Tumgik
#i corpi e le voci della danza
sguardimora · 3 months
Text
Tumblr media
𝗜 𝗖𝗢𝗥𝗣𝗜 𝗘 𝗟𝗘 𝗩𝗢𝗖𝗜 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗗𝗔𝗡𝗭𝗔 - 𝘴𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥𝘢 𝘦𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦
Corso di alta formazione per autori e autrici della scrittura corporea e delle performing arts
Lo studio della creazione coreografica autoriale si realizzerà soprattutto in percorsi curati e seguiti da maestri della scena performativa e coreutica contemporanea quali 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗦𝗰𝗶𝗮𝗿𝗿𝗼𝗻𝗶, 𝗗𝗲𝘄𝗲𝘆 𝗗𝗲𝗹𝗹 / 𝗧𝗲𝗼𝗱𝗼𝗿𝗮 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗲𝗹𝗹𝘂𝗰𝗰𝗶, 𝗔𝗴𝗮𝘁𝗮 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗲𝗹𝗹𝘂𝗰𝗰𝗶, 𝗩𝗶𝘁𝗼 𝗠𝗮𝘁𝗲𝗿𝗮, 𝗗𝗲𝗺𝗲𝘁𝗿𝗶𝗼 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗲𝗹𝗹𝘂𝗰𝗰𝗶, 𝗖𝗼𝗹𝗹𝗲𝘁𝘁𝗶𝘃𝗢 𝗖𝗶𝗻𝗲𝘁𝗶𝗰𝗢 / 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗲𝘀𝗰𝗮 𝗣𝗲𝗻𝗻𝗶𝗻𝗶, 𝗗𝗮𝗻𝗶𝗲𝗹𝗲 𝗡𝗶𝗻𝗮𝗿𝗲𝗹𝗹𝗼 e altri studiosi, studiose e docenti del linguaggio contemporaneo.
Hai tempo 𝗳𝗶𝗻𝗼 𝗮𝗹 𝟮𝟱 𝗺𝗮𝗿𝘇𝗼 per inviare la tua candidatura.
Per partecipare è necessario inviare una mail all’indirizzo 𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲@𝗰𝗿𝗼𝗻𝗼𝗽𝗶𝗼𝘀.𝗶𝘁 contenente il modulo d’iscrizione scaricabile al sito www.cronopiosformazione.it e tutti i documenti richiesti.
_____________________________
𝗖𝗼𝗿𝘀𝗼 𝗳𝗶𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗿𝗶𝘀𝗼𝗿𝘀𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗣𝗿𝗼𝗴𝗿𝗮𝗺𝗺𝗮 𝗿𝗲𝗴𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗙𝗼𝗻𝗱𝗼 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹𝗲 𝗲𝘂𝗿𝗼𝗽𝗲𝗼 𝗣𝗹𝘂𝘀 𝟮𝟬𝟮𝟭-𝟮𝟬𝟮𝟳 (𝘖𝘱𝘦𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘙𝘪𝘧. 𝘗𝘈 2023-20195/𝘙𝘌𝘙, 𝘢𝘱𝘱𝘳𝘰𝘷𝘢𝘵𝘢 𝘤𝘰𝘯 𝘥𝘦𝘭𝘪𝘣𝘦𝘳𝘢 𝘥𝘪 𝘎𝘪𝘶𝘯𝘵𝘢 𝘙𝘦𝘨𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭𝘦 𝘯. 2096 𝘥𝘦𝘭 04/12/2023 𝘦 𝘤𝘰𝘧𝘪𝘯𝘢𝘯𝘻𝘪𝘢𝘵𝘢 𝘤𝘰𝘯 𝘳𝘪𝘴𝘰𝘳𝘴𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘍𝘚𝘌+ 2021-2027 𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘙𝘦𝘨𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘌𝘮𝘪𝘭𝘪𝘢-𝘙𝘰𝘮𝘢𝘨𝘯𝘢)
Soggetti attuatori:
Cronopios Eventi, L'arboreto - Teatro Dimora di Mondaino, Cantieri Danza, Corpoceleste/Alessandro Sciarroni, CodedUomo Choreography and Research/ Daniele Ninarello, CollettivO CineticO/ Francesca Pennini, Dewey Dell/Teodora Castellucci, Agata Castellucci, Vito Matera, Demetrio Castellucci
Partner promotori:
ATER Fondazione, ERT - Emilia Romagna Teatro Fondazione, Santarcangelo Festival dei Teatri, Associazione Culturale Festival Danza Urbana Bologna, Ravenna Teatro Soc. Coop, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, La Corte Ospitale - Teatro Herberia, Associazione Culturale masque teatro APS, Gender Bender International Festival / Cassero Lgbtqia+ Center, Attitudes spazio alle arti APS, ALCHEMICO TRE APS, Teatri di Vita
1 note · View note
carmenvicinanza · 4 months
Text
Chiara Bersani e il corpo politico
Tumblr media
Per me tutto è politico: lo è con chi fai sesso, con chi mangi, con chi vai al cinema. Quindi, il corpo, dal momento che esiste, è già politico, indipendentemente dalla scelta di esporlo oppure no. Anche scegliere di non far vedere il proprio corpo è una scelta politica. Io faccio un atto politico quando scelgo di portare il mio corpo negli spazi senza chiedermi se quegli spazi siano adatti al mio corpo.
Chiara Bersani è un’artista attiva nell’ambito delle Performing Arts, del teatro di ricerca e della danza contemporanea.
Autrice, interprete, regista e coreografa, si muove attraverso linguaggi e visioni differenti. I suoi lavori, presentati in circuiti internazionali, nascono come creazioni in dialogo con spazi di diversa natura e sono rivolti prevalentemente a un pubblico “prossimo” alla scena.
La sua ricerca si basa sul concetto di Corpo Politico e sulla creazione di pratiche volte ad allenarne la presenza e l’azione. L’opera “manifesto” di questa ricerca è Gentle Unicorn.
Nel 2018 ha vinto il Premio UBU come miglior nuova attrice/performer under 35. Molto importante è stato il suo discorso durante la consegna del riconoscimento:
Io non voglio più essere un’eccezione!
Desidero leggere questo premio come un’assunzione di responsabilità da parte del teatro italiano nei confronti di tutti quei corpi che per forma, identità, appartenenza, età, provenienza, genere, faticano a trovare uno spazio in cui far esplodere le loro voci. Se io, con il mio corpo disabile oggi sono qui, a ricevere un riconoscimento così prezioso, è perché qualcuno da chissà quanti anni ha iniziato lentamente a smussare gli angoli di un intero sistema.
Se il mio corpo è qui è grazie a tutti i maestri che hanno scelto di accogliermi come allieva anche se questo significava adattare i loro metodi ai miei movimenti.
Sono profondamente convinta di essere un simbolo. Questo, insieme al fatto di essere la prima interprete con disabilità fisica evidente premiata agli Ubu, mi ha fatto sentire come una piccola bandierina, qualcosa che poteva avere senso solo se avesse aperto lo sguardo su un mondo che viene troppo poco guardato, ancora molto sommerso, quello del teatro off, del teatro indipendente e degli attori con corpi non conformi che lavorano ugualmente e si formano con grande fatica.
Nell’agosto 2019 all’Edimburgh Fringe Festival con Gentle Unicorn ha vinto il primo premio per la categoria danza del Total Theatre Awards.
È sostenuta dal circuito Advancing Performing arts project – Feminist Future, un progetto cofinanziato dal Programma Europa Creativa dell’Unione Europea, fino al 2024.
Nata a San Rocco al Porto, in provincia di Lodi, nel 1984, è affetta da osteogenesi imperfetta,  patologia rara che ha reso il suo corpo particolarmente vulnerabile. Un corpo divergente che ha trasformato in opera d’arte e opportunità d’interrogazione attraverso le sue performance.
Mentre frequentava l’università a Parma, ha frequentato il corso di teatro di Lenz Rifrazioni e in quel contesto ha scoperto le possibili e inesplorate identità che il suo corpo poteva assumere.
Un nuovo corpo possibile che ha ribaltato il suo rapporto con lo spazio, la femminilità, il nudo e il movimento, esplorando confini e valicando i limiti della danza contemporanea.
Dopo aver lavorato con importanti compagnie internazionali ha iniziato a creare le sue opere. Gentle unicorn è stato il suo primo lavoro che parla in modo inequivocabile di corpo politico.
Fionde è invece una performance “delivery” nata durante la pandemia da Covid-19 nata dal disagio di non poter raggiungere le persone care.
La persona disabile è la mosca bianca in un mondo che tendenzialmente vuole prendersi cura di lei—più o meno autenticamente—, e la discriminazione diventa più subdola. Questa attitudine di cura mette sempre alle persone disabili un costante obbligo di gratitudine verso le altre persone. Siamo obbligate a dire una parola di gentilezza, piuttosto che una parola reale. E in parte è anche perché per noi è complesso incontrarci e fare comunità, il che implica la necessità di più tempo per mettere a fuoco certi paradigmi. In Italia, per esempio, si sta registrando una spinta verso questi temi grazie al femminismo intersezionale e a Internet, dove si possono creare facilmente alleanze articolate.
Il presupposto che il nostro corpo non sia desiderabile è la base per cui tante persone disabili accettano di partecipare a relazioni abusanti.
L’intersezionalismo sta permettendo di fare cordata, migliorando la situazione, anche perché è fondamentale ricordare che le persone disabili hanno, come tutte, diversi orientamenti sessuali, diverse identità di genere, diverse provenienze. Anche qui, ci sono delle buone pratiche che bisognerà sviluppare. Il fatto che i nostri corpi fatichino a essere presenti sul posto limita la nostra capacità di partecipare a molti eventi e questo è un problema.
0 notes
lamilanomagazine · 1 year
Text
Milano, ritorna il palinsesto culturale “Milano è Viva”
Tumblr media
Milano, ritorna il palinsesto culturale “Milano è Viva”.   (Ri)Parte “Milano è Viva”, il palinsesto culturale cittadino dedicato allo spettacolo, che fino al 6 gennaio porterà in città oltre 150 appuntamenti live, dal centro ai quartieri oltre la cerchia della 90/91. Promossa e coordinata dal Comune di Milano, “Milano è Viva” vuole diffondere e valorizzare lo spettacolo dal vivo su tutto il territorio cittadino. Il bando promosso dal Comune di Milano la scorsa primavera, grazie al finanziamento di 2,5 milioni di euro stanziati ad hoc dal Ministero della Cultura, ha supportato 47 progetti di spettacolo  con l’obiettivo di aiutare la produzione e la crescita di progetti sul territorio, in modo da coinvolgere attivamente le comunità e da valorizzare il potenziale di inclusione del teatro, della musica, della danza e del cinema, soprattutto nei contesti di marginalità. I progetti vincitori del bando “Milano è Viva” sono stati selezionati dal Comune di Milano anche con una particolare attenzione all’impatto ambientale ed energetico delle attività. Dopo il successo dell’edizione estiva, anche Milano è Viva – Natale 2022 propone dal 1° dicembre al 6 gennaio 2023 un calendario ricco e vario, adatto a tutte le fasce di età, che accompagnerà i cittadini nelle settimane che precedono e seguono il Natale. “Da giugno a ottobre, sono stati più di 50 le rassegne e i festival organizzati sul territorio con 1.150 eventi distribuiti su oltre 80 quartieri dei 9 municipi della città: un bilancio più che positivo per l’edizione estiva di ‘Milano è Viva’, che ha registrato una partecipazione in costante crescita da parte dei cittadini - ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi -. Un’ottima premessa per l’avvio del palinsesto ‘invernale’, che porterà nelle zone meno centrali oltre 150 appuntamenti, offrendo nuovamente ai cittadini spettacoli, concerti e occasioni di socialità ‘a 15 minuti’ da casa”. Anche a dicembre gli eventi si dirameranno in oltre 80 quartieri, tra cui – solo per citarne alcuni – Dergano, Baggio, Casoretto, Forze armate, Quintosole, Stadera, Quarto Oggiaro, Crescenzago, Chiaravalle, Giambellino, Gratosoglio. Sono 19 i progetti vincitori del bando “Milano è Viva” (sui 47 totali) che saranno presentati nel corso di questa edizione. In particolare, saranno protagonisti: Associazione Beatmi con i “La musica dei cieli – Voci e musiche delle religioni del mondo”; DiDstudio con “Le alleanze dei corpi – Walk the (Red) Line”; Muse Solidali Cooperativa Impresa Sociale con la rassegna teatrale “Romeo e Giulietta: un amore di periferia”, ispirata al capolavoro shakespeariano; Associazione Culturale La Dual Band con “Odissee negli spazi”, percorso teatrale dedicato all’Odissea – dalle peripezie del poema omerico ai racconti di sopravvissuti della migrazione – dove troverà spazio “Io ricordo”, un reading ispirato alla biografia di Liliana Segre; Fà. Mé. Associazione Culturale con “Villapizzone – Racconti di ieri e domani”, nel Municipio 8; Opera Liquida Associazione con l’omonima rassegna dal sottotitolo “Dal quartiere Quintosole irradiare e ricevere cultura e bellezza”; Teatro delle Moire con la rassegna “Luminosa”, nel Municipio 3; ZONA K Associazione Culturale con gli spettacoli partecipati di “Stop (Fermata Metropolitana)” nei Municipi 2 e 9; Associazione No Profit Liederiadi con “Milano Est Musica”; Associazione culturale MMT CREATIVE LAB con la rassegna “Antico e futuro: Universo e fantascienza”, all’interno della quale si inserisce la partecipazione speciale della musicista svedese Maria W. Horn; Animanera Teatro con “L’anima delle periferie”- trilogia di spettacoli sul tema della discriminazione razziale; Elsinor Cooperativa Sociale con il progetto “Prove del 9”; Stage Entertainment con il progetto “Il musical nei quartieri di Milano”; Associazione Grupporiani con la rassegna “Con i fili e con le mani”; Associazione Culturale Arti per l’Innovazione Sociale con “La parola fa eguali”; Associazione 4gatti con il progetto “La biblioteca vivente degli artisti” – nell’ambito del quale si terrà uno speciale laboratorio di gamification e un concerto dedicato a Enzo Jannacci; Associazione Culturale Sciami Cromatici con “S’i’ fosse foco”, progetto multidisciplinare di danza, musica, laboratori e installazioni sonore incentrate sul coinvolgimento del pubblico; Ditta Gioco e Fiaba con la rassegna per bambini “Come una barca nel bosco”; e, infine, Teatroxcasa con il Festival “Fuoriluogo”. Tutte le associazioni coinvolte hanno attivato le proprie risorse, facendo rete con altre realtà del loro territorio, per creare un’offerta plurale e molto varia di eventi, con programmi spesso multidisciplinari, a cavallo tra musica, teatro, danza, performance, arti visive e cinema. Uno sforzo comune per una nuova stagione di “Milano è viva”, che accompagnerà i visitatori nelle settimane di dicembre e che desidera rendere vive le periferie attraverso gli strumenti dell’arte e della cultura, con una particolare attenzione al pubblico dell’infanzia, alle comunità delle aree suburbane, alle zone con un elevato indice di fragilità territoriale e a persone appartenenti a contesti sociali caratterizzati da vulnerabilità a rischio. Protagonista dell’edizione invernale di “Milano è Viva” sarà anche la musica di uno dei massimi ambasciatori della cultura italiana nel mondo, Ludovico Einaudi. Il grande pianista e compositore porta al Teatro Dal Verme – oltre alle 15 date del suo tour – due regali per Milano. Mercoledì 21 dicembre alle ore 20 andrà in scena la prima esecuzione assoluta in forma di concerto di “Winter Journey”, opera di Ludovico Einaudi eseguita dall’Orchestra I Pomeriggi Musicali: uno spettacolo straordinario presentato per la prima volta a Milano e offerto gratuitamente alla città. Sempre al Teatro Dal Verme, la rassegna “Climate Space - Sguardi d’autore sulla crisi climatica”, presenterà quindici cortometraggi d’autore provenienti da ogni parte del mondo per raccontare come il cambiamento climatico abbia inciso in diversi angoli del pianeta. Ogni giorno, due proiezioni aperte al pubblico e una riservata alle scuole oltre a incontri, laboratori e alle speciali sonorizzazioni live realizzate da quattordici protagonisti della musica nazionale ed internazionale. Si aggiungono al grande palinsesto di “Milano è Viva”, come nel programma estivo, iniziative di spettacolo realizzate in autonomia dalle realtà culturali cittadine, come il “Noir in Festival” dal 3 all’8 dicembre dedicato al cinema e alla letteratura noir, la rassegna per grandi e piccini “Natale al Teatro Delfino” con eventi dedicata al teatro ragazzi dal 2 al 17 dicembre, la serata dedicata a Giorgio Gaber al Teatro Menotti (il 13 dicembre) con la partecipazione speciale di Gioele Dix; e ancora, dal 12 al 18 dicembre alla Fabbrica del Vapore, un festival cinematografico internazionale dedicato al calcio. Il programma completo di “Milano è Viva – Natale22” è su live.yesmilano.it e sui siti degli operatori coinvolti. Tutti gli aggiornamenti sono anche sulle pagine Facebook e Instagram “Milano è Viva”. Di seguito l’elenco dei progetti promossi dal Comune di Milano grazie al finanziamento del MIC - Ministero della Cultura. I progetti di “Milano è viva” – Natale 2022: 1. Associazione BEATMI LA MUSICA DEI CIELI – VOCI E MUSICHE DELLE RELIGIONI DEL MONDO https://live.yesmilano.it/listing/la-musica-dei-cieli/ ; https://lamusicadeicieli.it/ 2. DiDstudio LE ALLEANZE DEI CORPI – WALK THE (RED) LINE https://live.yesmilano.it/listing/le-alleanze-dei-corpi-walk-the-red-line/; https://www.lealleanzedeicorpi.org/ 3. Muse Solidali Cooperativa Impresa Sociale ROMEO E GIULIETTA: UN AMORE DI PERIFERIA https://live.yesmilano.it/listing/romeo-e-giulietta-un-amore-di-periferia/ ; http://www.ecoteatro.it/ 4. Associazione Culturale La Dual Band ODISSEE NEGLI SPAZI https://www.ladualband.com/spettacolo-in-scena 5. Fà. Mé. Associazione Cultural VILLAPIZZONE – RACCONTI DI IERI E DOMANI https://www.campoverdeottolini.org/ 6. Opera Liquida Associazione OPERA LIQUIDA: DAL QUARTIERE QUINTOSOLE IRRADIARE E RICEVERE CULTURA E BELLEZZA https://live.yesmilano.it/listing/opera-liquida-dal-quartiere-quintosole-irradiare-e-ricevere-cultura-e-bellezza/; https://www.operaliquida.org/ 7. Teatro delle Moire LUMINOSA http://www.teatrodellemoire.it/luminosa/ 8. ZONA K Associazione Culturale STOP (FERMATA METROPOLITANA) https://www.zonak.it/ ; https://live.yesmilano.it/listing/stop-fermata-metropolitana/ 9. TEATROXCASA FUORILUOGO FESTIVAL https://teatroxcasa.it/fuoriluogofestival 10. Associazione No Profit Liederiadi MILANO EST MUSICA https://www.festival-liederiadi.it/ 11. Associazione culturale MMT CREATIVE LAB ANTICO E FUTURO: UNIVERSO E FANTASCIENZA https://live.yesmilano.it/listing/antico-futuro/; http://www.mmt.it/ 12. Animanera Teatro L’ANIMA DELLE PERIFERIE https://live.yesmilano.it/listing/lanima-delle-periferie-2/ 13. Elsinor Cooperativa sociale PROVE DEL 9 https://live.yesmilano.it/listing/prove-del-9/; https://teatrofontana.it/prove-del-9/ 14. Stage Entertainment IL MUSICAL NEI QUARTIERI DI MILANO https://live.yesmilano.it/listing/il-musical-nei-quartieri-di-milano/; https://teatronazionale.it/ 15. Associazione Grupporiani CON I FILI E CON LE MANI https://live.yesmilano.it/listing/con-i-fili-e-con-le-mani-2/; https://marionettecolla.org/ 16. Associazione Culturale Arti per l’innovazione Sociale “LA PAROLA FA EGUALI” https://live.yesmilano.it/listing/don-milani-e-per-tutti-e-per-tutti/ 17. Associazione 4gatti BIBLIOTECA VIVENTE DEGLI ARTISTI https://www.4gatti.it/; https://live.yesmilano.it/listing/biblioteca-vivente-degli-artisti/ 18. Associazione Culturale Sciami Cromatici S’I’ FOSSE FOCO https://live.yesmilano.it/listing/si-fosse-foco/ 19. Ditta Gioco Fiaba COME UNA BARCA NEL BOSCO http://www.dittagiocofiaba.com/  https://live.yesmilano.it/listing/come-una-barca-nel-bosco/    ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
chez-mimich · 3 years
Text
LISA BRUNELLO E SIRO GUGLIELMI: "WONDER LOUDER" E JULIAN SARTORIUS
Un contrabbasso è posato al centro di uno spazio vuoto; il pavimento è bianco e le pareti sono bianche. Dall'ampia vetrata dello Spazio Nòva, si intravedono le prime brume dell'autunno. Fanno il loro ingresso Rosa Brunello e Siro Guglielmi. Sono silenziosi vestono con dei pantaloni corti color coloniale e una canotta bianca, non calzano scarpe, ma hanno calzini neri. E' tutto molto, molto minimale; lo sono anche i gesti ritmici delle mani che incominciano a muoversi e a schioccare le dita, ma è tutto un crescendo; i corpi cominciano ad incrociarsi e ad interagire, non solo tra loro, ma anche con lo strumento in una sorta di tentativo di accordatura. Lisa, pizzica le corde, Siro abbraccia lo strumento fino a farlo roteare in una girandola che sembra infinita. Da lì la danza prende corpo, anzi "prende i corpi", fino a diventare un gioco di geometrie asimmetriche e di gesti sincronici e diacronici, sempre su suoni appena accennati e mai nei canoni armonici e melodici tradizionali. Il pubblico è attento e rapito. Siro si contrappone allo strumento e, come un acrobata, sembra esibirsi davanti a lui che, abbracciato, accarezzato e percosso da Lisa, emana suoni che assomigliano a voci. Raggiunta la climax, la tensione si stempera in una magnifica e dolcissima melodia, sussurrata a labbra serrate da Lisa. Dalle vetrate si vede ormai solo buio e nella sala scoppia poi l’improvviso e convinto applauso che riscalda i cuori. Grandissima l'interpretazione di "Wouder Louder", una produzione Zebra curata da Enrico Bettinello, del Centro per la Scena contemporanea di Bassano del Grappa. Sempre allo spazio Nòva, l'ultimo appuntamento serale di "Nu Arts & Community 2021”, è con il percussionista Julian Sartorius che presenta la sua ultima produzione in solo. Se vi capiterà trovare, nei vostri vecchi armadi, indumenti o oggetti di qualsiasi tipo da buttar via, conservateli e mandateli in Svizzera a questo geniale percussionista che sembra proprio saper percuotere tutto, ma proprio tutto, tamburi e tamburelli, grancasse, piatti, rullanti, pezzi di alluminio e pezzi di legno, coperchi di pentole, ma che sa poi attenuarne i suoni con l'aiuto di coperte, tessuti, pelli ; alla fine si aiuta anche con una specie di organetto manuale e con una cannuccia con cui insuffla aria nella pancia del rullante... Avrete capito che si tratta di un artista straordinario, ma non certo di un fenomeno da baraccone, poiché il risultato che sortisce da tutto questo “ambaradan”, è una "forma-sonata" ritmico-rumoristica da lasciare incantati. Ritmi intensi, con minime variazioni modulari, che si alternano a sollecitazioni minimali e a tintinnii ricercati, che si mescolano in un apparente caos. In realtà tutto è molto studiato e molto equilibrato, poiché nelle mani di Julian la "batteria preparata" diventa un'orchestra intera e gli scroscianti ed entusiasti applausi del pubblico sono lì a dimostrarlo. Come ha ricordato Corrado Beldì ,in apertura di performance, Sartorius è certamente un percussionista degno della massima attenzione. Si chiude così il festival 2021, edizione numero due di "Nu Arts & Community" curato con grande passione da Corrado Beldì e Ricciarda Belgiojoso.
Tumblr media Tumblr media
0 notes
lasola · 3 years
Text
[ 3 di 3] - La Leggenda di Willy
Tumblr media
Nel Barrio lo conoscevano tutti. Willy e la sua famiglia venivano dal vicino distretto del Chocò e da una città, Istmina, famosa per il contrabbando di Viche e per le sue relazioni storicamente complicate con i poteri ufficiali dello stato. I figli però erano tutti nati e cresciuti nel Barrio, quindi da almeno 25 anni Willy si era trasferito a Buenaventura. Lui era anche uno dei pochi che ce l'avevano fatta. Almeno così si diceva di lui. Nessuno, a parte Rudi e i due Josè, si avventurarono mai in descrizioni dettagliate sul suo lavoro con me. Cosa facesse, come guadagnasse e tutto il resto erano argomenti tabù per quasi tutti.
Lo vidi la prima volta durante le vacanze natalizie, quando il suo ritorno nel Barrio divenne un evento imperdibile. Il suo pick-up era sempre stracolmo di gente. Ogni giorno passava di casa in casa per gli auguri natalizi e con lui in ogni casa entravano decine di persone, giovani e meno giovani, tutti incuriositi dall'arrivo di un personaggio così importante. I ragazzi come Rudi pendevano dalle sue labbra. Avrebbero fatto qualsiasi cosa per scortarlo nel Barrio e solo i più fortunati riuscivano ad accompagnarlo fuori da quelle poche vie in cui vivevano. Mai avrei immaginato che sarebbe stato lui a cercare me.
Qualche giorno dopo Natale ci trovammo insieme a Rudi e ad altri ragazzi travestiti da donne o animali per le strade di Buenaventura a improvvisare spettacoli con balli e canti popolari per raccattare soldi che ci permettessero di proseguire i festeggiamenti. Come da tradizione, nel giorno dei Santi Innocenti, i ragazzi del Barrio celebravano una sorta di carnevale in cui si mimava la nascita della creatura divina, per cui tutti dovevano accorrere sulle strade a celebrare il parto e invitare i ballerini a un bicchiere di qualcosa o meglio regalare loro qualche spicciolo. La festa era parte delle lunghe celebrazioni che preparavano l'arrivo del nuovo anno e nei villaggi rurali aveva funzione propiziatoria soprattutto per la ricerca dell'oro. Per noi fu un giorno di gran divertimento.
Camminammo in lungo e in largo tra i quartieri della città. Entrammo e fummo cacciati con insulti dal Municipio. Provammo addirittura a chiedere soldi alla capitaneria di porto e alla Polizia da cui ricevemmo improperi ed altre minacce. Al mercato generale, invece, spopolammo. Si radunarono in pochi minuti almeno duecento persone che iniziarono a cantare e ballare mentre io passavo da ognuno con un cappellino per raccogliere le offerte. Andò bene al di là di ogni aspettativa, tanto che iniziammo a pensare di ripetere lo spettacolo ogni settimana. E proprio quella notte, Willy si materializzò nella casa in cui eravamo finiti per terminare le ultime due bottiglie di rum che ci erano rimaste. Era più ubriaco di tutti e, come in un paradosso della vita, fu proprio lui che si avvicinò per parlarmi del suo passato, confermandomi molte delle storie che più tardi anche Rudi mi avrebbe ripetuto e che io già non volevo ascoltare, preferendo analisi sui passi di danza e i possibili travestimenti. Ma Willy era Willy e se aveva deciso di parlare non c’erano molte scelte disponibili se non quella di rimanere in silenzio.
All’inizio degli anni ottanta ebbe la fortuna, per così dire, di lavorare, nemmeno adolescente, con le reti della cosiddetta Capitana, spietata testa pensante del clan di Medellin. Cosa ci facesse la Capitana nel Barrio e soprattutto come avesse fatto ad arrivare fino a Buenaventura, Willy non me lo disse. Probabilmente millantava una decennale relazione per non dovermi spiegare ogni fase della vita che lo aveva condotto fin lì. La sostanza del suo discorso era comunque che, un po' per caso, un po' perché non aveva altro da fare, iniziò a dedicarsi giovanissimo al contrabbando e probabilmente fu il Viche il primo prodotto che trasportò. Poi, senza capire bene quale assurdo concatenamento di azioni e reazioni lo condusse fin lì, negli anni novanta si trovò relazionato a certi piani alti del crimine riuscendo a sopravvivere a tutti i cambi di manovalanza della logistica narcotica. Correva voce che quando terminò i suoi anni in carcere negli States e rientrò a Medellin, nel 2004, la Capitana incontrò Willy personalmente. Ma questo racconto si perdeva nella mitologia locale. Quello che pareva vero era che Willy gestiva una rete di trafficanti tra Buenaventura, Cali e una città della zona caffettera, Pereira. Rudi li chiamava “gli Invisibili” perché sembravano tutti normali e tranquilli Paesani indaffarati a vivere la loro vita che se non ci facevi caso non ti accorgevi che bazzicavano nel Barrio. Invece alcuni di loro avevano anche le case non lontane dalle nostre.
Le voci che avevano il coraggio di mettere assieme qualche aneddoto su di lui coincidevano tutte su un dettaglio. Willy manteneva sempre un basso profilo e sapeva convincere i suoi interlocutori proprio mostrandosi persona umile e in ascolto. In qualche modo, però, trattava tutti come suoi clienti. Distribuiva denaro e raccoglieva informazioni. Comprava fiducia e faceva favori. Chiedeva silenzio ed esigeva fedeltà. Escludendo le sue entrate trionfali nelle case del Barrio, a vederlo festeggiare con una birra e un rum di pessima qualità, non sembrava però un personaggio dei racconti narcotici colombiani. Ogni leggenda lo avrebbe reso forse una semplice comparsa, magari il buttafuori del Capo, quello vero. Non di più. Certamente deludeva le mie aspettative di Capo dei Capi per come ne parlava Rudi. Eppure, a voler credere a quello che dicevano anche Josè e l’altro Josè, in epoca recente, quote importanti della cocaina di Buenaventura passavano dalle sue reti. Cominciai allora a chiedermi quale fosse il suo ruolo, visto che dal Barrio era facile ingigantire le sue gesta.
Secondo le poche storie che raccolsi, Willy gestiva carichi di clan diversi attraverso magazzini che erano distribuiti su vari quartieri. Aveva quindi molte connessioni in città e cercava di mantenerle distribuendo le commissioni per il carico e scarico di mercanzia illegale tra diversi settori. In questo modo riduceva le possibilità di rimanere impelagato in questioni locali fino a rischiare di non inviare o ricevere il carico. Al tempo stesso accumulò un certo rispetto perchè non accentrava guadagni solo su alcuni. Questo suo modo di lavorare e di essere riconosciuto poteva certamente renderlo un Capo, soprattutto agli occhi di qualcuno come Rudi, ma non era detto che lo fosse, o che lo fosse nei termini usati di solito dai media o dalle agenzie di controllo. Per certi versi, dopo quasi 40 anni di carriera, possedeva l’aurea dell’intoccabile o di qualcuno di importante, soprattutto nei quartieri. Ma rimaneva un personaggio nebuloso. Mi chiedevo se il suo basso profilo fosse un segno dei tempi che cambiavano per cui Willy era una sorta di precursore di una rinnovata pax-narcotica, centrata sul silenzio, la connivenza più stretta con le autorità militari e su meno follie consumiste. Oppure se più probabilmente il suo vero obiettivo fosse quello di sopravvivere alle storie violente di Buenaventura, cosa che gli riuscì fino a quando anche lui non cadde nel desiderio di risolvere i problemi della sua città.
In un giorno d'ottobre del 2012, finì morto ammazzato in un agguato, insieme ai suoi più stretti collaboratori, tra cui c’era anche il nipote, Carlos, che tutti conoscevamo e, a volte, frequentavamo nel Barrio. I loro corpi furono smembrati e sparsi lungo la curva del Diavolo, un posto lugubre di Buenaventura, lungo la vecchia strada che la collegava a Cali, dove spesso venivano lasciati i corpi dei condannati. Ciò avvenne un anno e mezzo dopo il blocco del Puerto, di cui si racconterà, un mese dopo l'uccisione della Capitana sulle strade di Medellin e quasi due anni prima della scomparsa di Rudi.
Per grandi linee, nei prossimi post cercherò di scomporre questi racconti. Non ho elementi sufficienti per “ricostruire gli eventi” e proporre una verità storica, giornalistica nè tantomeno giudiziaria. Potrò solo cercarne l’antropologia che li teneva insieme. Esisteva infatti un grosso problema di metodo che impediva tutti noi di entrare nelle storie in una forma analitica. Le divisioni e le frontiere del conflitto ci mostravano sistematicamente un loro lato. I più temerari forse accedevano a qualche prospettiva in più. Ma, prima o poi, bisognava scegliere da che parte stare e le implicazioni della scelta erano anche il buio che improvviso avvolgeva il resto. Non c’era quindi modo di triangolare, verificare, chiedere a qualcuno più informato. O comunque spesso non c’era l’interesse di farlo. L’atto stesso di fare domande aveva implicazioni. Comportava rischi e a volte segnalava possibili commistioni con le storie stesse. Per questo i racconti non si cercavano mai. Arrivavano ed andavano via. Alcuni erano credibili ma non necessariamente veri. Altri erano talmente incredibili che piacevano fin da subito e costruivano leggende. Altri ancora partecipavano solo del rumore quotidiano e venivano dimenticati in fretta. Vi erano poi racconti che aspiravano a rimanere. Erano quelli ufficiali, quelli del sistema mediatico o delle burocrazie che spiegavano il conflitto in cui si era immersi. Testi, video, numeri e ricostruzioni partecipate aspiravano a produrre chiarezza radunando voci e sensazioni condivise da molti o da pochi. Ma c’era sempre qualche storia di quartiere che mancava, che non stava lì dentro. Un conoscente, vicino o lontano, era invischiato in qualcosa di cui era meglio tacere. Per qualche ragione anche quei testi ufficiali apparivano fluidi e finivano col rappresentare i fatti secondo un potere tra gli altri; non quello definitivo, non quello capace di riportare l’ordine o la chiarezza e spesso nemmeno il più forte.
Questi racconti scandivano certamente alcune quotidianità. Tuttavia ciò che era realmente osservabile erano i meccanismi con cui entravano in relazione con gli abitanti. Il loro ripetersi faceva parte di un dispositivo mitico che aveva la funzione di ordinare, suddividere e spiegare senza veramente entrare nella storia. Non importava la quantità di verità, ma il fatto stesso che un racconto venisse ripetuto. In fin dei conti storie come quelle di Willy o di Rudi era meglio non conoscerle. Oppure occorreva imparare il silenzio o le “giuste orazioni” con cui difendersi dagli effetti che provocavano. Era meglio tenersi alla larga dal pericolo che rappresentavano anche se poi si finiva sempre con lo scoprire la loro estrema vicinanza. Esistevano in un luogo nascosto, come un cassetto che si preferiva non aprire. Erano registrati da qualche parte che non era un inconscio collettivo ma una superficie “mitica” che segnava l’esperienza quotidiana del Barrio. Da qui ogni storia arrivata e andata via partecipava alla costruzione di spiegazioni sulla vita e sulla morte in città.
Nei prossimi post cercherò allora di descrivere questo dispositivo mitico prima mettendo assieme diverse descrizioni della città. Poi contestualizzerò il Barrio. E successivamente mi perderò nel vociare della gente per raccontare il blocco del Puerto attraverso gli occhi di alcuni occupanti.
0 notes
Text
Popoli del mondo, ancora uno sforzo!
Tumblr media
di Raoul Vaneigem
Il mondo cambia la sua base
Lo choc del coronavirus non ha fatto che eseguire la sentenza pronunciata contro sé stessa da una economia totalitaria fondata sullo sfruttamento dell’uomo e della natura.
Il vecchio mondo si sfalda e affonda. Il nuovo, nella costernazione delle rovine che si ammassano, non osa sbarazzarsene; più impaurito che risoluto, pena a ritrovare l’audacia di un bambino che impara a camminare. Come se aver a lungo gridato al disastro lasciasse il popolo senza voce.
Tuttavia, quelle e quelli che sono scampati ai mortali tentacoli della merce sono in piedi tra le macerie. Si risvegliano alla realtà di un’esistenza che non sarà più la stessa. Desiderano affrancarsi dall’incubo assestato loro dalla denaturazione della terra e dei suoi abitanti.
Non è forse questa la prova che la vita è indistruttibile? Non è su questa evidenza che si infrangono nella stessa risacca le menzogne dall’alto e le denunce dal basso?
La lotta per il vivente non deve dare giustificazioni. Rivendicare la sovranità della vita è in grado di annientare l’impero della merce, le cui istituzioni sono mondialmente ridotte a brandelli.
Fino ad oggi, non ci siamo battuti che per sopravvivere. Siamo rimasti confinati in una giungla sociale dove regnava la legge del più forte e del più furbo. Lasceremo l’isolamento al quale ci costringe l’epidemia del coronavirus per replicare la danza macabra della preda e del predatore? Non è evidente a tutte e tutti che l’insurrezione della vita quotidiana, della quale i gilets jaunes sono stati in Francia il segno premonitore, non è altro che il superamento di questa sopravvivenza che una società di predazione non ha smesso di imporci quotidianamente e militarmente?
Quello che non vogliamo più è il fermento di quello che vogliamo
La vita è un fenomeno naturale in ebollizione sperimentale permanente. Non è buona né cattiva. La sua manna ci fa dono della spugnola come dell’amanita falloide. Essa è in noi e nell’universo una forza cieca. Ma ha dotato la specie umana della capacità di distinguere la spugnola dall’amanita, e di qualcosa di più! Ci ha armati di una coscienza, ci ha dato la capacità di crearci ricreando il mondo.
Per farci dimenticare questa straordinaria facoltà, ci è voluto che gravasse su di noi il peso di una storia che comincia con le prime città-stato e termina - tanto più rapidamente quanto più vi porremo mano - con lo sfaldamento della mondializzazione del mercato.
La vita e il suo senso umano sono la poesia fatta per uno e per tutte e tutti. Questa poesia ha sempre brillato della sua esplosione nelle grandi sollevazioni della libertà. Non vogliamo più che essa sia, come nel passato, un chiarore effimero. Vogliamo mettere in opera una insurrezione permanente, all’immagine del fuoco passionale della vita, che si acquieta ma non si estingue mai.
È dal mondo intero che s’improvvisa una via dei canti. È là che la nostra volontà di vivere si forgia spezzando le catene del potere e della predazione. Catene che noi, donne e uomini, abbiamo forgiato per la nostra infelicità.
Eccoci al cuore della mutazione sociale, economica, politica ed esistenziale. È il momento del “Hic Rhodus, hic salta”. Non è un’ingiunzione a riconquistare il mondo dal quale siamo stati scacciati. È il soffio di una vita che lo slancio irresistibile dei popoli ristabilirà nei suoi diritti assoluti.
L’alleanza con la natura esige la fine del suo lucrativo sfruttamento
Non abbiamo preso abbastanza coscienza della relazione concomitante tra la violenza esercitata dall’economia contro la natura della quale fa razzia, e la violenza con la quale il patriarcato colpisce le donne dalla sua instaurazione, tre o quattromila anni prima dell’era detta cristiana.
Con il capitalismo verde-dollaro, il brutale saccheggio delle risorse terrestri tende a cedere il posto alle grandi manovre della subornazione. In nome della protezione della natura è di nuovo la natura che viene venduta. Cosi va nei simulacri dell’amore quando lo stupratore si atteggia a seduttore per meglio ghermire la sua preda. La predazione ricorre da gran tempo alla pratica del guanto di velluto.
Siamo al punto in cui una nuova alleanza con la natura riveste un’importanza prioritaria. Non si tratta evidentemente di ritrovare - come potremmo? - la simbiosi con l’ambiente naturale nel quale evolvevano le civiltà della raccolta prima che giungesse a soppiantarle una civiltà fondata sul commercio, l’agricoltura intensiva, la società patriarcale e il potere gerarchizzato.
Ma, si sarà capito, si tratta ormai di restaurare un ambiente naturale dove la vita sia possibile, l’aria respirabile, l’acqua potabile, l’agricoltura sbarazzata dai suoi veleni, le libertà del commercio revocate per la libertà del vivente, il patriarcato smembrato, le gerarchie abolite.
Gli effetti della disumanizzazione e degli attacchi sistematicamente portati contro l’habitat non hanno avuto bisogno del coronavirus per dimostrare la tossicità dell’oppressione del mercato. Di contro, la gestione catastrofica della calamità ha mostrato l’incapacità dello Stato di dare prova della menoma efficacia all’infuori della sola funzione che sia in grado di esercitare: la repressione, la militarizzazione degli individui e delle società.
La lotta contro la denaturazione non ha da fare promesse e lodevoli dichiarazioni retoriche d’intenti, corrotte o meno che siano dal mercato delle energie rinnovabili. Essa riposa su un progetto pratico che verte sull’inventività degli individui e delle collettività. La permacultura rinaturalizzante delle terre avvelenate dal mercato dei pesticidi non è che una testimonianza della creatività di un popolo che ha tutto da guadagnare nell’annientare ciò che ha congiurato alla sua perdizione. È tempo di bandire quegli allevamenti concentrazionari dove il maltrattamento degli animali è stato notoriamente la causa della peste suina, dell’influenza aviaria, della mucca resa pazza da questa pazzia del denaro feticizzato che la ragione economica tenterà ancora una volta di farci ingurgitare se non digerire.
Hanno una sorte tanto diversa dalla nostra quelle bestie da batteria che escono dal confinamento per entrare nel mattatoio? Non siamo forse in una società che distribuisce dividendi al parassitismo d’impresa e lascia morire uomini, donne e bambini di carenze sanitarie? Una inarrestabile ragione economica alleggerisce così le voci di bilancio imputabili al numero crescente di anziane e di anziani. Essa preconizza una soluzione finale che impunemente li condanna a crepare nelle case di ripose spogliate di mezzi e di infermieri. A Nancy, in Francia, vi è stato il caso di un alto responsabile della sanità il quale ha dichiarato che l’epidemia non è una ragione sufficiente per non tagliare ulteriormente letti e personale ospedaliero. Nessuno l’ha cacciato a calci sul sedere. Gli assassini economici suscitano meno indignazione di un disturbato mentale che corre per le strade brandendo il coltello dell’illuminazione religiosa.
Non faccio appello alla giustizia popolare, non preconizzo Massacri di Settembre per gli zozzoni del fatturato. Chiedo solo che la generosità umana renda impossibile il ritorno della ragione del mercato.
Tutti i modi di governo che abbiamo conosciuto sono falliti, smontati dalla loro crudele assurdità. È al popolo che spetta di mettere in opera un progetto di società che restituisca all’umano, all’animale, al vegetale, al minerale una fondamentale unità.
La menzogna che qualifica come utopia un tale progetto non ha resistito allo choc della realtà. La storia ha rivelato la civiltà del mercato come obsolescente e insana. L’edificazione di una civiltà umana non è solo divenuta possibile, essa schiude la sola via che, appassionatamente e disperatamente sognata da generazioni innumerabili, si affaccia sulla fine dei nostri incubi.
Dal momento che la disperazione ha cambiato campo, essa appartiene al passato. Ci resta la passione di un presente da costruire. Ci prenderemo il tempo di abolire il “tempo è denaro” che è il tempo della morte programmata.
La rinaturalizzazione è un crogiolo di nuove culture dove dovremo gattonare tra confusione e innovazioni nei più diversi ambiti. Non abbiamo forse dato troppo credito a una medicina meccanicista che spesso tratta i corpi come un garagista la vettura affidatagli? Come fidarvi di un esperto che vi ripara per rispedirvi al lavoro?
Il dogma dell’anti-natura, tanto a lungo martellato dagli imperativi produttivisti, non ha forse contribuito a esasperare le nostre reazioni emotive, a propagare panico e isteria sicuritaria, esacerbando perciò il conflitto con un virus che l’immunità del nostro organismo avrebbe avuto qualche possibilità di ammansire o rendere meno aggressivo, se non fosse invece stata messa a mal partito da un totalitarismo del mercato al quale nulla di inumano è estraneo?
Ci hanno abbacinato a sazietà con il progresso della tecnologia. Per arrivare a cosa? Le navette spaziali verso Marte e l’assenza terrestre di letti e di respiratori negli ospedali.
Di sicuro, dovremmo meravigliarci più delle scoperte su una vita della quale ignoriamo tutto, o quasi. Chi ne dubiterebbe? Solo gli oligarchi e i loro lacché, che la diarrea mercantile svuota della loro sostanza, e che confineremo nelle loro latrine.
Farla finita con la militarizzazione dei corpi, dei costumi, delle mentalità
La repressione è la ragion d’essere ultima dello stato. A sua volta fattone oggetto sotto le pressioni delle multinazionali che impongono i propri diktat alla terra e alla vita. La prevedibile messa in discussione dei governi tornerà a porre la questione: il confinamento sarebbe stato pertinente se le infrastrutture sanitarie fossero rimaste all’altezza, invece di subire lo sbranamento che sappiamo, decretato dall’imperativo della redditività?
Nell’attesa - è una constatazione obbligata - la militarizzazione e la ferocia sicuritaria non hanno fatto che prendere la rincorsa della repressione in corso nel mondo intero. L’Ordine democratico nemmeno poteva immaginare un pretesto migliore per premunirsi contro la collera dei popoli. L’imprigionamento a casa propria, non era forse questo l’obiettivo dei dirigenti, inquieti per la stanchezza delle loro sezioni d’assalto di manganellatori, sguerciatori, sicari salariati? Bella replica generale di quella tattica del kettle usata contro manifestanti pacifici, che reclamavano tra le altre cose il rifinanziamento degli ospedali.
Almeno siamo avvertiti: i governanti tenteranno di tutto per farci transitare dal confinamento alla cuccia. Ma chi accetterà di passare docilmente dall’austerità carceraria al conforto della schiavitù rappezzata?
È probabile che la rabbia del confinato avrà trovato l’occasione di denunciare l’aberrante e tirannico sistema che tratta il coronavirus alla maniera di quel terrorismo multicolore che ingrassa il mercato della paura.
La riflessione non si fermi qui. Pensate a quegli studenti che, nel paese dei Diritti dell’Uomo, sono stati costretti a inginocchiarsi davanti alla sbirraglia dello stato. Pensate all’educazione stessa dove l’autoritarismo professorale inibisce da secoli la spontanea curiosità del bambino e trattiene la generosità del sapere dal propagarsi liberamente. Pensate fino a che punto l’accanimento concorrenziale, la competizione, l’arrivismo del “fatti in là ché mi piazzo io” ci hanno chiuso in una caserma.
La servitù volontaria è una soldatesca che marcia al passo. Un passo a sinistra, un passo a destra? Che importanza ha? L’uno e l’altro restano nell’Ordine delle cose.
Chiunque accetti che gli si sbraiti dall’alto, o dal basso, non ha fin d’ora che un avvenire di schiavo.
Uscire dal mondo molle e chiuso della civiltà del mercato
La vita è un mondo che si apre ed è apertura sul mondo. Certo, ha spesso subìto questo terribile fenomeno d’inversione per cui l’amore muta in odio, o la passione di vivere si trasforma in istinto di morte. Per secoli è stata ridotta in schiavitù, colonizzata dalla bruta necessità di lavorare e sopravvivere come bestie.
Tuttavia, non si conosceva un solo esempio di confinamento, in celle d’isolamento, di milioni di coppie, famiglie, singoli che la debolezza dei servizi sanitari ha convinto ad accettare la loro sorte se non docilmente almeno con una rabbia contenuta.
Ciascuno si ritrova solo, confrontato a un’esistenza dove è tentato di discernere la parte di lavoro servile e quella dei folli desideri, La noia dei piaceri consumabili è compatibile con l’esaltazione dei sogni che l’infanzia ha lasciato crudelmente incompiuti?
La dittatura del profitto ha deciso di eliminarci nel momento stesso in cui la sua impotenza si palesa mondialmente e la espone a un possibile annientamento.
L’inumanità assurda che ci ulcera da tanto tempo è scoppiata come un ascesso nel confinamento cui ha portato la politica di assassinio lucrativo, che le mafie finanziarie praticano cinicamente.
La morte è l’indegnità ultima che l’essere umano s’infligge. Non per una maledizione, ma in ragione della denaturazione che le è stata imposta.
Le catene che abbiamo forgiato nella paura e nella colpa, non le romperemo con la paura e la colpa. Bensì con la vita riscoperta e ripristinata. Non è forse questo che dimostra, in questi tempi di oppressione estrema, la potenza invincibile del mutuo soccorso e della solidarietà?
Un’educazione impressa per millenni ci ha insegnato a reprimere le nostre emozioni, a spezzare gli slanci di vita. Abbiamo voluto ad ogni costo che la bestia che dimora in noi facesse l’angelo.
Le nostre scuole sono rifugi d’ipocriti, repressi, raziocinanti torturatori. Le ultime passioni di sapere vi arrancano con il coraggio della disperazione. Impareremo infine, uscendo dalle nostre celle, a liberare la scienza dalla camicia di forza della sua utilità lucrativa? A ristabilire la nostra animalità e non a domarla, come domiamo i nostri fratelli presunti inferiori?
Non incito qui alla sempiterna buona volontà etica e psicologica, punto il dito contro il mercato della paura del quale il sicuritario annuncia il rumore degli stivali. Richiamo l’attenzione su questa manipolazione delle emozioni che abbrutisce e rincretinisce le folle, metto in guardia contro la colpevolizzazione che si aggira in cerca di capri espiatori.
Dagli ai vecchi, ai disoccupati, ai clandestini, ai senza tetto, agli stranieri, ai gilet jaunes, agli esclusi! Questo ringhiano quegli azionisti del nulla che fanno negozio del coronavirus per propagare la peste emozionale. I mercenari della morte non fanno che obbedire alle ingiunzioni della logica dominante.
Quello che dev'essere sradicato è il sistema di disumanizzazione messo in campo e ferocemente applicato da coloro che lo difendono per sete di potere e di denaro. Il capitalismo è stato giudicato e condannato da gran tempo. Stiamo crollando sotto la massa delle prove a carico. Ora basta.
L’immaginario capitalista identificava la sua agonia con l’agonia del mondo intero. Lo spettro del coronavirus è stato, se non il risultato premeditato, quanto meno l’esatta illustrazione del suo assurdo maleficio. La causa è nota. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di cui il capitalismo è un avatar, è un esperimento finito male. Facciamo in modo che il suo sinistro fascino da apprendista stregone sia divorato dal passato dal quale non avrebbe mai dovuto uscire.
Vi è solo l’esuberanza della vita ritrovata che possa spezzare al tempo stesso le manette della barbarie del mercato e il carapace caratteriale che imprime sulla carne viva di ognuno il marchio dell’economicamente corretto.
La democrazia autogestionaria annulla la democrazia parlamentare
Non possiamo più tollerare che, asserragliati a tutti i piani delle loro commissioni nazionali, europee, atlantiche e mondiali, i responsabili giochino davanti a noi la parte del colpevole e dell’innocente. La bolla dell’economia, che hanno gonfiato di debiti virtuali e di denaro fittizio, implode e muore sotto i nostri occhi. L’economia è paralizzata.
Prima ancora che il coronavirus rivelasse l’estensione del disastro, gli “alti gradi” hanno ingrippato e fermato la macchina, di sicuro più degli scioperi e dei movimenti sociali che, per quanto contestatari fossero, si sono rivelati comunque poco efficaci.
Basta con queste farse elettorali e queste diatribe di ciarlatani. Di questi eletti, imboccati dalla finanza, ci si sbarazzi come dell’immondizia e spariscano dal nostro orizzonte com’è scomparsa in loro quella molecola di vita che ne manteneva l’apparenza umana.
Non vogliamo giudicare e condannare il sistema oppressivo che ci ha condannati a morte. Vogliamo annientarlo.
Come non ripiombare in questo mondo che si disfà, dentro di noi e davanti a noi, senza edificare una società con l’umano che resta a portata della nostra mano, con la solidarietà individuale e collettiva? La coscienza di una economia gestita dal popolo e per il popolo implica la liquidazione dei meccanismi dell’economia di mercato.
Nel suo ultimo colpo di coda, lo stato non si è contentato di prendere i cittadini in ostaggio e imprigionarli. La sua non-assistenza per ogni persona in pericolo li uccide a migliaia.
Lo stato e suoi mandanti hanno devastato i servizi pubblici. Non funziona più nulla. Lo sappiamo con certezza: la sola cosa che riesce a fare funzionare, è l’organizzazione criminale del profitto.
Hanno fatto i loro affari a danno del popolo, il risultato è deplorevole. Al popolo spetta ora di fare i suoi rovinando a sua volta i loro. A noi di fare ripartire tutto su binari nuovi.
Più il valore di scambio s’impone sul valore d’uso, più s’impone il regno della merce. Più noi accorderemo la priorità all’uso che desideriamo fare della nostra vita e del nostro ambiente, più la merce perderà il suo mordente. La gratuità le darà il colpo di grazia.
L’autogestione segna la fine dello stato di cui la pandemia ha messo in luce tanto il fallimento quanto la nocività. I protagonisti della democrazia parlamentare sono i beccamorti di una società disumanizzata a causa della sua redditività.
Abbiamo invece visto il popolo, posto davanti alle carenze dei governi, dare prova di una solidarietà infaticabile e mettere in opera una vera autodifesa sanitaria. Non è forse questa un’esperienza che consente di augurarsi un’estensione di pratiche autogestionarie?
Nulla è più importante di prepararci a prendere in carico i servizi pubblici, un tempo assolti dallo stato, prima che la dittatura del profitto li distruggesse.
Lo stato e la rapacità dei suoi mandanti hanno bloccato tutto, paralizzato tutto, salvo l’arricchimento dei ricchi. Ironia della storia, la pauperizzazione è ormai la base di una ricostruzione generale della società. Chi ha affrontato la morte, come potrà avere paura dello stato e della sua sbirraglia?
La nostra ricchezza è la nostra volontà di vivere
Rifiutare di pagare tasse e imposte ha smesso di appartenere al repertorio degli incitamenti sovversivi. Come potrebbero farvi fronte, quei milioni di persone che mancheranno dei mezzi di sussistenza, quando il denaro, calcolato in miliardi, continua a essere inghiottito nell’abisso delle malversazioni finanziarie e del debito da esse accumulato? Non dimentichiamolo, è dalla priorità riconosciuta al profitto che nascono sia le pandemie che l’incapacità di trattarle. Resteremo all’ombra della mucca pazza senza trarne lezione? Ammetteremo infine che il mercato e i suoi gestori sono il virus da sradicare?
Non è più il tempo dell’indignazione, dei lamenti, delle constatazioni dello smarrimento intellettuale. Insisto sull’importanza delle decisioni che le assemblee locali e federate prenderanno “con il popolo e per il popolo” in materia di alimentazione, di abitare, di mobilità, di sanità, d’insegnamento, di cooperazione monetaria, di miglioramento dell’ambiente umano, animale, vegetale.
Andiamo avanti, pur se a tentoni. Meglio sbagliare sperimentando che regredire e reiterare gli errori del passato. L’autogestione è in nuce nell’insurrezione della vita quotidiana. Ricordiamoci che ciò che ha distrutto e interrotto l’esperienza dei collettivi libertari della rivoluzione spagnola, è l’impostura (della burocrazia, NdT) comunista.
Non chiedo a nessuno di approvarmi, e meno ancora di seguirmi. Vado per la mia strada. Libera ciascuna e libero ciascuno di fare altrettanto. Il desiderio di vita è senza limite. La nostra vera patria è ovunque dove la libertà di vivere è minacciata. La nostra terra è una patria senza frontiere.
Raoul Vaneigem, 10 aprile 2020
[visualizzazione grafica del progetto di monumento ai contadini vinti di Albrecht Dürer (in Unterweisung der Messung, Trattato della misura, 1525)]
0 notes
residancexl · 5 years
Text
Daniele Ninarello #Pastorale
E’ iniziata ieri e proseguirà fino al’8 marzo presso il Teatro Comunale di Vicenza la residenza creativa a cura di TCVI Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza d Daniele Ninarello per Pastorale
Tumblr media
Pastorale di e con Compagnia Daniele Ninarello Musiche Dan Kinzelman Dramaturg Gaia Clotilde Chernetich Consulenza Elena Giannotti Luci Gianni Staropoli  Produzione Codeduomo / Compagnia Daniele Ninarello Coproduzione Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape / Direction Yuval Pick, progetto realizzato all’interno di “Sharing&Moving/International Residencies”  con il sostegno di MosaicoDanza/ Festival Interplay e della Fondazione Piemonte dal Vivo/ Circuito Regionale Multidisciplinare di Spettacolo dal Vivo e della Lavanderia a Vapore/ Centro Regionale per la Danza; Armunia/Festival Inequilibrio. Con il sostegno del Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello - CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro), Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, CID Centro Internazionale della Danza di Rovereto, Teatro Akropolis (Genova) Artista residente a progetto presso il Centro Nazionale di Produzione della Danza Scenario Pubblico/CZD, una produzione in collaborazione con il Centro Nazionale di Produzione della Danza Scenario Pubblico/CZD  con il supporto di CSC Centro per la Scena Contemporanea con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali Il progetto è stato realizzato con il contributo di ResiDance XL - luoghi e progetti di residenza per creazioni coreograficheazione della Rete Anticorpi XL -Network Giovane Danza D'autorecoordinata da L'arboreto -Teatro Dimora di Mondaino
Tumblr media
Questa nuova creazione coreografica di Daniele Ninarello, nasce dal desiderio di affrontare il tema della riunificazione, la nostalgia dell'unisono. Pastorale è il terzo lavoro di un ciclo di quattro rituali coreografici esperienziali concepiti a partire dalla creazione di pratiche anatomiche che si dispiegano nel comporre la dimensione spaziale e coreografica del rituale, in cui i corpi sono spesso orientati dalla composizione sonora. La Pastorale è l'altrove. È un luogo utopico in cui la natura spalanca la propria bellezza all'uomo. È uno spazio musicale in cui i corpi sono mossi insieme nella luce. Adesività e contrappunto tra corpo e ritmo, trai segni e le visioni intime che li hanno generati, sono gli elementi principali del sistema ritmico. L'insieme degli elementi che si trovano fuori dal corpo suggeriscono un andamento, un orientamento musicale fatto di punti, linee curve e rette, sospensioni, vuoti. Così fa la musica, che crea spazi definiti e percepibili, direzioni, ambienti carichi e vuoti. Credo che la mera contemplazione delle forme possa restituire pace alla nostra mente e permettere di farci sentire il nostro cuore capace di collegarsi all'universo. Pastorale prende spunto da un aforisma del compositore americano Moondog e dal suo universo: "Non ho intenzione di morire in 4/4!". Compositore e musicista della New York degli Anni ’50, esperto di cosmologia, poeta e inventore di strumenti musicali che, travestito da vichingo, si esibiva lungo la 6° Avenue, vendendo ai passanti i suoi spartiti. Moondog era cieco dall'età di 16 anni. Passava i suoi giorni in strada creando composizioni che inglobavano suoni della città, ritmi sghembi, elementi poliritmici, rumori naturali e voci.
0 notes
beppy65 · 7 years
Photo
Tumblr media
💋 finchè la mia lingua proclamerà solo il tuo nome...💋 Carmela Fiore E LA MIA LINGUA IL TUO NOME PROCLAMERA' Come rugiada, scendevi sui monti del mio cuore,e, mi donavi la beata frescura dell'amore. Tendevo le braccia all'immortalità, offrendoti una rosa che, di passione, empivi. S'inargentava il cielo e, nel siilenzio i nostri corpi si smarrivano , effusi da un profumo di mistero Fluttuava l'azzurro mare, e, le onde accompagnavano la lussuriosa danza dell'amore Ahi che sollazzo! Ma d'improvviso tramò il nemico e, la guerra scatenò,ed in un agguato caddi, senza salvezza. Fu un segno della vita! Sul mio cammino funi d'inciampo. Un mormorio di voci, ombre destavano dal delittuoso vento trasportate. Una voce arsa nell'aria, era un allarme, ma...non capii. Sospinta mi trovai là dove non sorge il sole, Il cuore non arato, ed, i campi nudi, tremava il firmamento. E la mia anima accesa in un accorato respiro. Dentro un cuore inquinato,mi ritrovo. Ora mi guardi e speri! Cedo all'insostenibile tuo sguardo, Aspergimi con l'elisir di un nuovo amore. La luna e le stelle ritorneranno in cielo , e, sulla mia bocca, non tremerà parola, finchè la mia lingua proclamerà solo il tuo nome...SARE LINA FIORE
2 notes · View notes
pangeanews · 4 years
Text
“Mentre tutto cade”. Andrea Caterini e Andrea Di Consoli raccontano una poesia italiana contemporanea. Giuseppe Conte, il Walt Whitman della nostra letteratura
Aprile che ritorna e che consuma nei giardini di ginestre e di acanti, nei voli di passeri invisibili e nei calendari aprile che sgretola che versa dalle tiepide
foci le nuove nuvole – sulle sue carte antiche ridisegna le rotte per le mille chiglie dorate – che si posa in questa piega della cadente
Europa su scalinate bianche palmizi e acquitrini, che mescola i ricordi e i desideri, fu detto, e dà il mal di capo. Ma ora flotte muovono senza aver mai toccato porti, alzano
vele galeoni volanti, non sanno che bandiera battono: sconosciuti traversano – non hanno più piedi del vento, degli scirocchi – le piazze, le automobili in sosta, i palazzi in
fila le porte dei caffè aperte i pomeriggi i volti degli uomini e cupole grigie: i cani abbaiano dai cancelli. Abbiamo scavato le montagne, gettato i ponti, che
cosa sarà domani di noi? Aprile sa ritornare, ora consuma, imbeve i giorni come l’acqua fa della sabbia morta spinge i cespugli di margherite ad affiorare e alzare
fitte ingigantite corone, oggi le ho guardate io che non posso più crescere, io oggi, io sguardo, io pietra, non ancora e già pietra, che dovrò imparare a tornare e non
sarà facile, e dovrò uccidere, forse: dovrò non saper guardare: fluisce, distrugge e dona il dio zoppo del sole, i suoi diadochi, i diademi. Aprile che non è contempo-
raneo, che sulle sue carte antiche ridi- segna le rotte per le mille chiglie di fiori «non posso più, c’è fame di vita, di sorrisi da spendere, di gioia»
che uccide le madri, diventano di sale e sin dai tempi dei vulcani imperanti ruba al seme i futuri, sa che brucia, che è lava, che diventa il mare di meduse, io medusa, quello
prima che il mattino fosse acceso ed era sempre il mattino, io mattino, prima che amare fosse amare in due, amare il dio, io dio, fare seccare gli alberi, spegnere i fischi i
flauti che si dovevano suonare e
distruggere
«E intanto i nostri desideri ci cercano spietatamente dentro i marciapiedi affollati» aprile lungo i fuochi del viale Sarca, di via Arbe, aprile che è aprile, che fende sopra i
volti le labbra e le ciglia, che sgretola che a folate fa praterie dove erano i palazzi in fila laghi dove in montagnole si stipavano i rifiuti, aprile che è il poema, che tradisce,
che ci dona canoe e cavalli veri mentre si muore: che getta gli occhi sui davan- zali: crescono improvvisi i fiori dei ciliegi, dove l’erba è a ciuffi schiacciati e i lunghi ghiacci sono
sciolti il verde vaga come un serpente: le labbra sono umide ora, ora le ciglia tremano, volano e cadono gli sguardi, si seppelliscono nelle crepe dei muri: il piacere è debole
«ora tra sconosciuti ci si potrebbe amare per le strade, venire insieme» è perdere, è tornare dove non si può tornare: mettere i diademi: non vo- ler più avere né essere: è il richiamo
delle conchiglie, dei corni, delle sirene prima del mondo: il richiamo dei gufi dal ciuffo «hu hu, e he tha!… da vaste lontananze tu senti il grido del papavero
selvaggio che vuole sbocciare»: il sangue: mani tese ad attendere la pioggia sono già piogge, i piedi alti sugli alluci fradici: non amare, non sapere, non saper
guardare. È già aprile, ancora un aprile bianco
I galeoni stranieri veleggiano verso queste rive affondate dalle profezie, non parlate: sono le pietre ad avere l’anima, le voci di pietre d’oro, delle montagne d’oro: un
canto c’è ancora oltre il vento che rovina tra la barriera delle palme lucide e polve- rose: un sogno fiorisce ancora in basso dove non si poteva credere ad altre fioriture, un
pino marittimo piegato da tempeste arcaiche generò le albe: le albe le danze: non parlate di questo aprile: aprile che è il poema, che tradisce, che ci dona
canoe e cavalli veri mentre si muore: fluisce distrugge e dona il sole, i suoi diadochi, i diademi: io per imparare a morire: imparare a ridere occorre ora, a distruggere, e a
tornare
Giuseppe Conte
L’ultimo aprile bianco, da L’oceano e il ragazzo, BUR, 1983
*
Che cos’è il mito? Si potrebbe rispondere in diversi modi, anche perché dipenderebbe dall’epoca e dalla civiltà – il mito nella Grecia antica non era il mito dei romantici. Però potremmo provare comunque una sintesi, un ragionamento. Il mito è certamente racconto, è epos, è poema. Ma bisognerebbe subito aggiungere qualcosa. Ovvero che il mito non è il racconto in quanto narrazione, ma ciò che la narrazione sottende, come dire il suo motore. Allora, per ellissi, il mito potrebbe pure essere una forma dell’ispirazione, una sorta di musica delle cose. Ma c’è qualcosa d’altro che appartiene al mito ed ha a che fare col desiderio – ed è, specificamente, il desiderio di un inconosciuto verso il quale tendiamo. Giuseppe Conte, che di un ritorno al mito ha fatto la ragione di tutta la sua ricerca poetica assolutamente solitaria, lo esprime bene in questo poemetto da L’oceano e il ragazzo, del 1983, un libro che, per la sua originalità, per il suo essere assolutamente inconsueto nel panorama della poesia italiana contemporanea, in qualche misura ha fatto epoca. Parlo di un desiderio di essere quelle cose, di essere la musica che quelle cose suonano, quel suono che è propriamente il loro stesso mistero – e si leggano, nella poesia, quei pronunciamenti, «io sguardo», «io pietra», «io medusa», «io mattino», «io dio». Non si pensi a nessuna forma di narcisismo, nemmeno di quel particolare narcisismo esibito con ironia. Conte, attraverso il mito, dichiara il riappropriarsi di una spiritualità perduta; una spiritualità che è delle cose, e di noi nelle cose. Se dovessi dire a chi guarda o ha guardato Conte con la sua poesia, mi vengono in mente due nomi. Uno è più evidente, anche perché Conte ne è stato il traduttore: Walt Whitman. Da Whitman Conte non ha raccolto solamente quella capacità luminosa di risvegliare lo spirito delle cose, e di noi nelle cose, ma anche di tradurre tutto questo in chiave moderna. È l’idea di democrazia, in cui il soggetto non è solo soggetto, ma soggetto nella folla, nella massa. L’altro nome invece è Coleridge, per quanto di concretamente sovrannaturale si può leggere nella sua poesia (e rileggete, nel poemetto, questi versi di Conte: «I galeoni stranieri veleggiano verso queste/ rive affondate dalle profezie, non/ parlate: sono le pietre ad avere l’anima»). E forse proprio attraverso Whitman e Coleridge Conte ha trovato una porta verso l’Oriente islamico. Credo siano stati questi due nomi la chiave d’accesso moderna alla filosofia islamica. Una filosofia antica, che ancora sente strettissimo il legame con il sacro la spiritualità. Ecco, da sempre Giuseppe Conte è convinto che il senso del mito, del sacro e della stessa spiritualità possono ancora tornare a vivere per mezzo della poesia. Che la poesia, e quindi il mito, il sacro e la spiritualità, sono sempre possibili, in ogni epoca, anche in quelle in cui il cinismo e il nichilismo vorrebbero annientare ogni nostro rapporto con l’impossibile, anche con quell’impossibile possibilità che è la poesia.
Andrea Caterini
*
La poesia di Giuseppe Conte ha un respiro largo, e abbraccia ampiamente. I suoi versi fluiscono impetuosi, ed esprimono un’energia sorgiva e potente. Il “corpo” della sua poesia ama, danza, vola, viaggia; è un “corpo” sciolto, sensuale, libero dai lacci delle poetiche dominanti. Quella di Conte, sinora, è stata anzitutto una grande lezione di libertà. La cifra ideologica di Conte è il massimalismo poetico – ovvero un’idea “assoluta” di poesia, totalmente opposta al ripiegamento minimalista o confessionale – e il sincretismo culturale – nessuno come Conte ha saputo fondere miti di ogni dove, purché intrisi di amore, pace, avventura, sacro e fertilità. Non sfuggirà che il suo esordio poetico avvenne negli anni ’70: il decennio poetico, in assoluto, più nevroticamente distante dalla natura e, ovviamente, dalla “naturalezza”. Conte ribalta tutto e, anziché rifarsi ai maestri della sperimentazione (dell’afasia, dell’incomunicabilità, del nichilismo, della dissacrazione) va a cibarsi dai poeti dal Grande Respiro, da Whitman a Shelley, da Tagore a Neruda, tutti poeti generosi, larghi, sorgivi, pienamente immersi nel flusso della Vita (quella di Conte è una poetica piena di maiuscole). Ne è uscita una poesia unica per il panorama italiano, che probabilmente ha un solo antecedente illustre: Gabriele D’Annunzio, perlomeno nella “larghezza”. Conte sembra dire: l’uomo non sbaglia se sta pienamente nella Vita, nel Mito, nel Desiderio, nel Tutto. È così che è nata una poesia panteistica, pacifica, erotica – l’erotismo inteso anzitutto come energia vitale, come flusso generoso; tutto l’opposto di una poesia che scavava proprio in quegli anni trincee di anti-poesia e di poesia postuma. Il canto di Conte è largo, e larga è la sua retorica vitalistica – dico tutto questo senza nessuna accezione negativa. Ogni poesia di Conte volge lo sguardo verso l’alto e verso l’orizzonte. Non si sbaglierebbe a considerarlo un navigatore, sempre in cerca di nuove albe, di nuovi popoli da abbracciare nei loro miti fondativi. Qualche anno fa si è anche discusso se per caso non fosse “di destra”, una simile poetica – una discussione in parte sciocca, ma anche tremendamente interessante. Perché Conte non vuole cambiare il mondo, sovvertirlo, sabotarlo o “denunciarlo”, ma vederlo, sentirlo, cantarlo. Lui non fa “resistenza” alla Vita, ma si fa invadere coraggiosamente da un’energia panteistica che è concreta (sole, mare, corpi, ecc.) ma anche misteriosa, indefinibile per via culturale. Ecco perché la sua poesia svetta sulla media della poesia contemporanea, perché non si è mai fatta incatenare dal “qui e ora”, dalla sociologia, dalla psicanalisi, dalla scienza, ma si è unicamente affidata all’energia vitale a cui ha reso omaggio attraverso la poesia, che assume a questo punto lo status di rito. In questa poesia la “cadente Europa” viene sommersa e come rivitalizzata dalle infinite rifioriture che a troppi sfuggono per “eccesso di cultura”. E non si tratta di una virata bucolica e pacificata, anzi, ma di un ritorno allo spirito di avventura di chi sente che il mondo è ancora tutto da scoprire, così come i corpi, le parole, i sentimenti e le connessioni segrete tra tutte le cose. Più che di poesia italiana, Conte sembra essersi nutrito di romanzi di mare, di epopee di ogni latitudine e di letteratura erotica. Solo un Paese cerebrale come il nostro non ha saputo sinora riconoscere in lui il Walt Whitman della nostra poesia, uno dei pochi ad averci detto senza supponenza: bisogna imbarcarsi, il mondo è grande, la Vita è un’avventura inesauribile.
Andrea Di Consoli   
*In copertina: Giuseppe Conte in un ritratto fotografico di Dino Ignani
***
“Mentre tutto cade” ha raccontato una poesia di:
Beppe Salvia
Valerio Magrelli
Salvatore Toma
Antonella Anedda
Dario Bellezza
Giovanni Raboni
L'articolo “Mentre tutto cade”. Andrea Caterini e Andrea Di Consoli raccontano una poesia italiana contemporanea. Giuseppe Conte, il Walt Whitman della nostra letteratura proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2QLOvgZ
0 notes
rossorubinotv · 4 years
Text
La stagione si inaugura l’8 e il 9 novembre sotto il segno della comicità, quella esilarante e surreale di Paolo Migone in Completamente Spettinato, per continuare con quella ironica e sui generis di Drusilla Foer con Venere Nemica. Lo spettacolo, con la regia di Dimitri Milopulos, è una rivisitazione strapparisate ispirata alla fiaba di Amore e Psiche di Apuleio: Drusilla è Venere, Dea immortale quindi ancora oggi esistente, vive… a Parigi (13 dicembre). Divertimento e spietata verità anche con Alessandro Riccio e Gaia Nanni in Bestiario Contemporaneo: la coppia di attori fiorentini è andata a ricercare esempi di umana bestialità nei luoghi di tutti i giorni, analizzando con tenace vena ironica l’infelice condizione della società contemporanea (dal 10 al 15 marzo).
Fiore all’occhiello, tout public, della stagione è la Nuova Barberia Carloni di Mario Gumina, con Teatro Necessario. Lo spettacolo ricrea l’atmosfera di mezzo secolo fa, quando la barberia era il luogo di ritrovo preferito dai signori, un posto dove discutere di affari e idee, bere caffè, ascoltare musica ma anche aneddoti e consigli del fidato barbiere. Vincitore del premio Eolo 2011, principale riconoscimento italiano per la ricerca nel teatro ragazzi, è stato ospite del Festival international de l’humour, a Cossé-le-Vivien, in Francia, nel 2018 e ha partecipato nel 2014 al Festival internazionale del teatro per bambini ad Haifa, in Israele (2 febbraio).
Altro vincitore del premio Eolo 2019 (due volte vincitore al Festebà di Ferrara) è Luigi d’Elia. Attore, scrittore, regista e costruttore di scene, si aggiudica l’Eolo con lo spettacolo Zanna Bianca di Francesco Niccolini, lo scrittore e drammaturgo con cui ha stretto un sodalizio artistico che dura da dieci anni in un’intensa ricerca sul racconto della natura. Il lavoro è un omaggio selvaggio e passionale a Jack London, ai lupi, al Grande Nord e all’antica infanzia del mondo (22 Novembre).
Attiva nel campo della ricerca teatrale con contaminazioni dalla danza contemporanea e dalla Performing Art, Chiara Bersani – vincitrice premio UBU 2018 come miglior performer under 35 – presenterà Seeking Unicorns. Un assolo inedito per l’artista piacentina, che da anni si interessa al significato politico dei corpi e porta in scena una creatura meravigliosa e visionaria, ironica e conturbante (1 febbraio). Altra figura di spicco della stagione è Mariangela Gualtieri. Voce appassionata del nostro presente e definita una delle maggiori poetesse viventi, con lo spettacolo Bello Mondo ci propone un rito sonoro catartico e rigenerante di celebrazione della vita (27 marzo). Ciclo “I capolavori” e produzioni Archètipo
#gallery-0-5 { margin: auto; } #gallery-0-5 .gallery-item { float: left; margin-top: 10px; text-align: center; width: 50%; } #gallery-0-5 img { border: 2px solid #cfcfcf; } #gallery-0-5 .gallery-caption { margin-left: 0; } /* see gallery_shortcode() in wp-includes/media.php */
Dopo il De rerum natura di Lucrezio, il ciclo “I capolavori”, una produzione Archètipo, dedica un omaggio a Gustave Flaubert (1821-1880) a 140 anni dalla morte, con Madame Bovary, impareggiabile grande classico riletto da voci innovative di autori contemporanei: Lucrezia Guidone e Ivan Alovisio (8 febbraio), Alessandra Bedino con Rosario Campisi (15 febbraio), Daria Deflorian e Antonio Tagliarini (29 febbraio). Sempre con produzione Archètipo, due importanti mise en scène: Riccardo Massai alla regia di Istruzioni X razzisti un gioco teatrale per riflettere (30 novembre, per la Festa della Toscana); lo spettacolo di Franco Camarlinghi Vecchi muri e nuovi muri a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino (18 gennaio).
Riccardo Massai, Francesco Casini, Eleonora Francois
Effetto Placebo | Teatro come Differenza La rassegna torna con una serie di spettacoli per e con i “dimenticati”, con gli occhi ben aperti sui margini della nostra società. Formato dalle compagnie Arte in corso, Es teatro, Arbus, Isole comprese Teatro, Teatro come Differenza nasce nel 2013 da un’idea di Alessandro Fantechi, attore regista e “agitatore” teatrale fiorentino, pioniere del lavoro sul sociale. In seguito alla sua recente scomparsa, Isole comprese Teatro, compagnia di cui Fantechi fu fondatore, presenta il lavoro di Marco Toloni ed Elena Turchi, E dove vivi adesso? (15 novembre). A seguire: lo spettacolo di Alessandro Garzella Canto d’amore alla follia frutto di un percorso pluriennale volto a valorizzare l’espressione del disagio e della marginalità, in scena dialoghi fulminanti, fisicità, erotismo (6 dicembre); il laboratorio il teatro è azione parlata, di e con Alessandra Bedino, indirizzato alle persone in carico ai servizi di salute mentale della USL Toscana Centro (19 dicembre); il convegno Contami in Azioni sulla drammaturgia nel teatro sociale (27 febbraio) e Interrogatorio a Maria di Giovanni Testori con la regia di Paolo Biribò e Marco Toloni (dal 3 al 5 aprile).
Nuove generazioni Particolarmente attesi gli appuntamenti con i giovani autori italiani: Salvo di e con William Pagano che sceglie come ambientazione la China Town di Prato (22 febbraio); Marco Bartolini giovane drammaturgo fiorentino che racconta Amedeo Modigliani in Modigliani, oltre il velo, primo studio dall’esperienza della residenza Archètipo (24 gennaio); Daniela D’Argenio Donati in Effetto Papageno di Sofia Bolognini, Michele Panella e D. D’Argenio Donati (7 marzo).
Progetto Piccoli Il programma dedica uno spazio privilegiato al pubblico dei piccoli: da annotare per la delicatezza Il cacciatore di sogni spettacolo di luci, ombre e musiche originali di Olimpia Bogazzi e Khaliurrahman Nanang (15 dicembre); Ida, la signora della fermata del bus di e con Simona Gambaro (16 febbraio) e Miniminiature spettacolo di educazione alla musica con Arnolfo Borsacchi e Pier Elisa Campus (29 marzo).
Il decalogo del diciottenne: la maggiore età.
1. Fare teatro per divertire (Migone, Drusilla, Riccio e il Teatro Necessario) 2. Fare teatro per far riflettere (d’Elia, Niccolini, Gualtieri e Bersani – Premio Ubu 2018) 3. Fare teatro per educare le coscienze all’impegno civile: contro le forme di razzismo che stanno offuscando i nostri giorni (Istruzioni x razzisti); contro i muri che stanno ri-sorgendo intorno a noi (Vecchi muri e nuovi muri, scritto dall’amico Franco Camarlinghi, perché è importante dar voce alle grandi voci di intellettuali che abbiamo) 4. Fare teatro per perseguire bellezza: Madame Bovary (con grandi interpreti: Guidone e Alovisio; Deflorian e Tagliarini; Bedino e Campisi) 5. Fare teatro per dar voce ai giovani: (Pagano, Bartolini, Zanoncelli, Bolognini, D’Argenio Donati) 6. Fare teatro per dar voce al territorio: Se l’arte tocca il cuore, Omaggio a Marcello Guasti 7. Fare teatro per formare pubblico: rassegna Progetto Piccoli 8. Fare teatro come impegno sociale: rassegna Effetto Placebo 9. Fare teatro per ricercare e affrontare sfide sempre nuove e maggiori e per arricchire/rmi di cultura 10. Fare teatro per … : “Buongiorno, sono un fan del vostro teatro ed ho seguito con interesse le stagioni passate, in particolar modo La recherche e De rerum. Da qualche anticipazione ho saputo che nella stagione prossima a venire il Vostro lavoro si concentra anche su Madame Bovary. Dato che dovrei urgentemente fissare dei viaggi all’estero, e non vorrei perdere gli spettacoli, Vi chiedo se sia possibile sapere qualche data al fine di poter pianificare i miei spostamenti. Grazie ancora per il lavoro che fate con passione. Cordiali saluti – (lettera firmata)”
  Queste sono ricompense di diciotto anni di lavoro sul territorio, sono frutti maturati di una maggiore età raggiunta.
“Il cartellone del Teatro comunale di Antella – commenta il sindaco di Bagno a Ripoli Francesco Casini – ancora una volta si dimostra all’altezza delle aspettative. La programmazione pensata e proposta dal direttore artistico Riccardo Massai, a cui va il mio sincero ringraziamento, anche quest’anno è di altissima qualità. Si dà seguito a una tradizione all’insegna dell’eccellenza, con spettacoli e iniziative in grado di richiamare un pubblico eterogeneo, preparato ed esigente. Il Teatro è uno dei fiori all’occhiello del nostro territorio ma sta acquistando una centralità sempre maggiore a livello metropolitano. Nuovo impulso in questo senso arriverà a breve con il progetto del ‘Vagone della Vedova Begbik’, una carrozza ferroviaria in arrivo tra pochi giorni che consentirà di recuperare la resede esterna del Teatro e ampliarne ancora l’offerta culturale”.
La stagione 2019/2020 è realizzata con il sostegno di Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, Regione Toscana, Città Metropolitana di Firenze, Comune di Bagno a Ripoli, Unicoop Firenze, Firenze dei Teatri, Rat.
Teatro Comunale di Antella Via Montisoni 10, Bagno a Ripoli – Firenze Tel. 055 621894 [email protected] http://www.archetipoac.it
Paolo Migone, Drusilla Foer, Luigi D’Elia, Chiara Bersani, Mariangela Gualtieri, Mario Gumina, Alessandro Riccio e tanti altri ospiti. Per il ciclo “I capolavori” omaggio a Flaubert con letture di Madame Bovary VIDEO QUI 👇 La stagione si inaugura l’8 e il 9 novembre sotto il segno della comicità, quella esilarante e surreale di…
0 notes
tmnotizie · 5 years
Link
di Stefania Mezzina
SAN BENEDETTO – Si alzerà sabato 26 e domenica 27 ottobre con Silvio Orlando in “Si nota all’imbrunire (Solitudine da paese spopolato)” scritto e diretto dalla pluripremiata drammaturga Lucia Calamaro, la stagione teatrale 2019-2020 del Teatro Concordia di San Benedetto del Tronto.
Come occuparsi di un padre che, per effetto e degenerazione di una iniziale scelta di solitudine, vive ormai “accanto all’esistenza e non più dentro la realtà”? Con le sue corde tragicomiche, Silvio Orlando è capace di scatenare le empatie di ogni spettatore. «Ci piace pensare – scrive l’autrice Lucia Calamaro– che gli spettatori, magari la sera stessa all’uscita, chiameranno di nuovo quel padre, quel fratello, lontano parente o amico oramai isolatosi e lo andranno a trovare, per farlo uscire di casa. O per fargli solamente un po’ di compagnia».
La stagione proone una carrellata dei migliori spettacoli del teatro italiano, tre dei quali in esclusiva regionale, e con la grande e attesa novità della doppia recita.
Realizzato dal Comune e dall’AMAT, con il contributo di MiBAC e Regione Marche e con il sostegno del BIM Tronto, il cartellone ospita sette titoli, finalmente tutti proposti con la formula della doppia rappresentazione, inseguita per anni e ora resa possibile anche grazie ai risultati entusiasmanti della stagione scorsa.
A fianco del cartellone di prosa, come di consueto, è in programma la rassegna dal titolo “Domenica in famiglia” con quattro spettacoli domenicali per i più piccoli, che negli anni ha riscosso consenso crescente di pubblico, le 5 matinée dedicate alle scuole del Teatro Scuola, l’iniziativa di formazione per gli studenti delle superiori Scuola di Platea attivata sui classici del teatro e i sempre graditi incontri con gli artisti.
Venerdì 8 e sabato 9 novembre la Compagnia dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico porta in scena con la regia di Emma Dante “Le baccanti” di Euripide. La Dante affronta l’impresa con l’usuale coraggio e con l’obiettivo di condurre gli allievi dell’Accademia alla comprensione di un testo lontano e terribile incarnandolo nei loro corpi e voci. «In un processo creativo dionisiaco – scrive nella presentazione- abbiamo cercato di esplorare attraverso il corpo l’ebbrezza e l’euforia che le baccanti ci trasmettevano. È un’opera straordinaria da cui attinge gran parte della nostra cultura, dalla religione alla letteratura. Un’opera del dio dello strepito, di cui gli allievi si sono nutriti».
Appuntamento con danza, illusionismo e acrobazie venerdì 29 e sabato 30 novembre. In scena la compagnia Evolution Dance Theater in “Night garden” uno spettacolo di Anthony Heinl coreografato da Heinl in collaborazione con Nadessja Casavecchia. Lo spettacolo unisce l’arte, la danza e le doti acrobatiche dei ballerini alla magia delle ambientazioni tratte dal fantastico mondo della natura notturna. Nebbia, riti propiziatori e pratiche oniriche animeranno poi nuovamente la scena riempiendo gli occhi presenti in sala di visioni che stimoleranno l’assopita fantasia.
Luca Barbareschi, Lucrezia Lante Della Rovere e Federico Russo sono i protagonisti, martedì 7 e mercoledì 8 gennaio de “Il cielo sopra il letto (Skyline)” a San Benedetto in unica data regionale. Il testo torna, dopo un ventennio, nel repertorio della coppia Barbareschi-Lante della Rovere: «[L’autore] David Hare – dichiara Barbareschi che dello spettacolo firma anche la regia – è uno dei più grandi autori britannici e anche il più controverso.
“Il cielo sopra il letto” è una bellissima storia che pur essendo una straordinaria introspezione di un rapporto uomo-donna, riesce a diventare mirabilmente uno statement politico sullo scontro psicologico tra politically correctness e pensiero razionale logico. Lui è un uomo pratico, ma intellettualmente onesto. Lei riflette l’anima di Hare, è il personaggio nel quale si identifica. Lo sguardo dell’autore su questi due personaggi non è di chi giudica. La saggezza vera sta nel comprendere i due personaggi».
Giovedì 6 e venerdì 7 febbraio la scena è per Simone Cristicchi nello spettacolo “Esodo”. Scritto diretto e interpretato dall’attore e cantante romano “Esodo” racconta con voce, parole ed immagini un frammento di storia attraverso la quotidianità. Al Porto Vecchio di Trieste il Magazzino 18 conserva sedie, armadi, arredi e stoviglie, fotografie e giocattoli di quanti, nel 1947, dovettero abbandonare Istria e Dalmazia, per un Trattato non più italiane, lasciandosi alle spalle casa e radici e affrontando paura, insicurezza e nostalgia.
In unica data regionale, sabato 29 febbraio e domenica 1 marzo, Vanessa Incontrada e Gabriele Pignotta portano in scena la commedia “Scusa sono in riunione… ti posso richiamare?” scritta e diretta da Gabriele Pignotta.
Giovani non più giovani con l’animo ora diviso tra ambizioni professionali e bisogni di affetto sono i ‘portatori sani’ di un fallimento sentimentale, vissuto nella frenesia di un’esistenza dipendente dalla tecnologia che non lascia più alcuno spazio al normale e sano vivere i rapporti interpersonali! Cosa succederebbe se queste stesse persone si ritrovassero protagonisti di un reality show televisivo?
Dopo il successo di “Romeo e Giulietta. L’amore è saltimbanco” nella scorsa stagione, torna la commedia dell’arte per l’appuntamento di chiusura: venerdì 17 e sabato 18 aprile, in unica data regionale, la compagnia Stivalaccio Teatro è nuovamente sul palco del Concordia per “Il malato immaginario. L’ultimo viaggio” su soggetto originale e regia Marco Zoppello.
Dopo essere sopravvissuti all’Inquisizione Veneziana grazie a “Don Chisciotte” e ritornati alle antiche glorie per merito di “Romeo e Giulietta”, la Compagnia dello Stivale giunge ora a Parigi. Ma la fama e il successo non durano e, in poco tempo, la compagnia si scioglie.
L’unico a rimanere fedele alla professione è Giulio Pasquati, scritturato al Teatro Palais Royal diretto nientemeno che da Molière. Ma il 17 febbraio 1673 la quarta recita de “Il malato immaginario” è a rischio perché Moliere non è dell’umore giusto per andare in scena. Tocca a Pasquati il disperato tentativo di portare a termine la serata ricorrendo nientemeno che ai vecchi compagni dello Stivale, pregandoli di quest’ Ultimo Viaggio.
Con l’introduzione della doppia serata, per la nuova stagione teatrale si azzera la prelazione riservata ai vecchi abbonati sulla conferma del posto.
Gli abbonamenti per i 7 spettacoli, sia per la prima che per la seconda delle 2 serate, sono in vendita da sabato 5 a sabato 19 ottobre alla biglietteria del Teatro Concordia (largo Mazzini 1, orario 10-12 e 17,30-19,30, tel. 0735/588246) a 110 euro per la platea, 80 euro per la galleria e 50 euro per lo speciale giovani fino a 25 anni (riservato ai giovani fino a 25 anni e ai soci Touring Club, valido in platea, dalla fila O alla fila Q, e in galleria). 
Informazioni Biglietteria del Teatro Concordia (largo Mazzini, 1 tel. 0735/588246; Ufficio Cultura del Comune di San Benedetto, tel. 0735/794588 e 0735/794460, www.comunesbt.it; AMAT ad Ancona, tel. 071/2072439, www.amatmarche.net; Call center dello spettacolo delle Marche 071/2133600.
Inizio spettacoli ore 20.45
0 notes
sguardimora · 13 days
Text
Beatrice Botticini Bianchi e Giovanni Careccia in residenza a Longiano con With love
15 Aprile 2024 - 29 Aprile 2024 
Tumblr media
A Longiano è iniziata la residenza creativa per la ricerca e la composizione del nuovo spettacolo di Beatrice Botticini Bianchi e Giovanni Careccia.
Gli autori, spinti dalla necessità di indagare il tema del conflitto all’interno delle relazioni umane, hanno ideato un dispositivo poliedrico, versatile e multidisciplinare. With love è una ricerca composta da laboratori e atti performativi. Ogni incontro prevede l’analisi e lo sviluppo di materiali connessi alla tematica, che vengono poi integrati in una performance in continuo divenire, malleabile e plasmata dagli avvenimenti contemporanei e dai contenuti espressi dal pubblico, in un’ottica di creazione co-partecipata.
Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi #1
**************************************************************
Beatrice Botticini Bianchi, danzatrice, performer e autrice, classe ‘98. Diplomatasi nel 2020 presso l’Accademia Susanna Beltrami – Dancehaus, prosegue la sua formazione artistica approfondendo i linguaggi coreutici tra Italia ed estero. Lavora come interprete per Susanna Beltrami, Paola Stella Minni e Kostantinos Rizos (Futur Immoral), Erato Zavara, Christine Ellison e per la compagnia Escape Project. L’apertura verso le arti performative nella loro totalità la porta ad approfondire l’aspetto teatrale; viene selezionata come performer in produzioni del Teatro Franco Parenti e del Piccolo Teatro di Milano e d’Europa. Nel 2022 si laurea all’Università degli Studi di Milano con una tesi in Sociologia, materia che continua a indagare nei suoi primi approcci come autrice. Nel 2023, durante il Corso di Alta Formazione per Attori-Creatori di Residenza I.DRA., crea il suo primo solo performativo Mannequin in cui esplora le dinamiche di potere dello sguardo e della femminilità. Nello stesso anno viene ammessa al Corso di Alta Formazione per coreografi e danzautori I corpi e le voci della danza. Attualmente prosegue nella sua ricerca autoriale, condividendo processi anche con artisti nazionali e internazionali.
Giovanni Careccia, artista, dancemaker e performer freelance classe ‘93. Si diploma presso ArteMente, Centro di Alta Formazione per la Danza. Negli ultimi anni la sua attenzione si sposta sulla danza d’autore partecipando al progetto sostenuto dal MiC, C.I.M.D. – Incubatore per futuri coreografi e frequentando il Corso di Alta Formazione I Corpi e le Voci della Danza sostenuto dalla regione Emilia-Romagna. Dal 2019 collabora attivamente con il dramaturg Christian Consalvo e altre figure artistiche che completano e arricchiscono le sue performance. Danza per Daniele Ninarello, Silvia Gribaudi, Sofia Nappi e la compagnia Lost Movement. Le sue creazioni sono selezionate per diversi festival, rassegne ed eventi culturali nazionali. Nel 2021 con la performance After Allpartecipa alla Vetrina della giovane danza d’autore – Anticorpi XL. I suoi lavori ad oggi sono supportati da Sanpapié, Organismo di Produzione, Centro ArteMente, Organismo di Promozione, e FLIC – Festival Lanciano in Contemporanea, Festival Multidisciplinare, riconosciuti dal Ministero della Cultura.
0 notes
retegenova · 6 years
Text
Genova, dal 25 al 30 settembre
(ore 20.30 / domenica ore 18.30)
TEATRO DELLA TOSSE tutte le sale
  PRIMA NAZIONALE AXTO Oratorio per corpi e voci dal labirinto
testo Emanuele Conte regia di Emanuele Conte e Michela Lucenti
coreografie Michela Lucenti
impianto scenico Emanuele Conte
luci Andrea Torazza 
costumi Daniela De Blasio
rielaborazioni musicali Massimo Calcagno
collaborazione al testo Elisa D’andrea, Luigi Ferrando
assistenti alla regia Alessio Aronne, Natalia Vallebona, Ambra Chiarello
con Michela Lucenti, Maurizio Camilli, Emanuela Serra, Filippo Porro, Alessandro Pallecchi, Simone Zambelli, Aristide Rontini, Lisa Galantini, Enrico Casale performer nel labirinto Attilio Caffarena, Pietro Fabbri, Francesco Gabrielli, Luca Hardonk, Gianluca Pezzino, Arabella Scalisi
direttore di scena Roberto D’Aversa
elettricista Davide Bellavia
macchinista Fabrizio Camba
attrezzista Renza Tarantino
sarta Anna Romano
produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse, Balletto Civile
Artisti In Piazza – Pennabilli Festival
    Al Teatro della Tosse dal 25 al 30 settembre (ore 20.30 – domenica 18.30) in scena in prima nazionale AXTO – Oratorio per corpi e voci dal labirinto, nuova produzione del Teatro della Tosse con regia Emanuele Conte e Michela Lucenti. I due artisti per la loro terza regia insieme portano  in scena il mito del Labirinto e del Minotauro. La compagnia di danzatori, attori e cantanti del Teatro della Tosse e di Balletto Civile dà corpo e voce a questo racconto, epico e familiare, in uno spettacolo che nasce dalla terra e dal sudore invadendo tutti gli spazi del teatro.
Una casa e come protagonisti, a officiare il rito, i familiari, abitanti di quella casa. Il “mostro” ora è chiuso tra le mura domestiche, l’oscenità nascosta e il sacrificio consumato all’interno della famiglia.
La stagione si apre il 25 settembre con la Prima Nazionale di Axto  – Oratorio per corpi e voci dal labirinto regia di Emanuele Conte e Michela Lucenti.
Axto, è il nuovo tassello che si inserisce in un percorso artistico articolato e complesso, che attraverso la sperimentazione di nuovi linguaggi e la contaminazione delle diverse forme d’arte e discipline vuole uscire dagli schemi convenzionali. 
Un percorso che Conte e Lucenti hanno iniziato tre anni fa con la messa in scena di ORFEO RAVE, spettacolo allestito negli 11.000 metri quadrati dal Padiglione B della Fiera di Genova che mescolava prosa, danza, musica e arti visive.
Una sfida vinta,  che ha dato vita a un lavoro potente e visionario continuato nei successivi lavori. La collaborazione tra i due artisti è proseguita con INFERNO#5 presentato al Festival di Cividale del Friuli e Il MAESTRO E MARGHERITA che ha debuttato lo scorso inverno  sul palcoscenico della sala Trionfo.
Il legame tra Conte e Lucenti è andato oltre alla messa in scena degli spettacoli, nel corso del tempo è diventato qualcosa di più articolato e ambizioso. La creazione di un linguaggio artistico totale che mette al centro l’attore-performer, per un teatro sia fisico che di parola, dove i testi originali – spesso legati al mito – e le coreografie sono in costante dialogo con allestimenti scenografici potenti ed evocatici.
Spazio, musica, suono, danza, prosa, vuoto, pubblico, rumore, luce, buio, scena, e silenzio ogni elemento diventa “teatro”. La necessità di creare un proprio linguaggio attraverso l’incontro/scontro tra “teatri” differenti è il punto di convergenza tra due artisti che si sono incrociati dopo percorsi differenti. L’attore di Conte e Lucenti diventa anche danzatore e viceversa e non solo, al centro della scena c’è quindi un performer che è funzionale al linguaggio dello spettacolo.  
  Axto, presentato in forma di studio lo scorso maggio al Festival Internazionale di Arti Performative Artisti in Piazza di Pennabilli, è il nuovo tassello che si inserisce in un percorso artistico articolato e complesso, che attraverso la sperimentazione di nuovi linguaggi e la contaminazione delle diverse forme d’arte e discipline vuole uscire dagli schemi convenzionali. 
Un percorso artistico che passa anche dall’incontro con il pubblico, dall’uso di location inusuali e dalla trasformazione dei luoghi per dare l’idea della complessità del teatro dal vivo.
  Anche questo nuovo lavoro che affronta il mito del Minotauro e del labirinto, resta fedele alle idee  dei registi e se in forma di studio è stato adatto per essere messo in scena sotto un tendone da circo per il suo debutto nazionale le sale della Tosse sono state trasformate in un vero labirinto.
Il pubblico inizierà il suo percorso in una sala Campana completamente priva di poltroncine e seguirà i sette danzatori e i due attori sul palco, dietro le quinte e nei camerini del teatro dove si svolgerà la storia.  
  Lisa Galantini e Enrico Casale racconteranno attraverso i testi di Emanuele Conte la storia del labirinto fatto costruire da Minosse per rinchiudere dentro il Minotauro, mentre in scena  i danzatori Michela Lucenti, Maurizio Camilli, Emanuela Serra, Filippo Porro, Alessandro Pallecchi, Simone Zambelli, Aristide Rontini, con le coreografie della stessa Lucenti daranno corpo ai personaggi e alle situazioni del mito.
  Sulla scena firmata Conte, la terra ricopre tutto e da questa affiorano pochi mobili e suppellettili come se un appartamento, senza pareti, fosse stato invaso dal fango di un’alluvione e poi fosse riemerso in parte, una volta asciugata l’acqua.
Uno spettacolo che nasce dalla terra e dal sudore.
Ma Cos’è il labirinto? Un posto dove perdersi o un posto dove nascondere quello che ci fa paura, ciò che non si riesce a capire? Una prigione, un manicomio, un’isola.
Il labirinto è il luogo dove si compie il sacrificio simbolico,  così l’animale si evolve in uomo. Entriamo nel labirinto, il cervello umano, perdiamoci, lasciamo un filo rosso dietro di noi per ritrovare l’uscita, o forse l’entrata. Un percorso che parla di solitudine estrema e dei muri, che dovrebbero proteggerci e che invece non fanno che consolidare il nostro isolamento. Ci accorgiamo che non c’è via d’uscita, che i limiti sono dentro di noi. I mostri sono nei nostri occhi, i muri nella nostra mente. Avidamente ricerchiamo la luce e riemergiamo dall’architettura infernale dei nostri pensieri  solo dopo aver abbandonato lungo la strada un cadavere, o forse un guscio, una corazza, che non ci serve più e voltandoci indietro scopriamo che il mostro aveva il nostro volto.
Axto si esprime con diversi linguaggi tra cui anche una forte manipolazione sonora attraverso le rielaborazioni musicali di Massimo Calcagno, che aiutano a riflettere sui nostri pensieri anche quelli che ci inducono a isolarci  e a capire che i muri e i mostri spesso sono dentro di noi perché siamo noi stessi a crearli. 
I costumi dello spettacolo sono realizzati da Daniela De Blasio, luci di Andrea Torazza.
  INFO: www.teatrodellatosse.it
Biglietteria: 0102470793
Biglietti: 15 euro
      Davide Bressanin
Ufficio stampa
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse ONLUS
www.teatrodellatosse.it
      Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
Comuni-italiani.it
Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
Contatti
Stefano Brizzante
Impianti Elettrici
Informatica Servizi
Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
PRIMA NAZIONALE martedì 25 settembre AXTO di Conte/Lucenti (Genova, dal 25 al 30 settembre) Genova, dal 25 al 30 settembre (ore 20.30 / domenica ore 18.30) TEATRO DELLA TOSSE tutte le sale…
1 note · View note
allmadamevrath-blog · 6 years
Text
La Magia. La magia della musica. L'energia della musica
Tumblr media
La Magia
La magia della musica
L'energia della musica
<<La musica è una matematica misteriosa i cui elementi partecipano all'infinito>>, sottolineava Debussy. Per Pitagora l'universo si lascia leggere come una partitura musicale; in questo modo il grande pensatore poneva la musica all'interno di una realtà simbolica ancor oggi moltto sentita in diverse culture. Secondo gli esoteristi, <<il canto magico deve essere diretto verso i quattro punti cardinali. Le sue virtù magiche derivano non soltanto dalle immagini o dalle idee contenute nelle parole, ma nelle sonorità imitative: il martellamento dei tam-tam è insieme un linguaggio e un incantesimo. Alcune sillabe, esercitano un'azione determinante; tale è la lonrana origine di quei ritornelli che abbondano nei vecchi canti popolari. Per tutte queste ragioni, l'incanesimo deve seguire esattamente le intonazioni e le modulazioni prescritte nel rito; e non deve essere tradotto>>. La musica occupa una posizione rilevante nell'iter rituale della magia: dalle manifestazioni più semplici come il canto popolare, o arcaiche come quelle basate sul tam-tam, fino alla più complessa ricerca esoterica, in cui la partitura diventa quasi un testo criptico accessibile a pochi adepti. Nei trattati magici, da Cornelio Agrippa di Nettesheim a Marsilio Ficino, fino a Robert Fludd, la musica svolge sempre un ruolo importante, è considerata strumento fondamentale per condizionare gli stati d'animo e rendere l'ascoltatore particoalrmente sensibile alle influenze extrasensoriali; <<il mondo tutto è un unico essere vivente che danza a ritmo musicale>>, affermava Marsilio Ficino, a considerare la musica non solo metafora dell'universo matematico, ma potenza cosmica attrice nell'armonia tra micro e macrocosmo. Della Porta <<se le altre virtù portano l'utile. e l'onesto, e il necessario; la musica oltre le tre accennate dona cinque altre prerogative, cioè gioia alla mente, sollievo al cuore, diletto all'orecchie utile e onesto trattenimento di mondo, e per fine, un pensiero di gloria>>. Athanasius Kircher pensava che la musica avesse soprattutto una funzione terapeutica, applicabile con ottimi risultati, su quanti soffrivano di disturbi che oggi definiremmo neurologici: <<La musica, è una straordiinaria medicina, adatta a scacciare tutte le malattie; sia istorie scare che profane abbondantemente ci tramandano di melanconici, furiosi, indemoniati, avvelenati curati da essa>>. Sul ruolo terapeutico della musica vi sono numerose testimonianze etnografiche, dallo sciamanismo i tarantati, che pongono nitidamente in luce quanto sia forte il rapporto tra il suono e le pratiche magico-rituali della medicina arcaica. Cornelio Agrippa evidenziava: <<L'armonia musicale non è orbata dei doni siderali, poiché è una potentissima imitatrice di tutte le cose. Seguendo opportunamente i corpi celesti, provoca mirificamente il celeste influsso, agendo sulle passioni, gli atteggiamenti, i gesti, i movimenti, le azioni e i costumi e disponendo l'anima secondo le sue proprietà, gioia, tristezza, audacia o tranquillità e simili>>. Per alcuni aspetti, la musica è allucinogena e visionaria; vive in simbiosi nella nostra psiche, persiste nella memoria suscitando reazioni diverse secondo la sensibilità e la cultura dei singoli. La musica sublima gli stati d'animo, contribuisce attraverso la realtà; assegnandole un'altra fisionomia. Il suono ritmato del tamburo aiuta lo siamano a <<volare>>, per dirigersi dove le reazioni dei prodotti neuroattivi assobiti lo vorranno condurre. La muscia è energia: induce l'ascoltatore a seguire il ritmo, a muoversi a tempo, creando un rapporto molto forte tra l'uomo e lo spazio. Nel nostro secolo è andata perduta l'aura sacrale che ha sempre contrassegnato il suono: la musica è quindi divenuta oggetto di consumo, sottofondo, spesso disarmonico, delle numerose pratiche del quotidiano. La musica <<espprime quello che le parole non possono dire>>. Diventa linguaggio parallelo, che forse, con valenze magico-esoteriche, sotto lo strato del suono conserva tutta una serie di altri mesaggi decifrabili solo da quanti sannoo ascoltare le voci poste al di fuori della ristretta gamma dell'udibile. La musica ha signifciati che conservano un legame con la cultura ancestrale, adeguata nei meandri della nostra evoluzione pronta a rievocare emozioni che sono in noi, nel nostro essere, nella nostra specie. Il linguaggio musicale, con il suo carico di ritualità, è forse più antico di ogni altro mezzo di comunicazione, e come tale depositario di consocenze primordiali, prive del filtro della cultura.
0 notes
occhidelmondo · 6 years
Text
Cristalli
Riflettevo la luce del sole: quest'oggi mi sentivo viva. Per lui ero diversa: era da tempo che non lo vedevo. Mi baciò come se volesse riconoscermi. Andammo in un luogo denso di passato e quella sera avevamo deciso di ricamare un nuovo ricordo. Scivolammo tra birra, case, esperienze, passioni e desideri, ci innondammo della lentezza fermando il tempo: non avevo mai visto la sua vera bellezza. I nostri sguardi si inseguirono tra sfumature cobalto e fugimmo nel nostro rifugio stellato. Accompagnati dalle nostre voci di giostra, ci sfiorarammo ed un bacio intenso e magnetico ci implorava di unirci. Con le sue forti braccia mi spogliò e mi strinse a sé, come se volesse farmi fondere con le sue viscere. Respiri, voci sussurate e urlanti di desiderio suonavano questa danza inarrestabile dei nostri corpi ardenti. Raggiungemmo i vertici dei nostri cuori frenetici e ci abbracciammo in un flebile sonno. Mi svegliai e tutto cambiò forma, colore. Tornai a riposare tra il suo profumo sulla mia pelle. Mi diede sette baci per la buonanotte e si addormentò. Come un libro, il suo corpo mi ha permesso di viaggiare.
0 notes
persinsala · 6 years
Text
Stefano Ricci e Gianni Forte portano all’Off/Off Theatre di Roma la straordinaria allegoria dell’arte e della vita.
Allevato nell’epoca del dominio del linguaggio televisivo e commerciale, l’orizzonte dell’immaginario artistico contemporaneo mostra spesso di soffrire maledettamente il lato oscuro della massificazione novecentesta e, per questo motivo, di tendere a un puerile atteggiamento di anima bella che si crogiola nella propria inattualità.
A caratterizzare questa genuflessione, che più volte abbiamo riscontrato nel teatro politico e civile di casa nostra, è una sostanziale inconsistenza di fondo, ossia la convinzione che possa bastare rivendicare la propria rivoluzionarietà nella tematica o nella forma per giustificare l’efficacia di una critica sociale e culturale a una realtà i cui fondamenti strutturali, tuttavia, non vengono mai messi realmente in discussione, una critica che, di fronte a una analisi disincantata, si manifesta in verità e purtroppo palesemente didascalica e immediata, se non proprio sentimentale.
Contrariamente allo sconforto adorniano circa l’impossibilità di agire nella prassi contro quell’industria culturale che fagocita e piega ai propri voleri ogni opposizione (come accadde alla controcultura degli anni sessanta, oggi declinata in brand più o meno alla moda, dal vintage all’hipster), la sfida lanciata da Easy to remember alle convenzioni dello spettacolo teatrale tradizionale (sia performativo che di regia) si pone quale clamoroso ed efficace esempio di trasfigurazione scenica della controversa assurdità di una vita dedita all’arte, quella di Marina Cvetaeva, nonché, se non soprattutto, di dilaniante rappresentazione metaforica dell’esistenza umana.
Arrestata, deportata, elisiata, Marina attraversò la morte del marito e della figlia, visse da emarginata nella propria società (anche letteraria) e nel proprio tempo. La drammaturgia di Ricci/Forte parte da un assunto affatto originale («la follia è davvero una malattia o una manifestazione divina, un’espressione di libertà?) e sviluppa un interrogativo non inedito («come e in nome di chi vengono tracciati gli steccati di quella discutibile libertà?»), ma, attraverso la sublimazione estetica della biografia della poetessa russa, giunge ben oltre, fino a formalizzare con estrema audacia una tematica di assoluta radicalità («il nostro domani»).
Rispetto alla vicenda personale, la regia di Stefano Ricci evita inutili cripticismi nel restituire l’inazione cui Marina venne costretta dalla comunità letteraria bolscevica (la carrozzina) e il conseguente suicidio per impiccagione nel 1941 (il filo rosso), declina con struggente efficacia la solitudine sociale e culturale in cui si trovò reclusa in seguito al drammatico rientro in patria nel 1939 e non cade mai vittima dell’autoreferenzialità dell’intellettualismo d’avanguardia, sfoggiando anche il consueto, sapiente e dosato utilizzo di elementi ordinari tratti dalla popular culture (le musiche, la maschera da emoticon innamorato, allegoria di un rischio da cui nessuno può dirsi realmente al riparo).
Accompagnato da gestualità che, da dissonanti e distanti, giungono all’armonia e all’insieme della danza, il finale, poi, sbalordisce per come elude ogni rischio di moralismo, riuscendo, a seconda del personale stato d’animo, a potenziare il diffuso senso di angoscia e disagio fino ad allora avvertito o ad aprire a un happy ending tanto inatteso e sconcertante, quanto unico possibile, ossia all’arte quale unica tentazione di libertà, quale estremo e recondito barlume di speranza per chi – nonostante il dolore e le sconfitte – aspira a un’esistenza autentica e degna di essere vissuta.
La scena è spoglia, dominata da un «loculo» da cui usciranno crisantemi e l’unica presenza maschile dello spettacolo, il capriccioso e viziato figlio Mur (rappresentato non a caso come una ostile marionetta). Dalle parole della Cvetaeva emergono la richiesta di un amore che rinuncia all’inessenziale per essere perennemente straordinario, la voglia di una fedeltà assoluta a questo amore sterminato, la necessità di una dolce e libera adesione a questo amore puro, e che tutto ciò possa essere la prova concreta di un’esistenza non anonima. Il palco è completamente velato di bianco. È una «cella candida», una «stanza. Singola. A due posti». In essa la poetessa «cresce isolata afferrandosi alla memoria, come un fatale testamento in bottiglia da affidare alla Storia», ma dal suo corpo e dalle sue parole a maturare non è una verità esclusivamente individuale perché a partire dal corpo e dalla parola Easy to remember, eccedendo la semplice idea che la patologia del singolo possa essere il frutto malato di una società (la nostra) sprofondata nella barbarie, disvela ben oltre che una tragedia privata.
Anelato in fieri dagli struggenti versi della Cvetaeva proiettati sul velo trasparente che copre la quarta parete, la prospettiva del domani non sarà, allora, il sol dell’avvenire invocato dalla retorica rossa, perché quando domani avverrà, l’oggi sarà terminato, l’esserci hic et nunc scomparso, il proprio vissuto nullificato, tutt’al più conservato nella memoria. Ma la memoria in Easy to remember va ben oltre l’essere funzione cognitiva o esecuzione meccanica di attività psicofisiche quotidiane; la memoria cui Cvetaeva aspira attraverso l’immortalità dei propri versi è la sostanza spirituale di una coscienza che va ben oltre l’istante del funzionamento organico. Ed è in tal modo che il teatro di Ricci/Forte arriva alla possibilità di comprensione di ciò che quotidianamente, in maniera passiva e automatica, si accetta senza riflettere sulle proprie emozioni.
Inebriante protagonista dell’allestimento sarà, infatti, l’intrinseco potere dell’assenza (dell’amore, del riconoscimento sociale, degli affetti familiari, del tempo) di dominare la nostra vita e il dilaniante accostamento della persona a una dimensione strutturale dell’esistenza, sensazione che Easy to remember lascia sedimentare e stratificare in un climax emotivo parossistico perché capace di lasciare gli spettatori logorati al pari di performer ammalianti e stremate dalla densità e dal ritmo nervoso dello spettacolo.
Liliana Laera e Anna Gualdo, inizialmente mascherate come Nuestra Señora de la Santa Muerte, vestite di bianco (rispettivamente, infermiera/figlia e Marina Cvetaeva), impressionano con una impegnativa e perturbante performance fisica e recitativa, basata sull’ossessivo oscillare della lirica di «voci femminili sepolte, sovrapposte, infrante» tra le opposte pulsioni di vita e di morte, tra Eros e del Thanatos. Le due abitano «in questo istituto di “apparente” sanità, che sgretolano le ore della propria esistenza, feroci come le graminacee che attecchiscono sul cemento», offrono «singulti», scompaiono e compaiono oltre le radiografie di corpi ormai consumati in scheletri proiettati sulla quarta parete. Alternano monologhi e spezzano la propria melodia vocale senza, però, mai concedere pause al vertiginoso tasso di lirismo di una drammaturgia rizomatica e polimorfica, le cui parole prima illudono la descrizione di oggetti e possessi concreti e, poi, volgono a disegnare paesaggi interiori tragicamente patetici.
Ricci/Forte, allora, scartano il proprio stesso linguaggio per porsi quali irridenti innovatori di se stessi. Agli eccessi nelle dinamiche sceniche, al violento impatto fisico e alla penetrazione intellettuale di tanta produzione precedente, Easy to remember non oppone stilemi rivoluzionari e alternativi, ma preferisce una diversa proposta di invasività psichica, una maggiore finezza e profondità d’indagine sulla relazione tra l’essere umano e il sistema di biopotere che lo circonda. L’esito è disturbante, visionario e rigoroso perché Easy to remember trasfigura la propria radicalità, destrutturando il tessuto emotivo quale esso sta venendo a connotarsi all’interno di un contesto massificato e consumistico, plasmato da dispotivi di cultura e potere dei quali gli autori, seppur da altra direzione, dimostrano di saper padroneggiare le tecniche e di conoscerne i confini, così da utilizzarli per non subirli, ma, anzi, svelare quanto il re sia nudo.
Entrando in rotta di collisione con l’idea che il teatro sia semplicemente la testimonianza di una presa di posizione progressista o radicale, una prospettiva soggettiva con cui reiterare banalmente la superiorità di un punto di vista (il proprio) su un altro (quello contestato), la poetica di Stefano Ricci e Gianni Forte mostra – ancora una volta – di sapere come creare un corto-circiuto nel sistema di cui pure essi, e il pubblico con loro, fanno parte.
Chapeau.
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot 2
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot (7)
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot (6)
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot (5)
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot (3)
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot 4
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot 3
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot 1
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot (1)
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot (2)
Easy To Remember Foto Di Giovanni Chiarot 5
Lo spettacolo continua: OFF/OFF Theatre Via Giulia dal 12 al 23 Dicembre 2017
Ricci/Forte presentano Easy to remember drammaturgia ricci/forte regia Stefano Ricci movimenti Piersten Leirom assistente regia Ramona Genna direzione tecnica Danilo Quattrociocchi suono Andrea Cera voce registrata Anna Terio ricerca iconografica Stéphane Pisani con Anna Gualdo, Liliana Laera
Easy to remember Stefano Ricci e Gianni Forte portano all'Off/Off Theatre di Roma la straordinaria allegoria dell'arte e della vita.
0 notes