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#letteratura turca
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“Era sempre così: nei momenti di tensione, proprio quando avrebbe dovuto agire e impegnarsi, come sospinta da una mano invisibile precipitava invece in un’abulia dalla quale vedeva il mondo intorno a lei sbiadire e appiattirsi in una specie di foschia, e i propri sentimenti affiochirsi, come lampadine svitate una dopo l’altra.”
E. Shafak.
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gregor-samsung · 1 year
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“ Un giorno cominciò a circolare la notizia che le forze di occupazione americane avrebbero requisito la scuola per gli armeni. Si spandevano pure delle voci secondo le quali sarebbe venuto anche il nostro turno, ma ciò che sarebbe successo di noi nessuno lo sapeva, e presumibilmente a nessuno importava. All'incirca nello stesso periodo avvertimmo anche il primo pallido incanto del nome di Kemal Atatürk, che stava raccogliendo un esercito nella remota Anatolia, e che aveva già costituito un governo nazionalista ad Ankara. La notizia che riguardava gli americani e gli armeni si dimostrò vera, e un giorno vedemmo dal nostro giardino i ragazzi più anziani di Kuleli portare letti, materassi e banchi nei giardini della scuola. Stava iniziando la loro evacuazione. L'odio tra turchi e armeni è noto, ma quel giorno, nella nostra scuola grigia sulla collina, quell'odio fu ancora più intenso. Gli armeni erano fuori di sé, tanto erano orgogliosi di ricevere un riconoscimento dagli americani. Facevano gli spacconi e si pavoneggiavano, e le offese si facevano più frequenti che mai. Quando un mattino sventolò su Kuleli la bandiera americana, gli armeni impazzirono di gioia, e i curdi si scatenarono violentemente. Ne risultò un discreto numero di teste rotte, e il bastone del capitano dovette fare gli straordinari. Poi venne il nostro turno. Un mattino dovemmo radunarci all'ingresso principale, i prefetti più anziani che cercavano di mantenere legge e ordine, e che si rifiutavano di rispondere a tutte le nostre domande. Dovevamo apparire un gruppo burrascoso, là in piedi nelle nostre uniformi malmesse, con le teste rapate e le facce smunte per la cattiva nutrizione. Dal cancello principale entrarono degli ufficiali americani, e con loro un prete armeno e un'americana alta, dal seno piatto e dai severi occhiali dalla montatura di corno. Mi intimidì molto più lei degli ufficiali. Era una vera virago che sembrava sapere sempre quello che fosse meglio per tutti. La osservammo con apprensione. Dapprima si occuparono dei ragazzi più grandi, facendone uscire alcuni dai ranghi; noi, a disagio, ci chiedemmo a cosa preludesse quella separazione. Arrivarono presto a noi, e un interprete gridò: «Tutti gli armeni da questa parte!».
Molti ragazzi fecero un passo avanti, incluso il nostro sergente. Il prete, che sembrava assai spaventoso con la sua barba nera, cominciò a farci delle domande, e la donna prese in mano la situazione, avendo apparentemente deciso che non ci sarebbe stato niente di male se anche lei avesse fatto un po’ di separazione. Ci guardò tutti freddamente come se fossimo tutti così stupidi da non sapere a quale nazionalità appartenessimo. Osservò scrupolosamente le nostre facce, poi spinse altri ragazzi nella parte degli armeni. Quelli che aveva selezionato erano curdi, e non potei fare a meno di domandarmi con curiosità come potesse vedere in loro la nazionalità armena. Guardò anche me con attenzione, ma mi lasciò nella mia fila. La selezione fu completata in fretta, e gli armeni furono messi in una grande sala al di là dell'ingresso. Noi fummo allontanati. .. perché nessuno aveva più bisogno di noi. Corremmo ansiosi in giardino per guardare dalle finestre della stanza nella quale stavano gli armeni. Felici, ci facevano dei gesti con le braccia beffeggiandoci e gridandoci offese. Noi, per non essere da meno, rispondevamo per le rime. Minacciavamo di romper loro la faccia, e il prefetto anziano ci implorò più e più volte di far meno rumore. All'improvviso, al di sopra di tutto quel vocio, sentii chiamare il mio nome, e riconobbi la voce di mio fratello; ma benché lo cercassi dappertutto con lo sguardo, non riuscii a vederlo. La sua voce lamentosa continuava a chiamarmi; mi saltò addosso la paura, e mi feci strada fino alla prima fila dell'assembramento, dicendogli quasi in lacrime che stavo arrivando. Lo vidi a una delle finestre della stanza dov'erano tutti gli armeni, e corsi verso di lui sporgendomi e afferrandogli le piccole mani. Disse con voce isterica: «Mi hanno messo tra gli armeni!». “
Irfan Orga, Una famiglia turca, postfazione di Ateş Orga, traduzione di Luca Merlini, Passigli Editori (collana Narrativa), Firenze, 2007; pp. 239-241.
[ Edizione originale: Portrait of a Turkish Family, Victor Gollancz Ltd., London 1950 ]
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stefanorwell1 · 2 years
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“Yatağımın karşısında bir pencere var. Odanın duvarları bomboş. Nasıl yaşadım on yıl bu evde? Kimse de uyarmadı beni. İşte sonunda anlamsız biri oldum. Kötü bir resim asarım korkusuyla hiç resim asmadım; kötü yaşarım korkusuyla hiç yaşamadım”
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Oğuz Atay, Tutunamayanlar
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elmas-66 · 3 months
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La primavera di Saidova Mahzuna presentata da Zebiniso Meiliyeva, pubblicazione di Elisa Mascia -Italia
Foto cortesia di Saidova Mahzuna. La figlia di Saidova Mahzuna Farhod è nata il 24 luglio 2004 nel distretto di Kitab, nella regione di Kashkadarya.  Attualmente è una studentessa del secondo anno del dipartimento di lingua e letteratura uzbeka dell’Istituto pedagogico statale di Shahrisabz. L’articolo “Devonu lug’at at – lo studio di alcuni termini turchi moderni nell’opera turca” è stato…
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cinquecolonnemagazine · 8 months
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"Il fiore di Farahnaz", il libro di Yaprak Oz, premiato nel 2019 come miglior giallo turco dell’anno
“Il fiore di Farahnaz” è in distribuzione da novembre 2023, edito da Edizioni le Assassine nella collana “Oltreconfine”, tradotto da Nicola Verderame.  Siamo negli anni Settanta e la Turchia è scossa da profonde difficoltà economiche e sociali, tuttavia a Kilic, zona residenziale, dove vivono ingegneri e medici in servizio nel complesso minerario adiacente alla città di Zonguldak sulla costa del Mar Nero, la vita scorre tranquilla e spensierata, tra serate al cinema, partite a canasta, balli e cene. La piccola comunità di funzionari è infatti molto unita e i rapporti di vicinato sono improntati alla massima solidarietà fino a quando la moglie del direttore degli impianti minerari non viene trovata morta. L’omicidio della giovane donna viene attribuito al pazzo del paese, tuttavia Yildiz, moglie di uno degli ingegneri, divoratrice di gialli e sarta per passione, non si accontenta di questa soluzione di comodo. Da acuta osservatrice, accumula indizi che la portano a conclusioni ben diverse. Ma la protagonista del romanzo avvince anche per il suo modo di essere: grazie a lei hanno voce tutte le donne del quartiere; ognuna di loro racconta i propri sentimenti ed emozioni: l’angoscia di un figlio che non arriva, la gioia di uno che sta arrivando, la tristezza di una madre che accompagna sua figlia non vedente nel verde dei boschi, fino alla rabbia di una donna che si è sempre sentita non voluta. “Voci di donne” diverse, che nel profondo si ricollegano a una voglia incessante di essere buone madri, ma anche di essere ancora figlie.  Un giallo appassionante, capace non solo di raccontare il vero volto del male, ma di indagarne da vicino le profonde motivazioni di chi sceglie di macchiarsi di sangue per giungere alle vette più alte. Un testo premiato nel 2019, come miglior romanzo giallo dell’anno, in grado di offrire una fotografia precisa di una cittadina turca prima del colpo di Stato del 1980. Info biografiche  YAPRAK ÖZ è nata nel 1973. Ha frequentato il Collegio TED di Zonguldak Koleji e la facoltà di Cultura e Letteratura Americana presso l’Università di Istanbul. Ha pubblicato poesie, racconti e saggi su numerose riviste e antologie in Turchia e all’estero. Le sue poesie sono state tradotte in numerose lingue, tra cui inglese, greco e svedese. Fa parte dell’Unione degli Scrittori di Poliziesco di Turchia e del PEN International. Ha pubblicato cinque raccolte di poesia e otto romanzi, quattro dei quali hanno per protagonista Yıldız Alatan. Link di vendita online:  https://edizionileassassine.it/prodotto/il-fiore-di-farahnaz/ Dettagli prodotto: Editore: Edizioni Le Assassine Genere: Giallo Collana: Oltreconfine Lingua: ‎ Italiano Copertina flessibile: 344p Read the full article
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'Lungo cammino', romanzo esistenzialista del turco Gecgin
 AYHAN GECGIN, LUNGO CAMMINO, (UTOPIA EDITORE, PP 176, EURO 18,00). Un’avventura commovente tra montagne e città, innocenti e carnefici, guerriglia e silenzio.    Accade nel ‘Lungo cammino’ dello scrittore Ayhan Gecgin, romanzo di una delle voci più potenti della letteratura turca contemporanea, che arriva nelle nostre librerie il 24 febbraio, nella traduzione dal turco di Giulia Ansaldo, per la…
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designme2011 · 2 years
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👄•La panchina del poeta Pencho Slaveykov (il Leopardi bulgaro) realizzata dall’artista Adrian Novakov in acciaio e ghisa, mentre la figura in bronzo. Voluta dal consolato Bulgaro in Italia in occasione dei 140 anni di relazioni diplomatiche tra i due paesi. Prima della sua morte, Pencho Slaveykov fu proposto dal professore svedese Alfred Jensen come candidato al Premio Nobel per la letteratura ma, a causa della sua prematura scomparsa, non fu possibile esaminarla. Grande poeta romantico e civile, patriota in prima linea contro la dominazione turca, nonché direttore prima del Teatro e poi della Biblioteca di Sofia; il poeta scelse Brunate come meta ultima della sua vita terrena: morì il 10 giugno del 1912, a 46 anni, nella stanza numero 4 del panoramico Hotel Bellavista assistito dalla sua compagna, e a propria volta poetessa, Mara Belcheva. Nella stanza emette aroma un mazzo di fiori lasciato da te, quest'aroma fa la mia anima in sogni portarsi da te, cara bambina mia. E ti vedo abbandonata ai sogni di me, appoggiando la fronte sulle mani... Nella stanza emette aroma il mazzo di fiori lasciato da te. 📍Milano, Via Verziere - Via Brolo • • • #minuzzerie #tipsminuzforminuz #amofarefoto #ilmiopuntodivista #fotografimilanesi #fotografia #fotografiaMilano #milanocity #milanocityItalia #eventimilano #milanoeventi #ig_milano #coolinmilan #milanocity #milanodavedere #milanodavivere #milanodeimilanesi #visitmilano #yesmilano #milanomia #cosafareamilano #milanocity #milanounica #milanoplacetobe #streetart #milanonightlife #fotografia #fotodelgiorno #lombardia_bestphoto #streetstyle #visitmilano #visitmesagne #portiamomesagnenelmondo #yayoikusama (presso Milan, Italy) https://www.instagram.com/p/CnymUB-MYeT/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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dominousworld · 2 years
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La dottrina dei colori nella poesia di Ziya Gökalp
di Ermanno Visintainer Già in precedenti scritti, accennando ad effluvi fotici, abbiamo fatto riferimento a correlate ierofanie, presenti nella letteratura dei Turchi e quella dei Mongoli[1]. Ziya Gökalp, poeta-filosofo e poligrafo d’inizio secolo scorso, un restauratore della cultura turca delle origini, in un componimento di genere epico e dal titolo evocativo: Ergenekon[2], versifica,…
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abatelunare · 4 years
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Il mio atlante letterario
Ogni tanto mi vengono idee bizzarre. Che io seguo, per vedere un po' dove mi portano. Oggi ho preso un atlante geografico. Mi andava di fare una sorta di bilancio. La domanda era semplice. Quali sono le letterature che ho letto di più. Partendo dall'Europa, direi che le più gettonate sono: italiana, inglese, francese. Dopo dovrebbe seguire quella russa. Subito dopo, ecco la tedesca e l'austriaca. Menzionerei la greca, ma non lo faccio perché quel poco che ne ho letto appartiene all'antichità. Degli scrittori greci contemporanei so ben poco. Altre nazionalità poco frequentate sono portoghese, spagnola, danese, norvegese e svedese. Non parliamo poi dell'Est europeo. Lo conosco molto poco. (Ovviamente non menziono le zone che non ho mai attraversato). Usciamo dall'Europa e andiamo verso le Americhe. In testa troviamo la letteratura statunitense. Quella canadese non credo d'averlo mai letta. Credo, ma non ne sono del tutto sicuro. La sudamericana la conosco meno, ma in quel "meno" spicca quella argentina. Passando al cosiddetto oriente, le più (da me) gettonate sono cinese e giapponese (più la seconda della prima). Ho qualche dubbio su quella australiana. Nel senso che potrei aver letto qualcosa. Ma anche qui la mano sul fuoco non mi sento di mettercela. In coda alla mia personale classifica ci dovrebbero essere araba, turca, indiana e africana. Il condizionale è motivato dalla mia pigrizia: non intendo, cioè, andare a controllare nel file Excel in cui ho schedato tutti i volumi in mio possesso. Mi sembra tutto. Era un po' che volevo fare questa cosa, non so perché. Ma ormai l'ho fatta, per cui ve la beccate.
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gregor-samsung · 2 years
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“ Fu stabilito che andassi alla scuola pubblica; diversi giorni furono occupati con la preparazione di nuovi vestiti e fu acquistata una cartella di lucida pelle. Hacer faceva vassoi e vassoi di lokma, un dolce pesante e sciropposo, perché trentacinque anni fa era usanza che i nuovi alunni della scuola portassero dolci per gli altri scolari. Fui accompagnato a scuola, tronfio di importanza e di orgoglio, da mio padre. Fummo accolti all'ingresso dallo hoca, un maestro che si mostrava molto severo, o almeno così mi sembrò. In ogni caso mi dette una pacca sulla testa con sufficiente gentilezza, e le mie prime impressioni furono in qualche modo mitigate. Portava una grande barba nera accompagnata da un vestito nero e un sarik posato sulla testa. Lo seguimmo all'interno della scuola, che consisteva in un'unica aula. Non c'erano né cattedra, né sedie, né libri, insomma niente che facesse pensare a normali attività scolastiche. Trenta o quaranta ragazzi erano seduti a gambe incrociate su dei cuscini posati sul pavimento. Anche lo hoca si sedette sul pavimento, ma su un cuscino più grande e separato dai ragazzi. Murat, che lanciò uno sguardo acre allo hoca, portò dentro i vassoi di lokma e lo hoca sbirciò il contenuto dei vassoi, poi prese qualche lokma tra le dita e se lo sparò in bocca. Masticò estasiato, gli occhi sollevati al cielo, quindi ordinò a Murat di posare i vassoi sul pavimento mentre vi disponeva attorno i ragazzi. Mi fu detto di salutare mio padre e di baciargli la mano, cosa che feci sentendomi un po’ a disagio perché non mi piaceva lo hoca e non lo pensavo disposto a spingere più innanzi la sua familiarità. Mi fu assegnato un posto sul pavimento con gli altri e assistetti sconsolato alla partenza di mio padre e di Murat. Fui comunque richiamato presto all'attenzione da un rapido colpetto sulla testa del lungo bastone dello hoca. Quel bastone era lungo circa tre metri, il che permetteva al maestro di castigare qualsiasi ragazzo senza muoversi dal suo cuscino. Di quel giorno non riesco a ricordare neppure una lezione, e sono incline a pensare che non ve ne siano state, salvo occasionali letture dal Corano. Ricordo meglio il mio maligno piacere di quando il bastone dello hoca scendeva sulla testa di un qualche alunno sfortunato. Scendeva di frequente anche sulla mia e, per quanto velocemente cercassi di scansarlo, lo hoca era sempre più svelto di me. Altri ragazzi disobbedienti venivano posti nei vari angoli della stanza e fatti stare in piedi su una gamba sola e con le mani sollevate in aria. Sembravano estremamente buffi, ma cercavo di non dare sfogo alla mia voglia di ridere per paura che lo hoca mi ordinasse di rimanere in piedi nella stessa posizione. Era solito premettere ad ogni suo rimprovero l'invocazione Padişahım Çok Yaşa (lunga vita al mio sultano) e noi dovevamo ripeterla dopo di lui. Quella sera mio padre mi interrogò minuziosamente sulla scuola, dimostrando così di aver sofferto tutto il giorno del dubbio più atroce. Gliela descrissi, e notai l'occhiata che scambiò con la mamma. La nonna era enormemente indignata che quell’hoca ignorante avesse osato picchiare suo nipote. «Ahmet aveva ragione — dichiarò mio padre con fermezza —. Dev'essere mandato alla scuola francese a Gedik Paşa». Così terminò il mio primo e ultimo giorno di scuola pubblica, mentre Inci si lamentava per i vassoi di lokma, che evidentemente considerava fin troppo buoni per essere mangiati dallo hoca e dai suoi alunni. Si presero accordi con il preside della scuola francese, si ordinò per me una elegante uniforme grigia e si inserirono abbecedari e quaderni nella cartella di pelle. Nel settembre del 1914, un mese prima del mio sesto compleanno, cominciai di nuovo la scuola. La scuola francese era totalmente diversa da quella pubblica. Prima di tutto sembrava avere abbondanza di insegnanti e molte aule. Imparai a dire Bonjour, m’sieu’ o Bonjour, mam’selle a seconda del caso e a contare fino a dieci in francese. A scuola feci molti nuovi amici. La maggioranza degli scolari era turca, proveniente dallo stesso strato sociale dal quale provenivo io, ma c'era anche qualche francese e qualche armeno. Presto imparai ad andare a scuola da solo e per strada mi trovavo con gli amici. Ci inchinavamo l'uno all'altro e dicevamo in modo affettato Bonjour, mon ami. Comment allez-vous?, perché questo era il modo di scimmiottare i più grandi e di parlare francese in pubblico, cosa per noi elegantissima e da adulti. “
Irfan Orga, Una famiglia turca, postfazione di Ateş Orga, traduzione di Luca Merlini, Passigli Editori (collana Passigli Narrativa), Firenze, 2007; pp. 58-60.
[ Edizione originale: Portrait of a Turkish Family, Victor Gollancz Ltd., London 1950 ]
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artcademy · 4 years
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Occidentalismo: come gli artisti orientali vedono noi e la nostra storia dell'arte
I grandi viaggi e le colonizzazioni degli esploratori occidentali hanno aperto alla strada a quello che chiamiamo orientalismo o esotismo.
Nato dai commerci e dagli scambi, soprattutto di spezie e stoffe preziose, l’orientalismo rappresenta sia un anello importante nelle relazioni tra Paesi sia un’occasione di mescolanze e variazioni negli stili della cultura, soprattutto per quanto riguarda realtà evolute come Cina e Giappone.
La raccolta di novelle Le Mille e una Notte, scritte in arabo e poi tradotte in francese, determina una vera e propria ebbrezza estetica in età napoleonica e successivamente vittoriana.
Per l’Occidente, l’Oriente è altro, oggetto di discriminazione, quando non di persecuzione vera e propria; è espressione delle differenze culturali, con alti e bassi nella natura politica, sociologica e individuale. Basti pensare a Il Mercante di Venezia di Shakespeare, di “vago” sapore antisemita.
Letteratura, arti figurative, costume e decorazione di ambienti, alimenti, tutto ne fa parte portandosi dietro un fascino che solo successivamente verrà integrato con nuovi approfondimenti.
Tuttavia è interessante ricoprire la ricostruzione di luoghi e costumi nelle pellicole americane dei più famosi colossal (un esempio è Cleopatra di Joseph L. Mankiewicz). Nell’arte il fenomeno è ampiamente sviluppato e descritto ad esempio nel “rovinismo” (ovvero i ruderi Italiani e orientali delle prime scoperte archeologiche), la passione per il paesaggio con ponti e templi o la visione dell’Oriente in un artista come Delacroix.
La moda e la musica ovviamente non sono esenti da suggestioni e citazioni: dalla Marcia turca di Mozart, ai pantaloni “alla turca” di Paul Poiret.
Più complesso è parlare del fenomeno opposto: l’Orientalismo, saggio di Edward Said, cerca di approfondire il rapporto tra Europa e Oriente. L’impero dei segni di Roland Barthes, parla del suo viaggio in Giappone.
Grazie a una mostra dell’artista cinese Chen Zhen all'Hangar Bicocca di Milano, possiamo avere uno spunto per capire la relazione tra Occidente e Oriente. La relazione storica tra natura e cultura, mondo contemporaneo, consumo di massa, fanno parte della sensibilità di questo artista che ha dimostrato a convergenza tra i due mondi. Le sue opere trasmettono un’atmosfera “trans intercontinentale”, tra passato e recenti esperienze, tra Oriente e Occidente; come Cristal Landscape of Inner Body del 2000, undici organi umani di cristallo, che sembrano simboleggiare la morte.
Molti anni prima, nel secondo dopoguerra, un gruppo di artisti giapponesi era stato individuato dal critico Michel Tapié. Era il Gruppo Gutai, che conduceva una ricerca a trecentosessanta gradi, coincidendo molto spesso con quella degli artisti europei.
Altri artisti importanti sono: Hidetoshi Nagasawa, che scoprì l’Occidente grazie a un epico viaggio in bicicletta; Shirin Fakhim, artista iraniana che crea bambole a grandezza naturale con evidenti influenze occidentali; Ai Weiwei, artista, designer e architetto che opera a New York. Questi alcuni esempi, di un nomadismo culturale che incontra, nelle arti visive, un intreccio di sensibilità concettuale, oscillante tra Pop e spiritualità.
tratto da Finestre sull'Arte
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Quando mi toccò l’esame di maturità era il primo anno in cui era stata reinserita la commissione mista. I tre prof di lingue straniere erano interni mentre esterni c’erano italiano, economia aziendale e geografia economica. Siccome c’erano solo sei professori più il presidente della commissione, il ruolo delle altre materie oltre a quelle sei era piuttosto sommario. Quelli interni erano stati sceti sulla base del fatto che come seconda prova avevamo lingua straniera (facevo l’istituto tecnico commerciale a indirizzo linguistico, penso che al giorno d’oggi si chiami liceo economico/turistico o qualcosa del genere) e dato che potevamo scegliere una qualsiasi delle tre lingue dovevano per forza esserci tutti e tre.
Il primo martedì dopo la fine dell’anno scolastico la nostra prof d’italiano aveva organizzato un incontro a scuola per aiutarci a sistemare le nostre tesine e per darci qualche dritta. Fu disponibilissima. Ricordo che alcuni avevano dei grossi dubbi e che io che ero tutto sommato abbastanza a posto aiutai L. che a scrivere al computer era una frana a spiegargli come doveva sistemare la punteggiatura nella copia che avrebbe presentato ai professori. Però ricordo meglio che nel momento in cui entrai in aula e mi sedetti, in una fila di banchi da tre con S. e L., L. mi domandò, con entusiasmo “hai visto Sato?” riferendosi al suo sorpasso su Alonso del GP di due giorni prima. S. che era la solita guastafeste ci disse di stare zitti. Peggio per lei, non sa cosa si è persa.
Ricordo anche che sia quel giorno a quell’incontro sia all’esame di maturità eravamo nel lato della scuola in cui durante l’anno c’erano le classi del liceo scientifico, che era stato scelto quel corridoio perché era il meno caldo della scuola e che odiavo quella collocazione perché nei bagni da quel lato della scuola c’erano le turche invece dei water, e io detesto i bagni con la turca, visto il mio poco senso dell’equilibrio. >.< Comunque, in generale, fu abbastanza un trauma, l’avvicinarsi dell’esame, passato più che altro a ripassare un sacco di cose che poi non mi sarebbero state chieste.
Con la commissione mista beccammo a metà bene e a metà male, geografia era calmissima, italiano una via di mezzo, economia uno stronzo colossale e il presidente della commissione uno che stava sempre a farsi i fatti suoi tranne quando doveva correggere qualcuno. I nostri professori invece erano calmissimi e approfittavano del fatto che all’orale con loro dovevamo esporre argomenti in lingua straniera, quindi se sbagliavamo qualcosa non ci correggevano e facevano finta di niente. Comunque più il tempo passava e più mi saliva l’ansia, anche se a scuola di fatto non avevo mai avuto problemi e con i voti che avevo sapevo fin dal primo giorno che potevo ambire a un voto dal 90 in su, anche se speravo non per il 90 ma per l’ “in su”.
Ricordo alla prima prova di avere fatto il saggio breve socio-economico, l’argomento mi pare fosse la giustizia o qualcosa del genere. Alla seconda prova ho fatto inglese ad argomento turistico (il testo era sull’organizzazione delle olimpiadi di Pechino che sarebbero state l’anno seguente). Alla terza prova non ricordo con esattezza tutto, ma ricordo che sono andata male come tutta la classe in economia perché la nostra prof aveva sempre insegnato al CEPU ed era ben poco esigente considerandoci tutti dei secchioni, quindi sapevamo troppo poco per gli standard del professore esterno.
All’orale esposi la mia tesina sullo squilibrio tra nord e sud del mondo (non so se si usi ancora al giorno d’oggi questa definizione), che un range di argomenti che andavano dall’epoca coloniale agli investimenti diretti esteri passando per Pascoli (che aveva scritto un discorso sulla colonizzazione della Libia), Kipling (sempre per letteratura a sfondo colonialista, immagino), sui possedimenti d’oltremare francesi e sulla guerra d’Algeria. Ricordo qualcuno degli esterni chiedendomi se mi ricordassi il nome di un trattato sulla colonizzazione spagnola e portoghese. Io non capii la domanda e intervenne non ricordo chi tra gli altri professori esterni, per ricordarmi che era il trattato di Tordesillas. Lo sapevo. Non perché l’avessi scritto nella tesina, ma perché l’avevo scritto, con un errore di ortografia, negli appunti di terza superiore e quel dettaglio mi era rimasto impresso.
Il trattato di Tordesillas fu il turning point del mio esame di maturità, o almeno, il primo. Mi fece capire che, se volevo raggiungere il mio vero obiettivo, non dovevo farmi trollare come era appena successo e questo mi fu utile in quello che restava del mio esame. Quando iniziarono le domande sugli argomenti del programma, il prof di economia mi fece parlare della break even analysis. Ho già detto che era uno stronzo e lo era perché se non rispondevi subito, iniziava a parlare lui e a dire la risposta. Se rispondevi, lo faceva. I miei compagni di classe, per rispetto, stavano zitti per non interromperlo. E non era quello che lui voleva. Dai pettegolezzi che giravano sono stata una delle due persone che gli ha parlato sopra e una delle due persone a cui quel professore non ha assegnato un punteggio insufficiente.
La break even analysis è stata quindi il secondo punto di svolta. A quel punto, non so come, quando la prof d’italiano ha voluto in qualche modo che dicessi che D’Annunzio nella “pioggia nel pineto” aveva voluto ricreare il ritmo della pioggia che cadeva, cosa di cui non avevo la più pallida idea, sono andata a intuito e gliel’ho detto. Poi è finita. Ho coronato il mio sogno, anzi, i miei due sogni, perché tredici anni dopo lo posso ammettere senza problemi. Il mio primo sogno dipendeva totalmente dal mio esame (oltre che dalla fortuna e dai professori) ed era diplomarmi con 100. Il mio secondo sogno, dopo essere stata vista per tanti anni come la “seconda della classe” e un po’ snobbata dall’ipercompetitività altrui era essere l’unica a riuscirci. Io ho avuto 100, l’altra 96.
A tredici anni di distanza mi rendo conto di quanto il mio esame di maturità sia stato una grande soddisfazione dal punto di vista scolastico, ma anche di quanto abbia avuto indirettamente effetti negativi sulla mia vita. Forse se la maturità fosse andata un po’ peggio delle mie aspettative, mi avrebbe scoraggiato per il futuro. Venivo da un istituto commerciale, da cui uscivano più che altro persone che si cercavano un lavoro, invece di andare all’università. Era il 2007, trovare lavoro era relativamente facile (la S. a cui non fregava un bel nulla di Sato, a fine luglio faceva già la commessa alla Coop e a settembre veniva assunta come impiegata da Bartolini con un contratto di un anno).
Non so fino a che punto la mia vita sarebbe stata migliore se non fossi andata all’università, ma alla fine probabilmente mi sarei ritrovata a fare un lavoro simile a quello che faccio ora e sarei arrivata un po’ ovunque in anticipo di cinque anni se non di più (cinque e qualche mese di università, più i dieci mesi di disoccupazione post-laurea dato che mi sono laureata in uno dei momenti di peggiore crisi economica). Non avrei una laurea, però i miei anni di università non sono stati sempre positivi. La triennale non è andata neanche male, ma poi alla magistrale, oltre ad avere dovuto scegliere un po’ un percorso obbligato, le cose sono un po’ precipitate.
Volevo solo laurearmi per non deludere la famiglia dopo tanti sacrifici e poi cercarmi un lavoro possibilimente in un altro settore per chiudere per sempre con quello che stavo studiando. In più, senza università avrei probabilmente messo da parte più soldi e potuto aiutare i miei genitori a comprarsi l’appartamento qualche anno prima. E se mi fosse toccato di guadagnare 500 euro al mese per un anno perché nel mio primo posto di lavoro proprio non volevano farmi un contratto di lavoro ma solo di stage, guadagnare 500 euro al mese a 19 anni sarebbe stato umanamente più accettabile che guadagnare 500 euro al mese a 25.
Con questo, ho fatto un giro dell’oca interminabile per non dire niente di quello che volevo dire, ma scrivere dei papiri interminabili sembra essere il mio punto debole. Voglio solo dire che, se qualcuno dei miei lettori deve fare la maturità quest’anno (di @elenainlovewithf1andparis lo so per certo, non so se ci sia qualcun altro), in un periodo così caotico, con modalità mai viste prima e senza avere potuto avere molto supporto da parte dei professori (per esperienza ricordo che anche quelli più severi, fiscali o stronzi, ormai che stavamo finendo erano decisamente meno severi, fiscali o stronzi e cercavano un po’ di darci una mano), io tifo per voi. *-* In becco al gufo! <3
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corallorosso · 5 years
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Il dolore e la rabbia della madre di Hevrin Khalaf: sassi contro l'esercito turco Ricordate le sue parole piene di dolore e rabbia di pochi giorni fa? Ora la madre di Hevrin Khalaf, l’attivista curdo-siriana uccisa dai tagliola jihadisti al soldo di Erdoga? Ieri, vestita di nero, si è unita alle proteste popolari due curdi del Rojava finiti sotto l’occupazione turca e ha lanciato pietre e scarpe (in quel mondo lanciare scarpe è una forma con la quale si esprime disgusto) contro i blindati dell’esercito di Ankara che stanno pattugliando le aree curde occupato per essere sicuri che non ci siano quelli che loro definiscono ‘terroristi’ e che invece sono i combattenti curdi che hanno sconfitto l’Isis e stavano costruendo una società progressista che tutelasse i diritti civili. Lei aveva raccontato: “Mia figlia aveva due lauree, una anche in letteratura inglese. L’hanno assassinata perché era generosa, corretta, non accettava bustarelle e combatteva le ingiustizie. Diceva che la corruzione del regime andava combattuta in ogni modo. Non è accettabile aver pagato un tributo tanto alto di sangue per poi tornare come prima», aggiunge. Alla domanda sull’identità di chi l’ha uccisa, la risposta giunge veloce: «Certamente il regime di Erdogan, con le sue squadracce di uomini pronti a tutto. Ma le responsabilità maggiori sono degli americani, che prima aiutano e poi tradiscono. Mia figlia non voleva il male di nessuno, sin da giovanissima era una bambina generosa che voleva dare prima di prendere. Ma che umanità siamo diventati noi, che stiamo zitti di fronte al barbaro assassinio di una giovane che voleva solo il bene del mondo? Lo scriva questo. Per favore ricordate, denunciate, non dimenticate». globalist
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bumbaro · 2 years
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Cervantes in "Armi".
Non tutti sanno che a Lepanto c'era anche lui
tra i combattenti che parteciparono a una delle più grandi battaglie che l'occidente fu chiamato ad affrontare.
Cervantes, uomo d'arme e dal carattere bellicoso, fu ferito a una mano e prese il soprannome di "Monco di Lepanto" ma conosciamo meglio la sua vita d'arme ai più sconosciuta data la grandezza della sua opera letteraria.
Universalmente noto per essere l'autore del romanzo Don Chisciotte della Mancia, uno dei capolavori della letteratura mondiale di ogni tempo, egli è non di meno un uomo d'armi e soldato di ventura.
Miguel de Cervantes Saavedra nasce a Alcalá de Henares, il 29 settembre 1547, figlio di Rodrigo e di Leonor de Cortinas, Miguel è il quarto di sette figli. Nella sua vita piena di viaggi e avventure è ricordato come scrittore, romanziere, poeta, drammaturgo e militare spagnolo.
Per tutta l’infanzia è costretto a seguire la sua famiglia in lunghi viaggi a causa degli scarsi guadagni del padre, da un paese all'altro, finché nel 1568 egli si trova a Madrid dove frequenta il collegio "El Estudio" diretto da Juan López de Hoyos.
Nel dicembre del 1569 arrivò a Roma, in fuga per l'accusa di aver partecipato a un duello, cercando d’evitare la condanna al taglio della mano destra e a dieci anni d'esilio data l’accusa di aver ferito un certo Antonio de Segura.
In Italia è prima cortigiano alla corte degli Acquaviva e successivamente nel Ducato di Atri in Abruzzo.
Sempre nel 1570 si arruola nella compagnia comandata da Diego de Urbina, capitano del reggimento di fanteria di Miguel de Moncada, famoso militare statista spagnolo che parteciperà alle cosiddette “Guerre italiane”
e sarà tenente di Juan de Austria nella guerra di Granada e nella battaglia di Lepanto , oltre che viceré di Maiorca e della Sardegna, che allora serviva sotto Marcantonio Colonna grande Ammiraglio Italiano e viceré di Sicilia grande protagonista della battaglia di Lepanto, sia come politico sopraffino in grado di appianare i dissapori tra Spagnoli e Veneziani ( a lui si deve l’alleanza) sia come condottiero, tanto che nella battaglia di Lepanto guidando la nave ammiraglia dei Colonna e affiancato dalla imbarcazione reale di Giovanni d'Austria catturarono l'ammiraglia della flotta turca. Cervantes, dedicò al figlio di Marcantonio Colonna, Ascanio ( cardinale e vescovo Cattolico), La Galatea, un romanzo pastorale che può essere considerato,, tra le sue opere giovanili, la più impegnativa della sua produzione.
Successivamente si mise al servizio del cardinale Giulio Acquaviva (1570) in quel periodo ufficiale relatore del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, e lo seguì a Palermo, Milano, Firenze, Venezia, Parma e Ferrara. Nel 1571 entrò a far parte della Armata Cristiana contro i Turchi, sulla galea Marquesa che faceva parte della flotta della Lega Santa, che sconfisse quella Turca nella battaglia di Lepanto il 7 ottobre dello stesso anno.
La terza Lega Santa era una coalizione militare e politica, promossa nel 1571 da papa Pio V, dopo il saccheggio di Nicosia, città sull'isola di Cipro, da parte degli ottomani ma la causa scatenante dell'alleanza fu l'attacco turco alla città veneziana di Famagosta, il 22 agosto 1570.
Il papa mobilitò i sovrani cristiani in difesa della città, strenuamente difesa dalla guarnigione locale. Le nazioni che risposero all'appello furono la Repubblica di Venezia e la Spagna di Filippo II. Successivamente si aggiunsero i Cavalieri di Malta, la Repubblica di Genova, il Granducato di Toscana, il Ducato d'Urbino, il Ducato di Parma, la Repubblica di Lucca, il Ducato di Ferrara, il Ducato di Mantova ed il Ducato di Savoia.
L'alleanza dei principi cristiani venne ratificata a Roma il 25 maggio 1571, alla presenza del Papa. In rappresentanza di Filippo II erano presenti il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, don Francesco Pacheco e l'ambasciatore Luis de Zúñiga y Requesens, mentre per la Serenissima presenziarono l'ambasciatore Michele Soriano ed il procuratore Giovanni Soranzo.
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rutengaengerin · 6 years
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Merak
Ogni parola è nata per esprimere un concetto o per subordinare una frase. Alcune parole straniere non hanno una parola corrispondente in italiano. La lingua è il tratto distintivo di ogni popolo: dalla grammatica al lessico, dalla pronuncia al ritmo, dalla composizione delle parole al loro significato, ed è proprio qui che fuoriesce qualcosa di importante: la cultura di un popolo, il legame con le proprie radici. Mi piace scoprirle e abbozzare un’analisi: mi sbizzarrisco di brutto. Partono paranoie infinite sul fatto che, ad esempio, alcuni popoli abbiano probabilmente sofferto più di altri (non ditelo a nessuno, non sono Freud), alcuni siano più empatici con la natura, al contrario altri siano molto chiusi e orientati ai soldi. Sono sempre molto curiosa e vorrei trovare un sinonimo di queste parole anche nella nostra lingua italiana o in altre europee. In genere però non lo trovo mai. Questo mi manda in estasi: è allora che mi interrogo sul perché noi non abbiamo una parola per esprimere questo concetto. Di seguito vi riporto alcune parole “intraducibili”, che mi hanno particolarmente colpita:
Iktsuarpok (Inuit language) "la sensazione di attesa prima di incontrare qualcuno, che ti porta ad uscire o a guardare fuori dalla finestra continuamente per controllare se sta arrivando”; yakamoz (turca) “riflesso della luna sul mare”, questa parola è stata premiata come la parola più bella del mondo dalla rivista tedesca “Kulturaustausch”. Psithirisma “il rumore che fa il vento quando passa tra le foglie degli alberi” Merak (serbo) "la sensazione di unità con l'universo che deriva dai piaceri più semplici", indica il piacere delle piccole cose come ad esempio bere te caldo, programmare un viaggio o ascoltare i suoni della natura. Hanami (giapponese), letteralmente “ammirare i fiori”, è un’usanza giapponese che viene spesso associata al periodo di fioritura dei ciliegi in primavera, quando i parchi sono ricoperti dai fiori rosa: qui la gente si ritrova per contemplare la bellezza effimera della natura, che a breve svanirà. Questo fiore è sempre stato molto apprezzato dai giapponesi e costituisce il paradigma di uno dei concetti estetici fondamentali dell’arte e della letteratura: la meraviglia. Il concetto esprime l’idea di una bellezza straordinaria, che lascia senza parole, ma che è fragile e destinata a svanire in fretta. Questo effimero splendore genera un sentimento di malinconia. Si può capire facilmente come questo concetto sia intrinseco alla vita giapponese, se si pensa alla precarietà determinata dalle condizioni ambientali. I frequenti fenomeni sismici o i tifoni rischiano, infatti, di cancellare da un momento all’altro la vita e le opere dell’uomo. Solo negli ultimi decenni le tecnologie stanno facendo svanire questa cultura collettiva. Forse anche per questo i giapponesi hanno sempre mostrato un’elevata sensibilità verso quella bellezza fragile e delicata, che può svanire da un momento all’altro.
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fashioncurrentnews · 6 years
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Il festival Babel racconta il Brasile
Un’edizione dedicata al Brasile, esplorato nei suoi aspetti meno mainstream e meno noti: il festival Babel 2018 (12-15 settembre, a Bellinzona) ci porta alla scoperta di un Brasile misterioso e di frontiera, dalle foreste dell’Amazzonia alle aride terre del sertão, fino alle favelas urbane. Brasil Babel va alla ricerca di voci ancora poco conosciute
 in Europa e poco ascoltate anche in Brasile, la cui energia e urgenza hanno una potenza espressiva che non può passare inascoltata. Il Brasile più oleografico e meno interessante, quello della vulgata culturale samba-calcio-carnevale, fa spazio alle sperimentazione letterarie di una grande autrice come Clarice Lispector, alle indagini antropologiche dello scrittore Bernardo Carvalho e all’incrocio tra samba, bossa nova del grande musicista Arto Lindsay (nella foto).
Sabato 15 settembre l’incontro delle 16 è dedicato alla scrittrice più enigmatica e adorata del Paese sudamericano, Clarice Lispector: parlano di lei Roberto Francavilla (docente di letteratura portoghese e brasiliana e traduttore della Lispector che in Italia è pubblicata da Adelphi) e lo scrittore Emanuele Trevi. Alle 18 si torna all’attualità politica: la scrittrice turca Asli Erdogan porta il suo sguardo su Rio de Janeiro e sulla situazione in Brasile, a un mese dalle elezioni e dopo l’attentato di cui è rimasto vittima il candidato di destra Jair Bolsonaro.
Il programma prosegue con molti altri appuntamenti, dall’antropologia alla musica: la guida completa sul sito di Babel
    L'articolo Il festival Babel racconta il Brasile sembra essere il primo su Vogue.it.
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