Tumgik
#io è i calabroni
rokanimescion · 1 year
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couragescout · 2 years
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Stanca morta, con gli occhi gonfi e arrossati, un gomito sbucciato che brucia, due pellicce al collo e il magone ancora in gola. Sono sul treno di ritorno, sto tornando a casa dopo cinque giorni fuori dal mondo, con addirittura un fuso orario tutto nostro perché è cambiata l'ora ma noi non potevamo perdere i ritmi delle giornate. Sto tornando a casa con la testa piena di emozioni ed il cuore in tumulto.
Ho di nuovo bisogno di piangere ma l'ho già fatto troppo oggi quindi cerco di non farlo. Le parole della capo campo alla verifica sono state così forti e così dirette che mi hanno scombussolato tutto. Mi ha lasciato tanto su cui pensare, mi ha detto senza mezzi termini quello che mi ci vuole per stare bene all'interno della mia CoCa e fa paura. Fa paura perché ha dannatamente ragione. Vedremo cosa succederà questo anno.
Io torno a casa con un bagaglio di emozioni e di nozioni. Torno a casa arricchita e leggera. Serena e gioiosa. Torno a casa con quarantatré nuovi Vecchi Lupi nel cuore, con quarantatré nuovi fratellini e sorelline nel cuore. Con quarantatré sorrisi nel cuore.
Torno a casa sicura di me, cresciuta, forse anche cambiata. Trasformata.
Sono stati cinque giorni intensi, ritmi frenetici e pieni di sessioni da fare. Acqua gelata e calabroni. "Tu sei il piatto normale o veg?". Marte rosso e la costellazione delle pleiadi.
La bellezza di trentaquattro ragazzi che per divertirsi e per conoscersi si rotolano nell'erba, creano scenette su una forchetta, inventano canzoni e fanno bans stupidi come La mucca o PataPata. Si raccontano tramite storie su i loro bambini, su come gestiscono le responsabilità a ventidue, venticinque anni. Si raccontano anche tramite scorci della propria vita quotidiana tra una forchettata e l'altra, tra una stella e l'altra. E mentre si raccontano creano legami bellissimi. Siamo stati il Branco/Cerchio che ci auguriamo per i nostri bambini. Ci siamo divertiti da matti, abbiamo saputo essere sinceri e fraterni.
Sono stati cinque giorni forti anche a livello di Fede. È stata la prima volta in cui mi sono emozionata ad una messa, quando ho guardato il prete che benediceva l'ostia ed il vino le lacrime non si sono fermate. Quando Padre Renato è venuto a darmi l'ostia benedetta non ho potuto non sorridere tra le lacrime. I suoi occhi azzurri così pieni di amore, così pieni di gioia, così pieni di Cristo me li ricorderò per sempre. Ha saputo trasmettermi l'amore di Dio con una mano su una spalla, con un sorriso mentre chiacchieravamo per il campo, mentre mangiavamo seduti allo stesso tavolo e lo sentivo raccontare di storie sulla sua vita. Ha saputo farmi sentire per la prima volta in venticinque anni giusta perché Cristiana.
Questo CFM è stato tanta roba, si è preso tanto di me e mi ha lasciato tanto, è stato una cosa ben fatta.
Bracciano, 27/10 - 01/11/2022 🌻
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pettirosso1959 · 19 days
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Ettore Borzacchini, pseudonimo di Giorgio Marchetti (Lucca, 12 dicembre 1943 – Viareggio, 7 settembre 2014), è stato uno scrittore e satirista italiano. Fine umorista e grande filologo italiano, però spesso dimenticato da una certissimo settore "culturale", sappiamo tutti quale: quello salottiero con la puzza sotto il naso, che non gli perdonò la sua simpatia verso una certa forza politica, ma forse per il suo carattere forte e orgoglioso di "livornesaccio" (E anche "lucchesaccio") lui, la merda, la scansava come la peste. Ecco un sunto di una sua ironica, e presa di culo, recensione su un vino che io, fantasticamente, ho battezzato, da una idea di un mio amico, "Rossello di Botticino", che naturalmente non esiste al mondo un vino con un nome così stupido: “Egli, il chiaretto, si rivelò, al colore, pudibondo e nuvoloso, ma contemporaneamente barbagliante d’un rubinaccio spento, quasi pennellato di terrose riminiscenze, ricordando certi trebbianelli ambiziosi o i sangiovesi adulti da salotto. Ma al gusto fu la vera sorpresa: squadrato e sentenzioso negli avancorpi, fu subito dopo ruspigno e cipollato nel centro destra, mentre l’ala sinistra scivolava ampollosamente sugli strascichi gargamellosi e dorotei dei lambruschini claudicanti dell’Oltrepò Pavese; il bouquet spingeva dapprima con insistenza sul fragolato pesto, ammiccando però alle vaniglie zebrate e ai pistacchi esotici, mentre la coda si impennava orgogliosamente sulla papillazione di mentuccia fungata e di vaghe tisane del sottobosco friulano dalle parti di Cividale. Non v’era traccia e non me ne dolsi, di retrogusto, se non a fiocchetti spenti di sparagio salvatico, qua e là punzonati di asciutto rigno di muflone d’Abruzzo. Il corpo, magniloquente e pomposo, aggrediva poi il palato con fare sprezzante ed ortogonale, aggallando nella faringe a piccole e frequenti bolle chiacchierine, senza peraltro obliterare l’ugola, anzi molcendola come rorido, tiepido pelo di nutria. Frusco, ben pasturato e solenne nelle intenzioni, il vino risultò altresì leggermente gianduiato nella maturazione, reclamando ancora un poco di riposo, forse ad acquisire vieppiù rango e stoffa, senza però pretendere il decoro marchionale dei fratelli maggiori: il Succhiasassi Tartufato nature di Roccapregna del Vulture ed il leggendario Zoccolato rosè dei Conti Cucchiaioni Papera di Poggio Merdoso.” Manca una ultimissima parte che non sono riuscito a trascrivere che parla di abbinarlo a "lepri giovani lasciate a frollare tre mesi tra i calabroni del sottoscala e fatte al salmì"!
Oppure, c'è il video su YouTube, la lettera inedita dal carteggio di Giacomo Puccini: "Elvira, lasciami la cena sul tavolo di cucina, stirami le camice, lucidami le scarpe di vacchetta marrone e dai da mangiare al cane. Torno tardi e domattina non mi rompere i COGLIONI prima di mezzogiorno che sennò ti gonfio di cazzotti come lunedì. Giacomo." In foto il Maestro Borzacchini nel famoso ritratto fattogli dal suo amico Maestro F. M. Sardelli.
La storia del vino "Rossello Di Botticino" mi venne raccontata da un mio caro amico di Villa Basilica -vicino Collodi dove abito io- (Botticino è una sua frazione comunale che vigneti non ne ha assolutamente, ma ha tanti boschi di acacie e castagni): "Eravamo anni fa a cena in un ristorante in Versilia. Prima di ordinare le portate viene al tavolo una giovane sommelier appena formatasi, forse, all'Istituto Alberghiero Marconi di Viareggio. Appena assunta dai gestori di questo ristorante, si presenta timidamente a prendere ordine per i vini. Dopo averne elencato, sotto perfida richiesta dei commensali, una miriade, uno di noi le dice: -Ma ce l'avete il Rossello Di Botticino?- al ché lei confusa farfuglia: -non saprei, adesso vado a vedere se lo trovo nella cantinetta-, naturalmente le risa, prima soffuse, si fecero ancora più forti... beh, tornò rossa come in viso come il culo di un babbuino dicendo che no, non l'avevano. 
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harshugs · 1 year
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Non aver paura di loro, non fanno nulla. Più che altro occhio a vespe e calabroni. Anche i bombi sono tranquilli.
lo so che non fanno nulla e sono importanti ecc, ma è un meccanismo del mio cervello che non riesco ad evitare
che poi in realtà ho paura solo quando si avvicinano, se io sono in un punto e loro sono in un altro alla dovuta distanza io sto abbastanza tranquilla, se poi vengono verso di me (anche solo per curiosare) io preferisco prendere e andarmene da un’altra parte (lo faccio urlando, ma va bene lo stesso HAHAHAH)
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mermaidemilystuff · 3 years
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Allora in pratica c'è sta situazione assurda
Affacciandomi dal balconcino del mio bagno ho sulla destra il muro del condominio vicino. Ebbene in sto muro di mattoni hanno nidificato da anni dei calabroni che però ogni estate mi ritrovo un giorno sì e uno no in casa. Sì, con questa frequenza. No, su tre piani di persone nessuno ha mai fatto nulla. Fatto sta che io quest'anno mi son rotta e ho iniziato a muovere qualcosa.
La prima cosa divertente e assurda di sta storia è che il mio telefono la prima parola che mi suggerisce quando provo a scrivere "calabr" è "calabresi". Quindi la prima volta che ho scritto al proprietario dell'ultimo piano -un geometra- stavo per inviare il messaggio "nel muro di mattoni hanno nidificato dei calabresi".
La seconda cosa, più assurda che divertente, è che insieme al mio vicino (che rimane interno rip quindi non c'entra nulla ma mi dà sostegno nella battaglia) abbiamo convenuto poter essere utile avere del supporto fotografico o video per qualunque necessità (i condomini possono non crederci, dal momento che arriva chi di competenza può essere utile e così via). Così da oggi è iniziato un appostamento degno di La Finestra sul Cortile di Hitchcock, dove però ci sono io seduta in bagno sul mio sgabellino azzurro che attendo arrivino i calabroni per testimoniare il tutto.
Ammetto che me le aspettavo diverse queste sere dei vent'anni, ma comunque frizzantine sono
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t-annhauser · 4 years
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Alle Bande der Natur
Ci sono certi calabroni là fuori, nella natura, grandi come merli, possiedono ali dotate di penne remiganti e quando scendono in picchiata fanno il rumore dei Messerschmitt. Io pensavo che insetti del genere, di quelle dimensioni, esistessero solo nel carbonifero, che l'essere più pericoloso nei paraggi fosse la gatta dai denti a sciabola che gira di notte per il cortile con gli occhi luminescenti da diavola, ma mi sono dovuto ricredere. Io del resto con la natura non ho mai intrattenuto rapporti significativi, solo l'altro giorno, per esempio, notando un gran viavai di vespe sopra la mia testa, mi hanno reso edotto del ciclo dell'impollinazione, che io credevo ancora che i frutti nascessero prima dei fiori (e in un certo senso è vero quant'è vero che l'estate precede l'inverno e l'inverno l'estate, dipende da che capo la si guardi). Io credo che questa cosa della natura ci condurrà tutti alla fossa.
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kyda · 4 years
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Frammenti con animali (da Bestie)
La mia anima è cresciuta nella silenziosa ombra di Siena, in disparte, senza amicizie, ingannata tutte le volte che ha chiesto d'esser conosciuta. E così, molte volte, escivo solo, di notte, scansando anche i lampioni. Per lo più andavo fino alla Piazza dei Servi, tutta pendente dalla scalinata della chiesa, con due abeti in mezzo a due piccoli prati, divisi tra loro dalla imboccatura della strada. Accanto alla Chiesa, un convento, quasi di faccia, un angolo: di là dal muro, Siena con tutta la sua torre. Allora pensavo alla mia fidanzata. Siccome mi riesciva di vivere, così, separato da tutti, ogni volta che qualcuno mi guardava con quella sua curiosità acuta che m'offendeva, io doventavo più triste; e facevo la strada più corta possibile, non passavo mai per Via Cavour, che è quella principale; ma, dal Vicolo della Torre, rasente il Palazzo Tolomei, le cui pietre sono ormai nere, attraversavo e scendevo per il Vicolo del Moro: in fondo, a sinistra, c'era la mia casa. Basta ch'io mi ricordi di quelle mie tristezze perché mi sembri cattivo anche il cielo di Siena. Specialmente la sera soffrivo troppo, e non accendevo il lume per non vedere le mie mani: la tristezza stava sopra la mia anima come una pietra sepolcrale, sempre più greve; e mi sentivo schiacciato sulla sedia. E avrei voluto morire. La mattina, quando incominciavano i soliti pettegolezzi e le chiacchiere - la mia padrona, Marianna, non poteva fare a meno, magari con una parola sola, di farmene sentire subito la feroce persecuzione - andavo subito in collera; ed ero certo che sarei stato male tutta la giornata. O strade che mi parevano chiuse sotto campane di vetro! O amicizie sognate, e soffocate per forza dentro la mia anima, con ira! Quando andavo a lavarmi le mani e il viso in cucina, sotto la cannella, quasi sempre una lumaca aveva scombiccherato, con il suo inchiostro luccicante, tutta la porta.
Io ho sempre avuto poco tempo di voler bene a qualcuno. Quell'estate era così calda che né meno in cielo c'era posto per lei. Pareva che il sole si levasse sempre più grande, ed era impossibile farsi un'idea di quando sarebbe tramontato. Siepi polverose, cipressi che parevano per seccarsi, alberi, morti, saggine e granturcheti doventati bianchi, fili di ragno così lucenti che parevano di metallo che tagliasse le mani, usci screpolati, botti sfasciate, la terra così dura che non la lavorava più nessuno, i letti dei torrenti senza libellule e con l'erba appassita, salci che non crescevano più, gelsi con la foglia piccola, vomeri lucenti, sassi che scottavano, nuvole rosse come fiamme, stelle cadenti! Una cicala, sopra il nocchio d'un olivo, canta: la vedo. Mi ci avvicino, in punta di piedi, stando in equilibrio dall'una zolla all'altra. La stringo. Le stacco la testa.
L'aria dava una sensazione di violenza. Nel cielo c'era una nuvola che pareva una fiamma; e vapori bianchicci e torbidi, quasi pigiati da tutto l'azzurro grande, un azzurro un poco violaceo e umido. Ma che m'importava, se io avevo perfino paura di guardare intorno a me? La notte innanzi, destato tra un sonno e l'altro, avevo sentito portar via le stelle e l'obbligo di non arrivare fino alla sera dell'indomani. Ed ecco, invece, ch'io m'ero messo ad aspettare questa sera! Ecco che io volevo vivere per forza ed inutilmente, quantunque tutte le cose rifuggissero da me. Ecco che per un tempo indefinibile, un anno forse, io mi esponevo a ritrovare i segni della mia sofferenza tutte le volte ch'io avessi voluto aprire gli occhi e il respiro. Ma io vi andavo incontro come ad un cadavere che avessi dovuto seppellire dopo aver desiderato di assomigliargli. Ecco che la mia tristezza veniva ad oscurare definitivamente la mia anima. Ma ora avrei voglia di scrivere una novella, i cui personaggi fossero burattini di legno. Io credo che essi possono meglio di noi godere della luce e delle altre cose belle. Chi non ha visto quanto piacere hanno quando sono mossi dai loro fili? Essi recitano volentieri; e sento tutto il baccano che fanno entro la trama della novella. Inoltre, Rosaura non m'ha ingannato mai; e il vestituccio se lo cambia pure che voglia io. Tutta la mia tristezza sentimentale non costa l'occhiata di vernice della mia dolce Rosaura. Vedo che nessuna donna vera è gelosa di lei; ma ha torto. Oggi (già passato un anno?) il cielo è in un modo che pare rosolio; e i calabroni se lo bevono tutto.
La strada dove non sono più stato è quella che m'era piaciuta tanto, forse più delle altre. Già non vi passava nessuno! L'erba v'era alta, con il muschio così verde che pareva una vernice a olio, sciolta. Sempre l'ombra del muro altissimo, scrostato, scalcinato; un'ombra che pareva più pesa del muro, fredda, silenziosa. E di là, a pochi metri di distanza, il sole chiaro e caldo, e le farfalle che quando si sono prese in mano bisogna ucciderle!
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kon-igi · 5 years
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LE PAROLE SONO IMPORTANTI
Come alcuni di voi ne sono già a conoscenza, io sono toscano e più esattamente di Viareggio, dove la sagacia del contandino dell’entroterra del Chianti incontra l’ignoranza (intesa come invulnerabilità psicofisica) del pescatore sferzato da mille fortunali.
Da noi la bestemmia è un intercalare elevato ad arte sublime che supera in potenza e pregnanza quei sintetici e stizzosi attacchi di rabbia dei Veneti o quelle tiepide circonlocuzioni attenuativo-sostitutive dei Lombardi.
Noi ci mettiamo il cuore, rabbioso per i divini strali della sorte.
Per esempio, un veneto che si pesta un dito col martello esclama DIO CAN!, un milanese ZIO CANTANTE! e un emiliano al massimo osa un DIO ‘NIMEL!... un Toscano, invece, non perde tempo con vuote interiezioni perché sa perfettamente di chi è la colpa e quindi entra subito nell’attribuzione delle responsabilità dirette, per esempio, con un DIO VIGLIACCO DELLA MADONNA ASSASSINA!
Ma attenzione... non sono semplici esclamazioni enfatiche fini a se stesse ma un giudizio preciso per una catena di comportamenti che hanno esitato nell’evento scatenante.
Nello specifico, la vigliaccheria si riferisce a quell’evidente inanità pavida divina, resa ancora più eclatante e invisa da una tanto sventolata onnipotenza, onnipresenza e onniscenza di Dio... insomma, sai tutto e puoi fare tutto ma decidi di non fare un cazzo.
L’aggettivo di ‘assassina’, nel merito, fa riferimento a una corresponsabilità morale e legale della coniuge che, per quanto infusa dallo Spirito Santo e Immacolata, rimane un essere vivente terreno con doti empatiche di condivisione emotiva... insomma, sai bene cosa si prova e non dici nulla a quell’altro.
Il Toscano è diretto e sintetico ma non sacrifica mai il tempo dedicato alla bestemmia senza lasciare le proprie motivazioni implicite all’interno di essa. Nell’attimo in cui esso cade dalle nuvole quando gli si fa notare che inserisce una bestemmia ogni due parole, non dovete commettere l’errore di credere che lui stia facendo lo gnorri o che imprechi per abitudine: il suo è un ponte giaculatorio tra uomo e dio che non necessita della parte razionale dell’anima ma che, anzi, riveste carattere rivelatorio del mistero divino. 
Tutto questo per dirvi che stamattina, in pantaloncini e a torso nudo, stavo riponendo il tosaerba nel capanno degli attrezzi quando ho urtato con un ginocchio un nido gigante di calabroni... 
Quindi sì, dio vigliacco della madonna assassina decisamente.
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ilarywilson · 4 years
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21 mar 2076
H «Non c’è posto per le ciniche frigide al The Maze». Afferra il suo bicchiere e se lo porta alla bocca, assaporando l’ironia del momento.
I: «E` mio sacro dovere avvertirti che l`ultimo che mi ha dato della frigida, poi mi ha sposato. Dovreste cambiare repertorio e smetterla di insultare quello che non potete avere. E` da pidocchi» o forse voleva dire marmocchi.
H: Quella voce squillante gli martella il cervello. Paragonabile al ronzio di trecento calabroni, allo stridio della voce delle sirene. «Sì, poi si è ricordato di quanto tu sia frigida, e ha firmato le carte per il divorzio».  Davvero, Duffany? Così crudele?
I:  Il fruscio delle gonne e il movimento delle mani sono un tutt`uno col suo sbilanciarsi in sua direzione fino ad arrivargli a pochi centimetri dal viso, strattonandolo poco elegantemente per la collottola. E il catalizzatore? Dritto contro la sua gola. «Parlare del mio divorzio è davvero la cosa più eccitante che t`è capitata stasera, Duffany? E per inciso. Il divorzio l`ho chiesto IO, perché ho sposato un emerito stro** e tu me lo ricordi parecchio, perciò se non vuoi finire con le pa** nuovamente in fiamme ti consiglio di tapparti quel pozzo di meschinità che chiami bocca...» Gli occhi lucidi e il lieve tremito delle labbra suggeriscono che lui abbia toccato un tasto davvero dolente. «... Almeno fino a che non ti sarai accorto che il mondo non gira intorno a te e che le persone non rifiutano gli inviti a cena solo perché sono frigide ciniche, ma anche perché stanno soffrendo. RAZZA DI EMERITO TROLL!»
H: Accenna a un sorriso e, con la sua incredibile calma, porta una mano sulla bacchetta di lei. Andrebbe ad abbassarla lentamente, continuando a fissare la ragazza negli occhi. Si avvicinerebbe all’angolo destro della bocca, proprio nel punto in cui la pelle abbandona le labbra per dedicarsi alla guancia. Non ha intenzione di baciarla altrove, vedere gli occhi umidi gli rompe il cuore. E poserebbe la bocca su quel punto del viso, appena sfiorato, ma percettibile al tatto. «Dammi retta» le sussurra una volta allontanatosi. «Hai bisogno di una vacanza» conclude. 
I: La bacchetta contro la sua gola e quel °Silencio° non verbale ad essere certo un curioso strumento vendicativo, soprattutto perché Harry avrà l`impressione vivida e soddisfacente d`essere riuscito a placare l`ira funesta della Wilson. E c`è una scorrettezza sbudola e tutta femminile nel modo in cui scegli di non ritrarsi di scatto quando lui pensa di avvicinarsi. Anche se ha un lievissimo sobbalzo che sicuramente si percepirà. L`angolo delle labbra su cui lui ha azzardato posare le sue si curva in un sorrisetto di funesta delizia. «Hai detto qualcosa?» in un sussurro che sfiderebbe chiunque a mantenere i nervi saldi, per la gran dose di innocenza con cui riesce a condire il tono e l`espressione del viso prima di abbandonare la presa sul suo colletto, scivolare giù dallo sgabello, fare dietrofont e imboccare l`uscita.
°Tarantallègra°
«Chalèur batòn»
I:  E vorremmo poter dire che non ci sia una logica nel tentativo di rendere incandescente la bacchetta (...) di Harry, tanto da costringerlo a lasciarla cadere... Ma ahimè, c`è, e sarà chiaro dal sorriso trionfante che gli regalerà in caso di successo. Tolta la parola, tolta la bacchetta, che altre armi ti rimangono, Duffany?
«Alla prossima, Wilson. Non è la prima volta che ci incontriamo casualmente». Si avvicina a lei a falcate. «Questo perché non riesci a resistermi» le sussurra all’orecchio, impercettibilmente, prima di allontanarsi nuovamente.
I: «Continua a sognarla, Duffany». Quel sussurro che le arriva all`orecchio e che la fa rabbrividire nuovamente. Il Flamora gli si pianterebbe senza troppe cerimonie contro una gamba, mentre la mancina partirebbe di volata per cercare di tirargli uno schiaffo. O graffiarlo o aggredirlo in qualsivoglia modo mentre lui fa ragionevolmente dietrofront. «DAAAAAAAH!» l`urlo di frustrazione è probabilmente imputabile alla ben più imponente figura della Price che la contiene in un abbraccio stritola-costole per impedirle di raggiungere il suo punchball personale. «ARROGANTE PRESUNTUOSO DEL CA***! Saresti più convincente se non facessi il moccioso offeso e ferito dal due di pinte» picche, Wilson «della frigida cinica di sto gra-» e diventa anche non poco volgare quando ci si mette, sarà che la rabbia repressa è troppa e Duffany non è probabilmente il reale destinatario contro cui vorrebbe indirizzarla.  «Fot-»
«FOTTITI»
here we are again
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harryduffany · 4 years
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H «Non c’è posto per le ciniche frigide al The Maze». Afferra il suo bicchiere e se lo porta alla bocca, assaporando l’ironia del momento.
I: «E` mio sacro dovere avvertirti che l`ultimo che mi ha dato della frigida, poi mi ha sposato. Dovreste cambiare repertorio e smetterla di insultare quello che non potete avere. E` da pidocchi» o forse voleva dire marmocchi.
H: Quella voce squillante gli martella il cervello. Paragonabile al ronzio di trecento calabroni, allo stridio della voce delle sirene. 
«Sì, poi si è ricordato di quanto tu sia frigida, e ha firmato le carte per il divorzio». Davvero, Duffany? Così crudele?
I:  Il fruscio delle gonne e il movimento delle mani sono un tutt`uno col suo sbilanciarsi in sua direzione fino ad arrivargli a pochi centimetri dal viso, strattonandolo poco elegantemente per la collottola. E il catalizzatore? Dritto contro la sua gola. «Parlare del mio divorzio è davvero la cosa più eccitante che t`è capitata stasera, Duffany? E per inciso. Il divorzio l`ho chiesto IO, perché ho sposato un emerito stro** e tu me lo ricordi parecchio, perciò se non vuoi finire con le pa** nuovamente in fiamme ti consiglio di tapparti quel pozzo di meschinità che chiami bocca…» Gli occhi lucidi e il lieve tremito delle labbra suggeriscono che lui abbia toccato un tasto davvero dolente. «… Almeno fino a che non ti sarai accorto che il mondo non gira intorno a te e che le persone non rifiutano gli inviti a cena solo perché sono frigide ciniche, ma anche perché stanno soffrendo. RAZZA DI EMERITO TROLL!»
Accenna a un sorriso e, con la sua incredibile calma, porta una mano sulla bacchetta di lei. Andrebbe ad abbassarla lentamente, continuando a fissare la ragazza negli occhi. Si avvicinerebbe all’angolo destro della bocca, proprio nel punto in cui la pelle abbandona le labbra per dedicarsi alla guancia. Non ha intenzione di baciarla altrove, vedere gli occhi umidi gli rompe il cuore. E poserebbe la bocca su quel punto del viso, appena sfiorato, ma percettibile al tatto. «Dammi retta» le sussurra una volta allontanatosi. «Hai bisogno di una vacanza» conclude.
I: La bacchetta contro la sua gola e quel °Silencio° non verbale ad essere certo un curioso strumento vendicativo, soprattutto perché Harry avrà l`impressione vivida e soddisfacente d`essere riuscito a placare l`ira funesta della Wilson. E c`è una scorrettezza sbudola e tutta femminile nel modo in cui scegli di non ritrarsi di scatto quando lui pensa di avvicinarsi. Anche se ha un lievissimo sobbalzo che sicuramente si percepirà. L`angolo delle labbra su cui lui ha azzardato posare le sue si curva in un sorrisetto di funesta delizia. «Hai detto qualcosa?» in un sussurro che sfiderebbe chiunque a mantenere i nervi saldi, per la gran dose di innocenza con cui riesce a condire il tono e l`espressione del viso prima di abbandonare la presa sul suo colletto, scivolare giù dallo sgabello, fare dietrofont e imboccare l`uscita.
°TARANTALLÈGRA°
«CHALÈUR BATÒN»
I:  E vorremmo poter dire che non ci sia una logica nel tentativo di rendere incandescente la bacchetta (…) di Harry, tanto da costringerlo a lasciarla cadere… Ma ahimè, c`è, e sarà chiaro dal sorriso trionfante che gli regalerà in caso di successo. Tolta la parola, tolta la bacchetta, che altre armi ti rimangono, Duffany?
H: «Alla prossima, Wilson. Non è la prima volta che ci incontriamo casualmente». Si avvicina a lei a falcate. «Questo perché non riesci a resistermi» le sussurra all’orecchio, impercettibilmente, prima di allontanarsi nuovamente.
I: «Continua a sognarla, Duffany». Quel sussurro che le arriva all`orecchio e che la rabbrividire appena. Il Flamora gli si pianterebbe senza troppe cerimonie contro una gamba, mentre la mancina partirebbe di volata per cercare di tirargli uno schiaffo. O graffiarlo o aggredirlo in qualsivoglia modo mentre lui fa ragionevolmente dietrofront. «DAAAAAAAH!» l`urlo di frustrazione è probabilmente imputabile alla ben più imponente figura della Price che la contiene in un abbraccio stritola-costole per impedirle di raggiungere il suo punchball personale. 
«ARROGANTE PRESUNTUOSO DEL CA***! 
Saresti più convincente se non facessi il moccioso offeso e ferito dal due di pinte» picche, Wilson «della frigida cinica di sto gra-» e diventa anche non poco volgare quando ci si mette, sarà che la rabbia repressa è troppa e Duffany non è probabilmente il reale destinatario contro cui vorrebbe indirizzarla.  «Fot-»
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moribonda · 5 years
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Il funerale del prete
29 agosto 2019
Aspettavo sotto la grotta vecchia del monumentale. Aspettavo il morto che doveva arrivare da solo, il morto aveva detto che non voleva nessuno, che la notizia ferale si doveva sapere solo ad esequie avvenute. Aspettavo da sola, vestita di seta da lutto e un sorriso di perle smaglianti come cappio prezioso, aspettavo all’ombra dei vecchi sepolcri, scacciando zanzare giganti dalle vene pulsanti di caldo d’agosto, ed ecco, improvviso, uno sciame di calabroni che appare al cancello, piccoli e tremuli nell’aria che sale cocente dal viale, li vedo scomposti cozzare tra loro a coppie di due, di tre, diventare più grandi e veloci, mutare le ali in braccia gesticolanti dalle quali pendono tonache bianche e stole purpuree, e non lo so se sono sconvolti o esaltati, se sono convinti che il loro fratello rinasca davvero in un cielo lontano o se portano avanti una mera menzogna, ma sono venuti lo stesso, sono venuti malgrado il morto, un prete schivo e pudico, avesse chiesto di far finta di niente, lo avesse chiesto alla sorella e non a loro, perché lui aveva capito che non era di loro che doveva fidarsi.
Così la cappella minuscola, che doveva essere il fresco bozzolo della metamorfosi tra la vita terrena e la rinascita in Morte, si è trasformato in un forno cocente di fiati sudati, di canti tremanti, di turni al leggio, la prima lettura la faccio io, tu leggi il Vangelo e il commento lo fa Don Stefano che era suo amico.
Che era suo amico.
I preti e le suore in divisa estiva, i parenti, magari tra loro qualche serpente, magari qualcuno affranto davvero, uno che era studente e sapeva che stava soffrendo, che è solo un modo gentile per dire che stava morendo o un modo realista per dire che era già morto e solo aspettava di esser sepolto.
Una folla di gente che non doveva essere lì ma c’era, a parlare, a cantare, a sudare e in mezzo, racchiuso nello scrigno di legno biondo e borchie d’ottone, un corpo morto, già viola e grondante batteri affamati, prima predatore ed ora predato, un uomo di cui si diceva che fosse già santo, ma non sento l’odore della sua santità, sento puzza di fiati che non hanno mangiato, di ascelle sudate, di troppe candele accese in un pomeriggio cocente, due vasi modesti di crisantemi bianchi e calle e foglie di palma che a Pasqua urlano Osanna, e finalmente l’incenso che pizzica il naso e apre i polmoni, ottunde la mente, scioglie la lingua che canta in latino Il Salve Regina.
Sono in mezzo a tutti e sono distante da tutto, dal senso di appartenenza, da quello di comunità, dalla fratellanza, dal riconoscersi, sono sola e sono solo una metà.
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liviaserpieri · 6 years
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“Egli non saprà nulla dalla mia bocca; io non saprò nulla dalla sua. Le Anime saliranno insieme, un breve tratto, su per le colline dell’Ideale, beveranno qualche sorso alle fonti perenni; quindi ciascuna riprenderà la sua via, con maggior confidenza, con minor sete”
“... come alla foce di tutti i fiumi è l’acqua amara”
“....ciò che mi affascina, che mi rapisce, è l’ immagine di un corpo in situazione. Ciò che mi eccita, è una sagoma intenta al lavoro, che non bada a me: Grusa, la giovane bambinaia, impressiona vivamente l’ Uomo dei Lupi: inginocchiata a terra, essa sta lavando il pavimento. La posizione di lavoro mi garantisce infatti, in un certo senso, l’ innocenza dell’ immagine: più l’ altro mi mostra i segni della sua occupazione, della sua indifferenza (la mia assenza), più io sono sicuro di sorprenderlo, come se, per innamorarmi, avessi bisogno di adempiere all’ ancestrale formalità del ratto, cioé di operare la sorpresa (io sorprendo l’ altro e, proprio per questo, l’ altro sorprende me: io non mi aspettavo di sorprenderlo).”
“E lucean le stelle...qualcosa come un puro sperpero, tale che solo lo haiku giapponese ha saputo esprimere, senza peraltro recuperalo in alcun destino.
Fragments d’ un discours...
“Salire l’ Erta Canina, passare l’ arco con l’iscrizione dell’ aquila e della tartaruga, a sinistra una porta che per me non si aprirà più, ricordarsi del tempo felice nella miseria ecc. e ricordarsi anche che ci furono nubi e un sole nero, le macchie della felicità vera che respira e non è sotto una teca né sotto spirito né imbalsamata sotto gli stucchi ma screziata dal sole che filtra tra le foglie e che ci camminano sopra gli insetti che cadono dai tigli, un frinire di cicale, un sole rovente, un’ ombra e la brezza. E’ tutto, è così. “La malinconia è un cedere dal verde al nero”. Sono quattro lettere, riconoscere i miei tavoli di legno, vetro e metallo (tante volte lucidati, rincollati), le mie ruote arrugginite in un altro giardino e in un altro giardino ancora (nascosto) vedere tutta Firenze in un silenzio di chiostro, avvolta dal sole, falene-colibrì (macroglossum stellatarum) e cani di terracotta su cui l’ edera si arrampica. Una grande villa, gli specchi anneriti con dentro il riflesso del mio vestito rosso, calabroni che si tuffano nei fiori con un rumore come di legno che si spezza, il tempo mi scivola dalle mani, il futuro è uno spavento. Ma la vita è qui.”
https://www.youtube.com/watch?v=FuThaApsY7E
“E nell'attimo che durò il sorriso, Andrea si sentì solo con lei, in mezzo alla moltitudine. Un orgoglio enorme gli gonfiava il cuore”
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pangeanews · 6 years
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“Nella mia notte interminabile”: il romanzo sulla vita di Emily Dickinson, l’angelo del quotidiano
L’eccentrico, estasiante Luca Merdone, dietro a cui si nasconde un ardito lettore, mi ha fatto conoscere Christian Bobin un tot di anni fa. Fui rincuorato da questo scroscio di farfalle sotto la camicia. Felicemente tradotto in Italia da una miriade di piccoli, delicati editori (provo a non dimenticarli tutti: Gribaudi, Servitium, Quiqajon, San Paolo, AnimaMundi, Camelozampa…), nel 2007, per Gallimard, pubblica il delizioso “La dame blanche”, in omaggio a Emily Dickinson. Abbiamo eletto questo fascicolo, dedicato al poeta irraggiungibile, come nostro, condiviso ‘libro dell’estate’. Dopo i primi assaggi (qui e qui) ecco altre pagine, tradotte da Anna Maria Biondi.
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Allo stato attuale delle cose, nel quale più nessuno sente niente, compare, accanto alla notizia sul giornale, un odore di vinaccia e di cane bagnato in cui suo padre ha vissuto e viene interrato.
Dove i corni d’oro di caprifoglio, le rose stupite di calore e stipate davanti Evergreen, e la fortuna indiscussa dei Dickinson, emanano un odore più meritevole, Susan lavora per ampliare il suo mondo. Gli invitati – uomini di legge, politici, scrittori, in giro per conferenze – si accalcano come calabroni sotto la lanterna dell’ingresso, prigionieri degli occhi neri della padrona di casa, soggiogati dalla sua durezza, dai suoi scialli indiani rossi e dai braccialetti d’argento tintinnanti ai suoi polsi. Dalla sua camera, di cui una finestra è rivolta su Evergreen, Emily guarda i grandi salire i gradini di granito.
Gli scrittori che l’epoca acclama – come Emerson, pensatore reputato all’invisibile, che ha appena trascorso una notte presso Austin e Susan – ignorano che essi stanno sbagliano porta e che il più grande poeta del secolo è proprio là, nella casa vicina, dietro una tenda di pizzo tremolante.
*
Quando l’eccesso di vanità sale alle labbra di sua cognata, Emily rimette tutto di colpo su di una lettera, con, sopra la gota di carta, uno sfregio improvviso: “i tuoi ricchi mi insegnano la povertà, Susie”.
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Susan insegna ad Emily la soprannaturale insufficienza di ogni amore.
In risposta Emily riporta a Susan la pienezza che dà alla vita il fatto di pensarla e di scriverla. Le mostra i suoi poemi. Uno di questi, evocando i morti nella sala d’attesa della resurrezione – la loro “camera di alabastro” – viene riscritto dopo la critica di Susan. Costei è menzionata nei poemi, Cleopatra, Golia, Vesuvio, Eternità e, in tre poemi erotici, Bambola. Il genio di Susan è di lasciare giungere a sé migliaia di nomi d’amore senza scacciarne uno solo e senza nemmeno veramente rispondere. In questa assenza di eco l’anima di Emily si galvanizza, come un bimbo che, dalla sua camera nera, chiami invano sua madre e finisca per ottenebrarsi con le sue proprie lacrime.
Nel giugno 1852 Emily scrive a Susan, che soggiornava al tempo a Baltimora, una lettera nella quale inserisce delle violette. Il portalettere è il padre di Emily che passa per Baltimora per recarsi all’assemblea del suo partito. Edward immagina di trasmettere una lettera da ragazze, qualcosa di vaporoso e d’inutilmente sofisticato. Il suo puritanesimo lo acceca.
Fra le mani di un maestro di Amherst, qualche foglietto d’oro bruciante, con, sulla busta che lo protegge, queste parole scritte a matita da Emily: “aprimi molto dolcemente”.
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Tre bambini nascono a Susan, suo malgrado. Il primo, Ned, è epilettico, come se il tremolio di spavento di fronte alla povertà, che la madre aveva sotterrato in fondo alla sua anima, fosse tornato e scuotere la carne del figlio. Austin dà a un cavallo della sua scuderia lo stesso nome del fanciullo: il baio chiaro e flessuoso lo compensa della tristezza di avere generato un bambino tremolante come le foglie secche in cima ai rami in autunno. Questa nascita provoca un primo allontanamento di Emily, appena percettibile – il vapore di un respiro su uno specchio. Le sue lettere continuano a battere le ali davanti alla finestra di Susan – miliardi di parole dotate di una vita imperiosa, imploranti e orgogliose.
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Ogni viaggio di Susan trasmette la febbre alle frasi di Emily. “La prossima volta io ti serberò in una bara, ti interrerò in giardino e domanderò ad un uccello di sorvegliarne l’angolo”.
Certo, questo non servirà a nulla: nessun luogo resta immobile, neppure quello che noi incateniamo coi morti.
*
L’amore fra le due donne irresistibilmente si fessura ma il vaso d’oro, anche se sbrecciato, raccoglie l’acqua di una parola limpida.
Apprendendo che un pomeriggio Susan è passata nella sua casa senza chiamarla, Emily esclama: “Io sarei uscita dal paradiso per aprirti, se avessi saputo che tu eri là”.
*
Amherst cova i suoi tremila abitanti su di una piana che intrattabili foreste di abeti vegliano: un deserto per Susan che non ama far altro che fuggire a New York per acquistare vestiti neri con lustrini, alla moda intorno al 1860.
In un poema Emily distingue due razze di vincitori. Ci sono quelli che acclamati gioiscono di vestiti scintillanti, di concerti operistici e di viaggi euforizzanti, e coloro che trionfano lasciandosi battere: restano a casa, fieramente vestiti di neve. Nelle grandi città attorno ad Amherst, fioriscono e appassiscono nella stessa serata dei spettacoli di pianoforte o di canto. Ad Emily, proprio come a suo padre, non piacciono queste serate. L’aspetto più stupefacente dello spettacolo sono gli stessi spettatori. Non succede mai nulla ad Amherst e questo nulla è vita allo stato puro. Fra Susan che cerca l’ammirazione mondana ed Emily che cerca il suo nutrimento nel cielo, la distanza aumenta, il freddo cade. Il gelo fa scoppiare il vaso d’oro. Emily ne raccoglie i pezzi dentro il cuore ma non entra più nella casa vicina per sedici anni.
*
Amherst, di cui Emily ha fatto la sua città santa, è descritta anche da Susan: “Un luogo desolante, senza speranza, adatto a dare ad un angelo il male del suo paese. Le lugubri vibrazioni della campana della chiesa risuonano ancora nelle mie fantasie d’inverno”. Il tono è amaro. Colei che parla è attempata, è alla fine della rappresentazione, la maggior parte degli attori hanno lasciato la scena e, nelle poltrone di prima fila, non restano che morti stupefatti.
Austin – soprannominato «il gallo» in gioventù – l’ha da anni tradita con una donna più gioiosa di lei. Dei loro tre figli la morte ha afferrato il più tenero. Amherst restituisce a Susan il suo disprezzo e dà una reputazione di ubriacona e di civetta a colei che Emily, malgrado il loro allontanamento, non aveva mai smesso di giudicare “timida e senza macchia”.
Poi la morte cattura Susan e la addormenta nel suo erbario.
Gli anni passano sui nomi di queste persone, cancellando i contorni delle contestazioni, facendo brillare le devozioni.
 *
La tomba di Emily, da poco ricoperta, diviene un campo di battaglia. Passato l’infalsificabile stupore del dolore, la famiglia legge i poemi, penna alla mano. Il poema «avevo una sorella in casa e un’altra dall’altra parte dell’aia», dedicato a Susan, è radiato da Vinnie, e la dedica cancellata. Un altro, evocante il petto di Susan sul quale Emily sogna di piangere, è attribuito all’insospettabile moglie di un pastore. Ma la voce di Emily, invincibile per la propria purezza, fa uscire la sua amica dagli inferni: nel vialetto di ghiaia bordato di altee, fra le due case dei Dickinson, traversando le censure e la morte, appare una Susan trasfigurata, che si sfrega le mani l’una contro l’altra per fare scomparire una macchia di vino visibile solo a lei stessa.
*
“Dovessi errare nella mia notte interminabile, io mormorerò ancora: Sue”.
*
Un canto si eleva, che i poemi lasciano filtrare. Cerca di dire il più puro ed il più vero. I libri mantengono il canto vivente dopo la morte della poetessa, ma la poesia non si deposita solo nei libri. A volte passa senza fare rumore, come l’angelo del quotidiano che non vede nulla. Il pane di spezie per i bambini e i guanciali rimessi sotto la testa divagante della madre erano più puri e più veri di tutto.
Christian Bobin
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Hay Day Pop Trucchi - Hay Day Pop Trucco Diamanti e Monete Gratuite
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pgfone · 7 years
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L’altra mattina tagliavo l’erba con il decespugliatore su una scarpata fischiettando crawling dei linkin park, quando becco con il filo il canale di uscita del nido di queste bestioline qui, fortunatamente me ne accorgo immediatamente e mi butto come Patrick de Gayardon nel vuoto, senza tuta alare ma con quella da meccanico, nel mentre precipitavo le bestioline mi battevano ovunque sulla tuta ma appena toccato terra e dopo aver fatto 4-5 ruzzoloni hanno deciso di mollarmi, insomma resoconto dell’ accaduto, molti lividi, un gomito abraso, dolori alla schiena ma tutto qui. Nel pomeriggio mi appresto a chiamare L’Asl della mia città per bonificare questo nido, mi risponde un tizio scazzato che mi dice che non è più loro competenza e che devo chiamare i vigili del fuoco, che però agiscono solo in casi gravi (…..) Bene, chiamo i Vigili e mi risponde un signore molto cortese che mi dice che prima possibile verrò richiamato….. il tempo va passano le ore (come cantava Alex Britti) fino a che alle 19 di sera mi chiama sto Vigile del fuoco e mi dice che il lavoro va fatto a sera inoltrata e che verso le 21.30 saranno da me. Bene il tempo va e passano le ore ancora ma niente, alle 23 finalmente mi chiama un altro Vigile e mi dice che il collega del turno precedente gli ha lasciato questo appunto dei calabroni e mi specifica subito che il lavoro, giammai di notte!!! va fatto in pieno giorno e che verrò richiamato in mattinata. Bene, la mattina dopo aspetta aspetta e questi manco pé n’cazzo che richiamano,mi dico, avranno qualche urgenza, così passano 2 giorni e niente, stamattina richiamo io e mi risponde uno che mi dice che presto verrò richiamato….
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novantaseisoli · 7 years
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In un posto lontano dalle abitudini e dalla monotonia, con amici che sono davvero amici e con amici che fingono di esserlo, con il mare e il sole, con la piscina e i calabroni, con le catechesi e il Signore, con i bimbi che gioiscono; Dopo 33 giorni, nell'ultima sera di luglio, inaspettatamente, con l'aiuto dei grandi per coprirci dalla guardia dopo lo scadere del coprifuoco, Lui, è venuto da me per parlare. Per dirmi che con me, ci vuole ancora stare. Ed io Risi e pure tanto per il nervoso e per la rabbia. Litigammo, urlammo, "chiarimmo"(certo come no), ma me ne tornai in camera dopo un abbraccio, un "mi sei mancato" reciproco e, vicino alle scale, lui mi porse la mano e mano nella mano le salimmo; ed io, corsi in camera con il sorriso sulle labbra e con la gioia negli occhi. Tutto quello che pensai dopo sul letto fu: "Grazie Gesù". E ancora adesso pensando a quel giorno dico, Grazie Gesù.
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