la parità, lo adottarono nel loro guardaroba, come simbolo.
Ma come è fatto e cosa lo caratterizza?
Il dolcevita è un maglione chiuso sia davanti che dietro, che viene infilato dalla testa. Non ha uno scollo, al contrario ha un collo alto che viene ripiegato ordinatamente su se stesso (a circa metà altezza).
Il nome di questo maglioncino per come lo conosciamo adesso sembra derivi dal film di Fellini “La dolce vita”. In Francia però questo indumento era già stato reso celebre da Yves Montand, che vedi nella foto qui sotto.
L’abbiamo visto indossare a Audrey Hepburn nel film Funny Face, una Cenerentola a Parigi, del 1957.
Oltre a lei tantissime star hollywoodiane, e non solo loro, hanno reso celebre il dolcevita che su alcune, ha rappresentato un indumento persino sexy.
Di solito viene indossato sotto le giacche, abbinato a gonne e jeans per occasioni eleganti o sportive, ma anche quando vuoi sembrare elegante e allo stesso tempo casual.
Lupetto
Il lupetto è molto simile ad un dolcevita, MA non ha il collo lungo da ripiegare su stesso. Il collo di questa maglia è di media lunghezza e copre, in linea di massima, fino a metà del collo, aderendo alla pelle.
I maglioni a collo alto
Si possono considerare alla stregua del dolcevita, ma il collo può essere di tante forme differenti. Il collo ad anello, ad esempio, è ampio e morbido e dona un fascino romantico.
Come abbinarli
Con i pantaloni oppure leggings e stivaletti, con una gonna e dei tronchetti, con jeans e giacca sportiva. Per dare un tocco di eleganza e classe indossa sopra al dolcevita una bella collana lunga, magari colorata e otterrai un effetto fashion.
Ecco alcune proposte da non perdere sono quelle di Falconeri, che propone dolcevita e maglieria in cashmere e filati naturali. Ne vedi alcuni modelli qui sotto.
©Falconeri
©Falconeri
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Se vuoi puoi anche acquistare su Newchic, qui sotto alcune proposte.
Newchic
Newchic
Puoi scegliere i tuoi dolcevita anche nello store online di Tezenis dove trovi tantissimi modelli a rezzi davvero concorrenziali.
Quindi hai davvero tante opportunità per acquistare anche tu un intramontabile e sempre alla moda dolcevita.
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Differenze tra dolcevita donne, lupetto e maglioni a collo alto . . . . #differenzatradolcevitaelupetto #differenze #dolcevita #lupetto #maglionecolloalto #maglieriadonna #dolcevitadonne #ilblogdialice Quali sono le differenze tra il dolcevita donne, il lupetto e i maglioni a collo alto? Te le spiego nel post.
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marinagalatioto · 5 years
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Un capo intramontabile, un evergreen a tutte le età, ma come indossare la giacca di jeans? Idee, consigli e suggerimenti per un must d’autunno e di primavera.
La giacca di jeans è senza dubbio un capo perfetto per le mezze stagioni. In primavera ed autunno questo capo evergreen può essere indossato a tutte le età,è sufficiente scegliere il modello giusto e l’abbinamento migliore.
Modelli di giacca di jeans
Sono così tanti da avere solamente l’imbarazzo della scelta così gli abbinamenti e gli outfit che con questo capo evergreeen si possono creare. Le star la amano e riesco ad indossarla, dove non fa troppo freddo, per quasi tutto l’anno.
Puoi trovare giacche corte e strette a forma di bolero oppure lunghe e larghe. Trovi modelli classici e morbidi oppure con rivetti e borchie in bella vista, strappate o scolorite. C’è chi la indossa così stretta da sembrare cucita addosso e chi invece sceglie un modello oversize, come se l’avesse presa in prestito dall’armadio del fidanzato, o del papà.
Il jeans come tessuto, e di conseguenza pantaloni e giacche, non mancano nell’armadio di nessuno. Ha attraversato e vestito intere generazioni fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso.
Per la scorsa primavera, per la giacca di jeans si poteva scegliere tra modelli cortissimi, appunto a bolero e giacche lunghe, color denim oppure invecchiate o sbiancate. C’erano anche modelli senza maniche o dipinti e ricamati, oppure decorati con borchie e perle.
Insomma, si poteva contare su una vasta scelta e se hai acquistato una giacca di jeans la scorsa primavera puoi assolutamente utilizzarla per il prossimo autunno con gli abbinamenti giusti.
Denim su Denim
In questo mood of the day per cui vanno pazze le star abbini un paio di pantaloni di jeans ad un giubbotto dello stesso materiale, per cui si dice denim su denim. Da abbinare con magliette, t-shirt e top crop a seconda del caso, dell’età e dello stile, lo stesso colore di denim oppure diverso.
Stile Athleisure
Di questo stile in particolare te ne ho parlato nel post che trovi qui. Si tratta di uno stile nel quale la giacca di jeans può essere abbinata a pantaloni della tuta, magliette corte e top crop, ma anche maxigonne indossate con sneakers o scarpe dal tacco alto.
Stile sporty chic
La giacca bianca può essere indossata sopra maxi abiti abbinati a stivali morbidi o tubini aderenti e corti.
Stile vintage
Giacca di jeans dall’aspetto invecchiato da abbinare a gonnellone ampie e lunghe, stivali in pelle scamosciata, ma anche cuoio. Sopra ad abito a fiori in stile country oppure boho con stampe floreali o stratte, ma anche geometriche. Uno stile un po’ hippy, ma decisamente chic.
Giacca lunga e oversize
Tra tutte le proposte è quella che onestamente mi piace meno. Indossata grande e abbondante, la giacca di jeans oversize è senza dubbio indicata per chi è alta. Le giacche lunghe tendono a far sembrare più basse perché “accorciano” la gamba.
Giacca corta
Perfetta per e magre, ma non solo, la giacca di jeans corta, modello bolero, è fantastica da indossare sopra ad abiti fiorati e dalle belle fantasie colorate. Abbinabile anche alle t-shirt dà il suo meglio con gli abiti interi o le tute. Di solito arriva appena sotto al seno e, se indossi un capo unico, come appunto un abito o una tuta, ti fa sembrare più alta e slancia la figura.
Anche i brand più famosi propongono i loro modelli di giacche di jeans. Ovviamente a costi molto più elevati di modelli sempre trendy, ma di marchi meno famosi.
Tante proposte di giacche di jeans le trovi su questo store a prezzi scontatissimi.
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marinagalatioto · 6 years
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Vogliamo approfittare dei saldi per gli ultimi acquisti? Vi propongo un bell’assortimento di pantaloni taglie comode tra cui scegliere, tutti scontatissimi per creare perfetti outfit da ufficio.
Come vestirsi per andare in ufficio? Sono certa che almeno una volta nella vita te lo sei domandata anche tu. Informale? Elegante? Da segretaria imbalsamata perfetta? Con un bel dolcevita che arriva sotto il mento oppure con una scollatura esagerata? In minigonna o con i pantaloni?
In questo post non entro nel merito di cosa sta bene a chi, lo vedremo in un altro articolo specifico, qui voglio solo proporre dei bellissimi pantaloni di Rinascimento. Oltre a trovarli esteticamente molto carini sono in saldo del 50% e sono della taglia giusta.
Ci sono sia per le ragazze che indossano una “L”, che tradotto in italiano è una 46, sia per le più curvy che utilizzano la “XL” over la 48.
Rinascimento, il brand
Si tratta un brand di prêt-à-porter italiano nato agli inizi degli anno 2000 che si rivolge a donne dai 25 ai 55 anni grazie al gruppo Teddy, con sede a Rimini e fondato da Vittorio Taddei.
Inizialmente il marchio era distribuito nei negozi dove sarebbe stato venduto insieme ad altri brand, poi l’azienda ha cambiato politica ed ha introdotto negozi mono marca dove vende solamente i suoi prodotti.
Quattro le collezioni presentate ogni anno, per una donna fashion e glamour che ama vestirsi alla moda. I negozi Rinascimento si trovano in tutta Italia, ma anche in Canada, Austria, Polonia, Paesi Bassi, Irlanda, Germania, Israele, Belgio.
Il brand propone un total look che piace molto e viene indossato con piacere.
Pantaloni Rinascimento scontati
Ovviamente quando fanno i servizi fotografici scelgono modelle magrissime, ma non preoccuparti, anche con qualche chilo in più ti staranno benissimo.
Geometric
Il primo paio di pantaloni che ti propongo è Geometric. Il nome chiaramente si riferisce al tipo di disegno del tessuto. Il modello a vita alta e a palazzo, è elasticizzato e in tessuto di viscosa per il 73%. Disponibile ancora anche nelle taglie L e XL. Il prezzo regolare di questi pantaloni della stagione A/I 2018 è di 79,00 Euro, ma sul sito Rinascimento li puoi acquistare con il 50% di sconto.
I pantaloni a palazzo hanno la caratteristica di avere un’ottima ampiezza di gamba, quindi anche chi ha qualche chilo in più proprio sulle cosce, li può indossare comodamente. Per completare l’outfit da ufficio indossate una maglia. Non infilatela nei pantaloni come la modella nella foto, ma lasciatela fuori. Donerà una linea più omogenea e non spezzata e contribuirà a far notare meno le rotondità su fianchi e pancia.
Pantaloni
Questo modello corto, nel gergo si dicono cropped e sto preparando un articolo per spiegare questa parola nell’ambito della moda, sta molto bene a chi non è molto alta.
Il pantalone corto allunga la gamba e slancia. In questo caso è nero, a vita alta, con una bella cintura. Per una taglia 46 o 48 la cintura potrebbe essere di troppo, ma la vita alta è perfetta. Stringe un po’ sulle forme e non segna il punto vita.
Pantaloni Wide
Molto ampi, in crêpe stretch, con vita alta e a palazzo. Sono chiusi sul davanti con bottone e cerniera. Per chi ha le gambe muscolose o grosse sono l’ideale.
Le modelle, come vedi sono molto magre, quindi infilano la maglia nei pantaloni. Per noi che indossiamo taglie comode, questa abitudine non è molto buona. Tende a segnare il giro vita e a mettere in evidenza le rotondità. Meglio indossare maglie un po’ più lunghe che arrivano sotto la vita oppure a metà coscia. Magari ci fanno sembrare un po’ più basse, ma di sicuro sono più armoniose.
Pantaloni e maglie sono un outfit perfetto per l’ufficio, soprattutto d’inverno quando fa freddo. Per completarlo puoi utilizzare cardigan da lasciare aperti.
Ne trovi alcuni in questo articolo:
Per approfittare dei saldi al 50% su questi pantaloni utilizza i link qui sotto.
Pantaloni Geometric 
Pantaloni Cropped 
pantaloni morbidi 
shopping online Rinascimento 
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marinagalatioto · 6 years
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©prada
Oggi ti parlo della moda dei sandali con calzini Inverno 2018. Come si indossano i sandali con i calzini? E questo nuovo trend piace davvero?
Una volta parlare di calzino, anche se velato, in vista, faceva gridare all’orrore, oggi è moda. Ricordo quando il gambaletto velato veniva nascosto sotto i pantaloni e guai a dire che lo si indossava. Veniva quasi comprato di nascosto perché veniva ritenuto qualcosa di tremendamente trash.
Oggi la moda ha dato una svolta a tutto ciò e il calzino è moda, e che moda! di quelle più cool e trendy. Parliamone.
Lo street style e il calzino
Parliamo di calzino, non di gambaletto! che sono due cose ben differenti. Nel 2017 la moda ha rilanciato il calzino bianco a coste che da semplice accessorio sportivo ha fatto il suo ingresso persino sulle passerelle.
Il calzino di spugna bianco era un must degli anni Ottanta e, come dico spesso, ma moda fa lunghi giri e poi ritorna! Ecco quindi che riappare e diventa cool. Viene sdoganata e non lo trovi più abbinato solamente alle sneakers, come sarebbe logico pensare, ma anche alle scarpe o ai sandali col tacco.
Di fatto entra nell’olimpo della moda autunno/inverno 2017/2018 (ci sono anche stivaletti a calzino, ma te ne parlerò in un altro post).
Piace davvero o è solo una moda?
Iniziata nell’inverno 2017 quando il calzino veniva indossato con le décolleté è rimasto protagonista nelle scorse stagioni e lo è ancora oggi indossato anche con i sandali estivi in pieno inverno, o con gli anfibi.
Un banale calzino bianco?
Assolutamente no, perché i grandi brand della moda lo hanno riproposto reinventandolo, esempi ne sono Valentino, Gucci, Prada. Non a caso i costi sono lievitati. Si parla anche di centinaia di euro per arrivare a 1.200 circa per un paio di collant. E se acquisti calzini firmati ovviamente il marchio, o logo, deve essere bene in vista.
A cavalcare l’onda del calzino alcune fashion blogger e influencer che ne hanno postato fotografie e visto che queste ragazze hanno davvero molto seguito e dettano la moda… la moda del calzino è dilagata! L’abbiamo vista anche in passerella nelle varie fashion week.
Lo street style celebra il calzino in tutte le possibili varianti, sia corto che lungo, come puoi vedere dalla gallery.
©glamradar
©instyle.com
®peggyshoeshop
©thesequinist
© thecatwalkitalia
Ci sono anche calzini che arrivano al ginocchio e che sono davvero bellissimi da indossare, e da vedere e riparano le gambe dal freddo invernale, perché c’è da considerare anche questo.
©calzino.cam
©pinterest
©prada
Vuoi indossare anche tu i sandali con i calzini? Ci sono delle regole non tanto per la moda in sé, abbiamo visto che non va bene niente, ma poi può andar bene tutto! Le regole sono per te! Non a tutte stanno bene le stesse cose. Un calzino indossato con gusto e classe da una ragazza può essere brutto da vedere su un’altra.
Indubbiamente la moda del calzino è una sfida e se la accettiamo dobbiamo vincerla! Indossare questa strana combinazione richiede stile e anche un pizzico di audacia.
Considerazioni sulla moda del calzino in base al fisico
Non è assolutamente vero che tutto sta bene a tutte! Si tratta di una generalizzazione. Lo stesso vale per i sandali con i calzini inverno 2018 o qualsiasi altra stagione.
Devi sapere che i sandali con i calzini tendono a dare l’impressione di “accorciare” la gamba quindi se non sei tanto alta il calzino ha delle limitazioni. Cosa evitare per non sembrare più bassa? Evita l’accoppiata sandali calzini con minigonna e scegli invece l’abbinamento con gonne longuette e cropped pants.
©thevintagepoint
Le scarpe più utilizzate per l’abbinamento sono i sandali e le décolleté. I primi sono decisamente più estivi e più trendy, ma un po’ meno eleganti. Le décolleté con i calzini, invece, oltre ad essere cool conferiscono anche una certa eleganza.
Quale calzino scegliere
C’è l’imbarazzo della scelta. Nella gallery ne trovi alcuni di marchi più o meno prestigiosi. Per lo street style di ogni giorno ti suggerisco calzini colorati, che riprendano le fantasie dei colori degli outifit o anche della borsa, con volant, fiocchi e pizzi, persino perline.
Per l’inverno e il freddo pungente e lo stile cozy ti suggerisco calzettoni corti o lunghi in lana o cashmere, del colore del berretto, del pullover o della sciarpa per abbinamenti cool.
E per la sera?
Calzini velati o di pizzo con paillettes e strass, ma anche glitter da abbinare a décolleté nere, dorate o argentate e anche a sandali altamente glam.
©oroblu
La moda del calzino e l’età
Certo siamo abituate a vedere i sandali con i calzini indossati da ragazze giovani e alla moda, ma chi o cosa impedisce anche a donne più adulte di indossare sandali con i calzini? Non è l’età a impedire qualcosa, ma altro.
Prima di tutto è un’accoppiata che di per sé osa, quindi devi sentirti a tuo agio indossandoli. Poi prendi spunto da quanto vedi, ma crea il tuo stile, lo dico sempre. E per finire trova i modelli, i colori e le forme che ti stanno meglio in base al tuo corpo, la tua altezza, il tuo stile di sempre. La classe, lo stile e l’eleganza non hanno età.
In conclusione
Non so tu, ma per la moda dei calzini, anche se glam e tanto trendy, non ho intenzione di spendere un capitale, quindi eviterò quelli che costano centinaia di euro per modelli più consoni alle mie tasche e anche alle esigenze. Difatti, se ti accosti solo ora alla moda del calzino, ti suggerisco di provare!
Per farlo scegli modelli di calzini che si possono abbinare alle scarpe, sandali e décolleté che hai e che non costino troppo, così se alla fine non ti piace come ti stanno o ti senti ridicola li puoi tenere o buttare senza sentirti troppo in colpa.
Qui trovi alcuni calzini trendy che mi sono piaciuti particolarmente. Sotto la gallery trovi tutti i link per l’acquisto e credimi non spenderai più di un euro o due al paio. Torvi anche alcuni modelli in fantasia animalier, che tanto quest’anno.
Link per l’Acquisto
calzini in pizzo 
calzini bordeaux con fiocco 
calzini neri sexy 
calzini rosa con fiocco 
calzini neri con fiocco rosa scuro 
calze rosa lunghe 
calzini animalier 
calzini neri pizzo 
calzini a pois e geometrici 
calze lunghe rosa sexy 
calzettoni lunghi bianchi 
calze autoreggenti gatto 
calza lunga pizzo blu navy 
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marinagalatioto · 6 years
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Ormai mancano pochissimi giorni alla fine dell’anno, ma noi donne stiamo già da un po’ pensando a come vestirci a capodanno 2019. Ecco alcuni outfit davvero cool.
Moltissime donne cercano l’outfit perfetto da indossare, ma come ben sai, l’abito che si indossa è in relazione al luogo dove si intende passare l’ultimo dell’anno. Ci sono stupendi abiti da sera che non sarebbero adatti ad una festa in taverna, per esempio, oppure ad una cena in una baita in montagna. A meno che il contesto non lo richieda.
Personalmente non amo generalizzare e dire “questo va bene in ogni occasione“! O per tutte, perché in realtà di rado è così, anche se ci piacerebbe. Ho pensato di proporti alcuni outfit che potrebbero andar bene per una serata in discoteca, al ristorante, o a teatro, tanto per citare alcuni luoghi dove di solito si passa l’ultimo dell’anno.
La notte di San Silvestro, è questo il nome del santo dell’ultimo giorno dell’anno, di solito si passa in qualche locale, con i mariti, compagni, fidanzati, e con gli amici per divertirsi in compagnia e accogliere il nuovo anno con brindisi, baci e abbracci, nonché tanti auguri per un anno migliore.
Capodanno al Ristorante
Una delle mete più gettonate dalle persone di una certa età. Certo anche le quarantenni vanno in discoteca, ma molto spesso, con il passare degli anni, ai luoghi rumorosi e affollati si prediligono quelli più tranquilli dove si può passare la serata con gli amici a chiacchierare.
Per primo ti propongo un abito rosa, in chiffon, lungo fino ai piedi, morbido ed elegante. Se come me hai un po’ di pancetta, questo è perfetto. Questo abito stile impero cade morbido da sotto il seno e la nasconde. Adatto anche ad una serata importante o per una sera a teatro.
Può sembrare leggero, ma indossato con una bella stola ti terrà il caldo necessario. Considera che nei ristoranti pieni, con il riscaldamento acceso, di solito fa molto caldo. La stola potrai toglierla, o tenerla sulle spalle a seconda della temperatura del locale. Per il tragitto, invece, puoi indossare un cappotto lungo e morbido o anche una pelliccia ecologica.
Questo abito lo trovi scontato del 55% in questo store online. Puoi usufruire della spedizione gratis e se hai fretta c’è quella veloce, in 24 ore.
Fare shopping tra le pagine di Milanoo può essere super conveniente anche perché puoi partecipare all’estrazione dei premi di Babbo Natale e puoi vincere fino a 50€ di buono.
Un’opportunità in più per fare shopping online su Milanoo.
Ma andiamo avanti con le proposte per il Capodanno 2019. La prossima è un abito rosso in stile sirena. Questo è indubbiamente il colore dell’ultimo dell’anno. Per consuetudine all’ultimo dell’anno si deve sempre indossare qualcosa di rosso, perché non un abito?
Bellissimo e molto chic questo abito modello a sirena, perfetto per il ristorante, con la sua eleganza e la linea semplice impreziosita da perline.
Si allaccia dietro con dei lacci ed è lungo fino a terra. Anche questo è disponibile in tutte le taglie con uno sconto del 65%. Invece di quasi 200€ lo si paga meno di 70€. Lo trovi qui.
Abbinalo con una stola per quando sei all’interno e con un cappotto o una pelliccia per il tragitto.
  Il nero è un colore elegante che non va mai fuori moda. Il total black è sempre trendy non potevo quindi tralasciare un outfit con il colore più gettonato che ci sia!
Capodanno in Discoteca
In discoteca di sicuro andranno le più giovani, il tipo di outfit è quindi differente, anche se alcune potrebbero preferire comunque il lungo. Un abito perfetto per le giovani e magre è questo abitino corto e smanicato molto cool.
  È un abito molto carino, smanicato, con scollo rotondo ricamato. Mi piace molto per il gioco di tessuti realizzato con il tulle.
Disponibile in tutte le taglie è scontato del 35% e lo trovi a questo link.
              Altro abito che mi è piaciuto e che ho trovato sempre su Milanoo è quello che trovi nella foto sotto. Trovo che la gonna ampia e il colore siano perfetti per il Capodanno. Si tratta di un bel capo vivace e allegro. Lo trovi qui.
Non potevo anche qui non scegliere un capo nero per un look total black. Se vuoi rendere l’abito più modaiolo e cool lo puoi abbinare ad accessori dorati o argentati adatti all’ultimo dell’anno.
  Mi piace per le spalle nude e per la linea semplice. Lo trovo elegante e sexy allo stesso tempo. Disponibile ormai solo nella taglia “S” lo trovi a questa pagina.
È scontato del 35% e disponibile anche in bianco.
                  Il prossimo mi piace perché è sexy e perfetto per una serata a due, ma anche per la disco. Lo trovo particolare ed elegante. È realizzato in tessuto Spandex elastico che consente di allargarlo di venti centimetri.
Abito super trendy scontato del 30% è da indossare senza reggiseno per non rovinare l’effetto nude sulla schiena. È disponibile qui.
Tutte gli abiti che ti ho proposto sono super scontati e con l’opzione spedizione veloce puoi averli in 24 ore. Se ti iscrivi alla newsletter di questo negozio online ricevi poi un coupon sconto di 10€ da spendere sul tuo primo acquisto.
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Come Vestirsi a Capodanno 2019: outfit per le feste . . #capodanno2019 #comevestirsiacapodanno #comevestirsiultimoanno #ilblogdialice #abitiperlefeste #abitidonna #sconti #feste #oufit #trendy #cool #moda #fashion Ormai mancano pochissimi giorni alla fine dell'anno, ma noi donne stiamo già da un po' pensando a come vestirci a capodanno 2019.
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pangeanews · 6 years
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“Non pubblicare tutte le stupidaggini che scrivi”: i consigli a un giovane scrittore di Abelardo Castillo
In Argentina lo scrittore di racconti ha uno status particolare. Mentre per noi ‘narratore’ e ‘scrittore’ sono sostanzialmente sinonimi, e uno status specifico è offerto al ‘romanziere’, in Argentina tra cuentista (scrittore di racconti) e novelista (scrittore di romanzi) la distinzione è netta, non soltanto ‘formale’, ma perfino spirituale. Il cuentista, per usare un gergo calcistico – che gli argentini apprezzeranno – ha la solitaria follia del portiere e il genio speciale del numero dieci. Il cuentista è una specie di mago perché con pochi elementi sa creare la vita, gli bastano rari legni per avviare l’incendio. Se il novelista può abusare delle parole, il cuentista ha l’obbligo dell’esattezza, è un cecchino, punta all’essenziale. Il cuentista, insomma, è la quintessenza dello scrittore. Ora. Quanto a storia della letteratura ci mancano alcune generazioni. Tutti gli italiani di buone letture, per dire, conoscono Julio Cortázar e Jorge Luis Borges. E spesso lì si fermano. Pochi, penso, hanno letto Abelardo Castillo, la cui importanza, nel campo della letteratura e della scrittura di racconti in particolare, è pari a quella di Robert Falcon Scott: se non ha scoperto il Polo Sud – quello lo lasciamo al duo Borges+ Cortázar – poco c’è mancato, è stato l’esploratore più sagace e vivace. Classe 1935, esordio di precoce violenza – a 24 anni un suo racconto, Volvedor, viene giudicato meritevole di premio da una giuria formata da Borges e da Adolfo Bioy Casares – dobbiamo la conoscenza di Castillo in Italia a due piccoli, tenaci editori. Nel 2002 l’editore Crocetti pubblica Il vangelo secondo Van Hutten (1999), che è una picaresca indagine nei recessi enigmatici dell’annuncio evangelico – antica ossessione di Castillo, che nel 1961 scrive un testo per il teatro incentrato sulla figura di Giuda Iscariota, El otro Judas, premiata al Festival di Nancy nel 1964 – mentre nel 2015 Del Vecchio Editore stampa I mondi reali, raccolta di racconti pubblicata in origine nel 1997. Ma, appunto, Castillo è stato il grande animatore della nuova letteratura argentina: nel 1959 fonda la rivista ‘El Grillo de Papel’, con un editoriale ‘bombarolo’, “pensiamo che l’arte sia uno degli strumenti che l’uomo utilizza per trasformare la realtà e unirsi alla lotta rivoluzionaria”. Poco importa che la ‘rivoluzione’, nel caso suo, sia stupendamente estetica. L’anno dopo il governo di Arturo Frondizi blocca l’attività del giornale. Castillo non si rabbuia. Nel 1961, insieme a Liliana Heker, di cui pubblica i primi racconti, fonda ‘El Escarabajo de Oro’. La rivista resta in piedi fino al 1974. Vi faranno parte, come collaboratori, i massimi scrittori latinoamericani del tempo, da Cortázar a Carlos Fuentes, da Miguel Asturias a Ernesto Sabato e Juan Goytisolo. Lì fanno il loro esordio autori importanti come Alejandra Pizarnik, Isidoro Blaisten e Sylvia Iparraguirre, che diventerà sua moglie (il suo La terra del fuoco è stato pubblicato da Einaudi nel 2001). Dal 1976, questo instancabile animatore culturale, genio del racconto breve, drammaturgo di fama internazionale – Israfel, dramma basato sulla vita di Edgar Allan Poe, viene rappresentato da Eugène Ionesco in Francia, da Christopher Fry in Inghilterra e da Diego Fabbri in Italia – s’inventa, insieme alle sue donne – la Heker e la Iparraguirre – ‘El Ornitorrinco’, rivista letteraria di fronda, osteggiata dalla dittatura militare, che nel 1979 inserisce il nome di Castillo nella ‘lista nera’ degli intellettuali ostili e indesiderati. Negli ultimi anni la vita di Castillo è costellata da premi: il maestro del racconto breve, dalla formidabile vigoria (El espejo que tiembla è del 2005, l’anno scorso è pubblico Del mundo que conocimos), muore esattamente un anno fa, il 2 maggio del 2017, per le complicazioni di una piccola operazione. Teorico della scrittura, ricordiamo Castillo – stimolando gli editori nostrani a pubblicarlo – riproducendo alcune Minimas – che sono il contrario delle ‘massime’ – pubblicate in calce al libro di saggi Ser escritor (2005). Con la raffinatezza di chi incide annali sul vetro, Castillo non offre ‘consigli’ ai giovani scrittori: sparge interrogativi, sconfina abissi.
*
*Puoi bere, fumare o drogarti. Puoi essere pazzo, omosessuale, mutilato o epilettico. L’unica cosa necessaria per scrivere ottimi libri è essere un ottimo scrittore. Ovvio, ti consiglio di non scrivere da drogato o da ubriaco o mentre fai l’amore né di scrivere con la mano monca o nel mezzo di un attacco di epilessia o di follia.
*Un muratore può abitare la casa che ha costruito, ha detto così, grosso modo, Sartre, e un sarto può indossare l’abito che ha cucito; uno scrittore non può essere il lettore del proprio libro. Un libro è ciò che i lettori vi mettono dentro. Nessuno scrittore può aggiungere un significato nuovo alle proprie parole. Se può farlo, deve scrivere un altro libro.
*Non scrivere che qualcuno ha preso qualcosa con ‘entrambe’ le mani. Basta scrivere ‘le mani’, e a volte ne è sufficiente una sola. La gente, di solito, ha una ‘faccia’, non un ‘volto’. Sulle scale non si ‘ascende’, si ‘sale’. Non entrare nelle ‘camere da letto’, entra in un ‘dormitorio’. Evita le ‘finestre’ e soprattutto le ‘grandi finestre’. Sii parsimonioso: se quello che arriva al galoppo è un cavaliere, non c’è bisogno del cavallo. Il contrario è impossibile. La parola ‘cavallo’ giunge misteriosamente senza cavaliere.
*Quello che dice Borges sui sinonimi è vero: non esistono. ‘Cane’ non è la stessa cosa di ‘molosso’, e la parola ‘cagna’ non ha lo stesso valore di ‘puttana’. Mi raccomando, però, di usare un buon dizionario dei sinonimi. Uno intende scrivere: ‘parlò a bassa voce’. Visto che non gli piace, sostituisce con ‘voce sinistra’, che è una formula orrenda. Allora sfoglia il dizionario e a caso, da qualche parte, scopre la parola ‘pallida’. E scrive: ‘parlò con una voce pallido’, e questo è buono.
*Non usare mai aggettivi in ordine decrescente, mai dire: ‘Era una montagna titanica, enorme, alta’. Se non lo capisci da te, nessuno può aiutarti. Se sai aggettivare bene, non crederti un grande stilista. Hai usato l’ultimo aggettivo, dimenticandoti di cancellare gli altri due.
*Nessuno scrive un libro. Si scrivono solo bozze. Un grande scrittore è quello che ha scritto le bozze migliori.
*Non cercare di essere originale o di richiamare l’attenzione. Per farlo non c’è bisogno di scrivere racconti o romanzi: basta uscire di casa nudo.
*Non descrivere altro che l’essenziale. La posizione del piede, in molti casi, è più importante del colore delle scarpe.
*Scrittori ed editori pensano che un romanzo sia più importante di un racconto. Non credergli. È solo più lungo.
*Gli scrittori di racconti pensano che il racconto sia il genere più difficile. Non credere neanche a loro. È solo più breve. Il racconto è difficile solo per chi non dovrebbe tentarlo. Per Poe era facilissimo, per Cortázar, Cechov e Hemingway lo stesso.
*Non ti impressioni il fatto che siano esistiti Dante, Cervantes, Shakespeare. Tutto accade sempre la prima volta: anche il tuo libro.
*Attento al computer. Tutto è così pulito da sembrare ben scritto.
*Magari sei invidioso, malvagio, un po’ stupido, avaro, una brutta persona. Non ti preoccupare: un buon libro è sempre migliore di chi lo ha scritto.
*Non conservare mai nella tua libreria i libri che hai scritto. Il posto dei tuoi libri è nella libreria di un altro.
*Gide ha detto che con le buone intenzioni si scrivono cattivi libri. La verità è che anche con le cattive intenzioni si scrivono a volte cattivi libri. Il fatto è che nessuno sa come si scrivano i buoni libri.
*Non basta che ti sia accaduto qualcosa perché sia interessante per un altro. Questo vale per la scrittura come per la conversazione.
*Leggere un grande romanzo o un bellissimo racconto è tanto appassionante come averlo scritto. Se non l’hai sentito, non inventare, per amor di Dio, dedicati alla critica letteraria.
*Isadora Duncan ha detto: “Voglio ballare con questa sedia”. Lei potrebbe, forse. Ma un romanziere, un narratore, un drammaturgo, non desiderano ballare, dipingere né fare musica con le parole. Desiderano raccontare una storia.
*Non pubblicare tutte le stupidaggini che scrivi. Ci penserà la tua vedova.
*Scrivere ciò che si vuole è destrezza. Scrivere ciò che si deve, onestà. Il più grande e il peggiore degli scrittori sono la stessa cosa: scrivono unicamente come possono.
*Non chiedere in prestito un libro. I grandi libri si comprano o si rubano.
*Se un libro ti è piaciuto molto puoi regalarlo. Ma non prestarlo: avresti una disperata necessità di rileggerlo quella notte stessa.
*Stai attento a Borges, Kafka, Proust, Joyce, Arlt, Bernhard. Stai attento a quella prosa folgorante a quegli universi così tanto intensi. Si attaccano alle tue parole come patelle. Queste persone non hanno scritto così: era così.
  L'articolo “Non pubblicare tutte le stupidaggini che scrivi”: i consigli a un giovane scrittore di Abelardo Castillo proviene da Pangea.
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