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#graffiti urbani
marcogiovenale · 4 months
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mercoledì 15 maggio, al mlac - museo laboratorio di arte contemporanea, tavola rotonda sulle ...scritture irregolari
OGGI, mercoledì 15 maggio – alle ore 17:00 presso il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea (P.le Aldo Moro 5, Roma – Palazzo del Rettorato) tavola rotonda su Parole in cammino. Scritture brut e asemiche, graffiti urbani, poesia visiva… nel contesto della mostra Scritture erranti a cura di Gustavo Giacosa intervengono Claudio Zambianchi, Tommaso Pomilio, Ada De Pirro, Marco Giovenale,…
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lamilanomagazine · 9 months
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Toscana: inaugurati i murales di "Empoli. Oltre i muri"
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Toscana: inaugurati i murales di "Empoli. Oltre i muri" Due murales per dire sì all'arte e alla cultura anche in contesti urbani e dunque meno usuali. Murales protagonisti di "Empoli. Oltre i muri", progetto a cura del Comune di Empoli che si è avvalso della collaborazione dell'associazione Start Attitude, realtà nata nel giugno 2017 che coinvolge, sotto la guida di Gian Guido Maria Grassi, un team di giovani creativi under 35 con competenze complementari con all'attivo importanti rassegne internazionali, festival, mostre e pubblicazioni. Dopo le varie fasi di preparazione, organizzazione ed esecuzione del progetto, cofinanziato per circa 10mila euro con il contributo del Consiglio regionale della Toscana, che l bando Ri-Generazione Toscana (attraverso la legge 3/2022), mette a disposizione risorse per valorizzazione e riqualificazione del patrimonio urbano attraverso l'arte di strada, nella mattinata di oggi, martedì 19 dicembre 2023, i due murales, opera dei due artisti Tellas e Muz, sono stati inaugurati nei luoghi dove sono stati realizzati. Il murales di Tellas è stato eseguito su un edificio di proprietà comunale nei pressi del ponte sull'Orme, lungo la statale Tosco Romagnola, mentre quello di Muz si trova in viale Palestro, fra la torretta di e-Distribuzione e l'adiacente annesso di proprietà di Sistemi Urbani. Al taglio del nastro sono intervenuti fra gli altri la sindaca di Empoli Brenda Barnini, il consigliere regionale Enrico Sostegni, Federico Selvatici, responsabile unità territoriale Firenze Empoli e-Distribuzione, studenti e studentesse del liceo artistico Virgilio di Empoli accompagnati dalla dirigente scolastica Valeria Alberti e dal vicepreside del liceo artistico, Sergio Marino. Presente anche l'assessora alla Cultura del Comune di Empoli, Giulia Terreni. Con loro anche Samuel Rosi, in arte Muz, autore di una delle opere di arte di strada, e Gian Guido Grassi, curatore delle opere e fondatore di Start Attitude. Sensibilizzare i giovani all'uso di linguaggi espressivi propri della street art, promuovere la collaborazione fra Comune e scuole e realizzare un muro d'arte: questi gli obiettivi al centro del progetto promosso dal Comune di Empoli che, nel dicembre 2020, ha approvato e si è dotato del Regolamento Comunale per le attività di street art, così da individuare e mettere a disposizione alcuni 'Muri Liberi' di proprietà comunale per la realizzazione di murales, graffiti e ogni altra forma espressiva che rientra nella definizione di arte di strada. "Empoli. Oltre i muri" vuole accendere i riflettori sull'arte di strada come 'strumento' per dare nuova vita a luoghi ed edifici, trovando nell'arte un possibile antidoto al degrado. Non solo. Attraverso le due opere di arte di strada si sono accesi i riflettori anche su ambiente e Agenda 2030. "Siamo convinti che riappropriarci dei luoghi anche attraverso iniziative culturali sia una strada da perseguire per contrastare il degrado - sottolinea la sindaca di Empoli, Brenda Barnini - La scelta compiuta anni fa di individuare attraverso uno specifico regolamento spazi da dedicare alla street art va in questa direzione. L'inaugurazione di oggi si inserisce in questo contesto con l'auspicio che l'importanza di queste opere sia compreso e rispettato. I due murales sono espressione di temi e valori e sono il frutto di collaborazioni che hanno visto impegnati insieme agli artisti, che ringrazio, studentesse e studenti del liceo artistico Virgilio. Il coinvolgimento della scuola rende "Empoli. Oltre i muri" ancora più significativo: questi murales diventano così espressione della nostra comunità e occasione di sensibilizzazione dei più giovani al rispetto e alla tutela della città". "Le opere che inauguriamo sono fra i progetti vincitori del bando 'Ri-Generazione Toscana', lanciato con risorse dell'Assemblea legislativa - spiega Enrico Sostegni, consigliere regionale della Toscana - Un bando che ha riscosso grande successo tra Comuni, amministratori comunali e anche tra associazioni e cooperative che hanno costruito i progetti in collaborazione con l'amministrazione pubblica. Sono contento che grazie ai fondi stanziati dal Consiglio regionale parti della città di Empoli possano rivivere attraverso opere d'arte come queste. Il coinvolgimento delle ragazze e dei ragazzi del liceo artistico è sicuramente il valore aggiunto di questo progetto, rendendoli protagonisti attivi della Ri-generazione e del futuro della città". "Questa importante collaborazione con Consiglio regionale della Toscana e Comune di Empoli – ha detto Federico Selvatici di e-Distribuzione – per la nostra azienda rientra nel più ampio impegno di riqualificazione urbana, che coniuga sostenibilità, innovazione e rispetto per l'ambiente. Progettualità grazie alle quali le cabine elettriche non sono più soltanto strategici asset di distribuzione dell'energia elettrica ma anche opere d'arte. In questi anni con i progetti Cabine del Paradiso Cabine d'autore, Cabine in Rosa ed Energia a colori, E-Distribuzione ha abbellito centinaia di infrastrutture in tutta Italia, dando vita a una sorta di museo diffuso che continua ad arricchirsi con la collaborazione di istituzioni, artisti, scuole e associazioni. Empoli è stata una delle nove città italiane che ha accolto una delle Cabine del Paradiso nei 700 anni della morte di Dante, opera recentemente dotata di illuminazione led per poter essere ammirata anche di notte". "Dopo aver sostenuto l'incontro con le classi del liceo artistico Virgilio e dopo aver preso visione dei loro elaborati - ha spiegato Muz, raccontando come è nata la sua opera e la collaborazione con studentesse e studenti - ho cercato di individuare quali potessero essere i soggetti in grado di poter rispecchiare la visione della città da parte dei ragazzi. I due luoghi che hanno riscontrato maggiormente la loro attenzione sono stati piazza Farinata degli Uberti, con la sua Collegiata di Sant'Andrea, e il santuario della Madonna del Pozzo. Ho deciso quindi, vista anche la suddivisione in due livelli del soggetto data dalla fascia centrale, di cercare di adottare entrambi gli spunti distribuendoli uno nella parte inferiore e l'altro in quella superiore". "Partecipare in maniera attiva a un progetto di riqualificazione urbana - ha evidenziato Nicoletta Testi, docente del liceo artistico Virgilio di Empoli in Discipline grafiche e pittoriche e coordinatrice del progetto, assente per motivi personali - è stata un'esperienza importante e altamente formativa per gli studenti e le studentesse del Liceo Artistico Virgilio. Fondamentale è stato il loro contributo, a fianco dello street artist Muz, durante le fasi di ideazione e realizzazione dell'opera. L'operazione artistica ha dato origine a immagini significative che hanno trasformato una cabina elettrica in tele dove, attraverso la bellezza dell'arte, si sono generati al tempo stesso una spinta di rinnovamento e un invito alla cura della propria città". Le opere Il grande murale firmato da Tellas è ispirato al tema della sostenibilità ambientale. L'opera si intitola "Autumn light" e raffigura la natura, con piante, pietre, foglie e altra vegetazione che si riappropriano dello spazio che l'uomo ha sottratto loro. Tellas porta nell'arte di strada un concetto di riappropriazione dello spazio, attraverso l'arte e la natura che viene dipinta proprio sui palazzi. Nell'opera, realizzata su un edificio comunale ubicato lungo la statale Tosco Romagnola nei pressi del ponte sul torrente Orme, sono presenti i colori del rosso, del giallo e del verde, colori che raffigurano la stagionalità. L'opera di Muz si intitola "Costruzioni #5". Incontrate le classi del liceo artistico Virgilio e preso visione dei loro elaborati, l'artista ha individuato i soggetti in grado di rispecchiare la visione della città da parte dei ragazzi: piazza Farinata degli Uberti, con la Collegiata di Sant'Andrea, e il Santuario della Madonna del Pozzo. Ha adottato entrambi gli spunti distribuendoli uno nella parte inferiore e l'altro in quella superiore della torretta di e-Distribuzione e della costruzione adiacente, in viale Palestro. Per quanto riguarda il primo livello, l'idea alla base è stata riproporre, grazie anche a un gioco di prospettiva cromatico, il portico del santuario cercando di inglobare la porta trasformandola nell'entrata. Per quanto riguarda, il livello superiore, il soggetto preso in esame è stato la Collegiata. Per la parte centrale, cercando anche qui di inglobare le due finestre presenti, è stato utilizzato e reinterpretato il piccolo timpano centrale presente sulla facciata della chiesa. Per le parti laterali, la forma è stata ricavata dalla vetrata policroma dietro l'altare maggiore, riproponendo, grazie a un gioco cromatico, un effetto di illuminazione interna. Interessante il collegamento che si crea con l'elemento del vetro, produzione storica presente sul territorio empolese. Gli artisti Tellas, Fabio Schirru, nato a Cagliari nel 1985, si laurea a Bologna dove studia all'Accademia di Belle Arti e quindi si trasferisce a Roma dove vive attualmente; cresciuto nelle terre aride e spontanee dell'entroterra sardo, la sua ricerca è la derivante di un'estetica non urbana in cui centrale è la natura con le cui forme crea un particolare intreccio di segni che sconfinano nell'astrazione: foglie, radici e alghe intrecciate tra loro in un complicato groviglio indefinito, da cui le singole immagini affiorano stimolando la fantasia di chi osserva, sembrano invertire il consueto processo antropico di cementificazione e la natura sembra riappropriarsi degli spazi che le sono stati sottratti; considerato nel 2014 dall' Huffington Post U.S. tra i 25 street artist più interessanti della scena mondiale, tutti i suoi lavori sono concepiti come degli studi, analisi prodotte su diversi "supporti" grandi superfici murali, carte, tele, installazioni e produzioni audio e video. Samuel Rosi, in arte Muz, nasce nel 1995 a San Miniato. Vive e lavora tra Firenze e Milano, dove studia Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. Sono numerose le mostre a cui ha preso parte ed è tra i più interessanti giovani artisti italiani. Muz si approccia all'arte urbana interessandosi a luoghi marginali e di apparente inutilizzo; l'attenzione rispetto all'elemento pittorico si rivolge progressivamente verso l'architettura del luogo dove viene compiuto l'intervento, ricercandone e reinterpretandone gli elementi strutturali. Tale approccio permane all'interno del proprio lavoro, proseguendo un'indagine relativa alla percezione dello spazio circostante: Muz individua dei soggetti in grado di mostrarsi sia come unità sia come parte, una parte in grado di intervenire a completamento di una totalità preesistente. Fondamentale è il concetto di vuoto per vivere in uno spazio con la massima libertà possibile occorre innanzitutto creare il vuoto.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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cam-elia · 1 year
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Andare via da Roma ti obbliga a vedere cose che prima ignoravi.
Roma è una città bellissima.
La sua bellezza sta nella sua complessità.
È difficile non innamorarsi delle cose belle, ma contraddittorie. È difficile non innamorarsi di una donna che fa i capricci per attirare l'attenzione, così come di una che si finge forte per non attirarne troppa sulla sua anima fragile.
È difficile non infatuarsi dell'uomo ombroso e sfuggente, se non fosse che una volta svelati i suoi misteri, ti lascia un sentimento di amarezza in bocca, quasi come se sarebbe stato meglio il rimpianto di non scoprirlo mai.
Come Roma. Roma è un'amante inebriante. Quando ci vivi, sei immerso. Il tuo cuore batte al suo ritmo, ne comprendi il lessico multiculturale, l'alfabeto scritto nelle buche e nei graffiti, ansimi insieme a lei di paura, di stupore, di piacere. La comprendi come comprendi una parte di te stesso.
Quando te ne vai, è come se avessi lasciato la cosa più bella per ripiegare su misere brutte copie. Passi il tempo a desiderarla, a desiderare di farne ancora parte.
E poi ritorni. Quella è la parte più brutta.
Andare via da Roma ti obbliga a notare tutti quegli aspetti che prima volutamente ignoravi. È come rifare l'amore con il tuo amore senza più amore. Bello, ma doloroso. E soprattutto, malinconico.
Ma è anche come tornare dall'amante è trovare questo infuriato; Roma non perdona. Roma è crudele e gioca solo con le sue regole. Tu che sei uscito, hai perso il ritmo, sei uno strumento scordato in un'orchestra che suona il rock. Il tuo rumore si perde nel caos, sempre bello, sempre affascinante, ma ormai incomprensibile. Non leggi le note, non ti muovi con la città. I cittadini se la prendono con te, come se fosse colpa tua che vai ormai a tempo con un'altra città.
C'è chi ti urla contro e chi ti ride in faccia. Nessuno si ferma, corrono tutti dietro il ritmo della città. Nessuno offre il suo aiuto, a Roma ce la devi fare da solo, sperando di non farti fregare.
Quando vai via da Roma, ti rendi conto dell'immondizia, dello sporco, del traffico. Ti rendi conto della lotta per la sopravvivenza dei cittadini che ogni giorno ha come teatro una scenografia che va dai tempi dei gladiatori a quelli dei Cesaroni, indifferente alle loro difficoltà come loro a quelle altrui.
E poi, ci sono quegli angoli di pace, che sembrano sfuggiti al tempo ed al ritmo della città. Sono gli angoli poco frequentati, dove il cameriere di sorride sollevato se entri. Sono i vuoti urbani lasciati a se stessi, dove forse, puoi passare del tempo a ritrovarti. Sono i luoghi incolti agli angoli dei quartieri, dove si infratta chi è in cerca di un amore fugace.
Non sono sempre spazi belli, ma sono gli unici che mi salvano, quando torno a Roma e mi sento fuori posto, poi guardo meglio, e, fa male ammetterlo, trovo fuori posto lei.
~camelia
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db-notes · 2 years
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OBVIOUS - AI Art
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un collettivo francese che sta facendo parlare di sé nel mondo dell'arte: Obvious, un gruppo di tre giovani che usano l'intelligenza artificiale (AI) per produrre opere d'arte originali e sorprendenti. Come fanno? Usano una tecnica chiamata Generative Adversarial Networks (GAN), che consiste nel far dialogare due reti neurali: una che genera le immagini e una che le valuta. In questo modo, le reti si sfidano a vicenda e migliorano la qualità delle opere.
Obvious ha iniziato il suo percorso nel 2017, alimentando le sue reti con migliaia di ritratti dal XIV al XIX secolo presi da WikiArt, un'enciclopedia online dell'arte. Il risultato è stata la serie dei Belamy, una famiglia immaginaria di nobili francesi dai volti sfumati e misteriosi. Uno di questi ritratti, Edmond de Belamy, è stato venduto all'asta da Christie's a New York nel 2018 per 432 mila dollari, stabilendo un record per un'opera generata da AI.
Ma Obvious non si è fermata qui. Ha continuato a sperimentare con altri temi e stili, come le sette meraviglie del mondo antico o i graffiti urbani. Il suo obiettivo è esplorare le potenzialità creative dell'AI e interrogarsi sul significato dell'arte e della creatività nell'era digitale. Obvious vuole anche coinvolgere il pubblico e stimolare il dibattito su queste tematiche, organizzando mostre ed eventi in tutto il mondo.
Se siete curiosi di scoprire di più su Obvious e sulle sue opere, vi consiglio di visitare il suo sito web https://obvious-art.com/ o di seguirla sui social media. Io sono rimasto affascinato dal loro lavoro e dalla loro visione. E voi? Cosa ne pensate dell'arte generata da AI? Fatemi sapere nei commenti!
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industriangel · 3 years
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If any of you folks see any posts about like construction or random urbany stuff like cranes or graffiti or funky alleys or like roads and stuff- please send me or tag or somethin I wanna see
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piusportascuola · 6 years
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Cosa significa fare Street Art?
Davide Comelli, artista di graffiti, ha iniziato perché ha sentito la necessità di ritagliarsi uno spazio. Ha scelto così di appropriarsi di luoghi urbani, spesso disabitati e di periferia, per renderli suoi: abbellendoli con la sua arte. I ragazzi della scuola media Bergamas di Trieste pensa ad un’intervista da fare a questo artista per saperne di più su un mestiere di cui si parla ancora poco. Scoprono cosa significa progettare un graffito, com’è essere fermati dalla polizia e tanto altro! Con un semplice click potrete anche avvicinarvi al mondo della street art!
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mcluc · 4 years
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Dedicated to @robibonard RIP McLuc Culture Stories. Segni Urbani After Jam 2018. Rap, djing , BeaTbox. With Cypha Varano, Dj Over. Hotel ghè mel. Dhap & Dank. Graffiti Artist McLuc Culture crew & co. Cenzì & Cesaroots, Enki, Socio & SDP Crew, 😘 💥💥💥💫💯🤍 . . . . . #rap #freestyle #parma #italy #mclucculture #mclucculturecrew #graffitiart #graffitiparma #graffitimundo #hubcafe #cyphavarano #hiphop #history #beatbox #dj #djiitalia #after #jam #music #mural #segniurbani #urbanart #urbancreativity #skateboard #parkour #relax #freecreativity #freecreativitychallenge #liberaespressione (presso Parma, Italy) https://www.instagram.com/p/CMwXVYnLTe-/?igshid=dv3tunm8jmoo
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marcogiovenale · 4 months
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asemic writing: a roma oggi, 15 maggio
OGGI, mercoledì 15, a ROMAMLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea Sapienza Università di Roma Piazzale Aldo Moro 5Nell’ambito degli eventi collegati alla mostra “Scritture erranti” a cura di Gustavo Giacosa (4 aprile – 13 giugno 2024)ore 17:00 Tavola rotonda “Parole in cammino. Scritture brut e asemiche, graffiti urbani, poesia visiva”Interventi di Claudio Zambianchi, Tommaso Pomilio, Ada…
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lamilanomagazine · 3 years
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Milano, Patti di collaborazione: sul portale del Comune una pagina dedicata agli accordi con la cittadinanza
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Milano, cosa sono, come proporli o partecipare, dove si trovano e chi li ha firmati: in una pagina web tutto quello che c'è da sapere sui cento Patti di collaborazione sottoscritti in questi anni dall'Amministrazione con i cittadini attivi, e su quelli futuri. È online una nuova area del portale istituzionale del Comune dedicata alle intese civiche negli ambiti della cura e della rigenerazione urbana, delle piazze aperte, della pulizia da atti vandalici e graffiti, della creazione di giardini condivisi, di attività sociali, nella valorizzazione dei dati aperti e nell’assistenza spirituale. Nei fatti, tutti quegli accordi tra Comune e cittadini che hanno permesso di ridare vita a giardini, piazze e spazi urbani. L'ultimo in ordine di tempo è quello che ha riguardato l'area sotto al cavalcavia Monteceneri Serra, tra le vie Plana e Bartolini: si chiama UnPark-Urban Nudging Park//FREESTYLE ed è un progetto del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) del Politecnico di Milano, in collaborazione con l'ARCI L'impegno, che ha permesso di trasformare un'area di parcheggio in un contenitore di eventi sociali e culturali, accessibile per street sport e altre attività socio ricreative, grazie anche ad un'azione di co-design realizzata con i cittadini. Tutte le informazioni sul sito www.unpark.it. I Patti di collaborazione sono buone pratiche rese possibili dalla sinergia tra i vari assessorati coinvolti e dalle realtà associative e di cittadinanza attiva presenti sul territorio. A Milano sono realtà da quando, nel 2018, l'Amministrazione comunale ha stilato le linee guida per la sperimentazione poi approdate, un anno dopo, nel "Regolamento sulla disciplina della partecipazione dei cittadini attivi alla cura, alla gestione condivisa e alla rigenerazione dei Beni Comuni urbani". Ad oggi, si contano 57 accordi di collaborazione firmati che riguardano 12 orti e giardini condivisi, 28 interventi di urbanistica tattica, 5 sulla cura e la rigenerazione urbana, 2 di rimozione vandalismo grafico, 3 di attività sportive, 2 di attività culturali, 5 di altro tipo. Sono inoltre 26 gli accordi in lavorazione – tra orti e giardini condivisi (9), urbanistica tattica (4), cura e rigenerazione urbana (12) e uno di altro tipo. Diciassette sono infine quelli sospesi, ovvero per i quali è stata avviata ma non conclusa la fase istruttoria. In totale, dunque cento patti di collaborazione che, dall’avvio della sperimentazione ad oggi, sono stati gestiti dall’ufficio preposto del Comune di Milano, cui i cittadini possono rivolgersi per avanzare proposte e ottenere assistenza.   Read the full article
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personal-reporter · 4 years
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I progetti turistici premiati da Lagazuoi Winning Ideas Mountain Awards 2021
I progetti turistici premiati da Lagazuoi Winning Ideas Mountain Awards 2021
Entrare in una sala da teatro a 2600 metri per ascoltare un concerto, e scoprire che ogni cosa è fatta di ghiaccio, esplorare un paese di montagna trasformato in museo, camminare in una valle fuori dal tempo, tra incisioni rupestri e graffiti urbani. Continue reading
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biopoliticanavile · 4 years
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capitolo 3
IL VALZTER DELL’IGIENE
Il concetto di “abitabilità” espresso nel PSC del 2008 è andato dal 2005 a braccetto con il tema della sicurezza.
Il 15 novembre 2005, l’allora sindaco di Bologna Sergio Cofferati rende pubblico il documento “Legalità e solidarietà per lo sviluppo economico, la coesione e la giustizia sociale”.
Il documento si presenta come una ferma presa di posizione contro “l’illegalità” e, sebbene nel documento ve ne siano solo alcuni accenni, le pratiche a cui si riferisce il documento riguardano in particolare la regolamentazione della cultura del divertimento e la questione abitativa.
Tra le ordinanze emanate dal 2005 al 2007 vi sono: la proibizione alla vendita di alcool in bottiglie di vetro dopo le 21.00 nella zona universitaria ed in Via del Pratello, l’obbligo di chiusura degli alimentari alle 22.00, la regolamentazione dell’orario di chiusura all’1.00 per i locali pubblici, la cancellazione della street parade, il divieto di effettuare piercing ai genitali, ai capezzoli e alle palpebre, così come tatuaggi estesi a tutto il corpo, il piano comunale contro i graffiti, lo smantellamento di diversi campi nomadi nella periferia cittadina, lo sgombero di diversi edifici occupati, la regolamentazione dei dehors dei bar e locali cittadini.
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Queste pratiche hanno come obiettivo la creazione di un’urbanità igienizzata, che si riappropria di porzioni del proprio territorio da poter successivamente affidare ad investimenti privati, ed un nuovo tipo di cultura del divertimento, accuratamente costruita attraverso pratiche urbane.
La Bologna contemporanea, bonificando la propria aria, le proprie strade, i propri muri, i corpi dei suoi cittadini, si è aperta all’arrivo di nuovi capitali allontanando parte della propria composizione sociale, reinventando contemporaneamente i propri cittadini.
A Bologna però, cibo, cultura del divertimento, questione abitativa, attivismo politico sono intrecciati. Per comprenderlo basta seguire le vicissitudini dell’area dove oggi si trova la Trilogia Navile.
Fino al 1936 l’area era destinata a terreno agricolo. Successivamente due delle invenzioni belliche della I guerra mondiale furono convertite in strumenti agricoli: il nitrogeno degli esplosivi permise di inventare i pesticidi ed il carrarmato fu trasformato in trattore. Per poter ammortizzare l’investimento in questi nuovi costosi strumenti, che permisero di triplicare la produzione agricola, furono necessari grandi appezzamenti di terreno. A Bologna, come in tutte le città industrializzate, i terreni da sottoporre a sfruttamento agricolo furono quindi gradualmente spostati dai perimetri urbani, grazie anche al minor costo dei mezzi di trasporto dotati di motore a scoppio. Questo processo permise quindi alle città di iniziare ad ingrandirsi occupando i terreni agricoli limitrofi ai propri confini.
Per questo motivo Bologna ebbe la necessità di dotarsi di un grande mercato agricolo. Nel 1936, grazie alla prossimità della ferrovia, venne inaugurato il Mercato Ortofrutticolo del Navile, un’invenzione necessaria a permettere lo scambio di un numero crescente di merci agricole per un numero crescente di popolazione urbana.
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Un’esplosione è un evento travolgente. Un’esplosione di gioia ci rende nuovi. Dall’esplosione del big bang si dice che abbia avuto inizio l’intero universo. L’esplosione di una bomba distrugge vite e territori. Un’esplosione di rabbia può distruggere un rapporto. L’esplosione del motore a scoppio fa avanzare un veicolo. Dalle esplosioni passano la vita e la morte, vi si ritrovano uniti la luce più accecante e l’ombra più profonda. Un’esplosione cambia molte cose. Un’esplosione è la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro, ed è stato così anche per Bologna. L’onda d’urto della bomba esplosa il 2 Agosto 1980 alla Stazione Centrale ha segnato la morte di una Bologna e la nascita di un’altra. Il suo eco non è terminato pochi istanti dopo le 10.25, ma si riverbera ancora oggi, le sue implicazioni sono racchiuse ed incorporate nella stessa forma urbana.
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Lo squarcio nell’anima della città provocato dall’attentato, così come l’affermazione del ruolo di Bologna come nodo di scambio nazionale, resero necessari nuovi lavori sulla stazione.
Sono passati meno di 50 anni dal 1936 e nel Piano regolatore del 1985-89 si decise di delocalizzare il mercato ortofrutticolo nell’attuale area CAAB in vista della riprogettazione della stazione ferroviaria. Nella metà degli anni ’90 il mercato venne quindi dislocato, sempre in prossimità di una linea ferroviaria. Il vuoto nel Navile non venne però colmato a causa di una congiuntura macroeconomica non favorevole alla realizzazione dei progetti in previsione. Fu in questo periodo che il vuoto lasciato dal mercato ortofrutticolo fu riempito da progetti culturali indipendenti legati all’arte, al cibo, al corpo e alla cultura del divertimento, il LINK e l’XM24.
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Con la chiusura del LINK nel 2004 per far posto al Comune di Bologna, e lo sgombero del 15 Novembre 2019 dell’XM24 per la realizzazione di uno studentato, un’altra componente indesiderata al progetto urbano, dopo i terreni agricoli ed il mercato ortofrutticolo, viene allontanata dal quartiere. La città ha a mano a mano espulso da quest’area le componenti non più desiderate, trasformando contemporaneamente il territorio, i corpi, il cibo, il mercato agricolo e i sistemi produttivi.
Tra i progetti più imponenti degli ultimi 10 anni di politica urbana vi è FICO Eataly World. Quello che viene definito un parco tematico dedicato all’agroalimentare, la Disneyworld del cibo, non è altro che un’arena che ridefinisce, surrogandoli, tutti gli aspetti che la città ha, nel corso di 100 anni, una dopo l’altro, allontanato dall’area del Navile. Luogo di coltivazione ed allevamento, di smistamento e vendita di prodotti agroalimentari, di svago, e di didattica per tutti i livelli scolastici, Bologna ha trovato il modo di assemblare e di integrare tutti questi elementi in un unico dispositivo.
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Questa trasformazione non è avvenuta tuttavia senza costi. Da FICO gli habitat di coltivazione ed allevamento sono accuratamente ricreati, il processo produttivo è esibito in modo edulcorato, i ristoranti sono matrioske dentro un centro commerciale, la biodiversità proclamata all’interno del parco è frutto di una selezione operata all’interno del mercato economico.
La vendita della cultura enogastronomica Made in Italy ed i marchi DOC, IGP, STG, DOCG, operano sull’intero processo di produzione e consumo del cibo le stesse alterazioni che le decisioni politiche attuano sulla città, per poterne permettere l’inserimento all’interno del mercato economico.
Il marketing del cibo, come il marketing urbano, utilizza i meccanismi di igienizzazione ed eliminazione delle componenti indesiderate.
Dopo la crisi del 2008 e la conseguente crisi del manifatturiero, Bologna decide di investire nel rapporto tra cibo e turismo, passando necessariamente per invenzioni urbane, ricostruendo paesaggi, quartieri, edifici ed interni.
Non è un caso che nel Marzo 2009 il comune di Bologna trovi un accordo con Ryanair, la principale compagnia aerea low cost europea, per l’apertura di una base operativa nell’aeroporto Guglielmo Marconi, spostando gradualmente la maggior parte dei voli dall’aeroporto di Forlì allo scalo bolognese, fino a raggiungere gli attuali collegamenti con 60 aeroporti in Europa.
Tra il 2013 e il 2018 i turisti nel capoluogo sono cresciuti del +46%, così come si è assistito ad un boom di ristoranti (+31.9%), minimercati (+48%), caffetterie (+233%) nel centro storico.
Parallelamente l’arrivo di piattaforme digitali come Airbnb ha modificato ulteriormente la composizione urbana. Il servizio ha visto crescere gli annunci pubblicati in Italia dagli 8.126 del 2011 ai 354mila del 2017. Oggi secondo il portale “Airbnb Inside” gli annunci su Airbnb a Bologna sono 3.542, di cui 2.333 sono annunci per interi appartamenti, con un prezzo medio per notte di 76€ ed una media di occupazione per ogni annuncio di 104 notti all’anno. 
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Uno di questi appartamenti si trova proprio all’ultimo piano di Via Tibaldi 17. Il gestore, Carlo, la cui famiglia ha costruito l’edificio negli anni ’70, è anche proprietario di altri alloggi nello stesso stabile. Descrivendoci i vari avvicendamenti negli appartamenti ci parla di una situazione attuale molto definita. Se nel corso degli anni al piano terra si è passati dalla sede del Quartiere Navile al Parrucchiere Cinese, nei piani superiori sono passate famiglie di immigrati, proveniente dall’India, dal Bangladesh, dalla Cina, studenti universitari, single, famiglie. A causa di una serie di problemi, tra cui sfratti per morosità, emissioni olfattive e sonore disturbanti, oggi non affitta più nessuno degli appartamenti ad immigrati e ad universitari col fine di tutelare il proprio patrimonio ed in favore di un modello di convivenza non conflittuale. Il target ideale è il single, lavoratore, una forma di istituzione che perlopiù non emette emissioni sonore ed olfattive sgradevoli e che garantisce la solidità finanziaria richiesta.
Anche qui, l’igienizzazione urbana e l’orientamento verso i capitali influenza i corpi e crea un’asimmetria nelle potenzialità di accesso al mercato abitativo.
Le proteste di fronte allo Student Hotel di Via Fioravanti del 1° Ottobre 2020 si inquadrano all’interno di questo contesto. Gli alloggi diminuiscono ma gli studenti fuorisede sono passati dai 36mila del 2015 ai 41mila del 2019 e la nuova città, igienizzata, sembra non fornire più loro un’adeguata accoglienza.
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Il sentimento che ha mosso la manifestazione è frutto anche di un altro evento molto recente. Il 12 Settembre 2019 è stata formalizzata la candidatura dei portici di Bologna a patrimonio dell’umanità UNESCO. I portici sono un dispositivo architettonico “abusivo”, nato nel basso medioevo, per ospitare gli studenti universitari immigrati in città. La loro configurazione deriva dalla necessità di aumentare la cubatura abitativa, senza sottrarre spazio pubblico in una città chiusa dalle mura medievali, e quindi non in grado di ampliarsi facilmente. Se i portici diventassero patrimonio dell’UNESCO comporterebbero un aumento della pressione turistica ed un’ulteriore riduzione di spazi abitativi disponibili per gli studenti.
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La nascita di nuove forme di disuguaglianza all’interno del Navile è quindi frutto di una gigantesca performance i cui attori sono ryanair, le emissioni sonore, l’attentato del 2 Agosto, la mortadella IGP, i dehor, i tatuaggi, lo student hotel, la deregolamentazione dell'industria aerea europea del 1997, i portici.
Valorizzazione del patrimonio storico, attrazione di nuovi capitali, aumento della produttività agricola e promozione della cultura gastronomica locale, nascono con buone intenzioni ma il transito di queste componenti attraverso diverse sezioni della realtà ne devia inevitabilmente i propositi, in modi molto spesso imprevedibili anche dalla politica stessa.
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eliogia · 4 years
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cigno nero
delusione in occhi sgomenti per l'eleganza delle forme irrinunciabili di una stagione che insegue vite eterne sottoposte al giudizio che esplora il loro supplizio sviscerandone i pensieri di un martire che trascina piedi freddi attraverso campi incolte stoppie marciscono all'autunno non ancora dissodati aratura come ricerca di sonorità inspiegabile e battiti d'ali cigno nero nelle terre degli stolti violenti follie metropolitane graffiti urbani intangibili Modigliani
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circolotempolibero · 4 years
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La street art o arte di strada è una particolare forma di espressione dell’arte moderna che si manifesta esclusivamente nei luoghi pubblici, (spesso senza alcuna autorizzazione), utilizzando  tecniche più disparate tra cui: bombolette spray, stencil, colori acrilici con pennelli ecc. La street art non deve essere confusa con i graffiti in quanto è da considerarsi una categoria a parte sostanzialmente differente. In precedenza l’arte di strada veniva vista come un’espressione di vandalismo giovanile, un modo di imbrattare gli arredi urbani con immagini, forme inutili e antiestetiche; oggi la street art viene considerata una vera e propria forma d’arte. #italia #italy #fotografiaartistica #photo #photos #pic #pics #picture #pictures #naplesitaly #art #castellammaredistabia #streetart #streetstyle #picoftheday #photooftheday #color #streetphotography #napoli #naples #focus #capture #moment #castellammaredistabia #mare #paesaggio #paesaggiitaliani #paesaggioitaliano (presso Castellammare di Stabia) https://www.instagram.com/p/CCbcB3FIDZ2/?igshid=16fhjlwh72lcf
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foglibruciatisparsi · 7 years
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L'ultima volta che ho sentito il tuo profumo.
Photography by Graffiti Urbani, Ivan Urban Gobbo Model Tina Tripodo
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snarkive · 14 years
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Muri dallo zenit. Writing, habitat, mapping, delega e immagine della città
di Gaspare Caliri - in F. Naldi (ed.), Do The Right Wall/Fai Il Muro Giusto, Mambo Bologna 2010
1.
Che
cosa
hanno
in
comune...
Che cosa hanno in comune la città, la cartografia, la semiotica e il writing? Si potrebbe rispondere complicando la domanda, per renderla più rivelatrice: perché per parlare di semiotica e writing bisogna passare attraverso la cartografia? Le prossime pagine si occuperanno di uno sfuggente eppure intenso sistema di relazioni, che incrocia i quattro ambiti citati, trovando concatenamenti successivi.
Di certo, il rapporto tra immagine di città (e quindi anche cartografia) e semiotica è immediatamente riconoscibile, almeno nei presupposti, mentre tra mappa e writing non cʼè reattività lampante; o meglio, se cʼè, è in negativo, se pensiamo che la cartografia, dal suo occhio principalmente zenitale1, esclude dalla rappresentazione della città proprio i muri. Una delle più immediate – e brutali – operazioni di riduzionismo cartografico taglia fuori ciò che succede sulla superficie dei muri, e quindi anche il writing – ma anche, a ben vedere, ciò che una persona, camminando per strada, può vedere e toccare, cioè la dimensione verticale e ad altezza persona della vita urbana.
La cosa non sarebbe tanto grave se non stessimo vivendo un periodo di decisivo rinvigorimento del ruolo e della presenza, a tutti i livelli, della mappa nelle nostre vite. Navigatori satellitari, mappe on-line, motori di ricerca che organizzano contenuti su supporto cartografico, killer application per smart phone: la pratica della visione di contenuti su una mappa è parte integrante della nostra fruizione quotidiana dellʼambiente urbano.
Come può il graffitismo essere escluso da una delle principali fonti immaginifiche della città, rinunciando allʼurgenza di presenza che manifesta sui muri? In che modo si organizza per stabilire la propria presenza sul principale supporto di visione che la città ha a disposizione? Come possono i muri, elemento fondamentale della nostra percezione di un ambiente urbano, come il caso di Dozza e dei suoi “muri dipinti” dimostrano in maniera evidente, mancare alla rappresentazione di questa percezione?
Sono domande che affronteremo con fare investigativo, raccogliendo materiale e indizi per ipotizzare delle risposte.
2.
Habitat,
writing
e
self-­‐mapping:
porsi
una
domanda
di
cui
si
ha
la
risposta
Il punto di partenza, cui abbiamo già alluso, è il seguente: la mappa è oggi sempre più fortemente responsabilizzata – anche e soprattutto sullʼonda delle nuove tecnologie delle smart cities2 – della rappresentazione dellʼambiente urbano. In questo senso la semiotica non può che occuparsene, come non può che essere incuriosita - trattando essa di differenze, valori e assenze - dal riduzionismo verticale della cartografia. Pensiamo specialmente allʼetnosemiotica3, disciplina che affianca allʼosservazione sul campo, di provenienza etnografica, gli strumenti dellʼanalisi semiotica strutturale e generativa. Lʼetnosemiotica analizza proprio la negoziazione dei valori e delle narrazioni – della significazione – operativa in ambienti specifici. Tale approccio, dal mio punto di vista, è necessario, quando si va a investigare la rappresentazione condivisa di quegli ambienti, e lʼidea di luogo che essa sottende: nello specifico, lʼidea di città nascosta sotto la sua riduzione a mappa.
A proposito di domande, tornando alle primissime righe, si dice a volte che la semiotica, quando entra a contatto con altre discipline, serva a mettere a punto una domanda utile anche a quelle. Ed è proprio una domanda ciò che ho messo a fuoco dopo una riflessione sul writing, che mi condurrà attraverso una rapida e però piuttosto ampia disamina sulla cultura della rappresentazione della città. Uno degli assunti su cui si regge questo intervento parte dalla considerazione secondo la quale il writing non è fatto per finire in una galleria dʼarte. Sappiamo insomma che il luogo del graffitismo è e deve rimanere la città. Mi interessa però allora comprendere a fondo la domanda che sta dietro a questa risposta già acquisita: perché una galleria non può essere lʼarena dove mettere in mostra il writing?
Lʼetnosemiotica arriva a questo punto. Essa insiste perché i propri oggetti di analisi non siano isolati in vitro, ma anche perché ciò non comporti un abbandono alle sfrangiature del contesto e, dunque, una rinuncia dellʼanalisi; una testualità è possibile dentro ai sistemi di relazioni, alle modalità grazie alle quali essi producono senso, a partire da ciò che chiamo lʼhabitat dellʼoggetto di analisi. Parlare di writing, dunque, vuol dire per me fare attenzione al tessuto di appartenenza e al complesso ordine di condizioni di possibilità di senso che quel tessuto, connesso con il writing, genera. Lʼhabitat non è nulla di necessariamente fisico, nemmeno un supporto o una “superficie di iscrizione” di un fenomeno. Non è solo un muro. È un universo discorsivo. Traducendo con un esempio, rubato a Francesco Marsciani4, lʼetnosemiotica non si occupa del fenomeno “televisione” (come non si occupa del fenomeno “graffiti e degrado”), questione appannaggio principalmente dei sociologi, ma del “televisore” (e quindi del “writing” e del suo habitat), cioè, nel caso dellʼesempio, dellʼoggetto televisore posizionato in una stanza, con le relazioni che attiva o disattiva, con i valori e le pratiche che la sua presenza mette in moto.
Ora, affrontando la faccenda del graffitismo, vale la pena sottolineare come sia cruciale pensare alla cultura della rappresentazione (cartografia urbana compresa) come questione interna allʼhabitat. Cʼè da un lato un motivo, per così dire, di “omotetia”. Cʼè unʼurgenza di rappresentazione nel writing, unʼurgenza “comunicata”, ma non per questo necessariamente “intenzionale”. Allo stesso modo, la cultura della rappresentazione urbana dipende dalla formazione di unʼimmagine della città: pensiamo ovviamente a tutto il lavoro di Kevin Lynch, analista urbano che a partire dagli anni sessanta5 ha formalizzato una pratica del rappresentare basato su un tipo di cartografia qualitativa che cerca di virare lʼocchio della mappa sulle percezioni individuali, fatti di punti di riferimento, esperienze e fruizioni individuali e collettive. Parleremo a lungo di come questo “modello” di cartografia cerchi radici in istanze radicali di ripensamento della città e di come si sia sviluppato fino a casi più recenti di auto-mappatura tramite le nuove tecnologie. Questʼultimo punto è un fortissimo indizio che sostiene le tesi delle prossime pagine: la ragione primaria dellʼomotetia dipende dalla straordinaria somiglianza (in termini anche di effetto sullʼimmagine della città) di quel meccanismo che permette a una persona di lasciare una traccia della propria presenza su un muro (secondo codici diversi, a volte tramite il writing) o a unʼaltra di georiferire (cioè dare un posizionamento su una mappa, per esempio di Google) una foto o un altro tipo di informazione. Writing e self-mapping sono espressioni di una sorta di auto- determinazione sullʼimmagine della città. La differenza è che il primo agisce sulla città fisica. Il secondo sulla connessione tra città fisica e città virtuale, e, aspetto fondamentale, lo fa sulla città rappresentata, tramite la mappa. Partiamo, per il momento, dalla città vissuta off-line.
3.
Spazio
pubblico,
visione
dal
basso
La passione per il writing, nel mio caso, dipende dalla passione per lo “spazio pubblico”: espressione perlomeno perfettibile, capace comunque di farmi stare in ottima compagnia, soprattutto tra gli analisti urbani. Abbiamo già accennato a Lynch, ma nello specifico penso anzitutto al lavoro di William H. Whyte, urbanista, studioso delle forme organizzazionali, ma soprattutto fervente osservatore delle pratiche che vivificano una strada e la rendono arena ottimale delle relazioni di una città6. A partire da Whyte mi sono trovato spesso a mettere in moto un discorso, e rinnovo lʼabitudine, perché lo ritengo, anche in questo caso, ottimale per introdurre gli elementi che faranno da filo rosso del ragionamento.
Per prima cosa, centrale in Whyte è lʼosservazione, la rilevanza data al guardare “in prima persona” ciò che succede nello spazio pubblico, o meglio, nel “pubblico” (meglio, forse, lʼinglese public, meno polisemico). Abbiamo visto come lʼetnosemiotica non possa che trovarsi dʼaccordo con questo sguardo.
Secondariamente, cʼè lʼeredità di Kevin Lynch, il cui lavoro trova in Whyte uno dei proseguimenti più intelligenti e capaci di mettere a fuoco la questione dellʼimmagine collettiva della città. Unʼeredità che ci ha portato e ci porterà a parlare, in maniera simultanea e per nulla contraddittoria, di immagine della città e di fruizione della stessa; di rappresentazione e di uso.
Punto terzo, da Whyte riprendiamo la focalizzazione su elementi del pubblico che concorrono, nella loro composizione, a creare la risultante di cui sopra; Whyte si preoccupava di panchine, al punto che, in una sua celebre massima, disse che la qualità dello spazio urbano dipende dalla presenza di sedute pubbliche concesse ai cittadini. Per quanto lo studio dei percorsi urbani e delle soste pedonali rimangano uno dei miei fortissimi punti di contatto con Whyte, vorrei però usare la stessa scala di attenzione per concentrarmi su ciò che, similmente alle panchine, compone una ricorrenza e fa da notevole catalizzatore di relazioni nello spazio pubblico: ciò che accade alle strade e ai loro muri.
Bernard Rudofsky (altro esponente importante per la cultura della progettazione urbana), nel suo Streets for People, partiva da unʼopposizione netta tra le potenzialità di vissuto delle città americane e quelle europee, specialmente italiane. Ravvisava in queste ultime una vitalità invidiabile e cercava di capire come potesse essere imitabile. Usava non a caso il caso di Bologna, dei suoi portici; ciò che non dimenticava mai era, però, di vedere insieme la strada e i suoi muri. Possiamo qualificare il suo approccio, come quello di Whyte (che parlava di street level view, e che utilizzò, per il suo The Social Life of Small Urban Spaces, foto di muri scattate dal punto di vista ad altezza persona) e di tanti altri, come visione dal basso dellʼimmagine della città - che credo essere il modo migliore per guardare al graffitismo non isolato in luoghi legati allʼesposizione dʼarte.
La cosa strana è lʼeterna tentazione della visione dal basso a tornare in alto. Vedremo come le mappe della cosiddetta cartografia qualitativa siano il risultato di questo magnetismo, e di come la rappresentazione dellʼimmagine della città ne abbia sempre risentito. Prima, però, vorrei dettagliare il “mio” sguardo dal basso.
4.
Writing
e
semiotica:
delega
e
autodeterminazione
Partiamo dalla semiotica dello spazio. La questione principale, secondo un saggio inaugurale7 di Greimas (il principale esponente della semiotica strutturale e generativa), è lʼeterna riproduzione di un rapporto tra “qui” e “altrove”, che di fatto finisce per determinare luoghi propri e altrui. Un graffito è senza dubbio lʼiscrizione di un “qui” su un “altrove”, una traccia di presenza e di persistenza territoriale di quel qui, che normalmente è suscettibile di incessante riconfigurazione (pensiamo alle continue ri- articolazioni tra qui e altrove in un percorso pedonale).
Non solo: lʼiscrizione su un muro è personale ma diventa immediatamente collettiva, o meglio, di dominio pubblico. È il qui di una persona o di un gruppo di persone, che viene fruito - e quindi diventa qui - da altre e per altre. Di certo poi, nel writing e nella logica della crew, cʼè una questione di pubblico inscritto nel graffito. Penso alla sua leggibilità, ma anche alle marche di riconoscimento che comunicano con coloro che sono allenati alla lettura.
Eppure vorrei affrontare una questione più generale. Pensiamo alla città intera come organismo. In quanto tale, essa deve comunicare, produrre unʼenunciazione, diciamo noi semiologi. Lʼenunciazione della città può essere di tipo molto diverso. Cʼè un discorso storico o uno turistico, che può articolare tramite i propri monumenti, tramite i propri palazzi. Ce nʼè anche uno più sofisticato, in termini di universo di attori e di ruoli che comprende, che fa riferimento, dal mio punto di vista, al meccanismo che chiamo della “delega”.
Ho sempre visto un percorso urbano, così come un graffito, come un “prender parola” al posto della città, perché la città vive di queste cose ed è come se si “facesse parlare” da esse. Credo quindi che un percorso, un attraversamento urbano sia una forma di enunciazione, così come una scritta su un muro o un cartello stradale. Queste sono però enunciazioni che dipendono da una sorta di “concessione” da parte della città – parlando sempre di processi immanenti di comunicazione, non di enunciatori ed enunciatari empirici. Tale concessione è la delega 8che la città fornisce ai propri cittadini per comunicare, per essere vitale, per così dire. Una città senza cittadini che la attraversano, che la “scrivano” o che la “enuncino” in altri modi, è una città morta – come una di quelle che si visitano ma non si vivono.
Il meccanismo è del tutto pertinente per quello che stiamo dicendo, dal momento che contempla un andirivieni tra individuale e collettivo, attori umani e non-umani, dispositivi e persone. La delega permette a un attore individuale di prender parola al posto della propria città. Lʼenunciazione della città, da questo punto di vista, dipende dai suoi abitanti. Ecco che un graffito diventa opera del singolo e della città insieme. Lʼhabitat di cui parlavamo diventa prodotto dellʼenunciazione collettiva, come risultante della presa in carico e dellʼespletamento della delega da parte di tutti e di ciascuno.
5.
Delega
ed
etnografia
digitale:
autodeterminazione
via
smart
phone
Torniamo alle mappe. Le “mappe quotidiane” che si stanno più diffondendo sono quelle che intensificano il rapporto tra fruizione on-line e off-line della città, per esempio tramite software per smart phone. Il mondo dei social media sta amplificando le potenzialità dello sdoppiamento tra fruizione reale e virtuale dellʼorganismo urbano (e dello spazio pubblico) da parte degli attori che lo animano.
Benjamin H. Bratton, in un articolo intitolato “iPhone City”, parla del suo modo di “fruire” della propria città, Los Angeles: ore in coda seduto – e isolato - in auto, in estranea compagnia con altri milioni di automobilisti, ad alimentare le relazioni – stabilire appuntamenti, mandare messaggi, georiferire contenuti - con i suoi concittadini attraverso applicazioni del proprio iPhone.
FourSquare, la “killer application”9 del georiferimento di contenuti tramite smart phone (e il “re” dei social network, secondo la rivista Wired UK), a giugno 2010 ha toccato il milione di utenti, e ha una previsione di crescita, nei successivi quattro mesi, che lo dovrebbe portare a triplicare lʼutenza. Il meccanismo è molto semplice. Quando un utente entra in un luogo fisico (un locale, per esempio) può subito controllare via cellulare se qualcuno ne ha detto qualcosa. Se si è la prima persona che georiferisce il locale sulla mappa interattiva, si diventa “sindaco” di quel posto.
È evidente come diventi cruciale servirsi di unʼetnografia digitale o virtuale per cercare di capire come lʼidentità urbana passi anche da questo tipo di relazioni. E come si aprano spazi per i valori e i contenuti rimossi nella cittadinanza off-line. Un paio di esempi, pertinenti per il mondo della street art e della public art: da Toronto il primo, da Berlino (ma anche Bologna) il secondo.
Toronto, città attenta alla geografia urbana e alla sua rappresentazione10, ha realizzato un progetto che parte da una visione tradizionale di arte pubblica per aggiornarlo ai nuovi strumenti di fruizione dello spazio pubblico. In-Site Toronto11 collega il Wi-Fi cittadino (e i suoi hot-spot, i punti di emissione del segnale) a una fruizione di arte: non si tratta però di qualcosa di presente nello spazio fisico, ma di lavori di cui è possibile godere solo connettendosi ai portali dei rispettivi hot-spot. Ancora una volta, si replica la presentificazione della connessione, o meglio, il contenuto on-line è connesso a una presenza.
Graffyard12 è invece il progetto realizzato da Sweza, a Berlino, dove il diretto interessato vive, ma anche a Bologna, dove ha vissuto tra il 2002 e il 2003. Il lavoro sfrutta dispositivi detti QR code (un codice a barre a base quadrata, capace di inviare contenuti a un cellulare semplicemente puntando sul codice la fotocamera del dispositivo mobile) per ripristinare, in modalità Augmented Reality13, i vecchi lavori sui muri oggi scomparsi. Di fatto, il caso dellʼartista berlinese apre scenari di relazione sullʼobsolescenza di ciò che appare sui muri, argomento su cui torneremo alla fine. Per adesso interessava sottolineare quanto il rapporto tra on-line e off-line, giocato sulla mappa, ciò che insomma viene chiamato universo User Generated Content (UGC)14, sia un luogo dove oggi si declina lʼautoaffermazione, lʼautoespressione allʼinterno della delega enunciazionale della città. È questo lʼindizio definitivo che ci porta a collocarlo allʼinterno dellʼhabitat del writing.
6.
Mappe
che
mentono
La mappa è un dispositivo ontologico. È una frase – perentoria, e tutta da spiegare – che molto spesso ho sentito dire ai geografi. La mappa è insomma un supporto di rappresentazione dove qualcuno per tutti decide cosa mostrare e cosa no; se però nasce come copia della realtà, finisce, con il riduzionismo che le è connaturato, a fare in modo che la realtà si modelli a essa, e che ciò che non è rappresentato dalla mappa, in un certo senso, scompaia. La mappa quindi è una copia per così dire ontologizzante della realtà, che condiziona questʼultima e finisce per ribaltare il rapporto di forza, fino a far diventare la realtà copia della mappa15.
È pur vero che non si deve ingigantire il ruolo della cartografia, dato che esistono molte altre forme di rappresentazione che non hanno nulla a che fare con le sue logiche. È anche vero, però, che la cartografia è stata (ed è) uno dei veicoli principali di visualizzazione del potere – e anche, per converso, del contro-potere. Le mappe sono, per esempio, strumento militare per eccellenza. Non solo: cʼè un altro contesto cruciale in cui la mappa è entrata nelle nostre vite, abituandoci a una visione del mondo divenuta dominante; penso alle mappe geografiche appese nelle aule di scuola, apparentemente innocente supporto di conoscenza pronto allʼuso, da assimilare con una fruizione continua da parte degli studenti, ma fattivamente operatore di unʼideologia cartografica – per di più presente in una sede collettivamente accettata come luogo principale a cui è delegata la nostra formazione.
Infiniti sono gli esempi che si potrebbero addurre per corroborare quanto detto, ma ne bastano pochi. Da How To Lie With Maps di Mark Monmonier, selezioniamo il cavallo di battaglia della visione “ontologizzante”: la proiezione di Mercatore. Nata per opera del cartografo cinquecentesco Gerardus Mercator (al secolo Gerard de Cremer), consiste nella proiezione della sfera su un cilindro, buona per le carte nautiche, ma pessima per le distorsioni di forma e dimensione relativa che produce: detto in estrema sintesi, unʼAfrica più piccola del dovuto e unʼEuropa al centro dellʼattenzione. Ben conscio degli errori di mercatore, Buckminster Fuller inventò il dymaxion, proiezione del globo terrestre su un icosaedro, capace di mutare il “centro” del mondo a seconda della scelta di messa in piano del solido platonico.
In generale, la cartografia crea un effetto di realtà, e si presta alla menzogna, perché sottende una strategia di manipolazione. Secondo Franco Farinelli16, la città moderna, che si è appiattita sulla mappa, ha portato, nella propria rappresentazione, allʼevacuazione delle persone. È accaduto quando alla città fatta di attività e pratiche immateriali si è sostituita la città fatta di strade ed edifici. La mappa che rimuove il writing (e i muri), dal nostro punto di vista, è ulteriore testimonianza di questo processo, che in questo modo comprende anche le tracce di presenza delle persone, oltre che la loro presenza tout court.
La mappa è però sempre stata il supporto principale a cui appoggiarsi per rappresentare la città, anche negli esperimenti più radicali, e critici nei confronti di una rappresentazione di potere. Eppure, forse anche andare contromano, nella strategia di manipolazione cartografica, comporta un compromesso. Vediamo di che natura.
7.
Cartografia
qualitativa
e
cartografia
resistente
Abbiamo parlato sopra di visione dal basso. Ci sono molti esperimenti recenti17 che partono da tale punto di vista per organizzare contenuti che le scienze sociali chiamerebbero “qualitativi”. Sono però spesso universi di visione che finiscono per appoggiarsi alle mappe, rinnovando la sottile ideologia della manipolazione.
Esiste certo una lunga tradizione di “resistenza” o militanza cartografica – che inizia ovviamente con le sensazionali mappe psicogeografiche dei lettristi e dei primi situazionisti18 - insuperate per ricchezza collagistica e per capacità di sovversione del codice zenitale - e che si prolunga fino alla cosiddetta cartografia resistente19, che vuole sovvertire il codice dellʼideologia cartografica dal di dentro.
In realtà mi piace pensare che le tecnologie contemporanee consentano di iscrivere in questa tradizione anche il lavoro di Christian Nold20 - un esempio di UGC applicato alla pratica di rappresentazione cartografica artistica, che fa proprie le potenzialità e i limiti del vero protagonista del discorso, il colosso di Google, di cui parleremo tra breve. Ciò che i lettristi avevano capito è che la mappa può essere fonte dʼidentità, non solo per il turista o il militare ma per il cittadino e per il generico city-user. È a partire da questo riconoscimento che Lynch usa la mappa per rappresentare lʼimmagine della città, ovvero la sua identità figurativa. A Lynch serve unʼintensificazione della figuratività21, che si confonde e intreccia, allʼinterno del nostro percorso, con lʼurgenza di espressione (che emergeva dalle interviste fatte dallʼurbanista, come dallʼUGC odierno). E, se cʼè un terreno dove questo astigmatismo risulta chiaro, sono le mappe di Google.
8.
Google
Maps
e
Street
View.
Nuova
cartografia
che
mente
e
writing
Se sono qui a parlare di mappe e writing è a seguito di molteplici tentativi di analisi dei metodi di fruizione veicolati dalle mappe fornite dal principale motore di ricerca oggi esistente. La nuova manipolazione cartografica nasce da un pretesto ben preciso, cioe dalla fornitura di un servizio (i navigatori satellitari, ma soprattutto Google Maps). Nel caso delle mappe di Google, la retorica acquisita è quella del motore di ricerca, della facilità di reperire informazioni. Eppure quasi nessuno si chiede ogni quanto Google aggiorni le foto da satellite delle proprie mappe, o le foto ad altezza persona di Google Street View (il cui slogan è “esplora il mondo a livello stradale). È possibile farsene unʼidea guardando le “immagini storiche” di Google Earth, visualizzabili a partire dalla versione 5.0. Sono però gli eventi a sottolineare la gravità della cosa.
È ormai tristemente noto il caso paradossale della città di LʼAquila, la cui “versione” on-line, sulle mappe di Google, non ha ancora conosciuto il terremoto. Tradotto nel writing, questo ci porta alla mente le “tags più grande del mondo” di Cuoghi e Corsello, fatte per essere viste dallʼalto – quindi tramite le foto satellitari, oltre che gli aerei – ma ancora non investite del beneficio di essere colte e mostrate da Google.
Diversamente è accaduto alle tag sui tetti dei palazzi di Berlino di Graffiti For God22, esperimento fortemente ironico (il titolo parla chiaro) nato attorno a due firme (Wax + Nemo) comparse sui tetti di Rochstrasse, a Mitte. Si tratta di una mappa su Google (inserita nel sito del progetto) che indicizza a partire23 dalle due tag i punti di interesse (stazioni di polizia, chiese, ospedali, ecc.) che stanno attorno ai graffiti rivolti allʼ“occhio celeste”, finendo invece con lʼessere fruiti da chiunqu e con il dimostrare di aver recepito – con tempismo forse fortuito - lʼimportanza del servizio cartografico del motore di ricerca.
Rimuovere la dimensione temporale – e i cambiamenti che intervengono nelle città – è la nuova grande bugia delle Google Maps, per tornare al libro di Monmonier. La portata esatta del fenomeno deve inoltre tenere conto del servizio più recentemente introdotto dal colosso di San Francisco. Street View è arrivato sul mercato promettendo una rivoluzione nella fruizione della cartografia, uno sbalzo esperienziale che approssima la cartografia allʼesperienza di attraversare una città. Di fatto, con questo servizio è possibile simulare una passeggiata in città: i muri – con tutto quello che può esservi inscritto - riappaiono nella loro costante relazione con la visione zenitale. Un dispositivo decisamente diverso dal supporto cartografico: è impossibile perdersi su una mappa, cosa che invece può accadere su Street View. In che cosa è ancora cartografia, questa forma di rappresentazione? È sufficiente rivolgersi ancora al graffitismo (nello specifico bolognese), per averne una dimostrazione.
Cercando, su Street View, i “punti di interesse graffitistici” della mia città, Bologna, sono andato sul sicuro. Alcuni dei “pezzi” che preferisco, o meglio, uno degli aggregati di writing (e di sovrapposizione con lʼattività urbana) che prediligo è allʼinterno del Parco Lunetta Gamberini; ho cercato quindi di “entrare” nel parco e fruire, per esempio, di due lavori affiancati di Dado e Rusty, presenti vicino a uno degli ingressi. La sorpresa, peraltro prevedibile, è stata lʼimpossibilità di portare a compimento la ricerca. Street View consente unicamente la fruizione di vie e strade (e palazzi adiacenti); si basa insomma sulla toponomastica. Sono esclusi i parchi e le vie secondarie, come quella da cui speravo di poter osservare, “da remoto”, le due tag di Mesta e Amaro sul retro della palestra del parco.
Segnalo questa mancanza per sottolineare come Street View, apparentemente distante eoni dalla tecnica cartografica, ne segua in verità le logiche di riduzionismo e manipolazione strategica. Anzi, il “capo dʼaccusa” può essere ancora più grande, data lʼamplificazione di effetto di realtà degli attraversamenti urbani “a livello stradale” e, quindi, il maggiore potenziale ontologizzante.
Detto questo, se cʼè una strategia, è possibile comunque pensare in termini di tattica24. Il writing funziona proprio come una tattica, in relazione alla “strategia” che vorrebbe muri puliti e vuoti. Allo stesso tempo, il writing organizza il proprio “presidio espressivo” del territorio urbano secondo un modello probabilmente strategico, ma incomprensibile allʼosservatore distratto. Lʼipotesi è che la tattica possa però combinare reale e virtuale, mettendo a frutto le riflessioni fin qui fatte a proposito per il mondo del writing.
9.
Per
una
nuova
città
del
sole
A Bologna esiste unʼeccellente complessità di stili graffitistici. Per rendersene conto, basta andare in unʼaltra città. Il writing, in quanto componente radicata dellʼimmagine della città, non è immediatamente riconoscibile. Ci si accorge della sua presenza - come abitudine allo sguardo - quando non cʼè, nella sua assenza, come di ogni valore condiviso.
La grande scommessa odierna è lʼalimentazione della mappa da parte degli utenti, con una tale massa e alternanza di contenuti da nascondere il supporto, cioè la mappa stessa. Sfruttare lʼUGC come strumento di resistenza cartografica significa cavalcare il presente.
La mappa, pur nei suoi difetti, serve a manifestare le differenze, a livello territoriale. È quindi uno strumento prezioso in un contesto, come quello del writing, che risente di mancanza di differenziazione25. È possibile sfruttare le mappe per evidenziare la ricchezza della narrazione che contiene il writing allʼinterno del suo habitat. Il cuore di queste argomentazioni è che il graffitismo è una efficientissima cartina al tornasole della città e del suo vissuto. Ci parla della visione in quartieri e del senso del luogo legati a essi (evidente nel caso dei Mazzini Old Bastards, di cui fanno parte i già citati Cuoghi e Corsello), ci dà uno spettro e una sezione costante della densità e dellʼintensità dellʼuso urbano.
In più, e fondamentalmente, i graffiti vivono dello stesso respiro, dello stesso ritmo della città. Subiscono lʼobsolescenza della città intera, ne seguono le vicissitudini, scompaiono e cambiano come cambia tutto lʼambiente urbano. Del resto, è pratica diffusa dei graffitisti la sovraiscrizione e sostituzione di un pezzo che si sta deteriorando. Non esiste recupero e “restauro” perché il ritmo della città che vive non lo prevede. Lʼimbavagliamento temporale di Google Maps e Street View priva dalla rappresentazione questa dimensione di avvicendamento continuo dellʼhabitat urbano.
Eppure, repertoriare il graffitismo (con il ritmo incessante della sua mutazione) e con esso popolare i nuovi strumenti di duplicazione on-line / off-line vuol dire dare fedele espressione, anche su supporti virtuali, alla città, del cui ritmo, della cui densità e mutazione continua i graffiti sono manifestazione esemplare. Vorrebbe dire forse accettare il riduzionismo cartografico, ma, nellʼottica della necessità di qualificare il dibattito attorno al graffitismo (sottraendolo dalla facile notiziabilità del “degrado”, che non tiene conto delle differenze), anche rendere il writing accessibile a una massa critica crescente di persone, e soprattutto sfruttare la delega dellʼimmagine della città con una nuova determinazione. Lʼinvito è a mettere sulle mappe se stessi, la propria autodeterminazione, in un momento in cui la città non è più in grado di reggere la delega solo su supporto fisico. Tenendo come forte punto di riferimento lʼutopia de La città del sole di Tommaso Campanella, dove i muri della città contenevano tutto il sapere necessario alla crescita intellettuale delle persone, e dove gli studenti, anziché chiudersi in una scuola, venivano accompagnati dal maestro in giro per le strade, a imparare guardando i muri.
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