Tumgik
#perché le persone amano parlare male degli altri
diariodijei · 3 years
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Non vi voglio annoiare cari lettori. Quindi potete solo leggere questa mia rinchiusione di mille pensieri e non la descrizione di cosa provo, ok?
(chiedo venia per errori di battitura o punteggiatura ma ho gli occhi gonfi, la testa che gira e tanta tristezza addosso, grazie mille della comprensione)
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Parto dall'inizio.
C'era una volta un piccolo Jei (si mi chiamo Jeison ma per gli amici Jei) che soffriva molto ma talmente tanto che non badava a nessuno e viveva con lo sguardo basso, scriveva poesie e citazione di propria iniziativa e di proprio sentimento.. un giorno il piccolo Jei torna a vedere i colori, mentre prima vedeva bianco e nero e un po' tutto più monotono, e torna a sorridere di gusto e ad essere chi era..
È stato un sogno piuttosto bello direi, diciamo che stavo bene con la ragazza che ho amato e che mi ha donato questi colori.. sono stato stracolmo di amore che non sapevo come poterglielo dimostrare, come quando un gattino prova ad avvicinarsi a te e conoscerti, ma lui a prescindere del conoscerti già ti ama e vuole rimanere con te e non vuole lasciarti andare perché alla fine è un piccolo gattino..
Il piccolo Jei ha iniziato a fidarsi, ha credere in lei, ad amarla sempre di più, a sperare in un futuro fatto di molti altri colori stupendi.. il piccolo Jei tutt'ora piange perché è finita..
Il piccolo Jei ha provato a dimostrare l'amore per quella ragazza che amava e forse non ci è riuscito.. e per questo si odia.. già, io non so odiare le persone e odio me stesso per rimediare all'odio verso loro, ma menomale che ho degli amici che vedendomi in lacrime e morto dentro mi ripetevano: "sei stato meraviglioso", "ci siamo noi qui per te", "tu migliori le nostre giornate, non scusarti", "sei stato splendido" e ci credo a loro perché nonostante tutto, nonostante da poco mi conoscano mi voglio un immenso di bene (anche chi mi è vicino da anni mi sta consolando in chat ma ora io ho loro che amano il piccolo SadJei e voglio solo il loro bene).. loro cosa sono per me? Due cuccioli, due persone splendide, un fratello ed una sorella della mia stessa età che mi stanno vicino e che si sono preoccupati e affezionati a me veramente..
Io non la conoscevo a questa ragazza ed è per questo che la amavo.. perché era probabilmente una farsa tutto quanto, perché ogni volta.. ogni volta.. sono sempre che corro verso un posto e l'altra persona che amo non corre ugualmente e mi lascia correre solo a me.. arrivo, voglio chiarire, ma con chi posso chiarire se solo io sto qui e lei altrove? Ma sapete? Avevamo fatto una promessa, il ritorno o il non ritorno di un elastico e già la mattina non avevo voglia di parlare ma per amore mi sono imposto di dover correre, rischiando di essere multato, per poter mantenere quella promessa..
Sono arrivato ma non c'era ed era altrove, nonostante delle parole che le avevo detto, a preferire altre persone..
Io sto bene? Si dai.. mi sono liberato di una persona che mi ha fatto star male.. già mi sono liberato.. le ho detto che è finita e che non voglio soffrire ancora e ancora.. le ho detto io: "è finita".. io.. ho finito.. tutto.. chi ama veramente.. ha deciso di finire tutto.. di chiudere.. di piangere.. di odiare solo e unicamente la mia scelta di dire "è finita"..
Non era una ragazza adatta a me dicevano in famiglia.. sapete? Avevano ragione.. (la mia famiglia nonostante tutto mi diceva ciò che pensavano veramente.. la sua di famiglia no, al quanto ho visto..) e sapete cos'è ancora più orribile?? Volete saperlo? Va bene dai lo dico.. è ancora più orribile atteggiarsi da bambini.. dare la colpa agli altri.. dire che la colpa è di loro nonostante questi "altri" provavano ad aiutarla a non finire la relazione e provare l'impossibile per mantenere una promessa da lei stessa lanciata.. veramente dai la colpa dei tuoi errori agli altri? Non sai assumerti le tue responsabilità? Non sai accettare la tue scelte? E il non aver mantenuto la nostra promessa?? Veramente?? Sei orribile.. sei veramente orribile.. voi che dite? Una persona che addossa la colpa agli altri nonostante PROVINO AD AIUTARLA non è una persona orribile? Io direi di si e ciò mi disgusta dal poter anche pensare di rimanerci in buoni rapporti.. solitamente se finisce la relazione per me non esiste la persona in questione ma spesso decido di rimanerci (o provo) di rimanere a parlare ma non tornare.. no.. se finisce, finisce.. fine. Ma se posso donare un ultimo momento felice e non di tristezza.. mi faccio a pezzi ancora e ancora per quella persona che ho amato a donarle un'ultima risata con me.. ma una persona orribile non merita un'ultima risata con me (che nonostante provo a farla ridere starei ugualmente male ma shhh).. no.. non merita più nulla.. né sguardo, né ragione, né che respiri la mia aria nel raggio di un metro (covid cOnFiErMeD!1!1!1!!).. ciao carissimi.. la vita è bella.. ma non al momento per me.. per me è solo una pozza di lacrime amare.. e la consapevolezza che punterò più in alto.. punterò a persone migliori e non persone orribili.. punterò.. ma non oggi.. né domani.. né tra settimane.. non lo so in realtà ma per un po' sarò triste dai.. per un po'.. poi starò meglio e tornerò a brillare della mia luce naturale..
P.s.
X ha sempre ragione, X è assoluto e se X dice che finirà presto finisce presto e se dico una cosa è assoluta!
Ah e ricordiamoci.. NO ALLE MINCHIATE! NO! SI ALLA VERITÀ! SI ALLE LACRIME CHE VERSO TUTT'ORA!
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miryel89 · 4 years
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Un mondo che non mi appartiene più
[ RANT TIME ONLY ITALIAN ]
Dato che non posso farlo da nessun’altra parte perché non sento nessun posto più “mio”, ho deciso che oggi il mio rant lo faccio qui, l’unico luogo dove ancora sento parte della mia anima che vi appartiene: Tumblr.
Io maledico ogni giorno, da due anni, il momento in cui ho deciso di riprendere a pubblicare su EFP. Non a scrivere, sia chiaro, ma a pubblicare e, anzi, più nello specifico, a interagire con la gente su Facebook nei gruppi di scrittura. Se c’è una cosa che mi fa sentire male è sapere che un hobby che mi salva la vita dal resto del mondo che va allo scatafascio – ovvero scrivere, è anche in verità il motivo di maggiore sofferenza. Perché scrivere mi piace, amo farlo e mi fa stare bene, ma le persone sono la cosa peggiore che ti possa capitare quando cerchi di condividere qualcosa che ami, qualcosa che anche gli altri amano fare, ed esce fuori il peggio del peggio dall’anima della gente. Come piccole pustole pronte ad esplodere... e ti inondano della loro merda e ti fanno sentire, chiaramente, schiacciato e debole, uno schifo... e pure la scrittura, alla fine, diventa tutt’altro che piacevole: perché stai male, ti fa male lo stomaco, la testa, il colon, e pure se non vuoi, ci pensi perché se prima, nei momenti tranquilli, pensare alla scrittura era un’ancora a cui aggrapparsi per non annegare, ora pensarci e non avere la stessa sensazione di salvezza è uno schifo, perché significa che non si ha più nulla in cui rifugiarsi. Ci provo a non pensarci, a fare altro, a  dedicarmi ad altre cose che amo fare, ma niente è come scrivere e quello che vorrei è solo tornare a due anni fa, quando me ne strafregavo di tutto, scrivevo il cazzo che mi pareva, non interagivo, avevo quei pochi fedelissimi che mi leggevano e recensivano ed ero felice così. Invece no, ho avuto la brillante idea di inserirmi nei gruppi, iniziare gli scambi e conoscere solo gente che prima ti prende in simpatia e ti ama, poi invece ti tratta come se fossi una strega, solo perché... boh... certi perché hanno deciso, dopo avermi letto, di scrivere sulla mia stessa coppia e allora è diventata automaticamente una competizione, e quindi io sono stata depennata. Ovviamente poi c’è questo atto maturissimo di escluderti dal loro mondo, e fingono pure di non aver mai iniziato a shippare certe cose grazie a te, anche se lo hanno ammesso in recensione ma, ehi, io sono la stronza che ha scatenato tutto tacendo e facendo solo quello che voleva fare: scrivere. Ah e ovviamente ritengo questo fatto immaturo anche da parte mia: lo starci male, intendo.
Poi c’è la gente passivo aggressiva che scrive anch’essa sulla tua stessa coppia, che però è invidiosa, fa il tuo nome nelle recensioni alle sue storie accusando me e i miei lettori di aver escluso tutti; gente di 50anni che non sa vivere, che ha chiaramente dei problemi. E voi direte: certo, e tu ti preoccupi per persone problematiche? Sì, perché le accuse, frecciatine, dispetti e altri cazzi vari del genere fanno male, specie quando devi fingere di ignorare siano rivolti a te ma sai benissimo che è così. Gente che proclama di amarti, ma se finisci sotto ad un treno gioisce. Gente grande quasi il doppio di me che vive nel perenne stagno dell’inadeguatezza, ma non si pone domande su di sé, ma è sempre colpa degli altri e allora la via è essere passivo aggressivi e far sentire male le persone, perché io lo so che ho tanti difetti, ma quello più grande è la sensibilità spropositata e la continua convinzione che tutti ce l’abbiano con me. Ci sto lavorando, ma dubito che a 30anni questo possa cambiare.
Non è giusto che nella vita vera affronto ogni problema con la testa alta, e cerco di risolvere tutto e sono in gradi di parlar chiaro con chiunque e invece in questo mondo di merda io non ci riesco. Resto in disparte, zitta, catalizzo tutto dentro e poi esplodo come oggi, e mi viene una crisi di nervi e quasi mi viene voglia di cancellare tutto, ma non perché voglio fare la vittima, ma per stare meglio: perché sono convinta che se io decidessi di andarmene da FB/EFP e tutto il resto, di certo starei meglio, ma la cosa che mi frena è la paura di non avere più nulla a cui aggrapparmi.
La scrittura è il mio porto sicuro, ma i mezzi che uso per condividerla sono il male, il marcio, e per quanto la community sia piena di persona meravigliose che ho avuto modo di conoscere, dall’altro ci sono questi soggetti del cazzo che non sono capaci a vivere e dunque fanno male agli altri per stare meglio loro e io, di certo, sono un bersaglio ideale per come sono fatta. Cerco di entrare il meno possibile, ma i momenti in cui non lo faccio passo tutto il tempo a pensare a cosa potrebbe essere successo mentre non controllavo i social. O “chissà che cosa ha pubblicato tizio”, senza stare davvero bene senza di esso. Anzi, non avere il controllo mi uccide, certe volte, e da due anni EFP mi fa solo male, pure al fisico: metabolismo cambiato per colpa delle incazzature e ansie, attacchi di panico in doccia, parestesie psicosomatiche che mi facevano cadere per terra... insomma, tante cose. Tantissime cose, più contro che pro e io non riesco a lasciarlo andare. Non ci riesco, anche se mi riprometto che “questa è l’ultima che pubblico, poi sparisco per sempre e mi trovo altro da fare”, perché così la scrittura non è diventata l’obiettivo, ma il mezzo e non ho capito il mezzo per cosa... se non è solo sofferenza, questa, allora cos’è? 
Vorrei sparire per sempre, scrivere questo post anche su FB ma non ne ho né il coraggio né la voglia, non è il mio posto. Vorrei tornare a due anni fa, quando la sera tornavo a casa dal lavoro, mi mettevo a scrivere senza nemmeno pensare a cosa farne, di quelle parole impresse su carta, poi però è successo che EFP è tornato alla mia mente e io sono stata così idiota da cascarci.
Mi sento come un drogato, come uno che è dipendente dalle macchinette per giocare e non va bene. Mi sta per nascere un nipote, pensavo che questo mi avrebbe resa così felice da darmi finalmente un nuovo obiettivo, e invece no...
Voglio sparire per sempre e cancellare Miryel dalla mia vita, e tornare ad essere la persona vera della real life, che affronta tutto senza paura delle conseguenze. Che ti dice le cose come stanno, che non ci gira intorno, che se deve chiudere con qualcuno di tossico lo fa e basta. La vera me sa farlo, Miryel no... ed è chiaro che, a questo punto, Miryel è il problema...
Scusate il rant, ma sto avendo un vero e proprio crollo psicologico e sono certa di aver bisogno di aiuto. Non lo cerco qui, ma già averne parlato mi fa stare meglio...
Miry
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ribbit-darthvalz · 4 years
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Doctor Sleep (2019)
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Film tratto dall’omonimo libro del Sir King, nonché sequel del celebre “Shining” del quale approfondisce alcune tematiche. Se Shining non vi è sembrato chiaro ad una prima veduta, sicuramente Doctor Sleep vi aiuterà a chiarire alcuni punti cruciali, che troviamo anche nel libro. Lo dico da persona che sfortunatamente non ha ancora letto Shining ma che ha amici lettori che lo hanno fatto, e che tra le righe, a pizzichi e bocconi, mi hanno chiarito alcune parti fondamentali, come “la luccicanza”, che fortunatamente non ho sentito pronunciare da nessun personaggio (perché l’ho visto in lingua originale) ed ho dunque evitato di ammazzarmi (sì, è come petaloso, non ce la faccio a sentirlo dire).  Che dire, non è prettamente un horror, nonostante le scene abbastanza sanguinolente (c’è di mezzo una mano e uno sportello, vi avverto). Però mi è piaciuto molto, mi piacciono i film “parasovrannaturali”, in cui ti trovi in un universo che potrebbe benissimo essere il tuo ma ci sono persone particolari che fanno cose particolari. Come accadeva nella serie tv Heroes (madonna regà che serie). Però si parla anche di fantasmi, presenze, di spiriti, di doti che vanno oltre il mentale, oltre il tempo.  E’ evidentissimo come sia un’opera di King. I bambini sono “la salvezza” quanto un tesoro prezioso, da proteggere, preziosi nel loro essere unici, nelle loro “doti”, ma spesso anche più pericolosi, abili, degli adulti. Ed ho apprezzato in questo il personaggio di Abra, lei crea questo bellissimo legame con Dan, è quasi una sua protetta, i due condividono molto, convinti entrambi di essere gli unici a vivere una vita “particolare”. Come sempre è una ragazzina che porterà gli adulti alla svolta, a vincere sul male, così come fece Danny su suo padre e sugli spiriti dell’hotel. Lei è anche più forte di Danny, ha dei genitori che la amano, che la proteggono, non ha vissuto gli orrori del Overlook, e forse la sua fortuna sta anche nel aver conosciuto Dan, una persona sconosciuta con cui parlare, condividere un segreto, la cosa che la rende diversa da tutti gli altri bambini ma anche forte. Lei ha saputo gestire i suoi “doni/poteri” meglio di chiunque altro, penso che sia legato alla sua indole quanto al mondo in cui è vissuta. E’ scaltra, curiosa e si rende conto di ciò che è, più di quanto non abbia fatto Danny. 
In Abra c’è l’accettazione del proprio io, di ciò che si è e ciò che si sente, che si vede. Danny non è stato fortunato, ha visto il male, lo ha provato, tutto insieme, non è mai stato solo ma il trauma lo ha fatto scivolare nel oblio del alcol, di fatto a inizio film troviamo un Ewan McGregor completamente stravolto, vittima di se stesso, sempre colto da incubi continui. Con Doctor Sleep, il cerchio si chiude, anche visivamente. E’ un viaggio nel passato che svela, per gli spettatori poco legati ai libri, cose che pensavamo di aver lasciato nel passato, in quel vecchio film che spaventava anche i nostri genitori o fratelli più grandi. Ma in Doctor Sleep non troviamo lo spavento, la tensione, piuttosto troviamo il paranormale vissuto come qualcosa di “reale”, cioè qualcosa che esiste nella realtà dei personaggi, che loro malgrado deve essere accettato, come lo sono “i poteri” per gli X-man. Ci sono persone particolari, che fanno cose particolari, che vivono vite diverse dal normale, ma niente è spettacolarizzato, né nel mood né nella storia in se. Abbiamo tinte leggermente scuro, è tutto un po’ cupo, drammatico, ma non pesante come è stato per “True Detective” (per citare una serie che ho amato e si occupa di investigazione) anzi, ho trovato che la scelta di una fotografia abbastanza realistica, lievemente esagerata solo in alcuni momenti, rendesse più realistico il tutto. Ci sono situazioni, legami, persone, che seppur non vengono approfondite, girano intorno ai protagonisti e allo spettatore. Non troviamo colori saturi, eccessivamente freddi, non ci sono momenti con sonorità altisonanti o cori raccapriccianti. E’ questo che secondo me, favorisce la visione. Il film dura due ore e mezza, nel mezzo sono riuscita anche a fare altre cose, però rimanevo comunque coinvolta, volevo vedere cosa sarebbe successo, come una finestra su un mondo credibile, lontano dal mio. La regia è fluida, chiara, ti aiuta ad immergerti in questo squarcio di realtà forse esistente, forse no. Ti riporta indietro nel tempo con alcune scene tratte da Shining e alcune nuove in cui vediamo un piccolo Dan dopo gli eventi nel Hotel. E’ chiara, interessante, crea quel pathos che c’era anche nella pellicola precedente, non con la stessa ansia, senza caricarti eccessivamente di aspettative, ma alcune inquadrature e movimenti di camera sono ben riconducibili a Shining e sinceramente li ho apprezzati. Non si copia Kubrik ma lo si celebra con un tocco lieve. Sembra di star guardando una mini serie sequel, apprezzabile da tutti e meno criptica di Shining, forse è questa chiarezza che ha fatto storcere il naso a molti.  Nota personale: Apprezzo molto l’auto citazionismo di King, il suo inserire in libri vari le medesime cose, citazioni a personaggi ecc. Ora, non ho letto i libri, però ho apprezzato molto, visto che il film mi era piaciuto un sacco, come sono state strutturate proprio visivamente le “menti” dei personaggi. Piene di contenitori come dei giganteschi archivi, ed è una cosa che avevo visto anche nel meno celebre The Dreamcatcher. Anche lì la mente di uno dei personaggi, era un grosso archivio, e mi ha fatto piacere rivedere un espediente del genere dopo anni.  Scusate, sono di fretta.  Alla prossima, senza rancore, vi prego 
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13 SEGNI CHE INDICANO CHE SEI UNA STREGA
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La caccia alle streghe di Salem e dell’Europa ha costruito una mentalità isterica di massa contro le donne contro il femminino.
Ha radunato e ucciso le donne sagge e le guaritrici naturali, ogni donna che possedeva un terreno che essi volevano o le donne che erano fuori dallo status quo sociale, che rifiutavano di conformarsi alle regole del cristianesimo e del patriarcato.
Fondamentalmente è per paura del potere del femminino che le donne, la terra e le sue creature sono state massacrate sotto pretesti falsi ed isterici.
È di importanza cruciale rivendicare queste donne, la bellezza, il potere e l’eredità della parola “Strega”. Lo scopo di una strega è proprio la terra che deve salvare.
Le streghe amano la terra e adorano la natura, ripeto, la Natura, non Satana. Quest’ultimo è un mito come il fatto che hanno il naso verrucoso o che sono spaventose e brutte come maschere di Halloween che devono ai film del patriarcato hollywoodiano.
La verità è che le streghe sono belle come la natura stessa e non fanno del male. Vivono rispettando la “regola del tre”, una comprensione karmica che le porta ad essere consapevoli che ogni cosa che fanno torna indietro triplicata. Più uccidiamo la terra, più uccidiamo noi stessi.
Dacché ne abbiamo memoria ci è stato insegnato di temere noi stessi e di temere la natura. Le streghe godono comunque della propria natura selvaggia e si allineano con i cicli della Terra e con le fasi della Luna.
Per molte donne rivendicare la parola “Strega” significa rivendicare se stesse e la loro relazione con la Grande Madre.
Quindi, dal momento che io amo de-stigmatizzare e ri-onorare la grande, bella, succosa parola “Strega”, la risposta che do quando qualcuno mi chiede se è una strega, è “Sì”.
Se credi di essere una strega, sei una strega. Il che significa che sei una Dea, un Sacerdote, un Guaritore, uno Sciamano, una Donna Saggia.
Ecco qui un elenco di 13 segni mistici ed illuminati dalla luna che indicano che potresti essere una strega:
1. POTERI DELLA TERRA. Una strega è una donna di terra. Ereditiamo i suoi poteri naturali della nascita, della trasformazione, della guarigione, della rinascita. Questi sono i poteri della donna, tutt’uno con i poteri della terra.
“Quando c’è una donna c’è magia” – Ntozake Shange
Ti capita di trovare le risposte della vita attraverso gli schemi di Madre Natura? La sua saggezza è anche la tua saggezza? Sei allineata nel tuo modo di vivere, nel tuo corpo in tutto il tuo essere con le sue stagioni?
Ad esempio ti senti eccitata -sessualmente e creativamente- in estate, lasci andare e tagli ciò che non ti serve in autunno, ti ritiri nel vecchio ed oscuro silenzio nell’inverno e rinasci in primavera?
2. SAGGEZZA. Ti capita di trovarti a ribollire come se avessi un calderone interno di antica e naturale saggezza e di guarigione?
Ti capita che le persone siano attratte da te e che vengano a sedersi accanto al tuo fuoco, a discutere della vita e di tutta la sua furia, il suo dolore, il suo amore e la sua meraviglia? Ti capita di congedarli con la speranza ripristinata nel loro cuore e magari con una tintura, una pozione, un rimedio naturale (hai familiarità con le proprietà delle piante) o anche con un rituale o due?
In altre parole quando le cose vanno male, è te che cercano?
3. NATURA. Vivi accanto ad un bosco o accanto all’acqua o lo desidereresti? Le streghe sono fortemente interconnesse con la Natura, incarnano i poteri della Grande Madre, desiderano essere più vicine possibile alla sua naturale bellezza e al suo potere. Molte compiono dei rituali accanto all’acqua o nei boschi. Ti sei sempre sentita a casa immersa nella natura.
4. TEMPESTE. Non hai paura delle tempeste, anzi ,godi del potere di Madre Natura in maniera ancora più viscerale. Qualche volta ti capita di meravigliarti se proprio tu, la tua passione, la tua energia, hanno causato la tempesta?
5. NATURA ANI<MALE. Gli animali sono naturalmente attratti da te e tu li ami allo stesso modo? Così tanto che soffri empaticamente con le creature di questo pianeta? Conosci naturalmente i loro totem e trovi saggezza ed illuminazione nelle loro visite, nelle loro apparizioni nella tua vita?
Ti capita che cani persi ti seguano fino a casa, che uccelli volino alla tua finestra e che i cavalli corrano verso di te, attraverso i campi, e poggino i loro lunghi colli sulle tue spalle? Riesci a parlare con loro? A guarirli? Le streghe e gli animali sono così allineati con la natura che parlano un linguaggio energetico simile e si riconoscono tra di loro.
6. LA LUNA. Sei attratta, sospinta e mossa dall’energia della Luna? L’hai mai fissata? Le hai mai parlato, sentendoti inondata dalla sua luce, da quando eri piccina? Sei allineata con le sue fasi?
Ad esempio, ti capita di iniziare nuovi progetti o relazioni quando c’è la Luna Piena? Ti è capitato di notare come le cose raggiungano un apice e culminino -e tendano a diventare un po’ confuse- intorno a te quando c’è la Luna Piena? E ti senti spinta a lasciar andare le cose o a chiudere delle relazioni o degli schemi quando inizia a discendere?
Con la Luna Nuova, nella più scura delle notti, ti siedi mai con il mistero, il vuoto e lo sconosciuto, il potenziale e le possibilità dell’oscurità? Sogni mai nuovi progetti nell’oscurità della Luna Nuova? Se hai risposto di no, quelle sopra sono solo alcune delle strade da percorrere per sintonizzarsi con le fasi della Luna.
7. POTENZA. Hai più di un serpeggiante sospetto che i tuoi desideri diventino reali -buoni o cattivi che siano- e ti trovi a porre attenzione, ad essere meravigliata dal tuo stesso potere? Ti capita spesso di essere definita un’anima antica?
Le streghe sono vecchie come il tempo, i tuoi occhi -le finestre della tua anima- custodiscono antiche storie e segreti, miti, misteri, risposte e possibilità.
Quand’eri piccola probabilmente dicevi delle antiche verità e parlavi con saggezza, prima di dimenticare la tua magia.
8. GUARIGIONE. Sei attratta dalle Arti di Guarigione? Tendi a cercare rimedi energetici naturali per te stessa e ad offrirli agli altri? Hai mai appoggiato una mano sulla schiena dolorante di qualcuno ed è poi guarita il giorno dopo?
Le persone possono guarire anche solo standoti accanto. Le streghe, essendo così sintonizzate con la terra, sono guaritrici naturali.
9. MEMORIE DI VITE PASSATE. Ti capita di avere memorie dolorose di vite passate o immagini in cui vieni perseguitata, cacciata, bruciata o annegata per il solo fatto di essere selvaggia, saggia e libera?
Più importante, sei mai stata marchiata per il fatto di essere differente, non conformista, per il fatto di amare chi volevi amare, per aver detto la verità in una vita passata? Questo è il karma che sei chiamata a guarire, è tempo di non avere paura ed essere la più autentica te stessa. Così guarirai il tuo karma: non avendo paura di vivere nella tua massima espressione. Questo è il tuo momento.
10. ESTRANEITÀ. Ti sei sempre sentita un po’ come un’estranea, con il naso schiacciato contro il vetro della vita sulla terra, mentre sapevi che in realtà appartenevi ad una tribù magica, custode di saggezza interiore.
Dal momento che non ti sei mai adattata alla norma, sapevi che c’era qualcosa di sacro, segreto, speciale in te. Una magia che solo poche altre persone magiche potevano vedere.
Non corri insieme alle grandi folle, sei un po’ più simile ad una sensitiva e potente lupa solitaria. Hai bisogno di tanto tempo per pensare, sognare, ricaricarti e comunicare con la Font e/ Natura / Universo / Dea.
11. CRISTALLI MISTICI / ACCESSORI. Sei attratta dalle belle pietre, pezzi di energia della Terra. Hai tenuto con te pietre come il quarzo, il turchese, il quarzo rosa, fin da quando riesci a ricordare, anche se non conoscevi le loro proprietà al tempo.
Ti sono state donate oppure le hai prese con te lungo la strada e le hai collezionate.
Le streghe conoscono le proprietà delle pietre della Terra e le caricano con -tra le altre cose- guarigione, amore, abbondanza e benefici protettivi e spesso indossano le loro pietre speciali in gioielli. Ami anche disporre candele intorno a te e accenderle, perché le candele sono inviti per gli spiriti e gli angeli e creano delle vibrazioni magiche e divine. Probabilmente ami la salvia e l’incenso che purificano l’energia.
12. MAGIA. Credevi nella magia quand’eri bambina e vedevi la magia nell’aria, nella vita? Eri attratta dalle cose magiche, dalle creature, dalle fiabe, dalle storie e hai continuato ad esserlo anche crescendo, nonostante tutti ti dicessero “Queste cose non esistono”?
E nonostante il resto del mondo non ci credesse, ti sei sempre e comunque conservata uno spazio nel tuo cuore per i racconti di magia, amore e mistero?
Eri attratta dei film e dei libri che parlavano di streghe, magia, spiriti, misticismo ed inconoscibile? Hai sempre pensato che le coincidenze non esistono, che non siamo veramente soli e che quello che vedevi non era tutto ciò che è?
Credi che tutto significhi qualcosa e credi nei segni e nei simboli?
13. PIÚ MAGIA E DIVINAZIONI. Parlando di segni e simboli, hai premonizioni come se avessi una sfera di cristallo interiore? Quando parli di ciò che credi accadrà, le persone intorno a te tendono a raddrizzarsi e ad ascoltare? Qualche volta ti capita di vedere o sentire degli sviluppi di situazioni -dei flash nel futuro- così avanzati che trovi frustrante quando gli altri non sono coinvolti come te!
Hai sogni e visioni di vite passate e future e puoi leggere le altre persone, la loro energia e le loro intenzioni molto bene. Hai un sesto senso e questa è anche la ragione per la quale sei attratta dai tarocchi, dalle rune e da tutti gli strumenti di divinazione che dissolvono le nebbie.
Spero che ciò ti sia stato di aiuto. Questi sono solo 13 segni, potresti riconoscerne alcuni oppure avere un sacco di segni che ti indicano che sei sul sentiero stregonesco.
Il messaggio di una strega è di amare se stessa, amare la Terra e di riconoscere l’importanza dell’allinearsi con le fasi della Terra e della Luna.
Estremamente semplice, davvero.
Ma ad un certo punto della storia è accaduto che se eri troppo vicina alla Terra, se eri troppo saggia, troppo potente -troppo, e decisamente troppo femminile- venivi cacciata o assassinata per la tua generosità e per il tuo essere selvaggia.
Non dev’essere più così.
È tempo di guarire i vostri karma passati, di possedere il vostro potere, la vostra saggezza e bellezza e di sorgere, mie care! La Terra ha bisogno di voi e noi, di certo, abbiamo bisogno della Terra!
- Sarah Durham Wilson
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microletteratura · 5 years
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Ossitocina
Confondere l’ossitocina con la citrosodina è un attimo, persino il compilatore automatico ha le sue difficoltà a riconoscere i termini. Voi sapete di che si parla, sì? La citrosodina non è altro che idrogenocarbonato di sodio, il caro vecchio bicarbonato che le mamme accorte usano per pulire la frutta e la verdura; l’ossitocina, invece, è quell’ormone che, tra le altre cose, aumenta durante quello che delle mamme vieppiú accorte tendono a definire un amplesso coi fiocchi.
Mi capita sempre, alzarmi dopo un lungo sonno ristoratore e avere in mente questo tipo di idiozie. Ristoratore si fa per dire visto che lavoro quaranta ore la settimana, al mattino mi sveglio all’alba per preparare i miei due figli per la scuola materna, convincendoli con trucchetti e mezzucci a fare colazione, indossare abiti decorosi e non costumi di Halloween, ingannarli circa il malfunzionamento del televisore ed uscire comunque in ritardo accumulandone di ulteriore una volta arrivati e trovando all’ingresso la più cattiva delle spose di dio che mi scocca occhiate furenti, biasimandomi come madre per non essere in grado, nemmeno una volta, di consegnarle i miei figli in orario.
Il più piccolo dei miei figli ha 4 anni, credo che sia più o meno quella del suo concepimento l’ultima volta che ho fatto l’amore con qualcuno. Sembra una cosa da sfigati, e probabilmente lo è, ma trovo sia poetico che quel momento così lontano nella memoria sia stato celebrato dalla nascita di un bambino. Oddio, non per la nascita del bambino in sé, quanto, piuttosto, per il fatto che sia stato procreato con amore. Ok, divago è probabile e non sono nemmeno riuscita a spiegarmi tanto bene.
Ogni volta che mi fermo al semaforo vicino al cinema, relativamente vicino al posto dove lavoro, mi si avvicina il solito zingaro che chiede a tutti se vogliono una lavatina al vetro in cambio di qualche spicciolo. A me non lo chiede più, infatti una volta che mi riconosce passa oltre. Viviamo in una sorta di limbo di imbarazzo perché una volta che ero ferma lì, nonostante mi sbracciassi per manifestargli il diniego di pulire il mio parabrezza, lui lo fece comunque facendomi arrabbiare parecchio, poi però se ne andò senza chiedermi nemmeno una monetina, solo guardandomi come fossi pazza. Io, da allora, vorrei evitarlo perché sento, come con la suora, il suo sguardo di biasimo che mi penetra fin dentro le ossa, ma per arrivare all’ufficio non c’è nessun’altra cazzo di strada.
Spesso quando arrivo a lavoro mi sento felice, non che ci sia niente che possa rendermi tale lá dentro, ma l’idea di essere per qualche ora libera dell’impegno di dover crescere da sola i miei due marmocchi, mi alleggerisce la giornata. Purtroppo non la pensano alla stessa maniera le mie colleghe che anziché parlarmi di dio solo sa cosa, hanno come argomento principe, ogni singolo giorno che dio le mette in terra, i figli. Non che sia una cosa totalmente negativa, ogni tanto salta fuori qualche dritta utile, tipo un rimedio efficace contro la diarrea che esclude i farmaci o altre delizie del genere, però, insomma, qualche volta parlare di un libro che si è letto o del culo del tipo che ci consegna il caffè non sarebbe male.
Il padre dei bambini mi ha lasciata quando il più grande aveva un anno ed in minore era, in sintesi, appena nato o giù di lì, non che questi siano i pensieri nei quali mi crogiolo quando sono a lavoro, tutt’altro, non ci pensò quasi mai, lo raccontavo a voi solo per completezza di informazioni, tipo quando vi chiederete “com’è che non c’è un cazzo di uomo nella sua vita?” avrete già la risposta bella che pronta. Non ho ben chiaro il motivo della fine della nostra relazione, penso che fosse perché ormai si sentiva pronto per un rapporto più serio e maturo con una che ha vent’anni meno di lui, e così una sera, dopo che me li sono ritrovata avvinghiati come serpi in calore in uno dei lettini dei bambini, ha preso il coraggio a due mani e mi ha confessato di voler esplorare nuovi orizzonti, aprire un chiringuito su di una spiaggia e fare tutte quelle cose che uno di cinquant’anni è propenso a fare.
Da allora i nostri amici, per lo più miei, la mia famiglia, persino la sua, sono molto gentili e disponibili con me, probabilmente temono che possa avere un crollo per come sono andate le cose, ma obiettivamente, chi potrebbe avere un crollo per essersi levata di torno un coglione di siffatta mole?
E no, non è il risentimento che parla, io in certe cose sono piuttosto obiettiva, sono in grado di capire la differenza tra bar e chiringuito, così come tra una persona a modo è uno stronzo, è di certo una capacità che si affina con gli anni, ma l’importante è arrivarci.
Nella fretta dell’attività mattutina ho scordato, come spesso accade, il pranzo sul tavolo della cucina, il gatto ci avrà probabilmente già rovistato e, altrettanto probabilmente, avrà gettato per terra tutto perché lo urta aprire i sacchetti e trovarci dentro becchime, biologico e altre stronzate salutiste che mi sono convinta ad ingerire da un bel po’ di tempo a questa parte.
Avete notato? Sì, ora vi dico cosa avreste dovuto notare. Negli ultimi anni nel nostro paese il numero di nuovi individui vegetariani è cresciuto in maniera esponenziale ma tant’è, appena ti ritrovi con amici e parenti e li metti a parte della tua nuova scelta in termini di alimentazione saltano tutti sulla sedia e si mettono a farti le domande più disparate. Una volta mia madre mi ha chiesto se non mi sentissi in colpa nei confronti delle lumache, che quelle sí mangiano solo lattuga e io gli sto sensibilmente riducendo la materia prima del loro sostentamento a disposizione. Non sono sicura scherzasse, ma è probabile, lei è un po’ una che scherza. Quando ha saputo della storiaccia con il mio ex, mi ha chiesto se poi, andando via, s’è portato dietro anche qualche giochino per la nuova fiamma o se quantomeno i lego sono rimasti a me. Bella solidarietà da parte di una madre, prendermi per il culo così, poi si preoccupano del crollo. Ah!
Sono scesa a prendere un tramezzino al bar qui sotto, il solito che frequento da che lavoro qui, vale a dire almeno dieci anni, è da altrettanto tempo il barista, che si crede un figo e, probabilmente, in un altro pianeta lo è, mi propina complimenti stucchevoli e battute da macho con un’alternanza encomiabile e al contempo distopica. Oltretutto, voglio dire, ci vuoi provare seriamente, anche solo nell’eventualità di un frettoloso amplesso consumato nel retrobottega? Offrimi quanto meno un caffè di quando in quando, invece niente, sia mai si vedesse fallito. Cosa che, tra l’altro e per ben altri motivi, già è.
Nel pomeriggio mi ritrovo nell’area comune per un caffè con le colleghe più giovani, un po’ per sfuggire ai discorsi da nursery delle mie coetanee, un po’ per tenermi aggiornata su quello che propone la società contemporanea. Vi sto mentendo, in realtà frequento i caffè delle colleghe più giovani solo per una sorta di immaginifico vouyerismo circa le loro relazioni mordi e fuggi. Questa, se l’avete notato, e se non l’avete notato ve lo dico io, è una cosa che di solito tendono a fare le persone sposate da tempo. Amano frequentare persone più giovani e preferibilmente single per vivere, attraverso i loro racconti, quelle scappatelle che bramano ma che non si sognano di realizzare perché, poveri loro, capiscono che la famiglia che hanno costituito è più importante di una botta e via. Ogni tanto, mentre sono lì che ascolto e, nel frattempo, penso a come mi sarei comportata io nella medesima situazione, qualcuna delle young tenta di propinarmi qualche suo amico veramente brillante per un aperitivo casual e da cosa nasce cosa. Io faccio gentilmente notare che da cosa sono già nate altre due cose, ovvero i miei figli, e che non mi sento tanto propensa a frequentare baldi giovani che, questi sì, hanno il legittimo diritto di sognare di aprire un chiringuito dio solo sa dove.
È raro, nel mio lavoro, che non insorga qualche problema dell’ultimo minuto che implichi dover vedere agitarsi sotto il mio naso l’indice della suora che mi rimbrotta per essere arrivata nuovamente in ritardo a recuperare i bambini e che minacci, dovesse accadere ancora, di chiuderli fuori dal cancello come sacchi della spazzatura in attesa che un netturbino, ops, operatore ecologico pedofilo se li porti via entrambi. Alla fine è una brava donna anche se non sembra, è che sta cosa della puntualità la fa svalvolare. La capisco, anche io prima di avere una famiglia, o almeno tre quarti di essa, ero una ragazza puntuale, anzi, peggio, ero una di quelle che arrivano sempre cinque o dieci minuti prima perché “non si sa mai”, salvo sapere sempre che poi avrei dovuto attendere quaranta minuti per gli imprevisti altrui. Essere puntuali equivale alla dannazione eterna, vorrei lo capisse anche la suora, sarebbe senz’altro dalla mia con ste argomentazioni, ma chissà perché non abbiamo mai il tempo di parlarne.
Prima di tornare a casa, se i marmocchi non hanno da svolgere qualcuna delle loro duecento attività che li tengono impegnati tanto quanto il presidente degli Stati Uniti durante una crisi internazionale con tanto di ostaggi, ci fermiamo a fare un po’ di spesa. La maggior parte delle volte lascio i bambini in auto, con un baffo di finestrino aperto così che quelli della Peta non avanzino denunce, lo so che non è un comportamento da brava mamma, ma se me li portassi dietro avanzerebbero pretese sul cibo che manco Mick Jagger prima di un concerto a central park, solo che, al contrario di Jagger, anziché cocaina, mi chiederebbero tonnellate di cioccolata e merendine che una come me fa persino fatica a pronunciare tanto sono chimiche e sofisticate. Oltretutto, diciamocelo, una donna da sola in dieci minuti è in grado di acquistare, senza margine di errore alcuno, la spesa per una settimana intera mettendo in preventivo anche qualche eventuale ospite o colpo di scena tipo serata estrema con teletubbies e pop corn. Una donna che fa la spesa con due maschi, beh, le cose cambiano parecchio, vi basti sapere di quella volta che chiesi al mio ex di fermarsi al market di rientro da lavoro e di comprarmi degli assorbenti con le ali, inviandogli tanto di foto esplicativa sul cellulare. Lo vidi rientrare a casa con una confezione di quella specie di guaine che negli anni novanta, quando c’erano ancora le giacche con le spalline, giusto per fornirvi una collocazione temporale, mettevi sotto le ascelle per evitare che le camicie bianche si pezzassero con il sudore. Ragazzi io, dopo anni, sono ancora qui che mi interrogo quale buco spazio temporale abbia imboccato per riuscire a trovare in vendita quei cosi!
Quando rientro a casa dopo la spesa e con i bambini al seguito sembra sempre di vedere una di quelle scene in cui ai terremotati viene concesso di rientrare nelle loro case messe in sicurezza.
Una delle cose più divertenti da fare in casa quando hai due figli piccoli e sei l’unica adulta che può badarvi è lavarsi. Noi abbiamo ovviato al problema di chiamare un parente o una baby sitter per tenerli d’occhio mentre io, dopo anni, mi faccio una lunga, calda e rilassante doccia in solitaria, facendo un bel bagnetto insieme tutti e tre.
Altra cosa che fa di me una mamma approssimativa, forse, ma loro si divertono, mi chiedono conto ogni volta di tutti i miei ciuffetti caduti in disuso, e sono puliti, mentre io ho quello che da anni si avvicina di più ad un momento di intimità con un uomo, ovvero giocare con la loro papera galleggiante. Non siate maliziosi, non c’è alcuna volontarietà nel sedervicisi sopra, vorrei vedere voi in tre in una vasca da bagno.
Ve la ricordate la serata estrema tutta teletubbies e pop corn? È una di quelle. Ci sta, l’inizio della settimana è in salita per tutti, specie se sei un quattrenne con zero aspettative di sbocchi professionali nel tuo paese e la prospettiva di finire all’estero a campare di fagioli in scatola e lenticchie, almeno i primi mesi. Peggio per il cinquenne la cui medesima prospettiva è più prossima di almeno un annetto.
Durante uno degli avvincenti episodi di sti stura lavandini iper colorati mi messaggia mia madre, una delle poche donne della sua età coscientemente iper connesse, per chiedermi come è andata la mia giornata, se ho trovato l’uomo della mia vita e se lo zingaro del semaforo continua ad odiarmi e evitarmi. Ve l’ho detto che ha una notevole vena ironica. Le racconto a grandi linee di come sono sopravvissuta a questa jungla metropolitana senza beccarmi nemmeno una denuncia per abbandono di minore e le auguro la buonanotte. Non so cosa facciano fare a sti ragazzini alla materna, probabilmente cucire palloni per paesi più evoluti del nostro a cinquanta centesimi l’ora, il che giustificherebbe ampiamente la stanchezza che manifestano, deo gratias, la sera.
Loro sono a letto che aspettano la favola della buonanotte, solitamente un breve estratto da un libro di Raymond Queneau perché non voglio che abbiano una vita facile e, se proprio ci tengono, l’ignoranza è una cosa che si conquisteranno da soli o con l’aiuto del padre se proprio un giorno decidesse di tornare a farsi vivo, io vorrei raccontarvi ancora qualcosa e voi, certamente, bramate di sapere qualcos’altro della mia giornata, insomma, uno stallo alla messicana in piena regola. Ovviamente non occorre che vi dica chi vincerà.
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Procreazione assistitita, l’utopia smascherata
I bambini nati da fecondazione artificiale presentano maggiori rischi di prematurità e di disturbi del comportamento, del linguaggio, dell’attenzione, ecc. E i genitori sviluppano una serie di problemi psicologici legati all’uso della Pma. Sono le conclusioni di un convegno di pediatri italiani, che tuttavia non condannano il ricorso alla tecnica. Eppure, alla ribellione alla legge naturale bisognerebbe dire “basta”.
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di Benedetta Frigerio (26-01-2020)
Verrebbe da gridare “finalmente!” leggendo gli atti del convegno “Procreazione medicalmente assistita: il bambino al centro”, della Società italiana di pediatria (Sip) e del Sindacato italiano degli specialisti pediatri (Sispe) che il 18 gennaio scorso a Roma hanno constatato l’esistenza di una correlazione fra malattie fisiche e psichiche crescenti dei bambini e i nati da fecondazione artificiale.
Teresa Mazzone, presidente del Sispe, ha affermato che il bambino prodotto come merce in laboratorio «potrebbe presentare alcune problematiche specificamente connesse alla possibile prematurità» e «a disturbi minori o maggiori che riguardano il comportamento e le performances, anche scolastiche future». Si parla di «outcome tardivi che riguardano prevalentemente lo sviluppo neurocognitivo: disturbi del comportamento, del linguaggio, deficit di attenzione, iperattività e disturbi dello spettro autistico». Inoltre, «ci sono anche dati sui giovani adulti nati da Pma che hanno dimostrato, ad esempio, maggiori problemi relativi all’ansia e all’assunzione di bevande alcoliche rispetto ai nati naturalmente».
Si direbbe che finalmente le foglie sugli alberi in estate sono state riconosciute come verdi e che la natura non può che ribellarsi se manipolata. Ma c’è un ma. Perché pur ammettendo che il processo innaturale della produzione di persone è da considerarsi un fattore di rischio, i pediatri concludono che, siccome potrebbero esserci anche altre cause (come l’età della madre), la sperimentazione umana può tranquillamente procedere anche se il Registro nazionale sulla Pma dell’Istituto superiore di sanità indica che ormai circa il 3% della popolazione nasce da Pma (2017).
Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell’età evolutiva e responsabile del servizio terapie dell’Istituto di Ortofonologia, ha così affermato che «abbiamo il dovere di capire e non di demonizzare questo argomento, di cui è ancora molto difficile parlare», per cui anche Mazzone si guarda bene dal dire che la fecondazione andrebbe evitata. Se mai bisogna «conoscere i possibili rischi collegati a queste metodiche. Difatti è il principale dovere del pediatra: essere consapevole dei rischi, valutare il bambino con attenzione e intervenire precocemente, perché ad alcune di queste criticità giovano moltissimo una diagnosi e un intervento riabilitativo precoce». Insomma, invece che prevenire il danno, si decide di pensare a come mettere delle pezze.
I pediatri dunque non condannano la fecondazione in vitro, pur non potendo evitare di denunciare i danni supplicando le donne di non attendere ad avere figli dopo i 35 anni. Mazzone ha infatti sottolineato che anche se bisognerebbe limitare la Pma «ai casi in cui c’è veramente necessità, le tecniche di fecondazione assistita garantiscono senza dubbio sempre maggiori risultati in termini di gravidanze e di nascite». Come a dire che se i genitori raggiungono lo scopo desiderato (pur in percentuali minime) i bambini passano comunque in secondo piano, sebbene soffrano sindromi psicologico/psichiatriche gravi o siano a rischio vita (con la maggioranza degli embrioni che muore): Di Renzo ha ammesso che «su 100 mila embrioni solo 9 mila nascono», che si «assiste a uno spreco (come fossero beni industriali, ndr) del 91% di embrioni che muoiono e il passaggio più delicato va dallo scongelamento all’inserimento in utero: il 40% degli embrioni muore, infatti, in fase di scongelamento. Ora gli studi puntano a capire cosa succede in questa fase, perché è lì che si determinano anche le mutazioni cromosomiche».
Anche i genitori, però, prima o poi la pagano. Le madri sviluppano problemi psicologici perché «la maternità non viene declinata nella dimensione affettivo-corporea», ha proseguito Di Renzo. Se poi «l’infertilità è un lutto» e «la Pma si è posta come una riparazione immediata» non si permette «alle donne di accedere al dolore. Questa sofferenza non scompare, rimane dentro come una ferita non elaborata ed è molto probabile che alla quarta stimolazione ovarica, ad esempio, ci sia una risposta emotiva molto forte da parte delle donne». Si pensi poi alla soppressione di uno degli embrioni in utero, perché ritenuti eccessivi per la donna, da cui nasce la «“sindrome del sopravvissuto”, che vede la madre considerare l’embrione sacrificato come l’eroe che si è appunto sacrificato per gli altri (sebbene sia stata lei a voler ucciderlo, ndr)… gli altri vivranno nella sua ombra e tale dinamica si ripercuoterà nella relazione, con il rischio di una difficoltà nell’attaccamento nei bambini nati». Nel caso poi «della donazione di ovocita riscontriamo una grande difficoltà delle mamme a dire di averlo ricevuto».
Infine, c’è l’alto rischio di nascita pretermine e ancor peggio il fatto che «da uno stesso gruppo di embrioni possono nascere bambini in momenti diversi: è la sindrome del falso gemello asincrono che crea una dissonanza psichica».
Un panorama tetro se si pensa che la scienza occidentale fino a prima di regimi come quello nazista, che hanno praticato l’eugenetica, non avrebbe mai sacrificato sul suo altare degli esseri umani. Ancor meno se innocenti. Il principio di prudenza vuole infatti che se esiste anche una minima correlazione fra malattie gravi e morte, da un lato, e una certa tecnica, dall’altro, è a questa seconda che bisogna rinunciare. Ma evidentemente stiamo vivendo in un regime simile, se non peggiore, a quelli che tutti amano ancora condannare a parole. Visto che gli adepti del Führer si nascondevano nei campi di concentramento con le loro cavie, mentre oggi tutto si svolge alla luce del sole.
Ecco, se questo è il mondo in cui siamo costretti a vivere, dove il male si fa sempre più legge, d’altra parte la realtà comincia a parlare così forte che l’utopia dell’uomo perfetto in provetta si allontana. Pare così più vicino il momento in cui le tenebre, il dolore, le malattie e la disperazione che si diffondono al crescere della ribellione alla legge naturale (che Dio ha voluto per aiutare l’uomo a camminare nella via stretta ma buona della vita) saranno tali che l’uomo, bramando una luce, dovrà gridare (più che “finalmente!”) “adesso basta!”.
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levysoft · 5 years
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Cominciamo dai fatti: i Pinguini Tattici Nucleari suoneranno al Forum di Assago il prossimo 29 febbraio. Prima di loro, altri cavalieri dell'itpop hanno alzato l’asta del microfono nel palazzetto più grande di Milano: Calcutta, i pace-all’anima-loro TheGiornalisti, Gazzelle. Il loro sbarco su quel palco, però, ha per me ancora dell’incredibile: niente di personale contro la band di Riccardo Zanotti, Elio Biffi e compagni, ma il loro grande successo resta per me un mistero.
I Pinguini non sono proprio il tipo di band che ti aspetti di vedere davanti a 12.500 persone. Forse a causa della loro immagine da eterni bonaccioni bergamaschi, anni luce lontana da quella più da figo scanzonato “à la Carl Brave”. Aggiungiamoci che non sono mai stati esaltati come “fenomeno del momento” o non hanno mai goduto dell’hype che spesso travolge molti musicisti del genere, Eppure, alla fine, i bravi ragazzi dell’Indie italiano sono arrivati fin lì. Ma come è successo?
Non è solo una fortunata serie di album e singoli, il loro carisma o la loro simpatia, tantomeno l’aver suonato in ogni angolo d’Italia dal 2012 ad oggi, fino ad arrivare al palco del Jova Beach Party. Dopo un’attenta analisi, secondo me, il segreto del successo dei Pinguini Tattici Nucleari è la loro mediocrità, ma detto senza cattiveria. Vi spiego meglio: nonostante abbiano le competenze e gli attributi per spaccare, i Pinguini si sono trovati a percorrere la strada meno battuta dell’industria musicale, ovvero quella dell’ostentata umiltà. E si sa che le cose che escono dagli schemi ma non del tutto sono quelle che, potenzialmente, fanno più rumore.
Spogli di ogni divismo rock, ma anche delle vesti da bono maledetto dell'indie, i nostri Pinguini hanno deciso di essere normali per piacere al più grande pubblico esistente—quello medio appunto.
Non è un caso, infatti, se il loro ultimo album si chiama proprio Fuori dall’Hype, come a voler dire a tutti noi che hei non ce ne frega niente della fama e del successo guardateci siamo fieri di essere noi stessi eccetera eccetera. Una dichiarazione contro il brutto-e-cattivo mondo dell'itpop e i suoi beceri meccanismi, come l’ossessione per i followers su Instagram, le playlist di Spotify e il fantomatico hype costruito a tavolino. Loro sono diversi e in quelle tre semplici parole del titolo hanno, molto molto in breve, espresso tutto questo.
Infatti sul loro Instagram, riferendosi alla canzone che dà il titolo all’album, hanno detto che "L’hype è un gioco pericoloso. Per noi la musica è altro. Non essere il più grande, il più forte, il più atteso, ma saper condividere le proprie debolezze. La canzone parla di questo, ed è dedicata alla musica”. Come a dire che nella gara a chi ce l’ha più lungo, loro non lo tirano fuori perché non sono interessati a questa puerile competizione—ma tra le righe lasciano intendere che vincerebbero contro tutti. E questo lo dimostrano in modo sottile, senza palesarlo, ma usando sempre l’inconfondibile ironia e sfiga provinciale che li contraddistingue. Perché mai prendersi sul serio o scadere in pose da divo del palcoscenico, perché loro sono semplici proprio come tutti noi.
Tuttavia, non è una coincidenza se proprio il loro album anti-hype per eccellenza è anche quello più “pop” e leggero, come ha dichiarato Elio Biffi a Lettera43, e quindi per assurdo anche quello più “commerciale”. Insomma, ok fottere il sistema, ma anche loro devono guadagnarsi il pane e vendere qualche album. E, come si vede, lo sanno fare molto bene. Tutto merito di un’immagine da perfetti “normali” in cui ogni ragazzo italiano di età media tra i 16 e i 30 anni si può rispecchiare. Spogli di ogni divismo rock, ma anche delle vesti da bono maledetto dell'indie, i nostri Pinguini hanno deciso di essere normali per piacere al più grande pubblico esistente—quello medio appunto.
La strategia messa in atto, per quanto probabilmente involontaria, è più complessa di quanto sembra. Non basta parlare di vita quotidiana, tematiche sociali e amore, come faceva lo Stato Sociale: bisogna anche mettere in scena tutto quell’immaginario pop che tutti amano e conoscono. In “Antartide” vengono citati Harry Potter, i personaggi di Scrubs e Gigi d’Agostino—“Ad undici anni quando eri piccola aspettavi una lettera da Hogwarts / Per dimostrare a tutti i tuoi compagni che eri tu quella diversa da loro." In “Nonono” compaiono i Piccoli Brividi e il Festivalbar, l’apoteosi del nazionàl-popolare.
Ma qua e là compaiono anche citazioni per pochi, giusto per non deludere le aspettative di quella fascia di pubblico che, per età o per passione, non disdegna Vasco Rossi (“E ti porterei anche in America / Che ho venduto la macchina apposta” da “Monopoli”), Massimo Troisi (“Sembrava amore invece era una stronza amen” in “Sashimi”) e pure Miyazaki con la Principessa Mononoke (“Verdura”). E così, anche il pubblico dei trentenni acculturati ce lo siamo portato a casa.
Non solo tematiche popolari, ma anche il punto di vista popolare è fondamentale per la messa in scena dei Pinguini Tattici Nucleari. “Scatole”, ad esempio, parla del complicato rapporto padre-figlio che ogni generazione si è trovata ad affrontare. Il padre che vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme, il figlio che si sente incompreso da un padre che tuttavia non vuole deludere. Ma, nonostante il talento scrittorio di Riccardo, il testo è scritto con una semplicità disarmante e una penna che non lascia nulla all’immaginazione: “Lui avrebbe voluto che facessi gli studi d'architetto / Oppure da ingegnere / Ma io volevo fare il musicista”. Tutto perfetto affinché chiunque possa immedesimarsi nel testo e fare sua la canzone.
I Pinguini sono i bravi ragazzi alla Richie Cunningham, quelli che non si fanno tutta Roma a piedi per una pischella, né tantomeno le spaccheranno la faccia se non gli darà il cuore.
Anche l’amore in chiave Pinguini Tattici Nucleari ha lo stesso trattamento. Prendete una canzone come “La Banalità del Mare”: già il titolo ammicca a “La Banalità del Male” della scrittrice Hannah Arendt:, a chi coglie la citazione, i Pinguini stanno dicendo che non sono così coglioni come sembrano. Ci sarebbe anche tutto un parallelismo semantico tra la semplicità dell’amore contemporaneo e l’idea espressa dalla Arendt, ma tutto viene eclissato da espressioni quali “Ti prego non usciamo questa sera / Restiamo qui ad accarezzare il gatto” oppure “Con te i lunedì sanno di sabato / Non ricordo neanche dove abito”. Insomma, anche in amore i Pinguini, come dicono in “Verdura”, sono i bravi ragazzi alla Richie Cunningham, quelli che non si fanno tutta Roma a piedi per una pischella, né tantomeno le spaccheranno la faccia se non gli darà il cuore.
Ed è per questo motivo che piacciono tanto a tutti. Alle ragazze, perché pure noi ci sciogliamo per quelli un po’ imbranati e romantici, che non ti portano in America, ma almeno al cinema sì. Ai ragazzi, perché non sono una minaccia, non innescano in loro la competizione o l’invidia—anzi, sono più simili a degli amici con cui farsi una partita a biliardino al bar del quartiere. I Pinguini piacciono perché non sbandierano nessun machismo cinematografico o prodezze passionali, al contrario si vantano di essere persone normali che fanno cose normali. Quindi non generano nessun complesso di inferiorità nei loro fan, perché si immedesimano perfettamente nei loro testi.
Per non farci mancare nulla possiamo aggiungere anche i loro videoclip, sempre politicamente corretti e con l’immancabile vena (anzi, aorta) ironica che li rende simpatici anche alle nonne—chi non vorrebbe scorrazzare per il proprio supermercato di quartiere sui carrelli della spesa dopo aver guardato "Verdura"? Il video per “Fuori dall’Hype”, invece, gioca la carta emozionale, e mentre lo guardi ti domandi se per caso è partito uno spot della Apple o dell’Ikea.
A parte la comunicazione online e l’immagine da bonaccioni, un elemento fondamentale del successo dei Pinguini Tattici Nucleari è l’orgoglio provinciale. Ma potevano alzarsi al di sopra della media? Ovviamente no. E infatti non parliamo della provincia infame cantata da Massimo Pericolo o Speranza ma di quella di Bergamo, nord Italia. Ancora una volta, un paesaggio in cui regna la normalità: nessuna sparatoria, disagi sociali o difficoltà del ghetto. Solo l’innocuo nulla dell'anonimato provinciale.
Tuttavia non è una provincia di cui ci si vergogna o da cui vogliamo scappare con la mente, come faceva Vasco Brondi quando fantasticava di scappare da Ferrara e Ravenna sulle astronavi. Anzi, i Pinguini si fanno paladini dell’orgoglio di provincia, incarnando la genuinità del mondo bergamasco e sbandierando il Pota Power. Il video per il brano “Le Gentil” è forse l’esempio più rappresentativo: nell’intro, infatti, uno scienziato si rivolge al pubblico in bergamasco e alla fine del suo monologo svela il soggetto del suo discorso—la pota appunto. Sotto questo video sono molti i commenti dei fan della prima ora che ringraziano la band per l’omaggio al dialetto, che effettivamente non è molto in voga nella scena indie.
Insomma, l’idea che danno i Pinguini Tattici Nucleari è che sono arrivati al successo, senza volerlo, e forse senza nemmeno accorgersene. Se la loro immagine di bravi ragazzi anonimi della provincia bergamasca sia costruita al tavolino o no, resterà per noi un mistero. Ma quel che è certo è che con la loro banalità, i loro sorrisi sinceri e vestiti come se fosse ancora la mamma a comprargli le camicie, hanno conquistato il grande pubblico, dai ragazzini ai trentenni, dalle mamme agli ascoltatori più esigenti. Aveva ragione Lucio Dalla a dire che l’impresa eccezionale è essere normale, perché, in effetti, alla fine ti porta fino al Forum di Assago.
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girlfromtube · 5 years
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PHOTOSET: (1) http://girlfromtube.tumblr.com/post/182055343938 (2) http://girlfromtube.tumblr.com/post/182055364838 Gus Portokalos: E' meglio che ti sposi presto, cominci a sembrare vecchia. Toula Portokalos: *Mio padre me lo dice da quando avevo quindici anni. Perché le brave ragazze greche devono fare tre cose nella vita. Sposare ragazzi greci, fare figli greci e cucinare per tutti fino al giorno della loro morte.* Toula Portokalos: *Mi sarei dannata per essere come le ragazze benvolute da tutti. Che sedevano insieme a parlare e a mangiare i loro panini col pane in cassetta...* Toula Portokalos: Mà! Maria Portokalos: Che c'è?! Toula Portokalos: Perché devo andare a scuola di greco? Maria Portokalos: Quando ti sposi non vuoi essere capace di scrivere una lettera alla tua cara suocera?! Toula Portokalos: *Mio padre credeva solo in due cose. Che i Greci dovevano insegnare ai non-Greci a essere Greci e che qualsiasi disturbo dalla psoriasi all'orticaria, poteva essere curato con il Vetrix.* Toula Portokalos: *Mio fratello ha due compiti. Cucinare e sposare una greca vergine.* Zio Taki: Per me sta bene. Gus Portokalos: Bene??? Come bene??? Non bene!!! Zia Voula: Non sta bene!!! Guarda Athena, è sposata e con tre figli. Nick Portokalos: Io mi sposerò papà, te lo prometto. Gus Portokalos: Tu hai un sacco di tempo Nick. Zio Taki: E avrai sempre Toula per il ristorante. Zia Voula: Ah, questo è vero! Toula non ti lascerà mai, no signore. Toula Portokalos: *Vorrei che la mia vita fosse diversa. Vorrei essere più coraggiosa, più carina o soltanto felice. Ma è inutile sognare perché non cambia mai niente.* Ian Miller: Già me l'hai fatta incontrare. Mike: Nancy?! Ian Miller: A quel picnic. Mike: No, quella no. Quella era Pamela, questa è Nancy. Ian Miller: Sembrano uguali. Mike: Beh puo' essere. Vuoi che te la faccia incontrare? Ian Miller: Sono tutte uguali, Mike!!! Mike: Darò un compito a sorpresa e non vedo l'ora di sentire i lamenti. Ian Miller: Sei una carogna! Io ne darò uno su Amleto, ma li ho avvertiti per tempo. Gus Portokalos: Perché!!! Perché vuoi lasciarmi!!! Toula Portokalos: Io non ti sto lasciando. Non vuoi che combini qualcosa nella mia vita? Gus Portokalos: Si!!! Sposati, fai bambini!!! Sembri così vecchia! Maria Portokalos: L'uomo è il capo, ma la donna è il collo e lei puo' far girare la testa come pare e piace! Maria Portokalos: Non è stupida! E' in gamba! Gus Portokalos: Lo so che è in gamba e allora perché deve studiare ancora? E' già tanto per una donna! Maria Portokalos: Oh!!! Ti credi più in gamba di me, eh??? Gus Portokalos: No, io... Maria Portokalos: Cosa??? Che vuoi dire??? Io dirigo il ristorante, cucino, pulisco, lavo per te e cresco tre figli. E insegno a scuola la Domenica! Lo sai?! E' una fortuna per me, avere te che mi allacci le scarpe!!! Gus Portokalos: Maria... Zia Voula: Dimmi cosa dire, ma non dirmi cosa dire! Maria Portokalos: Perfetto! Ian Miller: Mi ricordo di te. Toula Portokalos: Stavo attraversando una fase... Fino ad ora... Ed ero un fagotto. Ian Miller: Io non mi ricordo di un fagotto, ma mi ricordo di te. Toula Portokalos: Vedi tu hai due cugini, io ne ho ventisette di primo grado. Sono ventisette solo quelli di primo grado! E tutta la mia famiglia è enorme, è chiassosa e tutti si intromettono nella vita degli altri, s'impicciano continuamente!!! Così non hai mai un momento da sola per pensare perché stiamo sempre insieme a mangiare, mangiare, mangiare. Le sole persone che conosciamo?! Sono greche! Perché i greci sposano i greci per procreare altri greci, chiassosi, procreatori, mangioni greci. Toula Portokalos: Non vedo come la cosa possa funzionare. Ian Miller: Funzionare?! Cosa c'è da far funzionare?! Non apparteniamo a specie diverse! Si, veniamo da differenti ambienti culturali e guarda ti do' una notizia sulla mia vita fino a questo momento. Era noiosa! Poi ti ho conosciuto e sei interessante, sei bellissima, spiritosa e sì hai una famiglia strana. Chi non ce l'ha? Sai, voglio passare un po' di tempo con te. Voglio passare tanto tempo con te. Maria Portokalos: Dove sei stato?! Nick Portokalos: Da nessuna parte. Maria Portokalos: Che hai fatto?! Nick Portokalos: Niente. Maria Portokalos: Chi hai visto?!?! Nick Portokalos: Nessuno. Devo andare. Maria Portokalos: Magari stai vivendo una storiella d'amore. Ma finiscila qua! Toula Portokalos: Io lo amo. Maria Portokalos: Oh Toula pensa a mangiare! Per favore. Maria Portokalos: Quei due si amano. E' fatta! Gus Portokalos: Come? Come puo' fare questo a me??? Maria Portokalos: Oh, non è che l'ha fatto a te o a me. Si sono innamorati, questo capita. Gus Portokalos: E' un bravo ragazzo? Non lo so. E' di buona famiglia? Non lo so. E' rispettoso? Non lo so, non lo so, non lo so perché nessuno mi dice più un accidente ormai!!! Un ragazzo rispettoso, lui viene qui a chiedere il mio permesso. Toula Portokalos: Sento che quando sono con te sono tanto felice, ma la mia famiglia è tanto infelice. Il nostro matrimonio dovrebbe essere un momento di gioia, ma non lo sarà per loro perché non avverrà nella nostra Chiesa. Perciò andiamocene da qualche parte! Ti prego, andiamocene via! Ian Miller: Hey. Io ti amo. Toula Portokalos: Perché? Come mai tu mi ami? Ian Miller: Perché ho cominciato a vivere quando ti ho conosciuta. Toula Portokalos: Ma la mia famiglia? Ian Miller: Tu sei parte della tua famiglia e io farò qualsiasi cosa. Tutto il necessario perché loro mi accettino. Sei la mia vita ora, sei tutta la mia vita ora. Noi non sgusceremo via a sposarci come se ci vergognassimo di noi stessi, capito? Nick Portokalos: Non è tanto male. Toula Portokalos: Vuoi scherzare? Da un momento all'altro mi guarderà e dirà "Bella, non ne vali la pena!" Nick Portokalos: Si invece. Ian Miller: Signor Portokalos! *Cirsto acersti!* Gus Portokalos: Eh... *Quando il mio popolo già scriveva filosofia, il tuo dondolava ancora sugli alberi!* Toula Portokalos: Gli piaci! Nick Portokalos: Sai, non ho mai visto mia sorella così felice! Ian Miller: Aw! Nick Portokalos: Se soffre ti ammazzo e sembrerà un incidente. Toula Portokalos: Papà, il fatto è che non vogliamo allargarci troppo. Tu preferisci fare bancarotta piuttosto che dispiacere a qualcuno! Gus Portokalos: Toula, sono venuto in questo Paese con otto dollari nella mia saccoccia, per fare tutto questo per te. E chissà quanto tempo ancora vivrò. Toula Portokalos: Dammi quella lista. Gus Portokalos: Brava!!! Ian Miller: Gli ha sputato addosso. Toula Portokalos: Si, porta fortuna, tiene lontano il Diavolo. Maria Portokalos: Ian, tu hai fame? Ian Miller: No. Ho già mangiato. Maria Portokalos: Bene, ti preparo qualcosa! Ian Miller: Come vuole... Nick Portokalos: Sono passato all'Università e ho preso questo. Guarda. Comincerò poco alla volta, sai. Farò qualche corso serale. Io voglio solo imparare di più sulla pittura e l'arte in generale. Toula Portokalos: E' una cosa fantastica! Nick Portokalos: Si. Hai cominciato tu. Volevi fare qualcosa di diverso, Toula. E ci sei riuscita. Toula, non lasciare che il passato ti dica chi sei, ma lascia che sia parte di chi diventerai. Toula Portokalos: Nick è una frase bellissima! Nick Portokalos: Già. "Ditelo a Melina" è una rubrica che sa il fatto suo. Toula Portokalos: Quanta roba cucini per queste persone?! Maria Portokalos: Sono un sacco di persone! Toula Portokalos: Sono tre in tutto. Maria Portokalos: E noi. Toula Portokalos: Con noi siamo in sette. Maria Portokalos: E la famiglia! Toula Portokalos: La famiglia? Hai invitato tutta la famiglia? Maria Portokalos: Ma certo!!! Toula Portokalos: Mà... Gli ho detto 'Venite per una cenetta tranquilla, vi presento i miei.' Maria Portokalos: Tanto vale che gli presenti tutta la famiglia, giusto?! Gus Portokalos: Io c'ho provato, tu ci hai provato, tutti noi carini con loro l'hai visto! E loro guardavano noi come usciti dallo zoo!!! Maria Portokalos: Gus, per favore... Gus Portokalos: Non funziona. Non funziona, Maria. Sono, sono, sono persone diverse. Così asciutte. Quella famiglia è come il pane secco, senza miele, senza marmellata, asciutte! Mia figlia. Mia figlia sposerà Ian Miller, uno streniero! Maria Portokalos: Lo so. Gus Portokalos: Uno straniero con una famiglia di rinsecchiti!!! Mike: Oh, mi avresti chiesto di farti da testimone?! Ian Miller: Beh, sì! Mike: Sono commosso! Non avevo idea che tu avessi così pochi amici! Maria Portokalos: Il mio villaggio ha visto molte guerre. Turca, Tedesca. Hanno fatto tutte un macello. E mia madre, mia madre diceva "Siamo fortunati! Fortunati ad essere in vita!" e io pensavo "Non siamo fortunati ad essere in vita! Non siamo fortunati quando ci dicono dove dobbiamo vivere, cosa dobbiamo mangiare. Nessuno ha questo diritto." E poi vedo te e vedo Athena e Nick. Siamo venuti qui per voi così potevate vivere. Io ti ho dato la vita perché tu possa viverla. Maria Portokalos: Toula, la mia prima notte di nozze, mia madre mi disse "Le donne greche possono essere agnellini in cucina, ma sono tigri in camera da letto!" Toula Portokalos: Non vorrei che pensasse di sposare uno zoo... Toula Portokalos: Eccoci. Ian Miller: Cosa? Toula Portokalos: Facciamo i nostri primi passi come marito e moglie. Sei pronto?! Ian Miller: Sono pronto. Toula Portokalos: Dobbiamo per forza? Ian Miller: Non siamo due matti in fuga. Entriamo. Toula Portokalos: D'accordo. Fammi controllare... Ah, si sta ritirando grazie a Dio! Ian Miller: Cosa? Toula Portokalos: Mi sono svegliata con un grosso foruncolo, stamattina! Ian Miller: Dove? Toula Portokalos: E' qui! Ian Miller: Anch'io ce l'avevo stamattina. Toula Portokalos: Davvero?! E dove?! Ian Miller: Sì! Beh era qui, ma ora non c'è più. Toula Portokalos: E come mai? Ian Miller: C'ho passato il Vetrix. Gus Portokalos: Dunque allora, qui stasera abbiamo Mela e Arancia. Siamo tutti diversi, ma alla fine siamo tutti frutta! Toula Portokalos: *La mia famiglia è enorme, è chiassosa, ma è la mia famiglia. Litighiamo, ridiamo e sì arrostiamo l'agnello sullo spiedo davanti casa. Ma dovunque io vada, qualunque cosa faccia, loro ci saranno sempre.*
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sciatu · 6 years
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MERCATI SICILIANI
L’UOMO CHE VENDE EMOZIONI E LA SIGNORA IN ROSSO.
Come ho detto in un mio post precedente, ho un piccolo banco nel mercato di C…. dove vendo emozioni. Sebbene l’articolo non sia facile, ho una discreta clientela e non mi posso lamentare. Ad esempio, tra i miei clienti fissi c’è La signorina Elisa a cui racconto ogni volta il suo matrimonio, ogni volta in un luogo o con un uomo diverso e che chiede dettagli, sul suo vestito da sposa vergine, sul profumo di lui, la forma del volto, i colori degli occhi, l’altezza, gli invitati, la cerimonia, i fiori in chiesa, ed ogni volta se ne va dal mio banco ripetendo a se stessa il suo nome da sposata quasi fosse un titolo nobiliare “La Signora Elisa Calabrò in Pe-rez…- oppure – la Signora Elisa Calabrò in Man-ga-na-ro ….”. Oppure c’è il signor Patanè a cui descrivo il momento in cui avrebbe sedotto la sua vicina,  la vedova Randazzo che lui amava da anni senza saperglielo dire; così lo vedo arrossire ogni volta che gli racconto come in un giorno di pioggia, sul pianerottolo di casa, lui l’avrebbe abbracciata e mentre lei cercava debolmente per via delle convenzioni, dell’età di sottrarsi alla sua stretta, lui l’avrebbe finalmente baciata, con l’impeto di un diciottenne, con la voglia di un amante segreto e lei alla fine avrebbe corrisposto al suo bacio lasciandosi andare tra le sue braccia. Anche qui erano importanti i particolari: il rossetto rosso scuro sulle labbra di lei, il seno ansimante che si intravedeva tra la camicetta sbottonata, il profumo costoso, la sua schiena nervosa, il suo stringersi a lui fino a diventare un'unica entità nella penombra del pianerottolo. C’era poi Filippo, che non aveva mai conosciuto il padre e a cui racconto di come un giorno qualunque un uomo sarebbe apparso sulla porta del suo negozio, vestito in maniera esotica, da marinaio o da turista americano con pantaloncini, maglietta e macchina fotografica o con un vestito bianco come un avventuriero sudamericano e quando lui avrebbe alzato gli occhi dal pantalone che stava cucendo, si sarebbe specchiato in due occhi eguali ai suoi che in lui cercavano una storia mai vissuta eppure sempre cercata, un’anima mai conosciuta eppure nota, un amore mai dato eppure sempre pensato. Oppure infine la signora Mela a cui raccontavo la laurea o il fidanzamento o il matrimonio del figlio che non aveva mai avuto e che con me rivedeva per come il suo cuore insaziabile di madre lo avrebbe voluto, o di come la sua anima soffocata dalla solitudine voleva immaginarlo. I giovani subiscono le emozioni, le persone mature le cercano, gli anziani le ricordano, tutti le desiderano perché le emozioni sono il vino della vita e segnano quanto abbiamo vissuto, quanto vorremmo vivere. Per questo non mancava mai qualcuno pronto a sedersi al mio piccolo banco, in cerca di un sogno e, grazie ad esso, di un’emozione.  
Ormai ero abbastanza conosciuto sia tra i colleghi venditori che tra i frequentatori abituali del mercato e quest’ultimi, ovviamente si dividevano tra chi mi riconosceva come un mavaro (mago) e quelli che viceversa mi pensavano un truffaldino millantatore. A quest’ultima schiera apparteneva anche una donna elegante che regolarmente visitava il mercato, forse più per il piacere di sentirne le voci ed ammirarne i colori piuttosto che per una reale necessità. La prima volta che la vidi mi passò di fronte, senza neanche vedermi, con un cappello di paglia, un vestito di organza ed una grande collana di fili di corallo di un rosso intenso. In quella calda giornata di luglio passò con una movenza leggera che mi rimase impressa per l’eleganza e la sensualità. La settimana successiva la rividi, questa volta con un vestito bianco con enormi fiori rossi ed il solito cappello di paglia, la riconobbi dalla movenza sinuosa di donna fascinosa indifferente a tutti ma che di tutti attira l’attenzione ed ancora una volta, seduto al mio piccolo banchetto, proprio perché così diversa dal mio essere minimale e marginale, ne restai affascinato. Col tempo capii che veniva sempre alla stessa ora, sempre elegante e sempre con qualcosa di rosso, finché in autunno non indossò anche spolverini e vestiti di un rosso mattone o un porpora delicato quasi che non volesse eccedere indossando un rosso Valentino. Incominciai a chiamarla “la Signora in Rosso” ed ogni giorno aspettavo con ansia il suo arrivo, ammaliato dalla sua eleganza e dalle sue forme di donna cosciente della sua bellezza esteriore altera e calda, ma custode gelosa di quella interiore. Un giorno passando vicino a me si accorse del mio cartello e si fermò stupita. Abbassò gli occhiali da sole e guardandomi mi chiese “Ma cos’è che vendi tè?” e nel parlare non nascose la sua cadenza emiliana, dove le s avevano un arabesco sensuale che arricchì la visione carnale che di lei mi ero fatto. “Vendo emozioni” dissi biascicando le parole come uno scolaretto che non aveva studiato. Lei mi guardò ancor più stupita e si mise a ridere, con una risata spontanea, naturale, per cui non ci si poteva offendere, nei io mi offesi perso ad osservare il suo volto, la sua perfetta dentatura risaltare circondata dalle labbra di un intenso rosso corallo. Da quel giorno non evitava di passare dal mio banco e se avevo clienti alzava gli occhi al cielo come a dire “ecco che ne sta’ infinocchiando un altro”, se non c’era nessuno mi chiedeva “oggi gli affari vanno male vhè?” e sorridendo si allontanava con l’ancheggiare naturale delle donne la cui femminilità traspare in ogni gesto. 
Andò avanti per qualche mese, arrivando le piogge, capitò che in un giorno grigio e piagnucoloso, non volendo passare la mattinata al freddo sotto un acquazzone, invece di aprire il mio banco me ne andai nel bar all’angolo della piazza dove tutti gli ambulanti andavano generalmente a prendere un caffè o una granita. Mi sistemai in un tavolo appartato e incominciai a scrivere sul mio i-pad. L’acquazzone si trasformò in una pioggia torrenziale e d’improvviso il locale si riempì di clienti senza ombrello e venditori bagnati fino alle ossa. Nella calca difendevo la sedia di fronte a me lasciandovi sopra il mio zaino per evitare che qualcuno si sedesse. Arrivò il proprietario del Bar, un omone grosso ed burbero con un enorme anello d’oro sull’anulare destro che spostando il mio zaino con indifferenza gridò a qualcuno alle spalle “Professoressa, s’assittassi ca – guardandomi con fare minaccioso aggiunse – tantu a lei non ci disturba, no?!” la sua era quella che si definisce una domanda retorica, perché senza aspettare la risposta spostò la sedia per far sedere qualcuno, e li apparve la Signora in Rosso. “Grazie Gesualdo, lei è molto gentile – fece rivolta al padrone e sedendosi si accorse di me per la prima volta e subito sorridendo (o forse ghignando come fa la iena capobranco quando vede una vittima) continuò – oh è lei: una gradita sorpresa!” e sorrise tra se e se come se le sue parole avessero per lei un significato diverso da quello che io potevo dar loro.  “Ci pottu subitu u caffè” fece il padrone scomparendo nella calca. Lei mi studiò per qualche secondo mentre io fingevo di interessarmi all’i-pad. “Ha visto che tempo?” esordì  con un fare affettato, fin troppo gentile “Lo avevano detto in televisione : forte precipitazioni” risposi indifferente, “Ma chi si immaginava così forte -  notò seccata poi guardandomi  continuò con un altro tono di voce – Certo per lei è un grosso problema, oggi non potrà lavorare “ “Il banco al mercato è per me un secondo lavoro, io scrivo soggetti per il teatro e la televisione: il mercato mi serve per prendere appunti per creare certi personaggi “ “Davvero… -  fece lei allargando gli occhi come quella di una bambina stupita per poi chiuderli nuovamente facendoli diventare quelli di una faina – pensavo che lei fosse un psicologo, o un mentalista, uno che studia il comportamento delle persone. Altrimenti come fa a “emozionarli? “ e sorrise fissandomi negli occhi con la severità di una maestra. “No, non sono un psicologo. Vede quando ero bambino emigrai con i miei genitori in un paese straniero dove non capivo la lingua, ma osservando il volto delle persone, il tono della voce e la mimica facciale, capivo cosa dicevano. La cosa mi è rimasta: osservando ed ascoltando le persone, ne capisco la personalità, chi sono e cosa vogliono” mi guardò stupita mentre il padrone del bar le serviva il caffè. Lei ringraziò e quando il signore Gesualdo si allontanò chiese “Allora devo stare attenta, lei potrebbe capire cosa penso e chi sono” e sorrise, guardandomi sottecchi mentre beveva. La guardai ancora con la mia aria svanita e indifferente avido della forma dei suoi occhi e del loro colore, del disegno delle labbra e delle onde dei suoi capelli neri. “Mi sta già dicendo tante cose di lei, se si chiudesse a riccio, ne capirei ancora di più perché è quello che vogliamo nascondere la parte più importante della nostra personalità” mi osservo, questa volta veramente stupita, ma subito si riprese e sorniona, facendo brillare i suoi occhi nocciola mi chiese “E cosa ha capito di me sentiamo”. Io la guardai dicendomi che era veramente una bella donna e che dovevo stare attento perché per quanto ne dicessero i pittori del rinascimento, non sempre la bellezza è sinonimo di animo gentile. “Lei è bolognese, lo capisco dall’accento, dalla parlata e dal fatto che veste preferenzialmente di rosso. Una mia amica di Bologna mi ha detto che le donne di Bologna amano vestire di rosso, come la loro città, che se guardata dalle colline che la circondano appare indossare il colore rosso dei suoi tetti. Come personalità è una Cangiante, io chiamo così le persone che passando dall’essere solari ad uno stato d’animo più oscuro, un po’ sornione e un po’ calcolatore. In fondo dentro di sé diffida degli altri e questa diffidenza è la parte dolorosa dell’essere una Cangiante, perché non avendo fiducia, non sa cogliere il momento di comunione con gli altri, quella bellezza che appare per poco quando due anime si toccano e poi scompare. Sa fidarsi degli altri solo per un istante, per una parola, un sorriso per poi fuggire come una vecchia signora che non si fida, come una bambina che ha paura. È questo da una parte la rende melanconica perché pensa di non poter avere mai quanto cerca, dall’altra la spinge ad essere curiosa, a cercare sempre il bello che per lei ha un valore assoluto. Penso che questo spieghi il motivo perché, quando ha un’ora buca al liceo qui vicino, viene sempre a questo mercato a cercare, a voler conoscere a voler parlare con tutti. Poi però torna sempre al liceo, da sola, in silenzio, mai soddisfatta e sazia di quanto ha trovato, senza forse sapere cosa cercava.” Ascoltava in silenzio, senza commentare e giocando con la tazzina. “… e tutto questo l’ha capito in questi pochi secondi che mi ha parlato?” sapevo che non avrebbe commentato, o giudicato quanto le avevo detto; una Cangiante non dà informazioni su quanto prova o su chi è, preferisce sempre depistare, nascondersi… “Più o meno…” dissi appoggiandomi alla sedia, per allentare la tensione che stava salendo. Alzò gli occhi per guardarmi e capivo, da come teneva gli occhi fissi che stava pensando intensamente. “non mi ha detto come fa a emozionare però “ aveva cambiato argomento repentinamente, come immaginavo. “Diceva Pirandello che ognuno di noi è come un pupo mosso da delle corde interne, quella della ragione, dei sentimenti, della pazzia. Io cerco la corda sottile direttamente legata con il nostro cuore, quella che basta appena toccarla per far nascere in noi sentimenti forti: dolore, passione, pietà, desiderio…..” “ e come fa a sapere quali sono “ “Me lo dicono loro, i miei clienti; ognuno di noi quando parla e si descrive, quando si muove si rivela senza accorgersene”.
 Guardò alle mie spalle dove c’era la porta d’ingresso e sorrise. “Lei allora saprebbe far emozionare chiunque? anche una Cangiante?” “è un po’ difficile ma ci si riesce…” “Allora perché non fa emozionare il signore che entra adesso…” quando mi voltai capii che mi aveva teso una trappola. Sulla porta infatti c’era Cesare, il garzone del banco della carne gestito da suo suocero. Cesare era un borgataro romano finito a C…. seguendo una ragazza che poi aveva sposato. Palestrato, tatuato in ogni parte del corpo, orecchini e catena d’oro, diretto e schietto nel parlare, aveva una laurea in turpiloquio e un Master in “vaffanculo”, portava i quarti di bue sulle spalle con la stessa facilità ed intimità con cui un ballerino di valzer portava la compagna. Se c’era qualcuno che non sapeva neanche come si scriveva “Emozioni” quello era lui. “Signor Cesare, signor Cesare – incominciò a chiamarlo – venga, venga che dobbiamo fare un esperimento” Cesare l’osservò e per un attimo pensai che la mandasse a quel paese come era uso fare con chiunque, poi mi ricordai che il fratello piccolo di sua moglie andava al liceo e se lei lo conosceva voleva dire che era uno dei suoi alunni. Un brivido mi corse lungo la schiena pensando che Cesare non le poteva dire di no. “Ah professorè che c’è, che è sto sperimento?!” fece Cesare contrariato con il suo vocione “Venga ora il signore la farà emozionare “, “Che me fa?”, “la fa emozionare, la fa piangere dalla contentezza” “Ah! che me da un bello piatto di pasta alla pagliata? io piango solo a vederlo” e si mise a ridere mentre si sedeva al posto della professoressa. Intanto gli altri avventori, richiamati dall’agitazione della Signora in Rosso, si erano disposti intorno a noi per gustarsi la scena. Cesare si era seduto al tavolo e chiedendo di fare presto perché doveva scaricare i capretti mi guardò minaccioso e concluse sfidandomi “Fozza famme piagne” e sorrise con un ghigno. Mi alzai lentamente mentre la Signora in Rosso mi guardava sorniona e sulla faccia aveva lo stesso ghigno, molto più femminile e sensuale, di quello di Cesare. Mi misi dietro a quell’armadio di carne ripetendomi che bisognava lasciar perdere le Cangianti che ti fregano sempre, chiesi a Cesare di chiudere gli occhi e mentre intorno a noi scendeva un silenzio denso di curiosità, io incominciai a parlare. 
”Siamo in uno stadio pieno all’inverosimile, la partita è appena finita ma nel campo vi sono ancora i giocatori e sugli spalti sessantacinquemila tifosi tutti con una sola maglia rossa e gialla con il numero 10.” feci un secondo di silenzio “ è il 28 maggio 2017 …” Cesare a sentire la data si irrigidì, il suo volto perse il suo ghigno e restò in attesa del resto “… giorno dell’ultima partita di Francesco Totti.” Cesare aprì gli occhi “il Capità…” “in alto vola un aereo con la scritta ‘Grazie Capitano’, sugli spalti colorati in rosso e giallo spunta la scritta ‘Totti è la Roma’. Tutti iniziano a cantare ‘Roma, Roma Roma…’  le labbra di Cesare ripetendo con me senza emettere suono ‘Roma, Roma Roma…’, Totti è commosso, si avvicina alla rete e si arrampica per salutare. Sugli spalti sessantacinque mila cantano, piangono, ricordano, scattano fotografie ed osservano Totti. Lui va ad abbracciare Pallotta e incomincia a piangere mentre i suoi figli, sua moglie, lo osservano, tristi, preoccupati per lui…..” il muscolo della mascella di cesare si contrasse, quasi a non voler creder che il suo capitano potesse piangere. “… inizia l’inno della Roma, tutti cantano piangendo, commovendosi, ricordando i suoi goal, le partite in cui ha lottato fino alla fine, senza mai arrendersi, senza mai indietreggiare, combattendo, dando l’esempio ai suoi compagni, guidandoli nella vittoria senza mai accettare la sconfitta, ogni volta con la stessa determinazione, impegno e coraggio; lui era la speranza dei suoi tifosi, era il timoniere della sua squadra a cui ha dato tutto senza mai credere di poter finire di giocare, lui era il primo figlio di Roma, il cuore, il credo, l’anima di una squadra, che non aveva mai lasciato, che non aveva mai tradito perché lui era il Gladiatore, il Capitano, era…Totti….” gli occhi di Cesare brillarono, fissi ad osservare un punto lontano, si inumidirono e lentamente due lacrime incominciarono a scendere lungo le gote. “Ecco i suoi compagni gli danno una targa. Rossi piange…” “Rossi…” ripeté Cesare ormai in trance mentre rivedeva la scena, “…Florenzi piange….” “…piange…” ripeté Cesare. “ Totti prende il microfono e incomincia a parlare….’Purtroppo è arrivato questo momento che speravo non arrivasse mai…’…” Cesare si alzò e ripeté le mie parole quasi sottovoce “ purtroppo è arrivato questo momento che speravo non arrivasse mai…” “la gente applaude, canta, resta in silenzio, si commuove, piange, lui continua ‘in questi giorni ho letto tantissime cose su di me, belle bellissime: ho pianto sempre tutti i giorni perché venticinque anni non si dimenticano così….’ la gente applaude ancora, piange commossa “ a questo punto Cesare con le guance  rigate alzò lentamente le braccia al cielo e incominciò a cantare “Un Capitano, c’è solo un Capitanooo….” e muovendosi cantando, se ne andò verso la porta. Prima di uscire si voltò verso di noi che lo osservavamo stupiti e girandosi, smise un secondo di cantare, baciò lo stemma della Roma che aveva tatuato sul bicipite sinistro e disse  “Grazie …”, poi uscendo sulla piazza continuo a cantare “…un Capitano…”. Io lo capivo; avevo toccato qualcosa che per Cesare era sacro, non voleva che gli altri vi partecipassero, che assistessero come spettatori anonimi ed estranei al suo ricordo, alla sua commozione: quella era solo sua, per questo se ne era andato. Tutti l’osservarono stupiti, poi lentamente, commentando e mormorando, tornarono a quanto facevano prima dell’arrivo di Cesare. 
Tornai a sedermi di fronte alla Signora in Rosso e guardandola le chiesi “Vuol provare anche lei? posso donarle emozioni che non ricorda più. La prima volta che ha fatto l’amore, quando ha visto per la prima volta l’alba, la nascita di un figlio, la morte di un parente: posso leggere in lei come se fosse trasparente….” mi guardò al solito senza mostrare nessuna emozione. “Devo andare – disse infine presa dalla fretta e dal nervosismo – è tardi, fra un po’ mi inizia una lezione. Una bella prova. Interessante. Ma è stato facile. Ci vediamo comunque…. la saluto” raccolse le sue cose e se ne andò di corsa alla cassa a pagare il caffè, poi senza neanche prendere il resto, scappò fuori. Tirai un sospiro di sollievo. Le cangianti sono pericolose, se poi sono di quelle che ti infiammano il sangue, bisogna starci veramente attenti.
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nottisenzalune-blog · 6 years
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Per tutti quei amori, mai dispersi sempre ripresi. Sorrisi, prese per la mano e baci sulla bocca. La foga di una passione che non smette mai di sciogliersi fra le coperte di una casa calda. Per tutti quegli occhi pieni di stelle senza neanche il bisogno di cristalli e di ricchezza materiale, basta respirarsi. Per le parole sussurrate, senza far sentire a nessuno quello che siete voi, perché a volte l'amore è un segreto ululato da un lupo preso dalla voglia di parlare alla luna, cose banali, tipo le rose. Per tutte quelle volte che anche le urla di un litigio di gelosia, smania e possessione, sia diventato poi solo un bacio per i fiammiferi. Per tutti quei messaggi freddi che poi sperare di passare la notte una accanto all'altro e carezze date di mattina e complicità fatta di sera a piena alba, l'amore tutta la notte. Per chi si accarezza e non può tenersi perché il mondo fa paura e le persone scarabocchiano parole che fanno male. Per chi si stringe pieni di immaturità, in bilico fra scegliere se amarsi insieme o distanti, se crescersi fino a invecchiarsi o invecchiare fino a crescere. Per chi perde la testa, perché proprio quel bacio lì, quella notte lì, per quelle mattine senza parole e mai pieni di silenzio che turbano il cervello, perché a letto con altri, non vogliono essere lì, ma mostrarsi ai propri amanti, senza esser giudicati, senza esser solo un filo del destino che poi spezzato, non gli aggiusterà mai il cuore. Per chi lasciato con una rosa di spine e puro sangue, abbandonato da bugie e sberle di quei ti amo sempre creduti. Per chi folli, amano perdutamente la propria vita e sè, perché stanchi di perdonare, stanchi di peggiorare, decidono di migliorare. Per chi pazzi odiano il modo in cui funziona il pensiero sull'amore, ma quanto il desiderio possa costringerli ad amare, senza correzioni o punteggiature, scelgono di amare fuori riga. Per chi odia perché ha il cuore andato a male, per le violenze subite e le discriminazioni pugnalate alle spalle. Per chi se ne importa del pensiero degli altri. Per chi sa di sapere tutto, ma alla fine pensa di non sapere niente. Per chi manca. Per chi gli manca qualcuno. Per chi piange per un'amore andato a male, per una parola detta male. Per chi soffre per amore, per la tutta colpa di esser usati come un ostaggio fisico al piacere dell'altro/a ma ancora non si arrende a conquistare, a determinare. Per chi ama indifferentemente. Per chi c'è e non c'è. Per chi può esserci e chi non può. Per chi si sente un difetto e per amare un altro, lascia soffrire sè. Per chi ama senza chiedere amore, senza chiedere di darle la vita indietro, il respiro e gli affanni di tutti quei pomeriggi mai perduti, ma solo colui o colei perduto da chi non l'ama.
Io dedico le mie lacrime.
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invacanza · 3 years
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Proteggi il tuo animale domestico dai visitatori estivi spaventosi
Il seguente articolo è stato fornito dal dottor Phil Zeltzman, un chirurgo veterinario certificato dal consiglio di Whitehall, Pennsylvania, come cortesia ai lettori di goodnewsforpets. Per iscriverti alla sua newsletter, clicca qui.
del dottor Phil Zeltzman
Serpenti a sonagli
I serpenti a sonagli possono uccidere i cani e le persone, o almeno causare brutte ferite o malattie gravi. Di solito, i gatti tendono ad essere più intelligenti sui serpenti.
Ci sono serpenti a sonagli anche in Pennsylvania, comprese le bellissime montagne Pocono. Pochi giorni fa, un abbonato in Nevada ha scritto:
"Fa piuttosto caldo adesso. Le temperature sono sugli 100. Ho ucciso il mio primo serpente a sonagli l'altro giorno. Ho pensato che se non l'avessi fatto, quella dannata cosa sarebbe strisciata nel cortile sul retro dove sono i cani. Li ho fatti vaccinare contro i serpenti a sonagli, ma non voglio davvero provarlo! "
Se i serpenti sono un problema nella tua zona, potresti prendere in considerazione l '"addestramento per evitare i serpenti a sonagli", offerto da un addestratore che usa serpenti a sonagli con le zanne. È un processo interessante, che sembra essere piuttosto efficace. I cani finiscono per imparare a riconoscere l'odore del serpente e in futuro (dovrebbero) evitarli come la peste.
Alcuni veterinari offrono un "vaccino contro il serpente a sonagli". È difficile sapere quanto bene funzioni in alcune aree, poiché è progettato per il Western Diamondback, ma potrebbe esserci una protezione incrociata con i serpenti a sonagli locali.
Non è una panacea, ma può diminuire la quantità di anti-veleno necessaria. È consigliato soprattutto nei cani da caccia, escursionismo e ricerca e soccorso. Se sei interessato, potresti chiedere al tuo veterinario di famiglia informazioni su questo vaccino.
Controllo dei parassiti
I prodotti utilizzati per uccidere i parassiti sono molto spesso tossici per gli animali domestici. Il più noto è il veleno per topi, così come l'esca per lumache e lumache. Questi sono sicuramente i principali assassini di animali domestici di cui essere a conoscenza.
Pulci e zecche
Questi sono i parassiti "esterni" più comunemente visti, quindi parla con il tuo veterinario abituale dei modi migliori e più sicuri per combattere gli insetti malvagi. La malattia di Lyme, trasmessa dalle zecche, è un problema comune in Pennsylvania ed è stata diagnosticata praticamente in tutto il paese.
Altri insetti pungenti
Fai attenzione agli altri morsi di insetti. Alcuni cani amano cercare di catturare insetti volanti. Se il tuo cane viene morso o punto, rimuovi il pungiglione e osserva il sito per una reazione allergica. Se si verifica una reazione o ci sono state più punture di vespe, api o zanzare, vai sul sicuro e porta il tuo animale domestico dal veterinario il prima possibile.
"Fly strike"
Potresti saltare questo paragrafo ... poiché parleremo dei vermi. Non sono sicuro del perché, ma alcune persone pensano che i vermi siano disgustosi ... Questa è una delle pochissime cose che possono far star male alcune delle mie infermiere più tenaci.
Le mosche possono deporre le uova nel drenaggio, nei fluidi corporei o nei tessuti malati. Ad esempio, potrebbe essere una ferita, diarrea, urina, drenaggio oculare, pus ecc. Certo, non è molto probabile che accada a un cane giocattolo che va dalla sua poltrona personale in grembo al suo proprietario.
È più probabile che accada ad animali domestici che hanno un pelo spesso o lungo, che hanno subito una ferita aperta o che vivono all'aperto. Le misure preventive includono il bagno e la toelettatura, il trattamento rapido di condizioni come diarrea e infezioni, tenere gli animali domestici in casa e programmi di controllo delle mosche.
Dopo che le mosche depongono le uova, diventano larve, dette anche vermi, in sole 12 ore. Per crescere, i vermi si nutrono di carne animale. In realtà, questo è usato a nostro vantaggio nella medicina umana per curare alcune ferite aperte difficili.
I vermi alla fine diventano mosche e sono presto pronti a deporre le uova sulla prossima vittima ... e il meraviglioso cerchio della vita continua.
Te l'avevo detto che era disgustoso!
Filariosi cardiopolmonare
Le zanzare trasmettono la filaria, che può essere una condizione mortale per cani e gatti. Si prega di parlare con il veterinario dei test per la filariosi cardiopolmonare e quando somministrare farmaci preventivi.
Proprio come te, il tuo animale domestico può essere punto in casa, quindi non somministrare farmaci preventivi perché il tuo animale vive rigorosamente in casa non è appropriato. In effetti, uno studio ha dimostrato che quasi 1/3 dei gatti infetti era rigorosamente in casa. Quel che è peggio, non esiste un trattamento per la condizione nei gatti.
A proposito, la filariosi cardiopolmonare è un termine improprio: colpisce principalmente i polmoni, non solo il cuore.
Porcospini
L'elenco di oggi potrebbe essere infinito, quindi volevo solo includere questo suggerimento per i nostri nuovi lettori poiché abbiamo discusso in precedenza di questo argomento.
Controlla per vedere se ci sono istrici nella tua zona. Possono essere creature affascinanti, ma non hanno intenzione di giocare bene con il tuo cane.
(Altro) Animali sotto attacco
I proprietari di animali domestici a volte imparano nel modo più duro sui pericoli della vita all'aria aperta per i nostri cani e gatti.
VPI, la compagnia di assicurazioni, ha recentemente pubblicato la top 10 degli animali selvatici che più frequentemente hanno attaccato e ferito animali da compagnia nel 2008. I morsi hanno portato a oltre 500 richieste di risarcimento per lacerazioni / ferite da morso.
E i colpevoli sono ...
1. Serpente
2. Coyote
3. Procione
4. Scoiattolo
5. Scorpione
6. Javelina
7. Porcospino
8. Maiale macinato
9. Skunk
10. Ratto
Non sei sicuro di cosa sia una Javelina? È lo stesso di un pecari, che ovviamente è un "maiale selvatico con una coda rudimentale e piccole zanne, originario degli Stati Uniti sud-occidentali". Le affermazioni di Javelina e scorpione erano esclusive dello stato dell'Arizona.
In Pennsylvania, vediamo lesioni dovute a serpenti e istrici.
A proposito, gli aggressori meno comuni erano una capra, un castoro, un orso nero, un leone di montagna, un falco, un coniglio, un riccio di mare e una medusa.
Questo è un altro motivo per tenere i gatti in casa e i cani strettamente sorvegliati e per tenere il passo con la loro vaccinazione contro la rabbia.
Ho chiesto ad alcuni colleghi locali (cioè intorno ad Allentown, Pennsylvania e verso i Poconos) quale fosse stata la loro esperienza con gli attacchi di animali:
"Ho rimosso gli aculei dei porcospini e anche i cani suturati che hanno combattuto con le marmotte (incluso il mio mix di Labrador)."
“Vediamo molti morsi di maiale macinato. Hanno denti molto lunghi. La maggior parte dei cani viene morsa nella zona del labbro o della testa. I maiali terrestri non sono soliti portatori di rabbia, ma QUALSIASI MAMMIFERO PU PORTARE RABBIA! Se trovi un maiale morto, devi pensare alla rabbia. È molto importante portare il maiale morto al tuo veterinario, con il tuo cane, per i test della rabbia ".
“Molti aculei di porcospino nei cani - il proprietario spesso cerca di tirarli ma in realtà non dovrebbero! È molto doloroso e senza una forte sedazione o anestesia non è davvero possibile eseguire un esame completo della bocca. Gli aculei finiscono sotto la lingua, le guance, di solito tra i denti. I cani hanno anche bisogno di antibiotici e antidolorifici dopo ".
“Ogni estate vediamo un paio di morsi di serpente nei cani, sia morsi di serpente a sonagli che morsi di testa di rame. Molte volte il proprietario non vede mai il serpente, ma il cane urla di dolore mentre gioca vicino a un ruscello e ci sono i classici segni delle zanne. "
“Abbiamo visto casi di morsi di procione (alcuni erano positivi per la rabbia). Molti cani sono stati spruzzati da moffette. Se vengono spruzzati direttamente negli occhi, i cani diventano molto a disagio ".
“Ho visto almeno 3 attacchi di orsi con ferite gravi - tutti sono sopravvissuti. Attacchi di un cervo (CENSURATO). Ho avuto una volpe infettata dalla rabbia che inseguiva un proprietario e il loro cane e gatto nella loro casa, ma nessuno si è ferito. "
"Il mio Boston terrier è stato quasi portato via da un falco dalla coda rossa."
Allora qual è la morale della storia?
1. Non lasciare che il tuo animale domestico vada fuori senza supervisione se sospetti che possa incontrare uno dei pericoli di cui sopra - o altri.
2. Prevenire problemi prevenibili: pulci, zecche, filariosi ecc.
3. Prevenire malattie contagiose o trasmissibili: rabbia, parvo ecc.
4. Gioca sul sicuro e buona estate!
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cirifletto · 4 years
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5 Buoni Consigli Per Superare La Timidezza
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Riuscire a superare la timidezza è possibile. E si può realizzare facendo in modo di non temere assolutamente il giudizio degli altri. Alla base della timidezza c’è sempre il giudizio degli altri, la paura che quello che gli altri pensano di noi sia negativo.
La timidezza emerge per evitare il giudizio negativo degli altri, perché sarà causa di sofferenza per te. Se non ci fosse questo giudizio, se fosse certamente positivo, o se non avesse importanza ai tuoi occhi, tu non proveresti mai timidezza.
Se la timidezza è un’abitudine, allora devi iniziare a costruire l’abitudine opposta: la sicurezza in te stesso, o te stessa. Qui di seguito troverai alcuni buoni consigli per diventare indipendente da qualsiasi forma di timidezza. Così non dovrai più superarla, perché l’avrai eliminata per sempre. I timidi si nascondono come certi quadri negli angoli dei musei e aspettano di essere guardati dagli occhi giusti.Fabrizio Caramagna
1 - ESPOSIZIONE GRADUALE
La timidezza ti spinge a evitare le situazioni in cui rischi di essere giudicato, o giudicata, in modo negativo. E l'abitudine, generata dalla timidezza, ti porterà a ricascare in queste situazioni. La prima cosa che devi fare è smettere di incorrere nuovamente nella vecchia abitudine. In altre parole devi evitare di dare modo agli altri di rifiutarti o ritenerti una persona inadeguata. Non dici cosa pensi davvero.Scegli di non fare quello che vuoi.Non difendi le tue opinioni e le cambi magari quando parli con gli altri.Preefrisci non esporti, mostrando chi sei ma fingi di essere quello che gli altri apprezzeranno. Ti riconosci in queste affermazioni? Bene. Devi fare proprio il contrario, iniziare a esprimerti, essere te stesso, o te stessa, in qualsiasi situazione, ma in modo graduale. Più eviti quello che ti spaventa, più questa paura si rafforza, questa abitudine diventa forte.
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Quello che devi fare, a partire da subito, è cominciare a esporti, al giudizio degli altri. Se ti crea timidezza parlare con persone che non conosci, inizia, quando sei in questa situazione, a farlo. Basta esprimere un tuo parere, fare una domanda, chiedere qualcosa. Come detto inizia a farlo in modo graduale. Parti da cose semplici, dici cosa pensi su temi generali, e, giorno dopo giorno, inizia a farlo su argomenti importanti e anche con persone che sai bene non condividono la tua opinione. Sei timida con i tuoi colleghi perché hai poca esperienza e paura di dire sciocchezze? Inizia a fare domande, a chiedere consigli, a porre le tue idee come se cercassi un suggerimento, per capire se ti sbagli.Sei timido con le ragazze? Inizia a chiedere loro informazioni anche se non le conosci, a fare complimenti generali a una cassiera gentile che ti serve o una commessa competente. Gradualità. Inizi a fare cose semplici, che però di solito non faresti, e arrivi a dire la tua su questioni più importanti, a esprimere cosa pensi e fare cose che preferisci, mostrando chi sei. Ricorda che deve essere graduale, ma devi esporti, altrimenti non cambierai mai nulla.
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2 - AGIRE COME SE
Il segreto per riuscire in questo processo graduale è agire come se. Se tu non fossi più timido, o timida, come affronteresti quella situazione? Questa è una domanda importantissima, e devi iniziare subito a fartela in tutte le occasioni in cui di solito emerge la tua timidezza. Se ti trovi con altre persone e stanno tutti parlando di un argomento, ma tu sei zitto, o zitta, cosa diresti se fossi estroverso, o estroversa? Con che tono, in che modo, come parleresti? Pensaci e poi fallo davvero. Ricorda sempre la regola della gradualità, non partire da cose difficili, inizia da qualcosa di molto semplice, ma inizia. Devi agire come se già avessi superato la timidezza, e devi farlo gradualmente, ma ogni giorno.
3 - RISPOSTE PRONTE
Ripensa alle situazioni in cui di solito rispondi in modo timido. Perché se le conosci, diventa più facile prepararti. Se sai che la timidezza ti assale quando c’è una ragazza che non consoci, tieni pronte due o tre cose da dire che potrebbero andare bene in qualsiasi situazione.Se sai che la timidezza prende il sopravvento quando sei con i tuoi colleghi e parlano di lavoro, tieni pronta qualche domanda o qualche idea da comunicare. Devi agire come se già la timidezza fosse vinta, e farlo in modo graduale, ricordi? Se sai già cosa dire, specie le prime volte, diventa tutto più semplice. Quindi, risposte pronte e decise. Devi prepararti, avere qualche risposta pronta a domande che ti potrebbero mettere in difficoltà, oppure idee da condividere. Se vuoi vincere la paura del fuoco non devi bruciarti una mano, ma tenere tra le dita almeno un fiammifero.
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4 - TRASFORMA TUTTO IN UN TEST
Quando inizi a esporti potresti incontrare la disapprovazione degli altri. Pensa sempre con l’atteggiamento di un ricercatore. Fai una domanda e osservi la reazione degli altri, e la tua.Dici cosa pensi e osservi come rispondono gli altri, e tu.Racconti un episodio e valuti come le persone reagiscono, e come reagisci tu. Invece di pensare che gli altri stanno per giudicarti, pensa di dover scrivere cosa vedi. Magari poi fallo, che può esserti utile. Osserva la reazione degli altri e le tue risposte a queste reazioni, come se stessi facendo un test di laboratorio. Non sono mai reazioni o giudizi su di te. Questo ti aiuterà a non vivere come un giudizio su di te quello che succede. Ricorda che se inizi a osservare in modo "scientifico" quello che fai, quasi fossi in laboratorio, rendi tutto più semplice.
5 - ABITUATI AL RIFIUTO DEGLI ALTRI
Il giudizio degli altri non è mai un giudizio su di te. Il rifiuto non vuol dire rifiutare te. Nessuno rifiuta te, ma solo l’idea che loro hanno di te. Ognuno di noi pensa solo se quello che fanno gli altri è giusto o sbagliato. Alle persone non piace cosa dici perché non è quello che loro vorrebbero sentirti dire. Le persone spesso non ti conoscono. Per rifiutarti, dovrebbero conoscerti, capirti, comprendere non solo cosa fai, ma soprattutto perché lo fai, cosa provi, che emozioni vivi. Parti da questo presupposto: le persone non rifiutano o amano te, ma solo l’idea che di te si sono fatte. E ti apprezzano quando questa idea corrisponde a cosa piace a loro.
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La felicità odia i timidi.Eugene O’Neill Detto questo, anche proprio perché ogni giudizio di rifiuto vale poco o niente, devi abituarti a riceverlo. Se hai paura di annegare perché non sai nuotare, è inutile fare una ricerca sul nuoto o sul mare: vai in acqua e impara.Quando hai paura di cosa penseranno gli altri del tuo nuovo taglio di capelli perché il parrucchiere ha fatto un disastro, vestiti ed esci senza nasconderlo.Se hai paura di non saper superare un esame, è inutile chiedere che domande fa il professore, studia e siediti per superarlo. La paura si vince affrontandola, non evitando le situazioni che ci spaventano. Anche il coraggio è un’abitudine. Quindi cosa fare? Abituati al rifiuto. Pensa alle situazioni in cui gli altri non approveranno le tue idee, e vivile, dì cosa pensi, esponiti volontariamente alla loro disapprovazione. Non fare cose pericolose, offensive o che possano fare del male a qualcuno. Usa il buon senso, mi raccomando! Devi abituarti a non star male per il giudizio degli altri, tutto qui. LEGGI ANCHE... L’Ombrello Delle Cose Positive, Un Riparo Dalle Avversità Se proverai a mettere in pratica i suggerimenti, sopra espressi, trasformerai gradualmente la tua visione, e la timidezza sarà solo un ricordo. Ciao da Tommaso!! Vieni a visitarci sulla nostra pagina Facebook e Metti il tuo MiPiace! Condividi il nostro articolo sui tuoi social >> Read the full article
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iostomentendo · 4 years
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Sul fenomeno dei lavori del cavolo
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Di David Graeber.
Nel 1930, John Maynard Keynes aveva previsto che, entro la fine del secolo, lo sviluppo della tecnologia sarebbe stato tale da consentire a paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti di avere una settimana lavorativa di quindici ore. Ci sono tutti i motivi per credere che avesse ragione. Dal punto di vista tecnologico, le condizioni esistono già.
Ciononostante non è accaduto.
Al contrario, la tecnologia è servita semmai per trovare il modo di farci lavorare tutti di più. Per riuscirci si sono dovuti creare impieghi che di fatto sono inutili. Ampi strati della popolazione, in particolare in Europa e nel Nord America, passano l’intera vita lavorativa a svolgere compiti che in cuor loro ritengono non andrebbero affatto svolti. Il danno morale e spirituale che ne deriva è grave. È una cicatrice che segna la nostra anima collettiva, anche se praticamente nessuno ne parla.
Come mai l’utopia promessa da Keynes – attesa con impazienza ancora negli anni Sessanta – non si è mai concretizzata?
La spiegazione più comune oggi è che lui non aveva calcolato l’enorme crescita del consumismo. Davanti alla scelta tra meno ore e più giochi e divertimenti, abbiamo collettivamente optato per questi ultimi. Si tratta di un bel racconto morale, ma basta rifletterci un attimo e si capisce che non può essere vero. Certo, è dagli anni Venti che assistiamo alla creazione di un’infinita varietà di nuovi impieghi e settori, ma ben pochi di questi hanno a che fare con la produzione e vendita di sushi, iPhone o scarpe da ginnastica alla moda. Che cosa sono allora di preciso questi nuovi lavori? Un recente studio ha comparato l’occupazione negli Stati Uniti nel 1910 e nel 2000 offrendoci un’immagine chiara (e, faccio notare, riprodotta abbastanza fedelmente nel Regno Unito). Nel corso dell’ultimo secolo, il numero delle persone impiegate in lavori domestici, nell’industria e nel settore agricolo è crollato sensibilmente. Allo stesso tempo, sono triplicati i «lavoratori professionisti, dirigenziali, impiegatizi, del commercio e dei servizi», crescendo «da un quarto a tre quarti dell’occupazione complessiva». In altre parole, i lavori produttivi, proprio come previsto, sono stati in buona parte automatizzati. (Perfino se nel calcolo si escludono i lavoratori dell’industria a livello globale, comprendendovi le masse di quelli indiani e cinesi, questi comunque non rappresentano più una percentuale della popolazione mondiale grande quanto in passato.) Tuttavia, invece di una riduzione significativa delle ore lavorative, tale da consentire alla popolazione mondiale di dedicarsi ai propri progetti, piaceri, visioni e idee, abbiamo assistito a una gonfiatura non tanto del settore dei «servizi» quanto di quello amministrativo, fino alla creazione di settori totalmente nuovi come i servizi finanziari o il telemarketing, o all’espansione senza precedenti di quelli come il diritto societario, l’amministrazione universitaria e sanitaria, le risorse umane e le relazioni pubbliche. E i numeri di questa crescita non tengono conto di tutte quelle persone che hanno il compito di fornire supporto amministrativo, tecnico o di sicurezza a questi settori né, per altro, della miriade di imprese ausiliarie (chi lava i cani o consegna le pizze di notte) che esistono solo perché tutti gli altri passano troppo tempo a lavorare nei suddetti settori.
Sono questi quelli che propongo di definire «lavori del cavolo».
È come se qualcuno ci costringesse a svolgere compiti privi di scopo soltanto per tenerci tutti occupati. Ed è proprio qui che si annida il mistero. Nel capitalismo è precisamente questo che non dovrebbe accadere.
Certo, nei vecchi e inefficienti Stati socialisti, come l’Unione Sovietica, dove l’occupazione era considerata tanto un diritto quanto un sacro dovere, il sistema inventava tutti i lavori che potevano servirgli. (È il motivo per cui nei grandi magazzini sovietici occorrevano tre commessi per vendere un pezzo di carne.) Ma, ovviamente, questo è appunto il tipo di problemi che la concorrenza di mercato dovrebbe risolvere. In base alla teoria economica, se non altro, l’ultima cosa che un’impresa a scopo di lucro farà sarà sborsare soldi a lavoratori di cui non ha affatto bisogno. Eppure, per qualche ragione, succede proprio questo. Quando le aziende effettuano spietati tagli del personale, i licenziamenti e le accelerazioni dei ritmi ricadono invariabilmente su quella categoria di persone che si occupa di produzione, spostamento, aggiustamento e manutenzione. Per qualche strana alchimia che nessuno è in grado di spiegare, di recente il numero di passacarte stipendiati pare in crescita, e sempre più impiegati si ritrovano – non diversamente dai lavoratori sovietici, a dire il vero – a lavorare quaranta, se non cinquanta ore alla settimana, in teoria, poiché di fatto ne lavorano quindici, proprio come aveva previsto Keynes: il resto del tempo, lo trascorrono a organizzare seminari motivazionali o a parteciparvi, ad aggiornare i loro profili su Facebook, o a scaricare serie televisive. La risposta chiaramente non è di tipo economico: è invece morale e politica. La classe dirigente si è resa conto che una popolazione felice e produttiva con tempo libero a disposizione costituisce un pericolo mortale. (Provate a pensare a quel che si è messo in moto quando si è profilata questa situazione negli anni Sessanta.) D’altra parte, per questa classe è straordinariamente vantaggiosa l’idea che il lavoro sia un valore etico in sé, e che nulla spetti a chi non è disposto a sottostare per la maggior parte delle sue giornate alla severa disciplina che esso comporta. Una volta, mentre stavo considerando la crescita apparentemente senza fine dei compiti amministrativi nei dipartimenti universitari britannici, ho avuto una visione di come potrebbe essere l’inferno: è un insieme di individui che passano buona parte del tempo lavorando a qualcosa che non amano e che neanche sanno fare particolarmente bene. Immaginate che siano stati assunti perché sono ottimi falegnami e che poi scoprano di dover trascorrere gran parte del tempo a friggere pesce. E ipotizzate che non sia nemmeno un lavoro da svolgere davvero, o perlomeno che ci sia solo una quantità limitata di pesci da friggere. In qualche modo, però, tutti provano rancore al pensiero che alcuni colleghi possano passare più tempo a fabbricare mobili anziché friggere pesce come invece dovrebbero, cosicché nel giro di poco accumulano enormi mucchi di pesce cotto male e inservibile in tutta la bottega, ed è l’unica cosa che fanno. Ritengo che questa sia una descrizione piuttosto precisa di come funziona sotto il profilo etico la nostra economia. Ora, mi rendo conto che una tesi come questa susciterà immediate obiezioni: «Chi sei tu per dire quali lavori siano davvero “necessari”? E poi che cosa significa “necessario”? Sei un professore di antropologia: che “bisogno” c’è di una simile professione?» (e senza dubbio un bel po’ di lettori di tabloid considererebbe l’esistenza stessa del mio lavoro come un esempio perfetto di spreco della spesa pubblica). Da un certo punto di vista, questo è senz’altro corretto. Non può esistere infatti una misura obiettiva del valore sociale. Non pretendo di contraddire chi è convinto di dare un contributo significativo alla società, anche se in realtà non lo sta facendo. Ma come la mettiamo con quelle persone che sono giunte da sé alla conclusione che i loro lavori sono privi di significato?
Non tanto tempo fa, ho ripreso i rapporti con un amico di scuola che non vedevo da quando avevo quindici anni. Mi ha stupito scoprire che nel frattempo era diventato prima poeta, poi cantante di un gruppo indie rock. Avevo sentito alcune delle sue canzoni alla radio, senza però avere idea che a interpretarle fosse qualcuno che conoscevo. Era senz’altro brillante, originale, e il suo lavoro aveva indubbiamente rischiarato e reso migliore la vita di molta gente in tutto il mondo. Eppure, dopo un paio di album sfortunati, la casa discografica l’aveva scaricato e lui si era ritrovato, oppresso dai debiti e con una figlia piccola, a «fare la scelta obbligata di tante persone senza vocazione: la facoltà di legge», per dirla con le sue parole. Adesso è un legale d’azienda in una nota società di New York. Lui per primo ammette che il suo lavoro è totalmente privo di significato, non dà alcun contributo alla società e, a suo parere, non dovrebbe affatto esistere.
Ci si potrebbe porre un sacco di domande a questo punto, a partire da: che cosa ci dice della nostra società il fatto che sembri generare una domanda estremamente limitata di musicisti-poeti di talento e invece una domanda apparentemente inesauribile di specialisti di diritto societario? (La risposta è: se l’1% della popolazione mondiale controlla la maggior parte della ricchezza disponibile, il cosiddetto «mercato» non potrà che riflettere ciò che quell’1%, e nessun altro, ritiene utile o importante.) Ma, ancora di più, ciò dimostra che la maggioranza di coloro che svolgono lavori inutili in definitiva ne è consapevole. Non credo infatti di essermi mai imbattuto in un legale d’azienda che non ritenesse il proprio lavoro senza senso. La stessa cosa vale per quasi tutti i nuovi settori citati prima. Esiste un’intera categoria di professionisti stipendiati che, se vi capitasse di incontrarli a una festa e confessaste di fare qualcosa che potrebbero considerare interessante (l’antropologo, per esempio), preferirebbero evitare del tutto l’argomento del lavoro. Ma basta farli bere un po’ e si lanceranno in filippiche su quanto sono inutili e stupidi in realtà le loro occupazioni.
Qui si annida una profonda violenza psicologica. Come è possibile anche solo provare a parlare di dignità nel lavoro se si ha l’intima convinzione che la propria occupazione non dovrebbe esistere? Come può tutto ciò non creare profonda rabbia e risentimento? Tuttavia, come nel caso degli addetti alla frittura del pesce, l’ingegnosità della nostra società ha fatto sì che la classe dominante escogitasse un modo per assicurarsi che quella rabbia si rivolga proprio contro coloro che di fatto svolgono un lavoro sensato. Per esempio: nella nostra società pare valere la regola secondo la quale quanto più è evidente che il lavoro di qualcuno fa del bene agli altri, tanto meno è probabile che l’interessato venga pagato per farlo. Di nuovo, è difficile trovare una misura oggettiva, ma per farsi un’idea basta chiedersi: che cosa succederebbe se tutta questa categoria di persone dovesse semplicemente sparire? Dite quel che volete delle infermiere, dei netturbini o dei meccanici, ma è evidente che se dovessero svanire in una nuvola di fumo le conseguenze si vedrebbero subito e sarebbero catastrofiche. Un mondo senza insegnanti o portuali si troverebbe presto nei guai, così come uno senza scrittori di fantascienza o musicisti ska sarebbe un posto meno vivibile. Non è affatto scontato invece che l’umanità soffrirebbe se tutti gli amministratori delegati di fondi di private equity, i lobbisti, i professionisti delle pr, gli attuari, gli addetti al telemarketing, i consulenti legali o certi pubblici ufficiali dovessero svanire a loro volta. (Anzi, sono in molti a sospettare che si starebbe decisamente meglio.) Comunque, a parte una manciata ben selezionata di eccezioni (come è il caso dei medici), la regola funziona incredibilmente bene.
In modo ancora più perverso, sembra ormai diventato senso comune che così va il mondo. Questo rappresenta uno dei segreti punti di forza del populismo di destra. Ve ne rendete conto quando i tabloid fanno montare il rancore nei confronti dei lavoratori della metropolitana per aver paralizzato Londra nel corso delle trattative sui contratti: il fatto stesso che i lavoratori della metropolitana possano bloccare una metropoli dimostra che il loro lavoro è realmente necessario, ma sembra che sia proprio questo a dar fastidio alla gente. La cosa è ancora più evidente negli Stati Uniti, dove i repubblicani hanno riscosso un notevole successo mobilitando il risentimento verso gli insegnanti e gli operai del settore automobilistico per i loro presunti stipendi e benefici eccessivi (ma non, è il caso di notare, verso gli amministratori scolastici o i dirigenti delle aziende automobilistiche, l’autentica causa del problema). È come se dicessero loro: «Ma se insegni ai bambini! O costruisci macchine! Fai un vero lavoro! E oltre a tutto ciò hai il coraggio di pretendere anche pensioni e un’assistenza sanitaria da ceto medio?».
Se qualcuno avesse ideato apposta un mercato del lavoro perfettamente funzionale a conservare il potere del capitale finanziario, non si vede come avrebbe potuto fare di meglio. I veri lavoratori produttivi vengono incessantemente spremuti e sfruttati. Gli altri si suddividono in uno strato di disoccupati terrorizzati e vituperati da tutti e in un più vasto strato di quanti sono pagati in sostanza per non fare nulla, ricoprendo ruoli che li spingono a identificarsi con le idee e la sensibilità della classe dirigente (manager, amministratori ecc.) – nonché dei suoi avatar finanziari – e covando allo stesso tempo un rancore sommerso nei confronti di chiunque abbia un lavoro con un evidente e innegabile valore sociale. È chiaro che questo sistema non è mai stato architettato consapevolmente, ed è invece scaturito da quasi un secolo di tentativi ed errori, ma rappresenta la sola spiegazione del perché, nonostante le nostre capacità tecnologiche, non stiamo lavorando tutti fra le tre e le quattro ore al giorno.
Strike! Agosto 2013
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giancarlonicoli · 5 years
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29 APR 2019 14:00
MANGIA E GODI CON CRISTIANA LAURO – IMPARATE A FARE I CLIENTI NEI RISTORANTI, ECCO IL DECALOGO SU COME CI SI DEVE COMPORTARE - "SE AVETE PRENOTATO PER 4 NON PRESENTATEVI IN 7, L’IMPERATIVO USATELO CON I VOSTRI CANI PER FARVI RIPORTARE LA PALLA, NON CON I RAGAZZI CHE VI PORTANO LO CHAMPAGNE AL TAVOLO - E SE METTETE ANSIA A UN CAMERIERE…"
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Cristiana Lauro per Dagospia
Che cosa conta di più per i clienti dei ristoranti? Quali sono i parametri di valutazione in ordine di importanza? La cucina, il servizio insieme alla cantina, e poi l’ambiente. Più o meno funziona così.
Il punto di vista del cliente è fondamentale, a patto che non si proponga come censore o sostituto della critica specializzata. Soprattutto a condizione che conosca le regole da rispettare che cominciano dal momento della prenotazione del tavolo.
Prima di esaminare il lavoro degli altri, i clienti dovrebbero imparare a fare i clienti.
Mangiamo sempre meno a casa e sempre più spesso al ristorante. Inoltre ognuno può esprimere il suo talento di gastronomo in rete attraverso i social o i siti come Tripadvisor - il più seguito sul genere in tutto il mondo - che possono condizionare le sorti di attività per niente facili da portare avanti.
Soprattutto in ambiente enogastronomico, oggi ognuno è libero di mettere bocca a piacimento sul lavoro degli altri. Il personale di sala è quello più colpito in molti casi e, in aggiunta allo stress, deve fare anche da filtro con la cucina che può avere difficoltà con l’uscita dei piatti a causa dei clienti che non si sanno comportare. Gente che paga per pretendere. Viene il dubbio che escano di casa apposta, in certi casi.
Si fa presto a parlare giocando a fare gli influencer con addominali, cosc’e patate al vento sui social, mentre nelle cucine, dietro ai banconi o in sala gli altri si smazzano fatiche bestiali con orari assurdi e vite private che, tante volte, è come se non esistessero.
Per inciso, vorrei ricordare alle aziende che si affidano a certe figure sui social considerandoli “influencer”, che la possibilità di influenzare il mercato - questo vale anche per altri settori - non si misura a taglie come le coppe dei reggiseni. La scala è un’altra e ha a che fare con la competenza, l’autorevolezza e la conseguente reputazione del soggetto.
Se il Gastronauta Davide Paolini, o Aldo Fiordelli suggeriscono un’ottima trattoria, molti clienti appassionati di buona tavola la proveranno, a partire dalla sottoscritta. Vale per i ristoranti indicati dai Vizzari, Luigi Cremona o da Paolo Marchi, da Andrea Grignaffini, Paola e Gianni Mura, Elsa Mazzolini, Anna Morelli, Lorenza Fumelli, Eleonora Cozzella, Orazio Vagnozzi, Alberto Cauzzi, il critico mascherato Valerio M.Visintin, Clara Barra, Allan Bay e diversi altri. Sono tanti i nomi, ognuno scelga il suo, ma non si tratta di “influencer” comunemente intesi dal senso dei social e soprattutto di Instagram. La confusione semantica sull’argomento conseguente a traduzioni, adattamenti e usi è più che evidente. D’altra parte i “social” sono spesso un covo di serpenti tutt’altro che inclini alla socievolezza, anche lì “grande è la confusione sotto il cielo...” (Cit).
Difficile mettersi nei panni dei ristoratori. Qualcuno tira avanti per la sua strada, sulla base di una reputazione costruita negli anni molto più solida di tanto ciarlare. Qualcun altro se la prende a male e non ci dorme la notte. E poi, però, c’è anche chi chiude.
Per carità, forse come ristoratore non aveva il tiro porta, ma la pletora di pisquani aspiranti a una vita da giudice come quelli che vedono in TV, di certo non l’ha aiutato.
E’ bene chiarire inoltre che in televisione e sulle testate giornalistiche i nomi chiamati a esprimersi non sono scivolati lì per caso quindi - piacciano o meno - si tratta di figure competenti e di settore che non transitano in zona perché la nonna cucinava bene.
Il cliente paga un servizio, non la proprietà del locale, del contesto e del momento che si trova a condividere con altri. Pertanto deve imparare a comportarsi da cliente. Mi pare che nei musei e al cinema il concetto sia già abbastanza chiaro. Proviamo ad estenderlo anche ai negozi, ai bar ai ristoranti. Ai locali in generale e, aggiungo, anche ai tassì. Perché non è sempre colpa dei tassisti. Imparare ad essere clienti è un po’ uno stile di vita che fa stare meglio sia il cliente che l’esercente e i suoi dipendenti, ovvero i lavoratori. Ne traggono vantaggio tutti.
Valeria Carola è comproprietaria con Fabrizio e Roberto di Barnaba, forse il locale di maggiore successo aperto nell’ultimo anno a Roma. Potrei definirlo Wine Bar ma alla fine, per struttura, attrezzature e proposte è un ristorante a tutti gli effetti. Barnaba è entrato nel cuore di un sacco di appassionati di vino e cucina che non vivono per farsi notare e amano spendere il giusto, quindi è un buon esempio per la mia riflessione sul ruolo del cliente.
Son buoni tutti a comportarsi bene in un ristorante stellato, e a dire il vero anche negli stellati ho assistito a comportamenti imbarazzanti da parte del pubblico. Ma la misura va presa su locali di prezzo medio, accessibili un po’ a tutti e dove il cliente non percepisca la minima soggezione del contesto esclusivo che mediamente non gli appartiene.
Mi ha colpito un post di Valeria Carola su Facebook. Una specie di codice del cliente che riporto fedelmente perché ne condivido in pieno la sostanza.
Valeria Carola da Facebook
“Consapevoli dei problemi, abbiamo costruito un posto che, a partire dalla struttura del menù a finire con il portaconto, fosse improntato alla massima libertà e “informalità”. Ovviamente questo non giustifica errori e non succederà mai che i ragazzi al grido “liberté’ e informalité’” vi porteranno le polpette di bollito al posto del prosciutto. Detto ciò, dopo un anno dall’apertura sono arrivata a una conclusione. Una sala, al netto della professionalità dei dipendenti, funziona davvero bene quando i clienti sono educati. Per esempio ...
1. Se prenotate per quattro persone e arrivate in sei, uno dei ragazzi perderà tempo a spostare il tavolo invece di portare l’acqua al tavolo 3 che la solleciterà alla ragazza che stava portando il pane al tavolo 5 e, a quel punto, dovrà andare a prendere l’acqua da portare al tavolo 3 insieme al pane per il tavolo 5, mentre il tavolo 12 aspetta i menù.
2. Esiste differenza tra “fa schifo” e “non mi piace”. Se dite fa schifo uno dei ragazzi deve andare in cucina - che da noi è al piano di sotto - e assicurarsi che non abbiano messo lo zucchero nel bollitore della pasta. I cuochi dovranno assaggiare il piatto e ritarderanno a preparare il pollo fritto del tavolo 3.
3. O fate i clienti o i camerieri. Quindi se, comprensibilmente, pretendete che siano i ragazzi a portarvi i piatti dalla cucina -che è sempre al piano di sotto - dovete pretendere che siano sempre loro a spostare tavoli e sedie. Se e’ possibile non fatelo voi.
4. Se dopo un minuto che siete seduti vi sbracciate per ordinare passando davanti a tutti e poi succede che: “prendo le polpette, no anzi il club sandwich. Ah, tu prendi la pasta, allora anche io... però certo il club sandwich...” avete fatto perdere a un cameriere 15 minuti e fatto morire disidratati quelli del tavolo 3 che aspettavano l’acqua.
5. Se mettete ansia a un cameriere dicendogli che aspettate un piatto da più di mezz’ora, egli - pur consapevole che sono passati 8 minuti - andrà in cucina a implorare i cuochi di preparare in fretta la vostra comanda. E indovinate chi aspetterà più tempo? Il tavolo 3 che aveva il secondo piatto in uscita.
6. I bambini devono essere educati senza se e senza ma. Se il locale e’ pieno non ci possono correre dentro perché poi succede che fanno inciampare il cameriere e poi...cacchio, e’ caduta l’acqua del tavolo 3!
7. L’imperativo usatelo con i vostri cani per farvi riportare la palla, non con i ragazzi della mia sala che vi portano lo champagne al tavolo.
8. Se sporcate il bagno, uno dei ragazzi dovrà andare a pulirlo. E indovinate chi sta aspettando per ordinare il dolce? Il tavolo 3.
Insomma, cari clienti, siate educati per favore. Perché anche voi potreste essere il tavolo 3”.
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imcharliebrown · 7 years
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Mi fa male il mondo, mi fa male il mondo. Mi fa male il mondo, mi fa male il mondo… e non riesco a trovar le parole per chiarire a me stesso e anche al mondo cos'è che fa male... Mi fa male... mi fa male essere lasciato da una donna... non sempre. Mi fa male l'amico che mi spiega perché mi ha lasciato. Mi fanno male quelli che si credono di essere il centro del mondo e non sanno che il centro del mondo… sono io. Mi fa male... quando mi guardo allo specchio. Mi fa male anche quando mi dicono che mia figlia mi assomiglia molto fisicamente. Mi fa male per lei. Mi fanno male quelli che sanno tutto, e prima o poi te lo dicono. Mi fanno male gli uomini esageratamente educati, distaccati, formali. Ma mi fanno più male quelli che per essere autentici ti ruttano in faccia. Mi fa male essere così delicato, e non solo di salute. Mi fa male anche il fatto che basta che mi faccia male un dente... che non mi fa più male il mondo. Mi fanno male gli architetti, gli avvocati, i commercialisti! Mi fa male l'IVA, le trattenute, il 740, mamma mia come mi fa male il 740! Mi fanno male le marche da bollo, gli sportelli, gli uffici, le code. Mi fa male quando perdo la patente e gli amici mi dicono 'condoglianze'. E i funzionari... che quando vai lì e non alzano nemmeno la testa. E poi quando la alzano s'incazzano, certo, perché gli fai perdere tempo. Ti trattano male, giustamente, siamo noi che sbagliamo: l'ufficio è sempre un altro, un altro ancora, e poi le segretarie, i vicedirettori, i direttori, i direttori generali... Mi fa male l'apparato, la sua mentalità, la sua arroganza, la sua idiozia! Come sono delicato! Mi fa male il futuro dell'Italia, dell'Europa, del mondo. Mi fa male l'immanente destino del pianeta Terra minacciato dal grande buco nell'ozono, dall'effetto serra, e da tutte quelle tragedie che al momento poi... a dir la verità... non mi fanno mica tanto male. Mi fanno male gli spot. Non è la pubblicità che mi fa male, in sé. Mi fanno male, Dio bono, i culi nudi, le tette, le cosce, e tutti quei figoni sprecati per il Campari Soda! Mi fanno male i fax, i telefonini, i computer, e la realtà virtuale... anche se non so cos'è. Mi fa male l'ignoranza, sia quella di andata che quella di ritorno. Mi fa male la carta stampata, gli editori... tutti. Mi fa male che qualsiasi deficiente scriva un libro. E poi lo promuove, firma la copertina, entra in classifica: I°, 2°, 3°... Borges 37°! Mi fanno male le edicole, i giornali, le riviste coi loro inserti: un regalino, un opuscolo, una cassetta, un gioco di società… "un cappuccino e una brioches". Mi fanno male quelli che comprano tutti i giornali. Non mi fa male la libertà di stampa. Mi fa male la stampa! Mi fa male che ci sia ancora qualcuno che crede che i giornalisti si occupino di informare la gente. I giornalisti, che vergogna! L'etica professionale, il sacrosanto diritto all'informazione. Cosa mettiamo oggi in prima pagina. "Ma sì, i morti della Bosnia, è un po' che non ne parla nessuno!" Tutto, tutto così, mica scelgono le notizie più importanti, no, quelle che funzionano, che rendono di più... per le loro carriere, per i loro meschini tornaconto, i loro padroni, padroncini... Mi fanno male le loro facce presuntuose e spudorate. Mi fa male che possano scrivere liberamente e indisturbati tutte le stronzate che vogliono! È questa libertà di stampa che mi fa vomitare. Come sono delicato! Mi fa male chi crede che ci sia ancora qualcuno che pensa agli altri. Mi fanno male quelli che dicono che gli uomini sono tutti uguali. Mi fanno male anche quelli che dicono che 'il pesce più grosso mangia il pesce più piccolo'. Mi farebbe bene metterli nella vaschetta delle balene. Mi fa male la grande industria, la media industria mi fa malino, la piccola non mi fa praticamente niente. Mi fa male non capire perché a parità di industriali stramiliardari, un operaio tedesco guadagna 2.800.000 lire al mese ed uno italiano 1.400.000. Ma l'altro 1.400.000, dov'è che va a finire? Mi fanno male i ladri, quelli privati ma anche quelli di Stato. Mi fa bene quando li prendono, quando li arrestano, quando viene fuori tutto quello che sapevamo! Dopo un po' però mi annoio. Mi fa male che l'Italia, cioè noi, cioè io, abbiamo due milioni di miliardi di debito. Questo lo sappiamo tutti. Ce lo sentiamo ripetere continuamente. Sta cambiando la nostra vita per questo debito che abbiamo. Ma con chi ce l'abbiamo? A chi li dobbiamo questi soldi? Questo non si sa. Questo non ce lo dicono. No, perché se li dobbiamo a qualcuno che non conta... va be', gli abbiamo tirato un pacco ed è finita lì. Ma se li dobbiamo a qualcuno che conta... due milioni di miliardi! Prepariamoci a pagare in natura. Mi fa male… mi fa male accendere la televisione, stare lì davanti e non riuscire a spegnerla, vedere fino a che punto... non c'è fondo, non c'è fondo. La gente che telefona, gli sponsor, i giochini demenziali, i presentatori che ridono. E le dentiere, gli assorbenti, preservativi, i Gabibbi, belli spigliati, spiritosi, tutti completamente a loro agio... che si infilano le dita nelle orecchie e che si grattano i coglioni. Sì, tutti questi geniali opinionisti... che litigano, gridano, si insultano... questi coraggiosi leccaculo travestiti da ribelli! Mi fa male, mi fa male che si parli fino alla nausea di quante reti... una a te, una a me.... pubbliche, private... e le commissioni, i garanti, i regolamenti... senza mai parlare di quella valanga di merda che ogni giorno mi entra in casa! Che poi io sono anche delicato, l'ho già detto! Mi fa male la violenza. Mi fa male la sopraffazione, la prepotenza, l'ingiustizia. A dir la verità mi fa male anche la giustizia. Un paese che ha una giustizia come la nostra non sarà mai un paese civile. Una giustizia che fa talmente schifo che se una volta in cinquant'anni per caso, o per chissà quale magica ragione, i magistrati fanno il loro normale dovere diventano tutti… Giuseppe Garibaldi. Mi fanno male anche i collaboratori di giustizia, i pentiti… gli infami, insomma… che dopo aver ammazzato uomini, donne e bambini fanno l'atto di dolore: tre Pater Ave e Gloria e chi s'è visto s'è visto. Mi fa male la Sicilia. Magari mi facesse male solo la Sicilia. Mi fa male anche la Lombardia, il Piemonte, la Toscana, il Veneto. Roma! Mi fa male che 'tutto' sia mafia. Mi fa male non capire perché animali della stessa specie si ammazzino tra loro. Mi fa male chi muore in Jugoslavia. Chi muore in Somalia, in Ruanda, in Palestina. Mi fa male chi muore. Mi fa male chi dice che gli fa male chi muore e fa finta di niente sul traffico delle armi che è uno dei pilastri su cui si basa il nostro amato benessere. Mi fa male la mafia bianca, quella dei dottori, delle medicine, degli ospedali, dei professori, dei primari. Mi fa male chi specula sulla vita della gente. Sì, quelle brave persone che ti fanno fare le analisi, anche se non ne hai bisogno, e ti mandano dall'amico specialista, tutto un giro, uno scambio d'affari, una grande abbuffata di pazienti. Sì, tutti quegli avvoltoi che si buttano sui moribondi per tirargli fuori gli ultimi spiccioli: i chirurghi dal taglio facile e redditizio... quelli che tagliano tutto, gambe, braccia... e quando non ne hanno abbastanza... testicoli, ovaie, seni, uteri! Che gliene frega di un utero in più o in meno! Certo, mi fa male il cancro. Ma mi fa più male che il cancro sia il più grosso affare economico del secolo. Mi fa male chi crede che ci sia ancora qualcuno che pensa agli altri. Mi fa male qualsiasi tipo di potere, quello conosciuto, ma anche quello sconosciuto, sotterraneo, che poi è il vero potere. Mi fanno male le oscillazioni e i rovesci dell'alta finanza. Più che male mi fanno paura, perché mi sento nel buio, non vedo le facce. Nessuno ne parla, nessuno sa niente: sono gli intoccabili. Personaggi misteriosi che tirano le fila di un meccanismo invisibile, talmente al di sopra di noi da farci sentire legittimamente esclusi. È lì, in chissà quali magici e ovattati saloni che, a voce bassa e con modi raffinati, si decidono le sorti del nostro mondo: dalle guerre di liberazione, ai grandi monopoli, dalle crisi economiche, alle cadute dei muri, ai massacri più efferati. Mi fa male quando mi portano il certificato elettorale. Mi fa male la democrazia, questa democrazia che è l'unica che io conosco. Mi fa male la prima repubblica, la seconda, la terza, la quarta. Mi fanno male i politici, più che altro… tutti, sempre più viscidi, sempre più brutti. Mi fanno male gli imbecilli, i ruffiani. E come sono vicini a noi elettori, come ci ringraziano, come ci amano. Ma sì, io vorrei anche dei bacini, dei morsi sul collo... per capire bene che lo sto prendendo nel culo. Tutti, tutti, l'abbiamo sempre preso nel culo... da quelli di prima, da quelli di ora, da tutti quelli che fanno il mestiere della politica. E mi fa male che ci sia qualcuno che crede ancora che 'loro' facciano qualcosa per noi, per le nostre famiglie, per il nostro futuro. No, non c'è una scelta, una scelta politica che sia fatta pensando a cosa serve al Paese. No, solo quello che conviene di più al gruppo, al partito... Per contare di più, per avere più potere. Certo, lo fanno solo per se stessi, per il loro schifosissimo interesse personale. Farebbero qualsiasi cosa, venderebbero i colleghi, gli amici, i figli. Cambierebbero colore, nome, nazionalità, darebbero delle coltellate ai compagni di partito pur di fottergli il posto. Non c'è più niente che assomigli all'esilio, alle lotte, alla galera. C'è solo l'egoismo incontrollato, la smania di affermarsi, il denaro, il potere, l'avidità più schifosa! E voi credete ancora che contino le idee? Ma quali idee... La cosa che mi fa più male è vedere i nostri figli con la stanchezza anticipata di ciò che non troveranno. E mi fa ancora più male sentire che la colpa è anche nostra. Sì, abbiamo lasciato in eredità forse un normale benessere, ma non abbiamo potuto lasciare quello che abbiamo dimenticato di combattere e quello che abbiamo dimenticato di sognare. Una sconfitta definitiva?... No, non credo proprio. Se è vero che questa è la nostra realtà, guardarla in faccia non può far male a nessuno. Basta non farsi prendere dalla stupidità dello sconforto. È la non consapevolezza che crea malesseri nascosti e uccide per delega. Se un uomo conosce con chiarezza il suo male, qualsiasi esso sia, ha anche la forza per combatterlo. Bisogna assolutamente trovare il coraggio di abbandonare i nostri meschini egoismi e cercare un nuovo slancio collettivo, magari scaturito proprio dalle cose che ci fanno male, dalle insofferenza comuni, dal nostro rifiuto. Perché un uomo solo che grida il suo no, è un pazzo. Milioni di uomini che gridano lo stesso no, avrebbero la possibilità di cambiare veramente il mondo. Mi fa male il mondo mi fa male il mondo. Mi fa male il mondo mi fa male il mondo... Mi fa bene comunque credere che la fiducia non sia mai scomparsa e che d'un tratto ci svegli un bel sogno e rinasca il bisogno di una vita diversa. Mi fa male il mondo, mi fa male il mondo... Mi fa bene comunque illudermi che la risposta sia un rifiuto vero e che lo sfogo dell'intolleranza prenda consistenza e ridiventi un coro. Mi fa male il mondo, mi fa male il mondo. Ma la rabbia che portiamo addosso è la prova che non siamo annientati da un destino così disumano che non possiamo lasciare ai figli e ai nipoti. Mi fa male il mondo, mi fa male... Mi fa male il mondo, mi fa male il mondo... Mi fa bene soltanto l'idea che si trovi una nuova utopia… litigando col mondo.
Giorgio Gaber
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