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#non lavorano mai??????
deathshallbenomore · 10 months
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il senso di immotivato ma strisciante e inesorabile astio verso coloro che si occupano di gender studies
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aculofan · 1 month
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Oggi.
Giornata internazionale degli infermieri.
Siamo stati osannati come angeli, quando c'era da parare il qulo a tutti, ci sono state fatte promesse mai mantenute, i trascorsi 4 anni hanno accelerato/accentuato il disamore verso questa Arte.
Ma tanti, tantissimi operatori sanitari, di qualunque categoria, lavorano con attenzione e competenza...solo che, come ho già scritto una volta, le persone belle esistono ma non fanno rumore.
Ciao.
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francesca-70 · 1 month
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Lo sai Giulia cosa diranno adesso?
Che dovevi scappare, che dovevi lasciare un uomo del genere.
Dai primi dubbi, dal sentore di quella relazione con la collega, dai segnali che percepivi.
Perché voi donne in un modo o nell'altro, un po' di colpa ve la dovete tenere.
Perché in una società come la nostra, l'uomo ha sempre qualche attenuante.
Alla fine ve lo insegnano da piccole, che se Eva non avesse mangiato la mela, vivremmo ancora nell'Eden.
Che se le donne lavorano nascono meno figli
Che le donne troppo libere sono pericolose.
Che la minigonna dà segnali inconfutabili.
Che dire no non basta se metti troppo trucco
Che se i tuoi figli son maleducati è colpa tua.
Che se la casa è in disordine è colpa tua
Che se tuo marito ti tradisce è perché non te ne occupi abbastanza.
Che se il tuo compagno ti ammazza, un po' te la sei cercata
Vivete di sensi di colpa.
In ogni contesto
Perché prima gli uomini erano mariti e padroni.
Ora sono confusi, per la vostra indipendenza, per l'intrapredenza, per la sicurezza.
E vanno capiti...loro.
Già parlano di lui come di un bravo ragazzo, sempre col sorriso, nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
I più cattivi diranno che è un narcisista patologico, un anaffettivo, freddo, calcolatore.
E invece no, Giulia
Un assassino. E' semplicemente un assassino.
E tu non sei scappata
dalle responsabilità, dal chiarimento, dal faccia a faccia.
Perché voi donne i problemi li affrontate.
Dolorosi o meno, scomodi, difficili.
E non voglio immaginare quando hai capito che era troppo tardi, per salvarvi.
E fa troppo male Giulia, pensare al tuo futuro che resta racchiuso in una foto.
E fa troppo male pensare a quel pancione che non sarà mai vita.
Fa troppo male pensare che tante, troppe Giulie vivono in ricordi, fotografie per colpa di uomini piccoli e meschini. Violenti. Perché la violenza ha mille tentacoli e mille forme.
Peccato che quando la si denuncia, in pochi casi viene creduta, o capita.
E non lo so Giulia che sarà di voi, di una società in cui non si fa mai abbastanza, in cui si insegna alle donne a scappare e non agli uomini a rispettarvi
In cui i problemi si eliminano con una lama affilata.
In cui tutto questo cordoglio sembra solo una resa.
Un fallimento.
In cui avrete voce solo da morte.
Giuseppe Frascà
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AUGURI MAMMA GIULIA ❤️❤️
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ross-nekochan · 3 months
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Lo scorso weekend sono andata di nuovo a dormire dalla mia amica che abita vicino Tokyo.
Ogni volta mi porta la Domenica a pranzo dai suoi genitori, che ormai considero i miei nonni giapponesi, dato che mi fanno trovare la tavola imbandita così come farebbero i miei nonni, sebbene non ho alcun legame di sangue con loro.
La sera prima invece con la mia amica si fanno lunghi discorsi. A un certo punto ci siamo rese conto che erano passate 6h eppure erano volate.
Ad esempio, quando mi lamento che voglio fare altro, qualcosa che mi stimoli di più, lei dice che sono troppo seria e che pretendo troppo. Mi ha detto che sono la sua amica più piccola e altre sue amiche italiane a 40 anni o più, nemmeno sanno cosa fare e al momento lavorano ripiegando su altro. Quindi non mi devo preoccupare, va bene così, mi dice.
Io però boh. Forse sbaglio a non accontentarmi mai? In fondo lo fanno tutti. Il fatto è che non riesco a sopportare di non star imparando niente. Io vivo per sapere cose nuove, qualsiasi giuro, pure se fosse ingegneria mi andrebbe bene. Ma se non imparo e faccio sempre le solite cose mi sento spenta e arida dentro, mi scoccio. Sebbene le abbia detto: "almeno non sto rendendo la mia laurea inutile" (perché è vero, parlo giapponese e inglese tutti i giorni, quindi di che mi lamento?), in realtà è che non ho imparato nessuna skill nuova se non la solita "relazione con i clienti". I PC vanno solo aggiornati, resettati e cambiate qualche impostazione (cosa che saprebbe fare chiunque) quindi manco posso dire di star diventando un'esperta in questo campo.
I colloqui vanno male, quei pochi che me lo chiedono. Perché centinaia di altri mi rifiutano senza nemmeno chiedere il cv. Sto iniziando a pensare che sto sbagliando qualcosa. Forse è perché ancora non ho il JLPT? Forse è perché non ho esperienza se non in questo cazzo di IT? Forse è perché non scrivo cose accattivanti per il lettore? Per non parlare del fatto che propongono tutti stipendi più basso del mio attuale e a quello dovrei aggiungere la metà dell'affitto che ora mi paga la mia attuale azienda. Also, non c'è altro che servizio clienti - che sia hotel, aziende di videogiochi, aziende di viaggi ecc si tratta sempre e comunque di servizio clienti. Possibile che nessuno mi possa insegnare a fare qualcosa lavorando?
Mi sento sbagliata. Come sempre, d'altronde.
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limoniacolazione · 1 year
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Cronaca dell’ultimo anno, del perché scomparire, del perché poi tornare TW: Depressione, suicidio, burn-out
Il 10 ottobre 2022 il mio medico ha scritto per la prima volta, nero su bianco, nella mia cartella clinica le parole “burn-out” e anche “disturbo depressivo maggiore” e ancora “fobia sociale selettiva”. La mattina del 10 ottobre 2022 ho avuto un episodio psicotico mentre aspettavo di uscire di casa per andare al lavoro e con la sensazione, come ogni sacrosanto giorno, di non volerci andare, di non poter forzare un passo fuori dalla porta senza piangere a dirotto. Prima di quella mattina, ho passato ogni giorno delle vacanze nell’estate 2022 ad avere un attacco di panico perché un secondo dopo l’altro mi avvicinavo immancabilmente al rientro al lavoro. Prima ancora dell’agosto 2022, avevo già ascoltato la parola “burn-out” appiccicarmisi addosso durante una seduta di psicoterapia: era il 2021, ma non ci ho fatto caso. Quando ho chiuso l’Atelier Pupini, quando ho smesso di cucire, quando ho smesso di leggere i tarocchi, quando non ho più sentito interesse per niente e nessuno, quando ho smesso di dormire la notte, quando ho pianto tutte le lacrime, quando ho iniziato ad avere paura di uscire di casa, quando tutte queste cose si sono accumulate come macigno sui polmoni, avrei dovuto forse accorgermi e prendermi una pausa, ma non ci ho fatto caso. Quando ad inizio del 2021 ho avuto una sciatica, l’unica della mia vita, che si è protratta per mesi, che mi ha imposto di camminare con due stampelle per tutta la primavera, che è stata studiata come un mistero da molteplici esperti del campo medico che non hanno saputo trovare una spiegazione, avrei dovuto ascoltare il richiamo del corpo che mi invitava a fermarmi, ma non ci ho fatto caso. 
Quando lavori nel sistema pubblico, aggiungici pure che sei una people pleaser del cazzo, che non hai mai imparato a dire no, che i limiti non sai manco come si scrive, quando lavori per dei bambini che sono in tutte le situazioni della scala sociale, che si sono trovati ad avere magari dei genitori di merda o che sono meno fortunati di tanti altri, non ci fai caso ai segnali che ti dicono di fermarti quando c’è ancora tempo. Non ci fai caso perché il senso di responsabilità è la tua forza motrice. Perché se non te ne occupi tu, chi lo farà? Così non ho frenato. Mi sono schiantata con la pazzia, la depressione, il burn-out, la fobia sociale in un mattino di ottobre 2022; ci siamo accartocciati e siamo diventati una cosa sola.
Alla dottoressa che ha scritto, nero su bianco, nella mia cartella clinica, le parole “burn-out” e anche “disturbo depressivo maggiore” e ancora “fobia sociale selettiva” ho detto “mi faccia un certificato per oggi che ho saltato il lavoro e domani ci ritorno” (che quando uno è di coccio). Lei, la dottoressa, ha riso. Mi ha detto “hai pensieri suicidi?” e io ho detto no, fissando però un quadro del lago d’Annecy e immaginandomi nel suo fondo più profondo, coperta da metri cubi d’acqua, cosa che anche oggi, a scriverla, mi fa sentire una leggerezza, una pace che non so meglio descrivere. Ho mentito. La verità è che non avrei potuto sopportare un ricovero in ospedale psichiatrico, che mi avrebbe annientata e per questo ho mentito. Per mesi ho avuto idee suicidarie passive e adesso che è quasi un anno che sono sotto antidepressivi, direi che sempre di meno. Va meglio.
Al lavoro non ci sono più tornata. Mi hanno messo in lunga malattia. Adesso il mio lavoro è curarmi e provare a riemergere meglio di prima.
Ho imparato che si può essere depressi e innamorati, aver voglia di morire e ridere allo stesso tempo, passare notti insonni e giorni a dormire, che corpo e testa lavorano insieme, anche quando ti sembra che vogliano farti la guerra. 
La strada è ancora lunga, ma non sono sola. Esco ancora poco, ma parlo agli amici (ogni tanto, anche se lo sforzo è grande) e parlo di quello che sto vivendo (pure se la fatica è titanica). L’amico G., di professione psichiatra, mi ha chiesto se sono seguita. Ho risposto che ho due psicologi (uno per l’EMDR, una clinica) e uno psichiatra e che il prossimo passo è invitarli tutti a fare una partita di strip poker per entrare ancora di più in intimità.
Lo psicologo dell’EMDR mi ha detto “concediti un errore, mostrati trasparente, non abbellire la vita, inciampa”. Così, in tutta fragilità, ho scritto questa cosa e glielo dirò alla prossima seduta. 
Guillaume mi ama, riamato. Ogni tanto, quando mi sente vagare per casa, nel mezzo della notte, si alza anche lui, prende due biscotti e facciamo insieme uno spuntino. 
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unfilodaria · 3 months
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Non amo il mio posto di lavoro. Non credo di averlo mai amato. Eppure ci sono indissolubilmente legato. Ho 58 anni quasi 59, e frequento il mio ufficio da quanto ne avevo 3 di anni. Mio padre lavorava lì ed è morto lì. E per un macabro scherzo del destino vi ci sono stato catapultato dentro all’età di 19 anni, perché una legge regionale consentiva ad un figlio di subentrare al proprio genitore, dipendente morto sul luogo di lavoro. Ci lavoro ormai da 38 anni e a volte mi domando perché. Odio il luogo di lavoro, odio a volte anche le persone che ci lavorano. Rubano ed occupano le mie giornate, la mia vita. Eppure, da folle, gli dedico tutto il mio tempo nel nome del “senso del dovere”, un’altra macabra eredità da parte di mio padre, oltre al lavoro. Nessuno può capire quello che provo, a volte neanche io lo capisco. É come il senso di attaccamento alla maglia. Quelle quattro mura le sento mie più di qualunque altro. Ed odio chi ha reso quel luogo di lavoro, uno spazio chiuso e claustrofobico, peggio di un acquario. Odio e amo, ma più odio. Eppure difficilmente tradisco. E più passano gli anni e più l’attaccamento alla maglia ed il senso del dovere, mi attanagliano, mi soffocano. Odio e amo. E non vedo più speranza di salvarmi. Odio e amo.
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ilpianistasultetto · 1 year
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Quando uno ha la "cosidetta faccia di culo" non puo' togliersela nemmeno con la chirurgia estetica. E cosi tanti dirigenti del PD hanno iniziato a sparare a pallettoni contro la loro segretaria, Elly Schlein, per essere andata alla manifestazione del M5S dove, addirittura, un comico si e' permesso di invitare i manifestanti a formare brigate per il reddito di cittadinanza, a mettere il passamontagna e andare a pulire l'erba ai giardinetti sotto casa col favore delle tenebre. " Orrore! Orrore! Il M5S ha metodi che ricordano periodi bui di questo Paese". Questa parte di classe dirigente PD, non avendo il coraggio di manifestare a viso aperto la sua contrarieta' verso chi ha vinto le primarie di quel partito, prova sempre a buttarla in caciara. Li capisco, li capisco certi dirigenti. Per loro che stanno sempre con il passamontagna e lavorano col favore delle tenebre per non perdere quei privilegi e quegli stipendi che prendono da anni e anni, li capisco bene. Ormai il Pd, da qualche anno, piu' che un partito sembra la casa di Crono, sempre pronto a mangiare i suoi leader pur di non cambiare mai niente. L'unico aspetto positivo e' che ora si smettera' di parlare di "campo largo". Almeno fin quando la Schlein non dara' un volto compiuto al suo partito e fin quando non si capira' cosa accomuna le parti schierate nel centro sinistra.
P.s. vorrei ricordare a questi politici PD da ZTL, a questi miracolati da 15mila euro al mese e mille incarichi, che io di brigate ne conosco altre e non quelle di cui loro tanto si offendono. Io conosco le brigate partigiane formate da gente come Parri, Pajetta, Pertini e tantissimi altri antifascisti che hanno dato la vita per dare democrazia e liberta'al nostro Paese. Quindi, per me quei "vagabondi culturali" che tanto si indignano verso certe terminologie, possono tranquillamente andare a fanculo.
@ilpianistasultetto
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Indignatevi per i vivi.
Trent’anni senza vederli
di Fabrizio Tesseri
Facile indignarsi per i morti. Al massimo dura fino al funerale, poi tutto come prima.
Bisognerebbe indignarsi per i vivi.
Ma noi non li vediamo, i vivi. Letteralmente.
A volte non li vediamo al punto da travolgerli di notte sulle strade di campagna, scaraventandoli nelle scoline con le loro biciclette, quando va bene. Quando li vediamo è perché indossano quei gilet catarifrangenti che noi abbiamo in macchina in caso di incidente. Quando li vediamo è, appunto, un caso, un incidente.
Però non è che li abbiamo rimossi, propio non li abbiamo mai considerati.
Eppure sono decenni che sono qui, almeno tre decenni. Trent'anni fa, per esempio, alcuni singalesi e indiani, molto giovani, erano ospitati in un piccolo hotel fuori mano, trasformato da allora in una sorta di residenza per stranieri. È in campagna, ma era appiccicato ad un paio di grandi industrie, allora.
Da anni, al posto della più grande, la Goodyear, è rimasto un rudere e, con ogni probabilità, amianto e altri rifiuti sepolti sotto terra e sotto una memoria labile che ha cancellato i morti e i disoccupati.
È rimasta la fabbrica di alluminio, la sola piscina da 25 metri sul territorio e quel vecchio hotel malandato.
Beh, trent'anni fa, un misto di delinquenti e fascistelli (si lo so, è ridondante, sono sinonimi) andarono a picchiare i rifugiati in quel vecchio alberghetto. Per la verità, le presero per bene.
Ci fu tensione, venne organizzata una manifestazione di solidarietà, la polizia schierata in forze manco fosse un derby di quella che era la serie D del tempo, riuscì a picchiare chi manifestava solidarietà e il risultato fu che tutti ci distraemmo. Quasi tutti.
Alcuni da anni seguono e denunciano le condizioni dei migranti nella Pianura Pontina, su tutti Marco Omizzolo.
La maggior parte di noi però, semplicemente, non li ha mai visti.
Eppure sono tanti, lavorano nelle serre, nelle campagne, quasi tutti maschi, dormono in vecchie case o stalle, quando va bene. A decine, tutti insieme.
Qualcuno però ha fatto il salto sociale e ha aperto un negozietto oppure è stato fortunato e non solo è sopravvissuto, ma ha trovato anche un buon datore di lavoro, non un padrone, e ha messo su famiglia.
E allora vivono per lo più nei centri più o meno storici e ci sono i ragazzi nelle nostre scuole e per la quasi totalità dei nostri figli sono loro compagni, senza aggettivi o caratterizzazioni. Loro li vedono.
Noi queste famiglie, non gli altri, le vediamo solo perché vivono accanto a noi. Più colorati nei vestiti, odori diversi, magari più confusione, e in alcuni quartieri quelle donne e quegli uomini arrivati da lontano sono i soli a parlare con i "nostri" vecchi, soli dietro le persiane accostate al sole. Sono gli unici che si affacciano a vedere come mai la signora oggi non si è vista e magari sta male e ha bisogno.
Però, gli altri non li vediamo.
Ma vediamo il prodotto della loro esistenza.
Vediamo i prezzi della frutta e verdura in offerta sui banchi dei supermercati. Compriamo contenti il Sottocosto. Ammiriamo la villa e la fuoriserie dei loro Padroni.
Questi, spesso ma non sempre, hanno cognomi tronchi, che finiscono per enne, si tratta di famiglie che hanno avuto la terra nel ventennio, pezzi di famiglie del nord smembrate e portate a colonizzare la terra redenta. Coloni. Ma di cosa? Qui ci vivevano i Volsci, forse anche avanguardie di Etruschi e i Romani, di sicuro, che hanno lasciato il loro segno e la Regina Viarum. Coloni di cosa, dunque?
Gente che ha conosciuto la povertà, la fame, la guerra, la malaria, i lutti, la fatica indicibile.
Uno si aspetterebbe che se uno ha vissuto questo, mai farebbe vivere lo stesso o di peggio ad altri esseri umani e invece...ma allora, come è possibile? Perché?
Forse perché abbiamo dimenticato. Forse perché negli ultimi trent'anni abbiamo buttato nell'indifferenziato il concetto di comunità.
Abbiamo smesso di vedere l'altro ma solo quello che l'altro ha. E abbiamo voluto arricchirci o almeno illuderci di farlo. Abbiamo smesso di dare valore e iniziato a dare un prezzo, a tutto.
E quando dai un prezzo a qualsiasi cosa vuol dire che sei in competizione e la competizione porta a voler prevalere e finisce che bari pure con te stesso quando fai i solitari.
E tutti siamo contenti di comprare le zucchine a 0,99 euro al chilo e il Padrone compra un altro ettaro e abbassa la paga da 4,50 euro l'ora a 4 euro, preserva il margine di profitto, la grande distribuzione apre nuovi scintillanti ipermercati, noi oltre le zucchine compriamo i pomodori maturi, si fa per dire, a marzo.
È una magia!
Qualcosa di inspiegabile. Qualcosa di invisibile.
Tranne che ogni tanto.
Quando sotto una macchina non finisce una volpe ma un ventenne troppo stanco da scordare il gilet catarifrangente.
Tranne che ogni tanto, per un incidente sul lavoro o una rissa tra disperati.
Ma dura poco, meno della pubblicità tra il TG e i Talk Show della sera.
C'è il volantino delle offerte nella cassetta postale, sabato si fa spesa.
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fioredialabastro · 25 days
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1, 45 🌹
Buongiorno 🌹 grazie per avermi posto queste domande! ✨
1. Libro preferito? 📚
Risposta molto difficile da dare, ma questo è un gioco, perciò alla fine ho fatto la mia scelta: la saga di "Piccole Donne" di Louisa May Alcott, pubblicata dal 1868 al 1886 in quattro volumi: "Piccole donne", "Piccole donne crescono", "Piccoli uomini", "I ragazzi di Jo".
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La storia è semplice, i personaggi sono ben sviluppati ed è tutto lineare: nessun colpo di scena, conflitto tra buoni e cattivi, né avventura. Intriso di moralità americana, è un inno alla bellezza del quotidiano e un invito a rendere il mondo un posto migliore attraverso i nostri doni e le nostre scelte, ma anche un vero e proprio manifesto femminista, che utilizza le vicende di una normale famiglia per fornire un esempio concreto di società paritaria, giusta, in cui uomini e donne crescono insieme e lavorano in squadra per raggiungere un fine comune, più nobile, oltre il genere e il ceto di appartenenza: la felicità e la libertà di trovare la propria strada, rimanendo sempre fedeli a sé stessi.
Obiettivamente parlando, a parte la trama e i valori morali che amo e condivido, dal punto di vista dello spessore psicologico dei personaggi sono stati scritti libri più avvincenti, con elementi chiaroscuri, tormenti, mille sfaccettature. Perché allora ho scelto quest'opera?
Perché, al di là dei punti di forza e debolezza sopradescritti, mai nella mia vita da lettrice mi era capitato di trovare il mio alter ego letterario, finché non mi sono imbattuta in Jo March. A parte alcune differenze nell'aspetto fisico, infatti, nell'anima siamo praticamente identiche. Ricordo che man mano che leggevo inviavo le foto delle parti in cui lei era emotivamente coinvolta al mio migliore amico, il quale, senza che lo condizionassi, confermava ogni nostra somiglianza e aveva i brividi, come me. In generale, anche familiari e amici più cari si sono trovati sulla stessa linea di pensiero. Sono quindi legata a quest'opera ad un livello molto più profondo degli altri e non è qualcosa che capita così soventemente. Credo sia un fatto straordinario. ✨
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45. Quale personaggio Disney pensi di essere? 🏰
Quando ero bambina pensavo di essere Ariel, ma ora che sono una donna adulta credo di essere un'unione di Belle e Mulan.
Come Belle, amo leggere e sognare, rimango fedele a me stessa senza scendere a compromessi, anche a costo di rimanere sola; sono gentile, dolce, sorridente e generosa con tutti ma apro il mio cuore solo a pochi eletti; inoltre, vado sempre oltre l'apparenza delle situazioni e delle persone, risultando "troppo buona" agli occhi degli altri, anche se, a mio avviso, avere l'intelligenza emotiva e l'empatia elevate è una grande ricchezza. 🌹
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Come Mulan, ho un forte senso del dovere, tanto da essere molto severa con me stessa; sono goffa e imbranata, ma anche determinata, coraggiosa e pronta a combattere per i miei obiettivi e valori, più con i fatti che con le parole. Ancora non so se il mio riflesso sia uguale a me, credo sia un interrogativo da porsi ogni giorno, dinanzi alle scelte grandi e piccole. Infine, "Il fiore che sboccia nelle avversità è il più raro e bello di tutti" è uno dei miei incoraggiamenti preferiti, perché mi ci sono sempre ritrovata. 🌸
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crazy-so-na-sega · 2 months
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"Nessuna rivoluzione può avere successo senza organizzazione e denaro. Le masse forniscono pochissimo del primo e niente del secondo. Ma gli insiders al vertice, al contrario, garantiscono entrambi. Agiscono applicando una strategia che si concretizza nel sincretismo tra pressione dall'alto e pressione dal basso. La prima viene esercitata fomentando le masse che si riversano nelle strade. I rivoltosi sono pedine, complici, marionette e creduloni per una plutocrazia di cospiratori elitari che lavorano per l'instaurazione di un superstato mondiale basato sul controllo totale delle nostre vite e proprietà. La seconda attraverso la manipolazione data dall'indottrinamento al cambiamento. Tuttavia, per "cambiamento" gli insiders intendono il consenso al nuovo sistema che sostituirà quello vecchio. Disordini e rivoluzioni non viaggiano mai dal basso verso l'alto, ma al contrario. "
Gary Allen - 1969
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soldan56 · 5 months
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Rimini ottava, nella triste classifica del numero di homeless deceduti nel 2023.
“La solita, invisibile, strage: 415 morti nel 2023 riporta il report curato dalla fio.PSD sui senza dimora che lo scorso anno hanno perso la vita a causa della condizione di grave emarginazione.
Aumenta il numero e si muore durante tutto l’anno, non soltanto d’inverno. Muoiono soprattutto uomini di nazionalità straniera.”
Servono risposte abitative nuove e strutturali adeguate a rispondere alla precarietà abitativa che colpisce sempre più persone.
Di precarietà abitativa si muore d’inverno come d’estate, e Rimini ancora una volta entra in una triste classifica.
Invece questa amministrazione, per volontà di un Sindaco indispettito che gestisce la cosa pubblica come un fatto personale, (non sopporta le critiche), deve fare fuori Casa Madiba Network... e quale miglior modo se non impiantare lì un progetto, quello del centro servizi a bassa soglia, che grazie all’aiuto della Lega, non sarà uno spazio di nuovi diritti per le persone senza casa, ma l’ennesimo palazzo del grigiore istituzionale, dove chi è senza casa deve sentirsi COLPEVOLE, non di certo incoraggiato a lottare per un diritto che dovrebbe essere universale come quello alla casa?
Intanto la gente muore nelle strade, mentre loro, sindaco e assessore ( e proni funzionari tecnici ) sono ancora lì a finire di scrivere il comunicato per il Piano freddo che non c’è, o peggio a strumentalizzare vicende umane e personali, come quella del signor Franco, alias Charlotte.
Intanto ci sono operator* della Marginalità adulta che lavorano con la partita iva, altr* che vengono minacciat* o screditat* se non si allineano, oppure volontar* su cui si scarica il peso opprimente di un lavoro sociale non riconosciuto e di un welfare sempre più frammentato.
Mentre la gente muore nelle strade, negli hotel abbandonati. E loro si occupano solo di scrivere comunicati stampa.
Non ci stupisce la loro ipocrisia e la loro strumentalizzazione, hanno persone pagate per scrivere e gestire la comunicazione del signor Sindaco, ci stupisce invece chi sostiene questo carrozzone, chi entra nei Cda di enti come ACER senza avere la capacità di muovere un millimetro, chi legittima un’azione istituzionale come quella del centro servizi, senza mai avere ascoltato le persone che da dieci anni a questa parte negli spazi di Casa madiba, tutti i giorni creano progetti, risposte, alleanze, relazioni contro la precarietà abitativa e per il benessere e la sicurezza di tutta la collettività con le persone in condizione homelessness.
E per favore non parlateci dei percorsi partecipati svuotati di ogni significato che la parola partecipazione porta con se. Come ridurre un oceano... agli interessi degli Enti amici, ops.... ad una vasca da bagno.
Per questo oggi più che mai, dobbiamo gridare e lottare ancora più forte:
UNA CASA PER TUTT*
Casa Madiba Network
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gregor-samsung · 11 months
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“ Quando una popolana napoletana non ha figli, essa non si addolora segretamente della sua sterilità, non fa una cura mirabile per guarirne, come le sposine aristocratiche, non alleva un cagnolino o una gattina o un pappagallo, come le sposette della borghesia. Una mattina di domenica ella, si avvia, con suo marito, all'Annunziata, dove sono riunite le trovatelle, e fra le bimbe e i bimbi, allora svezzati o grandicelli, ella ne sceglie uno con cui ha più simpatizzato, e, fatta la dichiarazione al governatore della pia opera, porta con sè, trionfante, la piccola figlia della Madonna. Questa creaturina, non sua, ella l'ama come se l'avesse messa al mondo; ella soffre di vederla soffrire, per malattia o per miseria, come se fossero viscere sue; nella piccola umanità infantile napoletana, i più battuti sono certamente i figli legittimi; di battere una figlia di Maria, ognuno ha un certo ritegno; una certa pietà gentilissima fa esclamare alla madre adottiva: puverella, non aggio core de la vattere, è figlia della Madonna. Se questa creatura fiorisce in salute e in bellezza, la madre ne va gloriosa come di opera sua, cerca di mandarla a scuola o almeno da una sarta per imparare a cucire, poiché certamente, per la sua bellezza, la bimba è figlia di un principe; in nessun caso di miseria o infermità, la madre adottiva riporta, come potrebbe, la figliuola all'Annunziata. E l'affezione, scambievole, è profonda, come se realmente fosse filiale; e a una certa età il ricordo dell'Annunziata scompare, e questa madre fittizia acquista realmente una figliuola. Ma vi è di più: una madre ha cinque figli. Il più piccolo ammala gravemente, ella si vota alla Madonna, perché suo figlio guarisca; ella adotterà una creatura trovatella. Il figlio muore; ma la pia madre, portando il fazzoletto nero che è tutto il suo lutto, compie il voto, lagrimando. Così, a poco a poco, la creatura viva e bella consola la madre della creatura morta, e vi resta in lei solo una dolcezza di ricordo e vi fiorisce una gratitudine grande per la figlia della Madonna. Talvolta, il figlio guarisce: il primo giorno in cui può uscire, la madre se lo toglie in collo e lo porta alla chiesa dell'Annunziata, gli fa baciare l'altare, poi vanno dentro a scegliere la sorellina o il fratellino. E fra i cinque o sei figli legittimi, la povera trovatella non sente mai di essere un'intrusa, non è mai minacciata di essere cacciata, mangia come gli altri mangiano, lavora come gli altri lavorano, i fratelli la sorvegliano perché non s'innamori di qualche scapestrato, ella si marita e piange dirottamente, quando parte dalla casa e vi ritorna sempre, come a rifugio e a conforto. “
Matilde Serao, Il ventre di Napoli. (Corsivi dell’autrice)
[Edizione originale: fratelli Treves, Milano, 1884]
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arcobalengo · 9 months
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La storia del Comitato Terapie Precoci meriterebbe di essere raccontata in uno di quei grandi film alla Steven Spielberg, dove persone comuni vengono scosse da una consapevolezza improvvisa e qualcosa le spinge a trasformare le loro esistenze, fino a quel momento perfettamente normali, in vite rivoluzionarie. (Altro che il film sull'inventore della bomba atomica). Comincia con i bollettini dei morti, le lugubri conferenze stampa che blindano le persone in casa, le immagini di Bergamo, i camion militari che trasportano le bare di gente morta per una malattia gravissima e sconosciuta. Fin da subito, però, alcuni medici si accorgono dell'assurdità di affrontare una patologia che viene definita mortale con l'attesa, in fondo lo sanno anche i bambini che ogni malattia prima si cura e meglio è. Allora visitano come hanno sempre fatto, provano con dei farmaci di uso comune, ignorano il clima di terrore. Nelle loro teste risuonano i principi a cui hanno prestato giuramento il giorno in cui sono diventati medici. Un avvocato, noto per delle cause calcistiche di rilievo nazionale, si propone di organizzarli, li raccoglie insieme, elabora un meccanismo per smistare le richieste attraverso un gruppo Facebook. Intanto viene formalizzato un protocollo, lo discutono con luminari di tutto il mondo, lo sottopongono a degli studi. L'influenza è più pesante di quelle stagionali, ma la cura funziona, i medici e i volontari ricevono continue conferme di guarigione, anche da persone di 80, 90 anni. Da decine diventano centinaia, da centinia migliaia. Salvare vite fa scorrere l'adrenalina, medici e volontari lavorano di notte, rinunciano al proprio tempo libero. Ma in televisione continua il bollettino dei morti e gli annunci delle istutuzioni, che dovrebbero evitare il panico, sembrano sempre più una strategia di manipolazione psicologica per generare allarme: "rinunciamo all'autunno per salvare il Natale, rinunciamo al Natale per salvare la Pasqua..." I medici vogliono spiegare al ministro che il modo di curare esiste, ma il ministro si rifiuta di incontrarli. Allora il noto avvocato passa alle manifere forti: ricorre al TAR per abolire il protocollo Tachipirina e vigile attesa, il TAR gli dà ragione, ma il consiglio di Stato impugna la sentenza. Ormai è chiaro che quel protocollo non è solo un errore. E' qualcosa di indicibile, che fa paura solo pensare. Per smuovere le istituzioni vengono organizzate due manifestazioni: una a Roma e una Milano. Le piazze si riempiono, partecipano decine di migliaia di persone. Dalle piazze sale spontaneo un grido rivolto al governo: "criminali". I media ignorano, oppure minimizzano. Un sito di fact checking, diretto da un noto giornalista televisivo, arriva a dire che si tratta della "solita manifestazione". Eppure mai, nella storia repubblicana, si era vista una piazza con migliaia di medici che, invece di aumenti di stupendio o diritti sindacali, chiedono di poter curare le persone efficacemente. Il ministero continua ad ignorare le richieste di confronto, anche quando una terza manifestazione viene organizzata proprio davanti al suo portone. Quando inizia la vaccinazione è impossibile allontanare il sospetto che negare le cure serviva proprio a giustificare la violenta campagna di inoculazioni. Ma questo non si può dire perché si rischia di essere etichettati come complottisti.
Purtroppo l'unica cosa che manca a questa storia è un lieto fine. Le dichiarazioni del presidente di AIFA, che a Porta a Porta lo scorso maggio ha candidamente ammesso che "non serviva certo tachipirina e vigile attesa bensì gli antinfiammatori", lascia un sapore ancora più amaro, molto lontano dal bisogno di giustizia che prova chi ha vissuto questa storia.
Sono stato onorato di aver partecipato alla loro festa, dopo mesi e anni di battaglie e di fatica. Non mi aspetto certo che qualche produttore rinunci alla sua commedia della rimpatriata tra cinquantenni per fare un film su di loro, ma per tutti noi, spero che abbiano il loro lieto fine.
Adalberto Gianuario.
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tma-traduzioni · 5 months
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MAGP002 - Apportare Migliorie 
[Episodio precedente] [Indice TMAGP]
[Il decrepito PC dell’O.I.A.R. si accende nuovamente e inizia a registrare da metà di una conversazione.]
[Gwen sta preparando la sua postazione mentre Sam sfoglia il manuale]
SAM
– OK… Dracula.
GWEN
(Distratta) V per vampiri. Presumendo che tu stia parlando del Conte Dracula, come il romanzo, suggerirei la sottosezione “cultura popolare” e presumendo che si stia comportando come penso -
SAM
Cosa che sta facendo.
GWEN
Direi come DPHW… sette quattro sette cinque.
[Sam sfoglia il manuale]
SAM
Fuochino… Sette quattro sei cinque.
[Gwen è chiaramente un po’ irritata]
SAM
OK… Frankenstein?
GWEN
Presumendo che tu intenda lo scienziato e non il mostro  –
SAM
È così.
GWEN
– e quindi sarebbe un’altra “rianimazione”, sottosezioni possibili… “ossessione”, “medicina”, “ricerca” e hmmm. “Blasfemia” forse, quindi sarebbe… quattro due tre sette.
[Sam sfoglia nuovamente il manuale]
GWEN
Beh?
SAM
Cinque tre tre sette.
GWEN
Dà qua.
[Sam le passa il manuale]
[Gwen gira una pagina avanti e indietro]
[Si lascia sfuggire un suono frustrato]
[Il manuale viene restituito a Sam in maniera poco elegante]
SAM
Questo coso è enorme, non possiamo pensare di imparare tutto a memoria?
GWEN
Non riuscirai a tenere il passo se te ne resti tutta la notte a sfogliare le pagine.
SAM
Ma di sicuro c’è una logica o altro. Tipo, per che cosa sta DPHW?
GWEN
Non so se sta per qualcosa. È solo un indice arbitrario. Dopo un po’ inizierai a orientarti -
SAM
Ma l’ha creato qualcuno, il che vuol dire che in un momento c’è stata una logica -
GWEN
Sam.
SAM
– quindi se riusciamo a capire che cosa accomuna i casi simili, allora sapremmo su che cosa si basa il sistema e -
GWEN
(più forte) Sam.
[Sam si blocca a metà del discorso]
GWEN
Non siamo qui per decodificare il sistema. Quello è il lavoro di Colin e hai visto quanto lo ha reso gradevole. Limitati a cercare di imparare i codici e processa i tuoi casi.
SAM
(sventolando il manuale) Ma non riuscirò mai a imparare tutta questa roba! Tu sei qui da anni e non sei nemmeno riuscita a -
GWEN
(Freddamente) Allora licenziati. Nessuno ti sta costringendo a lavorare qui.
SAM
Io – (realizza) Già.
[Una pausa. Gwen sta scrivendo con rabbia]
SAM
(tono di scuse) Senti Gwen –
GWEN
(irritata) Cosa?
[Alice entra facendo rumore. Butta le sue borse alla sua scrivania, rompendo la tensione]
ALICE
Ehilà! Vi sono mancata? È stata un’agonia?
GWEN
(rimettendosi al lavoro) Sei in ritardo.
ALICE
Sono sicura che il governo del Regno Unito sia riuscito a cavarsela senza di me per…
[Controlla l’orologio e ridacchia]
ALICE
…tre minuti e mezzo.
GWEN
(Continuando a scrivere) Chissene.
ALICE
Tutto bene qui? Ti sei divertito a giocare con la Zietta Gwen?
[Una pausa]
SAM
…Sì. Tutto bene.
[Una pausa]
ALICE
(accendendo il suo computer) …fico. Analizzeremo questo pesante silenzio più tardi. Non abbiamo ancora finito i tuoi casi arretrati.
SAM
Certo.
[Una pausa. Rumore di tasti mentre tutti lavorano.]
GWEN
(Borbotta) Se sei così preoccupata dai casi arretrati allora forse potrebbe essere utile arrivare in orario…
ALICE
(avvicinandosi silenziosamente Gwen) Hey Gwen? Gwen? Gwen?
GWEN
(A denti stretti) Cosa?
[Pausa]
ALICE
(Ironica) Il tempo non è reale.
[Sam ridacchia]
[Gwen fa un respiro profondo]
GWEN
Chiudi il becco.
[Saltiamo a un’altra registrazione. Le voci qui sono un po’ distorte, essendo una videocall]
DARIA
Pronto, mi senti?
PSICOLOGA
Sì, ma non c’è il video.
DARIA
Um. Io, um preferirei di no se va bene?
PSICOLOGA
Potrebbe essere una cosa di cui parlare in seguito, ma per adesso va bene.
DARIA
Ottimo.
PSICOLOGA
Ho visto gli appunti che il dottor Khan mi ha mandato e c’è molto di cui discutere quindi - 
DARIA
Non sono pazza.
[Una pausa]
PSICOLOGA
Ma certo. Non mi piace molto quella parola nemmeno a cose normali, ma sono curiosa di sapere perché hai deciso di iniziare così.
DARIA
L’ultimo tizio usava molto la parola “allucinazioni”, ma non è così… so che è stato reale. E ho bisogno che tu mi creda.
[Pausa]
PSICOLOGA
Penso di poterlo fare. Posso provarci, almeno.
DARIA
E non fare nemmeno quello. Non voglio farti pena. Voglio solo arrivare alla fine di questo percorso.
[Pausa]
PSICOLOGA
A cose normali non incoraggerei questo approccio, ma comprendo che queste sono sedute imposte dal tribunale, quindi la situazione è un po’ più complessa. Perché non iniziamo sentendo la tua versione di quello che ti ha portata qui. Che ne pensi?
DARIA
Oh. Er. Non pensavo che ci saremmo arrivate subito così…
PSICOLOGA
Non dobbiamo se non vuoi.
DARIA
No, no, va bene. È solo che, non so bene da dove partire, sai?
PSICOLOGA
Prenditi tutto il tempo che ti serve.
DARIA
Certo.
[Una pausa mentre pensa]
DARIA
Ho sempre odiato il mio aspetto. Sono certa che sotto ci sia qualche trauma nel profondo se proprio vuoi scoprirlo, ma è un fatto. E non una cosa a cui posso non pensare. Sono un’artista che lavora principalmente grazie alle commissioni sui social media. Il che vuol dire che passo quattro o cinque ore al giorno su Instagram come minimo, e questo ti crea problemi dopo un po’, sai? Cioè, si sà che è tutto finto, sono tutti filtri e Photoshop e tutti fanno finta di essere “al naturale” e #makeupree! Ma saperlo non ti rende immune, e sì, mi sono ritrovata in un periodo un po’ buio. E quando ho compiuto 30 anni, ho deciso di fare qualcosa al riguardo.
Sono partita dai capelli, li ho lasciati crescere per far sembrare la mia faccia più lunga. Ha funzionato più o meno. Poi mi sono liberata di tutti i vestiti vecchi di mia sorella maggiore e ho attinto ai miei risparmi per prendermi un paio di jeans che non mi facessero sembrare un cono stracarico di gelato. Ho persino sborsato un bel po’ per un tubino nero per quando sarei riuscita a perdere un po’ di peso. Mia mamma ha detto che ero troppo ambiziosa, ma adesso mi sta largo, ovviamente. La maggior parte dei vestiti mi stanno larghi… 
[Una pausa]
PSICOLOGA
Daria?
DARIA
(imbarazzata) Scusa, dove ero rimasta?
PSICOLOGA
Stavi cambiando look.
DARIA
Oh, già, sì. Allora ero in bagno davanti allo specchio che cercavo di capire che cosa mancava, ed è stato a quel punto che ho deciso che avevo bisogno di un tatuaggio. Ne avevo già un paio - delle cosucce sul polpaccio e sul polso - ma ho deciso che mi serviva qualcosa di grosso. Qualcosa che cambiasse davvero il mio aspetto. Quindi ho iniziato a cercare dei tatuatori su Insta.
All’inizio sembra che ci sia una marea di scelta, ma più guardi più ti rendi conto che per la maggior parte sono design riciclati, e anche quelli erano deeecisamente troppo costosi per me.
A dire il vero stavo cercando un po’ di ispirazione per una commissione quando li ho trovati. Dovevo fare un ritratto per un personaggio, una generica streghetta alchimista, ed è stato mentre stavo cercando dei simboli o roba simile che ho trovato “Ink5oul” - è, uh, come “ink soul”, anima d’inchiostro, ma la S è il numero 5. Puoi cercarli. Adesso sono piuttosto popolari.
Non avevano altrettanti followers allora, ma i loro design erano fantastici, e offrivano uno sconto enorme se dopo accettavi di farti scattare delle foto. Ho pensato che non avevo niente da perdere a contattarli, quindi sono andata sul loro sito, ho compilato il loro form “about me” per contattarli e ho ricevuto immediatamente una risposta che mi invitava al loro “prestigioso” studio di Londra.
Ho udito lo studio prima ancora di vederlo. Della sgradevole musica dubstep riecheggiava dall’altro capo del corridoio, e quando ho girato l’angolo mi sono ritrovata davanti il  set up più da influencer che si possa immaginare. Un'enorme scritta a neon viola occupava la maggior parte dell’ingresso del negozio con “Ink5oul” in corsivo, affiancata da un paio di casse così grandi da essere ridicole. Guardando l’interno, dava più l’idea che lo studio fosse dedicato alle lampade ad anello e all’attrezzatura fotografica che ai tatuaggi!
Ink5oul in persona erano… onestamente, erano un po’ una delusione. Non mi mi è rimasto molto impresso, tranne che avevano un bellissimo design con un serpente e dei fiori che correva lungo il loro braccio fino al collo ed era così vivido che sembrava sul punto di strisciare via dalla loro pelle e sulla sedia.
Mi hanno fatto cenno di avvicinarmi e abbiamo chiacchierato per un po’. È stato strano - non mi hanno chiesto il tipo di disegno che volevo, mi hanno solo fatto domande sulla mia vita, sul motivo per cui volevo l’inchiostro. Sono stata onesta, forse anche fin troppo, ma niente è sembrato attirare la loro attenzione finché non gli ho detto cosa facessi per vivere. Poi hanno fatto un sorriso enorme e hanno urlato,”L’artista diventa la tela!”
Prima che potessi rispondere hanno pigiato un pulsante del loro setup, e improvvisamente eravamo in diretta streaming con le luci puntate negli occhi e il loro braccio stretto attorno alle spalle. Non ricordo molto di quello che hanno detto ai viewers, ma continuavano a ripetere a tutti quanto ero fortunata mentre mi trascinavano sulla sedia. E poi all'improvviso l’hanno reclinata, e prima che mi rendessi conto di quello che stava succedendo, ho urlato per la sorpresa quando l'ago mi ha toccato la pelle. Non avevano parlato del disegno o altro, hanno solamente iniziato a lavorare sulla parte interna del mio braccio sinistro, quello con cui disegno. Potevo sentire il panico montare, ma non potevo che restarmene seduta immobile.
A quel punto avevo perso la capacità di pensare, in quanto quello è stato il peggior dolore di tutta la mia vita. Terribili fitte di dolore mi attraversavano il braccio da una estremità all’altra,  dal petto alla punta delle dita. Ogni muscolo si era teso per riflesso e avevo inarcato la schiena sulla sedia. Volevo urlare ma non riuscivo nemmeno a respirare, come se migliaia di vespe mi stessero dilaniando il corpo con i loro pungiglioni mentre della mediocre musica dubstep mi attraversava la cassa toracica e Ink5soul chiacchieravano con i viewers, del tutto indifferente.
Devo essere svenuta, perché quando ho riaperto gli occhi Ink5oul si trovava dall’altra parte dello studio a pulire gli strumenti insanguinati. Lo streaming era finito e sembrava che fossi stata dimenticata. Il dolore era diminuito, quindi mi sono azzardata a controllare l’avambraccio, mi aspettavo di vedere un macello di brandelli insanguinati. Ma invece, un perfetto design con dei pennelli partiva dall’interno del mio gomito fino al palmo della mano, un vortice di motivi floreali intrecciati con simboli che non riconoscevo. Nonostante il dolore ho ruotato il braccio avanti e indietro per ammirare l'opera, e quei simboli quasi parevano brillare sotto la luce. Era… era bellissimo.
Così come le luci si erano accese all’improvviso, si spensero, e io venni accompagnata all’uscita. Niente raccomandazioni, niente cure. Dissero che avevano le foto di cui avevano bisogno e prima che me ne accorgessi, mi ritrovai fuori, disorientata e malferma. Avevo preso in considerazione di rientrare, ma ero così  stanca… invece me ne tornai barcollando a casa, con il mio nuovo tatuaggio completamente esposto.
Una volta tornata al mio appartamento, l’ho pulito, ho messo la crema, e poi l’ho coperto come meglio potevo, ma era già guarito. Se non fosse stato per il dolore, sarebbe potuto essere lì già da delle settimane. Sono andata davanti allo specchio del bagno e mi sono osservata e per la prima volta ho visto una persona interessante. Una persona che volevo conoscere meglio.
Sono diventata un po’ maniacale a quel punto. Per la prima volta in vita mia volevo provare un auto-ritratto. Qualcosa di autentico e fisico, volevo sentire i pennelli nelle mie mani e l’olio sulle mie dita.
Ho lavorato per tutta la notte con una passione che non provavo da anni. C’erano spessi grumi di vernice in tutta la stanza; le mie mani, braccia e viso e vestiti ne erano coperti, ma quando ho studiato il lavoro finito, era perfetto. Non solo, era di gran lunga il mio miglior lavoro, un Impasto bellissimo che saltava fuori dalla tela. Mi definivo un’artista da anni, ma questa è stata la prima volta che mi ci sono sentita.
Non ricordo di essermi addormentata, e non mi sono svegliata fino a dopo le quattro di pomeriggio. Ero ancora stanca e avevo un mal di testa martellante oltre al mio braccio dolorante, ma mi sono comunque svegliata con il sorriso, perché quando ho aperto gli occhi, la mia stessa faccia mi stava guardando. E per la prima volta, non provavo vergogna. 
Per lo meno, non all’inizio.
Osservandola, però, ho notato che anche se era fedele alla realtà, non era perfetta. Gli occhi erano ancora leggermente sbagliati, l’angolo del sorriso non era corretto, e ovviamente il naso aveva ancora qualcosa che non andava.
Guardandomi intorno, mi sono resa conto che tutti i miei colori erano ancora fuori. Ho guardato il mio nuovo tatuaggio, e mi sono resa conto che avrei potuto fare un ritocco veloce. Niente di eclatante, solo un piccolo aggiustamento, solo per me.
Nonostante il mal di testa, la fame, la fatica e il dolore al braccio, ho portato una spatola all’occhio sinistro. Solo un piccolo tocco. Era un cambiamento sottile, si notava a malapena, ma sapevo che stavo facendo del progresso, perché potevo sentire quando la lama grattava l’osso.
Quando sono andata in bagno a controllare, ero soddisfatta del risultato. Non c’erano chiazze scolorite, niente sangue, nessuna ferita ma il volto attorno ai miei occhi era decisamente più simmetrico. Aveva un aspetto decisamente migliore. Ma non ancora perfetto.
Mi sarei dovuta fermare allora. Avrei dovuto fare una pausa. Avrei dovuto chiamare mia mamma, mettere tutto da parte e uscire, ma… avevo il potere nelle mie mani. Potevo finalmente rendermi perfetta. All’inizio erano leggeri miglioramenti, che ogni volta davano un nuovo brivido di dolore. Ho allungato leggermente le mie dita, reso le mie orecchie un po’ più delicate, ho raddrizzato il naso e cambiato l’angolo degli zigomi, affilato il mento, rimpicciolito la vita e aumentato il petto, ho reso la mia forma più affusolata, allungato le gambe, sistemato le caviglie, assottigliato i polisi, accorciato i piedi.. Niente di che, davvero.
Ma è stato quando ho ritoccato le spalle che sono incappata in un problema. Mentre il mio pennello e la mia spatola facevano le loro alterazioni, il tatuaggio sul mio braccio ha iniziato a fuoriuscire, non dalla mia pelle, ma lungo la parte superiore del braccio, diffondendosi e riversando i suoi fiumi di colori nei nuovi confini che stavo tracciando. E il tatuaggio era, ovviamente, l’unica cosa che al momento era perfetta, quindi dovevo lavorare senza toccarlo come meglio potevo.
Ho lavorato costantemente per giorni. Ogni volta che passavo la spatola nella mia pelle e le davo una nuova forma mi facevo sempre più vicina alla perfezione, ma ogni volta dovevo fare sempre più compromessi attorno al tatuaggio che si diffondeva.
Ero vicina però, così vicina. C’ero quasi, a quella sensazione di totalità che senti solo quando la tela è finalmente completa… Ma non riuscivo a fare quell’ultimo passo. Ogni volta che sistemavo un punto altri due si disfacevano, e per tutto il tempo il tatuaggio continuava a diffondersi sempre più e il mio capolavoro si allontanava sempre più.
È stato allora che Sarah, la mia coinquilina, è tornata dalla visita ai suoi genitori. Avevo perso la cognizione del tempo e non mi ero resa conto che il suo viaggio era già finito.
Avevo sperato che avrei potuto mostrarle il mio nuovo look una volta finito, ma non ne ho mai avuto la chance. Ha varcato la soglia proprio mentre stavo finendo la bocca, quindi non ho potuto dire niente. Se avessi potuto, sono certa che sarei riuscita a spiegarmi e far sì che capisse.
Invece, si è messa a urlare, e quando ho fatto dei rumori rassicuranti e ho allungato una mano verso di lei, è indietreggiata. Sono riuscita ad afferrarla per un momento, ma il lavoro che avevo fatto sulle mie mani il giorno precedente mi ha impedito di stringere la presa.
È stato allora che mi ha tirato un pugno. Sono certa che fosse solo sorpresa, ma è stato comunque straziante. La sua mano ha colpito proprio il mio zigomo distruggendo il lavoro di giornate intere e da come ha continuato, avresti pensato che la faccia rovinata fosse la sua.
Comunque, sono sicura che hai letto il resto nella verbale del tribunale. Quando è arrivata l’ambulanza, Sarah gli ha detto che avevo provato a suicidarmi con dell’acido che ha trovato tra le cose che uso per dipingere. Mi hanno messa sotto osservazione preventiva e mi hanno concesso di uscire solo quando ho accettato di sottopormi alla terapia. Non ho più fatto nessun aggiustamento da allora. È solo che, mi sa che sto aspettando l’ispirazione.
[Una pausa]
PSICOLOGA
Capisco. Che storia.
DARIA
Non mi credi nemmeno tu.
PSICOLOGA
Non è quello che ho detto. Mi piacerebbe, comunque, chiedertelo in maniera diretta: hai provato a farti del male con l’acido?
[Una pausa]
DARIA
Certo che no. Non ho mai voluto farmi del male, volevo solamente essere… migliore.
PSICOLOGA
Buono a sentirsi.
DARIA
Se avessi voluto ripulire la tela, avrei usato l’acquaragia.
[Di nuovo all’audio del computer dell’O.I.A.R.]
[Un ping quando Sam finisce di catalogare il caso]
[Si stiracchia e fa un respiro profondo]
ALICE
(girandosi) Problemi?
SAM
Hm? No.
ALICE
(Tornando al lavoro) Oh ottimo.
[Una pausa]
SAM
È solo che…
ALICE
(ancora al lavoro) Uh-huh?
SAM
Come diavolo fate ad ascoltare tutte queste cose? Sembra che non vi facciano né caldo né freddo!
ALICE
Oh, capisco… Vuoi sapere come riuscire a leggere e ascoltare tutte queste cose?
SAM
Sì!
ALICE
Il segreto sta nella mia mente di acciaio che mi rende stoica di fronte alle atrocità che codurrebbero la gente con una forza di volontà inferiore alla follia?
SAM
(più irritato) Per favore.
[Una pausa]
ALICE
Smettila di prestare attenzione.
Non guardarmi così, sono seria. Io mi limito a cercare nel testo le parole chiave, e se è uno di quelli parlanti pigio play e nel mentre faccio altro. Poi quando ha finito di fare le sue cose inquietanti lo processo e vado avanti. Non ce la farai se continui ad assorbire tutto. Cavalca l’onda senza essere risucchiato.
SAM
E se trovi qualcosa che sai che potrebbe essere vero?
ALICE
Perchè dovrebbe fare qualche differenza? In più, siamo pagati proprio per non infischiarcene.
SAM
Sì, ma –
ALICE
Mi hai chiesto come faccio. Ecco come.
[Una pausa]
SAM
(Sospirando) Va bene.
ALICE
(tornando al lavoro) Prima lo accetti meglio stai.
SAM
(non convinto) Certo.
[Rumori del sistema CCTV quando inizia una nuova registrazione]
[Alice si sta facendo un pessimo caffè alla macchinetta]
[Gwen entra e inizia afarsi un tè]
[Una lunga pausa]
ALICE
Gwendolyn.
GWEN
(Fredda) No.
ALICE
(Ironica) Wow. Che modo antipatico di salutare la tua “migliore amica di lavoro”!
GWEN
Non sono in vena.
ALICE
Va bene. Possiamo comunque fare due chiacchere come delle persone normali.
[Una pausa. Gwen non le dà spago]
Dunque...
[Un’altra pausa]
Se potessi magicamente parlare tutte le lingue, ma dopo ogni frase dovessi fare una scorreggia molto rumorosa e dichiarare “sono stata io e lo farò di nuovo.” Accetteresti? 
GWEN
Lena sta pianificando dei licenziamenti.
ALICE
(davvero scioccata) Cosa?
GWEN
Sì. Sono passata davanti al suo ufficio prima e l’ho sentita al telefono. Stanno “espandendo le operazioni esterne” e sai cosa vuol dire. Outsourcing. Licenziamenti.
ALICE
È assurdo! Siamo tipo solo in tre qui. Tra l’altro, tecnicamente questi sono i servizi civili. È impossibile che riescano a delocalizzare tutto senza una montagna di scartoffie.
GWEN
Non puoi saperlo.
ALICE
Hai visto la quantità di carte che genera questo posto. Devi compilare un modulo in triplice copia prima che ti lascino andare a pisciare! Le ce vorrebbero degli anni per fare quello che dici tu.
GWEN
Magari ha iniziato l’iter anni fa. Sappiamo entrambe che Lena non ci penserebbe due volte a cacciarci entrambe.
ALICE
Te, magari. Mi piace pensare che io e lei abbiamo un buon rapporto.
GWEN
Nell’ultimo anno ti avrà detto massimo 10 parole.
ALICE
Lo so. Davvero buono, no? Comunque, che te ne frega? Tu dovresti esserne felice. Una bella e sostanziosa buonuscita e puoi finalmente mollare questo lavoro che odi così tanto.
GWEN
Non odio questo lavoro.
ALICE
Mi avresti potuta fregare!
GWEN
Quello che odio è che nessuno in qua dentro mi porta un briciolo di rispetto. 
ALICE
Ah.
[Una pausa]
Sì, non succederà mai.
GWEN
Chiaramente.
ALICE
Penso comunque che tu abbia frainteso. C’è la stessa probabilità che Lena assuma un altro Sam che ci butti tutti fuori.
GWEN
Se lo dici tu.
[Di nuovo al computer dell’O.I.A.R.]
[Il rumore delle tastiere è accompagnato dalla musica che proviene dalle auricolari di Alice]
[Il telefono di Alice inizia a vibrare sulla scrivania]
SAM
Alice.
[Una pausa]
SAM
Alice!
[Sam la tocca]
ALICE
(togliendosi le cuffie) Ow! Che?
SAM
(Tornando al lavoro) Il cellulare.
ALICE
(Risponde al cellulare e si alza in piedi) Oh grazie.
(Al telefono) Beh ma ciao! Perché mi chiami così tardi? Hm? No, non sono impegnata. Sono a lavoro quindi…
[Fa una pernacchia, Sam ride suo malgrado]
[Passi mentre Alice gira per l’ufficio]
ALICE
Sì, che c’è? Okay. Com’era il pubblico? Sembra uno show abbastanza serio. Non è questo il modo di rivolgerti a tua sorella maggiore. Disgraziato. Allora questa volta c’è davvero la possibilità di un tour oppure… fico. E presumibilmente adesso che ci sono delle attenzioni vere e proprie ti butteranno fuori per qualcuno che sa, beh, suonare uno strumento? Awwwww, sei sempre così dolce.
[Una pausa]
ALICE
(un po’ più seria) Er, sì, dovrebbe andare bene. Dovrà essere dopo il 28, visto che la paga è quel giorno.
Okay, non preoccuparti. Senti, probabilmente dovrei andare e lavorare. Sarebbe davvero imbarazzante se venissi licenziata proprio quando stai per diventare una rockstar stordita dalle droghe.
[Una pausa]
Sì, non ti preoccupare, ci risentiamo più tardi. Salutami Trotter.
[Alice mette giù, veramente felice per un attimo]
SAM
Come sta Luke?
ALICE
Sta bene!
SAM
Suona sempre per i Proiettili per San Sebastiano?
ALICE
(Tornando alla scrivania) Dio no! Si sono sciolti anni da. È con un gruppo nuovo: Dredgerman. Non sono niente male.
SAM
Sono felice stia bene, per quel che riguarda i fratelli ti saresti potuta ritrovare di peggio -
ALICE
Anche lui ha i suoi momenti.
[Una pausa]
ALICE
(cambiando argomento) E quello cos’è?
SAM
Hmmm?
ALICE
“L’Istituto Magnus?” Stai già pensando di abbandonare la nave?
SAM
Oh non è niente, solo qualche ricerca -
ALICE
Ricerca? Sam, dimmi che non è collegato a uno dei tuoi casi.
SAM
Solo una cosa che avevo trovato il mio primo giorno. Stavo cercando di togliermelo dalla testa.
ALICE
Beh, fallo meglio.
SAM
Va tutto bene, onestamente, sto rispettando il carico di lavoro–
ALICE
Non è per quello.
SAM
Allora qual’è il problema?
[Una pausa]
ALICE
Prima non stavo scherzando, devi davvero tenere le cose separate per questo lavoro. Crea una scatola nella tua testa, e alla fine del turno butta tutto lì dentro e poi pigia il bottone dell’inceneritore, okay? Non vuoi pensare a queste cose fuori da qui. Non ti farebbe bene. Ho già visto della gente diventare strana.
SAM
E fammi indovinare, io sono già abbastanza strano.
ALICE
Sono seria, Sam.
SAM
(Comprende) Okay. Ho capito.
[Click come chiude la pagina su internet]
ALICE
Grazie.
SAM
Non ti preoccupare.
ALICE
Quella sarebbe l’idea di base.
[Computer che si spenge]
[Traduzione di: Victoria]
[Episodio successivo]
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Domande:
Se è dal '700 che la massoneria agisce per controllare il mondo, se le famiglie Rothschild, Morgan, Rockefeller, etc. tramano da allora per avere il monopolio su tutto, se il satanismo è così diffuso soprattutto fra le élites, come è possibile che esistano ancora persone ed interi Paesi (vedi El Salvador) che non si sono piegati ma, anzi, alzano la testa?
Perché abbiamo ancora la facoltà di avere un pensiero critico se sono secoli che lavorano per eliminare questa possibilità?
Perché ogni giorno nascono nuove tecnologie volte ad aggirare la censura ed il controllo?
Non sarà che tutti i loro sforzi sono sopravvalutati? Non sarà, per caso, una mossa per farci credere di avere un nemico troppo grande per combatterlo o per farci combattere la battaglia sbagliata?
Il risultato di tutte queste teorie del controllo globale, non è forse quello di annichilire lo spirito delle persone e farle desistere dall'intraprendere quelle azioni individuali che le renderebbero libere, facendogli accettare con rassegnazione lo stato di cose? Non serve forse a spaventare i più pavidi, per convincerli che questo è il migliore dei mondi possibili o l'unico mondo possibile?
Pensateci su: perché, dopo tre secoli se non di più, non hanno ancora vinto ma, oggi più che mai, abbiamo nelle nostre mani gli strumenti della nostra libertà?
Forse sarà il caso di cominciare a guardare la luna anziché il dito...
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susieporta · 7 months
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𝙇'𝙚𝙙𝙪𝙘𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙨𝙚𝙣𝙩𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙖𝙡𝙚
Alcuni giorni fa stavo comprando delle scarpe in una grande rivendita cittadina. Molto grande e scarpe per tutti i gusti ed età.
Seduto su un divanetto circolare stavo provandomi delle "skechers" quando, circa mezzo metro accanto a me, sento un piccolo urlo prima ed un crescente pianto accorato poi di un bambino.
Mi volto alla mia destra e vedo, vicino a me intento anche lui in una prova di scarpe, un padre sui 40 anni con la faccia scocciata. Accanto un figlio di poco meno di 4 anni che piange, disperato, ferito più moralmente che fisicamente.
Arriva la madre e chiede "ma perché l'hai colpito?"...il padre "non mi dava pace!".
Mi sono chiesto: ma cosa sarà mai successo qui, a pochi centimetri da me, tra un figlio di 4 anni ed un padre di 40, di così grave, di così intenso, al punto da "togliere pace" a qualcuno?
Poco, probabilmente pochissimo. Eppure la procedura per insegnare al figlio a co-regolarsi in quel contesto è apparso colpirlo. Dal pianto, che si è protratto a lungo (ancora mentre stavo pagando alla cassa) e chissà per quanto ancora, è evidente che è la delusione, l'offesa, la mortificazione di un gesto di rabbia del padre contro di lui che l'ha così tanto insultato. Al punto che anche la madre non è apparsa capace di contenerlo.
Osservando seppur con tatto la vignetta familiare, mi sono reso conto di quanto quel padre non fosse consapevole di cosa ha prodotto. Ed è molto probabile che, il padre del padre (o madre) abbia usato con lui lo stesso metodo, alla stessa età, per ottenere una sorta di regolazione comportamentale ed emotiva.
Del tutto ignaro ipotizzo sia il nonno di questo bambino che l'attuale padre che, colpire fisicamente un figlio, scarica solo la propria frustrazione, ma non produce nessuna educazione. Nessuna capacità di ricomporsi emotivamente, di sentirsi regolati.
Ma soprattutto tramandando questa incapacità di generazione in generazione. Favorendo giovani adulti discontrollati, irritabili, irrispettosi dell'altro perché - nessuno - ha favorito un meccanismo di contenimento dei propri (piccoli o grandi) disordini interiori. Che anche a 4 anni si possono avere, si ha persino il diritto di avere.
L'educazione sentimentale, ben prima di farla a scuola ai ragazzi, dovremmo trovare il modo di farla a questi più o meno giovani genitori. Dove vivono, dove lavorano, dove si trovano con i loro figli. Dovremmo inventarci degli spazi (forse anche a scuola perché no, recentemente ne ho avuto occasione) nei luoghi di vita di questi giovani adulti, dove aprire uno spazio robusto di riflessione su questi temi. Sul pericolo del passaggio inter generazionale di una scarsa educazione sentimentale.
Nicola Artico
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