Tumgik
#e niente mentre loro facevano casino per lui e gli amici di lei per lei io ero molto gelosa di lei perché si è paccata AleG
omarfor-orchestra · 1 year
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Bellissimo il film il mio commento finale è sbattimi come un tappe[SPARO]
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sciatu · 3 years
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Ravioli-rosa-di-pesce-spada-e-cernia-grigia; Ravioli ripieni di Cernia ;ravioli di spigola con sugo di pescespada ; Ravioli neri ripieni di pescespada; Ravioli-di-melanzane-con-sugo-di-pesce-spada ; ravioli-con tartare di pescespada ; ravioli-ripieni-di-pesce spada con burrata finocchietto e vongole; ravioli-di-pesce-spada con ricciolo di limone; ravioli ripieni di pescespada con pomodori Pachino; Ravioli-a ghiotta ripieni di pescespada
Un amore in tre atti unici - Atto secondo
FEBBRAIO 2020 - SAPERSI
Guardò la rampa di scale, l’ultima prima di arrivare al pianerottolo di casa sua. La osservò rendendosi conto che era tornata a casa senza far caso alla strada fatta, presa com’era dai suoi pensieri e dal nulla che la circondava. Ormai, con il lockdown, tutte le strade erano vuote e solo le macchine della polizia o dei carabinieri le popolavano di inquietudine. Lei tornava sempre a casa di corsa senza neanche alzare la testa a guardarsi intorno perché, ormai, non c’era nulla da guardare. Era tutto strano, con tutti quei morti al nord e l’attesa che il male arrivasse pure nell’isola facendo una strage perché gli ospedali siciliani non erano come quelli del nord. Salì l’ultima rampa di scale ed incominciò ad aprire con un gran rumore di ferraglia il suo portoncino. Si aprì la porta alla sinistra della sua, quella della signora Carmela e la vecchia con la sua figura minuta e i capelli bianchissimi apparve con una busta di plastica in mano
“Signora bonasira – esordì – è venuto il signor Giuseppe e le ha portato qualcosa da mangiare. A noi ha portato il pane e una teglia di salsiccia e patate, ai Romeo una teglia di pasta al forno: con i loro tre figli e il marito disoccupato, gli ha fatto un bel pensiero. Il signor Giuseppe è una bella persona, meno male che c’è gente come lui picchì si no ni ittiriumu unu a scippare l’occhi all’ autru (incominceremmo a strapparci gli occhi l’uno all’altro).”
Lei la ringraziò e dopo due parole di circostanza entrò in casa.
Da quando i ristoranti erano chiusi, Giuseppe le portava ogni giorno la cena. Lei appoggiò il sacchetto sul tavolo e lo aprì. In un portavivande vi erano dei ravioli di gamberi e pescespada in un brodo di crostacei. Solo l’odore la ripagò della tristezza della giornata. Si cambiò ed incominciò a mangiare con la televisione accesa ma con il volume al minimo. Non aveva voglia di sentire parlare ancora di morti e di dolore. Nel sacchetto c’era anche una bottiglia piccola di Rapitalà , lei si riempì il bicchiere e andò a sdraiarsi sul letto. Sul comodino vi erano i menù del ristorante di Giuseppe. Aprì quello emozionale e lesse la descrizione dei ravioli:
“Una nuvola di pescespada impreziosito dall’amorevole dolcezza mediterranea del prezioso gambero rosso, in una sottilissima sfoglia di pasta solare, il tutto cucinato in un delicato ed intenso brodo di scampi e cicale, esaltato da pezzettini di aromatica triglia di scoglio e di freschissime verdure di stagione.”
Sorrise. Giuseppe sapeva descrivere le cose in un modo bellissimo. Prese il menù Sensuale e lesse lo stesso piatto
“La passione amorosa del pescespada sposata con la dolcezza sensuale del gambero unite per la vita in una sfoglia di morbida ed appassionata pasta, sottile come il sospiro di una innamorata vogliosa. I ravioli si amano sospesi nel mare della vita addolcito dall’intensità degli scampi e delle cicale, in un unico abbraccio amoroso con i frutti della terra. Piatto dedicato a chi ama i sottili piaceri della vita, l’amore inteso come dolce continuo desiderare e gustare, il sesso come lento cammino verso il piacere”
Sorrise ancora. Guardò l’orologio, doveva chiamare i suoi e sentire come stavano ed ascoltare le disgrazie di famiglia. Nella mezzora di discussione finì il vino e la pazienza. Per cui tornò in cucina a mettere il piatto nell’acquario in mezzo a tanti altri sporchi e a preparare la caffettiera e la tovaglietta per la colazione. Fece in fretta perché Giuseppe l’avrebbe chiamata alle ventidue precise, un appuntamento che dava senso alla sua giornata.
Alle ventidue si sdraiò sul letto e attese. Il cellulare si illuminò mostrando un piatto di tagliolini con astice.
“Quindi io sarei una a cui piace continuamente desiderare e gustare?”
“Certo, hai una sensualità compressa, il giorno in cui la renderai libera sarai una tigre del sesso”
“Oh povera di me! Mi stai dando della Messalina repressa,”
“Sto dicendo che sei un albero che ancora non sa fiorire”
Decise di cambiare discorso
“Sei ancora arrabbiato per l’altra volta?”
“Sto metabolizzando e pensando. Non mi aspettavo che reagivi in quel modo”
“È che non sopporto che mi si stia vicino, che mi si tocchi”
“Questo lo posso capire. Non capisco come mai non mi vuoi dire perché. Poi ti stavo abbracciando, non ti stavo strozzando.”
“Ecco – sentì che tutto le stava sfuggendo di mano, che non vi era una spiegazione se non quella vera, quella che non voleva dire – poi magari ne parliamo di persona … ora, al telefono non mi viene facile”
“Neanche di presenza ti viene facile … sembra che non ti fidi di me …”
“No, non è questo … non ti so spiegare … Per favore parliamo di altro, mi fai sentire sotto processo”
“Come vuoi, ma se qualcuno ti lancia un salvagente mentre anneghi non puoi voltarti dall’altra parte”
“Non sto annegando!!!”
fece lei esasperata in modo secco ed arrabbiato.
Giuseppe restò in silenzio per quasi mezzo minuto
“Ti sono piaciuti i ravioli?” esordì improvvisamente
“Si molto buoni, tua madre è molto brava”
“Si, continua a cucinare per tutti. I fornitori, quei quattro contadini e pescatori che ci forniscono, le hanno detto di pagarli poi con calma, quando riapriremo, ma lei li continua a pagare regolarmente, come se ancora facessimo il tutto esaurito”
“Come mai?”
“Dice che se ci fermiamo tutti, i soldi non girano più e tutto si blocca. Per fortuna, con la storia che sono tutti a casa e che molti non escono neanche per la spesa, ci ordinano pranzi completi da consegnare a casa, e restiamo in pareggio”
“È un brutto momento. Vedere tutti quei vecchi che aspettano al freddo e sotto la pioggia fuori dalla posta il loro turno è angosciante. Speriamo che il lockdown serva a qualcosa…”
Continuarono a parlare di quelle cose banali che si dicevano sempre e lei si rese conto che stavano parlando per sentirsi ancora vicini malgrado il suo scatto nervoso di prima. Giuseppe le dava corda perché voleva tranquillizzarla ma lei sentiva che anche lui era come imbarazzato.
“Ora sono stanca – gli disse improvvisamente – ci sentiamo domani”
Probabilmente lui guardò l’orologio e sicuramente notò che stavano finendo prima del previsto.
“Va bene, riposati, ciao”
concluse brevemente
“Ci sentiamo domani mattina … ti chiamo io … ciao ciao”
Si sentiva in colpa. Giuseppe non voleva essere insistente. Capiva che lei aveva dei problemi e voleva aiutarla, ma lei … lei non era pronta. Forse non lo sarebbe mai stata, ma adesso meno che mai. Con tutta questa provvisorietà, tutto questo casino che stava succedendo, non era il momento di parlare del passato. Di dissotterrare fantasmi, demoni e fobie. Si certo, il loro era un rapporto strano, anche lui se ne era accorto. Prima che lei andasse dai genitori a Capodanno l’aveva invitata in campagna con dei parenti e amici. Era la loro prima uscita, un modo di rendere ufficiale quello che già dentro di loro sapevano. Qualcuno si era messo a suonare uno di quei balli paesani, la Cumparsita o un un'altra musica latina. Lui l’aveva tirata in mezzo alla sala a ballare. Lei era andata sperando che con lui non avrebbe avuto problemi. Invece appena l’aveva stretta in lei era incominciata l’ansia, più lui la stringeva, più lei sentiva crescere in se la paura, un inquietudine angosciante, una sensazione di soffocare e di dover fuggire. Gli disse sottovoce “lasciami, basta”, ma lui felice perché lei era li con lui di fronte a tutti i suoi, sorrise e continuò a girare seguendo la musica. Fino a che lei non si mise ad urlare “Lasciami, lasciami, ti ho detto di lasciarmi” e si divincolò restando nel silenzio assoluto e con tutti i presenti che la guardavano stupiti. Lei li guardò, poi corse al suo posto a prendere il soprabito e scappò fuori. Lui l’aveva rincorsa chiedendole scusa, che non gli sembrava di averla importunata più di tanto, ma lei gli disse solo di portarla a casa, che era stanca.
Da allora non si erano più visti e se lui chiamava lei gli rispondeva che non voleva parlare, che era troppo presa. Non andò più al ristorante e da allora ogni sera si trovava davanti alla porta la cena calda. Dopo una settimana lo chiamò per dirgli di non mandare più niente: Giuseppe rispose che era sua madre a mandargli i piatti pronti, lui sarebbe venuto di persona e piano piano rincominciarono a parlare, principalmente di notte, quando i telegiornali avevano finito di contare i morti e i positivi e facevano vedere camion piene di bare e strade vuote. In quella penombra di morte che copriva ogni città ed ogni quartiere, nel risentirlo lei scopri che ne era felice. Che forse aveva sbagliato a non dire le cose come erano. Ora, quella sera, avevano di nuovo litigato. Non che avessero veramente litigato, ma quel suo scatto era stato un eccesso imprevisto, come quello di quando ballavano. Il senso era sempre quello. Lei che non riusciva a parlare. Ma Giuseppe non aveva colpa, non doveva sempre trattarlo così. Non era giusto.
Richiamò
“E’ successo qualcosa?”
“No, volevo chiederti scusa per prima. Mi sono saltati i nervi per la stanchezza”
“non era la stanchezza lo sai”
“No, è che in ufficio mi fanno disperare”
Lui restò in silenzio, poi iniziò con una voce seria
“Ascolta, con questa pandemia non siamo a niente, ma non saremo mai a niente se continuiamo a parlarci a distanza e distanti l’uno dall’altra. Proprio quando tutto è provvisorio come ora che bisogna fare delle scelte e trovare dei punti fissi di riferimento. Ti sto chiedendo solo di parlarne per incominciare a trovare la nostra strada.”
“Ma è solo stanchezza, quando passerà e il virus scomparirà, tutto diventerà normale”
“Facciamo così: io tra un ora sono li da te sotto casa. Se mi mandi un messaggio salgo e ne parliamo seriamente, se no saremo sempre qui a parlare come gli innamoratini e presto ce ne stancheremo. Una relazione non dura se non capiamo chi è che abbiamo davanti. Possiamo dirci tutte le parole del mondo ma se non diciamo mai quelle vere, quelle che dicono chi siamo, non diciamo nulla”
“Hai ragione ma non è così semplice, poi c’è il coprifuoco…se ti fermano cosa dici? Che hai la zita che ha le paranoie? Cerca di essere pratico”
“Fra un ora sono li. Tu sei più importante di qualsiasi multa. Se non mi fai salire sarò li domani e dopodomani ancora, finché non parleremo o ci lasceremo.”
Chiuse la telefonata.
“Il solito testardo e presuntuoso. Per me te ne puoi restare fuori per tutta la notte ... “
Pensò arrabbiata. Prese il bicchiere andò a cercare un po' di vino. Non ne trovò perché con il Covid non aveva più tempo di fare la spesa. Si arrabbiò, il vino l’aiutava a cacciare i demoni e a non averne paura. Decise di farsi una lunga doccia e di lasciare sul tavolo il cellulare così da non rispondere al suo messaggio. Quando non avrebbe avuto risposta se ne sarebbe tornato a casa con le pive nel sacco. Andò in camera da letto e si spogliò. Quando lo faceva non guardava mai lo specchio dell’armadio, ma quella volta era tanto arrabbiata con lui che non se ne ricordò e quando si levò la canottiera di cotone, si vide allo specchio. Restò sorpresa e si osservò. Le cicatrici brillavano sotto la luce riflessa dello specchio. Erano tante, lunghe e dritte o curve e qualcuna serpeggiava da un fianco all’altro per come quei demoni gliele avevano fatte. Malgrado i dottori avessero fatto miracoli si vedevano ancora e in certe parti il suo corpo sembrava sformato e irregolare o cresciuto a casaccio. Cosa ne poteva sapere lui, non aveva sentito come lei i loro corpi contro il suo impotente ed ormai un giocattolo su cui sfogare tutto il male che una fantasia malata poteva immaginare. Lui non poteva sapere la violenza, l’umiliazione, il dolore, l’orrore che c’era nell’essere usata, nel subire tra le botte e lo schifo, le voglie di un altro. Lui non poteva saperlo e non era colpa sua. Lei aveva sbagliato a crederci, a dargli corda a pensare veramente che la vita potesse anche dare invece di togliere e basta. Non era servito a niente andare in un'altra casa con altra gente, in un'altra vita, i demoni l’avevano seguita e quando durante la festa lui non l’aveva lasciata, lei si era sentita tra le braccia dei suoi diavoli e si era ribellata. Non era colpa sua, non poteva sapere. Lei forse doveva fargli capire che lei … ma non sapeva neanche come definirsi, come spiegare. Non era colpa sua, si ripeteva sotto la doccia. Lui era buono, ma se l’avesse vista nuda, con tutti i segni dei demoni, che cosa avrebbe fatto? e tenerlo lontano, a cosa serviva? Aveva ragione che stare così senza dare o avere vuol dire essere morti. Pensò che lui non si era arreso, insisteva a voler capire e questo non per presunzione ma perché a lei ci teneva. Glielo aveva fatto capire in mille modi! Perché non accettare di mostrare i suoi problemi, le sue fobie, quello che alla fine era? Aveva ragione lui, era meglio trovare il coraggio di chiarire, chiamare le cose con il loro nome
Uscì velocemente dalla doccia e mettendosi l’accappatoio corse in cucina a prendere il telefono. Vi era il suo messaggio di un quarto d’ora prima
“Salgo?”
Rispose subito
“ Si vieni, vieni”
E corse ad aprire la porta cercando di fare il meno rumore possibile. Quando aprì lui era già dietro la porta che sorrideva
“Vieni”
Disse lei e lo tirò dentro chiudendo velocemente.
Lui entrò andando in cucina
“Che casino che c’è..”
Lei si avvicino e senza dire niente lo baciò stupendosi lei stessa di quanto stava facendo e capendo che per quanto lui insisteva a cercarla, lei stessa, a modo suo, lo cercava con la stessa intensità, lo voleva con il suo stesso desiderio e tutti i suoi modi che lo spingevano via, erano solo una maschera con cui nascondere il suo bisogno di averlo accanto. Perché aveva bisogno di essere amata e desiderata da lui e di amarlo e desiderarlo allo stesso modo, con la stessa intensità. Capì che le era mancato, che tutto quel pensare e considerare, ora che c’era lui, non aveva senso se non per ribadire che non poteva tornare indietro facendo finta che tutto era tornato normale. Lui rispose al bacio ma non l’abbracciò. Lei fu contenta di questo e disse che andava un minuto di la a mettersi qualcosa. Dovevano prima parlare, poi poteva accadere tutto quello che doveva accadere, ma prima doveva avere il coraggio di mettere le cose a posto. Andò nella stanza da letto, chiuse la porta e girò la chiave come sempre faceva quando non era sola in casa, poi dal comò prese una mutanda e una maglietta e incominciò a slacciarsi la cinghia dell’accappatoio. Nel fare questo si girò verso la porta e guardandola si rese conto che aveva fatto qualcosa di strano. Aveva chiuso a chiave la porta, quasi barricandosi nella stanza da letto, anche se di là c’era Giuseppe che tra tutti gli uomini di questo mondo, era quello che non avrebbe mai potuto farle del male. Il suo Giuseppe, quello che sapeva cosa lei volesse prima che lo pensasse. Non erano serviti a niente i buoni propositi di prima: la paura guidava ancora le sue azioni consce ed inconsce. Chi le aveva fatto del male era lì con lei, nella falsa sicurezza della stanza da letto, nella prigione in cui i suoi ricordi l’avevano chiusa. Aveva ragione Giuseppe, doveva parlare, doveva dirgli di lei e delle cicatrici, del perché non dormiva la notte e non voleva essere toccata. Buttò sul letto la mutandina e la maglietta e lentamente andò verso la porta e dopo qualche secondo di esitazione girò la chiave e l’aprì. Camminò per la casa con l’accappatoio ancora addosso come se fosse in trance. Arrivata sulla porta della cucina lo vide che stava mettendo in lavastoviglie un piatto.
“Giuseppe …”
lui si raddrizzò e si asciugò le mani con un tovagliolo guardandola, lei si avvicinò e cercò le parole che non aveva mai voluto dire prima.
“… io…volevo dirti, io …”
E si fermò incapace di iniziare a descrivere il mostro che da anni viveva come un diabolico parassita dentro di lei. Allora, disperata perché i suoi incubi le avevano levato la capacità di parlare di loro, di descriverne l’infelice causa ed i terribili effetti, slacciò la cinghia dell’accappatoio e lo lasciò cadere per terra facendo vedere quello che i suoi demoni avevano lasciato sulle sue carni.
Giuseppe continuò a guardarla negli occhi, senza indulgere sul suo corpo o mostrare meraviglia per le offese che vedeva. Lei capì che anche se non l’osservava vedeva quelle cicatrici e con loro tutto il male che le avevano fatto, ma sembrava che non volesse dargli importanza come se non gli interessasse. Voleva dirle che per lui contava solo il dolore che sapeva dentro di lei che le rubava quella serenità che voleva per lei, e che era il loro presente, il loro futuro e non il passato che non meritava di essere considerato. Allora lei prese coraggio e lentamente si avvicinò ancora di più e quando fu a pochi centimetri da lui lo abbracciò goffamente, tremando e vincendo la repulsione che provava perché ora che sentiva il suo calore e il suo profumo capiva che ne era attratta, mentre gli incubi rimasti dentro la sua anima le gridavano di correre via, al riparo del dolore che un altro corpo poteva darle, via a rinchiudersi dentro la stanza da letto, a vivere come una reclusa, una sepolta viva. Ma lei lo stringeva e non voleva fuggire: di tutta la sua vita, sentiva questo momento come l’unico in cui aveva preso per mano il suo destino. Per questo motivo voleva restare stretta a lui come da sempre non aveva mai stretto nessun altro, come un naufrago aggrappato ad un relitto per salvarsi, per non finire annegata negli abissi delle sue paure.
Lui non l’abbracciò, le accarezzava i capelli con le sue labbra, ma non l’abbracciò.
“ Quando te ne sei andata dalla festa mi sono messo a pensare. Ho chiamato un collega giornalista che copre il tuo paese e gli ho chiesto se li da lui fossero successi dei fatti che avessero coinvolto delle ragazze – lentamente incominciò a baciarla in fronte e poi ancor più lentamente sull’orecchio e sul collo, ma non la stringeva ancora – mi ha mandato degli articoli. Una ragazza era stata uccisa ad un passaggio pedonale, una seconda aveva rapinato con un amico una farmacia per rubare del metadone. Una terza era una minorenne – lentamente, usando lo stesso tono di voce continuò a baciarla sul collo e quindi sulla spalla e lei scoprì che il suo toccarla le dava inaspettatamente piacere – questa ragazza fu violentata sul treno che prendeva per andare a scuola nel capoluogo da tre ragazzi che, spaventati da una possibile denuncia, l’avevano picchiata e inferto una ventina di coltellate lasciandola per morta. La ragazza sopravvisse ma dovette subire molte operazioni perché del suo corpo avevano fatto uno scempio – Si fermò a baciare la spalla più volte – nell’ultimo articolo che ho letto, avevano intervistato la madre e lei diceva che sperava che condannassero i tre all’ergastolo perché sua figlia l’avevano violentata nel corpo e nell’anima, tanto che ora non poteva neanche abbracciarla che lei tremava e scappava via perché per lei ogni contatto fisico era il ricordo della violenza”
Tornò a baciarla sfiorandole appena le labbra.
“allora ho capito che avevi i tuoi motivi per non farti mai abbracciare e toccare e che non potevo lasciarti prigioniera di una violenza che per te non era mai finita “
“abbracciami, stringimi... – disse lei con il volto contro il suo petto e gli occhi chiusi – ho bisogno di sapere che tu non sei come quelli”
Lui alzò le mani ad accarezzare le sue spalle poi le fece scendere lungo la schiena e l’abbracciò leggermente, al bacino. La sentiva tremare, ma non si staccava da lui ne rifiutava il suo abbraccio, anzi lo stringeva più forte quasi a chiedergli di proteggerla dalla stessa paura che quell’abbraccio faceva nascere in lei. In quel momento, nel profondo della sua testa, lei era sdraiata su un sedile del treno, una mano le stringeva la bocca per non farla gridare, qualcuno le stava tenendo le gambe aperte, altre mani le stringevano i polsi per tenerla ferma, mentre sentiva un corpo schiacciarla e un dolore tra le gambe che cresceva fino a diventare un fuoco. Si dibatteva disperatamente e qualcuno la prendeva a pugni e schiaffi o la tirava per i capelli. Sentiva dolore ovunque, in bocca aveva sapore di sangue fino che le arrivò un pugno sulla tempia che la stordì e tutto di nuovo fu solo dolore e schifo in un buio assoluto. Avrebbe voluto morire ma si strinse a Giuseppe, dicendosi che era tutto finito. Tutto, finalmente, era finito.
Giuseppe capì che lei stava lottando contro i suoi demoni, era una lotta silenziosa e terribile quella che lui sentiva nel tremore del suo corpo, una lotta per uscire dall’oscurità dei suoi incubi e poterlo amare ed essere amata per come voleva e doveva, per ritrovare la luce di quella impossibile stato d’animo, che chiamano normalità.
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BAGNINO AL LIDO AU PT 3
Olé
negli episodi precedenti e precelingua E FUTURAMA
Una cosa: ci sarà una parte quattro perché questi disgraziati mi fanno essere logorroica
Due cosa: sono onestamente shockata dal successo e da quanti di voi abbiano apprezzato una delle cose più a caso che ho scritto e onestamente dal profondo del mio kuore: GRZ
(spero solo di non deludervi)
Ermal aveva scoperto una cosa che odiava di più della sabbia
Ed era sentirsi un coglione perché credeva di piacere a qualcuno
Perché fin ora poteva accettare di venir rifiutato anche ogni santo giorno ma Fabrizio sembrava,,,,diverso???
"i ragazzi sono tutti uguali" sentenzia una voce alle sue spalle. Elisa, quella del bar, l'amica di Fabrizio.
Per quella sera Ermal fu intrattabile E VORREI VEDERE
E a ben vedere, per tutti i giorni a seguire
In teoria, era ben consapevole che non si erano detti nulla ufficialmente anzi, probabilmente era tutto nella sua testa
In pratica non poteva far a meno di fargli tutto completamente schifo incluso Fabrizio
Magari gli facesse davvero schifo Fabrizio
E quindi passa la giornata a rispondere a cazzo alle persone e a stare sotto l'ombrellone
Poi Fabrizio finalmente torna full force a passare il tempo libero con loro e oh boi. B o i
Ermal, internally: probabilmente non gli piacevo è libero di fare quello che vuole non stiamo insieme non ho nessun diritto di essere disturbato può farsi chi vuole ecc ecc ecc
Ermal, externally: HERE'S THE CHEATING BASTARD
Fabrizio dal canto suo basito basito suave suavecito non ci sta capendo un cazzo
Manca una mezza settimanella per stare con altri amici, torna, e si trova 3/4 del gruppo (ormai tra quello di Ermal e quello suo non c'era più distinzione) che gli fa i side eye, Ermal col veleno al posto della lingua e pure Elisa che lo guarda e scuote la testa
Fabrizio c'ha più F4 che anima
E lascia passare il primo giorno, che alla fine tutti parevano tornati alla normalità tranne Ermal
E fai passare il secondo, che magari c'ha i pensieri suoi e per questo risponde male
E via il terzo con Ermal campione nel mondo nell'ignorarlo e nello stare a km di distanza da lui
Al quarto, che Fabrizio stava là a suonare una canzone che si era studiato DI PROPOSITO per Ermal che ne avevano parlato, questo si alza e se ne va e allora no scusa che cazzo stiamo a dì
Il sole stava ancora tramontando che Ermal si era alzato e aveva preso a camminare in direzione con i piedi nell'acqua lungo il bagnasciuga e pareva gli avessero messo il pepe in culo per quanto scappava
Fabrizio si era messo letteralmente a correre per raggiungerlo e mettergli una mano sulla spalla
"mi spieghi che cazzo hai?"
Ermal, che ha 5 anni, lo guarda un momento e poi ricomincia a camminare PIÙ VELOCE
Fabrizio sta a tanto così dal placcarlo, ma ha imparato che a volte la miglior tattica è la pazienza
Quindi si mette e gli cammina affianco, aspettando che Ermal si rompa i coglioni
Neanche il tempo di pensarlo che Ermal sbotta "ma insomma non c'hai di meglio da fare?"
"ah no sono liberissimo"
E così per altri 10 minuti. Avevano superato la fine del "loro" lido da un bel po' ma Ermal non accennava a fermarsi
"vuoi farti tutta l'Italia dalla costa?" "E se anche fosse" "capirai che è un po' fuori di testa"
"non mi pare di aver chiesto il tuo parere"
Fabrizio si era rotto i coglioni pure troppo "Mi dici che ti ho fatto che stai tanto incazzato? Non ci vediamo da una settimana"
Truth is: Fabrizio era anche un po' ferito. Non diceva di volere le scene da cinema con tanto de corsa rallenty, ma nsomma
"Sicuro non ti sarai annoiato sta settimana. Non hai la tizia con cui vederti? O avete già scopato e non ti interessa più?"
A quel punto Ermal è costretto a fermarsi perché ha il polso bloccato in una stretta ferrea e uhm, forse aveva esagerato.
"di che cazzo stai parlando, oh?" "Mollami il braccio" "non mollo proprio niente ora mi sto stufando, pare che t'ho ucciso il gatto"
Ermal stacca con forza il polso dalla presa "sono sicuro che se torni, la tipa ti fa fare un altro giro. Non credo qualcuno ti direbbe mai di no"
"Ma che cazzo stai a dì che non scopo da tre mesi"
A quel punto stavano urlando e basta, spaventando quelle povere persone che si erano attardate per godere ancora del mare
"peggio per te che non sai cogliere i segnali, visto che praticamente te la sventolava davanti, l'altra sera" fu la risposta gelida di Ermal
Una lampadina minuscola, una minilucciola ancora non fulminata, si accende nel cervello di Fabrizio, con la sua Maria interiore che manda l'RVM delle serate alla ricerca di quello che intendeva l'altro e,,,,oh
"ma che sei geloso?"
Seh Fabbrì ciao.
Ermal ride istericamente
"No, Fabrizio, non sono geloso" "c'hai 'na strana maniera di dimostrarlo"
Non volendo, Fabrizio comincia a sorridere perché si insomma, il pensiero non poteva che fargli piacere.
E Ermal un po' si odiava di più perché aveva visto il sorrisino soddisfatto dell'altro e invece che incazzarsi ancora di più aveva voglia pure lui di sorridere damn when did he get so cute
"Non so di preciso cosa tu abbia visto o sentito dire o che cazzo ne so, ma non è successo niente"
"non mi devi spiegazioni o giustificazioni" "EH BOH EVIDENTEMENTE SI. È una tipa che mi ha presentato l'amico mio, Gallo, tedesca, non capivo un cazzo di quello che diceva e lei non capiva me e quando ha reso abbastanza chiaro quello che voleva ho declinato, tutto qua"
Per un momento c'era solo il rumore del mare e le voci in lontananza di gente e musica proveniente dai baretti, mentre Ermal assimilava l'informazione
"ma perché." Chiede infine, più a se stesso che a lui.
Fabrizio strabuzza leggermente gli occhi e se fosse in un anime avrebbe pure la mascella a terra perché IN CHE SENSO PERCHÉ TI DEVE FARE LA DICHIARAZIONE IN CARTA STAMPATA IO BOH
"cosa perché" "perché non ci sei stato" "perché non era chi mi interessava"
AH
"E chi è che ti interessa?" "Un cretino che mi ha fatto imparare una canzone intera degli Oasis, ecco chi"
A quel punto erano uno di fronte l'altro, Ermal ancora un po' titubante, quando Fabrizio lo prende per mano e comincia a marciare nella direzione da cui erano venuti
E se Ermal era in qualche maniera contrario non lo dava a vedere, anzi. Docilmente si lasciava portare mentre il suo cervello cercava di far mente locale tra quello che gli aveva detto e le implicazioni e tutti i sentimenti che si andavano impiastricciando nel mezzo
Perché la cold hard logic gli diceva che Fabrizio non era andato a letto una tipa pure bella da paura, per lui
E la mano che stringeva la sua (un po' troppo perché fosse una presa rilassata, quasi avesse paura Ermal sarebbe fuggito o boh cose) era un ulteriore prova
Ma,,,,,,,,,,non aveva senso. Non riusciva a processare una cosa del genere
E quindi non lo fa, perché l'ignoranza e il denial sono i motori che portano avanti questo mondo
Camminano in silenzio e riescono pure a rallentare il passo una volta che Ermal gli restituisce la stretta e gh sono così bellini per fortuna che Roberto aveva la macchina fotografica quella BuonaTM o Vige non sarebbe riuscito a fare la foto della VITA
(perché ovviamente li stavano tenendo d'occhio vi pare che un gruppo di pettegoli del genere si faceva i cazzi suoi, è già tanto che Paolo non avesse messo su i microfoni)(Temptation Island levati che qua stanno i professionisti)
Tornano dal gruppo, scagandoli di brutto in favore delle sdraio messe UNPOPPIÙINLLÀ su cui in teoria non ci si potrebbe mettere ma fregacazzi ci lavorano
Seduti uno di fianco all'altro, chitarra nel mezzo, Fabrizio prende a suonare le prime note di quella che Ermal riconosce immediatamente come Slide away
Che Fabrizio fosse bravo con la chitarra, Ermal lo sapeva da tempo, ma raramente cantava con serietà, lasciando di solito quella parte a qualcun'altro
E Ermal si sentì più speciale che mai solo per quel regalo
Perché per quanto acerba e incerta -e lasciamo perdere la pronuncia-, la voce di Fabrizio era qualcosa di assurdo
Il modo in cui accarezzava le parole e sentiva il testo
Now that you're mine, we'll find a way of chasing the sun. Let me be the one that shines with you.
Ermal rabbrividì all'ultimo ritornello, perché Fabrizio lo stava guardando dritto negli occhi e tutto ciò che voleva era togliere di mezzo la chitarra e baciarlo
E si sentiva stupido perché neanche un'ora prima avrebbe preferito non vederlo mai più
E ora Fabrizio stava spostando la chitarra e se lo era tirato addosso, facendo finire il naso di Ermal sotto il suo collo
"me sei mancato sta settimana" gli dice Fabrizio tra i capelli, prima di lasciarci un bacio
Ermal non risponde -non può- e si limita a stringere i bordi della maglietta
Rimangono così per un po'
Aka finché Ermal non sente la schiena fargli troppo male perché non era davvero la posizione più comoda del mondo e quelle sdraio sicuro non erano luxury
E tra una cosa e l'altra scemo e più scemo (vivibu) si cominciano a rendere conto che c'è un po' troppa gente in spiaggia
Cioè, davvero TROPPA
"ma che giorno è oggi?" "Uhm, martedì credo, perché?" "...il numero Fabbrì."
Insomma era il 7 e c'era la Festa di Nonsoché e la gente si era riversata sul lido perché facevano i fuochi d'artificio dall'acqua
Che in teoria è uno spettacolo bellissimo kudos a chi li prepara bravo chi spende i soldi e suvvia
In pratica c'era troppa gente per i gusti di entrambi che avrebbero preferito stare in ogni posto tranne che quello
Localizzare i loro amici era un casino perché si erano spostati senza manco avvisare
(Vige voleva andare ma in tre lo hanno placcato. Tre. Povero Vige)
Quindi Bizio c'ha l'idea del secolo e salta in piedi, mettendosi la chitarra sulla spalla e con l'altra mano prendendo il polso di Ermal
"ma dove stiamo andando? Vuoi approfittare del casino per rapirmi e uccidermi?"
Fabrizio alza gli occhi al cielo e non risponde, ma sente Ermal ridacchiare da solo
"vieni, conosco una scorciatoia"
Get ready for the final show ;)
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"#Moment 25.11.19 with Kimberly e Madeleine Jacob aveva promesso di portare ciò che gli era avanzato delle decorazioni che aveva fatto con le pigne. L'attività manuale, soprattutto manipolando oggetti trovati in natura, era sempre stato un toccasana per lo spirito dello sciamano. Era anche attraverso questi piccoli gesti che reiterava la sua connessione con la Madre e il proprio io interiore. Se poi poteva aiutare un'amica a sentire meno il peso delle feste, a trovare un po' di gioia ben venga. Aveva anche chiesto a Kim di portare la pergamena. La affidava a lei, sicuro com'era che non avrebbe subito conseguenze. Lui non avrebbe potuto. Per lui quella carta era come avvelenata. Madeleine Jackson * Quelle poche ore al giorno che passavo in libreria mi facevano bene. Certo, anche Nadine,la mia commessa, mi stava trattando come se fossi di cristallo ma mi stavo abituando a questa cosa. Alla fine potevo uscire e questo mi bastava, anche se le,mie condizioni ormai si vedevano. Quei giorno ero lì anche per pensare a come addobbare il negozio. All’appartamento avrei pensato poi. Mentre ero davanti alla vetrina che pensavo sentii la porta e mi ritrovai davanti Jake accompagnato da una splendida ragazza * Jake! Che bello vederti! E tu devi essere Kim,molto piacere! Prego,entrate pure, che mi raccontate? Kimberly Cooper * Aiutare qualcuno, si, soprattutto se è in difficoltà E visto che lei ha vissuto tanti momenti difficili , quando Jack le ha proposto di andare da Madeleine lei non si tira indietro. Ha con sé la pergamena dello scandalo, Jack non ne tollera nemmeno la vista e lei la porta in realtà come un fardello. Quando la vede sorride dolce* Si sono Kim Piacere mio * La saluta cordialmente* Jacob: "Come ti avevo promesso, ti ho portato le decorazioni. Niente che tu non approveresti. In realtà sono delle pigne che mi sono divertito a renderle natalizie, con pacchettini o facce buffe. So che non sei molto... incline alla festa ma un po' di luce serve anche a te. Soprattutto ora. Posso chiederti come stai o magari pensi che sono l'ennesimo che ti tratta da statuina?" e le fa l'occhiolino con un sorriso. "Ho anche altro da mostrarti ma... solo se mi dici che stai bene." aggiunse in maniera frettolosa. Madeleine * Prendo il pacchetto che mi porge e sorrido ed entrambi.* No, sto benissimo, sono incinta non malata. È qualcosa che la gente non riesce a tenersi in mente! Venite con me al bancone, ci appoggiamo lì! * tirai fuori le pigne e sorrisi. Forse quest’anno avrei avuto delle belle decorazioni al negozio. Ma poi mi feci attenta alle loro ultime parole* Ditemi tutto. Ci sono novità....in quel senso? * sapevo che avrebbero capito il mio riferimento * Kimberly  No aspetta aspetta...sei incinta? Ohhh che bello!!! Non me lo aveva detto jack * La abbraccia piano ma felice* E comunque il Natale è qualcosa che serve, soprattutto ora Io amo il Natale!! * Sorride felice mentre si incupisce appena a quella frase. Le sarebbe tanto piaciuto cancellare quella parte* Jacob fa un lungo sospiro e cerca di placare l'ira che gli stava montando. "Sarà relegato nel Tel'aran'rhiod ma sto bastardo sa come farsi sentire in questo piano astrale. Mi ha mandato una pergamena. Con una scritta. E credimi sto cercando in ogni modo di mantenermi freddo e lucido su questa questione. Se te lo stai chiedendo, ce l'ho qui. O meglio, ce l'ha Alice." le rivolse uno sguardo triste e, con le labbra, le mimò un 'scusami'. "Continua a parlare del regalo e di Eleri. Come se potessi farci qualcosa in proposito." Madeleine *Abbraccio felice la ragazza, sento che è una persona positiva è sono davvero felice del fatto che Jake l’abbia portata a farmela conoscere. Ho bisogno di circondarmi di persone belle come loro. Le parole di Jake però mi riportano coi piedi per terra * Si allora...una pergamena dicevi. Fammela vedere, Kim, vediamo un po’ se ci capiamo qualcosa. L’avete già tradotta? O avete avuto sensazioni strane quando l’avete vista? * bisognava capire anche quello che la pergamena aveva suscitato in loro* "Non c'è bisogno di tradurla. E' scritta nel nostro linguaggio. Come mi sono sentito? Ero in negozio, ho represso un urlo e mi sono lanciato in un inseguimento con invocazione al Grande Spirito che mi facesse trovare chi l'aveva recapitato. Inutilmente. Immagino che non dovevo trovarlo il messaggero ma solo leggere e muovermi come un burattino. Agli ordini di quel dannato Charles Haller." Kimberly  Oh sembrava un pazzo in realtà *, Tira fuori la pergamena e gliela porge* Mi sono spaventata un casino, sembrava come impazzito. Era fuori di sé .. non so come aiutarlo * Ammette e sospira* Jacob rispose molto velocemente, la sua voce era quasi simile a quella di un ringhio. "No. Non ho intenzione di mettere a repentaglio nuovamente la tua vita. Soprattutto ora che sei incinta. Il tuo compagno potrebbe uccidermi se sapesse che tu ti sei proposta per una cosa così pericolosa. E non potrei dargli torto, onestamente parlando. In più qui c'è anche Kim. Dovresti proteggere anche lei, visto che è inesperta, per non dire altro. Sarebbe un errore da tutti i punti di vista. Se vuole dirmi qualcosa, mi trova nel Tel'aran'rhiod. Quello è un luogo in cui possiamo incontrarci, un luogo in cui ho davvero voce in capitolo. E' il mio ambiente, sono un Camminatore dei Sogni dopotutto. Non sono il suo fottuto burattino." https://giphy.com/gifs/nerdistdotcom-no-nope-26BGPCpmEuxh4aJtS Kimberly * poggia una mano sulla spalla di Jack, lo vede agitato, ansia a gogo e quasi trema come un animale selvatico. Cerca di carezzarlo per calmarlo e annuisce alle sue parole* Si, è pericoloso per te e il bimbo... O almeno so che è una cosa super pericolosa quindi... * Mormora* Jack però cerca di rilassarti, per favore Madeleine * Capivo le ragioni di entrambi, però volevo essere utile in qualche modo. Così mi presi qualche arrivo per riflettere.* Sentite...come sapete sono una medium, dunque qualcosa mi riesce di vedere anche senza sedute o regressioni ipnotiche che possono essere pericolose. Un’alternativa ci sarebbe. Potremmo utilizzare il pendolino e una mappa della città. Magari il pendolino può darci una traccia, non so del luogo, oppure se c’è qualcosa di concreto dove guardare. Che ne dite? Jacob la fissò incuriosito. "Questo limiterebbe i danni per tutti quanti, in effetti. Ma se dovessi sentire che qualcosa non va, stacca immediatamente per favore. Io non ho una mappa della città però con me... ok, sono uno stupido. Siamo in una libreria e sicuramente tu ne avrai una. Kim ha ragione, devo calmarmi o non riesco neanche a pensare lucidamente." Kimberly  Ecco questa è una bella idea! Dai mi sembra meno pericoloso E... Sembra tanto un episodio di strege * Ride per un attimo e annuisce stringendo la mano di Jack* Respira, calmati , vedrai che andrà tutto bene Made mi sembra sicura che non ci saranno pericoli * Sorride dolce per tranquillizzarlo* Madeleine Sì, quel telefilm mi sa che aveva tra gli sceneggiatori qualcuno che ne sapeva perché alcuni incantesimi sono veri! * faccio loro cenno di spostarsi nella parte del bancone quasi in fondo vicino alla porta del magazzino. Prendo la pergamena e la porto con me, lasciandola sul bancone in un angolo.* Torno subito. * Vado a prendere un pendolino e una mappa di New York poi torno e la stendo lì * Ora vediamo cosa dice il pendolino, tenete conto che ci vuole un po’ di tempo e magari non riusciamo subito al primo colpo. Vediamo. * Inizio a mettere il pendolino sulla mappa ma non succede nulla. Di improvviso si sposta sulla pergamena, puntando quella pagina. Guardo i miei amici interrogativamente.* Ma che può significare, questo? Jacob fissò il mòdo in cui il pendolino si muoveva e gli venne un'idea strana. "Rylan, non so dove ti trovi ma spero che ti arrivi il mio odio ovunque tu sia. Forse ho capito cosa sta cercando di dirci il pendolo." Prese la pergamena e la mise sopra la mappa di New York. Il pendolo puntò diritto sulla Public Library a Brooklyn. "E' una delle biblioteche più antiche della città. L'altra è nel Queens. Sono persino antecedenti al consolidamento di New York di fine ottocento. Se quel bastardo voleva mandarmi qualcosa, quello era il posto più giusto dove conservarlo. Dubito che ci sia una sezione esoterica." Vide che le due donne lo stavano guardando in maniera strana. "Cosa ho detto di sbagliato? Mi piace leggere la storia delle città, soprattutto se è quella dove vivo." disse tagliando corto. "D'accordo abbiamo un punto di ricerca da cui partire. Certo sarebbe più comodo se sapessi con precisione cosa devo cercare ma immagino che una volta in biblioteca lo capirò. Spero. Giuro che se è qualcosa di nocivo, gli faccio un falò purificatore." concluse rabbioso. Kimberly * Guarda la ragazza quando propone il pendolino e li per li non capisce, ma quando vede muoverlo rimane stupita e apre la bocca estasiata, per quanto strana sia la situazione, la trova di una figaggine assurda. Quasi si ridesta dallo stato di trance quando Jack prende la cartina di NY e comincia a parlare delle biblioteche* Si..ehm...non ci ho capito nulla di ciò che hai detto * Ammette grattandosi la testa ma annuisce* Qualsiasi cosa ti serva io sono qui. Dimmi che posso fare per te? Madeleine * Prendo il pendolino e lo arrotolo nella mano destra, lasciando che il calore del mio palmo lo scaldi. Mi ha sempre rassicurato e anche quella volta non fa eccezione.* Hai capito Rylan...beh Jake direi che ci sono ottimi punti di partenza. Certo sì forse non ci sarà una sezione esoterica ma sicuramente ci sarà una sezione libri antichi? Prime edizioni? Secondo me potreste partire da lì, cosa dite? * Era certa che Kim gli avrebbe dato tutto l’aiuto di cui lo aveva bisogno * Ovviamente io sono sempre qui per qualsiasi cosa. Se avete bisogno mi fate una telefonata e io arrivo!
All'improvviso Jacob chiude gli occhi. "Mi serve carta e penna. Presto! Prima che mi sfugga quello che sto vedendo ora." Kim tirò fuori dalla borsa un block notes e una penna e glieli porse. Non appena lo sciamano prese in mano la penna sembrò quasi che la sua mano si movesse di volontà propria. Con gli occhi chiusi scrisse delle cifre che non sembravano aver molto senso. La mano si fermò e Jake aprì gli occhi bruscamente. Osservò quelle cifre senza comprendere molto. "Immagino che una volta in biblioteca avrò la soluzione di questo enigma." la sua voce era calma ma il suo animo ribolliva di pura furia. Voleva chiudere quella questione con la sua vita passata il più presto possibile ma Rylan non sembrava intenzionato a cedere il passo. Anzi. Ero un bastardo dedito al comando? Probabilmente si, pensò. "Grazie per l'aiuto Maddie, a buon rendere. E ti farò sapere i nuovi sviluppi. Però a questo punto voglio lasciarti fuori dalla questione. Non voglio rischi per te... e per me. Non voglio certo diventare l'ennesima anima sul groppone del tuo uomo. Ho troppe cose da fare per questo. Scherzi a parte, vediamo dove Rylan mi porterà. Sperando che sia finita, anche se ne dubito." E così dicendo fece per alzarsi e uscire dal negozio assieme a Kim. [ end role ]
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pangeanews · 5 years
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Ora vi spiego come funzionano i Servizi segreti. Con appendice sul romanzo che avrebbe potuto scrivere Cossiga e su quel grande romanziere (e agente) di Maugham. Dialogo con Marco Giaconi
Sull’ultimo numero del New Yorker Adam Gopkin si è rimboccato le maniche e ha messo sul tavolo tre libri di vario contenuto e incerta preparazione, per parlare di… intelligence. Ho provato a seguirlo nelle sue buffe argomentazioni, ma alla fine ho deciso di fischiare a Tornado e gli sono saltato in sella. Come Zorro. Il mio Tornado si chiama Marco Giaconi.
*
Professore, che titoli ha Gopkin per parlare di intelligence, sia questa nordamericana o globale? Sul New Yorker lui ha tutti i crismi per ‘fare opinione’ perché occupa quello scranno da più di trent’anni e ha consegnato alla biblioteca di Babele alcuni libri dai titoli fantasmatici tra i quali Tante piccole sanità. L’avventura morale del liberalismo (che sembra pensato dal Vernacoliere) oltre a Parigi al chiaro di luna e Angeli del passato. Breve storia di Darwin, Lincoln e la vita moderna. Nell’articolo che vorrei commentare con lei, Gopkin fa di tutto: sfoglia l’ultimo lavoro di Andrews (The secret world) e si eccita a leggere le storie della CIA che negli anni Sessanta sperimentava l’LSD sulle sex workers per verificare la resistenza umana alla manipolazione. Insomma, capra e cavolo?
Non credo che Gopkin abbia qualche esperienza diretta di intelligence, ma ha la boria assoluta e comica dell’intellettuale, soprattutto di formazione letteraria. C’era un professorello, all’Università di Pisa, il quale diceva che, siccome tutti usano il linguaggio, allora noi professori di lettere sappiamo tutto, perché tutto si esprime con il linguaggio. Gopkin ha solo l’autorità dei salotti di Manhattan, e questo gli basta. Ecco, la droga lo eccita, ovviamente, come un vecchio sex worker di qualche università. Ma il progetto MK-ULTRA era una operazione di mind control della CIA che operava anche con l’ipnosi e altri farmaci. Una operazione, e altre simili le facevano i sovietici, peraltro allievi di Pavlov, per il controllo a distanza del pensiero, soprattutto dei leaders avversari. Cazzate positiviste cessate, grazie a Dio, alla metà degli anni ’70. I sovietici, comunque, erano più seri, poiché utilizzavano la parapsicologia. L’LSD era, poi, la molecola purificata dell’acido lisergico, la dietilammide, quella che rendeva la segale cornuta e soprattutto il suo fungo preferito, il Claviceps delle graminacee, così pericolosa per le popolazioni medievali. L’Ergotismo, l’infezione da claviceps, fu all’origine di migrazioni e rituali dell’Evo di Mezzo, tra streghe e visioni. Ecco, siamo ritornati proprio al punto di partenza.
Vorrei una definizione sommaria, caustica e cinica di questa escogitazione di Gopkin: “la regola è semplice – se avete molte informazioni segrete non per questo prenderete decisioni intelligenti. Per due motivi. Spesso, quando avete informazioni segrete, queste sono sovrabbondanti e non sapete quali contano e quali no. Inoltre, una volta trovato il modo di raccogliere informazioni, vi impuntate che i vostri nemici abbiano fatta la stessa cosa con voi e quindi vi abbiano rimpinzato di informazioni fasulle per portarvi a prendere decisioni sbagliate”.
L’intelligence non serve, quasi mai, a raccogliere singole e uniche informazioni segrete. Non c’è una perla nera e magnifica nascosta da qualche parte. Serve a comprenderle, le notizie, siano esse dati palesi o riservati. Non a caso, l’OSINT, Open Source INTelligence, è la maggiore area di attività di ogni Servizio moderno. Le operazioni coperte si fanno non per avere questa o quella notizia coperta da segreto assoluto, che non esiste, e se esiste è irrilevante, ma per condizionare e deformare gli strumenti, tutti, anche quelli palesi, dell’avversario. Le informazioni davvero segrete possono essere, comunque, anche misleading, perché hanno con la realtà lo stesso rapporto che con essa hanno le notizie comuni. Il problema non è la notizia, ma il ragionamento che ne viene fuori. È proprio quello che è esatto o meno. Questo Gopkin mi pare appartenga quindi alla setta di quelli che dicono che i Servizi non servono, tanto ci sono loro, scrittori del New Yorker, che già capiscono tutto, tra un Martini molto secco e un succo di papaya ecologico. Si calmi, comunque, Gopkin, tanto le notizie vengono verificate, e bene, non siamo mica dei giornalisti alla moda.
Secondo Lei perché adesso pure i ‘salami’ di Yale pretendono storie controcorrente che illuminino i segreti dietro le quinte, siano essi segreti di Stato o meno? Perché tanto chiasso attorno al libro di Andrews?
The Secret World di Andrew, il vecchio decrittatore, insieme a Mitrokhin, degli appunti del russo asportati dall’archivio del KGB, è una lunga e molto british storia della funzione dell’intelligence. Il “rapporto Impedian” fu poi trasferito, con tanta paura da parte degli italiani, da Servizi inglesi a tutti i Servizi collegati in Europa, almeno per quello che li riguardava direttamente. Apparve anche un vice-direttore del SISMI, un Carabiniere appena uscito dalla sua barzelletta d’ordinanza, che disse, per non avere fulmini da D’Alema, che non c’era niente di vero… Ci fu, e immagino che oggi negli Usa saranno tanti, quelli che diranno che il rapporto “era falso”, come sostennero fino alla noia anche i membri di estrema sinistra della Commissione ad hoc che il governo Berlusconi, nel 2002, riprese da un progetto del governo d’Alema. Probabilmente gli scrittori si accorgeranno, con un bagno di realtà prodotto dal testo di Andrew, che il mondo è infinitamente più complesso e, perfino, più divertente delle fesserie noiosissime che scrivono i giornalisti d’assalto per cento e cento pagine. Il problema, per chi legge Andrew, è che l’intelligence opera soprattutto come certe aziende private, crea una sensazione, uno stato d’animo universale, una idea fissa. Che diventa la verità. Ecco il vero mestiere: creare un mondo, ma non credere di arrivare alla sua verità profonda, che oggi nemmeno i massimi decisori conoscono bene. Ma, certo, l’intelligence è l’unico modo serio di semplificare razionalmente e realisticamente un sistema geopolitico.
Mi viene in mente che spesso Lei parlava di Cossiga in merito al suo culto di Botero e della ragion di Stato. Le chiederei di approfondire il punto prima di tornare a bomba ai nostri nordamericani piallati come racchette da ping pong. Ora, Cossiga era un raffinatissimo uomo di cultura: tutta, più storia che letteratura, ma la figlia avrebbe scovato nelle carte post-mortem un romanzo. Come se lo immagina, questo testo, posto che il Presidente Emerito era un battutiere e un conoscitore di uomini nel lampo di un secondo?
Me lo immagino come un Dumas sardo. Colpi di scena, un personaggio, ma non il principale, che tira le fila della storia e la spiega ai lettori, come in certi romanzi d’appendice, poi ammazzamenti, donne fatalissime (che a Cossiga piacevano molto, amava le donne, ma soprattutto quelle molto vivaci) e infine un prete che risolve i drammi di coscienza del cattivone, che poi si rivela buono come il pane. Mi correggo: non un Dumas sardo, ma un Manzoni con nonno pastore “balente”. È l’epoca, comunque, di Botero. Senza un grosso casino in ogni pagina, mi viene difficile immaginare un romanzo di Cossiga. Amava i caos, che sapeva ordinare. Probabilmente sarà anche un romanzo di quelli che si leggono d’un fiato.
E del segreto number one, di Moro? Cossiga ne aveva, all’inizio, un timore reverenziale. Poi ci dev’essere stata qualche critica, ma sempre in quel modo particolare in cui si critica un uomo che si stima. Forse Cossiga non aveva approvato il modo del ‘compromesso storico’ ma la sostanza gliel’era andata giù? Era pur sempre una fase in cui la DC avrebbe addormentato anche il leone comunista, con tanti soldi, molta corruzione, l’apparente piacere sommo e sublime del potere. Come era accaduto con il PSI. O dico male?
C’erano due problemi: evitare il condizionamento, per la DC, di un PSI che aveva, ormai, come unico progetto politico, il nuovo Fronte Popolare, ma al governo con i cattolici, che si sarebbero drasticamente ridotti. Il secondo problema: evitare che il PCI andasse al potere mantenendo i suoi links con Mosca. Non a caso, anche vedendo il Rapporto Impedian di Mitrokhin, il KGB penetrava preferibilmente i cattolici di sinistra. O certi ambienti di affari. I comunisti lavoravano già per loro, quelli dell’Est, non c’era bisogno di utilizzarli come corrieri. Cossiga ebbe dubbi seri sul compromesso storico quando si accorse che anche la gauche caviar, la più cretina di tutte, era diventata un asse di espansione del “K”. Sapeva, Cossiga, che i brigatisti venivano “selezionati” con il tramite dell’allora direttore della fighissima “Terrazza Martini” a Milano, che poi passava i fogli ad altri, che non vi dico di certo. E che la rivolta militarizzata di piazza e di sinistra, iniziata con l’aiuto del Patto di Varsavia, era diventata il piatto girevole su cui giocavano Servizi amici e nemici, ma soprattutto amici. E, mentre Moro era nella “prigione del popolo” di Roma, dopo qualche altro trasferimento, certi documenti viaggiavano dalla loro sede naturale verso bar e altri luoghi in cui, poi, i brigatisti li riprendevano, per passarli ad altri. Dopo la morte efferata di Moro, la NATO era “nuda”.
Però una cosa erano i socialisti, altra i comunisti. Dietro il PC c’era una grande potenza nucleare. Quindi da noi servì la pianificazione di una Forza di Intervento Rapido nucleare autonoma per il Mediterraneo. Lei che se ne occupò sa dirci se Cossiga ne fu contento? E gli altri?
La pianificazione di un “tridente” nucleare la feci io, su suggerimento velato, come sempre, proprio di Cossiga che, naturalmente, l’avrebbe verificata con i tecnici. Cossiga, appena vedeva una divisa (non la mia) si elettrizzava. Immaginate cosa sarebbe successo se noi avessimo avuto un’arma credibile di warning strategico come il nucleare, nel caso dell’invasione “democratica” della Libia gheddafiana. O come sarebbe cambiata la distribuzione dei poteri nel Maghreb, con o senza l’operazione USA delle “primavere arabe”. Potevamo unificare noi il Mediterraneo, con Spagna, Grecia, Francia, Balcani, magari perfino con la Turchia, che intanto stava diventando, come è ora, potenza terrestre verso l’Asia Centrale. Ma non si piange sul latte versato. Io avevo presupposto un nucleo di comando militare supremo nazionale, a seguito dell’Ok del Governo e del Presidente. Che si accordavano loro con la NATO. Ovviamente, non lo volevano né i britannici né gli altri, sarebbe stato un impedimento grave alla divisione del potere postbellico in Europa, una usucapione settantennale che, oltre a non essere contemplata dal diritto, mostra tutti i segni dell’irrigidimento cadaverico. Gli arabi, infatti, jihadisti o meno, questo almeno l’hanno capito.
Tempo fa mi disse che forse il vero romanzo che Cossiga stava scrivendo era il Servizio, argomento sommo da Tito Livio fino a Graham Greene e oltre. Caso strano, i grandi scrittori del Servizio (Maugham) erano anche ottimi agenti. Si veda il caso di Kipling o di Wodehouse, sbilenco agente infiltrato tra i nazisti. In Italia ci sarebbe qualche esempio per una storia della letteratura scritta da autori del Servizio sul Servizio?
Già, Cossiga amava l’intelligence come pochi, e la capiva benissimo. Anche quella altrui. Con questi politici cachettici, educati al moralismo ipocrita anglosassone e alla storiella dei Servizi “deviati” (ma da altri) il cappello politico sull’intelligence o è stupido o troppo oppressivo. Cossiga lo amava, il Servizio, perché la politica estera è l’anima della politica interna, e perché l’anima della politica estera è l’intelligence. Un sillogismo ancora valido. “Intellettuali” famosi contattati dal Servizio come “agenti di influenza” e che operano con Servizi collegati e amici, ce ne sono diversi, in Italia, ma nessuno, che io sappia, ha mai scritto qualcosa di romanzesco sul Servizio. Passerebbe, certamente, per “fascista”, qualunque cosa si intenda con questo termine. La Storia, probabilmente, nella quale i romanzieri non eccellono quasi mai. Qui ci vuole il british style.
Ci dà la sua top five per i romanzi di Maugham? Io propongo: In villa, Storie ciniche, Acque morte, Lo scheletro nell’armadio, La luna e sei soldi.
In Villa mi piace molto, con questo plot da Firenze anglicizzata, dopo secoli che la famiglia reale di Londra fece fallire le banche dei Bardi e dei Peruzzi, e mi viene in mente il film di propaganda “Il Re d’Inghilterra non paga”, pellicola di propaganda fascistissima, ideato dal librettista preferito di Puccini, Gioacchino Forzano. Qui, con Maugham, solita signora british un filino mignotta. Lo scheletro nell’armadio è sapiente, una analisi perfetta del sistema letterario e della naturale, e perfino prevedibile, cattiveria umana. Acque Morte, il medico drogato e sapiente. Il Beau Monde di Storie ciniche, che riesce a rendere piacevolissima alla lettura l’inutilità assoluta di certe persone. Infine la Luna e sei soldi, la storia di un piccolo borghese che va a fare il pittore, mediocre, a Parigi e poi a Tahiti, come quell’altro. Che, magari, era mediocre anche lui. La mano comune che si intravede, nel Maugham del Servizio e in quello dei romanzi, è la capacità di leggere tutti i contraddittori e sottilissimi aspetti di un personaggio.
Come commenta il modo sfuggente di Maugham di eliminare le sue opere a bruciapelo? Abbiamo la nota preziosa di le Carré che dice di un Maugham piromane: distrusse almeno sedici novelle regnante Churchill quando stavano per imbastirgli un processo stile Wilde. E poi c’è quest’altra impresa dalla biografia che Ted Morgan gli dedicò nel 1980: insieme al segretario Alan Searle, Maugham era impegnato in una sessione di falò notturni nel salotto della Villa Mauresque vicino Nizza, nel 1958. Pile di lettere finivano nel mucchio, insieme a bozze e altri manoscritti. Searle doveva provare orrore per quei materiali preziosi andati in fumo e provò a salvarne alcuni; ma la mattina dopo, trovato Maugham a colazione, questi gli disse: ‘Notte buona per lavorare, ieri. Ma ora tocca bruciare quel che hai nascosto sotto il sofà’. Che dire? Maugham sembra faccia il paio con gli avventurieri della Russia zarista, o magari con Barry Lyndon…
Snobismo. Dal quale gli anglosassoni tentano di sfuggire e tanto più ci entrano con tutte le corna. Forse qualche documento da far sparire, ma qui mi riferisco al settore Wilde, non al Servizio, qualche nevrastenia rimasta, la sua mania di perfezionismo, roba da college in cui si impara, al massimo, ad essere come Wilde. Sì, Maugham voleva essere un avventuriero, ma gli mancava la faccia tosta. E la rapida semplificazione dei caratteri.
Andrea Bianchi
(To be continued)
*In copertina: William Somerset Maugham (1874-1965), grande scrittore affratellato all’Intelligence
L'articolo Ora vi spiego come funzionano i Servizi segreti. Con appendice sul romanzo che avrebbe potuto scrivere Cossiga e su quel grande romanziere (e agente) di Maugham. Dialogo con Marco Giaconi proviene da Pangea.
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