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#resistenza cattolica
andre83us · 2 years
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Vittorio Cini «proteso verso la luce di Dio»: Ferrara e la fede ritrovata
Vittorio Cini «proteso verso la luce di Dio»: Ferrara e la fede ritrovata
Il conte che si riscoprì cattolico. Imprenditore, politico e mecenate ferrarese, negli anni ’40 ritrovò la sua fede cristiana. Un aspetto della sua vita ancora poco indagato di Andrea Musacci Vittorio Cini (1885-1977), politico, imprenditore e mecenate nasce proprio in quella che poi diventò Casa Cini in via Boccacanale di Santo Stefano, 24 a Ferrara. La sua, è stata una vita grandiosa e…
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toscanoirriverente · 2 years
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Piccola radiografia del pacifismo italico
… I cattolici
In questi mesi hanno oscillato parecchio, in sintonia con Papa Francesco. Il quale, per tutta la prima fase della guerra, ha fatto appello a Putin e a Zelensky come se fossero due belligeranti di pari grado e pari intenzioni bellicose, per di più il primo provocato dall’”abbaiare della Nato ai confini russi”. L’appoggio totale del Patriarca Kirill all’invasione russa, giustificata come missione sacra, l’accanimento barbaro contro la popolazione civile, l’appello di Putin a unirsi in crociata contro “l’Occidente satanico” hanno visibilmente spostato la posizione di Papa Francesco, come documentato dal drammatico discorso dell’Angelus del 2 ottobre: “la martoriata Ucraina” sta ora al centro di ogni sua presa di posizione.
D’altronde la Dottrina della Chiesa, sintetizzata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, dedica alla “legittima difesa” i paragrafi dal 2263 al 2267.
Il n. 2265 afferma: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità”. Dunque, diritto/dovere di resistenza, così da porre “l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere".  
Al punto 2309 sono indicate le condizioni, alle quali è legittima una difesa militare: “Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:
che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
che ci siano fondate condizioni di successo;
che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.
Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della ‘guerra giusta’.
La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune”.
Fin qui il Catechismo.
Allora, perché molti firmatari cattolici di molti Appelli si pongono invece nel mezzo tra Putin e Zelensky, negando però l’invio di armi agli Ucraini, di fatto esponendoli alla violenza bruta di un invasore?
La prima ragione è di tipo teo-ideologico: hanno semplicemente dimenticato “il peccato originale”, cioè lo sguardo realistico sull’uomo e sulla storia degli uomini, che è tipico della grande teologia patristica. Sant’Agostino scrive di “natura sauciata”, “ferita” dal peccato originale. Nell’antropologia cristiana è prevista la compresenza attiva del Bene e del Male nel cuore dell’uomo, anche se ottimisticamente il Male non vincerà, alla fine della Storia. Nelle religioni sumero-babilonesi e in Zoroastro, invece, si dà una contrapposizione metafisica eterna tra il Bene e il Male. A quanto pare, per il cristianesimo rousseauiano dei pacifisti l’Uomo è buono, la società è cattiva, soprattutto se fondata sul mercato capitalistico, di cui il commercio delle armi è solo una conseguenza. Se elimini il commercio delle armi, fiorirà la pace. Se poi elimini il capitalismo, allora sì, “Pacem in terris”! Peccato che il commercio delle armi nasca dalla guerra, non viceversa: la guerra che attraversa il cuore dell’uomo. Aboliamo la guerra? Certo. Straordinaria utopia, la cui realizzazione implica semplicemente un salto quantico morale nell’evoluzione della specie. Possibile? Sì, a condizione che l’utopia non diventi un alibi per chiudere gli occhi sull’aggressore di oggi.
Secondo alcuni, la colpa è, più radicalmente, del capitalismo, che ha sviluppato gli animal instintcs dell’uomo.  Detto in inglese, non per caso!
Tocchiamo la seconda ragione, più politico-ideologica: l’antimericanismo. Ha radici profonde nel mondo cattolico. Fin dal Sillabo del 1864 il liberalismo di origine anglo-sassone è una delle eresie condannabili insieme al socialismo e al comunismo. Il mondo anglosassone viene fatto coincidere con il protestantesimo, nemico della Chiesa cattolica. Così, ancora tra gli anni ’20 e ‘30, il Vaticano appoggia e si mischia con i regimi clerico-fascisti europei e latino-americani e diffida delle democrazie liberali. L’antiamericanismo si condensa politicamente nel 1949, in occasione della discussione in Parlamento sull’adesione dell’Italia alla Nato. Dall’11 al 20 marzo, in una seduta lunga ben 51 ore, caratterizzata da risse mai viste, l’adesione fu approvata, ma Dossetti, Gronchi, Gui erano fermamente contrari, così come lo stesso Mons. Montini, tutti su una posizione neutralista. Fu Pio XII a tagliare la testa al toro, in nome della difesa militare contro il comunismo ateo. Difficile indicare esattamente attraverso quali linee di discendenza personale questa posizione sia arrivata fino ai giorni nostri. Si allude genericamente al filone catto-comunista. In ogni caso, è questo filone l’erede oggettivo del neutralismo del secondo dopo-guerra.
I pacifisti di sinistra…
Se molti pacifisti cattolici conservano uno storico pre-giudizio negativo contro gli Americani, molti pacifisti di sinistra ne hanno uno positivo verso l’Unione sovietica/Russia. Che non significa esprimere una valutazione positiva dell’esperienza del “socialismo reale”. Continuano, però, a ritenere che la rivoluzione bolscevica abbia spezzato, una volta per sempre, l’ordine imperialistico e colonialistico mondiale, rappresentato nel ’17 dagli Inglesi, dai Tedeschi, dai Francesi e nel secondo dopoguerra dagli Americani. Un semplice esercizio mentale di contro-storia potrebbe far immaginare uno scenario in cui in Russia avesse vinto il socialdemocratico Kerenskij, l’Assemblea costituente già votata non fosse stata sciolta da Lenin… Come reazione ad una Russia democratica sarebbero insorti il fascismo e il nazismo? In ogni caso, alla Russia di Putin si continua ad attribuire la funzione weltgeschichtlich di Lenin. Alle spalle sta un giudizio inappellabile sugli Americani come “imperialisti”. Se non si può certificare che il pregiudizio filo-sovietico, coltivato anche da chi all’interno del PCI era antileninista e riformista, si sia trasformato, per inerzia storica, in pregiudizio filo-Putin, si deve certo constatare la continuità dell’antimericanismo storico della sinistra socialista e comunista del ’48. Dunque: magari non più filo-sovietici e, tampoco, filo-russi, ma certamente e indefettibilmente anti-americani. E poiché questi sono anche gli alfieri del modello di sviluppo capitalistico mondiale, che sta mettendo il pianeta a mal partito e che è stato adottato anche dal resto del mondo, Cina compresa, al pacifismo antiamericano si è aggiunto quello di origine ecologista. Se poi sopra vi si sparge lo zucchero a velo della rivolta ideologica woke contro l’Occidente imperialistico, colonialista, razzista, la torta é perfetta: il nemico siamo noi!
Il pacifismo bianco-rosso-bruno
In questi giorni, tanto le posizioni dei cattolici quanto quelle di sinistra quanto quelle “brune” alla Veneziani si sono fuse in un Manifesto, intitolato “Un negoziato credibile per fermare la guerra”, firmato da Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani, Stefano Zamagni.
I punti: 1) neutralità di un’Ucraina che entri nell’Ue, ma non nella Nato, secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Usa alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del Muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia; 2) concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Krusciov alla Repubblica Sovietica Ucraina; 3) autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione Onu; 4) definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse; 5) simmetrica de-escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione; 6) piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina.
Si tratta di un manifesto senza verità storica e perciò anche senza giustizia.
Che la Russia abbia aggredito l’Ucraina, viene riconosciuto, ma non spiegato alla luce del disegno geopolitico che parte da lontano e che Putin non ha mai nascosto.  Quanto alla Crimea, la Storia ci avverte che il 1º dicembre 1991 si svolse il referendum sull’indipendenza dell’Ucraina, richiesto dal Parlamento ucraino per confermare “l'Atto di Indipendenza”, adottato dal Parlamento stesso il 24 agosto 1991.
Al referendum votarono 31.891.742 (l'84.18% dei residenti); 28.804.071 (il 90.32%) votarono "Sì". Nella maggioranza degli Oblast le percentuali andarono oltre il 90%, anche in quelle a melting pot a prevalenza russofono; in due o tre “soltanto” sopra il 75/80%. In Crimea – “regalata” da Krusciov alla Repubblica socialista sovietica ucraina il 17 giugno 1954 - la percentuale si fermò al 54,19%. Ma a Sebastopoli salì al 57% e a Odessa salì all’85%. Perché questa differenza della Crimea? Il 18 maggio del 1944 Stalin fece deportare l’intera popolazione tatara, che è la risultante dell’intreccio di molte etnie – circa 200 mila persone – verso l’Uzbekistan, il Kazakistan e altre località. Anche la comunità italiana fu deportata. L’accusa e la punizione: per collaborazionismo con i Tedeschi. Politica che Stalin ha praticato con ferocia anche nelle Repubbliche baltiche. I deportati morirono dal 30% al 46%, a seconda delle fonti statistiche. I sopravvissuti poterono tornare solo dopo il 1989, grazie a Gorbaciov. Intanto, Stalin ripopolò la Crimea di etnia russa. Ecco spiegato il mistero.
Il testo del Manifesto sostiene che la Crimea fu regalata illegalmente all’Ucraina. In base a quale criterio si definisce illegale la donazione, dentro un sistema dove non c’era nessuna legalità nei rapporti tra le Repubbliche? Se le linee di confine tra gli Stati sono definite da quelle etniche, la Crimea non è mai stata russa. Se sono definite dai Trattati e dai riconoscimenti internazionali – cioè dal Diritto internazionale – allora la Crimea è stata russa solo dal 1921 fino al 1991, quando se n’è andata insieme all’Ucraina. Le uniche linee di confine che contano tra gli Stati sono quelle stabilite dai Trattati. Così il 5 dicembre del 1994 venne firmato – non solo detto a voce, come sostiene per ignoranza o malafede il Manifesto succitato - il Memorandum di Budapest, in cui la Russia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna – successivamente vi si aggiunsero anche Cina e Francia – garantivano sicurezza, indipendenza e integrità territoriale dell’Ucraina, in cambio della sua rinuncia alle armi nucleari: ne aveva 1800! Nel 1997, a Parigi, la Russia e la Nato firmano l’Atto fondativo, in cui Mosca accetta l’espansione della Nato a Est, in cambio di una rinuncia della Nato a dispiegare “forze da combattimento significative” e a schierare armi nucleari nell’Europa orientale.
Il testo del Manifesto dimentica poi di dire che Putin ha annesso illegalmente, lui sì!, la Crimea nel 2015 ed ha scatenato la guerriglia civile nel Donbass.
Quanto al pericolo nucleare, la cui minaccia è agitata da Putin per piegare gli Ucraini e chiunque li aiuti, il Manifesto dimentica che dal 1949 in avanti la pace atomica nel mondo è stata garantita dalla MAD (Mutual Assured Destruction), che continua a funzionare come garanzia reciproca. Piacerebbe tanto poter fondare la convivenza dei popoli su fondamenta mento terribili, ma queste esistono e non consentono a nessuno di ricattare ogni altro. Eccetto, si intende, i nostri ricattabilissimi intellettuali.
… i pacifisti di destra
A destra si collocano gli eredi ideologici – consapevoli? - di Terza posizione, fondata nel 1978, che si dichiarava equidistante sia dal comunismo sia dal capitalismo imperialista.
I loro attuali eredi sostengono posizioni suprematiste, xenofobe, ultranazionaliste, teocratiche. La vicinanza con l’ideologia di Putin e del Patriarca Kirill è evidente.
Chi sono gli eredi? Intanto i gruppuscoli della galassia estrema, che ha come riferimento Fratelli d’Italia, anche se, nel caso specifico, non si riconoscono nell’atlantismo di Giorgia Meloni.
E poi Salvini. Che è filo-putiniano per comune ostilità putiniana alla democrazia liberale e per interessi “commerciali” più immediati. Si deve solo ricordare che, in occasione dell’annessione della Crimea, il Consiglio regionale della Lombardia e quello del Veneto hanno votato mozioni a favore dell’annessione. Esiste una base socio-culturale profonda del pacifismo neutralista leghista: il sovranismo. Che consiste nello starsene alla larga dalla storia del mondo, qualsiasi cosa accada dentro il quadro geopolitico-mondiale. Rispecchia una mentalità italiana, cresciuta negli anni, fatta di disinteresse, di egoismo provinciale, che non ritiene che ciò che succede nelle capitali estere possa/debba toccarci.
Quanto a Berlusconi è filo-putiniano per interessi commerciali e per nostalgia senile. Come dimenticare il suo ruolo giocato il 28 maggio 2002, quando nella base dell’aeronautica militare italiana di Pratica di Mare, vicino a Roma, furono firmati degli accordi fra la Russia e la NATO, quando Berlusconi  “costrinse” Bush jr. e Putin a darsi la mano? Certo lui non dimentica. Si vanta di “aver posto fine  a 50 anni di guerra fredda”. Che, ad onor del vero, aveva incominciato a finire sulle rive del lago di Ginevra nel gennaio 1985, con la passeggiata di Reagan e Gorbaciov, che fu ratificata il 29 maggio 1988 con la firma del Trattato INF e che finì, oggettivamente, con lo scioglimento dell’URSS l’8 dicembre 1991.
Tutti questi strati di pacifismo hanno in comune una piattaforma:
fermare la guerra, negando i mezzi agli Ucraini per opporsi militarmente all’esercito invasore;
concedere a Putin la parte già occupata: Crimea e Donbass.
Si tratta delle stesse condizioni che Putin stesso pone per smettere.
Come ci si possa interporre tra due belligeranti, assumendo integralmente le pretese di una parte, si dovrebbe chiedere ai catto-pacifisti, a Conte, alla sinistra radicale e a quella parte di PD che lo seguirà in piazza, ai catto-rosso-bruni, tutti in piazza il 5 novembre prossimo per la pace.
Come si possa essere ciechi di fronte alla guerra di liberazione nazionale degli Ucraini si dovrebbe chiedere:
a tutti coloro che hanno giustamente sfilato per decenni contro la violazione della sovranità nazionale degli Stati, operata a turno dalle Potenze grandi e piccole;
a tutti coloro che agitano il vessillo sovranista.
Le condizioni possibili per la pace sono molto semplici:
i Russi se ne devono tornare oltre confine;
la sicurezza della Russia deve essere costruita nell’ambito di Trattati di sicurezza collettiva, quale quello siglato a Pratica di Mare nel Maggio 2002, regnante Berlusconi, violato da Putin con l’invasione della Georgia nel 2008, con l’intervento in Siria, con l’annessione della Crimea il 20 febbraio 2014 e del Donbass  a fine settembre 2022. Nel luglio del 1878 la Conferenza di Berlino, convocata da Bismarck, sistemò con una seri di Trattati di assicurazione e di contro-assicurazione le relazioni tra tutte le Potenze europee. La pace durò fino al 1914. Occorre riprendere Pratica di Mare.
Le questioni interne dell’Ucraina vanno lasciate agli Ucraini, con eventuali garanzie internazionali per le minoranze. L’accordo De Gasperi-Gruber del 1946 continua ad essere un modello valido ancora oggi per gestire, all’interno di uno Stato, la presenza di una minoranza etnica. Far saltare i confini di diritto internazionale per seguire i meandri delle linee etniche dentro ogni singolo Stato sovrano porta alle pulizie etniche, ai massacri balcanici dei non lontani anni ’90 del secolo scorso.
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L'ascesa di Hitler e il prezzo pagato dai cattolici
A 90 anni dalla nomina di Hitler a Cancelliere del Reich. Della pericolosità del nazionalsocialismo se n’era resa conto fin da subito la Chiesa cattolica tedesca che pagò un altissimo prezzo per questa resistenza: 310 sacerdoti tedeschi furono internati nei campi di concentramento, 65 morirono durante la prigionia, altri 36 furono giustiziati o assassinati. Numeri che stridono con la Chiesa…
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Papa Benedetto XVI (latino: Benedictus XVI; nato Joseph Aloisius Ratzinger; 16 aprile 1927 – 31 dicembre 2022) è stato il capo della Chiesa cattolica e sovrano dello Stato della Città del Vaticano dal 19 aprile 2005 fino alle sue dimissioni il 28 febbraio 2013. come papa si è verificato nel conclave papale del 2005 che ha seguito la morte di papa Giovanni Paolo II. Benedetto ha scelto di essere conosciuto come "Papa emerito" dopo le sue dimissioni e ha mantenuto questo titolo fino alla sua morte nel 2022.
Joseph Ratzinger soldato e la seconda guerra mondiale
Nel 1941 Ratzinger fu comunque costretto ad aderire alla Gioventù hitleriana perché, in quell'anno, i nazisti resero obbligatoria l'adesione all'organizzazione. Aveva 14 anni all'epoca. Tuttavia, ottenne rapidamente una dispensa grazie alla sua formazione in seminario. Eppure due anni dopo, all'età di 16 anni, non riuscì a sottrarsi al servizio militare obbligatorio. Fu inviato a Monaco per sottoporsi ad addestramento come "aiutante antiproiettile", e divenne uno delle migliaia di giovani arruolati nell'esercito durante le fasi finali della guerra. Poco dopo, fu inviato ai margini della capitale bavarese per unirsi a un'unità che proteggeva una fabbrica BMW che produce motori per aerei. Ratzinger insiste di non aver mai preso parte a un combattimento o sparato un colpo, a causa di un dito gravemente infetto. Successivamente è stato inviato in Ungheria dove ha piazzato trappole per carri armati. All'inizio del 1944, decise improvvisamente di lasciare la sua unità, ben sapendo che le unità delle SS avevano l'ordine di sparare a vista ai disertori. Ha registrato il suo terrore quando, dopo aver disertato la sua unità, è stato fermato da altri soldati: "Grazie a Dio erano quelli che ne avevano abbastanza della guerra e non volevano diventare assassini", ha scritto nelle sue memorie. Non ci sono prove che la famiglia Ratzinger si sentisse incline ad aiutare i pochi ebrei rimasti in città, o l'infarinatura di combattenti della resistenza antinazista che osarono opporsi al regime.
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pietroalviti · 5 months
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25 aprile, Alatri dedica la sala conferenze a Carlo Costantini, il sindaco partigiano
Lo ricordo quando, io ragazzo neppure diciottenne, in mezzo a tanti adulti, veniva nella sezione della Dc a via Magenta, dove oggi c’è la trattoria di Ester, a cercare di riordinare le cose, chiarire, dibattere. Era, in quegli anni, segretario provinciale della Dc, ma non sapevo che alcuni anni prima, da dirigente dell’Azione Cattolica, aveva guidato la resistenza dei giovani alatrensi contro i…
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La spinta russa per l’offensiva e le difficoltà di Kiev. Tra robot cingolati e droni, il conflitto entra in una fase cruciale
I russi avanzano lottando per ogni metro, perché incontrano una resistenza ostinata. I combattimenti sono stati feroci anche nella domenica di Pasqua cattolica, mentre gli ortodossi la celebrano tra una settimana. Ma le due interviste contemporanee rilasciate dal presidente Zelensky e dal generale Syrsky, nuovo comandante delle forze armate, sulla “situazione dell’approccio difensivo” sono…
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jacopocioni · 11 months
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Mario Fiorentini, un fiorentino nell’attentato di via Rasella a Roma
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Faceva parte della Resistenza romana, conosciuto tra i partigiani con il nome di battaglia di Giovanni. I suoi antenati erano ebrei fiorentini che secoli prima avevano lasciato la Toscana per arrivare a Roma ed in seguito avevano adottato la religione cattolica. Mario viveva in una casa in affitto al centro di Roma, in via Capo le Case 18, di fronte a via Due Macelli. Per chi non conoscesse bene Roma, parliamo di una zona compresa tra piazza di Spagna, Fontana di Trevi e via Veneto. La madre era di Cittaducale, quando si trasferì a Roma sposò un professore e ragioniere ebreo. Durante il rastrellamento degli ebrei di Roma, anche la casa dei Fiorentini seppur distante dal ghetto venne perquisita. Mario si salvò riuscendo a fuggire sui tetti, la madre riuscendo a corrompere una guardia. In seguito Mario fu arrestato dalla polizia fascista, ma fu subito liberato, evidentemente non c’erano i presupposti per trattenerlo. Mario stava poco in casa, lavorava in una tipografia dove il Partito d’Azione stampava i suoi volantini e il giornale clandestino “Italia Libera”. Successivamente al suo rilascio, per ben tre volte i tedeschi erano venuti a cercarlo a casa, ma lui era riuscito sempre ad evitarli. Dunque cercava di stare in casa il meno possibile. Insieme ad altri partigiani infatti aveva attaccato la caserma di viale Giulio Cesare, ma nella fuga con i suoi compagni gli era caduto il berretto e uno dei tedeschi lo aveva visto bene in faccia. Allora si nascondeva con quella che sarebbe divenuta sua moglie Lucia Ottobrini, in una cantina sul colle Oppio vicino al Colosseo. Ma le condizioni poco salubri di quell’ambiente, avevano fatto ammalare la donna che per qualche giorno aveva deciso di tornare a casa. Mario dal suo appartamento aveva una buona visuale della zona, poteva vedere quello che accadeva fino a Piazza di Spagna e tenere sotto controllo le vicinanze.
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A Roma vigeva il completo divieto di andare in bicicletta imposto dai tedeschi, questo perché i partigiani usavano questo mezzo per compiere velocemente i loro attentati e poter sparire poi velocemente tra i vicoli della città con una certa facilità. I romani allora erano costretti a prendere autobus e tram che più facilmente potevano essere fermati dai tedeschi per controllare o arrestare i passeggeri, spesso per trasferirli coattamente verso nord ed impegnarli nei lavori forzati.
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Mario aveva 25 anni ed era uno studente di matematica. Un giorno vide passare dalla sua finestra circa 150 uomini tedeschi in divisa ben armati che provenivano da Piazza del Popolo e, percorrendo via del Babuino erano arrivati a via Capo le Case, proprio sotto casa sua. Poi il gruppo svoltava e andava verso via Rasella, una via che diventerà famosa per il famoso attentato. Fu proprio Mario a proporre l’idea dell’attentato, a cui poi parteciperà. Mario nascosto con la moglie  vedeva passare ogni giorno questi militari, che poi si dirigevano a via Rasella. Erano gli uomini del Bozen, che si dirigevano verso Castro Pretorio, alla caserma Macao. Mario andò da Carlo Salinari detto Spartaco, il suo comandante, per proporre un’azione contro questi soldati, ma l’uomo pur ascoltandolo interessato non disse nulla. Parlò allora nel suo rifugio con i suoi compagni tra quali c’erano “Paolo ed Elena”, i nomi di battaglia di Rosario e Carla anche loro convolati a nozze. Carla Capponi aveva già fatto esplodere un' autocisterna tedesca con 10.000 litri di carburante in via Claudia. Ancora oggi sul luogo sono presenti i segni dell’ esplosione. Rosario Bentivegna invece, era quello che avrebbe acceso la miccia posta nel carretto della spazzatura in via Rasella. Decisero di appostarsi per seguire i movimenti delle 156 reclute dell' 11° compagnia del 3° battaglione SS Bozen, formato nel '43 con reclute del Sud Tirolo Alepenvorland, poste sotto il comando dell’Obergruppenführer Karl Wolff. Il loro compito era quello di polizia e di repressione partigiana.
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Per l’occasione si formarono quattro squadre, perché di solito i partigiani si muovevano soli o in gruppi di due o tre al massimo. Via Rasella era perfetta per un attentato: stretta e lunga avrebbe costretto la colonna a marciare in ranghi serrati più facilmente colpibili. Avevano calcolato che ci sarebbero voluti 140 secondi per percorrerla tutta, perché la ripida salita avrebbe rallentato gli uomini in marcia. Si scelse di posizionare un carretto della nettezza urbana rubato da un deposito municipale da Roul Falcioni, dentro sarebbe stato nascosto un ordigno composto da 18 kg di esplosivo (12kg di tritolo, mescolato a 6kg di tritolo sciolto e pezzi di tubo riempiti di altro esplosivo), posizionati al civico 156 della via, davanti a Palazzo Tittoni, questo perché il caseggiato era semi abbandonato e ci sarebbe stato meno pericolo per i civili. L’edificio sorgeva ad un terzo della strada, poco prima dell’incrocio con via Quattro fontane.
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Quando la colonna sarebbe stata all’altezza  di via Boccaccio, la miccia della durata di 50 secondi sarebbe stata accesa. Dopo l’esplosione da questa stessa via sarebbero giunti altri partigiani per lanciare quattro bombe da mortaio da 45 mm, per poi fuggire verso via del Giardino. Altri partigiani provenienti da via del Traforo, avrebbero impedito un eventuale fuga con l’uso di armi. Salinari aveva escluso il nostro fiorentino dall’azione. Fiorentini aveva infatti in via Boccaccio uno zio e dunque rischiava di essere riconosciuto dalle persone del luogo. Fu però proprio lui e la compagna Carla a suggerire che Bentivegna si travestisse da netturbino e che celasse l’ordigno nel carretto della spazzatura. Rosario aveva maturato un certa esperienza in altri attentati, era infatti reduce da altre trenta incursioni tutte riuscite. Altri partigiani del GAP sarebbero stati coinvolti nell’attentato.
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Il 23 marzo del 1944 alle 15.50 l’ordigno esplodeva lasciando 35 morti e 64 feriti sulla strada… Ventiquattrore dopo, 335 persone prelevate da vari luoghi di detenzione romani venivano fucilate per ritorsione alle Fosse Ardeatine… Mario Fiorentini è stato un partigiano, agente segreto, matematico italiano e professore di geometria all’Università di Ferrara. Partecipò a numerose azioni fra le quali l’assalto all’ingresso del carcere di Regina Coeli e all’organizzazione dell’attentato di via Rasella.
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Riccardo Massaro Read the full article
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giancarlonicoli · 1 year
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22 ago 2023 13:06
“VANNACCI CHE SI DEFINISCE SUO EREDE LO SA CHE GIULIO CESARE ERA BISEX?” – IL PROFESSOR FRANCO CARDINI, ISCRITTO AL MSI DAL 1953 AL 1965, MENA DURO SUL GENERALE: “MI COLPISCE LA SUA DEFINIZIONE DEI GAY COME ANORMALI. E PLATONE? E SOCRATE? È IL CONCETTO STESSO DI NORMALITÀ CHE È STATO SUPERATO, PER STUDI SCIENTIFICI MA ANCHE ETICI - PIÙ CHE MACHISMO, C’È UNA FORZA DI INERZIA CONSERVATRICE NELL’ESERCITO” -
Estratto da repubblica.it
«Il generale Roberto Vannacci che si definisce erede di Giulio Cesare, dovrebbe sapere come funzionava la sessualità ai tempi dei romani. Se non era gay, l’imperatore di sicuro era bisessuale, come era normale ai suoi tempi».
Il professore Franco Cardini, medievalista, storico e docente universitario, Il mondo al contrario lo ha letto. Cardini, 83 anni, iscritto al Msi dal 1953 al 1965, finito recentemente al centro delle polemiche per aver definito i giovani della Repubblica sociale di Salò, «ragazzi seri e onesti, in buona fede», esprime un giudizio impietoso. «Se il generale avesse scritto di tecniche militari forse avrebbe avuto meno successo, ma sarebbe stato meglio. Di storia ne mastica pochina».
Cardini, è un brutto libro?
«Un trattato di sociologia storica rischia di scivolare nel brutto se l’autore non è abbastanza preparato. Ci sono molte cose interessanti che però si perdono nell’insieme. Mi ha per esempio sorpreso che un generale che è stato a capo dell’istituto geografico militare, se la prenda con i migranti ignorando la ragione profonda del fenomeno, e cioè lo sfruttamento del territorio da parte delle multinazionali che hanno ridotto le popolazioni alla fame. Da quello che scrive, sembra quasi che partano per fare una gita in gommone».
A indignare è stata anche la sua definizione dei gay come anormali.
«E Platone? E Socrate? È il concetto stesso di normalità che è stato superato, per studi scientifici ma anche etici. Se il tema è la morale cattolica, anche in questo caso dovrebbe aggiornarsi: se qualcuno domani impazzisse e decidesse di proporre una legge per far diventare reato l’omosessualità, io sarei tra i primi a battermi per fermarla. E non sono certo un progressista. Ma la società è laica».
Nell’esercito continua a esserci una deriva machista, omofoba, fascista?
«Sono stato ufficiale di complemento, a me l’esercito fa simpatia. Spesso però, non per colpa sua, serve cause sbagliate. Nell’esercito come nella società ci sono sacche di resistenza. Più che di machismo, parlerei di forza di inerzia conservatrice. Bisogna avere un po’ di pazienza, i cambiamenti hanno bisogno di tempo».
Cos’altro non l’ha convinta del libro?
«Parla della necessità che l’uomo si imponga sulla natura: fa i ragionamenti di mio padre negli anni Sessanta, quando si pensava che le risorse fossero infinite. Gli consiglio di leggere il filosofo Chomsky sul progresso».
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anticattocomunismo · 1 year
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La Messa celebrata dai laici è già realtà in Svizzera
Nel cantone tedesco è ormai consueto che siano i laici a svolgere le funzioni sacerdotali: predicano, celebrano la liturgia della Parola con la completa sostituzione della Messa, battezzano, celebrano matrimoni. Il tutto in spregio alle più elementari norme canoniche. La “resistenza” di Vera Fides, un’associazione che vuole rimanere cattolica e che ha scritto al Dicastero del Culto…
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lamilanomagazine · 1 year
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Svelata la madrina del Siracusa Pride 2023: sarà Vladimir Luxuria
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Svelata la madrina del Siracusa Pride 2023: sarà Vladimir Luxuria. La comunicazione arriva dalla stessa poliedrica artista ed attivista per i diritti civili in un video nel quale invita a continuare con la stessa “resistenza, lo stesso orgoglio e la medesima libertà” per i diritti di tutti, in un periodo di grande preoccupazione per la crescente messa in discussione in tutto il mondo, Italia compresa, dei diritti delle persone LGBTQI+. Luxuria nel 2006 è stata la prima donna transgender a diventare parlamentare in Europa. Promotrice e prima firmataria della proposta di legge n. 2733 del 2007 intitolata “Norme in materia di diritti e libertà delle persone trans genere”. Nel 1994 insieme con Imma Battaglia e Vanni Piccolo fu organizzatrice del primo Gay Pride d’Italia, che si tenne a Roma e al quale parteciparono circa diecimila persone. Con l’identità della madrina si svelano anche i due appuntamenti che animeranno nella piazzetta in fondo a Via Riviera Dionisio il Grande, all’ingresso dell’area del Monumento ai Caduti d’Africa, il “Pride Village” nelle giornate di giovedì 29 e venerdì 30 giugno, immediatamente precedenti alla parata finale del 1° luglio. Due giorni di incontri, dibattiti, confronti sui diversi temi che compongo ed influenzano quotidianamente la vita delle persone LGBTQI+, proiezioni e tanta musica. Si comincia giovedì alle ore 18 con l’incontro dibattito all’insegna del dialogo interreligioso dal tema: “Fede, Identità di genere e orientamenti sessuali” al quale prenderanno parte: Ioana Niculina Ghivalchiu, pastora Chiesta evangelica Battista di Siracusa, Floridia e Lentini; Don Carlo D’Antoni, parroco della Chiesa cattolica di Bosco Minniti (Siracusa); Gabriele Spagna, responsabile della Sinagoga di Siracusa e Anna Adorno, responsabile “divisione donne” Regione Sicilia dell’Istituto Italiano “Soka Gakkai”. Moderano le giornaliste, Nadia Germano e Alessia Zeferino. Alle ore 20.00 proiezione del docufilm “Alfredo’s Fire” (2014), introdotto da Eleonora Gennaro per Arci Siracusa, realizzato nel 2014 dal regista statunitense Andy Abrahams Wilson. Il docufilm, della durata di 40 minuti, racconta la storia di Alfredo Ormando, scrittore omosessuale originario di San Cataldo, un paesino in provincia di Caltanissetta, che nel 1988 si uccise dandosi fuoco in piazza San Pietro. Ad uccidere Alfredo, però, non furono le fiamme che avvolsero il suo corpo ma l’ipocrisia, il pregiudizio l’omofobia, il provincialismo e la cattiveria della gente che lo avevano ferito nel profondo alimentando il tormento interiore di non poter conciliare la propria fede cattolica con l’essere omosessuale. Concludono alle ore 21.15 le artiste siracusane, Lucia De Luca e Nicoletta Palermo in concerto con lo spettacolo: NiVaLù Pride Songs. Venerdì 30 giugno, protagonista del Pride Village, alle ore 18.30 “Cittadini LGBTQ+ tra uguali doveri e differenti diritti”, tavola rotonda sui diritti delle persone LGBTQ+ conquistati, su quelli osteggiati e su quelli per cui ancora è necessario lottare. Parteciperanno all’incontro: Marilena Grassadonia, attivista lesbica femminista per diritti civili e LGBT+ e mamma iscritta all’associazione Famiglie Arcobaleno; Lele Russo, avvocato “Rete Lenford - Avvocatura per i diritti LGBTI+”; Emma Lo Magro Psicologa e psicoterapeuta – Gruppo di lavoro “Psicologia LGBT+” dell’Ordine degli Psicologi Sicilia; Armando Caravini, presidente Arcigay Siracusa; Alessandro Bottaro, presidente Stonewall Siracusa. Moderano le giornaliste Nadia Germano e Alessia Zeferino. In chiusura, alle ore 21.15 ancora una splendida performance all’insegna delle NiVaLù Pride Songs interpretate dalla meravigliosa voce di Valentina Muscia. Il Siracusa Pride 2023 è organizzato da: Arcigay Siracusa e Stonewall GLBT Siracusa in collaborazione con: Amnesty International - Gruppo Italia 85, Arci Siracusa, Arciragazzi Siracusa 2.0, Astrea in memoria di Stefano Biondo, Centro Antiviolenza Ipazia, CGIL, COBAS Scuola Siracusa, COBAS pubblico impiego Siracusa, Giosef Siracusa, Giovani Menti Libere, No all’Odio - Movimento di contrasto ai discorsi d’Odio, Rete Degli Studenti Medi Siracusa, UIL, Zuimama Arciragazzi. Nei prossimi giorni sulla pagina del Siracusa Pride verrà comunicato il percorso della parata. Per tutte le info e gli approfondimenti basta seguire i profili Facebook e Instagram del Siracusa Pride A prendere la parola sono i presidenti di Arcigay Siracusa, Armando Caravini, e Stonewall Siracusa, Alessandro Bottaro. “Bel messaggio profondo e sentito da parte di Vladimir Luxuria – dichiara il presidente di Arcigay Siracusa, Armando Caravini - che sarà con noi a manifestare il 1° luglio al Siracusa Pride. Ti aspettiamo a braccia aperte cara amica di mille battaglie, grazie per aver scelto di manifestare insieme a noi con i nostri corpi le nostre istanze, le nostre battaglie per riportare luce all’oscurità sui diritti civili portata da questo governo reazionario e oscurantista. Vi aspettiamo il 1° luglio per il Siracusa Pride e vi invitiamo a seguire la pagina ufficiale per scoprire tutte le novità e il programma dettagliato”. “Stiamo attraversando un periodo politico e ideologico – dichiara il presidente di Stonewall Siracusa, Alessandro Bottaro - caratterizzato da corsi e ricorsi storici. Chi contesta pacificamente il boicottaggio della 194 viene denunciato, una donna transgender a Milano praticamente a terra, immobile ed indifesa, malmenata pesantemente con manganellate e spray urticante. E questi, purtroppo, non sono gli unici due esempi di un clima illiberale, pesante dai toni nostalgicamente neo fascisti! Oggi più che mai serve riappropriarci delle strade e delle piazze, non è più tempo della delega e del rimandare, oggi serve prendere parte e dire chiaro, forte ed inequivocabile verso chi ci schieriamo. Invito la comunità LGBTQIA+, e non solo, a prendere coscienza ed esserci, bella, chiassosa e più colorata di sempre! Affermare i nostri corpi in movimento e le nostre libertà è un diritto ed un dovere da difendere anche con le unghie e con i denti se necessario. Buon Pride a tutti”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 1 year
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La storia tra le righe a Legnano
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Da venerdì 14 a domenica 16 aprile  a Legnano è il momento di La storia tra le righe, prima edizione del festival di Letteratura Storica ideato da Fondazione Palio e del Comune di Legnano, con Incipit Eventi culturali e letterari di Amanda Colombo e la collaborazione di Università Cattolica del Sacro Cuore, Università Statale di Milano, Università degli Studi Milano Bicocca e Fondazione Arte della Seta Lisio-Firenze. A inaugurare il Festival venerdì 14 aprile alle 21 sarà Marcello Simoni, che guiderà gli spettatori alla scoperta di come nasce un romanzo storico, tra fatti veri ed elementi narrativi, nell’incontro La Storia nelle storie: la magia del romanzo storico. Sabato ci saranno Paola Cereda alle 15, vincitrice del Premio Wondy-Giuria popolare, su una storia di Resistenza ambientata fra le miniere di ferro dell’Isola d’Elba, e Federico Canaccini alle 17, noto storico medievista, che ripercorre le 21 battaglie più importanti del Medioevo, le evoluzioni tecnologiche, le trame politiche e le strategie militari. Arriveranno poi Fulvio Ferrario alle 19, che illustrerà la storia di Lutero e della Riforma, e dei risvolti che questa ha avuto sulla contemporaneità, e Marco Buticchi alle 21, che in occasione del centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, racconta cosa ha portato al celebre ritrovamento e la storia del Faraone bambino. Domenica ci sarà il giornalista e storico Luigi Barnaba Frigoli  alle 15, che dalla straordinaria figura di Bona Lombardi racconterà la forza delle donne nei secoli, tra la loro capacità di combattere, la fine abilità politica e l’astuzia e la scrittrice Carla Maria Russo alle 17), presenterà l’avvincente storia di due donne italiane nell’America del Primo Novecento, una che uccide per difendersi e la prima avvocata che si batte per salvarle la vita. Chiuderà Alessandro Milan alle 19), giornalista di Radio 24, che partendo da una pietra d’inciampo ripercorre le storie di partigiani silenti nella Milano della Resistenza. Saranno tre i laboratori a tema storico dedicati ai più piccoli: Mistero al Castello, un giallo medievale per giovani investigatori, nel quale i piccoli partecipanti si trasformeranno in Giovani Cavalieri del Quinto Sigillo, Dov’è finito il tesoro degli Allahakbarries, con enigmi, trucchi e misteri da risolvere per arrivare all’agognato scrigno, con Luca Crovi e Alla scoperta del Castello: storia e storie delle contrade, una lettura animata sul Palio e le Contrade, tra risate, emozioni e tanta fantasia, a cura di Fortuna Nappi. Read the full article
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adrianomaini · 1 year
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amicidomenicani · 1 year
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Quesito Caro padre Angelo, ti scrivo in merito a una perplessità sorta in me negli ultimi tempi. Mi sono accorto che la mia fede è monca. Credo nella Trinità e nella Chiesa Cattolica. In particolare, mi fido della chiesa come istituzione e sottoscrivo l’intero apparato dogmatico. Ho visto fiorire la mia vita ogni volta che ho avuto fiducia nella sua proposta. Tuttavia l’ostacolo in cui si imbatte la mia fede è la Chiesa intesa come comunità. Probabilmente sono scandalizzato. Con questo termine non mi riferisco agli scandali comunemente sollevati contro la Chiesa, molti dei quali sono luoghi comuni triti e ritriti senza neanche un plausibile fondamento storico. Il mio scandalo deriva dal sentore che dentro la Chiesa, nelle comunità cattoliche, ci sia un conformismo generale che non ha nulla a che vedere con la virtù dell’obbedienza. (…). A questo si accosta il mio superbo e arrogante giudizio di una mancata passione e chiarezza dell’annuncio cristiano da parte di sacerdoti o responsabili di qualunque tipo. Una pavidità che lascia noi ragazzi da soli in balia di un mondo agguerrito. Tutto questo mi porta ad esprimere sempre con grande irruenza il mio punto di vista, spesso scontrandomi con amici carissimi in discussioni sterili. Ma il problema di fondo è che non capisco in che modo Gesù sia presente, oggi, nella chiesa come comunità, cioè nei cristiani che mi circondano. Paradossalmente è molto più semplice credere nella presenza reale dell'Eucaristia. Solo singoli rapporti molto intimi mi fanno intuire la presenza di Gesù, ad esempio quello con la mia ragazza o col nostro padre spirituale. Ed è proprio il nostro padre spirituale a insistere sempre sul fatto che il Cristo senza la Chiesa intesa come compagnia umana è un Cristo ideale senza attinenza con la realtà. Ma di fondo resta sempre una resistenza. Forse sto mascherando con la teologia questioni personali e generazionali: la fatica del rapporto con l’altro, oggi, è sconfinata e generalizzata ovunque. Se tu potessi aiutarmi a chiarire questo dubbio te ne sarei molto grato. Cordialmente, Michelangelo Risposta del sacerdote Caro Michelangelo, 1. le nostre comunità cristiane devono avere come loro centro e come loro punto di irradiazione Gesù Cristo. Se Gesù non è il centro, ci ritroviamo tra di noi con la nostra pochezza e talvolta anche con la nostra insignificanza. È in Cristo che abbiamo tante cose da dirci (l'esperienza personale della nostra fede) e tante cose da darci (la comunione, la carità). 2. Mi parli di obbedienza. Ma prima dell'obbedienza ai nostri capi, che è pur necessaria per avere uniformità nell’azione soprattutto se si vive all'interno di un'associazione o di un movimento, è necessaria l'obbedienza a Cristo. Quando Abramo è stato chiamato da Dio la prima cosa che ha fatto è stata l'obbedienza. È partito, si è messo in movimento aspettando che cammin facendo Dio gli indicasse quale sarebbe stata la terra promessa. Ora l'obbedienza che difetta nelle nostre comunità è l'obbedienza a Cristo, alla sua parola. Difetta perché la si ascolta, ma non la si interiorizza e ancor meno la si mette in pratica. Non intendo generalizzare e dire che tutti fanno così. Ma buona parte sì. Nei confronti di Cristo siamo spesso come degli ascoltatori immemori, come ricorda San Giacomo: “Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza.  Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era” (Gc 1,21-24). Quando la si mette in pratica “si trova la sua felicità nel praticarla” (Gc 1,25). A questo punto la parola di Dio diventa fuoco nel cuore e comincia a raddrizzare la nostra vita. Ne viene da sé che questo fuoco divampi e cominci a contagiare anche gli altri. 3. Hai
toccato il punto dolente quando parli “di una mancata passione e chiarezza dell’annuncio cristiano da parte di sacerdoti o responsabili di qualunque tipo”. Quando la nostra predicazione è gelida, priva di passione e di chiarezza quale frutto può ottenere? Penso al calore con cui ha parlato San Pietro nel giorno di Pentecoste tanto che San Luca conclude: “Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!»” (At 2,40).  Quando parlava tutti si sentivano trafiggere il cuore e chiedevano a lui e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro diceva: “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo” (cfr. At 2,37-38). 4. Pietro poteva dire tali parole perché era pieno di Spirito Santo. Era come trasformato in Cristo.  La gente sentiva che Gesù era vivente in lui ed esortava per mezzo suo. Per questo non attraeva a sé, ma a Cristo. 5. Dici che questo lo senti poche volte: quando parla il tuo padre spirituale oppure quando sei con la tua ragazza. A questo punto però io ti dico: non aspettare che siano gli altri ad essere pieni di Spirito Santo e di fuoco. Mettiti tu in movimento: lasciati trasformare da Cristo, vivi in modo tale che gli altri sentano che Gesù parla attraverso di te. 6. Penso in questo momento alla bella figura del beato Carlo Acutis. La sua famiglia non era profondamente cristiana. La mamma ha attestato che lei e suo marito andavano a Messa a Natale e Pasqua. Carlo invece vi andava tutti i giorni. Ed era un ragazzo di 12,13 anni. Le sue parole erano luce e fuoco. Tra queste mi piace riportarne qualcuna. Diceva: “L'unica cosa che dobbiamo chiedere a Dio nella preghiera è la voglia di diventare santi”. Sul letto di morte ha potuto dire: “Muoio contento perché ho vissuto la mia vita senza perdere alcun minuto in cose che non piacciono a Dio”. 7. Come sarebbe bello se queste due sue affermazioni diventassero il nostro programma di vita. Se insistentemente domandassimo al Signore di darci la voglia di diventare santi sentiremo ben presto ardere un fuoco che spinge ad ascoltare la parola di Gesù Cristo, a metterla in pratica e sperimentare già qui in terra la felicità del paradiso. Ugualmente se non perdessimo neanche un minuto nel dire o nel fare cose che dispiacciono al Signore! Come per una sorta di automatismo diventeremmo luce e fuoco per tutti, come istantaneamente si accende la luce quando se ne pigia il pulsante. Come sarebbe bello se diventasse programma di vita per tutti ciò che Dio dice per bocca di Paolo nella lettera ai Filippesi: “Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita” (Fil 2,14-16). Con l'augurio che tu sia il primo ad essere obbediente a Cristo, a sperimentare felicità nel mettere in pratica la sua parola, con l'incarico di risplendere come un astro nel mondo vivendo in maniera irreprensibile, pura, come figlio di Dio innocente in mezzo a una generazione malvagia e perversa, ti accompagno volentieri con la mia preghiera e ti benedico.  Padre Angelo
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paoloxl · 5 years
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(via 1943 – Dicembre 28 – Eccidio sette fratelli Cervi)
1943 – Dicembre 28 – Eccidio sette fratelli Cervi
I Cervi erano arrivati al podere di Praticello di Gattatico alla ricerca di un terreno pieno di gobbe e di buche da livellare per renderlo coltivabile, attraverso le conoscenze acquisite grazie alla “Riforma sociale” di Luigi Einaudi ed alle tante ore trascorse sui libri, nelle pause del lavoro, per imparare le moderne tecniche dell’agricoltura. Avevano le mucche, allevavano piccioni  e le api che producevano un finissimo miele. Avevano comperato il primo trattore della zona ed inoltre avevano piantato per la prima volta in Emilia, l’uva americana. Tutto questo suscitò molte gelosie nel paese, ma soprattutto l’attenzione delle autorità fasciste.
I Cervi erano sempre stati antifascisti, così come il padre Alcide e la madre Genoeffa Cocconi, donna di profonda fede cattolica; ma fu soprattutto Aldo ad infondere a tutta la famiglia le prime nozioni politiche e quindi un naturalissimo e convinto antifascismo. Con il trascorrere del tempo, divennero sempre più stretti i contatti con il movimento antifascista, così che, già dall’inizio della guerra, la loro casa divenne un rifugio per i prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia. Era tra loro il russo Anatolij Tarasov, successivamente fidato compagno dei sette fratelli ed attivissimo partigiano nella Resistenza. Sfiduciato il Duce dai suoi stessi gerarchi, cadde il fascismo il 25 luglio 1943 e la famiglia Cervi organizzò una grande festa, offrendo la famosa pastasciuttata a tutta la popolazione sull’aia della casa. Nelle pentole vennero cotti dieci quintali di pasta e ai Campi rossi giunsero a mangiare i vicini, i parenti, gli amici, i paesani. La popolarità dei Cervi aveva ormai superato i confini di Gattatico e con l’arrivo dei nazisti in Emilia, la loro cantina ed il loro fienile divennero depositi per le armi dei partigiani che andavano in montagna. Anche loro, seppur per un brevissimo periodo, provarono la via dei monti, dove ebbero contatti con il parroco di Tapignola Don Pasquino Borghi, ma capirono ben presto che la Resistenza in montagna non era ancora sufficientemente organizzata. Così tornarono ai Campi rossi, poiché ritennero fosse più importante rimanere in pianura e mantenere i collegamenti con i primi nuclei partigiani che via via andavano formandosi, nascondendo le armi e diffondendo la stampa clandestina. I fascisti non tardarono però a stroncare l’intensa attività cospirativa dei Cervi, infatti all’alba del 25 novembre 1943, un plotone di militi circondò l’edificio, in parte incendiandolo ed al termine della sparatoria i sette fratelli, dopo essersi arresi, vennero catturati e condotti al carcere politico dei Servi a Reggio Emilia. Stessa sorte toccò al padre Alcide che non volle abbandonarli, al compagno partigiano Quarto Camurri  e ad alcuni ex prigionieri alleati, tra i quali Dante Castellucci che si fece passare per francese.
Alla fine la casa della famiglia venne completamente bruciata dai fascisti, con le donne ed i bambini abbandonati in strada.
Papà Cervi era ancora in cella e non fu nemmeno informato quando i suoi figli vennero condannati a morte e fucilati al poligono di tiro di Reggio, alle ore 6,30 del 28 dicembre 1943.
“Dopo un raccolto ne viene un altro, bisogna andare avanti”. Queste le parole del vecchio “Cide” quando, tornato a casa dal carcere, seppe dalla moglie Genoeffa la tragica fine dei suoi ragazzi.
Da quel giorno infatti, furono le donne dei Cervi a lavorare la terra con Alcide e con gli 11 nipoti.
Nell’immediato dopoguerra, il Presidente della Repubblica appuntò sul petto del vecchio padre sette Medaglie d’Argento, simbolo del sacrificio dei suoi figli.
Papà Cervi viaggiò in mezzo mondo, rappresentando la Resistenza italiana, partecipando alle grandi manifestazioni politiche, partigiane ed antifasciste.
Morì a 94 anni il 27 marzo 1970, salutato ai suoi funerali da oltre 200.000 persone.
La casa del Cervi è oggi uno straordinario museo della storia dell’agricoltura, dell’antifascismo e della Resistenza.
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bergoglionate · 5 years
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Reti unificate: Acies Ordinata a Monaco – 18 gennaio 2020
Reti unificate: Acies Ordinata a Monaco – 18 gennaio 2020
A Reti Unificate condividiamo, congiuntamente al sito della Fondazione Lepanto, curatore dell’iniziativa, di Corrispondenza romana, degli amici di Chiesa e post concilio, del Blog di Marco Tosatti, di Aldo Maria Valli, e di CooperatoresVeritatis.., l’evento che si sta svolgendo oggi a Monaco dell’Acies Ordinata, come già avvenne per febbraio e settembre 2019, vedi qui. Qui la pagina di FB della…
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Siamo lieti di pubblicare, congiuntamente al sito della Fondazione Lepanto, curatore dell’iniziativa, di Corrispondenza romana, degli amici di Chiesa e post concilio, del Blog di Marco Tosatti, di Aldo Maria Valli, di cronicasdepapafrancisco.. ed altri, l’evento che si sta svolgendo oggi a Monaco dell’Acies Ordinata, come già avvenne per febbraio e settembre 2019, vedi qui. Qui la pagina di FB della Fondazione Lepanto.
il video:
      Acies Ordinata – Conferenza stampa
Al termine della manifestazione Acies Ordinata svoltasi a Monaco di Baviera si è tenuta anche una conferenza con gli interventi di alcune personalità cattoliche conosciute a livello mondiale per la difesa della Chiesa di sempre.
Michael J. Matt, direttore del quotidiano americano The Remnant, dopo aver ricordato le proprie origini tedesche, ha affermato che la Conferenza episcopale tedesca, con l’indizione del “cammino sinodale”, ha la pretesa di «poter auto-determinare la dottrina e istituire la propria Chiesa nazionale, una sorta di nazionalismo elitario in completo contrasto con il volto della Chiesa Cattolica universale, con una sola fede, un unico sistema sacramentale e un’unica disciplina in tutto il mondo». Ne è una prova l’insistente proposta di ordinare donne al sacerdozio, nonostante sia contrario alla legge di Dio. «Perché i Vescovi Tedeschi non riescono a comprendere – domanda il giornalista americano – Chiesa non ha l’autorità di infrangere la legge di Dio?». Per questo i fedeli non possono lasciare che il “progetto” dei vescovi tedeschi abbia successo, poiché «l’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno oggi è una maggiore ribellione in seno alla Chiesa Cattolica che abbiamo vista essere stata distrutta negli ultimi cinquant’anni».
Alexander Tschugguel, il giovane che gettato nel Tevere gli idoli della Pachamama, ha infatti rammentato che i veri “ideologi” del sinodo straordinario sull’Amazzonia – col pieno appoggio di papa Francesco – sono stati i vescovi (e i teologi) tedeschi. Lo prova il fatto che mons. Franz-Josef Bode, vice-presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha dichiarato che ciò che è stato deciso per l’Amazzonia dovrebbe applicato anche in Germania. «L’avvio del percorso sinodale – ha aggiunto il giovane – significherà probabilmente che questo processo avanzerà molto rapidamente in Germania. La Chiesa tedesca sta qui cercando di assumere una sorta di ruolo pionieristico». La Chiesa ha sempre affrontato crisi nel corso della sua storia bimillenaria e anche questa volta sarà riuscirà a superarla. «Spetta a noi decidere ora – ha concluso – quante strade sbagliate la Chiesa debba lasciare, quante ancora debbano essere distrutte prima di poter ritrovare la via per tornare alla verità, alla dottrina e alla tradizione».
La giornalista francese Jaenne Smits ha difeso il giusto ruolo della donna nella Chiesa. L’uomo e la donna hanno pari dignità, ma non uguali compiti. I vescovi tedeschi stanno infatti minimizzando «il ruolo chiave tradizionale delle donne per farle agire come uomini». Inoltre, ordinare al sacerdozio senza tenere conto del sesso biologico, è un altro cedimento all’ideologia egualitarista del gender. «Sembra che il percorso sinodale tedesco voglia, con uno stratagemma, convogliare la Chiesa in una trappola», ha accusato la giornalista francese. «Come donna, giornalista – sono stata, nel passato, direttore e redattore-capo di diverse riviste e giornali – e, da Cattolica, posso solo dire quanto patetico trovi questo approccio egualitario. È patetico ed è persino pericoloso per la mia fede e per la Chiesa che amo, perché è disposto a sconvolgere l’intera economia della Redenzione, la verità e la bellezza dei rispettivi ruoli di nostro Signore Gesù, Figlio di Dio e la più perfetta di tutte le creature umane, la sua Vergine Madre».
Nel suo intervento Antonio Ureta, membro dell’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà e autore del celeberrimo Il cambio di paradigma di Papa Francesco, ha elencato cinque imposture del “percorso sinodale” voluto dalla Conferenza episcopale tedesca. La prima è un’impostura teologica, in quanto i cambiamenti proposti sull’autorità della Chiesa, sul sacramento dell’Ordine e sulla morale sessuale vengono difesi con l’eretica tesi che ciò che chiede la “comunità” viene dallo Spirito, suggerendo «che la Rivelazione divina è espressa e si evolve attraverso le vicissitudini umane». La seconda è un’impostura ecclesiogica, poiché «la “sinodalità” è solo un’etichetta fraudolenta per ottenere una democratizzazione radicale della Chiesa». La terza è un’impostura sociologica. Infatti il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZDK) – vero organizzatore del “percosso sinodale” – non è affatto un corpo rappresentativo dei fedeli cattolici, giacché i suoi membri non sono affatto i comuni frequentatori della Messa domenicale, ma «ciò che viene denominato “Räte und Verbandskatholizismus”, e cioè una sorta di nomenklatura composta da apparatchik di organizzazioni attivistiche di orientamento progressista». La quarta è un’impostura metodologica. Il “cammino sinodale” tedesco, riguardo gli abusi sessuali commessi da membri del clero, si avvale del fazioso rapporto MHG, secondo cui la responsabile è la “vecchia” Chiesa, con la sua struttura di potere, la sua teologia degli assoluti morali, il suo celibato sacerdotale e la sua condanna dell’omosessualità. I vescovi tedeschi e la ZDK hanno volutamente ignorato «altri studi che indicano nel lassismo morale e nel crollo della teologia morale i principali colpevoli». L’ultima impostura è quella umana. Da cinquant’anni la Conferenza episcopale «cerca d’infiltrare nella Chiesa cattolica le eresie promosse dai leader della teologia neo-modernista tedesca. Invece di assumersi la responsabilità di queste eresie con piena trasparenza, i vescovi tedeschi si nascondono dietro i laici e, col pretesto della “sinodalità”, vogliono che siano i laici ad assumersi la piena responsabilità della rottura con la verità di Cristo operata dalla nuova chiesa scismatica che stanno costruendo sulle orme di Lutero», ha concluso il prof. Ureta.
John-Henry Westen, direttore del portale americano LifeSiteNews, ha lanciato una pesante – e motivata – accusa al cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco-Frisinga e presidente della Conferenza episcopale tedesca. «Cardinale Marx, secondo le parole di San Paolo (cfr. At 20, 29-30; 2Cor 11, 13), le sue mani grondano sangue… I suoi falsi insegnamenti su aborto, adulterio e atti omosessuali hanno pervertito un’intera generazione di giovani Cattolici… Lei vuole integrarsi nell’élite di questo mondo… Come osa benedire atti che danneggiano le persone nei loro corpi e nelle loro anime? … Lei è un falso profeta come quelli da cui ci ha messo in guardia San Pietro, il primo Papa (cfr. 2Pt 2, 1-2) … Si penta della sua malvagità o l’aspetta il fuoco dell’inferno…».
Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto, storico della Chiesa e scrittore, ha lanciato un appello ai cattolici tedeschi affinché si oppongano alla Kirchensteuer, la tassa sulle religioni e principale fonte di finanziamento della Conferenza episcopale tedesca. «È inammissibile – ha affermato il prof. de Mattei – che l’unica possibilità di sottrarsi a questo prelievo forzato sia una dichiarazione obbligata di abbandono della Chiesa (Kirchenaustritt) a cui segue automaticamente una scomunica de facto». Fermo restando «il dovere di aiutare materialmente la Chiesa», ma dalla «la tradizione della Chiesa non ha mai considerato la violazione di questo dovere come un delitto punibile in sé». È scandaloso che i divorziati-risposati che pagano la Kirchensteuer siano ammessi ai sacramenti, mentre ai cattolici che rifiutano il pagamento di questa tassa vengano scomunicati di fatto – contraddicendo il Codice di Diritto Canonico – negando loro anche i funerali. «Il criterio di appartenenza alla Chiesa cattolica si fonda sulla fede che ogni cattolico riceve con il battesimo e non può essere ridotto al pagamento di una tassa», ha spiegato. «Solo un’istituzione profondamente secolarizzata può stabilire un’equazione tra l’appartenenza alla Chiesa e il pagamento di una quota del proprio reddito». «Per questo, il rifiuto di finanziare la Conferenza Episcopale tedesca – ha concluso il prof. de Mattei – non significa voltare le spalle alla Chiesa e tanto meno abbandonare la fede cattolica, ma anzi difenderla. È il bene, non solo della Chiesa in Germania, ma della Chiesa universale, che ci spinge a rivolgere un appello ai cattolici tedeschi: cessate di pagare la Kirchensteuer!».
qui a seguire gli interventi in formato pdf, gentilmente condivisi a noi dalla Fondazione Lepanto
Alexander Tschugguel
Jeanne Smits
John-Henry Westen
Jose Antonio Ureta
Michael J. Matt
Roberto de Mattei
Le foto dalla Fondazione Lepanto:
      Reti unificate: Acies Ordinata a Monaco – 18 gennaio 2020 Siamo lieti di pubblicare, congiuntamente al sito della Fondazione Lepanto, curatore dell'iniziativa, di Corrispondenza romana…
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