Tumgik
#morire tutti i giorni
alchimia31 · 11 months
Text
È una vita che provo a fidarmi...o provo a trovare qualcuno che si prenda cura di me...qualcuno che mi faccia sentire  protetta, sicura, capita...sono tutti troppo occupati ad ignorare quello che faccio io per loro sono troppo egoisti, troppo stupidi per capire cosa stanno perdendo, mi dispiace cambiare ma è una conseguenza dovuta a tutte quelle mancanze. Lo so, vi mancherò, accendete una candela perché non ci sarò più. In questa vita,si muore troppe volte ogni giorno!
5 notes · View notes
angelap3 · 4 months
Text
Se avete due minuti, leggetela è bellissima!❤️😘❤️
Mentre mia moglie mi serviva la cena, mi feci coraggio e le dissi:
«voglio il divorzio».
Vidi il dolore nei suoi occhi, ma chiese dolcemente:
«perché?».
Non risposi e lei pianse tutta la notte. Mi sentivo in colpa, per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restassero la casa, l’auto e il trenta per cento del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo strappò in mille pezzi e mi presentò le condizioni per accettare.
Voleva soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare i’indomani:
«devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi portasti nella nostra camera da letto per la prima volta. In questo mese ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi fuori dalla porta di casa».
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii…
Quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo:
«grande papà, ha preso la mamma in braccio!»
il secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati. Lei si appoggiò al mio petto e sentii il suo profumo sul mio maglione.
Mi resi conto che era da tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così giovane, qualche ruga, qualche capello bianco.
Ii quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi: questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio. Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più.
Ogni giorno era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente.
Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo, ogni giorno che passava la sentivo più leggera. Mi resi conto che era dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse:
«papà, è arrivato il momento di portare la mamma in braccio».
Per lui era diventato un momento basilare della sua vita.
Mia moglie lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo… la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e delicata… mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fiori. Comprai un mazzo di rose e la ragazza del negozio mi disse:
«che cosa scriviamo sul biglietto?».
Le dissi:
«ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi».
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma…
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma. Stava lottando contro il cancro ed io non me n’ero accorto.
Sapeva che stava per morire e per questo mi aveva chiesto un mese di tempo, un mese perché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.
Lei aveva chiaro quali fossero I dettagli, I semplici dettagli, che contano in una relazione. Non sono la casa, la macchina, I soldi… queste sono cose effimere che sembrano saldare un’unione e invece possono dividerla.
A volte non diamo il giusto valore a ció che abbiamo fino a quando non lo perdiamo.
Autore sconosciuto
54 notes · View notes
anchesetuttinoino · 3 months
Text
La dichiarazione finale del G7 è composta di 19.842 parole. Apro il mio tablet sul bordo del lago di Sevan. Sono venuti a trovarmi alcuni amici cacciati dall’Artsakh (Nagorno-Karabakh), desertificato della sua popolazione indigena dagli invasori giunti dall’Azerbaigian tirando cannonate su Stepanakert e su tutti i villaggi abitati. Una espulsione totalitaria equivalente al genocidio, qualcosa di così disumano da spaccare le ossa della mia anima.
Ma so che tutto questo è stato vissuto dolorosamente anche da tanti italiani, a differenza del loro governo e del Parlamento (maggioranza e opposizione, presenzialisti e assenteisti). Tutti adoratori della Costituzione, questi politici, e tutti a citare l’articolo 11 che «ripudia la guerra». Ma ci dev’essere un post-scriptum riservato, che si passano tra loro le generazioni di potenti: non c’è scritto che bisogna ripudiare chi fa la guerra e annienta poveri cristi, purché in cambio stipino di gas
i nostri serbatoi, e di caviale certi tipetti, e di denaro le nostre fabbriche di cannoni e aerei militari per trasferire paracadutisti di reparti d’assalto sui tetti di sciagurate minoranze cristiane…
Sono ingiusto a non fare distinguo. Non tutti i parlamentari e i ministri e i sottosegretari hanno sacrificato gli armeni dell’Artsakh alla ragion di Stato (ma val la pena sopravviva uno Stato che ha ragioni così miserabili per campare, al punto da accarezzare massacri e pulizie etniche purché gli autori siano bravi fornitori?); non tutti hanno chiuso gli occhi, ci sono pochi meravigliosi deputati e senatori coraggiosi, oltre a qualche Nicodemo che nel silenzio dissente. Oso qualche nome: Centemero, Formentini, Zampa, Pozzolo, Orsini, Malagola, Fassino e se dimentico qualcuno, scriva che – se sono ancora vivo – rimedierò.
Speranze tradite
Ho letto la dichiarazione finale firmata da capi di Stato e premier del G7. Ho usato i dispositivi dell’intelligenza calcolatrice che permettono di scrutare il succo dei testi. Avevo moderate speranze di trovare un impegno per tutelare la piccola culla delle memorie cristiane, un luogo che non è simbolico e basta, ma palpitava. Uso il passato! Il Nagorno era abitato da centoventimila cristiani. Nel settembre del 2020 l’Azerbaigian sostenuto dai turchi si era già preso metà del territorio. Russia e Bielorussia, che avrebbero dovuto intervenire in base ai trattati sottoscritti con l’Armenia, hanno lasciato fare. Nel 2022, quattro giorni prima dell’aggressione all’Ucraina, Putin e il dittatore azero Ilham Aliyev hanno firmato un trattato che ha consentito alla Russia di triangolare gas e petrolio con l’Occidente tramite il simpatico tiranno il cui padre Heydar fu vice di Breznev e colonna asiatica del Kgb. Nel 2023, dopo uno stillicidio di attacchi e assassinii, e l’assedio utile per far morire i bambini di fame, il colpo finale. In centomila espropriati della loro essenza furono costretti, per non essere schiavizzati o appesi ai pali, ad andarsene in Armenia. L’Italia era corsa in soccorso del vincitore sin dai primi giorni del 2023 firmando un accordo per la “modernizzazione” (dichiarazione ufficiale del governo di Baku) delle forze armate azere.
Clima 53, Nagorno 0
Ed ecco il G7 a presidenza italiana. Speravamo in Giorgia Meloni, ma forse l’essersi affidata a Elisabetta Belloni come sherpa per fissare accordi, non è stata una grande idea, almeno per noi disgraziati cristiani del Caucaso. Avevamo sperato nella presenza al G7 di Borgo Egnazia dello Stato più amico di noi armeni che esista in Occidente, almeno sulla carta: in Francia circa 750 mila suoi cittadini sono “arméniens de France”; ma dovrebbero esserlo anche gli Stati Uniti e il Canada, nazioni in cui i miei fratelli assommano a un milione e mezzo. Risultati? Siamo invisibili, siamo inesistenti. Esiste anche un genocidio che passa attraverso la soppressione del problema, l’impiparsene.
Tra i circa 20 mila lemmi ho fatto contare al computer alcune parole chiave. Innanzitutto nomi di Stati o territori: Russia 61 occorrenze, Ucraina 57, Cina 29, Nord Corea 14, Palestina 13, Israele 11, Iran 11, Gaza 9, Libia 6, Armenia 0, Nagorno-Karabakh 0, Azerbaigian 0./
Nomi per problematiche: clima/cambiamento climatico 53, gender 25, diritti umani 24, dignità umana 3, migrazioni/migranti 38, inquinamento 12, plastica 9, libertà 13, libertà religiosa 0, persecuzione 1, persecuzione religiosa 0.
Come si vede, l’Armenia e la sparizione di una nazione cristiana dalle cartine geografiche in Caucaso non sono un problema che interessi i grandi. Qui batterò ancora qualche colpo in alfabeto Morse, o vi siete stancati anche voi?
36 notes · View notes
kon-igi · 1 year
Text
VERRÀ LA MORTE E BERRÀ IL TUO SANGUE
(Prima parte di una serie divulgativa sulla prossima apocalisse pandemica)
Tumblr media
Buongiorno, bambini! Chi mi sa dire qual è l'animale più pericoloso sul pianeta terra?
Il leone! Lo squalo! L'orca sassina! La tigre! Il gorilla! Il rinoceronte! I fascisti di forza nuova!
Gigino ricordami di non lasciarti tutto il giorno con zio Stanislao, comunque, no bambini... l'animale che ha ucciso più esseri umani nei nostri secoli di storia è...
... la zanzara!
Repubblica.it dice che ha sterminato 50 miliardi di persone nei nostri 300.000 anni di storia ma siccome sarò anche vostro papà però anche un castoro senza pollice opponibile non ho possibilità di verificare le fonti in modo approfondito.
Diciamo, però, che le zanzare sono praticamente ovunque, tranne in Islanda e ai poli, e nei millenni di convivenza con l'uomo sono diventate un vettore preferenziale per molti virus che si sono mutati per replicarsi all'interno delle loro ghiandole saliv...
Anche il raffreddore?
No, Genoveffa, solo alcuni patogen...
Anche l'aids dei finocchi?
No, Balilla... e ricordami di non lasciarti tutto il giorno con zio Benito. Ecco, vi ho appena inviato sui vostri tablet la lista di virus, batteri e parassiti trasmissibili dalla famiglia delle Culicidae (che sarebbero le zanzare).
Malaria Chikungunya Filariasi Dirofilariasi Dengue Zika West Nile Virus Febbre gialla Febbre della Rift Valley Encefalite giapponese Encefalite di Saint Louis Encefalite LaCrosse Encefalite equina orientale Encefalite equina occidentale Encefalite equina venezuelana Febbre di Ross River Febbre da Barmah Forest
Naturalmente non tutte le 3540 specie di zanzara trasmettono tutte queste malattie sia perché non tutti i patogeni sono adatti a replicarsi in ogni ghiandola salivare sia perché molte malattie sono tipiche di un paese specifico con un certo tipo di zanzara che sopravvive solo con un certo clima.
A tale proposito, mi premeva farvi notare come quando io ero giovane non solo saltavo i fossi per il lungo e invece voi vi fate venire la tendinite da smartphone ma d'inverno venivano quattro metri di neve e l'estate si poteva stare a torso nudo senza morire di ustioni attiniche di 4° grado e questo è colpa de...
Delle scie chimiche massoniche dei poteri forti!
No, Giustino… e ricordami di non lasciarti tutto il giorno con zio Beppe.
È colpa del cambiamento climatico che ha portato a una tropicalizzazione di latitudini dove normalmente le zanzare tropicali vettrici di tali virus non sarebbero sopravvissute.
Siccome, a dispetto di quanto gli italiani credano, noi castori siamo una specie che fino al 1540 ha popolato per secoli lo stivale (salvo poi diventare tutti copricapi), ho le carte di cittadinanza in regola per parlare di tale paese e pubblicare questa mappa:
Tumblr media
con cui nel 2008 si registrava l'iniziale presenza della zanzara Aedes albopictus, la cosiddetta Zanzara Tigre, che ha quasi completamente soppiantato la meno feroce Culex pipiens, la nostra 'vecchia' zanzara monocolore che pungeva solo di notte
Tumblr media
(albo+pictus, pitturata di bianco... anche se a me sembrano pallini e non le presunte strisce di una tigre)
e di seguito una vecchia proiezione statistica - oggi realtà - su come si sarebbe riprodotta ed espansa
Tumblr media
Voglio dirvi però, piccoli castorini, che le quattro malattie che puntualmente gli italiani si ritrovano a scoprirsi addosso ogni estate (Zika, Dengue, Chikungunya e Febbre da West Nile Virus) in realtà hanno modalità di incubazione e trasmissione che le rendono meno pericolose di quanto sembra, perché ci devono essere parecchi fattori concomitanti per la comparsa:
PRIMA DI TUTTO CI VUOLE UNA ZANZARA INFETTA
Graziarca' mi direte voi ma considerate che una zanzara può replicare il virus nelle proprie ghiandole salivari solo se punge una persona infetta in fase attiva, quindi non nei prima 4-7 giorni della comparsa dei sintomi e non dopo 15 giorni.
La zanzara può infettare solo dopo 7-10 giorni (tempo di replicazione nelle ghiandole) e dal momento che una zanzara ne vive solo 30, il tempo utile è poco (il virus non si trasmette da zanzara a zanzara o alle uova).
Oltretutto non è detto che la carica virale dell'umano infetto sia sufficiente alla replicazione nella zanzara o che la puntura della zanzara abbia sufficiente carica virale da infettare.
Quegli R0 e Rt esponenziali che abbiamo visto con il Covid scordateli, insomma.
Infatti, tranne l'ultimo caso di Dengue del 70enne lodigiano che è sempre rimasto in Italia, tutte le infezioni sono state contratte all'estero e 'portate' senza grosse conseguenze in Italia.
La mia è un'intuizione e quindi vale solo per fare apocalisse zombie su tumblr ma credo che se si cominciasse a fare titolazioni anticorpali tra la popolazione, sono quasi sicuro che verrebbero fuori MOLTE persone positive a vecchie infezioni causate da questi virus.
Perché i sintomi comuni a tutte queste infezioni sono spossatezza, mal di testa, dolori articolari e difficoltà alla concentrazione...
Praticamente io sono ammalato di Dengue ogni Lunedì.
Seguiranno approfondimenti su modalità di manifestazione e trattamento.
Grazie dell'attenzione e dell'eventuale gentile reblog di condivisione.
Tumblr media
142 notes · View notes
occhietti · 8 months
Text
Tumblr media
Ad Auschwitz superai la selezione per tre volte. Quando ci chiamavano sapevamo che era per decidere se eravamo ancora utili e potevamo andare avanti, o se eravamo vecchi pezzi irrecuperabili. Da buttare. Era un momento terribile.
Bastava un cenno ed eri salvo, un altro ti condannava. Dovevamo metterci in fila, nude, passare davanti a due SS e a un medico nazista. Ci aprivano la bocca, ci esaminavano in ogni angolo del corpo per vedere se potevamo ancora lavorare. Chi era troppo stanca o troppo magra, o ferita, veniva eliminata.
Bastavano pochi secondi agli aguzzini per capire se era meglio farci morire o farci vivere. Io vedevo le altre, orrendi scheletri impauriti, e sapevo di essere come loro. Gli ufficiali e i medici erano sempre eleganti, impeccabili e tirati a lucido, in pace con la loro coscienza.
Era sufficiente un cenno del capo degli aguzzini, che voleva dire “avanti”, ed eri salva. Io pensavo solo a questo quando ero lì, a quel cenno. Ero felice quando arrivava, perché avevo tredici anni, poi quattordici. Volevo vivere.
Ricordo la prima selezione. Dopo avermi analizzata il medico notò una cicatrice. «Forse mi manderà a morte per questa…» pensai e mi venne il panico. Lui mi chiese di dove fossi e io con un filo di voce ma, cercando di restare calma, risposi che ero italiana.
Trattenevo il respiro. Dopo aver riso, insieme agli altri, del medico italiano che mi aveva fatto quella orrenda cicatrice, il dottore nazista mi fece cenno di andare avanti. Significava che avevo passato la selezione! Ero viva, viva, viva! Ero così felice di poter tornare nel campo che tutto mi sembrava più facile.
Poi vidi Janine. Era una ragazza francese, erano mesi che lavoravamo una accanto all’altra nella fabbrica di munizioni. Janine era addetta alla macchina che tagliava l’acciaio. Qualche giorno prima quella maledetta macchina le aveva tranciato le prime falangi di due dita. Lei andò davanti agli aguzzini, nuda, cercando di nascondere la sua mutilazione. Ma quelli le videro subito le dita ferite e presero il suo numero tatuato sul corpo nudo. Voleva dire che la mandavano a morire.
Janine non sarebbe tornata nel campo. Janine non era un’estranea per me, la vedevo tutti i giorni, avevamo scambiato qualche frase, ci sorridevamo per salutarci. Eppure non le dissi niente. Non mi voltai quando la portarono via. Non le dissi addio. Avevo paura di uscire dall’invisibilità nella quale mi nascondevo, feci finta di niente e ricominciai a mettere una gamba dietro l’altra e camminare, pur di vivere.
Racconto sempre la storia di Janine. È un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a morire, che la sua vita era importante per me. Che noi non eravamo come gli aguzzini ma ci sentivamo, ancora e nonostante tutto, capaci di amare. Invece non lo feci.
Il rimorso non mi diede pace per tanto, tanto tempo. Sapevo che nel momento in cui non avevo avuto il coraggio di dire addio a Janine, avevano vinto loro, i nostri aguzzini, perché ci avevano privati della nostra umanità e della pietà verso un altro essere umano. Era questa la loro vittoria, era questo il loro obiettivo: annientare la nostra umanità...
- Liliana Segre - Fino a quando la mia stella brillerà
51 notes · View notes
fiorenellanotte · 5 months
Text
Tumblr media
Certo, chi combatte può morire… chi fugge resta vivo, almeno per un po'… Agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso… siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi per avere l'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo, ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita ma non ci toglieranno mai la libertà!
21 notes · View notes
gregor-samsung · 5 months
Text
“ Tina, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane come tante nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita. Bastava aprire la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi; partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile, ebbene l’avremmo fatto. Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. E se è sempre azzardato decidere per gli altri, temerario arrogarsi il diritto della verità, c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e per la libertà. Vorrei che voi sfogliaste insieme a me l’album di ricordi, con i volti dei miei tanti compagni di grandi e piccole battaglie, fotografie scattate nei giorni della pace ritrovata, quando ci riconoscemmo simili. Mi rivedo, ci rivedo, con i capelli ricci o lunghi, barbe più o meno incolte, vestiti a casaccio, e tuttavia qua e là spuntano una certa gonna più sbarazzina, scarpe basse ma con le calzette colorate, un fermaglio su una ciocca ribelle, la posa ricercata di un ragazzo, e tutti insieme a guardare diritto l’obiettivo, tutti insieme sapendo che il futuro ci apparteneva, tutti insieme: questa era stata la nostra forza, la nostra bellezza. “
Tina Anselmi con Anna Vinci, Storia di una passione politica, prefazione di Dacia Maraini, Chiarelettere (Collana Reverse - Pamphlet, documenti, storie), 2023; pp. 3-4.
Nota: Testo originariamente pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006 e nel 2016.
23 notes · View notes
venetianeli · 6 months
Text
21 marzo, Giornata mondiale della Poesia
Pensaci bene
prima di prendere un gatto.
Ti farà credere che sia stato tu
ad averlo trovato
in mezzo alla strada
in un cassonetto
dentro un gattile.
Ti farà credere che sia stato tu
ad averlo salvato
che incontrarvi sia stata fortuna
pura casualità
quando invece era lì ad aspettarti
quando invece era il vostro appuntamento
fin da sempre.
Pensaci bene prima di prendere un gatto.
In quegli occhi si entra una volta sola
per poi non uscire mai più.
Sappi che di quell’amore
puro
infinito
e randagio
non potrai mai più liberarti.
I gatti amano per volontà
non per bisogno, non per istinto
i gatti amano per essere liberi.
Pensaci bene prima di prendere un gatto
che prendere poi, è un termine inadeguato, sciatto.
Sbagliato.
Un gatto non si prende né si adotta
un gatto si custodisce.
E ricordati che dovrai accettare il suo caos
la sua elegante arroganza
i suoi attimi di smisurata dolcezza
prenderti cura della sua solitudine
dei suoi momenti di incantevole assenza.
Pensati come a un primo appuntamento
che ogni istante si ripete.
Circondalo di attenzioni, sempre
come un amante corteggia la sua dama
con dolci parole
e infinite carezze.
Sappi che ogni istante lui sa dove ti trovi
come ti senti
e di cosa hai bisogno per essere felice.
Pensaci bene prima di prendere un gatto
perché nessuno più di lui
sa di cosa è fatto l’amore.
Parlo del rispetto dei propri spazi
e dei propri umori.
Parlo del bisogno di nascondersi
a volte
da tutto e da tutti.
Parlo di saper riconoscere
quando è inutile insistere
perché avvicinandosi a volte ci si perde
e di quando insistere, invece
è l’unico modo per tornare a stare vicini.
Parlo dell’arte
di sapersi osservare da lontano
dove ogni cosa acquista la sua forma.
Parlo di saper riconoscere la meraviglia
di volersi entrambi
in quei momenti di rara bellezza
che rimangono impressi per sempre.
Parlo di quando all’improvviso
dal nulla più assoluto
si accende la follia
e si inizia a correre come pazzi
a giocare come ragazzini
buffi e ridicoli
come rendersi conto
che la felicità va abbracciata
graffiata, protetta.
Perché può durare un attimo.
Ma soprattutto
pensaci bene prima di prendere un gatto
perché arriverà il giorno in cui dovrai dirgli addio.
E saprà stupirti di nuovo
come ha fatto per tutta la sua vita.
Mentre non riesce più a reggersi in piedi.
Mentre è sdraiato da giorni lì
nello stesso punto di casa
dove ha scelto di morire.
Mentre non vuole nessuno vicino, tranne te.
E con le ultime forze ancora ti urla il suo amore.
Le fusa che gli escono strane e spente, stonate.
Ma che tu ricorderai
come il canto più dolce
che ti sia stato concesso ascoltare.
Non cercare di dimenticarlo quel dolore, di vincerlo.
Non si può.
Una parte di te si è spenta con lui.
Una parte di te, si è perduta, per sempre.
Pensaci bene prima di prendere un gatto,
Andrew Faber
22 notes · View notes
resalioo · 2 months
Text
il mio lato tossico?
è il distacco. sono abituata a stare da sola quindi è facile per me perdere interesse o tagliare i legami. Potresti mancarmi da morire, potrei pensarti tutti i giorni ma riuscirei comunque a non parlarti mai più.
13 notes · View notes
ross-nekochan · 1 month
Text
Finalmente sono un ferie.
Niente di che per l'Europa, ma qui avere più di 3 giorni di fila di festa è un miracolo di dimensioni astronomiche e di cui dovrei ringraziare tutti i kami giapponesi (anche se non se lo meritano).
Domani cerco di fare l'italiana pure io e vado al mare, anche se non ho un costume e, tra il mio odio per lo shopping e il fatto che molto probabilmente avrò una XXL giapponese, mi sa che è meglio se per una volta non compro su internet (ultimamente sta diventando il mio unico modo per non rimanere senza niente da mettere - e non sto esagerando).
Vorrei già andarmene pure da sto lavoro, ma vabbè che lo diciamo a fare. Ho fatto così tanto per trovare qualcosa che avesse orario flessibile e smartworking e invece comunque lo standard è l'ufficio. Poi ovviamente io ho avuto il grande culo di stare nel dipartimento dei visti quindi c'è sempre un via vai di passaporti immane, per cui se non ci sei tu, il lavoro va sugli altri che già hanno la loro merda da fare, già fanno gli straordinari e quindi via di senso di colpa e di responsabilità... poi uno si chiede perché questi so strani e si ammazzano di fatica: eccovelo spiegato facile facile.
Per questo motivo ultimamente sto pensando di traslocare. Ho trovato un monolocalino bellino a 10 min A PIEDI dall'ufficio (che è centralissimo) con un affitto abbordabile... peccato che qui esiste questa cosa magica chiamata "spese iniziali" per cui tu prima di entrare devi pagare tutta una serie di cose che loro faranno per te (tipo cambio chiavi di casa, pulizia generale, disinfestazione ecc) al prezzo che dicono loro pure se tu non vuoi. Peccato che ste spese iniziali ammontano a MEZZO STIPENDIO e se ti metti a pensare a tutte le cose nuove che vanno comprate (dato che qui gli appartamenti si vendono completamente vuoti e senza elettrodomestici), insomma, non lo so se voglio buttare uno stipendio così. Però dall'altra parte sto vivendo veramente male con sti viaggi continui in treno e ora con sto caldo che ammazza la voglia di vivere di chiunque... se ripenso all'anno scorso in cui non mi avevano ancora assegnato a nessun posto e sono stata tutta l'estate a casa... Madonna che culo che ho avuto e solo ora lo sto realizzando perché è veramente impossibile vivere così.
Ah poi vabbè parliamo in verità di buchi di monolocali dato che sono 20 m2 e sono pure TANTI. Ho visto annunci di appartamenti singoli di 13/15 m2 SENZA ARMADIO a prezzi che manco vi sto a dire. Poi dite la crisi abitativa a Milano e che la gente vive nei buchi a prezzi folli... che ve devo dì.
Inizialmente volevo fare un viaggio al sud per vedere delle amiche che abitano lì però poi tutte loro si sono impegnate con altre persone (perché giustamente le ferie queste sono e se non ci si muove addio) e quindi vaffanculo non sono andata da nessuna parte. Un poco me ne pento, un poco sono talmente stressata che veramente voglio solo morire sti giorni.
Poi considerando che in 1 anno sono stata a Tokyo meno di 10 volte nonostante ce l'abbia potenzialmente a 2 passi, direi che è meglio se me la comincio a girare un poco in più finalmente.
Per il resto come sto? Boh io mi sento sempre peggio. Questa non è vita, questa non è la mia vita. Però che devo fare, che posso fare? Niente posso fare. Posso solo patire, fare come quelli che non ho mai capito: fare finta che vada tutto bene, che questa sia vita; lo fanno tutti quindi lo devo fare anche io.
18 notes · View notes
vividiste · 2 months
Text
Oggi vorrei, in occasione del suo compleanno, fare un omaggio agli amici della Sardegna che mi seguono, e a tutti gli altri che hanno a cuore l'Arte, in tutte le sue forme.
Vi parlerò di Andrea Parodi, leader de i " Tazenda" il gruppo musicale sardo più famoso di tutti i tempi.
Morì a causa di un tumore maligno, il 17 ottobre 2006.
Il capellone dalla lunga barba, al quale eravamo abituati, aveva lasciato il posto ad un uomo emaciato e allo stremo delle forze.
Pochi giorni, prima di morire, fece una ultima esibizione, decantando e cantando la celeberrima " No potho reposare", una dolcissima ballata che mi fa venire le lacrime agli occhi, pur non capendo una mezza parola.
Perché questo è il senso più profondo dell'Arte e della poesìa.
Emozionare la gente. Farla danzare sulle ali delle emozioni.
Non importa se ridi a squarciagola per una poesia romanesca del Trilussa, o piangi a dirotto per una canzone sarda o siciliana.
Quello che conta è sentirsi vivi.
E quando l'arte ti avvolge completamente e si fonda, in un tutt'uno, con quello che sei veramente nel tuo intimo, allo
ra non puoi non sentirti vivo.
Anche se ti resta poco da vivere...
di Vincent Giocoliere❤
Tumblr media
9 notes · View notes
susieporta · 10 months
Text
QUANDO NOSTRO PADRE COMINCIA A MORIRE
Quando il padre invecchia e comincia a trotterellare come se fosse nella nebbia. Lento, lento, impreciso.
È quando uno dei genitori che ti teneva stretta la mano quando eri piccolo non vuole più restare solo. È quando il padre, un tempo fermo e insormontabile, si indebolisce e fa due respiri prima di alzarsi dal suo posto.
È quando il padre, che un tempo aveva comandato e ordinato, oggi non fa altro che sospirare, solo gemere, e cerca dove siano la porta e la finestra: ogni corridoio è ormai lontano.
È quando un genitore precedentemente volenteroso e laborioso non riesce a indossare i propri vestiti e non ricorda i farmaci che ha preso. E noi, da bambini, non faremo altro che accettare di essere responsabili di quella vita. Quella vita che ci ha dato i natali dipende dalla nostra vita per morire in pace.
Forse la vecchiaia del padre e della madre è curiosamente l'ultima gravidanza. Il nostro ultimo insegnamento. Un'opportunità per ricambiare la cura e l'amore che ci hanno donato per decenni. E proprio come abbiamo adattato la nostra casa per prenderci cura dei nostri bambini, bloccando le prese della luce e montando dei box, ora cambieremo la distribuzione dei mobili per i nostri genitori.
La prima trasformazione avviene nel bagno.
Saremo i genitori dei nostri genitori che ora metteranno una sbarra sotto la doccia. Il bar è emblematico. Il bar è simbolico. La sbarra inaugura il “detemperamento delle acque”. Perché la doccia, semplice e rinfrescante, è ormai una tempesta per i vecchi piedi dei nostri protettori. Non possiamo lasciarli per nessun momento.
La casa di chi si prende cura dei propri genitori avrà dei rinforzi ai muri. E le nostre braccia saranno estese sotto forma di ringhiere. Invecchiare è camminare aggrappandosi agli oggetti, invecchiare è anche salire le scale senza gradini. Saremo estranei a casa nostra. Osserveremo ogni dettaglio con paura e ignoranza, con dubbio e preoccupazione. Saremo architetti, designer, ingegneri frustrati. Come non prevedere che i nostri genitori si sarebbero ammalati e avrebbero avuto bisogno di noi?
Rimpiangeremo i divani, le statue e la scala a chiocciola. Rimpiangeremo tutti gli ostacoli e il tappeto. E a nostro padre si saluta un po' tutti i giorni...
Un uomo di nome José accompagnò suo padre fino ai suoi ultimi minuti.
In ospedale, l'infermiera stava facendo la manovra per spostarlo dal letto alla barella, cercando di cambiare le lenzuola quando José gridò dal suo posto: - Lascia che ti aiuti! - . Raccolse le forze e prese suo padre sulle ginocchia per la prima volta.
Appoggiò il volto di suo padre al petto. Ha messo sulle sue spalle il padre consumato dal cancro: piccolo, rugoso, fragile, tremante. Rimase abbracciato a lungo, il tempo equivalente alla sua infanzia, il tempo equivalente alla sua adolescenza, un tempo bello, un tempo infinito.
Dondolando suo padre da una parte all'altra.
Accarezzare suo padre.
Calmare suo padre.
E gli disse sottovoce:
- SONO QUI, PAPÀ!
Ciò che un padre vuole sentire alla fine della sua vita è che suo figlio è "lì" per dirgli... Vacci piano. Ti diamo il permesso, non preoccuparti... Andrà tutto bene! 🙏🏽
Queste meraviglioso testo lo aveva trovato anni fa. Dopo la morte del mio padre. Non ho potuto arrivare in tempo prima che lui mancase.
Grazie papà ovunque la nel spazio infinito sta te e tutti mie antenati. Mi manchi.
Xiukiauitzincheko Escandon
Nagual Sciamano dell’anima
22 notes · View notes
elperegrinodedios · 11 months
Text
E come egli (Gesù) si avvicinava, vide la città e pianse su di essa (Gerusalemme) dicendo: "Oh, se tu, proprio tu avessi riconosciuto almeno in questo tuo giorno, le cose necessarie alla tua pace! Ma ora esse sono nascoste agli occhi tuoi. (43) Poichè verranno sopra di te dei giorni in cui i tuoi nemici, ti circonderanno di trincee, e ti accerchieranno e ti assedieranno da ogni parte. (44) E abbatteranno te, e i tuoi figli dentro di te; e non lasceranno in te pietra su pietra, perchè tu non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata. (Lu. 19:41-44)
Tumblr media
#ierioggidomani#
📷 Immagini riprese con improbabile macchina fotografica durante il mio primo cammino nella Terra Santa. Si intravede la Moschea di Omar e il giardino del Getsemani. Sotto, foto di murales che parlano da soli dipinti sul muro di confine di 700 km. costruito tra la Palestina ed Israele.
===
Fratelli contro che vivono sopra la stessa "terra" e la cui guerra non avrà mai fine. Sono legati da vincoli di sangue, che fino ad oggi, l'hanno solo sparso. Una città ed una nazione che da sempre subisce attacchi e abbattimenti da parte di tutti. Distrutta 12 volte, ricostruita ora dai romani, ora dai cristiani cattolici ed ora dai musulmani. Circa venti volte assediata più o meno cinquanta volte conquistata. Che dire, se non che l'ombelico del mondo è da sempre sotto attacco. Ognuna delle profezie del Signore si è sempre avverata.
Tumblr media
Si dice che la speranza sia l'ultima a morire ed io aggiungo, che è l'unica che insieme all'amore ed alla fede resterà tra i doni eterni: "Ora queste tre cose rimarranno: fede, speranza e amore, ma la più grande di esse è l'amore". (1 Co. 13:13) Perciò noi speriamo e preghiamo affinchè presto possa tornare la pace su questa terra intrisa di sangue.
Tumblr media
È doloroso anche per noi vederli in questo stato.
E dunque:
"Ti preghiamo o Signore affinchè questo popolo torni a condividere la pace, a vivere in armonia e possa presto ricordare che la terra è la tua e che non ci si può uccidere tra fratelli. Spero, anzi mi piace pensare che presto noi li ritroveremo cosi"
Tumblr media
Ti preghiamo Padre, nel nome di Gesù. Amèn!
lan ✍️🙏
23 notes · View notes
blackrosesnymph · 4 months
Text
Mi sa che dalla dipendenza affettiva non ci sono davvero uscita... Nei primi periodi della relazione riesco a sentire la pace interiore solo quando sono con il partner, per il resto mi sento morire...la vita di tutti i giorni mi pesa tremendamente, anche se sento di essere felice della vita che conduco... Una cazzo di condanna...ci mancava anche il dubbio che anche stavolta sia solo per quello che tutto è nato...per dipendenza...
10 notes · View notes
arreton · 5 months
Text
Quando tornano i "brutti pensieri", ovvero rimuginio e conseguente ruminazione, e tra questi si palesano pure la violenza e l'aggressività mi ricordo quanto stavo male prima: mentre ora accade solo occasionalmente (ciclicamente, causa scombussolio ormonale), prima era storia di tutti i giorni. Vivevo in un continuo stato mentale di guerra dove dovevo ammazzare per forza qualcuno, fosse stata pure me stessa. Adesso i pensieri sono più distesi, non ho più tutta quella rabbia, non ho più la necessità di "uccidere" (mentalmente) qualcuno o me stessa. In merito al suicidio l'altro giorno – questi sono giorni di fluttuazione umorale con ripiegamento depressivo/aggressivo – pensavo che quello che mi ha impedito di farlo in tutti questi anni era la sua inutilità: non avrebbe sistemato in fondo nulla, né avrei trovato sollievo perché che ne so come si sta dopo che si muore. Ho scelto, insomma, la vita non per un reale interesse ma per forza di cose. Certo, questo flusso temporale ha i suoi lati curiosi, divertenti, anche piacevoli. Oggi mi dicevo che una delle cose che voglio fare prima di morire è andare in Giappone. Adesso che sono via riesco ad immaginare una qualche possibilità positiva anche per me.
17 notes · View notes
donaruz · 6 months
Text
Tumblr media
Sono passati 30 anni da quel 5 aprile del 1994, quando Kurt Cobain, leader del gruppo Nirvana, si suicidò con un fucile calibro 20 compratogli dall’amico Dylan Carlson, il frontman degli Earth.
Il corpo verrà ritrovato solo l’8 aprile dall’elettricista Gary Smith presso il garage della casa di Seattle sul lago Washington. "
Accanto al corpo, una scatola contenente droga, un cucchiaio, aghi, sigarette e un paio di occhiali da sole, così come hanno rivelato alcune immagini scattate dopo il ritrovamento del corpo e rese note alcuni giorni fa. Poco sangue, quasi nulla, e una lettera indirizzata alla moglie Courtney Love e alla figlia Frances Bean.
Il leader dei Nirvana, da molti considerato il vero padre del grunge, è morto come aveva vissuto, stordito dai farmaci e dalla droga, imprigionato - le parole sono le sue - nella paura di vivere e “avverso al genere umano”, a tal punto da non avere più “nessuna emozione”. “It’s better to burn out then to fade away (E’ meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente)”, scrive Cobain nel suo commiato, citando Neil Young (che oggi dice: “Se avessi avuto la possibilità di parlare con lui gli avrei detto di mollare tutto, di fare altre cose, di allontanarsi da quel mondo”).
L’inizio - letterale - della sua fine ha una data ben precisa. Due mesi prima del suicidio, il 3 marzo, in una suite dell’hotel Excelsior in via Veneto a Roma, Cobain andò in overdose. Con lui c’erano la moglie e la figlia, nella capitale per trascorrere qualche giorno di relax dopo l’ultimo concerto del tour europeo dei Nirvana, a Monaco. Già in quella occasione molti parlarono di tentato suicidio. Ricoverato al Policlinico Umberto I, Cobain fu poi trasferito all’American Hospital, prima di tornare negli States.
Le settimane successive furono un lungo preludio alla fine annunciata. Depressione, droga, molta droga, tranquillanti, e nessuna voglia di vedere la luce del sole. L’uomo simbolo del grunge aveva semplicemente scelto di morire. Da solo. Un altro nome nella macabra lista del ‘Club 27’, che allora contava, fra gli altri, anche Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix e Brian Jones, tutti geni della musica morti tragicamente a 27 anni. A loro, il 23 luglio 2011, si è unita anche Amy Winehouse.
Tumblr media
15 notes · View notes