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#perché ero la secchiona della classe
omarfor-orchestra · 2 years
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So in the end they were all queers
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lajpaga · 5 years
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Polpo, maternità e bullismo. Alle Medie non ero popolare. No, non è vero: alle Medie gli altri ragazzi mi detestavano proprio. Oggi si parlerebbe di bullismo ma è anche vero che, oggi, ai bambini dell’asilo si insegna a riconoscere le proprie emozioni, la rabbia, l’allegria, la tristezza. Ai miei tempi, se piangevi, la mamma ti diceva: “Piantala o ti faccio frignare per un motivo vero.” E la Montessori muta. Non so perché mi detestassero. Penso che, in realtà, non lo sapessero neanche loro. Era una scuola di periferia e io, che pure ero periferica quanto loro, ero troppo diversa. Troppo Flaubert e troppi pochi telefilm americani. Voti troppo alti eppure non ero una secchiona -lo fossi stata, almeno mi si sarebbe potuto catalogare in qualche modo. Stavo lì, persa nelle mie fantasie strane, non fumavo, non mi truccavo, non baciavo con la lingua. Qualche giorno fa, mentre andavo a trovare i miei, ho incontrato un’ex compagna di classe. Non era una di quelle cattive: voglio dire, non mi lanciava oggetti contro e non mi aspettava fuori per menarmi. Ammetto che, per un attimo, ho provato lo stesso spaesamento di trent’anni fa. Segno che l’età, lo studio, l’autoanalisi e l’indipendenza economica non risolvono proprio tutto. Lei, invece, sembrava felice di rivedermi. Mi ha fermato, mi ha chiesto: “Come stai?” e subito dopo: “Hai figli?” “No.” “Sposata?” “No.” Ci è rimasta male per me, si vedeva. Mi ha raccontato che ha tre bambini, che è dura. “Eh, immagino”, ho risposto. Ma non è vero, non posso immaginarlo, perché la sola creatura della quale abbia scelto di occuparmi è la mia gatta. La quale, comunque, il mese prossimo compie diciassette anni, tutto sommato gode di buona salute, quindi si può dire che io abbia fatto un buon lavoro. Non solo: ho smesso di cibarmi quasi unicamente di surgelati solo quando il mio colesterolo ha superato i 350 e al mio fidanzato, la prima sera che ha cenato da me, ho offerto il polpo con patate da asporto della pizzeria Zeta sotto casa. Prima di salutarmi, l’ex compagna ha voluto concedermi un’ultima possibilità: “... Ma convivi?” Mi è quasi dispiaciuto doverla deludere anche sul terzo punto. Niente, deve avere pensato che fossi ancora https://ift.tt/2JThgUP
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hypervioletpixie · 8 years
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Non ho mai espresso pareri di alcun tipo sui social su questioni di politica, attualità, morti di personaggi famosi recenti e altri argomenti, però oggi ho voglia di farlo raccontando una storia. Non so quanti di voi - sempre ammesso che qualcuno stia leggendo - sanno cosa vuol dire frequentare una classe interamente femminile (spoiler: non vi siete persi nulla). Ho frequentato un liceo con vari indirizzi, il mio era l'ormai defunto linguistico progetto Brocca. In quinta dopo varie purghe tra bocciature e ritiri siamo arrivati in quattordici, due ragazzi e dodici ragazze. Eravamo divise letteralmente in due gruppi, quello di destra e quello di sinistra per come eravamo sedute in classe e non per pensiero politico. A sinistra sedevano le cocche dei professori, a destra una secchiona capitata a caso tra noi e cinque cagne stronze con la rabbia. Io ero tra queste cinque. Dei sei giorni alla settimana in cui eravamo costrette insieme tra le stesse quattro mura soffocanti della quinta sezione AL ne passavamo tre a ignorarci e i restanti tre a litigare come pazze furiose tra di noi. Noi di destra avevamo la media del sette in condotta tra tutte, a sinistra avevano tutte nove nonostante alle litigate partecipavano più che attivamente. Le classi femminili sono l'inferno e non solo perché capitava che il ciclo ci si coordinasse a tutte dodici e una settimana a mese eravamo tutte le peggio stronze che si potesse mai incontrare, ma anche e soprattutto perché il peggior nemico delle donne sono le donne stesse. Come se ciò non bastasse eravamo soggette a un'ulteriore divisione interna: quelli di francese prima lingua e quelli di francese terza lingua. Tralasciamo che ad avere francese come prima lingua eravamo solo in quattro. Che incubo se ci ripenso. A insegnarci francese avevamo però la stessa insegnante, noi la chiamavamo "la Madame" nonostante sapessimo bene che non si mette l'articolo davanti però dai, parliamo del Nord Italia e l'articolo lo mettiamo davanti a qualsiasi cosa. La Madame era una donna inflessibile, dal sangue caldo e dal temperamento bollente e su una cosa era assolutamente inflessibile: dovevamo imparare a collaborare e non come classe ma come donne. Perché al di fuori della classe, nel mondo esterno, le donne raramente si fanno forza a vicenda perché probabilmente distruggersi è più facile. Lei ci teneva che imparassimo il vero significato del femminismo quindi a entrambi i gruppi di francese portò lo stesso programma (ovviamente semplificato per quelle semplici anime di francese terza lingua): il femminismo moderno. Tra le sue autrici preferite spiccava Marie Ndaye e tutti noi fummo costretti a leggerci "Trois femmes puissantes" (tre donne potenti). Secondo lei, era così che dovevamo essere. Potenti di fronte a ogni avversità ma soprattutto unite. Inutile dire che nessuno di noi l'ascoltò. Anche perché aveva una diatriba in corso con l'insegnante madrelingua e noi non vedevamo il motivo per smettere di odiarci per il semplice motivo che dovevamo coesistere in una classe piccola. Era una lotta continua. Gli insulti, le frasi a denti serrati e le giornate a ignorarsi. I professori non provavano nemmeno a mischiare quelle sedute a destra con quelle sedute a sinistra. Ci avevano provato con risultati disastrosi negli anni precedenti e hanno preferito mantenerci con il sottile confine di un corridoio di zaini e borse a dividerci. Quel confine era più stabile del Muro di Berlino e più efficace di quanto potrà mai essere quello di Trump. La professoressa in questione, la Madame, adesso riposa al cimitero di un paesino di provincia. Non sono più tornata dal giorno del funerale. E sapete cosa? La mia è stata l'unica classe a presentarsi interamente quel giorno. Abbiamo pianto abbracciate, noi di destra con quelle di sinistra. Abbiamo condiviso i ricordi di cinque anni insieme, brutti (tanti) e belli (molto pochi). Alla fine l'abbiamo capito che farci la guerra tra noi non aveva senso, così come non aveva senso che noi donne fossimo le nostre stesse nemiche. Dopo l'ultimo esame orale della maturità ci siamo trovate, due ragazze del gruppo di destra e due ragazze del gruppo di sinistra e abbiamo deciso che volevamo lasciare un segno (semi)indelebile sul muro del liceo. Eravamo cariche e piene di sogni e aspettative, e anche abbastanza ubriache. Abbiamo scritto una parola a testa (e da stupide ci siamo anche firmate) in un francese che forse nemmeno esisteva (per questo la colpa è di quelle francese terza lingua, sia chiaro). Un omaggio alla Madame, una donna potente che ha lottato col cancro fino all'ultimo insegnando francese a nuove generazioni di ragazzine arrabbiate con loro stesse e con le altre, un omaggio a noi che nonostante ci odiassimo senza motivo eravamo riuscite a uscire dal liceo senza ucciderci a vicenda. Perché "les femmes puissantes sont sorties".
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Vuoi scommettere? - capitolo 7
Link dei capitoli: Vuoi scommettere?
Marinette sospirò, osservando l’ennesimo vestito e gettandolo nel mucchio ai suoi piedi: qualsiasi cosa era presente nel suo armadio non andava bene. O era troppo elegante o troppo sciatto. Voleva apparire carina, ma senza esserlo esageratamente. Visto il comportamento del ragazzo, se fosse stata troppo in tiro, si sarebbe fatto qualche idea malsana. «Ma perché ho accettato?» sbuffò, avvicinandosi alla sedia girevole e lasciandosi andare su di essa, facendo muovere le rotelle sul pavimento per un piccolo tratto: «Perché? Perché? Perché?» ripeté, prendendosi la testa fra le mani e arruffandosi i capelli sciolti: «Non potevo lasciarlo finire, così non avevo problemi? No. Dovevo accettare.» si alzò, avvicinandosi al mucchio di abiti e muovendoli leggermente, con la punta del piede quasi nascondessero chissà quale pericolo: «Ok. Posso farcela, posso trovare…» mormorò, guardandosi sconsolata attorno e notando solo in quel momento una maglia. La prese, aprendola e osservandola con occhio critico: poteva andare oppure no? La poggiò sulla scrivania, studiando le sfumature di viola del capo d’abbigliamento e guardandosi attorno, recuperando dall’armadio una gonna corta a tema floreale. Ok. Forse poteva andare. Se a tutto univa poi il giacchino di jeans… E le scarpe? Avrebbero dovuto camminare parecchio, dato che l’intenzione primaria di Adrien era quella di vedere nuovamente la città e, quindi, le serviva una qualche calzatura comoda; si fiondò sulla pila di scatole ordinatamente impilate l’una sopra l’altra e, facendo scivolare il dito indice sulle etichette, cercò le più adatte. La boulangerie era piena di gente, decretò Adrien, allungando il collo e osservando, al di là delle vetrate, la madre di Marinette impegnata a servire l’ennesimo cliente: cosa fare? Entrare o attendere fuori? Infilò una mano nella tasca della felpa, tirando fuori il cellulare e recuperando il messaggio che Marinette gli aveva spedito il giorno precedente e che diceva solo di incontrarsi lì. Sbuffò, indeciso se mandare o meno un messaggio alla ragazza per avvisarla che lui era arrivato, quando un movimento dal lato della strada lo attirò e si voltò, osservando Marinette dirigersi verso di lui: era tremendamente carina, con la gonna corta che ondeggiava a ogni suo movimento, la maglietta leggermente attillata enfatizzava il fisico magro e i capelli, stretti in due codine, le davano un’aria adorabilmente infantile: «Ciao, ti ho visto arrivare dalla finestra di cucina e sono scesa subito. Pensavo di chiamarti da lì ma…beh…ecco…» «Ciao.» dichiarò Adrien, mettendo fine a quello sproloquio senza senso e sorridendole: «Stai benissimo, sai?» «Ah. Mh. G-grazie. Anche tu.» «Lo so, sono così bello di natura che qualsiasi cosa mi sta divinamente.» sentenziò, facendole l’occhiolino e osservandola portarsi una mano alla bocca per reprimere una risatina: mh. Forse aveva trovato il giusto tasto per rapportarsi con lei, senza vederla fuggire come un coniglietto. Stava facendo progressi. «Dove vuoi andare?» «Non so. In giro?» «Non hai un posto che vuoi vedere?» Adrien si strinse nelle spalle, sorridendole: «In verità, voglio solo visitare la città dove sono nato, sentire parlare francese e chiacchierare con la mia amica d’infanzia. Tutto qua.» dichiarò, senza tanti giri di parole: «Sono una persona di poche pretese.» Marinette scosse il capo, sorridendo di ricambio al ragazzo: «Quindi…» «Andiamo allo zoo?» «Cosa?» «Sì, lo zoo.» esclamò Adrien, sorridendole e guardandosi attorno, come se potesse intravedere il posto: «Quello dove i tuoi genitori ci portarono una volta…» «Ho capito quale zoo. Ma perché proprio lì?» «E’ il primo posto che mi è venuto in mente.» dichiarò il ragazzo, sorridendo: «Oppure possiamo andare a…boh, vedere la Tour Eiffel? Il Louvre? In verità per me va bene tutto.» «Ti va bene tutto?» domandò la ragazza, inclinando la testa e studiandolo: «Tutto tutto?» «Tutto.» «Tutto. Accidenti a me e a quando l’ho detto.» decretò Adrien, seguendo la ragazza che osservava interessata le vetrine dei negozi: approfittando del fatto che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per stare un po’ di tempo con lei, Marinette lo aveva portato in giro per fare un po’ di shopping. Oh, certo. Stava visitando Parigi e sentendo parlare francese, in compagnia della sua amica d’infanzia ma, maledizione, erano a fare compere. «Sai, portare un ragazzo in un giro del genere è da denuncia.» «Sei tu che hai detto che ti andava bene tutto.» «Grazie per rinfarciami la mia stupidità.» sentenziò Adrien, infilandosi le mani in tasca e fermandosi quando, di fronte all’ennesima vetrina, Marinette si bloccò e osservò estasiata i gioielli esposti: oh beh, almeno adesso sembrava più rilassata e aperta verso di lui; aveva balbettato solo una decina di volte e i suoi discorsi non erano stati una sequela di parole senza senso o totalmente inventate. Stavano facendo progressi. «Allora…» iniziò, poggiandosi contro il vetro e osservando lo sguardo celeste scivolare verso di lui: «Che hai fatto in questi anni?» «Come?» «Sì, cos’hai fatto.» «Sono andata a scuola.» «E poi?» «Ho conosciuto Alya e Nino.» «E poi?» «Niente?» Adrien sorrise, cercando di mascherare il suo disappunto: era certo che, se le avesse rivolto la vera domanda che aveva in mente, la ragazza sarebbe diventata rossa come un peperone e avrebbe ripreso a balbettare, mandando all’aria i progressi che aveva fatto in quel giorno: «Come sono quelli della nostra classe?» domandò, grattandosi dietro l’orecchio e seguendola, mentre si spostava verso una nuova vetrina. «I nostri compagni?» «Sì, in pratica sono arrivato questa settimana e gli unici con cui ho parlato siete stati tu, Nino e Alya. E Chloé.» Marinette annuì, fissandolo per qualche secondo e battendosi le dita sulle labbra: «Allora…beh, Chloé è semplicemente Chloé. Te la ricordi quando eravamo piccoli? Ecco. E’ rimasta uguale. Poi c’è Sabrina che è la figlia del capo della polizia e, si può dire, è la secchiona della classe e la compagna di malefatte di Chloé; poi…» «Testa a pomodoro?» «Cosa?» «Testa a pomodoro. Com’è?» «Chi sarebbe Testa a pomodoro?» «Quel tipo, il rosso! Quello bassino…» «Intendi Nathanael?» «Giusto. Si chiama Nathanael.» esclamò Adrien, battendosi una mano sulla fronte e annuendo: «Nathanael, spero di ricordarmelo ora.» «Perché t’interessa lui?» «Così…» «Così?» «Già. Allora? Che tipo è?» «Mh. E’ bravissimo a disegnare ed è anche molto timido, estremamente sensibile…» «Estremamente basso…» «Cosa?» «Niente.» dichiarò Adrien, sorridendo alla ragazza: «Si direbbe che ti piaccia.» «Cosa? Nathanael?» domandò Marinette, sgranando gli occhi sorpresa: «Ma è un amico! Un caro amico, ma nulla di più.» «Lui non sembra considerarti solo un’amica, però.» bofonchiò il ragazzo, superandola senza darle possibilità di replicare e fermandosi davanti a una vetrina: «Marinette! Marinette!» «Cosa?» «Non ti ricordano i braccialetti che avevamo da piccoli? Quelli con cui facevamo finta di trasformarci in supereroi, dai!» le domandò indicando i due monili che, poggiati su un piedistallo, riflettevano la luce artificiale della lampade: «Tu avevi quello con la coccinella ed io…cos’era? Una stella?» «Una zampa.» «Giusto! Avevo la zampa.» esclamò il biondo, sorridendo e fissando i due braccialetti: il cordoncino di cuoio era tenuto fermo dalla pietra, modellata in varie forme: «Li prendiamo?» «Cosa?» Marinette rimase ferma, osservando Adrien entrare nel negozio e additare i monili al commesso che, prontamente, si avvicinò alla vetrina e recuperò i braccialetti; il ragazzo le sorride, mimando con la bocca la parola coccinella e ricevendo un cenno d’assenso da parte della ragazza. Poco dopo uscì, con i due pacchetti fra le mani e si fermò davanti a lei: «Dammi il polso.» ordinò, prendendo una delle due scatoline e aprendola mentre, titubante, Marinette allungava il polso sinistro verso di lui; con la mano libera, Adrien le afferrò le dita e, non senza qualche difficoltà, le allacciò il braccialetto. «Da-dammi il tuo.» mormorò la ragazza, osservandolo prendere la seconda confezione e aprirla, mettendole poi in mano il braccialetto con la pietra a forma di zampa: «Si-sinistra o destra?» «Destro.» dichiarò Adrien, allungandole la mano interessata e osservandola mentre, incerta, lo sfiorava con i polpastrelli per legare il laccio di cuoio, mentre le guance e le orecchie le si tingevano di una tonalità cremisi; trattenne a stento una risata quando, alla fine dell’operazione, lei si allontanò come se si fosse scottata: «Bene! E adesso…go, go! Chat Noir!» «Perché Chat Noir?» «Perché era il mio nome da supereroe, ricordi? Oppure stai già perdendo colpi…» «Già. Ladybug e Chat Noir. Come potevo dimenticarlo?» «Era Chat Noir e Ladybug.» «No, Ladybug e Chat Noir. Sei tu quello che sta perdendo colpi.» «No, ricordo perfettamente che ero io il capo, perché ero quello bello che risolveva sempre la situazione, mentre tu eri la mia assistente.» «Veramente io ero la mente e tu il braccio.» «Non è vero.» «Sì, che è vero.» «No.» «Sì.» «No.» «S…» Marinette si fermò, scuotendo il capo e ridendo divertita: «Stiamo davvero discutendo su questo?» «Ehi, è una cosa di vitale importanza.» sentenziò Adrien, indicando una gelateria poco distante: «E propongo di continuare la nostra discussione davanti una bella coppa di gelato.» «Tanto ero io la mente e tu il braccio.» «Non è vero.»
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